Archivio selezionato: Dottrina LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO TRA RAPPORTI DI DIRITTO PUBBLICO E RAPPORTI DI DIRITTO PRIVATO: BREVI RIFLESSIONI A MARGINE DEI RECENTI ORIENTAMENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE Dir. proc. amm., fasc.3, 2010, pag. 934 MARIA CRISTINA CAVALLARO Classificazioni: GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - In genere Sommario: 1. I problemi irrisolti della giurisdizione esclusiva dopo l'intervento della Corte costituzionale. - 2. Origini e fondamento costituzionale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: la piena giurisdizione. - 3. La crisi del sistema. - 4. La questione della pregiudizialità. Uno sguardo alla giurisdizione contabile. - 5. La giurisdizione esclusiva tra diritto pubblico e diritto privato. 1. Le più recenti ipotesi di giurisdizione esclusiva, individuate dal legislatore delegato prima e confermate dal legislatore ordinario dopo (1), hanno evidenziato la tendenza tipica degli ultimi anni a superare il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo per fondare la giurisdizione esclusiva non più su un inestricabile intreccio tra diritti e interessi, come in origine, bensì su interi “blocchi di materie”. Sul presupposto che la giurisdizione esclusiva vada interpretata come piena giurisdizione, l'individuazione del giudice amministrativo in funzione di giudice unico avrebbe dovuto garantire il ruolo dello stesso come giudice per i rapporti tra pubblica amministrazione e privato. Quei rapporti, cioè, nei quali la pubblica amministrazione non agisce soltanto secondo le regole del diritto pubblico, esercitando così un potere che implica la presenza dell'interesse legittimo (che appunto è la situazione giuridica soggettiva che «dialoga» con il potere) (2); ma quei rapporti che sono caratterizzati da una compresenza di diritto pubblico e diritto privato, tale da giustificare un legittimo dubbio sulla consistenza della relativa situazione giuridica soggettiva vantata dal privato (3). Questa suggestione è stata in parte ridimensionata dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, che si muove in due direzioni. Da un lato, ribadisce l'esigenza di assicurare anche all'interesse legittimo una tutela piena, in conformità col quadro costituzionale e in particolare con l'art. 24 Cost.; dall'altro, ma pur sempre nel rispetto dei principi contenuti in Costituzione, impone un ritorno alla giurisdizione esclusiva entro il perimetro disegnato dall'art. 103 Cost., sottolineando il carattere specifico ed eccezionale della qualificazione del giudice amministrativo come giudice anche dei diritti. Aggiungendo che la eccezionalità della previsione è (e deve essere) legata all'inestricabile intreccio tra diritti e interessi ed è giustificata dal fatto che l'attività svolta dall'amministrazione sia riconducibile all'esercizio del potere, poiché il giudice amministrativo è naturalmente, quasi per vocazione, il giudice chiamato ad esercitare il proprio sindacato sul corretto esercizio del potere. Resta pertanto sottratto alla giurisdizione esclusiva quell'ambito di attività nella quale l'amministrazione opera alla stregua di un soggetto privato (come ad esempio l'intera materia dei servizi pubblici, o la materia dei comportamenti, salvo che non si tratti di comportamenti riconducibili all'esercizio del potere, come poi chiarito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 191 del 2006). Mentre trova piena giustificazione la previsione della giurisdizione esclusiva in tema di accordi tra amministrazione e privati ex art. 11 della l. 241/90 (così come pure, nella stessa prospettiva, può giustificarsi la giurisdizione esclusiva in tema di DIA, di revoca dei provvedimenti, in ordine al quantum dell'indennizzo, per citare alcune delle recenti forme di giurisdizione esclusiva introdotte dalla recente legge n. 15/2005; o in tema di contratti ad evidenza pubblica, ma limitatamente alla fase pubblicistica di scelta del contraente, secondo quanto previsto dall'art. 244 del codice dei contratti). Il paradosso è proprio questo: il riparto tra la giurisdizione ordinaria e amministrativa si fonda sulla distinzione tra le due figure soggettive del diritto soggettivo e dell'interesse legittimo, le quali, a seguito della estensione della tutela risarcitoria anche all'interesse legittimo, hanno perso gran parte dei tratti distintivi che le differenziavano. E la sentenza della Corte costituzionale, nell'affermare contemporaneamente il riparto di giurisdizione fondato sulla diversità tra diritti e interessi e la pienezza di tutela dell'interesse legittimo (al pari del diritto soggettivo), riproduce in parte questo paradosso, lasciando sul tappeto una serie di problemi ancora irrisolti. Anzitutto in ordine al rapporto tra ambito della giurisdizione e poteri del giudice amministrativo in funzione di giudice unico, al quale, a partire dal d.lgs. n. 80/1998, viene assegnato il potere di condanna al risarcimento del danno. Il dogma dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo risiedeva, com'è noto, in ragioni di natura sostanziale e processuale. Sotto il primo profilo, si riteneva che il danno ingiusto, richiesto dall'art. 2043 del c.c., fosse solo la lesione del diritto soggettivo, non anche dell'interesse legittimo. Dal punto di vista processuale, il giudice amministrativo era munito della giurisdizione in tema di interessi legittimi, ma non aveva il potere di condanna al risarcimento del danno; mentre il giudice ordinario, al quale la legge riconosceva il potere di condanna, non aveva la giurisdizione sugli interessi legittimi (4). Il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, all'art. 35, lungi dall'introdurre il principio della risarcibilità dell'interesse legittimo, si è limitato a riconoscere al giudice amministrativo, in funzione di giudice unico, il potere di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno, che rimane, nella prospettiva del legislatore delegato, il danno prodotto dalla violazione di un diritto soggettivo (5). Mentre è stata la successiva l. 205 del 2000 a positivizzare il principio della risarcibilità dell'interesse legittimo, attribuendo la relativa giurisdizione al giudice amministrativo (6), al quale, oltre al potere di risarcimento del danno per equivalente, viene attribuito altresì il potere di risarcimento in forma specifica. La Corte costituzionale sulla questione del risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell'interesse legittimo, spettante alla giurisdizione del giudice amministrativo, afferma che la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo non è da intendersi come materia esclusivamente assegnata al giudice amministrativo, ma come potere processuale a questi riconosciuto. Ma non v'è dubbio che l'attribuzione del potere di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, come conseguenza dell'illegittimo esercizio della funzione, comporta che in taluni casi il danno sia prodotto a carico del diritto. Si tratta, per intendersi, di tutte le questioni inerenti al risarcimento dell'interesse oppositivo, nelle quali, anche per effetto del mantenimento della pregiudiziale amministrativa, si ripropone quanto accadeva in passato: dall'annullamento dell'atto scaturisce l'ampliamento del diritto che, prima della l. 205/2000, apriva la strada della tutela risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, in quanto giudice dei diritti. Oggi, della stessa questione rimane investito il giudice amministrativo: in tal caso, se ci si muove dentro la giurisdizione esclusiva il problema non si pone, poiché si tratta di riconoscere al giudice amministrativo un potere di condanna a garanzia del diritto. Se, viceversa, ci si trova dinanzi alla giurisdizione generale di legittimità si ammette che il giudice degli interessi risarcisca il danno cagionato ai diritti (7). Il giudice amministrativo diventa cioè l'unico giudice che possa pronunciarsi sul risarcimento danni conseguente all'illegittimo esercizio del potere, secondo un modello che sembra più simile ad una giurisdizione esclusiva per blocchi di materie (la materia del risarcimento danni). Ancora incerta risulta l'individuazione del giudice munito di giurisdizione in tema di comportamenti. La sentenza n. 204 del 2004 incide sulla previsione contenuta all'art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, secondo cui «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia», e rimuove il riferimento ai comportamenti. La stessa Corte chiarisce, poi, nella sentenza n. 191 del 2006 (avente ad oggetto l'art. 53 del t.u. espropriazioni che riproduce il testo del citato art. 34, ma si riferisce ai comportamenti in tema di espropriazioni), che rientrano nella giurisdizione esclusiva quei comportamenti riconducibili all'esercizio del potere, id est l'occupazione d'urgenza (poco chiaro, anche in relazione all'applicazione che del principio ha fatto la Cassazione, se trattasi solo di occupazione acquisitiva, o anche usurpativa) (8). Il punto è: il risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere è diretta conseguenza dell'atto o del comportamento che residua dopo l'annullamento dell'atto? Perché se così fosse, la previsione appena ricordata contenuta all'art. 7 dell'odierna legge TAR, che assegna al giudice amministrativo la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo, sarebbe in contrasto con la sentenza 204. La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza 23 gennaio 2006, n. 1207, che, proprio in ossequio alle indicazioni espresse dal giudice delle leggi nella sentenza n. 204, ha inaugurato un orientamento, poi per vero quasi subito abbandonato, secondo cui l'annullamento del provvedimento illegittimo riduce l'attività posta in essere dalla stessa amministrazione in esecuzione dell'atto annullato a mero comportamento, che non trova più un titolo nel provvedimento medesimo. Poiché la sentenza di annullamento del giudice amministrativo (come l'annullamento dell'atto in sede di autotutela) comporta la rimozione dell'atto dall'ordinamento giuridico, lo stesso annullamento mette a nudo una condotta illecita dell'amministrazione, in quanto non fondata sul legittimo esercizio del potere. Per tale ragione, secondo la Cassazione, dei danni cagionati in conseguenza della condotta illecita deve conoscere il giudice ordinario, secondo l'orientamento espresso dalla dottrina e sostanzialmente accolto dalla giurisprudenza sino a prima dell'entrata in vigore della legge n. 205/2000: la responsabilità risarcitoria conseguente all'adozione di un provvedimento illegittimo non si fonda sull'illegittimità del provvedimento adottato, ma sull'illiceità della condotta tenuta dall'amministrazione, che residua dopo l'annullamento dell'atto (9). Esiste cioè una duplice qualificazione normativa della medesima vicenda. L'atto adottato dalla pubblica amministrazione è illegittimo secondo l'ordinamento, perché non conforme ad un dato parametro normativo; ma altra norma dell'ordinamento può imprimere una qualificazione di illiceità, nel senso che «l'atto, rimanendo tale, è assunto nella fattispecie della norma descrittiva dell'illecito» (10). Come già la più attenta dottrina aveva osservato agli inizi del Novecento, il danno prodotto dall'atto amministrativo illegittimo è consequenziale all'esecuzione dell'atto medesimo, non già alla mera emanazione di esso (11). La Corte di Cassazione ha quasi subito mutato il proprio orientamento, aderendo all'interpretazione del Consiglio di Stato (e al successivo chiarimento offerto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 191/06) secondo cui, ove il comportamento sia riconducibile all'esercizio del potere, deve affermarsi la giurisdizione del giudice amministrativo (12); ma il problema si ripropone con riguardo ad altre questioni: tali ad esempio sono il danno da ritardo (13) , o la controversa distinzione tra occupazione acquisitiva e usurpativa (14). Rileva altresì, sempre in tema di comportamenti, la disciplina del diritto alla salute e dei relativi provvedimenti dell'amministrazione sanitaria: nelle note ordinanze gemelle del 2006 (15), la Corte di Cassazione ha ridisegnato il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo affermando che il diritto alla salute, come gli altri diritti incomprimibili del nostro ordinamento, non può essere che riservato alla giurisdizione del giudice ordinario. Ancora una volta, la Corte costituzionale s'è pronunciata sulla questione (16) affermando che non esiste «alcun principio o norma del nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti». Tuttavia, la Corte non contraddice espressamente il giudice del riparto, precisando che, ove la lesione del diritto alla salute sia riconducibile a «provvedimenti o procedimenti tipizzati normativamente» (come nel caso affrontato dalla stessa Consulta), la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è pienamente ammessa; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario «in presenza di diritti assolutamente prioritari (tra cui quello della salute), in ipotesi in cui vengano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione». Così, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, chiamato a pronunciarsi su un provvedimento della AUSL n. 2 di Caltanissetta che dispone il trasferimento di un paziente da un Istituto Ospedaliero della Lombardia - ove è degente da oltre trenta anni - presso una struttura siciliana, pur riconoscendo il «rango costituzionale» del diritto alla salute, non nega la propria giurisdizione, ma entra nel merito della questione e decide in favore del ricorrente (17). Infine, anche la previsione della giurisdizione esclusiva in tema di DIA (art. 19 della legge 241/1990, come di recente modificato dalla legge 15/2005) potrebbe sollevare dubbi di legittimità costituzionale: ove si aderisse alla tesi secondo cui la dichiarazione di inizio di attività è atto di natura privata, il comportamento con cui l'amministrazione procede all'inibizione dell'intrapresa attività privata non sarebbe riconducibile all'esercizio del potere (18). Altra questione delicata concerne, in tema di contratti pubblici, il rapporto tra annullamento dell'aggiudicazione e sorte del contratto già stipulato tra amministrazione e privato. L'art. 244 del codice dei contratti, com'è noto, stabilisce che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie (ivi comprese quelle risarcitorie) concernenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda relativa alla fase di esecuzione del contratto. Viene in rilievo in tale ipotesi a quale giudice spetti la giurisdizione sulla sorte del contratto già stipulato in caso di annullamento dell'aggiudicazione. Anche la disposizione in esame ha aperto un contrasto tra la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato, nel quale sembrava che fosse stato messo un punto fermo con la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (23 aprile 2008, n. 10443), che afferma la giurisdizione ordinaria sulla domanda volta ad ottenere l'accertamento dell'inefficacia del contratto, la cui aggiudicazione sia stata annullata dal giudice amministrativo. L'indirizzo è stato apparentemente accolto anche dal Consiglio di Stato nell'Adunanza plenaria n. 9 del 2008, ma si tratta, appunto, di mera apparenza. L'Adunanza, infatti, da un lato mostra di condividere la soluzione prospettata dal giudice del riparto e dichiara di non volersene discostare, aggiungendo (con argomentazione per vero dubbia) che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo la tutela risarcitoria per equivalente, non anche la reintegrazione in forma specifica (la quale, «incidendo sul contratto e quindi sulla fase negoziale e sui diritti soggettivi, esula dai poteri giurisdizionali amministrativi»). Tuttavia, conclude la propria decisione prospettando una soluzione radicalmente opposta alla linea tracciata, secondo cui «nell'emanare i provvedimenti ulteriori che conseguono all'effetto caducatorio dell'annullamento dell'aggiudicazione della gara, l'amministrazione deve tenere conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento e delle conseguenze giuridiche determinate dal suo contenuto». Così, ove l'amministrazione adotti dei provvedimenti con i quali «non si conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza», si apre per il privato la strada del giudizio di ottemperanza (19). In tal modo, quanto era stato apparentemente sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo (e assegnato alla giurisdizione del giudice ordinario) ritorna per altra via al suo vaglio, poiché non v'è dubbio che tra i provvedimenti che l'amministrazione deve adottare per conformarsi al giudicato di annullamento rientrano anche quelli con i quali regola la vicenda dei rapporti con l'impresa la cui aggiudicazione sia stata annullata e con l'impresa inizialmente esclusa. Con ciò andando ben al di là della pronuncia della Cassazione (che si era limitata ad affermare la giurisdizione ordinaria sulla domanda volta ad ottenere l'accertamento dell'inefficacia del contratto, a seguito di annullamento dell'aggiudicazione), ma al di là anche della previsione contenuta nell'art. 244 del codice sui contratti, che esclude dalla giurisdizione esclusiva ogni domanda relativa alla fase di esecuzione del contratto. Anche perché non è difficile prevedere quale sarà la strada prescelta dal privato, posto di fronte all'alternativa se adire il giudice ordinario per ottenere una pronuncia di accertamento sull'inefficacia del contratto la cui aggiudicazione sia stata annullata, ovvero rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere l'ottemperanza del giudicato di annullamento dell'aggiudicazione (20). Le questioni prospettate evidenziano più punti critici. Anzitutto, va sottolineata l'anomalia delle stesse sentenze della Corte costituzionale, la quale ha utilizzato la disposizione contenuta nell'art. 103, sul fondamento costituzionale della giurisdizione esclusiva, per ridisegnare l'ambito e i poteri delle due giurisdizioni, muovendosi, a volte, più come giudice del riparto, che come giudice delle leggi. Nonostante i ripetuti interventi, permane l'incertezza della giurisprudenza amministrativa e ordinaria nel definire i perimetri delle rispettive giurisdizioni, sicché sembra più facile parlare di giurisdizioni che si rincorrono, piuttosto che di riparto vero e proprio (21). E l'incertezza, come visto, non si dirada neanche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, la cui ratio, nella originaria intenzione del legislatore, era proprio quella di superare la regola del riparto e con essa la difficoltà di distinguere tra diritto e interesse, assegnandone la relativa tutela ad un unico giudice. 2. Per meglio cogliere il significato e la portata dell'intervento del Giudice delle leggi, in relazione alle brevi considerazioni oggetto del presente lavoro sulle zone ancora grigie della giurisdizione esclusiva, può essere utile ripercorrere le tappe principali che ne hanno caratterizzato il percorso evolutivo. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce, nel nostro ordinamento, nel 1923, con r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2311 in materia di pubblico impiego (22), e progressivamente viene estesa ad una serie di controversie, rispetto alle quali l'individuazione del giudice munito di giurisdizione, secondo l'ordinario criterio del riparto segnato dalla legge abolitiva del contenzioso e poi dalla c.d. legge Crispi, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, risultava aggravato da un inestricabile intreccio di situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi) (23). Il sistema di giustizia amministrativa che si delinea con la legge abolitiva del contenzioso prima e con la legge Crispi poi, è frutto di un modello continentale del diritto amministrativo che si afferma in Italia, sulla scia di quanto avviene nella vicina Francia (24). Si tratta di un modello che, com'è a tutti noto, si fonda sulla forza del potere esecutivo, inteso come potere speciale e privilegiato, e sulla concezione dell'amministrazione come longa manus dello stesso governo; in contrapposizione al modello anglosassone, ove il sistema di common law consente una sorta di equiparazione tra il regime giuridico delle amministrazioni e quello degli altri soggetti dell'ordinamento, essendo garantita l'immunità alla sola Corona (25). Così, se apparentemente l'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso risente della matrice liberale tipica del regime di common law (sicché delle controversie in materia di diritti civili e politici conosce il giudice ordinario, ancorché vi sia come parte una pubblica autorità o si controverta di un atto della pubblica autorità), il successivo art. 4, in forza del principio della separazione dei poteri, limita i poteri del giudice ordinario sull'atto amministrativo e pone il presupposto per l'istituzione di un giudice (il Consiglio di Stato, che nella Carta Costituzionale diventa l'organo «di tutela della giustizia nell'amministrazione», art. 100 Cost.) che abbia il potere di annullare l'atto amministrativo, a garanzia della specialità del sistema. Il quadro normativo formatosi nell'Italia prerepubblicana viene sostanzialmente accolto nella Carta Costituzionale, non senza contraddizioni: da un lato, infatti, l'art. 24, nel sancire il diritto alla difesa, assegna pari dignità ad entrambe le posizioni giuridiche, ed è proprio questa disposizione che, così letta, giustifica l'approdo raggiunto dalla giurisprudenza prima e dal legislatore subito dopo in tema di tutela risarcitoria dell'interesse legittimo; e tuttavia, l'art. 103 continua a fondare il riparto tra le due giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa) sulla differente situazione giuridica soggettiva vantata dal privato, con ciò presupponendo una diversità se non sul piano quantitativo, quanto meno sul piano qualitativo tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Sempre l'art. 103, per quanto in questa sede interessa, legittima il ricorso alla giurisdizione esclusiva, in quelle «particolari materie» individuate dal legislatore ordinario nelle quali la giurisdizione del Consiglio di Stato si estende anche ai diritti. Ancora, nel successivo art. 113, 3º comma, viene affermato il principio della giustiziabilità degli atti amministrativi, tale per cui contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa «la tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, senza esclusione o limitazione a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti» (esprimendo in tal modo una preferenza per un sistema di diritto amministrativo speciale); la stessa norma stabilisce che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa», lasciando così intendere che, laddove volesse, il legislatore potrebbe assegnare al giudice ordinario il potere di annullare gli atti amministrativi (con ciò ammettendo un'ipotesi non dissimile da quanto previsto all'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso). In altri termini, dal disegno costituzionale emerge la volontà di recepire il sistema di riparto di giurisdizione così come disegnato dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo; ma, al tempo stesso, si supera il divieto, fatto al giudice ordinario dall'art. 4 della medesima legge, di annullare gli atti amministrativi (26). La giurisdizione esclusiva nasce, dunque, come sommatoria delle due principali azioni: quella di accertamento a tutela dei diritti soggettivi e quella costitutiva a presidio degli interessi legittimi. Con la conseguenza che quanto era stato evitato a monte (l'individuazione del giudice munito di giurisdizione con conseguente necessità di districarsi tra tempi di decadenza e tempi di prescrizione) si ripropone a valle: l'individuazione della categoria degli atti paritetici nel pubblico impiego altro non è se non il tentativo di distinguere il provvedimento amministrativo che fronteggia un interesse legittimo, adottato dalla pubblica amministrazione in veste di datore di lavoro, dagli atti espressione di un rapporto di equiordinazione, a fronte dei quali il privato lavoratore subordinato - vanta un diritto soggettivo (27). Emerge, così sin da subito, quale spazio il legislatore abbia voluto assegnare alla giurisdizione esclusiva: uno spazio nel quale l'amministrazione opera sia in regime di diritto pubblico, sia in regime di diritto privato, sul presupposto che la difficoltà di inquadramento di una data situazione giuridica soggettiva scaturisca dall'«inestricabile intreccio tra diritto pubblico e diritto privato» (28). Così, superata la necessità di distinguere (appunto a monte) dinanzi a quale giudice impugnare il provvedimento o formulare la domanda di accertamento o condanna a tutela del diritto, si aprono comunque (a valle ed esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo) sessanta giorni a pena di decadenza per chiedere l'annullamento di un provvedimento, ovvero dieci anni per accertare la violazione di un diritto. Da qui la constatazione di una «asimmetria» nella tutela delle situazioni giuridiche tutelate: «la giurisdizione amministrativa esclusiva mostrava la convivenza nel processo amministrativo di diritti pieni e di interessi legittimi, in assoluta parità di posizione nella struttura del processo, ma asimmetrici quanto a tutela assicurata» (29). Asimmetria che, vale la pena di ricordare, è figlia di quel differente regime di tutela predisposto dall'ordinamento a garanzia dei diritti e degli interessi, tale per cui mentre la tutela del diritto è piena ed esaustiva, la tutela dell'interesse tende a garantire non già un determinato bene della vita che si assume leso dall'esercizio del potere, quanto, piuttosto, a verificare la legittimità dell'esercizio del potere medesimo. In tal senso la tutela dell'interesse legittimo passa attraverso una forma di controllo svolto dal giudice amministrativo a seguito dell'impugnazione del provvedimento, sul modo in cui la pubblica amministrazione ha esercitato la propria azione: la tutela dell'interesse legittimo è rappresentata «non dalla lesione di beni o di utilità appartenenti al soggetto [...], ma dal mancato rispetto di regole di azione e/o di comportamento, alla cui osservanza il soggetto sottoposto può avere interesse. Il rimedio di tutela (rappresentato da un potere di impugnativa dell'atto che si lamenta illegittimo) ha per scopo di sollecitare una forma di controllo sull'uso del potere» (30). Sotto questo profilo, la previsione della giurisdizione esclusiva non mira a superare il deficit di tutela dell'interesse legittimo, ma ad agevolare l'accesso alla giurisdizione. Anzi, il percorso successivamente seguito dalla giurisprudenza (in particolare dalla Corte costituzionale, in tema di mezzi istruttori e di tutela cautelare in sede di giurisdizione esclusiva) (31) è stato orientato nel senso di assicurare al diritto soggettivo, anche laddove la cognizione spetti al giudice amministrativo, una tutela piena ed esaustiva, al fine di evitare disparità di trattamento tra i diritti tutelati dinanzi al giudice ordinario e i diritti tutelati dinanzi al giudice amministrativo. Percorso, questo, che ha marcato ancora di più la distinzione tra la tutela del diritto e la tutela dell'interesse: «nel primo caso, la cognitio del giudice spaziava secondo le tecniche ordinarie della giurisdizione civile; nel secondo caso, si riscontravano le note limitazioni del contenzioso di impugnazione, superabili solo nei casi in cui al contenzioso di impugnazione si accompagnassero poteri di pronuncia anche in merito del giudice esclusivo» (32). Tant'è che assai spesso, le ipotesi di giurisdizione esclusiva coincidevano con quelle di giurisdizione nel merito (33). Se tuttavia la giurisdizione esclusiva nasce come somma aritmetica di due diverse giurisdizioni (di legittimità, riguardo agli interessi, e ordinaria, riguardo ai diritti), è innegabile che nel tempo la stessa si sia evoluta sino a rappresentare, come osservato dalla dottrina, una “forma nuova di giurisdizione”, in cui l'esistenza dell'azione di accertamento a garanzia dei diritti finisce con il contaminare la struttura impugnatoria del giudizio sugli interessi (34). La trasformazione della giurisdizione esclusiva è intimamente connessa, com'è intuitivo, alla profonda mutazione che nel corso degli anni ha subìto il giudizio amministrativo, evolvendosi questo a sua volta da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto (35). Tale fenomeno ha indubbie refluenze sulla stessa giurisdizione esclusiva, in una prospettiva nella quale in realtà si perde il rapporto tra causa ed effetto. Nel senso che sfugge (ma d'altra parte è poco rilevante) la progressione stessa del fenomeno: se sia stata la trasformazione del giudizio di legittimità ad imprimere un'accelerazione nel senso della trasformazione della giurisdizione esclusiva, o se sia più vero il contrario, che cioè l'estensione del sindacato giurisdizionale sul rapporto tra amministrazione e cittadino nasce proprio all'interno della giurisdizione esclusiva, che via via perde la propria connotazione di somma di due giurisdizioni e si qualifica invece come forma nuova di giurisdizione volta ad assicurare la pienezza della tutela giurisdizionale a tutte le situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi) che rientrano nella cognizione del giudice unico (36). Nel solco delle linee direttrici appena tracciate, che segnano la mutazione del processo amministrativo da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto, si inserisce altresì la trasformazione dell'interesse legittimo da situazione giuridica meramente processuale a situazione giuridica di natura sostanziale (37). D'altra parte, con la sintetica formula del passaggio da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto, si fa riferimento alla generale tendenza che negli ultimi anni ha subìto una sensibile accelerazione volta ad accordare anche all'interesse legittimo una tutela giurisdizionale “piena”. E tale processo passa inevitabilmente attraverso una riqualificazione dell'interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale. Il fenomeno sommariamente descritto può essere riletto nei termini che seguono: la giurisdizione esclusiva nasce come giurisdizione del giudice amministrativo al quale si affida, oltre alla generale giurisdizione di legittimità sugli interessi, anche la giurisdizione sui diritti, dalla cui cognizione è escluso pertanto il giudice ordinario. L'intento, come detto, è quello di semplificare l'accesso alla giurisdizione, l'effetto è quello di unire (dunque sommare) due diversi modelli di giudizio. L'iniziale processo volto ad ampliare le forme e le modalità di tutela del diritto dinanzi al giudice amministrativo, al fine di evitare disparità di trattamento con la tutela dei diritti dinanzi al giudice ordinario, evidenzia l'asimmetria di tutela tra diritti ed interessi dinanzi al giudice amministrativo come giudice unico e, implicitamente, marca il ruolo della giurisdizione esclusiva come somma aritmetica di due giurisdizioni. Il fenomeno parallelo, della trasformazione del giudizio di legittimità sull'atto amministrativo in giudizio sul rapporto, che come detto implica una trasformazione dell'interesse legittimo da situazione processuale in situazione giuridica sostanziale, tende ad accordare e a garantire anche all'interesse legittimo una tutela giurisdizionale piena. L'estensione del sindacato giurisdizionale sul rapporto tra amministrazione e cittadino all'interno della giurisdizione esclusiva consente alla stessa di perdere la propria connotazione di somma di due giurisdizioni, per qualificarsi invece come forma nuova di giurisdizione volta ad assicurare la pienezza della tutela giurisdizionale a tutte le situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi) che rientrano nella cognizione del giudice unico. Il giudice amministrativo (in funzione di giudice unico) ha così piena cognizione sul fatto, può disporre di tutti i mezzi istruttori e mira a garantire una piena tutela giurisdizionale, ai diritti come agli interessi. 3. L'affermazione della piena giurisdizione ha comportato il superamento dell'originaria giustificazione della stessa giurisdizione esclusiva (cioè, come s'è detto, l'inestricabile intreccio di situazioni giuridiche soggettive), a favore dell'affermazione dell'unicità del giudice amministrativo in interi blocchi di materie, nelle quali l'inestricabile intreccio tra diritto e interesse è dovuto alla circostanza che l'amministrazione operi sia secondo le norme di diritto pubblico, sia secondo le regole del diritto privato (38). In questo quadro normativo si colloca la citata sentenza della Corte costituzionale, la quale riafferma la centralità dell'esercizio del potere ai fini dell'individuazione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, con ciò appiattendo, secondo una certa lettura (39), la giurisdizione esclusiva sulla giurisdizione di legittimità e riducendo sensibilmente il senso e la portata della stessa come forma nuova di piena giurisdizione. Una sorta di ritorno alla somma aritmetica delle due giurisdizioni, che nasce dalla constatazione secondo la quale, alla naturale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, si aggiunge, in particolari materie anche la giurisdizione sui diritti, giustificata da quell'inestricabile intreccio tra le situazioni giuridiche soggettive che non consente di individuare con facilità il giudice munito di giurisdizione: sul presupposto che la difficoltà di qualificare la situazione giuridica del privato scaturisca dall'esercizio del potere. In realtà, almeno secondo chi scrive, la Corte coglie nel segno quando afferma che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve fondarsi sulla distinzione tra diritto e interesse e non c'è spazio, in questo sistema, per una giurisdizione basata su interi blocchi di materie. Ma ciò non implica una rinuncia all'esigenza di garantire, anche dinanzi al giudice amministrativo, la pienezza di tutela delle situazioni giuridiche. La sentenza della Corte costituzionale, cioè, inaugura una nuova stagione per la giurisdizione esclusiva, nel senso che il ritorno al passato non comporta la rinuncia all'esigenza di assicurare anche all'interesse legittimo la pienezza di tutela; ma soprattutto sembra centrale nella ricostruzione della Corte, anche in relazione alle osservazioni sin qui condotte, che, ai fini della individuazione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, l'inestricabile intreccio di situazioni giuridiche soggettive deve essere riconducibile all'esercizio del potere. Ciò non esclude che l'asimmetria nella tutela dell'interesse legittimo rispetto al diritto soggettivo, seppure fortemente ridotta, permanga. E si manifesta in più momenti: la disapplicazione dell'atto amministrativo, da parte del giudice amministrativo, è ammessa solo a tutela del diritto; l'arbitrato (introdotto nel 2000 dalla legge n. 205) è consentito solo per le controversie aventi ad oggetto diritti (40). Nulla si dice in ordine al superamento della pregiudizialità amministrativa, nel caso in cui si invochi la tutela risarcitoria del diritto soggettivo; mentre permane il conflitto tra le due giurisdizioni (ordinaria e amministrativa) in ordine alla sussistenza della stessa pregiudiziale nel rapporto tra azione di annullamento e risarcimento dell'interesse legittimo (41). Per altro verso, la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo ha cancellato la differenza più macroscopica nella garanzia che l'ordinamento accordava alle due figure soggettive. In altri termini, l'introduzione della risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi conseguente all'illegittimo esercizio della funzione amministrativa, come corollario del principio della effettività e della pienezza nella tutela dell'interesse legittimo, si fonda sulla scelta di accordare una maggiore rilevanza all'art. 24 Cost. Sicché la pienezza di tutela dell'interesse ha finito col prevalere sulle previsioni contenute agli artt. 100 e 113 della Costituzione che, come detto all'inizio, fondavano il modello di giustizia amministrativa come delineatosi in epoca prerepubblicana. Con il paradosso cui s'è fatto cenno: la pienezza di tutela dell'interesse legittimo (dunque la sua risarcibilità) accosta sempre di più questa figura soggettiva al diritto, ma la forbice si riallarga nuovamente ai fini del riparto di giurisdizione, che si fonda pur sempre sulla diversità tra le due situazioni giuridiche soggettive. Tutto ciò si presta ad una duplice lettura: da un lato, si può porre l'accento sulla conquista della tutela risarcitoria dell'interesse legittimo e sull'affermazione della centralità nel sistema di giustizia amministrativa dell'art. 24 Cost., rispetto agli artt. 100 e 113 Cost., legati ad un sistema di giustizia speciale. Dall'altro, non v'è dubbio che la pienezza di tutela dell'interesse legittimo si afferma in un sistema di giustizia amministrativa in cui è ancora centrale l'impugnazione del provvedimento (anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva), sicché la stessa pienezza di tutela dell'interesse legittimo sconta la prevalenza del regime speciale. Sotto questo profilo, il mantenimento della pregiudiziale amministrativa, che i giudici amministrativi continuano ad affermare, ne è un esempio paradigmatico: ed infatti, il Consiglio di Stato, nella sentenza dell'Adunanza plenaria n. 12 del 2007, ove ribadisce la necessità del preventivo annullamento dell'atto ai fini della tutela risarcitoria, ridimensiona la portata dell'affermazione del giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto tra amministrazione e privato, osservando che «pur in presenza dei commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in tema di “giudizio sul rapporto”, non può disconoscersi la natura principalmente impugnatoria dell'azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l'interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l'azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l'uno e gli altri interessi». 4. Appare pertanto cruciale, ai fini di un migliore inquadramento delle questioni sin qui prospettate, affrontare il tema della pregiudizialità amministrativa, cioè della necessaria impugnazione dell'atto (e conseguente annullamento) ai fini della proposizione della tutela risarcitoria dinanzi allo stesso giudice amministrativo: poiché si tratta di una questione che si impone con forza non solo nella giurisdizione esclusiva, ma anche nell'ambito della giurisdizione generale di legittimità (42). In risposta alle osservazioni svolte dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 12 del 2007, è di recente intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30254 del 2008, ove la Corte riprende integralmente le osservazioni già svolte nelle note ordinanze gemelle del 2006, aggiungendo un ragionamento ulteriore. Anzitutto lascia intendere, attraverso una rinnovata ricognizione normativa, che non v'è traccia nel nostro ordinamento di una disposizione esplicita che testimoni il favor del legislatore per l'istituto della pregiudizialità, come invece disponeva il precedente art. 7 della l. TAR (43). Richiama poi una serie di ipotesi in cui la preclusione all'esercizio della tutela demolitoria non esclude l'accertamento dell'invalidità dell'atto non più impugnabile e pertanto non vanifica l'accesso alla tutela risarcitoria. Il caso è quello dell'invalidità delle delibere delle società di capitali (art. 2377 c.c.); ma anche quello della mancata impugnazione del licenziamento ai fini della tutela risarcitoria: qui - osserva la Corte - se rimane precluso al lavoratore l'accesso al risarcimento del danno consistente nella mancata percezione degli emolumenti, nulla esclude di poter chiedere comunque il risarcimento di un diverso danno, conseguente in senso più ampio alla condotta del datore di lavoro, sicché l'accertamento della antigiuridicità di quella condotta passa comunque attraverso la verifica della illegittimità del licenziamento; infine la Corte richiama la disciplina dell'art. 1453 c.c. secondo cui in caso di azione risarcitoria per inadempimento contrattuale il preventivo accertamento dell'inadempimento è logicamente necessario ai fini della tutela risarcitoria, ma ciò non rende necessaria un'ulteriore azione (o meglio una preventiva azione) di accertamento, poiché, risolvendo una pregiudiziale in senso logico, il giudice, accertato l'inadempimento del debitore, lo condanna al risarcimento; se invece accerta che il debitore non è inadempiente, non accoglie la domanda attorea. Il giudice del riparto conclude nel senso che non sempre e non necessariamente l'annullamento «è in grado di procurare soddisfazione all'interesse protetto», come non mancano i casi in cui il danno non deriva dall'atto, «ma dal ritardo con cui è stato emesso», sicché predicare la pregiudizialità in queste ipotesi significa «postulare che l'interesse all'annullamento costituisca il tramite necessario per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno». La conseguenza è che, secondo la Corte, «la parte, titolare di una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo non è quello che l'atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa». Il presupposto per l'accesso alla tutela risarcitoria, cioè, è l'illegittimità dell'atto, non il suo annullamento. Così, ribadendo quanto già espresso nelle ordinanze del 2006, la Corte afferma che nel quadro della legislazione vigente, la giurisdizione in materia di risarcimento danni da illegittimo esercizio della funzione deve configurarsi come giurisdizione autonoma, che prescinde «dalle regole proprie della giurisdizione di annullamento». Non esiste infatti una norma che «in modo esplicito assoggetti ad un termine di decadenza la domanda di solo risarcimento del danno davanti al giudice amministrativo». Dunque, la giurisdizione in materia di risarcimento danni da illegittimo esercizio della funzione spetta al giudice amministrativo, ma è una giurisdizione autonoma, non legata alla giurisdizione di annullamento. In tal modo, il giudice amministrativo non potrà più rigettare la domanda di risarcimento, ove non preceduta dall'annullamento dell'atto illegittimo, perché ciò si tradurrà in un rifiuto di esercizio della giurisdizione. E avverso tale rifiuto la Corte ammette il ricorso ex art. 362 c.p.c., in linea con il dettato costituzionale che ammette il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato «per motivi inerenti la giurisdizione» (art. 111 Cost.). Sotto questo profilo, il parallelo con quanto accade in sede di giurisdizione contabile è immediato. La questione attiene al sindacato che la Corte dei Conti può svolgere in sede giurisdizionale sull'atto amministrativo, sindacato che è ammesso nell'ambito del giudizio sulla responsabilità amministrativa, ferma restando «l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali» (art. 1 comma 1, l. n. 20 del 1994) (44). La formula prescelta dal legislatore ha sollecitato il dibattito della dottrina, che ha evidenziato come dall'accostamento delle due nozioni (merito e discrezionalità) possa desumersi che, se il sindacato giudiziario deve arrestarsi ai confini del merito, a contrario si può affermare si tratta di un sindacato di sola legittimità (45). Dire che la Corte dei Conti non può sindacare nel merito le scelte discrezionali, equivale ad affermare che essa possa esercitare un sindacato di sola legittimità. La conseguenza, sul piano logico, è che il sindacato della Corte dei Conti sull'atto amministrativo ha la stessa estensione del sindacato del giudice amministrativo: ad entrambi è precluso il giudizio sul merito (46). Ma se così è, il sindacato del giudice contabile sull'atto amministrativo si svolge attraverso l'esame dei vizi di legittimità del provvedimento medesimo: è cioè un sindacato che è volto all'accertamento della sussistenza dell'incompetenza, dell'eccesso di potere o della violazione di legge (47). Il problema si sposta così sul preventivo accertamento dell'illegittimità dell'atto, vicenda questa che riguarda il rapporto tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile, rispetto al quale s'è da sempre parlato di indipendenza tra i due giudizi. In realtà, l'indipendenza tra i due giudizi non deve essere interpretata nel senso che il giudice contabile possa condannare a titolo di responsabilità amministrativa l'autore di un atto legittimo, ma nel senso, diverso, che lo stesso giudice non è vincolato dal giudizio sulla legittimità dell'atto formulato dal giudice amministrativo. Ciò che è legittimo per il giudice amministrativo, può non esserlo per il giudice contabile: se il giudice amministrativo si è pronunciato sulla legittimità dell'atto, per il giudice contabile tale pronuncia non è vincolante, poiché la legge lo autorizza a svolgere un sindacato autonomo sull'atto, entro i limiti del sindacato di legittimità. Detto diversamente, l'indagine sui presupposti per la sussistenza della responsabilità amministrativa presuppone necessariamente un accertamento incidentale sulla legittimità dell'atto posto in essere dall'amministrazione. Accertamento che il giudice contabile svolge con tempi e modalità autonomi rispetto all'esito del giudizio di legittimità posto in essere dal giudice amministrativo. Il giudice contabile e, allo stesso modo, il giudice amministrativo sono chiamati a compiere un'indagine sulla legittimità dell'atto ai fini dell'accertamento della relativa responsabilità. Nel senso che, il giudice amministrativo nell'esaminare una domanda di risarcimento del danno provocato nell'esercizio di un potere amministrativo deve preliminarmente accertare se l'atto al quale si riconduce il danno sia legittimo o illegittimo; si tratta di una verifica che può essere condotta in sede d'azione di annullamento, ma anche in sede di azione risarcitoria, attraverso un accertamento incidentale della legittimità dell'atto. Stante l'autonomia tra le due forme di giurisdizione (quella di annullamento e quella risarcitoria), affermata nelle citate pronunce della Corte di Cassazione, il giudice amministrativo in sede di azione risarcitoria svolge un giudizio di responsabilità, esattamente come il giudice contabile. In un caso si tratta della responsabilità dell'amministrazione verso il terzo, nell'altro è la responsabilità dell'agente verso l'amministrazione. «L'essenziale è che ai fini della condanna per lesione di interessi legittimi è cruciale l'accertamento della illegittimità dell'atto; così come nel processo contabile l'accertamento della responsabilità non può prescindere dall'accertamento della illegittimità dell'atto posto in essere dall'amministrazione» (48). 5. Qualche riflessione conclusiva. A partire dalla fine degli anni Ottanta, si è assistito ad un progressivo fenomeno di erosione degli istituti di diritto pubblico, in forza di una preferenza che il legislatore ha accordato agli strumenti di diritto privato, penetrati sia nei modelli organizzativi della pubblica amministrazione, sia tra le modalità di azione della stessa. In tal senso si può leggere il moltiplicarsi delle società per azioni miste e l'aziendalizzazione di taluni servizi da un lato; nonché la partecipazione del privato all'azione amministrativa, sino alla conclusione di accordi, DIA, conferenze di servizi, etc. dall'altro. Istituti, questi ultimi, previsti in generale dalla legge sul procedimento amministrativo, che ha segnato una delle tappe fondamentali nel percorso di “democratizzazione” della pubblica amministrazione (49). Tutto ciò, tuttavia, se per un verso ha assicurato al privato il godimento di una serie di garanzie che prima non gli erano riconosciute, è indubbio che ha comportato una profonda ibridazione del diritto amministrativo, che ha perso buona parte dei propri tratti distintivi, per mescolarsi confusamente ad istituti di diritto privato, applicati alle amministrazioni pubbliche secondo il criterio della compatibilità. In tale prospettiva va letta l'introduzione dell'art. 1, comma 1-bis, della l. 241/1990, ai sensi del quale «la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente». La norma, cioè, ammette che l'amministrazione possa ricorrere al diritto privato al di fuori dei casi in cui svolge un'attività autoritativa; e che la legge possa prevedere ipotesi nelle quali la p.a., pur svolgendo attività regolate dal diritto privato, è soggetta a norme di diritto pubblico, che derogano all'applicazione del diritto privato. Tralasciando, in questa sede, la difficoltà di distinguere ciò che è espressione di attività autoritativa da ciò che non lo è (50), l'attenzione si appunta, invece, sulla seconda parte della previsione in oggetto, secondo la quale, nell'ambito dell'attività non autoritativa, l'amministrazione «agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente». Il punto è: perché ipotizzare un regime derogatorio all'applicabilità del diritto privato, quando la pubblica amministrazione opera alla stregua di un qualunque soggetto dell'ordinamento? Il regime derogatorio è giustificato dal fatto che la pubblica amministrazione esercita una funzione, cioè un'attività preordinata alla cura di un interesse pubblico che si esprime per mezzo di un provvedimento. Può accadere che l'esercizio di una funzione avvenga attraverso moduli negoziali (art. 11 legge n. 241/1990): in tal caso, pur essendo l'azione amministrativa soggetta alla normativa privatistica, può essere necessario derogare a taluni principi di diritto privato a garanzia del miglior perseguimento dell'interesse pubblico. Il caso, secondo un certo orientamento, è quello del recesso dall'accordo per sopravvenute ragioni di pubblico interesse (51). Ma se l'attività non autoritativa della p.a. è quella attività nella quale l'amministrazione agisce alla stregua di un qualunque soggetto dell'ordinamento, non si coglie la ragione per la quale essa debba godere, eventualmente, di un regime derogatorio. Si tratta infatti di una sfera di attività che non è riservata alla pubblica amministrazione, pur essendo preordinata al perseguimento di un interesse: è il caso in cui l'amministrazione stipula un contratto, eroga un servizio pubblico o si occupa della manutenzione stradale (52). «Non sussiste infatti alcuna ragione per ritenere che l'amministrazione pubblica parte di rapporto interprivato abbia una posizione giuridica diversa da quella che avrebbe un soggetto solo privato» (53). Viceversa, l'orientamento assunto dal legislatore negli ultimi vent'anni ha prodotto un risultato aberrante: cioè, la rinuncia ad un diritto amministrativo speciale e l'introduzione asistematica e irrazionale di modelli di diritto privato applicabili all'amministrazione in quanto compatibili, in nome del perseguimento di un interesse pubblico che più che un dovere si è tradotto troppo spesso in uno schermo che ha giustificato e continua a giustificare, come s'è visto, regimi derogatori per le amministrazioni. Tale processo ha prodotto la riduzione sempre più significativa della specialità del regime di diritto amministrativo, che ha lasciato il campo ad un regime di diritto privato speciale per le pubbliche amministrazioni. Se poi dal piano del diritto sostanziale ci si sposta sul piano del diritto processuale e della conseguente tutela giurisdizionale, le lacune e le anomalie del sistema sono ancora più evidenti. Il principio della tutela risarcitoria dell'interesse legittimo costituisce l'approdo evidente della tendenza degli ultimi anni a ricostruire il giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto tra amministrazione e privato, piuttosto che come mero giudizio sull'atto. In tal senso si può evidenziare una simmetria: la possibilità per l'amministrazione di ricorrere a strumenti di diritto privato, in quanto soggetto di diritto che esercita la propria autonomia privata anche all'interno di quello che tradizionalmente era l'ambito di esercizio del potere, si accompagna alla previsione di una responsabilità per danni cagionati nell'esercizio della propria azione. Inoltre, la previsione e il ricorso a modelli di azione mutuati dal diritto privato s'è spesso, se non addirittura sempre, accompagnata alla previsione della giurisdizione esclusiva nella relativa materia: per riprendere gli esempi citati, gli accordi tra amministrazione e privato, la disciplina della dichiarazione di inizio di attività, la quantificazione dell'indennità in caso di revoca ecc. Sul punto, è stato correttamente osservato che il «raggio di azione» della giurisdizione esclusiva avrebbe potuto essere quello del provvedimento che fronteggia un diritto soggettivo, come il caso dell'attività vincolata, ovvero il caso, accedendo alla distinzione tra norme d'azione e di relazione, del provvedimento che viola una norma di relazione: nel senso che l'inestricabile intreccio tra diritto soggettivo e interesse legittimo avrebbe potuto essere ricondotto a quelle ipotesi nelle quali, pur in presenza di una attività che si manifesta attraverso l'esercizio del potere amministrativo, fosse dubbia la qualificazione della situazione giuridica soggettiva vantata dal privato. Viceversa, s'è preferito scegliere come materie oggetto della giurisdizione esclusiva quelle in cui l'inestricabile intreccio derivava da una commistione tra attività di diritto pubblico e attività di diritto privato (54). Con ciò gettando le basi per una giurisdizione esclusiva avente ad oggetto interi «blocchi di materie» (nelle quali l'amministrazione agisce in parte secondo le regole del diritto pubblico, in parte secondo i principi di diritto privato), per giungere poi ad una sorta di corrispondenza biunivoca, tale per cui ove c'è attività di diritto privato della pubblica amministrazione c'è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. A parte gli interventi della Corte costituzionale, che come detto hanno ridimensionato tale tendenza, non c'è dubbio che la specialità del sistema ritorna, perché comunque, nonostante gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza, e nonostante i tentativi del legislatore, il giudizio amministrativo continua ad essere un giudizio di impugnazione del provvedimento. Sicché, ad esempio, l'impugnazione del provvedimento amministrativo, secondo la lettura offerta dal giudice amministrativo, continua ad essere necessaria ai fini dell'accesso alla tutela risarcitoria. Per altro verso, gli spazi di tutela giurisdizionale per il privato a fronte della attività amministrativa soggetta a quello che è stato appena definito come un regime di diritto privato speciale sono fortemente ridotti, proprio perché il giudizio amministrativo continua a fondarsi, prevalentemente, sull'impugnazione del provvedimento: e ciò tanto nella giurisdizione generale di legittimità, quanto nella giurisdizione esclusiva, posto che, come s'è tentato di chiarire, il tentativo di fondare il riparto di giurisdizione su blocchi di materie, sul presupposto che il privato possa godere dinanzi al giudice esclusivo della pienezza della tutela, è stato sensibilmente ridimensionato dall'intervento della Corte costituzionale. Tutto ciò impone un ripensamento sull'intero sistema di diritto amministrativo, processuale e sostanziale: nel senso che o si spinge nella direzione della privatizzazione, ma nella prospettiva di assoggettare le amministrazioni ad un regime di diritto privato puro, senza le alterazioni di cui s'è fatto cenno, dotando, sul versante della tutela giurisdizionale, il giudice, che può essere lo stesso giudice ordinario, di adeguati poteri e abbandonando pertanto la specialità del sistema. Ovvero, se ancora riteniamo che il modello di diritto amministrativo vada preservato a garanzia dell'interesse pubblico, occorre fare al contrario un passo indietro, per procedere ad una riconsiderazione degli strumenti di azione dell'amministrazione, nella prospettiva che l'esercizio del potere non è solo espressione dell'autorità amministrativa, ma garanzia di miglior cura dell'interesse pubblico. E per altro verso, come già evidenziato, l'uso del diritto privato da parte delle amministrazioni non offre maggiori strumenti di garanzie al cittadino. Ecco perché, in tale prospettiva, l'affermazione o la negazione della pregiudizialità amministrativa ai fini della tutela risarcitoria sembra avere il ruolo di ago della bilancia (55). Il Consiglio di Stato continua a reputarla necessaria, perché costruisce il giudizio amministrativo come giudizio di impugnazione del provvedimento, rispetto al quale la tutela risarcitoria è meramente consequenziale. Viceversa, negarne la necessità può voler esprimere una preferenza per un modello di giudizio (e più in generale per un modello di attività della pubblica amministrazione) che tenda ad equiparare il pubblico potere al privato cittadino. Ma la rinuncia alla pregiudiziale amministrativa può essere sorretta, almeno secondo chi scrive, da altro ordine di considerazioni, che non necessariamente implicano la rinuncia ad un modello di diritto amministrativo speciale. L'esercizio dell'azione di annullamento è soggetto ad un termine: sessanta giorni per l'impugnazione del provvedimento illegittimo, mentre nel diritto civile il termine per l'annullamento del contratto è quello di prescrizione ordinaria pari a dieci anni. Decorso tale termine il provvedimento amministrativo, come il contratto, non è più annullabile e si consolida definitivamente l'assetto di interessi regolato da quel dato atto giuridico. Ciò non vuol dire, com'è evidente, che l'invalidità dell'atto venga sanata dal mancato esercizio dell'azione di annullamento. Vuol dire, invece, che nel bilanciamento tra due opposte esigenze, quella della tutela di una data situazione giuridica potenzialmente lesa dall'atto annullabile e quella della certezza del diritto (56), l'ordinamento opta per l'esigenza di assicurare la certezza e stabilità agli effetti giuridici prodotti dall'atto annullabile (57). Ma ciò non esclude che, dei danni prodotti dal provvedimento annullabile, l'amministrazione, che è soggetto responsabile ai sensi dell'art. 28 Cost., non possa e non debba rispondere. Diverso ordine di considerazioni sorregge la disciplina delle ipotesi di nullità dell'atto giuridico. In tal caso, la difformità dell'atto rispetto alla legge è tanto grave da non potere essere accettata e tollerata dall'ordinamento giuridico, che quindi risponde alla gravità della violazione con la più grave delle sanzioni: l'atto nullo non produce effetti giuridici e il giudice si limita a prendere atto della nullità, con una sentenza meramente dichiarativa. Da ciò l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, legata appunto al fatto che in ogni tempo deve essere consentito, a chiunque vi abbia interesse, di far emergere la nullità dell'atto giuridico. L'esigenza di certezza del diritto, stavolta, recede di fronte alla necessità di preservare i valori fondamentali dell'ordinamento giuridico, sicché l'atto che è gravemente difforme dal parametro normativo e gravemente lesivo di tali valori irrinunciabili non può essere tollerato dall'ordinamento medesimo. Ciò significa che, in caso di annullabilità, l'ordinamento tollera al proprio interno atti che siano difformi dal parametro normativo, ma che possano produrre effetti giuridici (58), esponendo l'amministrazione che gli stessi atti ha adottato al risarcimento dei danni prodotti. Significa altresì che, se la gravità della violazione è tale da non potere essere tollerata la sanzione prevista diviene quella della nullità, che esclude la produzione dei relativi effetti giuridici (59). Di più. L'introduzione del principio della risarcibilità dell'interesse legittimo nel nostro sistema di diritto amministrativo tende a porre una relazione tra l'esercizio del potere amministrativo e responsabilità civile della pubblica amministrazione, nel senso che espone l'amministrazione alla tutela risarcitoria dei danni conseguenti all'illegittimo esercizio del potere. A condizione però che si abbandoni la via della pregiudiziale amministrativa. Fintantoché si continuerà a costruire il giudizio di responsabilità della pubblica amministrazione, sia pure dinanzi al giudice amministrativo, come giudizio che si fonda sull'annullamento dell'atto amministrativo, che è la forma tipica di manifestazione del potere, implicitamente si nega che l'esercizio del potere medesimo possa dare luogo a responsabilità. Viceversa, la rinuncia al preventivo annullamento dell'atto come presupposto per l'azione risarcitoria consente di affermare che l'amministrazione è responsabile dei danni prodotti nell'esercizio del potere (60). Senza che ciò, come detto, implichi la rinuncia alla necessità che il potere si eserciti attraverso l'adozione di un provvedimento amministrativo. Note: (1) Il riferimento è al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, le cui norme, che individuavano le ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle materie dei servizi pubblici, urbanistica ed edilizia (artt. 33, 34 e 35), sono state censurate dalla Corte costituzionale, per eccesso di delega (sentenza n. 292 del 2000), ma poi riproposte con la legge 21 luglio 2000, n. 205. (2) La nota espressione è di F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell'interesse legittimo, Milano, 1990, 25. (3) Sicché, ad esempio, è stata tradizionalmente rimessa alla giurisdizione esclusiva la materia delle c.d. concessioni-contratto: in tema di concessioni si veda, a titolo esemplificativo, M. D'Alberti, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981. (4) Nella precedente formulazione del T.U. sul Consiglio di Stato, come nella legge TAR, al giudice amministrativo non era riconosciuto un potere di condanna al risarcimento dei danni, poiché anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva erano tuttavia devolute alla cognizione del giudice ordinario le questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell'atto amministrativo. Tali questioni, secondo la migliore dottrina e secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza, riguardavano «quelle pretese rispetto alle quali il rapporto attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e dedotto in giudizio non costituisce la fonte diretta e necessaria (causa petendi) della pretesa, ma solo il presupposto di fatto “indiretto e occasionale” di una diversa situazione avente una sua autonoma qualificazione di antigiuridicità». In una parola, si devono ritenere consequenziali «tutte le pretese al risarcimento di danni derivanti dall'illegittimo comportamento dell'amministrazione» Cfr. M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 270. Ma, essendo devolute al giudice ordinario, cioè al giudice dei diritti soggettivi, le questioni attinenti i «diritti patrimoniali consequenziali», non potevano che riguardare la lesione di diritti soggettivi. Di conseguenza il giudice amministrativo non aveva il potere di condannare l'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimità dei suoi atti: e ciò, non solo, nell'ipotesi generale, relativa alla giurisdizione di legittimità, ma anche nell'ipotesi eccezionale di giurisdizione esclusiva, nella quale cioè il giudice amministrativo è giudice degli interessi, ma anche dei diritti. (5) Ed infatti, l'art. 35 del d.lgs. n. 80/1998 prevedeva che «il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto». Tant'è cha la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 1999 ammette la risarcibilità dell'interesse legittimo, ma ne assegna la relativa giurisdizione al giudice ordinario, proprio perché il giudice amministrativo non aveva, in sede di giurisdizione di legittimità, il potere di condanna nei confronti delle amministrazioni. Su tali questioni e, in generale, sulla sentenza n. 500 del 1999, la cui bibliografia è sterminata, cfr. A. Romano, Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi legittimi?, in Foro it., 1999, I, 3202; ibidemR. Caranta, La pubblica amministrazione nell'età della responsabilità, 3201; ididemF. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all'affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte lasca aperti alcuni interrogativi, 3212; ibidemE. Scoditti, L'interesse legittimo e il costituzionalismo. Conseguenze della svolta giurisprudenziale in materia risarcitoria, 3226. (6) L'art. 7 della legge n. 205/2000 ha stabilito che «Il Tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali». Per un inquadramento generale delle questioni connesse al riparto di giurisdizione dopo la legge 205/2000, si veda A. Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la legge 205 del 2000. (Epitaffio per un sistema), in questa Rivista, 2001, 602. (7) Al riguardo, si veda F.G. Scoca, Divagazione su giurisdizione e azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in questa Rivista, 2008, 1. (8) Cfr. M. Immordino - M.C. Cavallaro, La nullità del provvedimento amministrativo tra carenza di potere in astratto e carenza di potere in concreto nella prospettiva dell'art. 21-septies l. 241/1990, in www.giustamm.it. (9) «Il provvedimento illegittimo che produca danno ingiusto è altresì fatto illecito civile: a tal fine esso è preso in considerazione dalla norma non più come atto, ma come condotta di un soggetto produttiva di fatto illecito (civile), ossia abbiamo un accadimento che va anche oltre la digressione dell'atto in fatto, poiché ai fini dell'illecito civile l'atto non si presenta neppur come tale, ma in termini più ristretti, di condotta dell'agente»: M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo, III, Milano, 1967, 196. (10) N. Irti, Concetto giuridico di «comportamento» e invalidità dell'atto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 1059. Cfr. altresì G. Corso, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1993, secondo cui l'invalidità di un atto deriva dalla violazione di norme che attribuiscono un “potere”; mentre l'illiceità, che attiene ad una condotta, non all'atto, scaturisce dalla violazione di norme impositive di obblighi. (11) S. Romano, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1937, 309, per il quale «di solito, la responsabilità sorge non per la semplice emanazione dell'atto illegittimo, ma per la sua esecuzione, giacché, prima di questa, è difficile che un danno sia effettivamente risentito, il che del resto non può escludersi in ogni caso». Secondo E. Casetta, L'illecito degli enti pubblici, Torino, 1953, invece, il provvedimento illegittimo della p.a. costituisce l'evento-danno. Su tali questioni sia consentito inoltre un rinvio a M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e responsabilità civile, Torino, 2004, spec. 272. (12) Il Consiglio di Stato ha da subito espresso questa posizione (Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio 2006, n. 2), mentre la Cassazione ha invertito la rotta nelle ordinanze del 2006 (Cass., Sez. un., ordd. 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; 15 giugno 2006, n. 13911). (13) Non v'è dubbio, infatti, che il ritardo nella adozione di un provvedimento amministrativo sia configurabile come comportamento: il problema è quello della riconducibilità dello stesso all'esercizio del potere. Al riguardo è sufficiente il fatto che l'inerzia viene serbata all'interno di un procedimento amministrativo, che per definizione è la sede entro cui si esercita il potere? La questione meriterebbe ben altri margini di trattazione, in questa sede ci si limita a rinviare, anche per la bibliografia ivi contenuta, a R. Rotigliano, Profili risarcitori dell'omesso o ritardato esercizio della funzione pubblica, in questa Rivista, 2007, 747. (14) La complessità di tale questione suggerisce un rinvio a M. Immordino - M.C. Cavallaro, La nullità del provvedimento amministrativo, cit. e alla bibliografia ivi richiamata. (15) Che, lo si ripete, sono Cass., Sez. un., ordd. 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; 15 giugno 2006, n. 13911. (16) Si veda Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140, riguardante «l'attribuzione tout-court al giudice amministrativo della materia riguardante l'art. 1, comma 552, della l. 30 dicembre 2004, n. 330, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure aventi ad oggetto le procedure e i provvedimenti in materia di impianti di energia elettrica». (17) C.g.a.r.S., 28 gennaio 2009, n. 643: secondo la AUSL siciliana il trasferimento è divenuto obbligato, dal momento che le cure mediche necessitate dal paziente possono ora essere erogate dalla struttura siciliana (mentre prima le stesse cure potevano essere fruite dal paziente solo fuori dalla Sicilia). Tuttavia, il C.g.a.r.s. esprime un diverso orientamento, tale per cui il “diritto alla salute” è un «interesse di rango costituzionale, la cui forza espansiva non a caso può esigere talvolta persino la utilizzazione di strutture sanitarie di altri Paesi». L'art. 26 l. n. 833/1978 consente prestazioni in strutture estranee alle AUSL di appartenenza nella sola eventualità che le stesse “al momento del ricovero non fossero dotate di strutture proprie”: ma, osserva il C.g.a.r.S., «tale non è l'ipotesi all'esame, poiché la posizione del paziente non è quella di un “ricoverando”, ma di un soggetto “ricoverato” da più di trent'anni che l'amministrazione pretende di trasferire, essendo ora la AUSL di Caltanissetta dotata delle necessarie strutture operative. Equiparare di peso le due diverse situazioni non appare invero possibile, poiché significherebbe sostanzialmente legittimare uno spostamento coattivo di un soggetto indubbiamente debole, senza la pur minima considerazione delle conseguenze sullo stato psichico del medesimo». (18) In argomento si veda W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008; F. Vetrò, Il Consiglio di Stato fa il punto sulla natura giuridica della Dia (Nota a margine di Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 717), in www.giustamm.it; ibidemI. Impastato - V. Sanzo, La natura giuridica della d.i.a. tra tutela del terzo e potere di autotutela; C. Celone, La “denunzia di inizio attività” per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica. Alcune postille sul regime speciale e generale della c.d. dia, in Nuove aut., 2008, 713; F. Liguori, La dichiarazione di inizio dell'attività edilizia. Le complicazioni di una liberalizzazione, in www.giustamm.it. (19) In argomento, M. Ramajoli, L'Adunanza plenaria risolve il problema dell'esecuzione della sentenza di annullamento dell'aggiudicazione in presenza di contratto, in questa Rivista, 2008, 1165; nonché C.E. Gallo, Contratto ed annullamento dell'aggiudicazione: la scelta dell'adunanza plenaria, in Foro amm.-C.d.S., 2008, 2364. (20) Il tema del rapporto tra annullamento dell'aggiudicazione e sorte del contratto è stato ampiamente trattato dalla dottrina e dalla giurisprudenza: si rinvia in argomento a S.S. Scoca, Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, per gli ampi riferimenti bibliografici. (21) Il rapporto tra le due giurisdizioni (ordinaria e amministrativa) può essere inquadrato in vario modo; si rinvia al riguardo a M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione. Apologia del diritto amministrativo e del suo giudice, Napoli, 2008, 30 ss., che distingue tra giurisdizioni concorrenti, separate, per optare, infine, per un modello di giurisdizioni separate «con nessi di coordinazione». (22) La previsione è stata poi riversata nel Testo Unico sul Consiglio di Stato, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, il cui art. 29 disponeva: - 1. Sono attribuiti all'esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale:1) i ricorsi relativi al rapporto d'impiego prodotti dagli impiegati dello Stato, degli enti od istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dell'amministrazione centrale dello Stato o da agenti di ferrovie e tramvie concesse all'industria privata ai sensi dell'art. 15 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2311, quando non si tratti di materia spettante alla giurisdizione della Corte dei conti o a quella di altri corpi o collegi speciali. (23) Sull'origine della giurisdizione esclusiva, si veda A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, in questa Rivista, 2004, 417, che riscontra le «prime tracce» della giurisdizione del Consiglio di Stato sui diritti soggettivi a partire dall'art. 10 dell'allegato D della legge del 1865. (24) Sulle origini storiche del diritto amministrativo e sui due modelli continentale e anglosassone si rinvia a S. Cassese, La costruzione del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo, I, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, spec. 89. Sulla tutela giurisdizionale del privato nei sistemi di common law si veda L. Moccia, Modelli di tutela dei privati verso le pubbliche amministrazioni nella comparazione “civil law-common law”: l'esperienza inglese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 1021. (25) Il modello di diritto amministrativo è tale perché consente la progressiva formazione di un sistema di diritto amministrativo speciale, ove la tutela giurisdizionale del privato nei confronti dell'amministrazione passa attraverso l'impugnazione (e dunque il controllo) degli atti dell'amministrazione, per ottenerne l'annullamento dinanzi a un apposito giudice (che garantisca cioè la specialità del sistema). Non c'è spazio per una tutela risarcitoria, che è invece l'unico rimedio riconosciuto (almeno all'inizio) nei sistemi di common law, ove «il cittadino che ha subito un danno dal comportamento illegittimo dell'amministrazione può solo rivalersi sul singolo funzionario» (per effetto dell'immunità della Corona), S. Cassese, La costruzione del diritto amministrativo, cit., 89. Su tali questioni, da ultimo, si veda M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 10 ss., spec. 22 ove l'Autore sostiene che il modello italiano difficilmente può trovare una adeguata collocazione tra i due modelli proposti e, ripercorrendo le posizioni espresse dalla dottrina (da Orlando a Nigro), osserva come «il modello italiano viene estraniato dai sistemi esistenti e collocato in una posizione a sé stante: appunto alla ricerca di un modello inesistente». (26) Si veda al riguardo M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 10 ss. (27) Cfr. sull'argomento, A. Pioggia, Giudice e funzione amministrativa, Milano, 2004, 55, la quale osserva come prima ancora che, in materia di pubblico impiego, la giurisprudenza enucleasse la categoria degli atti amministrativi paritetici, il giudice amministrativo esercitava i propri poteri costitutivi sugli atti dell'amministrazione, senza distinzione tra atti amministrativi lesivi di interessi e atti lesivi di diritti: la dottrina, infatti, ha parlato di una figura ibrida, «il diritto a tutela impugnatoria». Fu poi la giurisprudenza ad introdurre quei distinguo tali per cui, se l'attività è esercitata in forma autoritativa, si ha un interesse legittimo con conseguente tutela impugnatoria, se invece l'attività non è espressione di un potere autoritativo, il privato gode di un diritto soggettivo, al quale deve essere accordata una tutela piena ed esaustiva. (28) M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 90. (29) G. De Giorgi Cezzi, Processo amministrativo e giurisdizione esclusiva: profili di un diritto in trasformazione, in questa Rivista, 2000, 696, spec. 768. (30) Questa è la posizione di A. di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 377-378. (31) Così, ad esempio, Corte cost., 28 giugno 1985, n. 190; Corte cost., 23 aprile 1987, n. 146; Corte cost., 18 maggio 1989, n. 251. (32) Ancora G. De Giorgi Cezzi, op. ult. cit., 768-769. (33) Oggi il caso più noto di giurisdizione di merito è dato dai poteri del giudice dell'ottemperanza e la coincidenza iniziale tra giurisdizione di merito ed esclusiva si è fortemente ridotta, perché alle nuove ipotesi di esclusività della giurisdizione non si è più accompagnata la previsione di poteri di cognizione anche nel merito. Sul punto si rinvia ancora una volta a G. De Giorgi Cezzi, op. loc. ult. cit., secondo la quale «la scelta di attrarre nella giurisdizione di merito talune materie piuttosto che altre risponde a criteri disomogenei, adottati in tempi diversi, senza alcuna apparente ragione giuridica». Ad esempio oggi un caso di coincidenza tra poteri di cognizione nel merito e giurisdizione esclusiva è previsto dall'art. 21-septies, 2º comma, delle l. n. 241 del 1990, che assoggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il regime della nullità del provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato. Si veda, inoltre, A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, cit. (34) G. De Giorgi Cezzi, op. loc. ult. cit.; ma soprattutto in argomento A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, Padova, 2001. (35) In tal senso si era già espresso A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962, ma la riflessione più completa in argomento si deve a G. Greco, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980. (36) Ciò detto, il processo di cambiamento che ha investito il giudizio di impugnazione è segnato da una serie di tappe che (nella ricostruzione fatta dalla dottrina) hanno trasformato le modalità di esercizio del sindacato giurisdizionale sull'atto, sino ad arrivare ad una cognizione sul fatto e, dunque, sulla vicenda che vede protagonisti la pubblica amministrazione e il privato. La progressiva dilatazione del potere di cognizione del giudice amministrativo risente della estensione della nozione di legittimità dell'atto, non più riferita al solo paradigma normativo che fonda l'esercizio del potere, ma estesa ai più generali principi di imparzialità e buon andamento, oggi sinteticamente rielaborati nella nozione di “buona amministrazione”. E ancora più incisiva, nella direzione di una dilatazione della nozione di legittimità, appare la rilettura del vizio di eccesso di potere e del conseguente sindacato sullo stesso. Da sviamento di potere a vizio della funzione amministrativa, il cui sindacato è stato possibile attraverso la enucleazione delle c.d. figure sintomatiche (per la individuazione delle quali si rinvia a G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2008, 329 ss.), prima individuate attraverso un giudizio di non conformità dell'atto alla legge: così la contraddittorietà della decisione rispetto all'istruttoria o il difetto di motivazione. Oggi la dottrina più attenta ha sottolineato come l'ingresso di nuove figure sintomatiche quali la manifesta illogicità o irragionevolezza, nonché la non proporzionalità tra il sacrificio inflitto al privato e la cura dell'interesse pubblico (tema su cui si rinvia a D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998; S. Villamena, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento comunitario, italiano e inglese, Milano, 2008), testimoni la trasformazione dell'eccesso di potere in vizio che scaturisce dalla violazione dei principi che conformano l'azione amministrativa: sicché anche l'eccesso di potere, come la violazione di legge, è un vizio «ad accertamento diretto» (F.G. Scoca M. D'Orsogna, L'invalidità del provvedimento, in F.G. Scoca, Diritto Amministrativo, Torino, 2008, 311). L'esigenza di ampliare la cognizione del giudice amministrativo, estendendola anche al fatto e, dunque al rapporto tra amministrazione e privato, è legata inoltre all'ingresso di interessi nuovi che vengono in diversa misura coinvolti o pregiudicati dall'azione amministrativa: tali interessi entrano prima nel procedimento amministrativo, attraverso gli istituti di partecipazione positivizzati nella legge n. 241/90, ma entrano altresì nel processo amministrativo attraverso la regola del contraddittorio. La decisione del giudice di «allargare la legittimazione al ricorso», alle associazioni di categoria titolari ad esempio di interessi diffusi, ovvero quella di segno opposto di restringerla, come è avvenuto nel caso delle associazioni di consumatori alle quali è stata negata la qualifica di litisconsorti necessari (Consiglio di Stato, Ad. plen., 11 gennaio 2007 nn. 1 e 2, in Giorn. dir. amm., 2007, 626 con nota di M.C. Cavallaro, Intervento e opposizione di terzo nel giudizio di appello: un'occasione mancata per fare chiarezza), «garantisce la maggiore o minore ampiezza dello spettro di confronto fra gli interessi e funge da tramite indispensabile per l'enucleazione della rilevanza della partecipazione dei cittadini ai pubblici poteri», G. De Giorgi Cezzi, op. ult. cit., 732. (37) In argomento la bibliografia è sterminata: si rinvia pertanto a titolo meramente esemplificativo a F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell'interesse legittimo, Milano, 1990; più di recente si veda L. Iannotta, L'interesse legittimo nell'ordinamento repubblicano, in questa Rivista, 2007, 935. (38) Da qui, la previsione della giurisdizione esclusiva in tema di servizi pubblici, urbanistica ed edilizia, secondo la previsione contenuta nel decreto legislativo n. 80/1998, previsione unanimemente considerata come naturale conseguenza del trasferimento della giurisdizione sul pubblico impiego dinanzi al giudice ordinario, a seguito del processo di privatizzazione che ha investito l'intero settore. (39) Tra i commenti della dottrina alla sentenza della Corte costituzionale si vedano, a titolo esemplificativo, V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 (osservazioni a primissima lettura), in questa Rivista, 2004, 799, e ibidemR. Villata, Leggendo la sentenza n. 204 della Corte costituzionale. Cfr. inoltre L. Mazzarolli, Sui caratteri e i limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l'ambito, ibidem 2005, 214; A. Travi, La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, in Foro it., 2004, I, 2599; ibidem, F. Fracchia, La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione «esclusiva» alla giurisdizione de giudice amministrativo; M.A. Sandulli, Un passo avanti e uno indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, ma non può giudicare dei diritti (a prima lettura a margine di Corte cost. n. 204 del 2004), in Riv. giur. edilizia, 2004, 1230; F.G. Scoca, Sopravviverà la giurisdizione esclusiva?, in Giur. cost., 2004, 2209; infine A. Police, La giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, in Giorn. dir. amm., 2004, 974. (40) In tema di arbitrato nei rapporti tra amministrazione e privati si veda A. Zito, La compromettibilità per arbitri con la pubblica amministrazione dopo la legge n. 205 del 2000: problemi e prospettive, in Dir. amm., 2001, 343; in generale M. Vaccarella, Arbitrato e giurisdizione amministrativa, Torino, 2004. (41) Si veda, da ultimo, in tema di pregiudizialità, il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, emerso nelle rispettive sentenze Cons. Stato, Ad. plen., 22 ottobre 2007, n. 12 e Corte Cass., Sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254. (42) La bibliografia in argomento è già vasta: si veda G.D. Comporti, Pregiudizialità amministrativa: natura e limiti di una figura a geometria variabile, in questa Rivista, 2005, 280; più di recente R. Villata, Pregiudizialità amministrativa nell'azione risarcitoria per responsabilità da provvedimento?, in questa Rivista, 2007, 271; F. Francario, Degradazione e pregiudizialità quali limiti dell'autonomia dell'azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. amm., 2007, 441. (43) Ai sensi del quale anche nelle ipostesi di giurisdizione esclusiva, erano comunque assegnate al giudice ordinario le questioni attinenti «i diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell'atto amministrativo»; mentre l'odierno art. 7 parla di giurisdizione del TAR per le questioni relative al risarcimento dei danni e agli altri «diritti patrimoniali consequenziali». (44) Si può osservare che l'esclusione del sindacato della Corte dei Conti implica l'esclusione della stessa giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto da quella condotta non scaturisce una responsabilità amministrativa su cui il giudice contabile possa e debba effettuare il proprio controllo. Nel senso che non è configurabile un danno erariale prodotto da una condotta su cui la Corte non possa esercitare il proprio sindacato: sicché, se il giudice si arresta dinanzi all'insindacabilità di una condotta è perché quella condotta non può produrre un danno. D'altra parte, l'insindacabilità della condotta esclude responsabilità amministrativa perché manca uno dei presupposti dell'illecito, cioè la stessa antigiuridicità della condotta. Queste considerazioni sono svolte in G. Corso - M.C. Cavallaro, Il sindacato giurisdizionale della Corte dei Conti sull'atto amministrativo, in corso di pubblicazione su Nuove aut., 2009, fasc. 1. (45) G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit. (46) In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale la formula legislativa - «insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali» - è sinonimo di inammissibilità del sindacato di merito e, correlativamente, di ammissibilità del sindacato di legittimità, con la conseguenza che il limite della insindacabilità dell'atto segna anche il limite della giurisdizione contabile: sicché l'art. 1 della l. 20/94 deve essere inteso nel senso di definire l'ambito della giurisdizione del giudice contabile a garanzia della “riserva di amministrazione”: Cass., Sez. un., 25 gennaio 2006 n. 1378. (47) Per altro verso, l'accertamento dell'illegittimità dell'atto amministrativo non è oggetto soltanto di un potere, ma è anche oggetto di un dovere o di un onere. Nel senso che, se il danno erariale scaturisce dalla adozione di un provvedimento amministrativo, la Corte dei Conti deve preliminarmente accertare se si tratta di un provvedimento legittimo o illegittimo. Solo in questo secondo caso - cioè nel caso di accertata illegittimità dell'atto - sussiste quella antigiuridicità in assenza della quale manca anche l'illecito amministrativo, ossia il fatto da cui discende la responsabilità amministrativa: in tal senso ancora G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit. (48) così G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit. (49) In termini assai generali, a testimonianza del dibattito che ha animato la dottrina prima della legge n. 241/1990, merita di essere ricordato il saggio di R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell'organizzazione e nel procedimento, in questa Rivista, 1989, 416. (50) Cfr. al riguardo quanto sostenuto in M.C. Cavallaro, Pubblica amministrazione e diritto privato, in Nuove aut., 2005, 39; sull'art 1, comma 1-bis, della l. 241/1990, D. De Pretis, L'attività contrattuale della p.a. e l'art. 1-bis della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in www.giustamm.it; ibidem, L. Iannotta, L'adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato. (51) Cfr. sull'argomento M. Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell'affidamento, Torino, 1999. (52) In termini generali, tutta l'attività amministrativa è preordinata alla cura di un interesse pubblico: tanto l'adozione del provvedimento, quanto la stipula di un contratto, l'erogazione di un servizio pubblico o la manutenzione stradale. La differenza sta nel fatto che l'adozione di un provvedimento è espressione di un'attività che l'ordinamento riserva all'amministrazione, per ciò soggetta ad un regime speciale; il servizio di trasporto, la manutenzione di una strada o la stipula di un contratto sono manifestazioni di un'attività che l'amministrazione svolge al pari di qualunque altro soggetto dell'ordinamento. L'eventualità di un regime derogatorio in tali ipotesi potrebbe tradursi in un incomprensibile privilegio per la stessa amministrazione: si potrebbe infatti limitare, ad esempio, la responsabilità dell'amministrazione per i danni causati per mancata manutenzione stradale; ovvero esonerare la stessa amministrazione da responsabilità precontrattuale in ipotesi di stipula di contratto. Sull'argomento si rinvia, in termini generali, a B.G. Mattarella, L'attività, in Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, I, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, 701. Sul tema dei rapporti tra pubblica amministrazione e diritto privato si veda, C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982; nonché F.G. Scoca, Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431; F. Trimarchi Banfi, Il diritto privato dell'amministrazione pubblica, in Dir. amm., 2004, 666; ibidem, V. Cerulli Irelli, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, 649; nonché G. Greco, Accordi e contratti della pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, in Dir. amm., 2002, 413. (53) M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, 785. (54) La lettura qui proposta si deve a M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 88 ss. In generale, sulle origini della giurisdizione esclusiva il rinvio è ancora a A. Romano, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, cit. (55) In senso analogo L. Moscarini, Attualità e delimitazione della categoria degli interessi legittimi, in Riv. trim. dir. civ. 2008, 1133. (56) In tema di certezza del diritto si veda M. Immordino, Certezza del diritto e amministrazione di risultato, in Principio di legalità e amministrazioni di risultato, a cura di R. Immordino e A. Police, Torino, 2004, 15. Nonché F. Merusi, La certezza del diritto fra tempo e spazio, in Dir. amm., 2002, 527. (57) E la previsione dell'art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, che individua i casi di non annullabilità dell'atto vincolato in ipotesi di vizi di mera forma o procedura e il caso di non annullabilità del provvedimento (vincolato o discrezionale) che manchi della preventiva comunicazione di avvio del procedimento, conferma tale assunto. (58) Sul rapporto tra validità ed efficacia si veda G. Corso, Validità (dir. amm.), cit. (59) Sotto tale profilo sia consentito esprimere una precisazione: la tesi della illegittimità del provvedimento come annullabilità fu sostenuta da M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, I, in Riv. dir. proc., 1963, 522, secondo cui la giurisprudenza, tra le tante strade percorribili, optò per la via della equiparazione, nel senso che l'atto illegittimo è equiparato a quello legittimo e pertanto produce effetti fintantoché non venga rimosso dall'ordinamento. Tuttavia, come correttamente osservato, l'indicazione dell'atto illegittimo come annullabile proviene dal diritto positivo, poiché l'art. 45 del r.d. n. 1054/1924 espressamente dispone che accogliendo il ricorso, il giudice «annulla l'atto» G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit., 319. Sicché, l'equiparazione non è frutto di una scelta giurisprudenziale, ma è conseguenza del regime giuridico dell'atto annullabile: anche il contratto annullabile produce cioè effetti finché non venga rimosso dal giudice. Si veda sul punto R. Villata - M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 386. (60) Stesso ordine di considerazioni è stato già svolto in M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e responsabilità civile, cit. Utente: Univ. degli Studi di Bologna Univ. degli Studi di Bologna www.iusexplorer.it - 05.02.2015 © Copyright Giuffrè 2015. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156