Cavallaro,la giurisdizione esclusiva del giudice

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LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO TRA
RAPPORTI DI DIRITTO PUBBLICO E RAPPORTI DI DIRITTO PRIVATO: BREVI
RIFLESSIONI A MARGINE DEI RECENTI ORIENTAMENTI DELLA CORTE
COSTITUZIONALE
Dir. proc. amm., fasc.3, 2010, pag. 934
MARIA CRISTINA CAVALLARO
Classificazioni: GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - In genere
Sommario: 1. I problemi irrisolti della giurisdizione esclusiva dopo l'intervento della Corte
costituzionale. - 2. Origini e fondamento costituzionale della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo: la piena giurisdizione. - 3. La crisi del sistema. - 4. La questione della
pregiudizialità. Uno sguardo alla giurisdizione contabile. - 5. La giurisdizione esclusiva tra diritto
pubblico e diritto privato.
1. Le più recenti ipotesi di giurisdizione esclusiva, individuate dal legislatore delegato prima e
confermate dal legislatore ordinario dopo (1), hanno evidenziato la tendenza tipica degli ultimi
anni a superare il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo per
fondare la giurisdizione esclusiva non più su un inestricabile intreccio tra diritti e interessi, come
in origine, bensì su interi “blocchi di materie”. Sul presupposto che la giurisdizione esclusiva vada
interpretata come piena giurisdizione, l'individuazione del giudice amministrativo in funzione di
giudice unico avrebbe dovuto garantire il ruolo dello stesso come giudice per i rapporti tra
pubblica amministrazione e privato. Quei rapporti, cioè, nei quali la pubblica amministrazione non
agisce soltanto secondo le regole del diritto pubblico, esercitando così un potere che implica la
presenza dell'interesse legittimo (che appunto è la situazione giuridica soggettiva che «dialoga»
con il potere) (2); ma quei rapporti che sono caratterizzati da una compresenza di diritto pubblico e
diritto privato, tale da giustificare un legittimo dubbio sulla consistenza della relativa situazione
giuridica soggettiva vantata dal privato (3).
Questa suggestione è stata in parte ridimensionata dalla nota sentenza della Corte costituzionale n.
204 del 2004, che si muove in due direzioni.
Da un lato, ribadisce l'esigenza di assicurare anche all'interesse legittimo una tutela piena, in
conformità col quadro costituzionale e in particolare con l'art. 24 Cost.; dall'altro, ma pur sempre
nel rispetto dei principi contenuti in Costituzione, impone un ritorno alla giurisdizione esclusiva
entro il perimetro disegnato dall'art. 103 Cost., sottolineando il carattere specifico ed eccezionale
della qualificazione del giudice amministrativo come giudice anche dei diritti. Aggiungendo che la
eccezionalità della previsione è (e deve essere) legata all'inestricabile intreccio tra diritti e interessi
ed è giustificata dal fatto che l'attività svolta dall'amministrazione sia riconducibile all'esercizio
del potere, poiché il giudice amministrativo è naturalmente, quasi per vocazione, il giudice
chiamato ad esercitare il proprio sindacato sul corretto esercizio del potere. Resta pertanto sottratto
alla giurisdizione esclusiva quell'ambito di attività nella quale l'amministrazione opera alla stregua
di un soggetto privato (come ad esempio l'intera materia dei servizi pubblici, o la materia dei
comportamenti, salvo che non si tratti di comportamenti riconducibili all'esercizio del potere,
come poi chiarito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 191 del 2006). Mentre trova
piena giustificazione la previsione della giurisdizione esclusiva in tema di accordi tra
amministrazione e privati ex art. 11 della l. 241/90 (così come pure, nella stessa prospettiva, può
giustificarsi la giurisdizione esclusiva in tema di DIA, di revoca dei provvedimenti, in ordine al
quantum dell'indennizzo, per citare alcune delle recenti forme di giurisdizione esclusiva introdotte
dalla recente legge n. 15/2005; o in tema di contratti ad evidenza pubblica, ma limitatamente alla
fase pubblicistica di scelta del contraente, secondo quanto previsto dall'art. 244 del codice dei
contratti).
Il paradosso è proprio questo: il riparto tra la giurisdizione ordinaria e amministrativa si fonda
sulla distinzione tra le due figure soggettive del diritto soggettivo e dell'interesse legittimo, le
quali, a seguito della estensione della tutela risarcitoria anche all'interesse legittimo, hanno perso
gran parte dei tratti distintivi che le differenziavano. E la sentenza della Corte costituzionale,
nell'affermare contemporaneamente il riparto di giurisdizione fondato sulla diversità tra diritti e
interessi e la pienezza di tutela dell'interesse legittimo (al pari del diritto soggettivo), riproduce in
parte questo paradosso, lasciando sul tappeto una serie di problemi ancora irrisolti.
Anzitutto in ordine al rapporto tra ambito della giurisdizione e poteri del giudice amministrativo in
funzione di giudice unico, al quale, a partire dal d.lgs. n. 80/1998, viene assegnato il potere di
condanna al risarcimento del danno.
Il dogma dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo risiedeva, com'è noto, in ragioni di natura
sostanziale e processuale. Sotto il primo profilo, si riteneva che il danno ingiusto, richiesto dall'art.
2043 del c.c., fosse solo la lesione del diritto soggettivo, non anche dell'interesse legittimo. Dal
punto di vista processuale, il giudice amministrativo era munito della giurisdizione in tema di
interessi legittimi, ma non aveva il potere di condanna al risarcimento del danno; mentre il giudice
ordinario, al quale la legge riconosceva il potere di condanna, non aveva la giurisdizione sugli
interessi legittimi (4). Il decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, all'art. 35, lungi dall'introdurre il
principio della risarcibilità dell'interesse legittimo, si è limitato a riconoscere al giudice
amministrativo, in funzione di giudice unico, il potere di condannare l'amministrazione al
risarcimento del danno, che rimane, nella prospettiva del legislatore delegato, il danno prodotto
dalla violazione di un diritto soggettivo (5). Mentre è stata la successiva l. 205 del 2000 a
positivizzare il principio della risarcibilità dell'interesse legittimo, attribuendo la relativa
giurisdizione al giudice amministrativo (6), al quale, oltre al potere di risarcimento del danno per
equivalente, viene attribuito altresì il potere di risarcimento in forma specifica.
La Corte costituzionale sulla questione del risarcimento dei danni conseguenti alla lesione
dell'interesse legittimo, spettante alla giurisdizione del giudice amministrativo, afferma che la
tutela risarcitoria dell'interesse legittimo non è da intendersi come materia esclusivamente
assegnata al giudice amministrativo, ma come potere processuale a questi riconosciuto. Ma non
v'è dubbio che l'attribuzione del potere di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo,
come conseguenza dell'illegittimo esercizio della funzione, comporta che in taluni casi il danno sia
prodotto a carico del diritto. Si tratta, per intendersi, di tutte le questioni inerenti al risarcimento
dell'interesse oppositivo, nelle quali, anche per effetto del mantenimento della pregiudiziale
amministrativa, si ripropone quanto accadeva in passato: dall'annullamento dell'atto scaturisce
l'ampliamento del diritto che, prima della l. 205/2000, apriva la strada della tutela risarcitoria
dinanzi al giudice ordinario, in quanto giudice dei diritti. Oggi, della stessa questione rimane
investito il giudice amministrativo: in tal caso, se ci si muove dentro la giurisdizione esclusiva il
problema non si pone, poiché si tratta di riconoscere al giudice amministrativo un potere di
condanna a garanzia del diritto. Se, viceversa, ci si trova dinanzi alla giurisdizione generale di
legittimità si ammette che il giudice degli interessi risarcisca il danno cagionato ai diritti (7). Il
giudice amministrativo diventa cioè l'unico giudice che possa pronunciarsi sul risarcimento danni
conseguente all'illegittimo esercizio del potere, secondo un modello che sembra più simile ad una
giurisdizione esclusiva per blocchi di materie (la materia del risarcimento danni).
Ancora incerta risulta l'individuazione del giudice munito di giurisdizione in tema di
comportamenti. La sentenza n. 204 del 2004 incide sulla previsione contenuta all'art. 34 del d.lgs.
n. 80/1998, secondo cui «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni
pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia», e rimuove il
riferimento ai comportamenti. La stessa Corte chiarisce, poi, nella sentenza n. 191 del 2006
(avente ad oggetto l'art. 53 del t.u. espropriazioni che riproduce il testo del citato art. 34, ma si
riferisce ai comportamenti in tema di espropriazioni), che rientrano nella giurisdizione esclusiva
quei comportamenti riconducibili all'esercizio del potere, id est l'occupazione d'urgenza (poco
chiaro, anche in relazione all'applicazione che del principio ha fatto la Cassazione, se trattasi solo
di occupazione acquisitiva, o anche usurpativa) (8).
Il punto è: il risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere è diretta conseguenza
dell'atto o del comportamento che residua dopo l'annullamento dell'atto? Perché se così fosse, la
previsione appena ricordata contenuta all'art. 7 dell'odierna legge TAR, che assegna al giudice
amministrativo la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo, sarebbe in contrasto con la sentenza
204.
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza 23 gennaio 2006, n. 1207,
che, proprio in ossequio alle indicazioni espresse dal giudice delle leggi nella sentenza n. 204, ha
inaugurato un orientamento, poi per vero quasi subito abbandonato, secondo cui l'annullamento
del provvedimento illegittimo riduce l'attività posta in essere dalla stessa amministrazione in
esecuzione dell'atto annullato a mero comportamento, che non trova più un titolo nel
provvedimento medesimo. Poiché la sentenza di annullamento del giudice amministrativo (come
l'annullamento dell'atto in sede di autotutela) comporta la rimozione dell'atto dall'ordinamento
giuridico, lo stesso annullamento mette a nudo una condotta illecita dell'amministrazione, in
quanto non fondata sul legittimo esercizio del potere. Per tale ragione, secondo la Cassazione, dei
danni cagionati in conseguenza della condotta illecita deve conoscere il giudice ordinario, secondo
l'orientamento espresso dalla dottrina e sostanzialmente accolto dalla giurisprudenza sino a prima
dell'entrata in vigore della legge n. 205/2000: la responsabilità risarcitoria conseguente
all'adozione di un provvedimento illegittimo non si fonda sull'illegittimità del provvedimento
adottato, ma sull'illiceità della condotta tenuta dall'amministrazione, che residua dopo
l'annullamento dell'atto (9). Esiste cioè una duplice qualificazione normativa della medesima
vicenda. L'atto adottato dalla pubblica amministrazione è illegittimo secondo l'ordinamento,
perché non conforme ad un dato parametro normativo; ma altra norma dell'ordinamento può
imprimere una qualificazione di illiceità, nel senso che «l'atto, rimanendo tale, è assunto nella
fattispecie della norma descrittiva dell'illecito» (10). Come già la più attenta dottrina aveva
osservato agli inizi del Novecento, il danno prodotto dall'atto amministrativo illegittimo è
consequenziale all'esecuzione dell'atto medesimo, non già alla mera emanazione di esso (11).
La Corte di Cassazione ha quasi subito mutato il proprio orientamento, aderendo
all'interpretazione del Consiglio di Stato (e al successivo chiarimento offerto dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 191/06) secondo cui, ove il comportamento sia riconducibile
all'esercizio del potere, deve affermarsi la giurisdizione del giudice amministrativo (12); ma il
problema si ripropone con riguardo ad altre questioni: tali ad esempio sono il danno da ritardo (13)
, o la controversa distinzione tra occupazione acquisitiva e usurpativa (14). Rileva altresì, sempre
in tema di comportamenti, la disciplina del diritto alla salute e dei relativi provvedimenti
dell'amministrazione sanitaria: nelle note ordinanze gemelle del 2006 (15), la Corte di Cassazione
ha ridisegnato il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo affermando
che il diritto alla salute, come gli altri diritti incomprimibili del nostro ordinamento, non può
essere che riservato alla giurisdizione del giudice ordinario. Ancora una volta, la Corte
costituzionale s'è pronunciata sulla questione (16) affermando che non esiste «alcun principio o
norma del nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il
giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti». Tuttavia, la Corte non
contraddice espressamente il giudice del riparto, precisando che, ove la lesione del diritto alla
salute sia riconducibile a «provvedimenti o procedimenti tipizzati normativamente» (come nel
caso affrontato dalla stessa Consulta), la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è
pienamente ammessa; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario «in presenza di diritti
assolutamente prioritari (tra cui quello della salute), in ipotesi in cui vengano in considerazione
meri comportamenti della pubblica amministrazione». Così, il Consiglio di giustizia
amministrativa per la regione siciliana, chiamato a pronunciarsi su un provvedimento della AUSL
n. 2 di Caltanissetta che dispone il trasferimento di un paziente da un Istituto Ospedaliero della
Lombardia - ove è degente da oltre trenta anni - presso una struttura siciliana, pur riconoscendo il
«rango costituzionale» del diritto alla salute, non nega la propria giurisdizione, ma entra nel merito
della questione e decide in favore del ricorrente (17). Infine, anche la previsione della
giurisdizione esclusiva in tema di DIA (art. 19 della legge 241/1990, come di recente modificato
dalla legge 15/2005) potrebbe sollevare dubbi di legittimità costituzionale: ove si aderisse alla tesi
secondo cui la dichiarazione di inizio di attività è atto di natura privata, il comportamento con cui
l'amministrazione procede all'inibizione dell'intrapresa attività privata non sarebbe riconducibile
all'esercizio del potere (18).
Altra questione delicata concerne, in tema di contratti pubblici, il rapporto tra annullamento
dell'aggiudicazione e sorte del contratto già stipulato tra amministrazione e privato. L'art. 244 del
codice dei contratti, com'è noto, stabilisce che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie (ivi comprese quelle risarcitorie) concernenti le procedure di
affidamento di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda relativa alla fase di
esecuzione del contratto. Viene in rilievo in tale ipotesi a quale giudice spetti la giurisdizione sulla
sorte del contratto già stipulato in caso di annullamento dell'aggiudicazione.
Anche la disposizione in esame ha aperto un contrasto tra la Corte di Cassazione e il Consiglio di
Stato, nel quale sembrava che fosse stato messo un punto fermo con la pronuncia delle Sezioni
Unite della Cassazione (23 aprile 2008, n. 10443), che afferma la giurisdizione ordinaria sulla
domanda volta ad ottenere l'accertamento dell'inefficacia del contratto, la cui aggiudicazione sia
stata annullata dal giudice amministrativo. L'indirizzo è stato apparentemente accolto anche dal
Consiglio di Stato nell'Adunanza plenaria n. 9 del 2008, ma si tratta, appunto, di mera apparenza.
L'Adunanza, infatti, da un lato mostra di condividere la soluzione prospettata dal giudice del
riparto e dichiara di non volersene discostare, aggiungendo (con argomentazione per vero dubbia)
che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo la tutela risarcitoria per
equivalente, non anche la reintegrazione in forma specifica (la quale, «incidendo sul contratto e
quindi sulla fase negoziale e sui diritti soggettivi, esula dai poteri giurisdizionali amministrativi»).
Tuttavia, conclude la propria decisione prospettando una soluzione radicalmente opposta alla linea
tracciata, secondo cui «nell'emanare i provvedimenti ulteriori che conseguono all'effetto
caducatorio dell'annullamento dell'aggiudicazione della gara, l'amministrazione deve tenere conto
dei principi enunciati nella sentenza di annullamento e delle conseguenze giuridiche determinate
dal suo contenuto». Così, ove l'amministrazione adotti dei provvedimenti con i quali «non si
conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza», si apre per il privato la strada del
giudizio di ottemperanza (19).
In tal modo, quanto era stato apparentemente sottratto alla giurisdizione del giudice
amministrativo (e assegnato alla giurisdizione del giudice ordinario) ritorna per altra via al suo
vaglio, poiché non v'è dubbio che tra i provvedimenti che l'amministrazione deve adottare per
conformarsi al giudicato di annullamento rientrano anche quelli con i quali regola la vicenda dei
rapporti con l'impresa la cui aggiudicazione sia stata annullata e con l'impresa inizialmente
esclusa. Con ciò andando ben al di là della pronuncia della Cassazione (che si era limitata ad
affermare la giurisdizione ordinaria sulla domanda volta ad ottenere l'accertamento dell'inefficacia
del contratto, a seguito di annullamento dell'aggiudicazione), ma al di là anche della previsione
contenuta nell'art. 244 del codice sui contratti, che esclude dalla giurisdizione esclusiva ogni
domanda relativa alla fase di esecuzione del contratto. Anche perché non è difficile prevedere
quale sarà la strada prescelta dal privato, posto di fronte all'alternativa se adire il giudice ordinario
per ottenere una pronuncia di accertamento sull'inefficacia del contratto la cui aggiudicazione sia
stata annullata, ovvero rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere l'ottemperanza del
giudicato di annullamento dell'aggiudicazione (20).
Le questioni prospettate evidenziano più punti critici.
Anzitutto, va sottolineata l'anomalia delle stesse sentenze della Corte costituzionale, la quale ha
utilizzato la disposizione contenuta nell'art. 103, sul fondamento costituzionale della giurisdizione
esclusiva, per ridisegnare l'ambito e i poteri delle due giurisdizioni, muovendosi, a volte, più come
giudice del riparto, che come giudice delle leggi. Nonostante i ripetuti interventi, permane
l'incertezza della giurisprudenza amministrativa e ordinaria nel definire i perimetri delle rispettive
giurisdizioni, sicché sembra più facile parlare di giurisdizioni che si rincorrono, piuttosto che di
riparto vero e proprio (21). E l'incertezza, come visto, non si dirada neanche nelle ipotesi di
giurisdizione esclusiva, la cui ratio, nella originaria intenzione del legislatore, era proprio quella di
superare la regola del riparto e con essa la difficoltà di distinguere tra diritto e interesse,
assegnandone la relativa tutela ad un unico giudice.
2. Per meglio cogliere il significato e la portata dell'intervento del Giudice delle leggi, in relazione
alle brevi considerazioni oggetto del presente lavoro sulle zone ancora grigie della giurisdizione
esclusiva, può essere utile ripercorrere le tappe principali che ne hanno caratterizzato il percorso
evolutivo.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce, nel nostro ordinamento, nel 1923, con
r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2311 in materia di pubblico impiego (22), e progressivamente viene
estesa ad una serie di controversie, rispetto alle quali l'individuazione del giudice munito di
giurisdizione, secondo l'ordinario criterio del riparto segnato dalla legge abolitiva del contenzioso
e poi dalla c.d. legge Crispi, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, risultava aggravato
da un inestricabile intreccio di situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi) (23).
Il sistema di giustizia amministrativa che si delinea con la legge abolitiva del contenzioso prima e
con la legge Crispi poi, è frutto di un modello continentale del diritto amministrativo che si
afferma in Italia, sulla scia di quanto avviene nella vicina Francia (24). Si tratta di un modello che,
com'è a tutti noto, si fonda sulla forza del potere esecutivo, inteso come potere speciale e
privilegiato, e sulla concezione dell'amministrazione come longa manus dello stesso governo; in
contrapposizione al modello anglosassone, ove il sistema di common law consente una sorta di
equiparazione tra il regime giuridico delle amministrazioni e quello degli altri soggetti
dell'ordinamento, essendo garantita l'immunità alla sola Corona (25).
Così, se apparentemente l'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso risente della matrice liberale
tipica del regime di common law (sicché delle controversie in materia di diritti civili e politici
conosce il giudice ordinario, ancorché vi sia come parte una pubblica autorità o si controverta di
un atto della pubblica autorità), il successivo art. 4, in forza del principio della separazione dei
poteri, limita i poteri del giudice ordinario sull'atto amministrativo e pone il presupposto per
l'istituzione di un giudice (il Consiglio di Stato, che nella Carta Costituzionale diventa l'organo «di
tutela della giustizia nell'amministrazione», art. 100 Cost.) che abbia il potere di annullare l'atto
amministrativo, a garanzia della specialità del sistema.
Il quadro normativo formatosi nell'Italia prerepubblicana viene sostanzialmente accolto nella Carta
Costituzionale, non senza contraddizioni: da un lato, infatti, l'art. 24, nel sancire il diritto alla
difesa, assegna pari dignità ad entrambe le posizioni giuridiche, ed è proprio questa disposizione
che, così letta, giustifica l'approdo raggiunto dalla giurisprudenza prima e dal legislatore subito
dopo in tema di tutela risarcitoria dell'interesse legittimo; e tuttavia, l'art. 103 continua a fondare il
riparto tra le due giurisdizioni (ordinaria ed amministrativa) sulla differente situazione giuridica
soggettiva vantata dal privato, con ciò presupponendo una diversità se non sul piano quantitativo,
quanto meno sul piano qualitativo tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Sempre l'art. 103, per
quanto in questa sede interessa, legittima il ricorso alla giurisdizione esclusiva, in quelle
«particolari materie» individuate dal legislatore ordinario nelle quali la giurisdizione del Consiglio
di Stato si estende anche ai diritti. Ancora, nel successivo art. 113, 3º comma, viene affermato il
principio della giustiziabilità degli atti amministrativi, tale per cui contro gli atti della pubblica
amministrazione è sempre ammessa «la tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche
soggettive, senza esclusione o limitazione a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti» (esprimendo in tal modo una preferenza per un sistema di diritto amministrativo
speciale); la stessa norma stabilisce che «la legge determina quali organi di giurisdizione possono
annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge
stessa», lasciando così intendere che, laddove volesse, il legislatore potrebbe assegnare al giudice
ordinario il potere di annullare gli atti amministrativi (con ciò ammettendo un'ipotesi non dissimile
da quanto previsto all'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso). In altri termini, dal disegno
costituzionale emerge la volontà di recepire il sistema di riparto di giurisdizione così come
disegnato dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo; ma, al tempo stesso, si supera il
divieto, fatto al giudice ordinario dall'art. 4 della medesima legge, di annullare gli atti
amministrativi (26).
La giurisdizione esclusiva nasce, dunque, come sommatoria delle due principali azioni: quella di
accertamento a tutela dei diritti soggettivi e quella costitutiva a presidio degli interessi legittimi.
Con la conseguenza che quanto era stato evitato a monte (l'individuazione del giudice munito di
giurisdizione con conseguente necessità di districarsi tra tempi di decadenza e tempi di
prescrizione) si ripropone a valle: l'individuazione della categoria degli atti paritetici nel pubblico
impiego altro non è se non il tentativo di distinguere il provvedimento amministrativo che
fronteggia un interesse legittimo, adottato dalla pubblica amministrazione in veste di datore di
lavoro, dagli atti espressione di un rapporto di equiordinazione, a fronte dei quali il privato lavoratore subordinato - vanta un diritto soggettivo (27). Emerge, così sin da subito, quale spazio
il legislatore abbia voluto assegnare alla giurisdizione esclusiva: uno spazio nel quale
l'amministrazione opera sia in regime di diritto pubblico, sia in regime di diritto privato, sul
presupposto che la difficoltà di inquadramento di una data situazione giuridica soggettiva
scaturisca dall'«inestricabile intreccio tra diritto pubblico e diritto privato» (28). Così, superata la
necessità di distinguere (appunto a monte) dinanzi a quale giudice impugnare il provvedimento o
formulare la domanda di accertamento o condanna a tutela del diritto, si aprono comunque (a valle
ed esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo) sessanta giorni a pena di decadenza per
chiedere l'annullamento di un provvedimento, ovvero dieci anni per accertare la violazione di un
diritto.
Da qui la constatazione di una «asimmetria» nella tutela delle situazioni giuridiche tutelate: «la
giurisdizione amministrativa esclusiva mostrava la convivenza nel processo amministrativo di
diritti pieni e di interessi legittimi, in assoluta parità di posizione nella struttura del processo, ma
asimmetrici quanto a tutela assicurata» (29). Asimmetria che, vale la pena di ricordare, è figlia di
quel differente regime di tutela predisposto dall'ordinamento a garanzia dei diritti e degli interessi,
tale per cui mentre la tutela del diritto è piena ed esaustiva, la tutela dell'interesse tende a garantire
non già un determinato bene della vita che si assume leso dall'esercizio del potere, quanto,
piuttosto, a verificare la legittimità dell'esercizio del potere medesimo. In tal senso la tutela
dell'interesse legittimo passa attraverso una forma di controllo svolto dal giudice amministrativo a
seguito dell'impugnazione del provvedimento, sul modo in cui la pubblica amministrazione ha
esercitato la propria azione: la tutela dell'interesse legittimo è rappresentata «non dalla lesione di
beni o di utilità appartenenti al soggetto [...], ma dal mancato rispetto di regole di azione e/o di
comportamento, alla cui osservanza il soggetto sottoposto può avere interesse. Il rimedio di tutela
(rappresentato da un potere di impugnativa dell'atto che si lamenta illegittimo) ha per scopo di
sollecitare una forma di controllo sull'uso del potere» (30).
Sotto questo profilo, la previsione della giurisdizione esclusiva non mira a superare il deficit di
tutela dell'interesse legittimo, ma ad agevolare l'accesso alla giurisdizione.
Anzi, il percorso successivamente seguito dalla giurisprudenza (in particolare dalla Corte
costituzionale, in tema di mezzi istruttori e di tutela cautelare in sede di giurisdizione esclusiva)
(31) è stato orientato nel senso di assicurare al diritto soggettivo, anche laddove la cognizione
spetti al giudice amministrativo, una tutela piena ed esaustiva, al fine di evitare disparità di
trattamento tra i diritti tutelati dinanzi al giudice ordinario e i diritti tutelati dinanzi al giudice
amministrativo. Percorso, questo, che ha marcato ancora di più la distinzione tra la tutela del
diritto e la tutela dell'interesse: «nel primo caso, la cognitio del giudice spaziava secondo le
tecniche ordinarie della giurisdizione civile; nel secondo caso, si riscontravano le note limitazioni
del contenzioso di impugnazione, superabili solo nei casi in cui al contenzioso di impugnazione si
accompagnassero poteri di pronuncia anche in merito del giudice esclusivo» (32). Tant'è che assai
spesso, le ipotesi di giurisdizione esclusiva coincidevano con quelle di giurisdizione nel merito
(33).
Se tuttavia la giurisdizione esclusiva nasce come somma aritmetica di due diverse giurisdizioni (di
legittimità, riguardo agli interessi, e ordinaria, riguardo ai diritti), è innegabile che nel tempo la
stessa si sia evoluta sino a rappresentare, come osservato dalla dottrina, una “forma nuova di
giurisdizione”, in cui l'esistenza dell'azione di accertamento a garanzia dei diritti finisce con il
contaminare la struttura impugnatoria del giudizio sugli interessi (34).
La trasformazione della giurisdizione esclusiva è intimamente connessa, com'è intuitivo, alla
profonda mutazione che nel corso degli anni ha subìto il giudizio amministrativo, evolvendosi
questo a sua volta da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto (35). Tale fenomeno ha indubbie
refluenze sulla stessa giurisdizione esclusiva, in una prospettiva nella quale in realtà si perde il
rapporto tra causa ed effetto. Nel senso che sfugge (ma d'altra parte è poco rilevante) la
progressione stessa del fenomeno: se sia stata la trasformazione del giudizio di legittimità ad
imprimere un'accelerazione nel senso della trasformazione della giurisdizione esclusiva, o se sia
più vero il contrario, che cioè l'estensione del sindacato giurisdizionale sul rapporto tra
amministrazione e cittadino nasce proprio all'interno della giurisdizione esclusiva, che via via
perde la propria connotazione di somma di due giurisdizioni e si qualifica invece come forma
nuova di giurisdizione volta ad assicurare la pienezza della tutela giurisdizionale a tutte le
situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi) che rientrano nella cognizione del giudice unico
(36).
Nel solco delle linee direttrici appena tracciate, che segnano la mutazione del processo
amministrativo da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto, si inserisce altresì la trasformazione
dell'interesse legittimo da situazione giuridica meramente processuale a situazione giuridica di
natura sostanziale (37). D'altra parte, con la sintetica formula del passaggio da giudizio sull'atto a
giudizio sul rapporto, si fa riferimento alla generale tendenza che negli ultimi anni ha subìto una
sensibile accelerazione volta ad accordare anche all'interesse legittimo una tutela giurisdizionale
“piena”. E tale processo passa inevitabilmente attraverso una riqualificazione dell'interesse
legittimo come situazione giuridica sostanziale.
Il fenomeno sommariamente descritto può essere riletto nei termini che seguono: la giurisdizione
esclusiva nasce come giurisdizione del giudice amministrativo al quale si affida, oltre alla generale
giurisdizione di legittimità sugli interessi, anche la giurisdizione sui diritti, dalla cui cognizione è
escluso pertanto il giudice ordinario. L'intento, come detto, è quello di semplificare l'accesso alla
giurisdizione, l'effetto è quello di unire (dunque sommare) due diversi modelli di giudizio.
L'iniziale processo volto ad ampliare le forme e le modalità di tutela del diritto dinanzi al giudice
amministrativo, al fine di evitare disparità di trattamento con la tutela dei diritti dinanzi al giudice
ordinario, evidenzia l'asimmetria di tutela tra diritti ed interessi dinanzi al giudice amministrativo
come giudice unico e, implicitamente, marca il ruolo della giurisdizione esclusiva come somma
aritmetica di due giurisdizioni.
Il fenomeno parallelo, della trasformazione del giudizio di legittimità sull'atto amministrativo in
giudizio sul rapporto, che come detto implica una trasformazione dell'interesse legittimo da
situazione processuale in situazione giuridica sostanziale, tende ad accordare e a garantire anche
all'interesse legittimo una tutela giurisdizionale piena.
L'estensione del sindacato giurisdizionale sul rapporto tra amministrazione e cittadino all'interno
della giurisdizione esclusiva consente alla stessa di perdere la propria connotazione di somma di
due giurisdizioni, per qualificarsi invece come forma nuova di giurisdizione volta ad assicurare la
pienezza della tutela giurisdizionale a tutte le situazioni giuridiche soggettive (diritti e interessi)
che rientrano nella cognizione del giudice unico. Il giudice amministrativo (in funzione di giudice
unico) ha così piena cognizione sul fatto, può disporre di tutti i mezzi istruttori e mira a garantire
una piena tutela giurisdizionale, ai diritti come agli interessi.
3. L'affermazione della piena giurisdizione ha comportato il superamento dell'originaria
giustificazione della stessa giurisdizione esclusiva (cioè, come s'è detto, l'inestricabile intreccio di
situazioni giuridiche soggettive), a favore dell'affermazione dell'unicità del giudice amministrativo
in interi blocchi di materie, nelle quali l'inestricabile intreccio tra diritto e interesse è dovuto alla
circostanza che l'amministrazione operi sia secondo le norme di diritto pubblico, sia secondo le
regole del diritto privato (38).
In questo quadro normativo si colloca la citata sentenza della Corte costituzionale, la quale
riafferma la centralità dell'esercizio del potere ai fini dell'individuazione delle ipotesi di
giurisdizione esclusiva, con ciò appiattendo, secondo una certa lettura (39), la giurisdizione
esclusiva sulla giurisdizione di legittimità e riducendo sensibilmente il senso e la portata della
stessa come forma nuova di piena giurisdizione. Una sorta di ritorno alla somma aritmetica delle
due giurisdizioni, che nasce dalla constatazione secondo la quale, alla naturale giurisdizione di
legittimità del giudice amministrativo, si aggiunge, in particolari materie anche la giurisdizione sui
diritti, giustificata da quell'inestricabile intreccio tra le situazioni giuridiche soggettive che non
consente di individuare con facilità il giudice munito di giurisdizione: sul presupposto che la
difficoltà di qualificare la situazione giuridica del privato scaturisca dall'esercizio del potere.
In realtà, almeno secondo chi scrive, la Corte coglie nel segno quando afferma che il riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve fondarsi sulla distinzione tra
diritto e interesse e non c'è spazio, in questo sistema, per una giurisdizione basata su interi blocchi
di materie. Ma ciò non implica una rinuncia all'esigenza di garantire, anche dinanzi al giudice
amministrativo, la pienezza di tutela delle situazioni giuridiche. La sentenza della Corte
costituzionale, cioè, inaugura una nuova stagione per la giurisdizione esclusiva, nel senso che il
ritorno al passato non comporta la rinuncia all'esigenza di assicurare anche all'interesse legittimo
la pienezza di tutela; ma soprattutto sembra centrale nella ricostruzione della Corte, anche in
relazione alle osservazioni sin qui condotte, che, ai fini della individuazione delle ipotesi di
giurisdizione esclusiva, l'inestricabile intreccio di situazioni giuridiche soggettive deve essere
riconducibile all'esercizio del potere.
Ciò non esclude che l'asimmetria nella tutela dell'interesse legittimo rispetto al diritto soggettivo,
seppure fortemente ridotta, permanga. E si manifesta in più momenti: la disapplicazione dell'atto
amministrativo, da parte del giudice amministrativo, è ammessa solo a tutela del diritto; l'arbitrato
(introdotto nel 2000 dalla legge n. 205) è consentito solo per le controversie aventi ad oggetto
diritti (40). Nulla si dice in ordine al superamento della pregiudizialità amministrativa, nel caso in
cui si invochi la tutela risarcitoria del diritto soggettivo; mentre permane il conflitto tra le due
giurisdizioni (ordinaria e amministrativa) in ordine alla sussistenza della stessa pregiudiziale nel
rapporto tra azione di annullamento e risarcimento dell'interesse legittimo (41). Per altro verso, la
tutela risarcitoria dell'interesse legittimo ha cancellato la differenza più macroscopica nella
garanzia che l'ordinamento accordava alle due figure soggettive.
In altri termini, l'introduzione della risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi
conseguente all'illegittimo esercizio della funzione amministrativa, come corollario del principio
della effettività e della pienezza nella tutela dell'interesse legittimo, si fonda sulla scelta di
accordare una maggiore rilevanza all'art. 24 Cost. Sicché la pienezza di tutela dell'interesse ha
finito col prevalere sulle previsioni contenute agli artt. 100 e 113 della Costituzione che, come
detto all'inizio, fondavano il modello di giustizia amministrativa come delineatosi in epoca
prerepubblicana. Con il paradosso cui s'è fatto cenno: la pienezza di tutela dell'interesse legittimo
(dunque la sua risarcibilità) accosta sempre di più questa figura soggettiva al diritto, ma la forbice
si riallarga nuovamente ai fini del riparto di giurisdizione, che si fonda pur sempre sulla diversità
tra le due situazioni giuridiche soggettive.
Tutto ciò si presta ad una duplice lettura: da un lato, si può porre l'accento sulla conquista della
tutela risarcitoria dell'interesse legittimo e sull'affermazione della centralità nel sistema di giustizia
amministrativa dell'art. 24 Cost., rispetto agli artt. 100 e 113 Cost., legati ad un sistema di giustizia
speciale. Dall'altro, non v'è dubbio che la pienezza di tutela dell'interesse legittimo si afferma in un
sistema di giustizia amministrativa in cui è ancora centrale l'impugnazione del provvedimento
(anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva), sicché la stessa pienezza di tutela dell'interesse
legittimo sconta la prevalenza del regime speciale.
Sotto questo profilo, il mantenimento della pregiudiziale amministrativa, che i giudici
amministrativi continuano ad affermare, ne è un esempio paradigmatico: ed infatti, il Consiglio di
Stato, nella sentenza dell'Adunanza plenaria n. 12 del 2007, ove ribadisce la necessità del
preventivo annullamento dell'atto ai fini della tutela risarcitoria, ridimensiona la portata
dell'affermazione del giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto tra amministrazione e
privato, osservando che «pur in presenza dei commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale
e giurisprudenziale, in tema di “giudizio sul rapporto”, non può disconoscersi la natura
principalmente impugnatoria dell'azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di
tutelare l'interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si
confrontano e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l'azione amministrativa affinché si
realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l'uno e gli altri interessi».
4. Appare pertanto cruciale, ai fini di un migliore inquadramento delle questioni sin qui
prospettate, affrontare il tema della pregiudizialità amministrativa, cioè della necessaria
impugnazione dell'atto (e conseguente annullamento) ai fini della proposizione della tutela
risarcitoria dinanzi allo stesso giudice amministrativo: poiché si tratta di una questione che si
impone con forza non solo nella giurisdizione esclusiva, ma anche nell'ambito della giurisdizione
generale di legittimità (42).
In risposta alle osservazioni svolte dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 12 del 2007, è di
recente intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30254 del 2008, ove la Corte
riprende integralmente le osservazioni già svolte nelle note ordinanze gemelle del 2006,
aggiungendo un ragionamento ulteriore.
Anzitutto lascia intendere, attraverso una rinnovata ricognizione normativa, che non v'è traccia nel
nostro ordinamento di una disposizione esplicita che testimoni il favor del legislatore per l'istituto
della pregiudizialità, come invece disponeva il precedente art. 7 della l. TAR (43).
Richiama poi una serie di ipotesi in cui la preclusione all'esercizio della tutela demolitoria non
esclude l'accertamento dell'invalidità dell'atto non più impugnabile e pertanto non vanifica
l'accesso alla tutela risarcitoria. Il caso è quello dell'invalidità delle delibere delle società di
capitali (art. 2377 c.c.); ma anche quello della mancata impugnazione del licenziamento ai fini
della tutela risarcitoria: qui - osserva la Corte - se rimane precluso al lavoratore l'accesso al
risarcimento del danno consistente nella mancata percezione degli emolumenti, nulla esclude di
poter chiedere comunque il risarcimento di un diverso danno, conseguente in senso più ampio alla
condotta del datore di lavoro, sicché l'accertamento della antigiuridicità di quella condotta passa
comunque attraverso la verifica della illegittimità del licenziamento; infine la Corte richiama la
disciplina dell'art. 1453 c.c. secondo cui in caso di azione risarcitoria per inadempimento
contrattuale il preventivo accertamento dell'inadempimento è logicamente necessario ai fini della
tutela risarcitoria, ma ciò non rende necessaria un'ulteriore azione (o meglio una preventiva
azione) di accertamento, poiché, risolvendo una pregiudiziale in senso logico, il giudice, accertato
l'inadempimento del debitore, lo condanna al risarcimento; se invece accerta che il debitore non è
inadempiente, non accoglie la domanda attorea.
Il giudice del riparto conclude nel senso che non sempre e non necessariamente l'annullamento «è
in grado di procurare soddisfazione all'interesse protetto», come non mancano i casi in cui il danno
non deriva dall'atto, «ma dal ritardo con cui è stato emesso», sicché predicare la pregiudizialità in
queste ipotesi significa «postulare che l'interesse all'annullamento costituisca il tramite necessario
per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno».
La conseguenza è che, secondo la Corte, «la parte, titolare di una situazione di interesse legittimo,
se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione
amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella
demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice
amministrativo non è quello che l'atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente
annullato in sede giurisdizionale o amministrativa». Il presupposto per l'accesso alla tutela
risarcitoria, cioè, è l'illegittimità dell'atto, non il suo annullamento.
Così, ribadendo quanto già espresso nelle ordinanze del 2006, la Corte afferma che nel quadro
della legislazione vigente, la giurisdizione in materia di risarcimento danni da illegittimo esercizio
della funzione deve configurarsi come giurisdizione autonoma, che prescinde «dalle regole proprie
della giurisdizione di annullamento». Non esiste infatti una norma che «in modo esplicito
assoggetti ad un termine di decadenza la domanda di solo risarcimento del danno davanti al
giudice amministrativo». Dunque, la giurisdizione in materia di risarcimento danni da illegittimo
esercizio della funzione spetta al giudice amministrativo, ma è una giurisdizione autonoma, non
legata alla giurisdizione di annullamento. In tal modo, il giudice amministrativo non potrà più
rigettare la domanda di risarcimento, ove non preceduta dall'annullamento dell'atto illegittimo,
perché ciò si tradurrà in un rifiuto di esercizio della giurisdizione. E avverso tale rifiuto la Corte
ammette il ricorso ex art. 362 c.p.c., in linea con il dettato costituzionale che ammette il ricorso in
Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato «per motivi inerenti la giurisdizione» (art.
111 Cost.).
Sotto questo profilo, il parallelo con quanto accade in sede di giurisdizione contabile è immediato.
La questione attiene al sindacato che la Corte dei Conti può svolgere in sede giurisdizionale
sull'atto amministrativo, sindacato che è ammesso nell'ambito del giudizio sulla responsabilità
amministrativa, ferma restando «l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali» (art. 1
comma 1, l. n. 20 del 1994) (44).
La formula prescelta dal legislatore ha sollecitato il dibattito della dottrina, che ha evidenziato
come dall'accostamento delle due nozioni (merito e discrezionalità) possa desumersi che, se il
sindacato giudiziario deve arrestarsi ai confini del merito, a contrario si può affermare si tratta di
un sindacato di sola legittimità (45). Dire che la Corte dei Conti non può sindacare nel merito le
scelte discrezionali, equivale ad affermare che essa possa esercitare un sindacato di sola
legittimità. La conseguenza, sul piano logico, è che il sindacato della Corte dei Conti sull'atto
amministrativo ha la stessa estensione del sindacato del giudice amministrativo: ad entrambi è
precluso il giudizio sul merito (46). Ma se così è, il sindacato del giudice contabile sull'atto
amministrativo si svolge attraverso l'esame dei vizi di legittimità del provvedimento medesimo: è
cioè un sindacato che è volto all'accertamento della sussistenza dell'incompetenza, dell'eccesso di
potere o della violazione di legge (47).
Il problema si sposta così sul preventivo accertamento dell'illegittimità dell'atto, vicenda questa
che riguarda il rapporto tra la giurisdizione amministrativa e quella contabile, rispetto al quale s'è
da sempre parlato di indipendenza tra i due giudizi. In realtà, l'indipendenza tra i due giudizi non
deve essere interpretata nel senso che il giudice contabile possa condannare a titolo di
responsabilità amministrativa l'autore di un atto legittimo, ma nel senso, diverso, che lo stesso
giudice non è vincolato dal giudizio sulla legittimità dell'atto formulato dal giudice
amministrativo. Ciò che è legittimo per il giudice amministrativo, può non esserlo per il giudice
contabile: se il giudice amministrativo si è pronunciato sulla legittimità dell'atto, per il giudice
contabile tale pronuncia non è vincolante, poiché la legge lo autorizza a svolgere un sindacato
autonomo sull'atto, entro i limiti del sindacato di legittimità. Detto diversamente, l'indagine sui
presupposti per la sussistenza della responsabilità amministrativa presuppone necessariamente un
accertamento incidentale sulla legittimità dell'atto posto in essere dall'amministrazione.
Accertamento che il giudice contabile svolge con tempi e modalità autonomi rispetto all'esito del
giudizio di legittimità posto in essere dal giudice amministrativo.
Il giudice contabile e, allo stesso modo, il giudice amministrativo sono chiamati a compiere
un'indagine sulla legittimità dell'atto ai fini dell'accertamento della relativa responsabilità.
Nel senso che, il giudice amministrativo nell'esaminare una domanda di risarcimento del danno
provocato nell'esercizio di un potere amministrativo deve preliminarmente accertare se l'atto al
quale si riconduce il danno sia legittimo o illegittimo; si tratta di una verifica che può essere
condotta in sede d'azione di annullamento, ma anche in sede di azione risarcitoria, attraverso un
accertamento incidentale della legittimità dell'atto. Stante l'autonomia tra le due forme di
giurisdizione (quella di annullamento e quella risarcitoria), affermata nelle citate pronunce della
Corte di Cassazione, il giudice amministrativo in sede di azione risarcitoria svolge un giudizio di
responsabilità, esattamente come il giudice contabile. In un caso si tratta della responsabilità
dell'amministrazione verso il terzo, nell'altro è la responsabilità dell'agente verso
l'amministrazione. «L'essenziale è che ai fini della condanna per lesione di interessi legittimi è
cruciale l'accertamento della illegittimità dell'atto; così come nel processo contabile l'accertamento
della responsabilità non può prescindere dall'accertamento della illegittimità dell'atto posto in
essere dall'amministrazione» (48).
5. Qualche riflessione conclusiva. A partire dalla fine degli anni Ottanta, si è assistito ad un
progressivo fenomeno di erosione degli istituti di diritto pubblico, in forza di una preferenza che il
legislatore ha accordato agli strumenti di diritto privato, penetrati sia nei modelli organizzativi
della pubblica amministrazione, sia tra le modalità di azione della stessa. In tal senso si può
leggere il moltiplicarsi delle società per azioni miste e l'aziendalizzazione di taluni servizi da un
lato; nonché la partecipazione del privato all'azione amministrativa, sino alla conclusione di
accordi, DIA, conferenze di servizi, etc. dall'altro. Istituti, questi ultimi, previsti in generale dalla
legge sul procedimento amministrativo, che ha segnato una delle tappe fondamentali nel percorso
di “democratizzazione” della pubblica amministrazione (49).
Tutto ciò, tuttavia, se per un verso ha assicurato al privato il godimento di una serie di garanzie
che prima non gli erano riconosciute, è indubbio che ha comportato una profonda ibridazione del
diritto amministrativo, che ha perso buona parte dei propri tratti distintivi, per mescolarsi
confusamente ad istituti di diritto privato, applicati alle amministrazioni pubbliche secondo il
criterio della compatibilità.
In tale prospettiva va letta l'introduzione dell'art. 1, comma 1-bis, della l. 241/1990, ai sensi del
quale «la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo
le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».
La norma, cioè, ammette che l'amministrazione possa ricorrere al diritto privato al di fuori dei casi
in cui svolge un'attività autoritativa; e che la legge possa prevedere ipotesi nelle quali la p.a., pur
svolgendo attività regolate dal diritto privato, è soggetta a norme di diritto pubblico, che derogano
all'applicazione del diritto privato. Tralasciando, in questa sede, la difficoltà di distinguere ciò che
è espressione di attività autoritativa da ciò che non lo è (50), l'attenzione si appunta, invece, sulla
seconda parte della previsione in oggetto, secondo la quale, nell'ambito dell'attività non
autoritativa, l'amministrazione «agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge
disponga diversamente».
Il punto è: perché ipotizzare un regime derogatorio all'applicabilità del diritto privato, quando la
pubblica amministrazione opera alla stregua di un qualunque soggetto dell'ordinamento?
Il regime derogatorio è giustificato dal fatto che la pubblica amministrazione esercita una
funzione, cioè un'attività preordinata alla cura di un interesse pubblico che si esprime per mezzo di
un provvedimento. Può accadere che l'esercizio di una funzione avvenga attraverso moduli
negoziali (art. 11 legge n. 241/1990): in tal caso, pur essendo l'azione amministrativa soggetta alla
normativa privatistica, può essere necessario derogare a taluni principi di diritto privato a garanzia
del miglior perseguimento dell'interesse pubblico. Il caso, secondo un certo orientamento, è quello
del recesso dall'accordo per sopravvenute ragioni di pubblico interesse (51). Ma se l'attività non
autoritativa della p.a. è quella attività nella quale l'amministrazione agisce alla stregua di un
qualunque soggetto dell'ordinamento, non si coglie la ragione per la quale essa debba godere,
eventualmente, di un regime derogatorio. Si tratta infatti di una sfera di attività che non è riservata
alla pubblica amministrazione, pur essendo preordinata al perseguimento di un interesse: è il caso
in cui l'amministrazione stipula un contratto, eroga un servizio pubblico o si occupa della
manutenzione stradale (52). «Non sussiste infatti alcuna ragione per ritenere che l'amministrazione
pubblica parte di rapporto interprivato abbia una posizione giuridica diversa da quella che avrebbe
un soggetto solo privato» (53).
Viceversa, l'orientamento assunto dal legislatore negli ultimi vent'anni ha prodotto un risultato
aberrante: cioè, la rinuncia ad un diritto amministrativo speciale e l'introduzione asistematica e
irrazionale di modelli di diritto privato applicabili all'amministrazione in quanto compatibili, in
nome del perseguimento di un interesse pubblico che più che un dovere si è tradotto troppo spesso
in uno schermo che ha giustificato e continua a giustificare, come s'è visto, regimi derogatori per
le amministrazioni.
Tale processo ha prodotto la riduzione sempre più significativa della specialità del regime di
diritto amministrativo, che ha lasciato il campo ad un regime di diritto privato speciale per le
pubbliche amministrazioni.
Se poi dal piano del diritto sostanziale ci si sposta sul piano del diritto processuale e della
conseguente tutela giurisdizionale, le lacune e le anomalie del sistema sono ancora più evidenti.
Il principio della tutela risarcitoria dell'interesse legittimo costituisce l'approdo evidente della
tendenza degli ultimi anni a ricostruire il giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto tra
amministrazione e privato, piuttosto che come mero giudizio sull'atto. In tal senso si può
evidenziare una simmetria: la possibilità per l'amministrazione di ricorrere a strumenti di diritto
privato, in quanto soggetto di diritto che esercita la propria autonomia privata anche all'interno di
quello che tradizionalmente era l'ambito di esercizio del potere, si accompagna alla previsione di
una responsabilità per danni cagionati nell'esercizio della propria azione.
Inoltre, la previsione e il ricorso a modelli di azione mutuati dal diritto privato s'è spesso, se non
addirittura sempre, accompagnata alla previsione della giurisdizione esclusiva nella relativa
materia: per riprendere gli esempi citati, gli accordi tra amministrazione e privato, la disciplina
della dichiarazione di inizio di attività, la quantificazione dell'indennità in caso di revoca ecc.
Sul punto, è stato correttamente osservato che il «raggio di azione» della giurisdizione esclusiva
avrebbe potuto essere quello del provvedimento che fronteggia un diritto soggettivo, come il caso
dell'attività vincolata, ovvero il caso, accedendo alla distinzione tra norme d'azione e di relazione,
del provvedimento che viola una norma di relazione: nel senso che l'inestricabile intreccio tra
diritto soggettivo e interesse legittimo avrebbe potuto essere ricondotto a quelle ipotesi nelle quali,
pur in presenza di una attività che si manifesta attraverso l'esercizio del potere amministrativo,
fosse dubbia la qualificazione della situazione giuridica soggettiva vantata dal privato. Viceversa,
s'è preferito scegliere come materie oggetto della giurisdizione esclusiva quelle in cui
l'inestricabile intreccio derivava da una commistione tra attività di diritto pubblico e attività di
diritto privato (54). Con ciò gettando le basi per una giurisdizione esclusiva avente ad oggetto
interi «blocchi di materie» (nelle quali l'amministrazione agisce in parte secondo le regole del
diritto pubblico, in parte secondo i principi di diritto privato), per giungere poi ad una sorta di
corrispondenza biunivoca, tale per cui ove c'è attività di diritto privato della pubblica
amministrazione c'è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
A parte gli interventi della Corte costituzionale, che come detto hanno ridimensionato tale
tendenza, non c'è dubbio che la specialità del sistema ritorna, perché comunque, nonostante gli
sforzi della dottrina e della giurisprudenza, e nonostante i tentativi del legislatore, il giudizio
amministrativo continua ad essere un giudizio di impugnazione del provvedimento. Sicché, ad
esempio, l'impugnazione del provvedimento amministrativo, secondo la lettura offerta dal giudice
amministrativo, continua ad essere necessaria ai fini dell'accesso alla tutela risarcitoria.
Per altro verso, gli spazi di tutela giurisdizionale per il privato a fronte della attività
amministrativa soggetta a quello che è stato appena definito come un regime di diritto privato
speciale sono fortemente ridotti, proprio perché il giudizio amministrativo continua a fondarsi,
prevalentemente, sull'impugnazione del provvedimento: e ciò tanto nella giurisdizione generale di
legittimità, quanto nella giurisdizione esclusiva, posto che, come s'è tentato di chiarire, il tentativo
di fondare il riparto di giurisdizione su blocchi di materie, sul presupposto che il privato possa
godere dinanzi al giudice esclusivo della pienezza della tutela, è stato sensibilmente
ridimensionato dall'intervento della Corte costituzionale.
Tutto ciò impone un ripensamento sull'intero sistema di diritto amministrativo, processuale e
sostanziale: nel senso che o si spinge nella direzione della privatizzazione, ma nella prospettiva di
assoggettare le amministrazioni ad un regime di diritto privato puro, senza le alterazioni di cui s'è
fatto cenno, dotando, sul versante della tutela giurisdizionale, il giudice, che può essere lo stesso
giudice ordinario, di adeguati poteri e abbandonando pertanto la specialità del sistema. Ovvero, se
ancora riteniamo che il modello di diritto amministrativo vada preservato a garanzia dell'interesse
pubblico, occorre fare al contrario un passo indietro, per procedere ad una riconsiderazione degli
strumenti di azione dell'amministrazione, nella prospettiva che l'esercizio del potere non è solo
espressione dell'autorità amministrativa, ma garanzia di miglior cura dell'interesse pubblico. E per
altro verso, come già evidenziato, l'uso del diritto privato da parte delle amministrazioni non offre
maggiori strumenti di garanzie al cittadino.
Ecco perché, in tale prospettiva, l'affermazione o la negazione della pregiudizialità amministrativa
ai fini della tutela risarcitoria sembra avere il ruolo di ago della bilancia (55). Il Consiglio di Stato
continua a reputarla necessaria, perché costruisce il giudizio amministrativo come giudizio di
impugnazione del provvedimento, rispetto al quale la tutela risarcitoria è meramente
consequenziale. Viceversa, negarne la necessità può voler esprimere una preferenza per un
modello di giudizio (e più in generale per un modello di attività della pubblica amministrazione)
che tenda ad equiparare il pubblico potere al privato cittadino.
Ma la rinuncia alla pregiudiziale amministrativa può essere sorretta, almeno secondo chi scrive, da
altro ordine di considerazioni, che non necessariamente implicano la rinuncia ad un modello di
diritto amministrativo speciale.
L'esercizio dell'azione di annullamento è soggetto ad un termine: sessanta giorni per
l'impugnazione del provvedimento illegittimo, mentre nel diritto civile il termine per
l'annullamento del contratto è quello di prescrizione ordinaria pari a dieci anni. Decorso tale
termine il provvedimento amministrativo, come il contratto, non è più annullabile e si consolida
definitivamente l'assetto di interessi regolato da quel dato atto giuridico. Ciò non vuol dire, com'è
evidente, che l'invalidità dell'atto venga sanata dal mancato esercizio dell'azione di annullamento.
Vuol dire, invece, che nel bilanciamento tra due opposte esigenze, quella della tutela di una data
situazione giuridica potenzialmente lesa dall'atto annullabile e quella della certezza del diritto (56),
l'ordinamento opta per l'esigenza di assicurare la certezza e stabilità agli effetti giuridici prodotti
dall'atto annullabile (57). Ma ciò non esclude che, dei danni prodotti dal provvedimento
annullabile, l'amministrazione, che è soggetto responsabile ai sensi dell'art. 28 Cost., non possa e
non debba rispondere.
Diverso ordine di considerazioni sorregge la disciplina delle ipotesi di nullità dell'atto giuridico. In
tal caso, la difformità dell'atto rispetto alla legge è tanto grave da non potere essere accettata e
tollerata dall'ordinamento giuridico, che quindi risponde alla gravità della violazione con la più
grave delle sanzioni: l'atto nullo non produce effetti giuridici e il giudice si limita a prendere atto
della nullità, con una sentenza meramente dichiarativa. Da ciò l'imprescrittibilità dell'azione di
nullità, legata appunto al fatto che in ogni tempo deve essere consentito, a chiunque vi abbia
interesse, di far emergere la nullità dell'atto giuridico. L'esigenza di certezza del diritto, stavolta,
recede di fronte alla necessità di preservare i valori fondamentali dell'ordinamento giuridico,
sicché l'atto che è gravemente difforme dal parametro normativo e gravemente lesivo di tali valori
irrinunciabili non può essere tollerato dall'ordinamento medesimo.
Ciò significa che, in caso di annullabilità, l'ordinamento tollera al proprio interno atti che siano
difformi dal parametro normativo, ma che possano produrre effetti giuridici (58), esponendo
l'amministrazione che gli stessi atti ha adottato al risarcimento dei danni prodotti.
Significa altresì che, se la gravità della violazione è tale da non potere essere tollerata la sanzione
prevista diviene quella della nullità, che esclude la produzione dei relativi effetti giuridici (59).
Di più. L'introduzione del principio della risarcibilità dell'interesse legittimo nel nostro sistema di
diritto amministrativo tende a porre una relazione tra l'esercizio del potere amministrativo e
responsabilità civile della pubblica amministrazione, nel senso che espone l'amministrazione alla
tutela risarcitoria dei danni conseguenti all'illegittimo esercizio del potere.
A condizione però che si abbandoni la via della pregiudiziale amministrativa.
Fintantoché si continuerà a costruire il giudizio di responsabilità della pubblica amministrazione,
sia pure dinanzi al giudice amministrativo, come giudizio che si fonda sull'annullamento dell'atto
amministrativo, che è la forma tipica di manifestazione del potere, implicitamente si nega che
l'esercizio del potere medesimo possa dare luogo a responsabilità. Viceversa, la rinuncia al
preventivo annullamento dell'atto come presupposto per l'azione risarcitoria consente di affermare
che l'amministrazione è responsabile dei danni prodotti nell'esercizio del potere (60).
Senza che ciò, come detto, implichi la rinuncia alla necessità che il potere si eserciti attraverso
l'adozione di un provvedimento amministrativo.
Note:
(1) Il riferimento è al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, le cui norme, che individuavano le
ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle materie dei servizi pubblici, urbanistica ed edilizia (artt. 33,
34 e 35), sono state censurate dalla Corte costituzionale, per eccesso di delega (sentenza n. 292 del
2000), ma poi riproposte con la legge 21 luglio 2000, n. 205.
(2) La nota espressione è di F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell'interesse legittimo, Milano,
1990, 25.
(3) Sicché, ad esempio, è stata tradizionalmente rimessa alla giurisdizione esclusiva la materia
delle c.d. concessioni-contratto: in tema di concessioni si veda, a titolo esemplificativo, M.
D'Alberti, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche
amministrazioni, Napoli, 1981.
(4) Nella precedente formulazione del T.U. sul Consiglio di Stato, come nella legge TAR, al
giudice amministrativo non era riconosciuto un potere di condanna al risarcimento dei danni,
poiché anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva erano tuttavia devolute alla cognizione del
giudice ordinario le questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di
illegittimità dell'atto amministrativo. Tali questioni, secondo la migliore dottrina e secondo
l'interpretazione data dalla giurisprudenza, riguardavano «quelle pretese rispetto alle quali il
rapporto attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e dedotto in giudizio
non costituisce la fonte diretta e necessaria (causa petendi) della pretesa, ma solo il presupposto di
fatto “indiretto e occasionale” di una diversa situazione avente una sua autonoma qualificazione di
antigiuridicità». In una parola, si devono ritenere consequenziali «tutte le pretese al risarcimento di
danni derivanti dall'illegittimo comportamento dell'amministrazione» Cfr. M. Nigro, Giustizia
amministrativa, Bologna, 1983, 270. Ma, essendo devolute al giudice ordinario, cioè al giudice dei
diritti soggettivi, le questioni attinenti i «diritti patrimoniali consequenziali», non potevano che
riguardare la lesione di diritti soggettivi. Di conseguenza il giudice amministrativo non aveva il
potere di condannare l'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimità dei
suoi atti: e ciò, non solo, nell'ipotesi generale, relativa alla giurisdizione di legittimità, ma anche
nell'ipotesi eccezionale di giurisdizione esclusiva, nella quale cioè il giudice amministrativo è
giudice degli interessi, ma anche dei diritti.
(5) Ed infatti, l'art. 35 del d.lgs. n. 80/1998 prevedeva che «il giudice amministrativo, nelle
controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto». Tant'è cha la
nota sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 1999 ammette la risarcibilità dell'interesse
legittimo, ma ne assegna la relativa giurisdizione al giudice ordinario, proprio perché il giudice
amministrativo non aveva, in sede di giurisdizione di legittimità, il potere di condanna nei
confronti delle amministrazioni. Su tali questioni e, in generale, sulla sentenza n. 500 del 1999, la
cui bibliografia è sterminata, cfr. A. Romano, Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi
legittimi?, in Foro it., 1999, I, 3202; ibidemR. Caranta, La pubblica amministrazione nell'età della
responsabilità, 3201; ididemF. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi
all'affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte
lasca aperti alcuni interrogativi, 3212; ibidemE. Scoditti, L'interesse legittimo e il
costituzionalismo. Conseguenze della svolta giurisprudenziale in materia risarcitoria, 3226.
(6) L'art. 7 della legge n. 205/2000 ha stabilito che «Il Tribunale amministrativo regionale,
nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale
risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali consequenziali». Per un inquadramento generale delle questioni connesse al riparto di
giurisdizione dopo la legge 205/2000, si veda A. Romano, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione
amministrativa dopo la legge 205 del 2000. (Epitaffio per un sistema), in questa Rivista, 2001,
602.
(7) Al riguardo, si veda F.G. Scoca, Divagazione su giurisdizione e azione risarcitoria nei
confronti della pubblica amministrazione, in questa Rivista, 2008, 1.
(8) Cfr. M. Immordino - M.C. Cavallaro, La nullità del provvedimento amministrativo tra carenza
di potere in astratto e carenza di potere in concreto nella prospettiva dell'art. 21-septies l.
241/1990, in www.giustamm.it.
(9) «Il provvedimento illegittimo che produca danno ingiusto è altresì fatto illecito civile: a tal fine
esso è preso in considerazione dalla norma non più come atto, ma come condotta di un soggetto
produttiva di fatto illecito (civile), ossia abbiamo un accadimento che va anche oltre la digressione
dell'atto in fatto, poiché ai fini dell'illecito civile l'atto non si presenta neppur come tale, ma in
termini più ristretti, di condotta dell'agente»: M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo, III,
Milano, 1967, 196.
(10) N. Irti, Concetto giuridico di «comportamento» e invalidità dell'atto, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2005, 1059. Cfr. altresì G. Corso, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1993, secondo
cui l'invalidità di un atto deriva dalla violazione di norme che attribuiscono un “potere”; mentre
l'illiceità, che attiene ad una condotta, non all'atto, scaturisce dalla violazione di norme impositive
di obblighi.
(11) S. Romano, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1937, 309, per il quale
«di solito, la responsabilità sorge non per la semplice emanazione dell'atto illegittimo, ma per la
sua esecuzione, giacché, prima di questa, è difficile che un danno sia effettivamente risentito, il
che del resto non può escludersi in ogni caso». Secondo E. Casetta, L'illecito degli enti pubblici,
Torino, 1953, invece, il provvedimento illegittimo della p.a. costituisce l'evento-danno. Su tali
questioni sia consentito inoltre un rinvio a M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e responsabilità
civile, Torino, 2004, spec. 272.
(12) Il Consiglio di Stato ha da subito espresso questa posizione (Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio
2006, n. 2), mentre la Cassazione ha invertito la rotta nelle ordinanze del 2006 (Cass., Sez. un.,
ordd. 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; 15 giugno 2006, n. 13911).
(13) Non v'è dubbio, infatti, che il ritardo nella adozione di un provvedimento amministrativo sia
configurabile come comportamento: il problema è quello della riconducibilità dello stesso
all'esercizio del potere. Al riguardo è sufficiente il fatto che l'inerzia viene serbata all'interno di un
procedimento amministrativo, che per definizione è la sede entro cui si esercita il potere? La
questione meriterebbe ben altri margini di trattazione, in questa sede ci si limita a rinviare, anche
per la bibliografia ivi contenuta, a R. Rotigliano, Profili risarcitori dell'omesso o ritardato esercizio
della funzione pubblica, in questa Rivista, 2007, 747.
(14) La complessità di tale questione suggerisce un rinvio a M. Immordino - M.C. Cavallaro, La
nullità del provvedimento amministrativo, cit. e alla bibliografia ivi richiamata.
(15) Che, lo si ripete, sono Cass., Sez. un., ordd. 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; 15 giugno
2006, n. 13911.
(16) Si veda Corte cost., 27 aprile 2007, n. 140, riguardante «l'attribuzione tout-court al giudice
amministrativo della materia riguardante l'art. 1, comma 552, della l. 30 dicembre 2004, n. 330,
nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie
aventi ad oggetto le procedure aventi ad oggetto le procedure e i provvedimenti in materia di
impianti di energia elettrica».
(17) C.g.a.r.S., 28 gennaio 2009, n. 643: secondo la AUSL siciliana il trasferimento è divenuto
obbligato, dal momento che le cure mediche necessitate dal paziente possono ora essere erogate
dalla struttura siciliana (mentre prima le stesse cure potevano essere fruite dal paziente solo fuori
dalla Sicilia). Tuttavia, il C.g.a.r.s. esprime un diverso orientamento, tale per cui il “diritto alla
salute” è un «interesse di rango costituzionale, la cui forza espansiva non a caso può esigere
talvolta persino la utilizzazione di strutture sanitarie di altri Paesi». L'art. 26 l. n. 833/1978
consente prestazioni in strutture estranee alle AUSL di appartenenza nella sola eventualità che le
stesse “al momento del ricovero non fossero dotate di strutture proprie”: ma, osserva il C.g.a.r.S.,
«tale non è l'ipotesi all'esame, poiché la posizione del paziente non è quella di un “ricoverando”,
ma di un soggetto “ricoverato” da più di trent'anni che l'amministrazione pretende di trasferire,
essendo ora la AUSL di Caltanissetta dotata delle necessarie strutture operative. Equiparare di
peso le due diverse situazioni non appare invero possibile, poiché significherebbe sostanzialmente
legittimare uno spostamento coattivo di un soggetto indubbiamente debole, senza la pur minima
considerazione delle conseguenze sullo stato psichico del medesimo».
(18) In argomento si veda W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della
dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008; F. Vetrò, Il Consiglio di Stato fa il punto sulla natura
giuridica della Dia (Nota a margine di Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 717), in
www.giustamm.it; ibidemI. Impastato - V. Sanzo, La natura giuridica della d.i.a. tra tutela del
terzo e potere di autotutela; C. Celone, La “denunzia di inizio attività” per l'installazione di
infrastrutture di comunicazione elettronica. Alcune postille sul regime speciale e generale della
c.d. dia, in Nuove aut., 2008, 713; F. Liguori, La dichiarazione di inizio dell'attività edilizia. Le
complicazioni di una liberalizzazione, in www.giustamm.it.
(19) In argomento, M. Ramajoli, L'Adunanza plenaria risolve il problema dell'esecuzione della
sentenza di annullamento dell'aggiudicazione in presenza di contratto, in questa Rivista, 2008,
1165; nonché C.E. Gallo, Contratto ed annullamento dell'aggiudicazione: la scelta dell'adunanza
plenaria, in Foro amm.-C.d.S., 2008, 2364.
(20) Il tema del rapporto tra annullamento dell'aggiudicazione e sorte del contratto è stato
ampiamente trattato dalla dottrina e dalla giurisprudenza: si rinvia in argomento a S.S. Scoca,
Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, 2008, per gli ampi
riferimenti bibliografici.
(21) Il rapporto tra le due giurisdizioni (ordinaria e amministrativa) può essere inquadrato in vario
modo; si rinvia al riguardo a M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione. Apologia del diritto
amministrativo e del suo giudice, Napoli, 2008, 30 ss., che distingue tra giurisdizioni concorrenti,
separate, per optare, infine, per un modello di giurisdizioni separate «con nessi di coordinazione».
(22) La previsione è stata poi riversata nel Testo Unico sul Consiglio di Stato, r.d. 26 giugno 1924,
n. 1054, il cui art. 29 disponeva: - 1. Sono attribuiti all'esclusiva giurisdizione del Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale:1) i ricorsi relativi al rapporto d'impiego prodotti dagli impiegati dello
Stato, degli enti od istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza
dell'amministrazione centrale dello Stato o da agenti di ferrovie e tramvie concesse all'industria
privata ai sensi dell'art. 15 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2311, quando non si tratti di materia
spettante alla giurisdizione della Corte dei conti o a quella di altri corpi o collegi speciali.
(23) Sull'origine della giurisdizione esclusiva, si veda A. Romano, La giurisdizione amministrativa
esclusiva dal 1865 al 1948, in questa Rivista, 2004, 417, che riscontra le «prime tracce» della
giurisdizione del Consiglio di Stato sui diritti soggettivi a partire dall'art. 10 dell'allegato D della
legge del 1865.
(24) Sulle origini storiche del diritto amministrativo e sui due modelli continentale e anglosassone
si rinvia a S. Cassese, La costruzione del diritto amministrativo, in Trattato di diritto
amministrativo, I, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, spec. 89. Sulla tutela giurisdizionale del
privato nei sistemi di common law si veda L. Moccia, Modelli di tutela dei privati verso le
pubbliche amministrazioni nella comparazione “civil law-common law”: l'esperienza inglese, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 1021.
(25) Il modello di diritto amministrativo è tale perché consente la progressiva formazione di un
sistema di diritto amministrativo speciale, ove la tutela giurisdizionale del privato nei confronti
dell'amministrazione passa attraverso l'impugnazione (e dunque il controllo) degli atti
dell'amministrazione, per ottenerne l'annullamento dinanzi a un apposito giudice (che garantisca
cioè la specialità del sistema). Non c'è spazio per una tutela risarcitoria, che è invece l'unico
rimedio riconosciuto (almeno all'inizio) nei sistemi di common law, ove «il cittadino che ha subito
un danno dal comportamento illegittimo dell'amministrazione può solo rivalersi sul singolo
funzionario» (per effetto dell'immunità della Corona), S. Cassese, La costruzione del diritto
amministrativo, cit., 89. Su tali questioni, da ultimo, si veda M. Mazzamuto, Il riparto di
giurisdizione, cit., 10 ss., spec. 22 ove l'Autore sostiene che il modello italiano difficilmente può
trovare una adeguata collocazione tra i due modelli proposti e, ripercorrendo le posizioni espresse
dalla dottrina (da Orlando a Nigro), osserva come «il modello italiano viene estraniato dai sistemi
esistenti e collocato in una posizione a sé stante: appunto alla ricerca di un modello inesistente».
(26) Si veda al riguardo M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 10 ss.
(27) Cfr. sull'argomento, A. Pioggia, Giudice e funzione amministrativa, Milano, 2004, 55, la
quale osserva come prima ancora che, in materia di pubblico impiego, la giurisprudenza
enucleasse la categoria degli atti amministrativi paritetici, il giudice amministrativo esercitava i
propri poteri costitutivi sugli atti dell'amministrazione, senza distinzione tra atti amministrativi
lesivi di interessi e atti lesivi di diritti: la dottrina, infatti, ha parlato di una figura ibrida, «il diritto
a tutela impugnatoria». Fu poi la giurisprudenza ad introdurre quei distinguo tali per cui, se
l'attività è esercitata in forma autoritativa, si ha un interesse legittimo con conseguente tutela
impugnatoria, se invece l'attività non è espressione di un potere autoritativo, il privato gode di un
diritto soggettivo, al quale deve essere accordata una tutela piena ed esaustiva.
(28) M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 90.
(29) G. De Giorgi Cezzi, Processo amministrativo e giurisdizione esclusiva: profili di un diritto in
trasformazione, in questa Rivista, 2000, 696, spec. 768.
(30) Questa è la posizione di A. di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 377-378.
(31) Così, ad esempio, Corte cost., 28 giugno 1985, n. 190; Corte cost., 23 aprile 1987, n. 146;
Corte cost., 18 maggio 1989, n. 251.
(32) Ancora G. De Giorgi Cezzi, op. ult. cit., 768-769.
(33) Oggi il caso più noto di giurisdizione di merito è dato dai poteri del giudice dell'ottemperanza
e la coincidenza iniziale tra giurisdizione di merito ed esclusiva si è fortemente ridotta, perché alle
nuove ipotesi di esclusività della giurisdizione non si è più accompagnata la previsione di poteri di
cognizione anche nel merito. Sul punto si rinvia ancora una volta a G. De Giorgi Cezzi, op. loc.
ult. cit., secondo la quale «la scelta di attrarre nella giurisdizione di merito talune materie piuttosto
che altre risponde a criteri disomogenei, adottati in tempi diversi, senza alcuna apparente ragione
giuridica». Ad esempio oggi un caso di coincidenza tra poteri di cognizione nel merito e
giurisdizione esclusiva è previsto dall'art. 21-septies, 2º comma, delle l. n. 241 del 1990, che
assoggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il regime della nullità del
provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato. Si veda, inoltre, A. Romano, La
giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, cit.
(34) G. De Giorgi Cezzi, op. loc. ult. cit.; ma soprattutto in argomento A. Police, Il ricorso di
piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, Padova, 2001.
(35) In tal senso si era già espresso A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano,
1962, ma la riflessione più completa in argomento si deve a G. Greco, L'accertamento autonomo
del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980.
(36) Ciò detto, il processo di cambiamento che ha investito il giudizio di impugnazione è segnato
da una serie di tappe che (nella ricostruzione fatta dalla dottrina) hanno trasformato le modalità di
esercizio del sindacato giurisdizionale sull'atto, sino ad arrivare ad una cognizione sul fatto e,
dunque, sulla vicenda che vede protagonisti la pubblica amministrazione e il privato. La
progressiva dilatazione del potere di cognizione del giudice amministrativo risente della
estensione della nozione di legittimità dell'atto, non più riferita al solo paradigma normativo che
fonda l'esercizio del potere, ma estesa ai più generali principi di imparzialità e buon andamento,
oggi sinteticamente rielaborati nella nozione di “buona amministrazione”. E ancora più incisiva,
nella direzione di una dilatazione della nozione di legittimità, appare la rilettura del vizio di
eccesso di potere e del conseguente sindacato sullo stesso. Da sviamento di potere a vizio della
funzione amministrativa, il cui sindacato è stato possibile attraverso la enucleazione delle c.d.
figure sintomatiche (per la individuazione delle quali si rinvia a G. Corso, Manuale di diritto
amministrativo, Torino, 2008, 329 ss.), prima individuate attraverso un giudizio di non conformità
dell'atto alla legge: così la contraddittorietà della decisione rispetto all'istruttoria o il difetto di
motivazione. Oggi la dottrina più attenta ha sottolineato come l'ingresso di nuove figure
sintomatiche quali la manifesta illogicità o irragionevolezza, nonché la non proporzionalità tra il
sacrificio inflitto al privato e la cura dell'interesse pubblico (tema su cui si rinvia a D.U. Galetta,
Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998;
S. Villamena, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento comunitario,
italiano e inglese, Milano, 2008), testimoni la trasformazione dell'eccesso di potere in vizio che
scaturisce dalla violazione dei principi che conformano l'azione amministrativa: sicché anche
l'eccesso di potere, come la violazione di legge, è un vizio «ad accertamento diretto» (F.G. Scoca M. D'Orsogna, L'invalidità del provvedimento, in F.G. Scoca, Diritto Amministrativo, Torino,
2008, 311). L'esigenza di ampliare la cognizione del giudice amministrativo, estendendola anche
al fatto e, dunque al rapporto tra amministrazione e privato, è legata inoltre all'ingresso di interessi
nuovi che vengono in diversa misura coinvolti o pregiudicati dall'azione amministrativa: tali
interessi entrano prima nel procedimento amministrativo, attraverso gli istituti di partecipazione
positivizzati nella legge n. 241/90, ma entrano altresì nel processo amministrativo attraverso la
regola del contraddittorio. La decisione del giudice di «allargare la legittimazione al ricorso», alle
associazioni di categoria titolari ad esempio di interessi diffusi, ovvero quella di segno opposto di
restringerla, come è avvenuto nel caso delle associazioni di consumatori alle quali è stata negata la
qualifica di litisconsorti necessari (Consiglio di Stato, Ad. plen., 11 gennaio 2007 nn. 1 e 2, in
Giorn. dir. amm., 2007, 626 con nota di M.C. Cavallaro, Intervento e opposizione di terzo nel
giudizio di appello: un'occasione mancata per fare chiarezza), «garantisce la maggiore o minore
ampiezza dello spettro di confronto fra gli interessi e funge da tramite indispensabile per
l'enucleazione della rilevanza della partecipazione dei cittadini ai pubblici poteri», G. De Giorgi
Cezzi, op. ult. cit., 732.
(37) In argomento la bibliografia è sterminata: si rinvia pertanto a titolo meramente
esemplificativo a F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell'interesse legittimo, Milano, 1990; più di
recente si veda L. Iannotta, L'interesse legittimo nell'ordinamento repubblicano, in questa Rivista,
2007, 935.
(38) Da qui, la previsione della giurisdizione esclusiva in tema di servizi pubblici, urbanistica ed
edilizia, secondo la previsione contenuta nel decreto legislativo n. 80/1998, previsione
unanimemente considerata come naturale conseguenza del trasferimento della giurisdizione sul
pubblico impiego dinanzi al giudice ordinario, a seguito del processo di privatizzazione che ha
investito l'intero settore.
(39) Tra i commenti della dottrina alla sentenza della Corte costituzionale si vedano, a titolo
esemplificativo, V. Cerulli Irelli, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza n. 204
del 6 luglio 2004 (osservazioni a primissima lettura), in questa Rivista, 2004, 799, e ibidemR.
Villata, Leggendo la sentenza n. 204 della Corte costituzionale. Cfr. inoltre L. Mazzarolli, Sui
caratteri e i limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l'ambito,
ibidem 2005, 214; A. Travi, La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 d.lgs. 31 marzo
1998 n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, in Foro it., 2004, I,
2599; ibidem, F. Fracchia, La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione
«esclusiva» alla giurisdizione de giudice amministrativo; M.A. Sandulli, Un passo avanti e uno
indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, ma non può giudicare dei diritti (a prima
lettura a margine di Corte cost. n. 204 del 2004), in Riv. giur. edilizia, 2004, 1230; F.G. Scoca,
Sopravviverà la giurisdizione esclusiva?, in Giur. cost., 2004, 2209; infine A. Police, La
giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, in Giorn. dir. amm.,
2004, 974.
(40) In tema di arbitrato nei rapporti tra amministrazione e privati si veda A. Zito, La
compromettibilità per arbitri con la pubblica amministrazione dopo la legge n. 205 del 2000:
problemi e prospettive, in Dir. amm., 2001, 343; in generale M. Vaccarella, Arbitrato e
giurisdizione amministrativa, Torino, 2004.
(41) Si veda, da ultimo, in tema di pregiudizialità, il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di
Cassazione, emerso nelle rispettive sentenze Cons. Stato, Ad. plen., 22 ottobre 2007, n. 12 e Corte
Cass., Sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254.
(42) La bibliografia in argomento è già vasta: si veda G.D. Comporti, Pregiudizialità
amministrativa: natura e limiti di una figura a geometria variabile, in questa Rivista, 2005, 280;
più di recente R. Villata, Pregiudizialità amministrativa nell'azione risarcitoria per responsabilità
da provvedimento?, in questa Rivista, 2007, 271; F. Francario, Degradazione e pregiudizialità
quali limiti dell'autonomia dell'azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in
Dir. amm., 2007, 441.
(43) Ai sensi del quale anche nelle ipostesi di giurisdizione esclusiva, erano comunque assegnate
al giudice ordinario le questioni attinenti «i diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di
illegittimità dell'atto amministrativo»; mentre l'odierno art. 7 parla di giurisdizione del TAR per le
questioni relative al risarcimento dei danni e agli altri «diritti patrimoniali consequenziali».
(44) Si può osservare che l'esclusione del sindacato della Corte dei Conti implica l'esclusione della
stessa giurisdizione della Corte dei Conti, in quanto da quella condotta non scaturisce una
responsabilità amministrativa su cui il giudice contabile possa e debba effettuare il proprio
controllo. Nel senso che non è configurabile un danno erariale prodotto da una condotta su cui la
Corte non possa esercitare il proprio sindacato: sicché, se il giudice si arresta dinanzi
all'insindacabilità di una condotta è perché quella condotta non può produrre un danno. D'altra
parte, l'insindacabilità della condotta esclude responsabilità amministrativa perché manca uno dei
presupposti dell'illecito, cioè la stessa antigiuridicità della condotta. Queste considerazioni sono
svolte in G. Corso - M.C. Cavallaro, Il sindacato giurisdizionale della Corte dei Conti sull'atto
amministrativo, in corso di pubblicazione su Nuove aut., 2009, fasc. 1.
(45) G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit.
(46) In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale
la formula legislativa - «insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali» - è sinonimo di
inammissibilità del sindacato di merito e, correlativamente, di ammissibilità del sindacato di
legittimità, con la conseguenza che il limite della insindacabilità dell'atto segna anche il limite
della giurisdizione contabile: sicché l'art. 1 della l. 20/94 deve essere inteso nel senso di definire
l'ambito della giurisdizione del giudice contabile a garanzia della “riserva di amministrazione”:
Cass., Sez. un., 25 gennaio 2006 n. 1378.
(47) Per altro verso, l'accertamento dell'illegittimità dell'atto amministrativo non è oggetto soltanto
di un potere, ma è anche oggetto di un dovere o di un onere. Nel senso che, se il danno erariale
scaturisce dalla adozione di un provvedimento amministrativo, la Corte dei Conti deve
preliminarmente accertare se si tratta di un provvedimento legittimo o illegittimo. Solo in questo
secondo caso - cioè nel caso di accertata illegittimità dell'atto - sussiste quella antigiuridicità in
assenza della quale manca anche l'illecito amministrativo, ossia il fatto da cui discende la
responsabilità amministrativa: in tal senso ancora G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit.
(48) così G. Corso - M.C. Cavallaro, op. ult. cit.
(49) In termini assai generali, a testimonianza del dibattito che ha animato la dottrina prima della
legge n. 241/1990, merita di essere ricordato il saggio di R. Marrama, La pubblica
amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell'organizzazione e nel procedimento, in questa
Rivista, 1989, 416.
(50) Cfr. al riguardo quanto sostenuto in M.C. Cavallaro, Pubblica amministrazione e diritto
privato, in Nuove aut., 2005, 39; sull'art 1, comma 1-bis, della l. 241/1990, D. De Pretis, L'attività
contrattuale della p.a. e l'art. 1-bis della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le
regole del diritto privato e il principio di specialità, in www.giustamm.it; ibidem, L. Iannotta,
L'adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato.
(51) Cfr. sull'argomento M. Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell'affidamento,
Torino, 1999.
(52) In termini generali, tutta l'attività amministrativa è preordinata alla cura di un interesse
pubblico: tanto l'adozione del provvedimento, quanto la stipula di un contratto, l'erogazione di un
servizio pubblico o la manutenzione stradale. La differenza sta nel fatto che l'adozione di un
provvedimento è espressione di un'attività che l'ordinamento riserva all'amministrazione, per ciò
soggetta ad un regime speciale; il servizio di trasporto, la manutenzione di una strada o la stipula
di un contratto sono manifestazioni di un'attività che l'amministrazione svolge al pari di qualunque
altro soggetto dell'ordinamento. L'eventualità di un regime derogatorio in tali ipotesi potrebbe
tradursi in un incomprensibile privilegio per la stessa amministrazione: si potrebbe infatti limitare,
ad esempio, la responsabilità dell'amministrazione per i danni causati per mancata manutenzione
stradale; ovvero esonerare la stessa amministrazione da responsabilità precontrattuale in ipotesi di
stipula di contratto. Sull'argomento si rinvia, in termini generali, a B.G. Mattarella, L'attività, in
Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, I, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, 701. Sul
tema dei rapporti tra pubblica amministrazione e diritto privato si veda, C. Marzuoli, Principio di
legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982; nonché F.G.
Scoca, Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431; F. Trimarchi Banfi, Il diritto privato
dell'amministrazione pubblica, in Dir. amm., 2004, 666; ibidem, V. Cerulli Irelli, Note critiche in
tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, 649; nonché G. Greco, Accordi e
contratti della pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, in
Dir. amm., 2002, 413.
(53) M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, 785.
(54) La lettura qui proposta si deve a M. Mazzamuto, Il riparto di giurisdizione, cit., 88 ss. In
generale, sulle origini della giurisdizione esclusiva il rinvio è ancora a A. Romano, La
giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, cit.
(55) In senso analogo L. Moscarini, Attualità e delimitazione della categoria degli interessi
legittimi, in Riv. trim. dir. civ. 2008, 1133.
(56) In tema di certezza del diritto si veda M. Immordino, Certezza del diritto e amministrazione
di risultato, in Principio di legalità e amministrazioni di risultato, a cura di R. Immordino e A.
Police, Torino, 2004, 15. Nonché F. Merusi, La certezza del diritto fra tempo e spazio, in Dir.
amm., 2002, 527.
(57) E la previsione dell'art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, che individua i casi di non
annullabilità dell'atto vincolato in ipotesi di vizi di mera forma o procedura e il caso di non
annullabilità del provvedimento (vincolato o discrezionale) che manchi della preventiva
comunicazione di avvio del procedimento, conferma tale assunto.
(58) Sul rapporto tra validità ed efficacia si veda G. Corso, Validità (dir. amm.), cit.
(59) Sotto tale profilo sia consentito esprimere una precisazione: la tesi della illegittimità del
provvedimento come annullabilità fu sostenuta da M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia
amministrativa, I, in Riv. dir. proc., 1963, 522, secondo cui la giurisprudenza, tra le tante strade
percorribili, optò per la via della equiparazione, nel senso che l'atto illegittimo è equiparato a
quello legittimo e pertanto produce effetti fintantoché non venga rimosso dall'ordinamento.
Tuttavia, come correttamente osservato, l'indicazione dell'atto illegittimo come annullabile
proviene dal diritto positivo, poiché l'art. 45 del r.d. n. 1054/1924 espressamente dispone che
accogliendo il ricorso, il giudice «annulla l'atto» G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, cit.,
319. Sicché, l'equiparazione non è frutto di una scelta giurisprudenziale, ma è conseguenza del
regime giuridico dell'atto annullabile: anche il contratto annullabile produce cioè effetti finché non
venga rimosso dal giudice. Si veda sul punto R. Villata - M. Ramajoli, Il provvedimento
amministrativo, Torino, 2006, 386.
(60) Stesso ordine di considerazioni è stato già svolto in M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e
responsabilità civile, cit.
Utente: Univ. degli Studi di Bologna Univ. degli Studi di Bologna
www.iusexplorer.it - 05.02.2015
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