Università Popolare di Torino Lezioni 9-15; anno 2015 4.1 - I Parti Una regione denominata Parthava ubicata nell'Asia centrale è presente nei documenti achemenidi del VI sec a.C. ed è citata dallo scrittore greco Erodoto il secolo successivo a fianco della Corasmia, della Sogdiana e dell’Aria in qualità di satrapia dell'impero persiano. Le informazioni relative alla popolazione insediata in tale regione sono molto evanescenti, ma è probabile che si trattasse di popolazioni sedentarie organizzate per grandi villaggi, dedite al commercio e all'agricoltura. Nel 238 a.C. gli equilibri furono sconvolti dall'affacciarsi all'orizzonte di un popolo di cultura nomade facente parte della confederazione dei Dahae che gli autori antichi ricordano col nome di Parni o Aparni. Dopo essersi insediate nella regione, queste tribù passarono gradatamente dal nomadismo ad uno stato sedentario facendo perno sulla regione a oriente dell’Ircania dove costruirono la loro prima capitale, Nisa (non lontano dall'attuale Ashkabad). Secondo le ipotesi più recenti, i Parni parlavano una lingua iranica orientale e il loro nome fu in seguito pronunciato come «Parti». È bene premettere che la regione, ellenizzata da Alessandro Magno, alla morte del sovrano era stata affidata al governatore greco della Media, Peithon, una delle guardie del corpo del re macedone (nel 323 a.C.). Peithon aveva aperto le ostilità contro il legittimo governatore della satrapia della Parthia, imponendo il fratello Eudemo. Tale atto 63 unilaterale fu visto come estremamente pericoloso dagli altri diadochi e in particolare da Seleuco I Nicatore (321-280 a.C.) che, coalizzatosi con altri dignitari e sovrani locali lo attaccò militarmente. Peithon cercò di reagire appoggiandosi ad un antagonista di Seleuco, Antigono Monoftalmo il quale, per tutta risposta, lo fece giustiziare. L'instabilità dei regni ellenistici nati sulle ceneri del grande impero di Alessandro è nota; in Battriana, il generale Diodoto I (256-235 a.C.), quattro anni prima di morire, aveva tentato di sottrarsi al controllo dei Seleucidi, e un progetto analogo era tra le mire del satrapo della Parthia, Andragora, ma i piani furono resi vani dall'attacco inaspettato dei Parni. Il regno che questi ultimi riuscirono a costruire fu denominato «arsacide» dal nome del condottiero Arsace I (247-217 a.C.). L'espansione dei Parti negli ampi territori appartenuti al regno di Alessandro fu facilitata dal fatto che il successore di Seleuco I di Siria, Seleuco II Callinico (246-255 a.C.), si trovò impossibilitato ad intervenire a causa dei 64 continui contrasti militari con l'Egitto dei Tolomei e per i notevoli sforzi che doveva concentrare per osteggiare le pretese del fratello Antioco Ierace. Saggiamente, i Parti evitarono di provocare lo scontro diretto con Seleuco II, asserragliandosi nelle regioni impervie più orientali; tuttavia, quando in seguito i Seleucidi furono costretti a ritirarsi, tornarono ad occupare gran parte dell'odierno Iran nord-orientale compresa la Comisene (ubicata non lontano da Damghan). Appare dunque evidente come per i Seleucidi la parte orientale dell'impero fosse irrimediabilmente perduta, tanto più che nel 239 a.C. la Battriana si era proclamata indipendente e le satrapie dell’Aracosia e della Gedrosia erano state perse sin dal 305 a.C. in quanto acquisite dalla nuova dinastia indiana dei Maurya (322-182 a.C.), e più precisamente dal suo fondatore, Ciandragupta (324-300 a.C.) La profonda crisi dell'impero seleucide fu temporaneamente rallentata dall'ascesa al trono di Antioco III il Grande (233-186 a.C.) che reagì intraprendendo una campagna in Persia allo scopo di sedare le numerose rivolte scoppiate nel territorio iranico, nel tentativo di ridare – al contempo – smalto al regno seleucide. Tale impresa (passata alla storia con il nome di Anabasi di Antioco) permise ai greci di controllare la Persia e parte della Parthia quando era re Arsace II (217-191 a.C.) e a stipulare un trattato di non belligeranza con il regno greco-battriano e gli stessi Maurya. I successi militari di Antioco III furono tuttavia vanificati dalla grande sconfitta militare subita da parte dei Romani a Magnesia nel 189 a.C. così che, ogni pretesa da parte dei Seleucidi sull'Oriente fu ridimensionata. Rafforzatisi al tempo di Fraate I (176-171 a.C.), i Parti riaprirono le ostilità contro i siriani, dando il via ad una politica che sarebbe stata consolidata dal fratello minore di Fraate I, Mitridate I (171-139 a.C.), il primo sovrano partico a coniare monete che segnarono in modo definitivo la totale indipendenza della Persia dai Seleucidi. Al tempo di Mitridate I, i greci furono totalmente espulsi dalla Persia e la loro posizione in Mesopotamia fortemente compromessa. Imbaldanzito, il sovrano arsacide rivolse le sue attenzioni al confine orientale del suo dominio, effettuando spedizioni nel regno greco battriano e cercando di contenere, al tempo, le minacciose popolazioni nomadi iraniche dei Saka. Non bisogna dimenticare che nell'Asia centrale, a causa di grandi rivolgimenti politici e etnici, attorno 50 a.C. andò a formarsi il primo nucleo dell'impero Kushana proprio nella regione dell'Afghanistan (Battriana) indebolito dalle invasioni nomadiche e recentemente sgomberato dei greci. Con la morte in battaglia del re seleucide Antioco VII Sidete, Mitridate II (124-37 a.C.) fu in grado di espandere il proprio regno in Mesopotamia, dove scelse come capitale Seleucia/Ctesifonte sul Tigri, dalla quale si spinse fino in Armenia, attorno al 110 a.C. Durante il suo passaggio ebbe modo di saccheggiare anche la Siria tra il 93 e il 92 a.C. e nuovamente nell'88 a.C. Qualche anno prima, nel 96 a.C., una sua delegazione guidata dal generale Orobazo si era incontrata con il generale Silla, impegnato in Oriente contro il re del Ponto Mitridate VI Eupatore (121-63 a.C.). Altre ambascerie giunsero a Mitridate dall'impero cinese degli Han occidentali (202 a.C.-9 d.C.) e nello specifico dal governatore Zhang Qian stanziato nella Battriana, che cercava alleati contro la temibile confederazione di tribù nomadi nota con il nome di Xiongnu. Gli ambasciatori si presentarono a corte carichi di doni destinati a Mitridate II tra cui, è lecito presumere, un certa quantità di seta. Nel 69 a.C. i Romani – attivi in Anatolia tramite Lucullo – sottoscrissero con Mitridate II un trattato di non belligeranza, poi rinnovato da Fraate III e da Pompeo nel 66 a.C. Il peggioramento della situazione fu segnata dalla proverbiale e sfortunata impresa di Marco Licinio Crasso che, nel 53 a.C., condusse una campagna di guerra contro il nuovo re partico Orode II (58-38 a.C.). Un agguerrito esercito guidato dal generale partico Surena fu in grado di avere ragione dell'esercito romano presso Charrae (l’attuale Haran in Turchia) ed i Romani, travolti dall'esercito catafratto, subirono anche l’onta della perdita delle insegne. Secondo quanto riferito dalle fonti occidentali, nella sfortunata battaglia di Charrae, i Romani ebbero per la prima volta l'occasione di osservare le sete cinesi con cui erano realizzati gli stendardi degli avversari. In effetti, il commercio dei Parti con la Cina si era consolidato, anche grazie al 65 fatto che l'imperatore cinese Xuandi (7449 a.C.) era stato in grado di sottomettere stabilmente la zona desertica del bacino del Tarim (attuale regione cinese del Xinjiang) espellendo gli Xiongnu e rendendo sicuro il passaggio lungo la cosiddetta Via della Seta. Resisi conto dell'interesse da parte dei mercanti occidentali per questo prezioso tessuto, gli Arsacidi cercarono di impedire in ogni modo un incontro tra gli ambasciatori Han e i Romani, in modo tale da mantenere il controllo dei traffici commerciali con la Cina. Nel 47 a.C. Cesare condusse una serie di manovre in Anatolia e in Siria per riportare l'ordine nel Ponto, dove il figlio di Mitridate VI Eupatore, Farnace II, stava cercando di ricostruire l'impero paterno, pur senza grandi risultati. Dopo l'ennesima vittoria, Cesare progettò forse di ampliare i confini romani a svantaggio dei Parti ma non poté mettere in pratica il progetto venendo assassinato nel 44 a.C. da un gruppo di congiurati. Questi ultimi, rifugiatisi nel frattempo in Anatolia, furono raggiunti dall'esercito di Ottaviano e sconfitti a Filippi in Macedonia (42 a.C.), non prima di aver tentato di ottenere l'alleanza di Orode II. Il re arsacide aveva allestito tre potenti eserciti con i quali raggiunse la Siria, la Fenicia la Giudea allo scopo di procurarsi un accesso diretto al Mediterraneo. Marco Antonio (83-30 a.C.) – nel periodo nel quale intratteneva ancora buoni rapporti con Ottaviano all'interno del triumvirato – inviò in Oriente il generale Publio Ventidio Basso (85-26 a.C.) al fine di contenere l’avanzata degli Arsacidi. I Parti 66 furono sconfitti sia nel 39 a.9 che nel 38 a.C. e dovettero abbandonare le postazioni occidentali. Incoraggiato dei risultati ottenuti, Marco Antonio stesso tentò di sottomettere i Parti con una grande campagna militare, senza però ottenere i risultati che si aspettava. Quando, eliminati Marco Antonio e Cleopatra, Augusto riuscì a ottenere il principato – nel 29 a.C. – preferì imporre un trattato al re arsacide Fraate IV (38-2 a.C.) riuscendo ad ottenere in cambio le insegne che i Parti avevano sottratto a Crasso e a far rientrare in patria i prigionieri ancora detenuti presso i nemici. Secondo l’uso dell'epoca, i figli del re Fraate IV furono invitati a studiare a Roma e venne redatto un nuovo trattato per stabilire i confini delle due potenze, benché rimanesse ancora aperto il problema relativo alla successione del trono d'Armenia. In questa fase storica, i Parti si dimostrarono particolarmente disponibili ad accettare le richieste di Roma a causa dell'indebolimento interno della propria monarchia, in parte derivato dalla pressione esercitata dei popoli nomadi lungo i confini orientali dell'impero. Un problema molto sentito era la minaccia rappresentata a oriente del misterioso impero dei Kushana (50 a.C.-233 d.C.). Molti punti oscuri sussistono ancora su questa popolazione la cui origine sembra connettersi a quella del popolo nomade degli Yuezhi (questo è il nome con cui essi appaiono nelle fonti cinesi) di cui costituivano una delle cinque tribù principali. Stabilitisi in Battriana dove si erano fusi con la popolazione precedentemente ellennizzata, i Kush riuscirono a impadronirsi delle terre appartenute fino al I secolo d.C. agli indoparti (in particolare del Gandahara) per poi volgere le proprie attenzioni alle regioni fertili dell'India nord-occidentale fino a inglobare tutta la pianura del Gange. Sembra possibile che Augusto abbia ricevuto qualche ambasceria dell'India, forse proprio dai Kushana, un fatto che poteva costituire un motivo d'allarme per gli Arsacidi che, in caso di accordo tra le due potenze si sarebbero trovati come stretti tra due fuochi. Superato il periodo di crisi interna legato alla successione, arsacide mentre regnava a Roma Tiberio, salì al trono Artabano II (10-38 d.C.). Tiberio aveva deciso di intervenire in maniera decisa sia in Armenia, sia in alcune zone dell’Anatolia minacciate dalla prossimità della frontiera partica. Nonostante l'efficienza dell'esercito romano, il problema armeno non fu mai risolto e le frontiere dell’Armenia rimasero sempre contese tra Roma e il regno partico. Alla morte di Artabano II fece seguito un periodo di instabilità interna fino a quando salì al potere Vologese I (51-80 d.C.). Il suo regno fu funestato da rivolte interne e da scontri con Roma, ma Vologese fu in grado di mantenere integri i confini del regno, continuando a far valere le pretese arsacidi sull’Armenia, firmando poi un trattato di pace con Nerone (54-68 d.C.), che lo invitò con il suo seguito in visita a Roma. Grazie a ciò Vologese riuscì a porre un sovrano arsacide gradito anche ai Romani in Armenia. La situazione si complicò con il nuovo re, Osroe (108-128 d.C.), che decise di intervenire militarmente in Armenia. Traiano, venuto a conoscenza della difficile situazione di politica interna attraversata del regno partico, non si lasciò sfuggire l'occasione per intervenire: le armate partiche non furono in grado di offrire alcune resistenza, e i Romani dilagarono in Mesopotamia fino al Golfo Persico. Anche la capitale Ctesifonte fu conquistata, ma non sembra che i Romani siano stati in grado di conquistare Hatra, la città a prevalente presenza semita che costituiva il più importante alleato commerciale e politico del regno arsacide. Traiano fu dunque in grado di istituire una «provincia di Mesopotamia», ma le sue conquiste furono abbandonate poco tempo dopo da Adriano, interessato a ridimensionare i confini dell'impero, a consolidarlo e a riorganizzarlo. Traiano spirò in Cilicia, lungo la via del ritorno, nel 138 d.C. Adriano era interessato a limitare la conflittualità per poter meglio controllare altri fronti più caldi; gli Arsacidi erano parimenti interessati a una pace con Roma in modo da potersi dedicare al contrasto con i Kushana che, proprio in quegli anni, avevano inflitto agli arsacidi una grave sconfitta al tempo 67 dell'imperatore Kanishka, verso la metà del II secolo d.C. La non belligeranza inaugurata da Adriano durò relativamente a lungo, e proseguì durante il regno di Vologese III (111-148 d.C.) per essere poi interrotta da Vologese IV. Quest’ultimo invase l'Armenia, riportando alcune vittorie militari sugli eserciti romani e riuscendo a saccheggiare la Siria e la Cappadocia. Marco Aurelio, rispose all'aggressione inviando in Oriente Stazio Prisco e il fratello Lucio Vero che nel frattempo era stato associato al trono mentre risedeva in Siria; contemporaneamente, altre legioni comandate da Avidio Casso si prepararono per una grande offensiva militare. Nel 165, Avidio fu in grado di occupare Dura Europos, Edessa, Charree e Nisibis, procedendo sino a Ctesifonte da cui progettava di dirigersi verso l’altopiano iranico. I Parti non sembravano in grado di resistere all'avanzata di Cassio e solo una grave pestilenza diffusasi tra le file romane obbligò Marco Aurelio a proporre una tregua. Vologese IV fu dunque in grado di recuperare buona parte della Mesopotamia eccetto l’Osroene, ma alcuni territori furono riorganizzati dei Romani in provincia mentre l'Armenia fu sottoposta al protettorato di Roma. Alla morte di Commodo, nel periodo della lotta di successione tra Settimio Severo, Claudio Albino e Pescennio Nigro, la Parthia apprfitto della debolezza di Roma per saccheggiare la provincia della Mesopotamia lasciata sguarnita, occupandone i centri principali sotto il regno di Vologese V (191-208 d.C.). Nel 195 d.C., ottenuto l'impero, Settimio Severo riprese possesso dell'intera regione evitando tuttavia lo scontro diretto con i Parti, anche a causa della situazione instabile in politica interna, confidando inoltre su una rivolta che nel frattempo era scoppiata nell'Iran occidentale e che 68 avrebbe tenuto impegnati i Parti piuttosto lungo. Per nulla scoraggiato, Vologese V attaccò immediatamente la Mesopotamia (nel 198 d.C.) causando un nuovo intervento romano che portò alla conquista di Ctesifonte. Settimio Severo tentò in due occasioni di assediare Hatra ma non ottenne risultati a causa dell'eccellente posizione fortificata della città. Quando nel 211 d.C. Settimio Severo morì, il figlio Caracalla (211-217 d.C.) – venuto a conoscenza di alcune rivolte ai danni di Vologese VI (207-222 d.C.) – attaccò i Parti con un futile pretesto. Caracalla incontrò qualche successo militare ma fu assassinato da alcuni congiurati guidati dal generale Macrino proprio mentre si trovava a Charrae. Poco dopo, Macrino subì una dura sconfitta e le armate dei Parti si riversarono nella parte romana della Mesopotamia obbligando l'impero a versare un enorme tributo per ottenere la pace. Nonostante questo successo, l'impero partico continuava a essere scosso alle fondamenta da una serie di crisi interne, lotte per la successione e spinte indipendentiste dei governatori delle regioni periferiche. Una di queste regioni, il Fars, si ribellò apertamente gli Arsacidi al tempo di Artabano IV deponendo il re a fondando la dinastia nuova dinastia sassanide. 4.2 - I Sassanidi Nascita della dinastia e Artaserse (224-241 d.C.): i Sassanidi si impadronirono della Persia grazie all'opera di Artaserse I nel 224 d.C. La dinastia prendeva il nome da un tale Sasan, che era stato nel passato signore di quella regione e sacerdote Lista dei re sassanidi: • Ardašir I (Artaserse) 224-241 • Sapore I (Šapur) 241-272 • Ormisda I (Hormoz) 272-273 • Bahram I 273-276 • Bahram II 276-293 • Bahram III 293-293 • Narsete (Narseh) 293-302 • Ormisda II 302-309 • Sapore II 309-379 • Ardašir II 379-383 • Sapore III 383-388 • Bahram IV 388-399 • Yazdgard I 399-420 • Bahram V 420-438 • Yazdgard II 438-457 • Ormisda III 457-459 • Peroz 459-484 • Balash 484-488 • Kavad I 488-496 (primo regno) • Jamasp 496-498 • Kavad I 498-531 (secondo regno) • Cosroe I Anushirvan 531-579 • Ormisda IV 579-590 Gustiniano II • Bahram VI Chobin 590-590 • Cosroe II Parviz 590-628 • Kavadh II 628-628 • Ardašir III 628-629 • Shahvaraz di Persia 629-629 • Porandoxt 629-630 • Ormisda V 630-632 • Yazdgard III 632-651 presso il santuario di Anahita nella cittadina di Ishtar. È bene premettere che nella regione del Fars, all'inizio del III sec d.C., esistevano molti piccoli reami che lottavano per il predominio su quelli vicini e (per un problema organizzativo caratteristico del mondo partico) tentavano continuamente di svincolarsi dal potere centrale. Il più importante di questi centri era in Perside e aveva come capitale la cittadina di Istakhr; i nobili che la governavano dicevano di discendere direttamente dagli achemenidi e si ritenevano autorizzati a conservare e a difendere le tradizioni del periodo di Dario e di Serse. Un nobilotto vassallo appartenente a questa dinastia di nome Papak, approfittando della guerra scoppiata tra l'arsacide Vologase VI e suo fratello Artabano V, si ribellò a Gocir e si proclamò re di Persia. Alla morte di Papak, Artaserse contese il potere al fratello Shapur che poi eliminò, assumendo il titolo regale nel 208 d.C. Dopo aver domato una rivolta a Darabgerd, Arteserse si lanciò alla conquista delle province di Isfahan e Kerman e stabilì la capitale a Guz (oggi Firuzabad, Iran) chiamandola ArdašīrKhurreh, la gloria di Ardašīr. Si tratta di una città a pianta perfettamente circolare del diametro di 1950 m i cui resti sono ancora visibili. L’attività espansionistica di Artserse attirò l'attenzione di Artabano V, Gran re dell'impero partico, che marciò contro di lui nel settembre del 224 e vi si scontrò in battaglia a Hormizdeghan. Artabano fu ucciso e la maggior parte dell'aristocrazia persiana passò a fianco di Artaserse, che completò la conquista delle province occidentali dell'impero. Nel 226 entrò in Ctesifonte e si fece incoronare shahanshah (re dei re) prendendo il nome di Dariardašīr (Dario Ardašīr) dando così vita all'Impero sasanide. Nel 228 Artserse 69 sconfisse e uccise Vologese VI, ponendo definitivamente fine all'impero dei Parti. Il fatto che, presso Firuzabad, Artaserse avesse già fatto costruire precedentemente una città e un palazzo fortificato lasciano credere che egli avesse da tempo preordinato il colpo di mano. L'ideologia sassanide fu fortemente influenzata – soprattutto nel primo periodo – dallo scontro con Roma. E’ noto come nelle titolatura sassanide, diversamente da quanto accaduto sotto il regno partico, fu aggiunto il titolo ud-Aneran (traducibile come «re degli iranici e» «al contempo dei non iranici»), segno di una nuova volontà di potenza ecumenica. Secondo molti studiosi, tuttavia, tale scelta fu una risposta alla ideologia romana che ambiva a un imperium sine fine. Nonostante la soluzione diplomatica offerta dall'imperatore romano Alessandro Severo, i Persiani penetrarono in Mesopotamia cercando senza riuscirvi di conquistare Nisibis, compiendo anche brevi incursioni in Siria e Cappadocia. 70 I Romani organizzarono una spedizione con il supporto del regno d'Armenia e invasero la Media (oggi regione di Hamadan, Iran) puntando alla capitale Ctesifonte. Artserse riuscì a respingere l'assalto a prezzo di numerose perdite, il che convinse Alessandro Severo a mettere da parte temporaneamente le mire sulla costa mediterranea e a concentrarsi nel consolidamento del suo potere a oriente. La guerra riprese nel 238 al tempo di Massimino il Trace (235-238) quando Artserse, approfittando della guerra civile scoppiata a Roma, invase nuovamente la Mesopotamia con l'aiuto del figlio Sapore I. Dopo la conquista di Nisibi e Carre, Arteserse associò al trono Shapur nominandolo re dei re. Nel 240 vinse e distrusse l'Impero Kushana, recuperando tutti i territori corrispondenti alle antiche satrapie orientali achemenidi. Morì nel 241 lasciando al figlio un impero ancora da consolidare e la prospettiva di un nuovo conflitto con i Romani. 4.2.2 Shapur I (241-272 d.C.) e la cattura dell’imperatore Valeriano Shapur I è ricordato dalle fonti come principe illuminato, coraggioso, magnanimo e di larghe vedute. Shapur fu atratto dalle opere letterarie e filosofiche dei paesi stranieri e per questa ragione le fece tradurre in persiano; inoltre si interessò ai precetti generali dei manichei che, per tale motivo, furono in qualche modo tollerati tanto più che il sovrano divenne amico dello stesso Mani. Per rispondere alle aggressioni partiche, l’imperatore Gordiano III (elevato al potere dopo la sconfitta di Massimino il Trace) inviò un grande esercito da Antiochia in Persia nella primavera del 243. L'armata si diresse verso Charrae passando da Zeugma, riuscendo ad avere ragione delle truppe del figlio di Artaserse I, Shapur I, a Rhesaina. L'anno successivo, secondo le fonti persiane Gordiano III fu ucciso in battaglia lungo il basso corso del Eufrate a Meshike, un luogo che per l'occasione fu ribattezzato Peroz-Shapur («Shapur vittorioso»); questo andamento dei fatti è sostenuto da una iscrizione trilingue situata sul Ka’ba-ye Zardost («cubo di Zoroastro») che si trova a Naqsh-e Rostam. Nei rilievi di Bishapur e Darabger, il giovane Gordiano III è rappresentato travolto dal cavallo del sovrano sassanide a fianco di Filippo l'Arabo in atto di prostrarsi, a sua volta, davanti al re. Il punto di vista romano è differente dal momento che secondo le fonti greche e latine Gordiano III non morì in uno scontro contro l'esercito persiano, bensì a causa di un tranello pianificato dall'usurpatore Filippo. Nel ka’ba-ye Zerdost si fa esplicito riferimento a «Filippo Cesare e ai Romani in tributo e servitù» e si cita un divieto di intraprendere attività economiche in Armenia e a tributi imposti a Roma. Gli anni successivi, le presunte interferenze in Armenia di Roma fornirono il pretesto per una serie di campagne verso occidente da parte di Shapur I; la prima, condotta tra il 252 e il 253 d.C., portò alla conquista di trentasette città tra cui Antiochia e alla distruzione di una grande esercito romano a Barbalissos; la prima campagna fu diretta verso l'alto corso del Eufrate dove sorgevano importanti città siriache, mentre la seconda fu condotta in profondità in Mesopotamia, in Osroene e in Cilicia. Durante la seconda campagna del 260 d.C. furono catturati l'imperatore Valeriano, il prefetto al pretorio, alcuni senatori e diversi generali dopo una grave sconfitta subita da oltre 70.000 soldati tra Edessa e Charrae. L'evento fu celebrato nei rilievi di Bishapur, Naqs-e Rostam, a Darabgerd e su un cammeo oggi conservato a Parigi; di esso ci danno testimonianza approfondita alcuni testi latini e soprattutto Lattanzio. L'iscrizione di Nqsh-e Rostam riferisce che i Romani catturati furono trasferiti in Persia, in Parthia, in Susiana e in Asoristan; invece, una cronaca araba del IX secolo (la cronaca di Se’ert) riferisce che i soldati catturati furono condotti a Bishapur, a Sad-Shapur non lontano da Meshan e a Obkara sul Tigri. Sempre secondo Tabari, Shapur avrebbe avviato la ricostruzione Gundenshapur per ospitare i Romani catturati ribattezzanda Weh Antioch Shapur. Lo scrittore arabo Tabari asserisce che Valeriano fu impegnato personalmente nella costruzione della diga di Shustar oltre che nel grande ponte chiamato Band-e Kaisar (ancora oggi ben visibile). Sempre all'azione di Shapur I e di Shapur II la storiografia attribuisce la dissoluzione dell'impero Kushana sul confine orientale. Le regioni appena conquistate furono affidate a rampolli, a figli cadetti o allo stesso erede al trono. Tanto da fare un esempio, il regno del Sestan fu affidato a Narsete, figlio minore di Shapur e fratello 71 minore di Hormuzd I (che poi erediterà il trono). Šapur promosse il commercio con l'India e l'Arabia e fondò diverse città nei territori spopolati della Persia, dove insediò immigranti dai territori romani, per lo più cristiani perseguitati in patria ai quali lo scià garantiva la completa tolleranza religiosa. Fu inoltre tollerante con i cristiani, anche se favorì particolarmente il Manicheismo, proteggendo Mani (che in cambio gli dedicò uno dei suoi libri, il Shabuhragan) e inviando all'estero molti missionari manichei; fu anche in buoni rapporti con un rabbino di Babilonia, Shmuel. Questa amicizia portò vantaggi alla comunità ebreica e permise agli ebrei di riaversi dopo le leggi oppressive che erano state emanate in precedenza. I successori di Shapur abbandonarono tuttavia questa politica di tolleranza religiosa. 4.2.3 - Bahram II (276-293 d.C.) Nel 283 l'imperatore Caro fu in grado di riconquistare Seleucia e Ctesifonte senza 72 colpo ferire proprio perché Bahram II (il figlio di Bahram I) era impegnato in oriente a domare una grave ribellione questa volta suscitata dal fratello Hormuzd. La ribellione fu sostenuta dalle popolazioni del Gilan, del Sakastan e dei Kusana, come ricordato da Claudio Mamertino. 4.2.4 - Narsete II (293-302 d.C.) Il figlio di Narsete, tale Hormuzd II, sposò una principessa kushana, segno che i rapporti tra i persiani e questa popolazione orientale si erano rilassati anche grazie all’avvento al potere del ramo familiare antagonista. Nel 296 d.C. Narsete II sconfisse Galerio nel nord della Mesopotamia (Eutropio IX. 24. 5) ma l'anno seguente Galerio riuscì ad avere una grande vittoria in Armenia. Nel 298, Galerio impose un trattato che estendeva il dominio romano sull'Armenia, sull’Iberia (l’attuale Georgia, che divenne stato cliente di Roma), imponendo che tutte le trattazioni commerciali tra persiani e romani avvenissero a Nisibis, una città sotto il controllo di Roma ubicata sulla riva orientale del Tigri superiore. L'attività di Galerio segnò il punto più alto della politica ad Oriente mai raggiunto da Roma nella tarda antichità e Galerio celebrò la vittoria Tessalonica; nei documenti dell'epoca appare evidente come le due potenze fossero mal disposti ad accettare la reciproca esistente convivenza, cercando di elaborare nuovi concetti di legittimazione reciproca. 4.2.5 - Horzmud II (302-309 d.C.) In seguito alla morte di Hormizd II, gli Arabi iniziarono a devastare e a saccheggiare le città meridionali dell'impero, attaccando tra l'altro anche la provincia del Fars. I nobili Persiani uccisero il primogenito di Ormisda II, accecarono il secondogenito e imprigionarono il terzogenito (che in seguito fuggì in territorio romano) e salì al trono il figlio non ancora nato di una delle mogli di Ormisda II, Shapur II (309–379), forse l'unico re a venire incoronato nell'utero materno visto che la corona fu posta sul ventre della madre. Shapur II nacque dunque già re, e durante la giovinezza l'impero venne governato sotto la tutela dalla madre e dai nobili. 4.2.6 - Shapur II (309-379) Durante la minor età di questo sovrano, il paese fu forse turbato lungo le frontiere orientali da una serie di rivolte e di tentativi di rovesciamento. La riscossa di Shapur II si avviò in Armenia, dove tra il 338 e il 339 furono portati a segno ottimi risultati. L'affermazione di Costantino il Grande dopo le guerre civili che segnarono la vita di Roma al tempo dell’abdicazione di Diocleziano avevano generato una pausa nelle relazioni conflittuali tra Persia e impero, ma già il fratello di Shapur II, Ohrmazd, attorno al 324 d.C. si era rifugiato tra i Romani. Attorno al 330, stabilizzato il regno, Costantino aveva in progetto una grande invasione della Persia che non ebbe seguito solo per la morte, sette anni più tardi, dell'imperatore. Per quanto riguarda le dispute religiose è evidente che molti dei Romani catturati da Shapur I e deportati in Persia erano di religione cristiana; nel periodo di tolleranza religiosa essi avviarono la costruzione di alcune chiese e monasteri, ad esempio a Gundeshapur e RevArdashir, e la figlia di un prigioniero romano cristiano di nome Candida divenne la moglie favorita di Bahram II;. All'epoca di Diocleziano, nell'occidente romano, invece, i manichei erano visti con un certo sospetto dal momento che si temeva che rappresentassero un pericolo a causa delle loro origini persiane. Nel 324 Costantino scrisse una lettera di propria mano a Shapur II proponendo accordi e concessioni a favore dei cristiani insediati in Persia ma gli effetti non furono quelli sperati perché Shapur II rispose avviando una serie di persecuzioni contro queste comunità; alcuni vescovi orientali espressero la propria speranza di una vittoria di Costantino, ma quando quest'ultimo morì nel 337, Shapur II ne approfittò per assediare Nisibis e tentare il controllo dell'Armenia. Il nuovo Augusto d'oriente, Costanzo II, entrato in possesso di solo un terzo del regno, si trovò in forte difficoltà nel dislocare le truppe necessarie contro la Persia. Quando però nel 353 egli ebbe eliminato i due fratelli (Costantino II e Costanzo) divenendo unico imperatore, poté agire liberamente. Nell'antichità Costanzo II fu criticato per la sua politica difensiva, ma considerando i disastri subiti dal successore Giuliano l'Apostata lungo l'Eufrate, sembra che la sua prudenza fosse ben riposta. L'invasione della Persia da parte di Giuliano l'Apostata nel 363 nacque dalla volontà di emulare gli antichi imperatori 73 romani. Giuliano si fece accompagnare dal principe ribelle Ohrmazd, che era stato il favorito di Costanzo II e che lo aveva accompagnato a Roma durante la sua visita del 357. Giunto in Persia, Ohrmazad venne ancora riconosciuto dai persiani che occupavano le fortificazioni del basso Eufrate cosicché Giuliano poté portare l'esercito verso Ctesifonte. Le cronache di Ammiano ricordano un primo conflitto presso la tomba di Gordiano III a Zaitha e presso una basilica giudiziaria di Traiano a Ozogardana. La decisione di dare fuoco alla flotta dopo aver attraversato il fiume Tigri a sud di Ctesifonte voluta da Giuliano unita ai ritardi degli aiuti portati dalle truppe di Procopio furono fatali. Il fallimento della missione fu segnato il 26 giugno 363 dalla morte dello stesso imperatore così che il suo successore, un certo Gioviano, fu costretto a segnare una pace umiliante che permise alla Persia di impossessarsi di Nisibis e di garantirsi un'influenza politica nella parte occidentale dell'Armenia. Conclusa la campagna contro Roma, Shapur II e Artaserse II fecero scolpire famosi rilievi Taq-e Bustan nei quali viene celebrata la 74 morte dell'imperatore romano che giace ai piedi del sovrano sassanide. 4.2.7 - Yazdegerd I, il «Costantino dell’Oriente» (399-420) Sotto questo sovrano i Sassanidi cercarono di rafforzare la propria loro posizione e di creare una base di consenso accettando progressivamente le minoranze cristiane all'interno dell'impero sassanide. Nel 410 d.C. a Seleucia sul Tigri (secondo alcune fonti a Ctesifonte), si svolse con l'autorizzazione del sovrano un concilio che permise l’istituzione di una chiesa cristiana persiana, nella quale furono riconosciuti i canoni dottrinali del consiglio di Nicea. Nel 424 d.C., in occasione di un ulteriore sinodo, fu dichiarata l'indipendenza della chiesa persiana da quella romana. I sassanidi crearono anche un exilarcato riservato agli ebrei che vivevano all'interno dei propri confini, benché la classe dominante rimanesse profondamente mazdea. La politica conciliante verso i cristiani di altre religioni non durò a lungo perché fu negletta dal figlio Barhran V giunto al potere dopo la morte del padre nel 420 d.C. Va comunque detto che la Persia continuò ad offrire rifugio agli eretici nestoriani condannati dal concilio di Efeso del 431 e di Calcedonia del 451, tanto più che l'imperatore Anastasio – asceso al trono nel 491 – fu di orientamento opposto, ovvero monofisita. 4.2.8 - Yazdgerd II (438-457 d.C.) L’età delle persecuzioni religiose Il regno di Yazdegerd II (trad: «plasmato da Dio») si caratterizza per lo spostamento del baricentro sassanide dall'Occidente romano in direzione dell'Oriente a causa della pressione esercitata in quelle regioni dalle tribù degli Unni. Proprio in questo periodo, i re sassanidi adottarono il titolo di kay che veniva utilizzato, contemporaneamente, dagli avversari kayanidi. La nuova figura poltica del kay tentò di reintrodurre la religione mazdea in Armenia e ad un certo punto riprese le persecuzioni contro i cristiani. Secondo alcune fonti,sotto il regno di Yazdegerd II 153.000 siri furono massacrati nella città di Kirkuk e furono emanati dei decreti che dettavano gli ebrei di osservare il sabato apertamente e pubblicamente, e fu ordinata l'esecuzione di alcuni leader religiosi. Nella città di Isfahan per rappresaglia, la comunità ebraica scuoiò pubblicamente due sacerdoti di Zoroastro mentre erano in vita, cosa che determinò nuove e più violente ritorsioni. Il problema fondamentale del regno era la guerra scatenatasi sul fronte orientale contro gli Eftaliti (anche detti Unni bianchi), cosicché Yazdegerd II cercò di procurarsi il denaro necessario per sostenere la campagna sferrando un attacco sui confini occidentali di Roma, con una guerra culminata nello scontro tra Teodosio II e Yazdegerd II tra i 441 e i 442 (il sovrano sassanide sperava di sfruttare lo scontro che Roma stava sostenendo contro i Vandali per ottenere veloci successi). Stretto da significative difficoltà finanziarie, nel 464 d.C. il suo successore Peroz giunse al punto di chiedere un prestito a Roma, presentando la mossa come un tributo ottenuto dai nemici occidentali, come aveva fatto poco un tempo Shapur I nei confronti di Filippo l'Arabo; è evidente dunque come, in politica interna, Roma venisse progressivamente descritta sempre più come uno stato vassallo e in un'ottica chiaramente antagonista. 4.2.9 - Kavad I, l’età dei Mazdakiti (488-531 d.C.) Sotto il regno di Kawad I si assistette ad una nuova variazione del titolo legale, caratterizzata dalla sparizione delle vecchie nomenclature di sahan sha e kay e l’aggiunta, subito dopo il nome del re, della parola abzon che si può tradurre letteralmente come «incremento». Questo periodo storico fu segnato dall'affermarsi del cosiddetto movimento mazdakita, legato alla predicazione di un profeta di nome Mazdak che fu recepita e promossa in ambiente regale, il modo da collegare sempre di più la religiosità all'amministrazione centrale. Mazdak visse in un periodo storico caratterizzato da tensioni economiche e sociali anche legate alla sperequazione economica derivata dalla concentrazione delle proprietà agricole nelle mani di un ristretto numero di nobili di culto zoroastriano, in concomitanza con le pressioni militari sul confine orientale degli Unni bianchi provenienti dall'Afghanistan. Poiché la teologia di Mazdak si opponeva al rafforzamento dell'aristocrazia e conteneva dei principi atti a indebolire la nobiltà di sangue ereditaria, la sua visione religiosa fu abbracciata da Kawad I godendo di una momentanea affermazione. La politica generale fu orientata verso riforme sociali 75 a favore delle classi meno abbienti, togliendo potere al clero zoroastriano che vide molti dei suoi templi sbarrati per ordine regale. La reazione da parte degli aristocratici e del clero si ebbe nel 496 con la deposizione del sovrano che fu imprigionato nel Castello dell’Oblio di Susa e l’ascesa al trono di suo fratello minore Jamasp (Zamaspes). Kawad I, fuggito tra gli Unni bianchi, due anni più tardi, ritornò al potere con il loro aiuto, mutando repentinamente politica con l'aiuto del figlio Cosroe I, al punto che fu messa in atto una campagna militare tra il 524 e il 525 nel corso della quale Mazdak e molti dei suoi fedeli furono uccisi, garantendo la restaurazione dello zoroastrismo. Dal punto di vista teologico, il mazdakismo è stato da alcuni definito come una sorta di comunismo ante litteram visto che prevedeva la redistribuzione delle ricchezze tra tutti cittadini. Tra le norme introdotte nel periodo mazdakeo si deve annoverare una legge che permetteva ad un uomo sposato di concedere la moglie in un matrimonio temporaneo (sturih) con il dovere di tenere successivamente con sé i figli nati da tale relazione. Questa curiosa legge sembra spiegarsi con il fatto che il sovrano cercava di inquinare la discendenza per sangue dell'aristocrazia in modo tale da 76 non permettere un facile controllo della primogenitura. Ottenuto il suo scopo, come si è detto, Kawad I scelse deliberatamente di abbandonare la dottrina per dar luogo a un nuovo ordine sociale, creando un nuovo stato feudale di stampo nobiliare i cui componenti però furono frutto delle relazioni e delle trasformazioni avvenute nella piccola parentesi mazdakea. 4.2.9 - Ohrmazd IV (579-590 d.C.) Il nuovo re si attirò l'ostilità del generale Bahram Cobin quando quest'ultimo fu rimosso dalla carica per aver subito un'ignominiosa sconfitta da parte dei bizantini 590 d.C. Bahram Cobin si rivoltò al suo signore insediandosi a Ctesifonde dove battè moneta sino a che il figlio di Ohrmazd, Cosroe II, si rivolse all'imperatore di Bisanzio Maurizio per averne l'appoggio. Maurizio appoggiò il secondo così che Cosroe e della possibilità di sconfiggere Bahran nel 591 a Ganzak prendendo il potere, stipulando subito dopo un trattato di pace con Bisanzio. In tale occasione Cosroe II inviò per ringraziamento delle croci dorate al santuario di San Sergio a Rasafa (Sergiopolis) dei martiri a seguito della sua elevazione al trono iraniano. 4.2.10 - Cosroe II (520-628 d.C.) Il 27 novembre 602 l’imperatore bizantino Maurizio veniva ucciso in una congiura di palazzo dal tiranno Foca così che Cosroe II, desideroso di ripristinare l’antico impero achemenide, ebbe il pretesto per iniziare una nuova guerra contro i bizantini. Con il pretesto di vendicare la morte di Maurizio (a cui era riconoscente perché l’aveva aiutato a sconfiggere Bahram Chobin), invase l’impero bizantino riportando grandi successi sui Bizantini, che privi dell’aiuto di Narsete e incapaci di contrastarlo. Nel 606 d.C. l’esercito di Cosroe II occupò la fortezza di Dara e invase l'Asia Minore, espugnando Cesarea e penetrando in Calcedonia. In seguito occupò le città siriane di Hierapolis, Chalcis e Berrhaea, assediando Antiochia. La rapida successione dei successi persiani svelò la debolezza dell'impero bizantino, l'incapacità di Foca e l'odio che i sudditi provavano per lui. Cosroe sparse inoltre la voce che il figlio di Maurizio ed erede legittimo al trono, Teodosio, fosse ancora vivo e vivesse alla corte di Persia, anche se è probabile che si trattasse di un impostore. Quando nel 610 d.C. Foca venne deposto e ucciso ed Eraclio (610 d.C.) incoronato imperatore, i Persiani continuarono la guerra con il pretesto di sostenere la candidatura al trono di Teodosio – il già citato presunto figlio di Maurizio -, e dopo aver occupato l’Armenia e la Mesopotamia arrivarono a occupare Antiochia e la Siria nel 611 d.C. In seguito essi proseguirono verso sud, occupando nel 614 d.C. la Palestina e Gerusalemme. Durante la conquista e il saccheggio della Città santa venne trafugata e portata in Persia la Vera Croce di Gesù Cristo del Santo Sepolcro e le chiese di Costantino ed Elena vennero danneggiate e date alle fiamme. Nel 616 d.C. i Persiani iniziarono la conquista dell'Egitto mentre un’armata persiana si dirigeva verso la Tracia occupando in poco tempo Calcedone, le coste del Bosforo, la città di Ancyra e l'isola di Rodi. Nel 621 d.C. quasi tutto l’Impero bizantino era occupato dai persiani e ai bizantini rimanevano solo la 77 Grecia, l’Anatolia e i lontani esarcati d'Italia e d'Africa. Il Senato di Bisanzio in preda alla disperazione propose a Cosroe II di adottare Eraclio come figlio ed è famoso il contenuto della risposta fornita da Cosroe II all'ambasciatore bizantino giunto a corte e condannato a morte: «Non è un ambasciatore ma la persona stessa di Eraclio, ridotta in catene, a dover essere portata ai piedi del mio trono. Non concederò mai la pace all'Imperatore di Roma, fino a quando non avrà abiurato la fede nel suo Dio crocifisso e non avrà abbracciato la fede nel dio Sole. » L'esperienza di sei anni di guerra aveva però persuaso Cosroe a rinunciare alla conquista di Costantinopoli e ad accontentare di un tributo annuale. Eraclio due giorni dopo Pasqua (622 d.C.) lasciò Costantinopoli e con il suo esercito di 5.000 soldati giunse via mare in Cilicia accampandosi a Isso. In seguito penetrò in Armenia dove sorprendentemente sconfisse in varie occasioni i Persiani. Le fonti ricordano come nella primavera successiva l'esercito bizantino distrusse il Tempio del Fuoco di Zoroastro e numerosi altri templi, molteplici statue di Cosroe e i resti delle città di Thebarma o Ormia, luogo di nascita di Zoroastro. Cosroe, allarmato per i successi bizantini, richiamò dall'Egitto e dal Bosforo e con essi sui migliori generali: Shahrbaraz, Shahin e Shahraplakan. Cosroe II rispose alla controffensiva di Eraclio stringendo un'alleanza con gli Avari e formando tre grossi eserciti: il primo di 50.000 uomini, soprannominati le lance d'oro fu mandato contro Eraclio e le sue truppe, il secondo ebbe l'incarico di prevenire il ricongiungimento tra l'esercito di Eraclio e quello del fratello Teodoro; un terzo esercito ebbe l'incarico di assediare Costantinopoli con l'aiuto degli Avari. L'assedio di Costantinopoli avvenuto nel 626 d.C., fallì grazie all'inespugnabilità 78 delle mura teodosiane e a 12.000 cavalieri inviati da Eraclio per difendere la città. Tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, Eraclio strinse un'alleanza con il khan dei Cazari, formò un esercito di settantamila uomini tra Bizantini e stranieri e riuscì a riconquistare in poco tempo le città della Siria, dell'Armenia e della Mesopotamia. Decise quindi di attraversare le montagne del Kurdistan in modo di giungere a Ninive inseguito dai Persiani comandati da Rahzadh che, tuttavia, affrontarono violente tormente di neve e arrivarono a Ninive decimati. Il 12 dicembre 627 nella battaglia di Ninive; i Persiani, decimati dal gelo e dalla fame vennero massacrati dai bizantini così che Eraclio poté trascorrere il Natale a Ninive, ospitato nella tenuta di un nobile persiano. Cosroe II dopo la sconfitta fuggì a Seleucia e, vedendo la propria fine vicina, decise di nominare suo successore Merdaza, il suo figlio preferito. Ma Siroe, un altro suo figlio, non approvò la sua decisione e cercò il consenso dei satrapi per preparare una congiura contro il padre, offrendo ai soldati un aumento dei salari, ai cristiani la libertà di professare la propria religione, ai prigionieri la libertà e alla nazione pace immediata e la riduzione delle tasse. Il 23 febbraio 628 Cosroe II, perso il sostegno dell’aristocrazia, venne rovesciato e rinchiuso in un sotterraneo per ordine del figlio Siroe (che salì al trono con il nome di Kavadh II) e, dopo cinque giorni di torture, spirò; Kavadh II, salito al trono, firmò una pace con i Bizantini in cui si impegnava a ritirare le sue truppe dalle zone occupate durante la guerra e restituiva ai Bizantini la Vera Croce. L’impero bizantinoe persiani, ormai esuasti, subitono nel decennio successivo la penetrazione delle armate islamiche che trovano libero il campo, impossessandosi del Vicino oriente e della Persia. 4.3 - Bishapur, città sassanide Un esempio interessante di città sassanide è quello costituito da Bishapur, un centro che la tradizione vorrebbe fondato dal figlio di Ardashir (primo sovrano della dinstia sassanide) dopo la straordinaria vittoria su Veleriano e i Romani. Qui Shapur costruì un grande palazzo nelle cui prossimità sarebbe stato detenuto l’imperatore romano e i suoi ufficiali catturati in battaglia. La città fu immaginata come una vera e propria capitale e venne edificata nella provincia natale di Shapur I, in un paesaggio non molto differente da quello in cui il padre aveva fondato Firuzabad. Bishapur aveva una pianta a scacchiera di tradizione ellenistica, era circondata da un muro di cinta turrito ed era rinforzata su un lato da un fossato, sull’altro lato dal corso di un torrente. Verso l’entroterra lo sbarramento era costituito dalle montagne mentre, al vertice di un colle, una fortezza a gradoni proteggeva l’accesso alla principale valle. E’ interessante il fatto che in tale città fu ignorata la tradizionale pianta circolare di tradizione partico-sasanide, e venne invece impiegato un impianto del tipo definito, convenzionalmente, «ippodameo». Questa soluzione era già stata utilizzata in passato, ad esempio nel IV sec a.C. a Dura Europos e nel centro di Begram – situato a nord di Kabul – , una città fondata da un re grecobattriano. La città di Bishapur fu dunque immaginata con una pianta elaborata e divisa per quartieri: in alcuni vivevano i nobili che disponevano di dimore circondate da giardini, e due viali si incontravano ad angolo retto proprio nel suo centro. 4.3.2 - Il palazzo presenta un’aula principale con forma a croce in cui si è riconosciuta un'aula per le udienze. L'aula ha dimensioni generose, con i lati di 22 m, ed era forse sormontata da una cupola, che secondo le ricostruzioni, avrebbe raggiunto i 25 m di altezza. I quattro bracci che si dipartono dal centro hanno la stessa lunghezza e terminano in iwan circondati da un cordone perimetrale di forma quadrata sul quale si aprono quattro porte su ogni lato. La grande aula del palazzo di Bishapur 79 aveva 64 nicchie al cui interno, forse, si trovavano delle statue dei sovrani, analogamente a quanto si è verificato nel palazzo di Nisa o nella fortezza di Tuprak nella Corasmia. Un frammento di stucco conservato nel Museo del Louvre dimostra che le nicchie erano inquadrate da semicolonne quadrangolari con capitello semplice; ai lati si trovavano due fregi decorati con delle «greche». Il fregio superiore era poi decorato con un intricato arabesco di foglie che formava delle volute. Le volte dell'aula erano stuccate e dipinte di rosso, giallo e nero, con motivi a foglie d'acanto alla moda ellenistica. Il palazzo ha restituito anche alcuni curiosi mosaici pavimentali che tendono ad evocare l'atmosfera di un sontuoso banchetto: vi si vedono delle dame di corte mollemente appoggiate su cuscini, altre con lunghe vesti e corone di fiori, e ritratti di persone forse appartenenti alla famiglia reale o a classi privilegiate. Sono inoltre presenti delle danzatrici, delle suonatrici di arpa e fanciulle che intrecciano ghirlande, con il corpo nudo appena velato da una sciarpa. I soggetti di questo pavimento sono ripresi dal repertorio d'Antiochia dell'Africa del nord ma nessun 80 originale è stato riprodotto compiutamente. Sembra pertanto probabile che i cartoni originali siano stati rielaborati da artisti locali secondo il gusto e le tradizioni iraniche: l'aspetto dei volti, i vestiti, le acconciature e persino il modo caratteristico con cui i personaggi si siedono sono, in effetti, persiani. Nella letteratura scientifica il palazzo è immaginato coperto da una grande cupola in pietra e calce che credo, tuttavia, non sia credibile in considerazione della mancanza di malta idraulica e della modesta qualità del materiale da costruzione impiegato; anche l’ipotesi secondo la quale la stanza sarebbe stata scoperta ed avesse ospitato al centro un altare del fuoco è poco plausibile, dal momento che non vi è alcuna traccia di questo altare mentre i pavimenti e gli stucchi sarebbero stati soggetti a un veloce deperimento. Ho proposto, pertanto, che l’ampia luce dell’aula fosse coperta da una cupola lignea, sul modello di quanto sperimentato a Cordova dagli arabiomayyadi che rielaborarono e diffusero i modelli dell’architettura partico sassanide dopo la conquista del nord Africa e della Spagna. 4.3.3 - Il palazzo di Valeriano Nelle vicinanze si trovano i resti di un palazzo affacciato sulla medesima corte i cui scavi sono stati interrotti durante l'ultima guerra mondiale. Due nicchie portate alla luce sono costruite con blocchi ben squadrati e rettangolari che rimandano alle opere di Dario e di Serse a Persepoli. Su qualche blocco si sono riconosciuti dei rilievi rappresentanti cavalieri alla carica e soldati appiedati; è possibile che i rilievi fossero integrati all'interno della facciata dell'edificio che, oggi, non è facilmente ricostruibile. Forse la composizione faceva riferimento alle guerre di Shapur contro i Romani e, forse, l’edificio fu riservato all'imperatoreostaggio che sappiamo essere stato ospitato sino alla morte alla corte sassanide. 4.3.4 - Tempio di Anahita Si tratta di un edificio a pianta quadrata di 14 m di lato che raggiunge i 7 m di profondità. Vi si accedeva tramite una lunga scala in pietra; arrivati in quello che oggi appare come un cortile (ma che anticamente era una stanza coperta da un soffitto) è possibile osservare, su ognuno dei punti cardinali, delle porte che danno accesso ad un corridoio perimetrale. Il tempio era probabilmente dedicato alla divinità della fecondità e delle acque Anahita. Al vertice delle pareti – realizzate con blocchi in pietra isodomi – erano inserite delle grandi mensole fatta a forma di protome taurina ispirate ai capitelli di Persepoli; si tratta di un elemento di arcaismo voluto, segno che la prima architettura sassanide del Fars voleva chiaramente richiamare il periodo d'oro achemenide. Poiché le protomi guardano all'interno del cortile, Roman Ghirshman ipotizzò che esse sostenessero una tettoia che avrebbe coperto solo parzialmente l'interno della cella. Secondo Giorgio Gullini le proporzioni molto elevate di queste mensole lasciano supporre che sostenessero delle travi di un telaio a cassettoni incorbellati (cioè rastremati gradatamente). Il tempio è molto interessante per il sistema perfezionato di conduttura delle acque. I muri sono costruiti con grossi blocchi di pietra saldati con grappe a coda di rondine in ferro e presentano un riempimento di piccole pietre (emplecton) in cui riconosciamo una tecnica romana impiegata, ad esempio, negli edifici di Filippopoli in Siria (città fondata da Filippo l'Arabo). 4.3.5 - Ara di pietra Nelle immediate vicinanze è stato possibile identificare la base di una colonna e di un blocco che potevano far parte di un'ara del fuoco, un «tipo» spesso raffigurato sulle monete sassanide. Dobbiamo infatti ricordare che spesso il fuoco che ardeva all'interno del tempio veniva trasferito al di fuori e posto entro un chiosco composto da quattro pilastri sormontati da un tetto a cupola (atash gah). Il padiglione era aperto con quattro archi su quattro lati e attorno ad esso si radunavano i fedeli che assistevano alla cerimonia. Nella zona del Luristan presso Tang i Chack-chak, la religione Zoroastro sembra essere sopravvissuta alla conquista araba e alla conversione del paese all'Islam. 4.3.5 - Area rupestre: Non lontano dal centro storico, una stretta vallata protetta da un forte che conduce verso l’entroterra (ma anche al sentiero che conduceva alla cosiddetta Grotta di Shapur, un grande antro decorato con una stalattite scolpita con le fattezze di un sovrano sassanide) presenta una sfilata di rilievi rupestri che ci offrono un quadro della grande produzione propagandistica affidata ai rilievi rupestri; questa, inaugurata dagli achemenidi con la famosa iscrizione di 81 Bisutun, fu ripresa dai sovrani sassanidi in una accezione particolare, influenzata dalla pubblicistica greco-romana dell’epoca reinterpretata in una chiave persiana, e caratterizzata da schematicità, sintesi e rottura dell’unità di tempo e di luogo teorizzati nella cultura ellenistica. Anche in tal caso, la soluzione impiegata dai sassanidi aprì la strada ad interessanti soluzioni d’avanguardia che lasciarono tracce sensibili nella cultura medievale europea. I rilievi sono normalmente legati alla celebrazione delle imprese guerresche dei sovrani sassanidi e si affiancano a scene di incoronazione da parte di Ahura Mazda che hanno la funzione di sottolineare la legittimità divina dell’impero ecumenico sasanide. Un rilievo presenta l'immagine dell'imperatore Valeriano a piedi, trascinato per mano, secondo la convenzione iconografica che presso i Persiani stava a indicare l'atto della cattura. L’opera è resa monumentale della presenza di più registri scolpiti l’uno sopra l'altro, in cui sono rappresentati cavalieri persiani e prigionieri romani. Il gesto rappresentato nel rilievo è conforme al racconto storico della cattura di Valeriano, confermato da un cammeo inciso di grande bellezza attualmente conservato nel Cabinet des Medailles di 82 Parigi. Secondo la tradizione iranica, l'imperatore cadde prigioniero nel combattimento contro il suo avversario: nel cammeo è Valeriano ad alzare la spada contro Shapur che tiene la mano sull'elsa della spada senza nemmeno sguainarla, accontentandosi di afferrare la mano dell’imperatore. La scena di Bishapur è completata da due persiani, posti in atteggiamento rispettoso presso il gruppo centrale. La composizzione è “sorvolata” da un putto che reca al re un diadema, simile a quello che di solito porta Ahura Mazda nelle scene di investitura. La composizione non può considerarsi una narrazione fedele degli avvenimenti occorsi, quanto piuttosto un generico riferimento ad alcuni episodi storici senza che ne venga fissata con chiarezza lo spazio e il tempo. Un secondo rilievo ripropone il tema in una chiave differente, imitando un modello iconografico già sperimentato da Ardashir (il padre di Shapur) nei più famosi rilievi Taqsh-e Rostam (Persepoli). Ahura Mazda è raffigurato al fianco di Shapur I mentre calpesta il cattivo dio Ahriman; da parte sua Shapur I calpesta Gordiano III. La scena è completata dalla figura di Filippo l'Arabo nell'atto di inginocchiarsi per chiedere la pace. Si nota come la testa di Ahriman – con la capigliatura ondulata come un serpente – appaia orribile. Il corpo di Gordiano III è invece schiacciato sotto il peso del potente destriero del re e nella postura di Filippo l'Arabo tutto esprime angoscia e disperazione. In questo senso Shapur I appare come il padrone del mondo. È interessante il fatto che nella scena manchi Valeriano, segno che la scultura fu realizzata poco dopo il 244 mentre erano in atto le trattative di pace con Roma. I due altri rilievi in cui troviamo la figura di Valeriano, sarebbero stati fatti scolpire dopo la sua sconfitta del 260 d.C., quando fu catturato e posto a residenza coatta proprio a Bishapur. Un terzo rilievo presenta una superficie semicircolare e la composizione richiama ancora una volta la triplice vittoria di Shapur I. Molto interessanti sono i quattro registri che inquadrano la scena, quattro a sinistra e quattro a destra, forse concepiti per rendere la scultura più monumentale ed amplificare la potenza del re. A sinistra, per tutta l'altezza delle rilievo, osserviamo la cavalleria dei nobili; sulla destra riconosciamo invece nelle zone inferiori i prigionieri romani e i Persiani recanti il bottino nelle due superiori. Vi chi ha ipotizzato che l'opera sia stata realizzata come risposta all'invasione della Persia da parte di Traiano e alla presa di Ctesifonte del 115 d.C. In questo senso si potrebbe spiegare la forma semicircolare della scultura che potrebbe essere una citazione della Colonna Traiana. Tutta la massa delle persone disposte sui quattro registri laterali non è che un riempitivo, anche se viene rispettata la tradizione iconografica romana che prevede la disposizione, in basso, dei prigionieri. 83 Un’evoluzione del gusto e dell’iconografia lo si può cogliere in un rilievo situato a poca distanza, databile al V sec d.C. e fatto scolpire da Shapur II. Shapur II è seduto al centro, affiancato ai lati da più registri figurati. Signore del mondo, emanazione del dio sulla terra, il re sassanide è rappresentato nel registro superiore seduto con le gambe divaricate sul tipico trono: alla sua sinistra, sono allineati i nobili, mentre alla sua destra si trovano dei Persiani che conducono prigionieri incatenati. Nel registro inferiore, a sinistra, un palafreniere introduce il cavallo del sovrano. Nello scomparto di destra, un altro personaggio offre al re la testa di un nemico vinto il cui copricapo ricorda quello dei principi Kushana, una tribù ostile insediata a oriente dell’impero sassanide. Sul lato opposto della vallata si trovano ancora altri rilievi monumentali: il primo celebra le vittorie di Shapur I contro i Romani e raffigura l'investitura di Shapur I da parte di Ahura Mazda. I due sono rappresentati frontalmente, sempre a cavallo, nell'atto di calpestare due nemici: Shapur calpesta Gordiano III, Ahura Mazda lo spirito del male Ahriman. È interessante notare che gli eventi storici – pur essendo avvenuti in tempi separati – sono rappresentati contemporaneamente, dando luogo a una sintesi temporale destinata a sottolineare il tema principale, ovvero il trionfo sul male dei valori positivi impersonati dal re e dai Persiani; la sfera negativa è chiaramente rappresentata da Roma, dei suoi imperatori e dai legionari. Tale visione dualistica tra luce e tenebre, tra positivo e negativo, sembra influenzata dalla ristretta visione della cultura sassanide che fu influenzata dalla filosofia manichea. 84 4.4 - Palazzo sassanide di Firuzabad Quando il padre di Artserse (il sacerdote Papak) era custode del tempio di Anahita e Artaserse non era ancora re, Artserse decise di costruire una solida fortezza per sua residenza e mise assieme un suo esercito che gli permise di espandere il suo governatorato fino alla regione di Kerman, annettendo tutto l'Iran meridionale. Il suo comportamento si faceva probabilmente forza del fatto che – secondo quanto riferisce la tradizione – egli aveva sposato la figlia del re partico in carica, Artabano. Quando Artaserse iniziò la costruzione di un grande palazzo presso Firuzabad, Artabano si fece irrequieto e in una lettera gli scrisse: «oh sventurato, perché hai osato costruito un tale palazzo reale?». L’irrispettosa protesta di Artabano unita ai comportamenti sospetti di Artserse determinò l’inasprirsi dell'inamicizia tra i due e lo scatenarsi di una guerra nella quale Artabano fu sconfitto e Artaserse diventò re. Firuzabad, ovvero Ghur eArdshir, fu allora denominata «lo splendore di Artaserse», Shokuh-e Ardashir. Nel 222 d.C., dopo la vittoria militare di Artserse su Artabano presso Nagsh-e Rejab, (tra Estakhr e Persepoli) il nuovo sovrano sassanide entrò a Ctesifonte e vi fu incoronato ufficialmente. La nuova città di Firuzabad fu pertanto costruita prima ancora che Artaserse sconfiggesse l'ultimo sovrano della dinastia partica, ma nella sua urbanistica era implicito il desiderio di segnare una continuità con la tradizione culturale locale. La scelta è particolarmente evidente, ad esempio, nella pianta circolare, una soluzione che apparteneva alla cultura assira e che era stata riproposta dai Parti. Particolarmente impressionante, soprattutto se vista dall’aereo o dal satellite, la città di Firuzabad presenta una pianta circolare bipartita da due strade perpendicolari perfettamente orientate sud-nord/est-ovest. Al centro si erge una grande torre in muratura che doveva, all’origine, essere sormontata dal fuoco sacro, che vi veniva trasportato dai magi da un padiglione coperto denominato cahartaq durante le festività. È evidente che il fuoco, posizionato a grande altezza, doveva essere ben visibile da tutte la valle, cin un notevole effetto scenografico. Le fonti arabe ricordano che la torre era dotata di una scala e questo può aiutarci a spiegare la curiosa forma della città; in effetti, la scelta di allineare le strade con i punti cardinali è del tutto insolita e problematica dal punto di vista urbanistico, tanto più che obbligò i costruttori a studiare difficili raccordi con le rete viaria locale che presenta un differente orientamento. Poiché la stessa soluzione si manifesta anche nella città reale di Darab Gherd (situata più a sud), è evidente che la scelta sia stata intenzionale: mi sento così di proporre che tra le sue finalità si debbano ricercare ragioni di natura astronomica. In molte civiltà antiche, l’osservazione del moto degli astri, del sole e della luna, veniva effettuata da una posizione eminente; in genere l’orizzonte era segnato da strutture 85 equidistanti dal centro a profilo semicircolare che permettevano di traguardare la posizione degli astri; questo ruolo è qui svolto dalle mura di cinta, oggi collassate, ma un tempo elevate sul piano di campagna di oltre 9 metri e realizzate con mattoni crudi e cotti su un doppio ordine. La torre sacra centrale potrebbe dunque spiegarsi come osservatorio, tanto più che le fonti antiche attribuiscono ai magi una spiccata competenza astronomica, ed era loro compito stilare i calendari lunari e solari che sancivano le festività religiose o i lavori agricoli. Il Chahar Taq è stato ben descritto dagli storici arabi come Estakhiri, Ibn al-Fagih, Masudi e Ferdowsi. Sappiamo che esso era dotato di una base quadrata alta 2 m, che era posto all'ombra di alberi, e che al centro si ergeva una piattaforma che supportava una cupola sorretta da quattro colonne sotto la quale era posto il fuoco. Intorno alla struttura c'erano giardini e altre pertinenze del tempio, tra cui un braciere, un deposito e gli alloggi dei custodi del tempio. 86 4.4.2 - Khal-e Doktar. L’accesso alla pianura in cui sorse la città è sorvegliato da un curioso edificio denominato Khal-e Doktar. Si tratta di un complesso monumentale costruito da Artaserse al vertice di una roccia; l'aspetto generale è quello di una vera e propria fortezza, anche se la particolare planimetria ne rende difficile la comprensione. L’edificio presenta un grande iwan coperto da volta a botte che si conclude al fondo con un piccolo passaggio che dà accesso a una sala quadrata coperta da una cupola. Curiosamente, su questa sala si affacciano quattro porte. Non è chiaro se si tratti di una residenza o di un luogo di culto; però, vi si ripete il solito schema composto da iwan di accesso seguito da un ambiente coperto da cupola. Anche questo edificio è completamente realizzato in calcestruzzo, con scaglie di pietre unite da malta di gesso. 4.4.3 - Il palazzo di Artserse è affacciato su un piccolo lago alimentato da una sorgente piuttosto copiosa; l'acqua proveniente da questo lago alimentava l'antica città di Ardeshir-Khurra (Gur), dall'ingresso del palazzo era possibile godere della veduta dello specchio d’acqua e non c’è motivo di dubitare che l’area fosse occupata da una serie di giardini in stile persiano. Il palazzo fu costruito con pietra da taglio legata con calce (una tecnica architettonica ben diffusa nella ragione da tempo immemorabile) mentre la superficie esterna dei muri fu realizzata in gesso. Si è affermato che questa tecnica fosse caratteristica della regione e che il sovrano decise di non utilizzare blocchi di pietra tagliata a squadra per una relativa limitatezza di risorse, dal momento che quando al tempo in cui era in funzione il cantiere edile egli rivestiva solo la carica di governatore e non ancora re. Certo è che il palazzo sorge in una regione arida, caratterizzata da estati molto calde, e la calce aveva il vantaggio di tenere fresco l'interno degli edifici. La superficie delle pareti era ricoperta poi da un intonaco di gesso che permetteva di dissimulare le diseguaglianze della superficie muraria. Dal punto di vista decorativo è significativa la presenza di una cornice estroversa decorata con cannelle con un profilo a gola egizia; secondo alcuni studiosi questa sarebbe stata copiata direttamente dei palazzi achemenidi di Persepoli che i Sassanidi, potevano cogliere meglio ancora di quanto ci sia possibile farlo oggi. In ogni caso, l'apparato decorativo originale fu citato senza essere compreso, poiché fu applicato a scopo puramente ornamentale e in posizioni prive di una logica interna: nella tradizione achemenide tale tipo di cornice era solitamente scolpita sulle architravi o all’interno di nicchie rettangolari, mentre a Firuzabad la gola viene posta al centro di un muro. Anche questo è un indizio della natura programmatica e propagandistica di molte scelte fatte dalla dinastia sassanide in ambito artistico. Si accedeva all’edificio attraverso un tipico iwan, oblungo e coperto con volta a botte, oltre il quale si trovava una serie di sale raccolte attorno ad un cortile, spesso coperte a cupola. L’iwan d'ingresso – piuttosto profondo – è affiancato sui lati da due sale per parte, tutte coperte con volta a botte. Oltrepassata la porta di fondo dell’iwan si aveva accesso a tre ambienti a pianta 87 quadrata coperti da cupola (che raggiungevano una notevole altezza, oltrepassando il secondo piano). E’ bene chiarire che l’iwan è una tipologia architettonica che si attribuisce agli antichi Parti, successivamente ereditata dai sassanidi e da essi passata all’Islam. Si tratta di un grande arcone completamente aperto su un lato (come una sorta di galleria cieca) e dal profilo parabolico. Caratteristica dell’iwan è quella di concludersi sul fondo con un muro in cui, in genere, si apre una porta di modeste dimensioni che dà accesso al palazzo. Oltre ad essere decorativo, l’iwan poteva essere sfruttato dai sovrani per ricevere ambasciatori e visitatori senza che essi avessero accesso alle stanze interne, tanto più che l’ampio spazio coperto da tale arcone poteva essere protetto da cortile e tendaggi e reso confortevole con arredi. D’altronde, si è proposto che nel periodo più antico i sovrani partici ricevessero nelle proprio tende, che si aprivano su un lato al fine di permettere le udienze. Credo che la forma parabolica dell’arco derivi – nelle fasi più antiche – dall’uso ripetuto di fascine di canne che, incurvate, permettevano di coprire facilmente gli ambienti; probabilmente, in un momento cronologico successivo, gli iwan furono realizzati con mattoni cotti al sole di forma allungata ma rimase l’uso di porli di coltello (cioè con il lato lungo messo di verticale), forse perché per lungo tempo non fu noto l’uso della centina. La forma parabolica dell’arco aveva la funzione di ridurre gradualmente la luce dell’apertura senza troppi problemi strutturali, se è vero che la chiave di volta non era nota. È curioso che ancora oggi, molti archi realizzati su centina con mattoni cotti in forno continuino a essere realizzati con mattoni posti di coltello (in verticale) senza che questo abbia alcuna funzione pratica. 88 La planimetria del palazzo fu composta sfruttando delle proporzioni studiate a tavolino, così che sommando dell’ampiezza delle tre camere quadrate si ottiene una misura pari alla lunghezza dell’iwan di accesso. La sala centrale – anche detta Sala del trono – comunica a nord con un iwan più piccolo che si apre su un cortile; a destra di questo iwan si trova una piccola stanza e dotata di una scalinata che porta al secondo piano. Tutt’attorno al cortile si aprono diverse aule rettangolari caratterizzate per il fatto che un lato lungo è il doppio di quello corto. Complessivamente l'edificio copre un'area di 55 x 104 m e i suoi muri hanno uno spessore che raggiunge i 4 m. Gli architetti cercano di rompere la monotonia della parete esterna con una sequenza di lesene che richiamano certe soluzioni dell’architettura mesopotamica. 4.5 - Taq-i-Kisra, Ctesifonte (Iraq) È questo il nome del grande palazzo di Ctesifonte che la tradizione fa risalire a Cosroe I (531/579). L’edificio di Ctesifonte è forse l’esempio meglio conservato e più imponente di architettura sasanide anche se un terremoto nel XIX sec ha purtroppo fatto collassare il lato destro della grande facciata rivestita ad arcatelle in mattoni cotti. A Taq-i-Kisra la sala del trono assume dimensioni colossali; vi si accedeva da un grande iwan con volta parabolica posto al centro della facciata largo 25 m e alto 30 m, che si annovera come il più grande mai costruiti. scaenae dei grandi teatri romani, ma è probabile che si tratti solo di una convergenza, perché i Sassanidi vollero semplicemente interpretare in chiave persiana il tema degli ordini architettonici a semicolonne e nicchie di tradizione ellenistica. In ogni caso, è certo che il tema fu imitato ma non compreso, perché il rapporto classico che ne costituiva il fondamento ne risultò alterato; qui sono ignorati gli allineamenti verticali, la simmetria delle parti e le proporzioni tra le medesime; molto spesso le cose grandi e quelle minute sono affiancate, e i rapporti tra diametro all'altezza delle colonne del tutto inusitate. Taq i Qisra ci fornisce la chiave per comprendere la sensibilità Sembra che originariamente questo iwan si affacciasse su un cortile, che occupava la 2 stupefacente superfice di 10.000 m e che si concludeva, sul lato opposto, con un secondo iwan simmetrico oggi andato distrutto. Dal punto di vista decorativo, la facciata presenta una sequenza di arcate cieche disposte su quattro piani, segnatamente più alti in basso e ridotti in altezza al vertice, senza che vi si riconoscano proporzioni canoniche o logiche matematiche; ogni piano è scandito da nicchie cieche fiancheggiate da colonne murate; la fonte di ispirazione è sembrata ad alcuni essere costituita dalle frontes architettonica del mondo particosassanide, interessato principalmente al valore esornativo e superficiale degli elementi della facciata piuttosto che al rapporto tra forma e struttura elaborato dal mondo greco-romano. È evidente che la mancanza di buona pietra da costruzione e la tradizione costruttiva in mattoni crudi e in pisé tipica delle regioni mesopotamiche e iraniche abbiano favorito lo sviluppo di diverse modalità costruttive; l’impatto della cultura ellenistica sul mondo partico ebbe come effetto quella di introdurre una serie di moduli architettonici (colonne, capitelli) che non potevano essere compresi a fondo, e che 89 furono utilizzati come rivestimento superficiale di strutture per lo più piene, fatte ancora in mattone crudo o cotto, pietrame e gesso. Questa sensibilità è rimasta viva ancora i secoli successivi, ad esempio in età islamica, quando il valore superficiale e decorativo delle facciate è stato reso magnificente con l’introduzione della piastrella smaltata. Alcuni pannelli di stucco trovati a Ctesifonte rappresentano animali in libertà che si muovono all'interno di un paesaggio; secondo alcuni studiosi questi rilievi sono strettamente derivati dall'arte siriana, tanto più che Cosroe I dopo avere conquistato la città di Antiochia volle soprannominare la sua nuova capitale, Ctesifonte, la nuova Antiochia e il sovrano vi trasferì a artisti e artigiani stranieri. Se anche così fu, la piattezza dei rilievi e il loro rigido geometrismo spianarono la strada alla sensibilità tardo-romana e di età bizantina che troviamo ben espressa in molti edifici privati, e soprattutto religiosi, tra V e VI sec d.C. Nella parte posteriore dell’iwan si estendeva un insieme di stanze che poteva essere raggiunto sia dalla porta sul fondo del grande iwan, sia le due porte disposte direttamente sulla facciata e, ne deduco, evidentemente collegate da un corridoio o da una stanza allungata. Dietro il complesso si trovava un altro iwan, simile al primo, ma leggermente più piccolo, il cui uso non è ancora chiaro. Non è chiaro 90 quale fosse il salone principale, ma sappiamo dagli storiografi antichi che era decorato con immagini rappresentanti la battaglia di Cosroe I ad Antiochia e che aveva un grande tappeto impreziosito da pietre dure e gioielli noto con il nome di «primavera di Cosroe». Quando gli Arabi conquistarono la città smembrarono il tappeto per spartirselo come bottino di guerra. Gli archeologi tedeschi che hanno scavato il palazzo hanno rinvenuto un considerevole numero di parallelepipedi ricoperti d'oro che devono essere stati incassati nella parte superiore dei muri nonché frammenti di lastre di marmo colorate che coprivano la parte inferiore. La facciata esterna era intonacata con calce dipinta, come testimoniato dai numerosi frammenti conservati nei musei occidentali. Approfondimento architettonico Pennacchio continuo (o sferico?) Il tipo più diffuso è il pennacchio tridimensionale posto tra due archi di sostegno contigui e la cupola. Il pennacchio assume così la forma di una superficie triangolare concava, come una porzione di superficie di una sfera (triangolo sferico), avente il vertice inferiore coincidente con uno degli spigoli del quadrato o poligono di base, Infatti pennacchi sferici vengono solitamente usati per raccordare una volta a cupola circolare con delle strutture a base quadrangolare. Essi possono appartenere alla superficie stessa della cupola, senza interruzione di continuità (pennacchio continuo), come nel Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, oppure appartenere alla superficie ideale di un'altra semisfera con centro più basso, come per esempio nella cupola centrale della basilica di San Marco a Venezia. Questo secondo tipo, sorto cronologicamente dopo il primo, nell'ambito dell'architettura armena e bizantina) permette una sagoma più slanciata alla cupola e rende geometricamente indipendenti pennacchio e cupola, separati quasi sempre da una cornice. Tale soluzione rappresenta la premessa all'introduzione tra di essi di un tamburo che slancia ancora di più l'insieme. Pennacchio a tromba Quando la struttura di raccordo invece di una sezione sferica presenta una sezione conica si parla di tromba. Si tratta, in pratica, di piccole nicchie che formano il penacchio raccordando generalmente un perimetro quadrato con uno ottagonale. Risulta particolarmente usato nell'architettura romanica, in particolare in quella lombarda. Pennacchio a cuffia Questa tipologia di raccordo è caratteristica delle architetture orientali, ma anche di quella bizantina e arabo-normanna. Lo spazio quadrato o poligonale viene coperto mediante raccordi costituiti da una serie di archi digradanti verso i vertici. Spesso in tali piccoli vani inarcati, che sorreggono la cupola soprastante, si ricavano decorazioni alveolari dette muqarnas, secondo lo stile arabo 4.6 - Palazzo di Sarvestan Il palazzo di Sarvistan fu fatto costruire da Bahram V (420-438). La facciata principale presenta tre iwan affiancati, di cui quello centrale un po' più alto, ottenuto in pianta affiancando due quadrati. Tale soluzione, secondo gli studiosi iraniani, influenzò l'arte islamica e da qui giunse alle chiese gotiche francesi per poi diffondersi in tutta Europa, costituendo la base della cultura gotica medievale. Superata una piccola porta, si giunge a una sala di ricevimento quadrata coperta da una cupola impostata su due pennacchi a cuffia. Il pennacchio a cuffia è una soluzione del tutto persiana che non trova alcuna corrispondenza nel mondo romano e che trova nel palazzo di Sarvestan una versione matura. Sembra dunque probabile che il problema di raccordare la base quadrata con quella semicircolare della cupola in ambienti privi di calce di buona qualità, abbia indotto i primi costruttori dell’età partica a disporre delle mensole diagonali agli angoli dell’aula (forse in legno, forse in pietra). Questi, in una fase successiva sarebbero stati realizzati più organicamente creando delle murature angolari di forma semisferica costruite in mattoni; l’utilizzo di una materia prima modulare e di forma geometrica netta impedì, pertanto, ai costruttori orientali di realizzare dei pennacchi a tromba come avvenne invece a Roma. In Italia, la possibilità di gettare malta di ottima qualità su un impalcatura lignea (ponteggio/centina) di geometria variabile, permise di creare di volta in volta forme sinuose e quanto mai varie, dando luogo alla tradizione del pennacchio a tromba della grande architettura romana antica. È significativo che nella Spagna e nella Sicilia normanna siano noti alcuni esempi di pennacchi a cuffia, 91 probabilmente costruiti per influenza della civiltà islamica. Il palazzo è orientato in senso ovest-est; così vediamo che a oriente si trova un ampio cortile che dà sulla strada esterna tramite un iwan più piccolo. In direzione nord, una porticina che dà accesso ad una sala voltata e corrisponde a un'ulteriore iwan, più profondo di quello dalla porta principale. Ad esso, è adiacente una salone altro lungo. Il lato meridionale del palazzo è occupato da una grande sala che appartiene alla parte residenziale dell'edificio. La caratteristica più importante di questo edificio consiste in due sale di forma allungata, allineate ai lati rispettivamente nord e sud le cui pareti sono movimentate con delle nicchie semicircolari che si concludono verso l'alto con una sorta di cupola a calotta. Le spalle di tale catino semicircolare appoggiano su semipilastri circolari separati dalla parete da un passaggio posteriore. La sala era coperta da volte a botte disposte a novanta gradi rispetto al lato lungo, appoggiate a grandi archi in muratura appoggiati alla colonnette di cui si è detto. Una soluzione del tutto assente nel mondo romano ed 92 elaborata nelle aree desertiche del Medio oriente con la funzione di coprire ambienti di ampie dimensioni disponendo di modeste travicelli o semplice pietre calcaree a cavallo degli archi la cui luce era fondamentalmente limitata. Secondo lo storico Tabari, il palazzo sarebbe appartenuto al potente ministro di Bahram Gur, tale Mir Narseh che non avrebbe eretto sui terreni di sua proprietà. 4.6-Rilievi della grotta Taq i-Bustan I rilievi rupestri di Taq-i Bustan dovrebbero risalire all'epoca di Cosroe II, e quindi ci testimoniano la fase finale della parabola sassanide, poco prima dell’avvento dell’Islam. La nicchia scavata nella parete doveva un tempo costituire la parte terminale di un triplice iwan mai completato. La preferenza data alle nicchie o alle grotte - intensificatasi nel periodo di Shapur III è stata da alcuni studiosi collegata alle conquiste effettuate nei paesi orientali; in particolare, un ruolo sembra essere stato giocato dal regno kushana che fu, da questo momento, governato da una famiglia reale di origine persiana. Anche l'immagine del fiore di loto associata a Mitra che è possibile riconoscere nel rilievo è derivata dall'osservazione delle immagini del Budda. La facciata è simile ad un arco trionfale ed è ornata da rilievi che rappresentano in modo stilizzato un albero della vita con grandi foglie d’acanto. Sull'arco, ai lati di una mezza luna, sono poste due figure femminili alate che sostengono una coppa ricolma di pietre preziose; queste sono distese in volo e pur volendo rappresentare le due divinità locali del culto di Zoroastro, Amortat e Havartat, sono pedisseque riproduzioni di vittorie romano ellenistiche. La zona più interna della nicchia à divisa due parti: nella fascia superiore si nota un rilievo rappresentante l'investitura di Cosroe II nell'atto di ricevere due ghirlande, simbolo del potere, rispettivamente da Ahura Mazda e Anahita. Nel registro inferiore è rappresentato un cavaliere con il tipico simbolo regale del nimbo, indossate un elmo, tenente nella mano sinistra uno scudo e nella destra una lancia. La parte anteriore del suo cavallo è protetta da una pancetta formata da dischi. Sembra abbastanza naturale che l'immagine voglia rappresentare Cosroe II in posa la guerriero con la cotta di maglia tipica dell'epoca. Sulle pareti laterali della grotta sono rappresentati a bassorilievo alcune scene di caccia reale: a sinistra il re ed alcune persone del seguito cacciano in barca dei cinghiali accompagnati dal suono della musica. A destra, il re colpisce alcuni cervi, mentre la selvaggina già uccisa viene portata via su elefanti e cammelli. Sulla parete di destra il re invece raffigurato cavallo mentre entra in un parco sotto d'un parasole; la sua figura sormonta in altezza tutte le altre ed è riprodotta più volte le diverse fasi della caccia a cui partecipa. Le figure degli animali, disposte su piani diversi, sono trattate con vivacità narrativa, secondo la tradizione animalistica mesopotamica. Il rilievo originariamente era colorato e forse voler imitare la pittura o addirittura un tappeto intessuto; la decorazione infatti ricorda molto quella a tappeto dell'oriente con le figure collocate in successione di piani senza alcuna possibilità di prospettiva reale. 93 Un’innovazione interessante percepibile in questa scena è caratterizzato dall'introduzione della prospettiva aerea: come nella pittura cinese, il “paradiso” qui rappresentato si compone di varie scene che vengono affiancate l'una all'altra ma vedute come dall'alto. Lo stile descrittivo di questi immagini e pieno di vita e di movimento che in questi disegni riconosciamo un'estetica del dettaglio che sarà tipica della pittura islamica dell'Iran tra IX e X secolo d.C. 5 - Ponte e diga romano-sasanide di Gargar L'antica Sushtar sorge su una terrazza naturale incisa dal fiume Kârun, la cui sorgente si trova a qualche chilometro a nord della città. Il luogo offrì nell'antichità una posizione commerciale e strategica di notevole importanza, inducendo i suoi abitanti a realizzare una serie di dighe piuttosto ardite che la resero famosa in tutto l'altipiano iranico. Il complesso delle dighe, del canale e dei muli è databile tra III e IV sec d.C. ed è attribuito dalla tradizione locale all’opera degli ingegneri catturati dai persiani e impiegati forzatamente in questa costrizione durante la prigionia. Il blocco principale di questa installazione idraulica è costituito dal canale di Ab-e Gârgar, scavato artificialmente per condurre l'acqua da una captazione situata sulla sponda orografica sinistra del fiume fino in città; il canale, che costeggia il lato meridionale della falesia cittadina, viene poi fatto confluire nel fiume Kârun presso la località di Band-e Ghir. A monte si distingue la grande infrastruttura dalla diga di Band-e Qaysar (la diga di Cesare, anche detta band-e Mizân) che crea come uno sbarramento di irreggimentazione delle acque nella parte orientale della città su una lunghezza di 350 m. La diga è 94 attraversata superiormente da un ponte che mette in comunicazione il lato orientale e quello occidentale del centro cittadino. I muri che la costituiscono – alti 4,50 m – sono stati costruiti in solida pietra, e sono interrotti da nove aperture dotate di paratie con altezze variabili tra i 2,85 e i 2,70 m. Nelle sue prossimità si trovano anche gli scarsi resti di alcuni mulini ad acqua utilizzati nell'antichità per la macinazione del grano. Sul lato occidentale della diga, su un piccolo promontorio, si trova la torre ottagonale di Kolah Frangi che, secondo alcuni storici, sarebbe servita per misurare e controllare il livello delle acque. Dalla diga si riparte canale di Gargân, uno dei canali artificiali più importanti dell’altopiano iranico, scavato nel banco naturale per una lunghezza di oltre 100 chilometri, derivato dal fiume Kârun presso cui si congiunge al termine del percorso. Scavato in gran parte nell'arenaria locale, il canale raggiunge un'ampiezza oscillante tra i 20 e i 90 m e, dopo aver superato la città di Shustar, prosegue in un'area fertile a sud della città per irrigare i campi. In prossimità del centro storico, il grande canale artificiale è poi irreggimentato da una diga artificiale della lunghezza di 700 m da cui si dipartono tre canali artificiali chiamati Boleyti, Su-Kureh e Dahan-e Shahr che superano lo sbarramento tramite condotti di diversa altezza per poi gettarsi nel fiume a valle, non prima di aver mosso le pale di alcuni mulini ad acqua. Complessivamente, sono noti i resti di oltre 50 mulini destinati alla macinazione del grano; qui, tra l'altro, nel corso del Novecento, fu realizzata le prima centrale idroelettrica dell'intero paese. Sei di questi mulini si trovano nelle immediate vicinanze della diga, dove si scorgono anche i resti di una costruzione denominata Sabat Zabetun, utilizzata dagli ufficiali governativi per la riscossione delle tasse dai commercianti che attraversavano il vicino ponte. Sul lato orientale dello sbarramento (sulla sinistra rispetto alla diga) si trovano oltre dodici mulini, otto dei quali sono stati ristrutturati e rimessi in funzione; nell'antichità, questo settore era accessibile tramite una scala esterna oggi crollata, poi sostituita da quella denominata Shani («Re»), edificata in funzione della centrale idroelettrica in occasione della visita dello scià Reza Pahlavi. I mulini sono realizzati nella forma di un edificio composto da due camere unite da un arco, una delle quali ospita l'impianto di macinazione vero e proprio. Sul lato occidentale (a destra della diga) sono quindi riconoscibili altri 21 mulini, alimentati dal tunnel denominato SeKureh; nelle immediate vicinanze si trova una scala composta da 115 gradini che congiunge il centro abitato con gli impianti di produzione. Alla base della scala si trova un edificio quadrangolare su cui si aprono tre grandi archi, denominato localmente 95 Cahar taqi nel quale trovavano riposo e potevano dedicarsi le preghiere giornaliere i mugnai. L'acqua, al termine del percorso che alimenta i mulini, si getta nel fiume tramite delle cascate artificiali che creano un effetto particolarmente suggestivo e che ne fanno una delle attrazioni cittadine. Nel settore a occidente del canale si trovavano anche le ghiacciaie. La diga è sormontata da un ponte lungo 83 m e anche 12 m, capace di mettere in comunicazione il lato orientale e quello occidentale della città. La diga è stata attribuita ai sassanidi e fu costruito con blocchi di arenaria uniti da calce. Procedendo verso sud, il canale di Gargar incontra un secondo sbarramento o diga denominato Borj-e ayâr, anch’esso realizzato nel periodo sassanide. La diga è stata oggetto di demolizione nel passato e attualmente è possibile solo riconoscerne alcune parti. La diga raggiunge ha una lunghezza di 4 m e uno spessore di 2,5. Nelle immediate vicinanze si trovano i resti di un edificio in pessime condizioni parzialmente scavato nella roccia, probabilmente un antico tempio utilizzato dai cristiani per il battesimo, grazie anche alla vicinanza con una sorgente d'acqua. Degno di nota poi un canale denominato 96 Miyanab che capta l'acqua a monte dello sbarramento per condurla con un condotto sotterraneo scavato nella roccia in direzione ovest con la finalità di permettere l'irrigazione dei campi situati nella regione meridionale della città. La differenza altimetrica tra il corso del Karun e l'insediamento cittadino (stimabile in circa 10 m) favorì dunque la progettazione di un'imponente sistema idraulico capace di garantire l'irrigazione del territorio della città e, al contempo, di mettere al sicuro gli abitanti dalle frequenti alluvioni. Le parti principali del complesso idraulico, composte da dighe, canali artificiali, mulini, magazzini, riserve e tunnel, sono da attribuire al periodo sassanide, in particolare al regno di Shapur I (240-272 d.C.). 5.2 - Ponte di Polband-e Shâdorvân Quanto resta di un poderoso ponte è ancora visibile nell'area nord ovest di Shushtar. L'edificio fu costruito sul ramo principale del fiume Kârun, in corrispondenza dell'asse nord-sud che rappresentava la principale via d'ingresso alla città. Secondo la tradizione, esso fu costruito in periodo sassanide con la collaborazione dei soldati romani catturati da Shapur. Il ponte è lungo approssimativamente 543 m, ampio tra i 10 e i 15 m, alto sul livello dell'acqua mediamente 8 m. Realizzato con 45 piloni, esso si adatta all'altimetria dei fondali e invece di avere un andamento rettilineo, manifesta una planimetria curvata. Tra gli elementi più caratteristici di questo ponte dobbiamo annoverare l'uso di grappe di ferro piombate per tenere uniti i blocchi, e la curiosa scelta di lastricare con pietre unite da malta il letto del fiume, probabilmente per mantenere il livello dell'acqua costante. 97