WElFarE E CoNtrasto alla CrImINalItà

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Welfare e contrasto alla criminalità
di Michele Mosca
La teoria economica fornisce un’utile interpretazione del comportamen­
to dei criminali costruendo modelli standard del processo decisionale in cui
la scelta degli individui tra compiere attività legali e illegali è valutata sulla
base della utilità attesa che esse garantiscono (Becker 1968). L’ipotesi di tale
modellistica, di impostazione microeconomica, sostiene che la partecipa­
zione ad attività criminali risponde a fattori incentivanti e che l’individuo si
trova, come suggerisce una parte della teoria, di fronte al classico problema
di allocazione del tempo che non riguarda scegliere tra tempo libero e tem­
po da destinare ad attività lavorative, ma quanto tempo destinare ad attività
legali e illegali (Ehrlich 1973). La letteratura economica e l’analisi empirica
hanno cercato inoltre di individuare i fattori che influenzano tale scelta.
Tra essi vi rientrano non solo i benefici attesi dalle attività illegali rispetto ai
redditi ottenuti da attività legali, la probabilità di essere arrestati e sottoposti
ad un processo e condannati, la severità della pena ma, come sostiene una
parte più recente della letteratura, a condizionare la scelta dell’individuo
partecipano anche fattori socio–economici (Gleaser e altri 1996).
Dal punto di vista macroeconomico, invece, è stato approfondito il nes­
so di causalità tra criminalità e disoccupazione (Marselli e Vannini 2000,
Calvò–Armengol e Zenou 2003) e tra criminalità e produttività del lavoro
(Centorrino e Ofria 2001; Felli e Tria 2000). Altri ancora hanno analizzato
il funzionamento del mercato del lavoro in presenza di fenomeni di cor­
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ruzione e accennato al ruolo che le organizzazioni criminali svolgono nel
creare barriere al mercato del lavoro (Tullio e Quarella 1999).
Recentemente la letteratura ha cercato di analizzare l’impatto della cri­
minalità sul mercato del lavoro e il ruolo dei reticoli sociali di cui esse si
servirebbe per generare l’assoggettamento dei territori e sostituirsi allo Stato
nella funzione di collocamento al lavoro e di sicurezza e protezione (Men­
nella 2009, Mosca e Villani 2010).
È stato inoltre messo in luce quanto il fenomeno della criminalità or­
ganizzata influisce sulle relazioni di fiducia tra gli individui e lo Stato (Za­
magni 1993) e di come tale fenomeno si sia consolidato nel tempo fino a
proporsi come impresa ed elemento di compromissione di attività legali,
considerando la criminalità organizzata sia come impresa sia come fattore di
compromissione delle attività produttive legali (Masciandaro 2000a).
L’approccio economico mette quindi in evidenza che un individuo com­
mette un crimine se il rendimento atteso da un’attività illegale è maggiore
del rendimento di un’attività legale, in generale da attività di lavoro legale.
Il suggerimento di policy che la teoria tradizionale propone per disincen­
tivare comportamenti devianti si fonda sull’individuazione di meccanismi
che riducono i benefici e/o in modo equivalente aumentano i costi legati
alle attività criminali.
Su questa intuizione si basano, nel nostro ordinamento giuridico, diversi
istituti volti a punire i comportamenti criminali attraverso la comminazione
di multe, contravvenzioni, pene, etc. etc., così da disincentivarne la reitera­
zione e/o segnalare la “non convenienza” ad altri individui potenzialmente
pronti a scegliere tra l’agire legale e illegale. È necessario, perciò, secondo al­
cuni studiosi incrementare uniformemente le pene per disincentivare azioni
criminali e procedere con attività di repressione à la key player, vale a dire
interventi che mirano a “eliminare” i criminali di riferimento, i leader, così
da indebolire le reti attraverso le quali le organizzazioni criminali si radicano
nei territori generandone la sottomissione. Tuttavia gli approcci che mirano
a combattere la criminalità inasprendo i costi delle scelte di delinquere pos­
sono produrre effetti limitati e incerti in quanto gli agenti criminali potreb­
bero reagire scegliendo quelle attività che determinano un flusso di benefici
maggiori dei costi, generando per questa via crimini più cruenti.
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D’altra parte anche la strategia di repressione del key player può mani­
festarsi inefficace in quanto le procedure di individuazione di nuovi “boss”
avvengono repentinamente e spesso generano feroci faide per la “corsa alla
leadership”. Il tentativo di individuare la sanzione “ottima” da comminare
al criminale, che parte della letteratura economica ha portato avanti negli
anni, si è concentrato sull’impatto della propensione alla recidiva dei cri­
minali, sulla riduzione di reati nel tempo, sull’impossibilità di sostituire i
criminali (come nel caso delle organizzazioni criminali) e sulla valutazione
che il carcere non funzioni da “palestra”, “scuola” di criminalità (Kugler,
Verdier, e Zenou 2005).
La forte azione di repressione dei fenomeni criminali registrata nel no­
stro Paese nel corso degli anni soprattutto nelle regioni meridionali, non ha
evirato il problema della proliferazione delle organizzazioni criminali. Tale
constatazione fa emergere la necessità di procedere ad una riformulazione
delle politiche di contrasto alla criminalità promuovendo quelle che sosten­
gono una prevenzione del comportamento criminale dal basso, vale a dire
quelle che si prefiggono di contribuire alla crescita e alla coesione sociale
soprattutto di coloro che hanno una propensione maggiore a delinquere.
È necessario (re)–agire attivando azioni e interventi che puntano a pre­
venire i comportamenti criminali costruendo un tessuto sociale che trasfe­
risca valori diversi da quelli della criminalità soprattutto a quelle fasce della
popolazione (non solo giovanile) che per diverse ragioni sperimentano si­
tuazioni di disagio e possono trasformarsi in bacini di reclutamento per atti­
vità criminali. Le politiche di prevenzione, d’altra parte, se opportunamente
implementate, possono ridurre i costi che il sistema di comminazione di
punizione genera per un Paese e fornirne un miglioramento complessivo in
termini di ri–educazione e ri–abilitazione degli individui costruendo e raf­
forzando per essi spazi di libertà per condurre il tipo di vita che si è scelto.
Negli ultimi anni il dibattito politico istituzionale che ruota intorno agli
obiettivi che il welfare deve proporsi ha posto particolare enfasi anche al
ruolo che esso può svolgere nel creare disincentivi alla scelta di delinque­
re. Un buon sistema di welfare deve agire migliorando il benessere delle
persone che dipende in modo determinante dagli stili di vita, dai fattori
ambientali, dai fattori biologici oltre che dai fattori sanitari. Sono questi i
determinanti del benessere che le politiche di welfare devono sostenere per
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Michele Mosca
consentire alle persone di poter scegliere il tipo di vita da condurre e al quale
essi attribuiscono un valore (Sen 1992). Le politiche di welfare devono, in
altri termini, puntare ad ampliare gli spazi entro i quali le persone possono
esprimersi rimuovendo le cause che determinano una compressione o una
impossibilità ad esercitare appieno i diritti.
La criminalità organizzata riduce lo spazio di azione delle persone condi­
zionandone la libertà di “agire e di fare”. Infatti, le organizzazioni criminali
creano illibertà, la loro stessa esistenza e presenza è fonte di illibertà. Esse
agiscono trasformando diritti in concessioni, diritti in favori che devono es­
sere contraccambiati generando assoggettamento e condizionamento degli
individui, soprattutto di quei soggetti che sperimentano processi di esclu­
sione sociale generati dalla mancanza di lavoro e/o da un contesto sociale
particolarmente degradato.
La criminalità organizzata assoggetta i territori depauperandone il ca­
pitale sociale, vale a dire la fiducia, il rispetto delle regole civili, gli spazi di
cittadinanza attiva, cioè quegli elementi che migliorano i livelli della qualità
di vita degli individui e che rappresentano risorse fondamentali per lo svi­
luppo sociale ed economico. Diventa perciò un obiettivo fondamentale an­
che per le politiche di welfare interessarsi delle creazione delle precondizioni
dello sviluppo economico e sociale co–progettando con gli altri soggetti
coinvolti nella lotta alla criminalità azioni e interventi che puntino ad au­
mentare la coesione e la sicurezza degli individui e del territorio. Coesione
e sicurezza diventano perciò determinanti fondamentali del benessere delle
persone assieme agli “stili di vita”, ai “fattori ambientali” e a quelli “bio­
logici”. Un modo innovativo per intervenire che non deve trasformare le
politiche sociali in politiche di sicurezza, ma che riconosce l’importanza del
benessere sociale nella costruzione di percorsi di civiltà e di legalità che sono
precondizioni per lo sviluppo sociale ed economico.
Le organizzazioni criminali si servono di legami e reti che costruiscono
nei territori tra gli individui e tra questi e le istituzioni incutendo e osten­
tando forza e potere e aleggiando il mito dell’invincibilità sulle istituzioni e
la capacità di produrre ricchezza per gli aderenti.
Per contribuire alla lotta alla criminalità è necessario indebolire le de­
terminanti del consenso sociale utilizzato dalle organizzazioni criminali in
modo da spezzare il circolo vizioso che va dall’impoverimento sociale e cul­
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turale al rafforzamento di un modello di sviluppo sostenuto dalla crimina­
lità. La promozione di iniziative che stimolino attività pro sociali in grado
di favorire l’accumulazione di capitale sociale “puro” può influire sul set di
scelte degli individui e spingerli a preferire attività legali ad attività illegali
(Mosca Villani, 2010).
Gli strumenti del sequestro e della confisca dei beni della criminalità
organizzata introdotti dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 “Disposizioni
contro la mafia”, uniti alla possibilità di riutilizzo dei beni per finalità sociali
e istituzionali da parte di organizzazioni nonprofit come sostenuto dalla
legge 7 marzo 109/1996 “Disposizioni in materia di gestione e destinazione di
beni sequestrati o confiscati”, rappresentano, in Italia, misure giudiziarie che
se ben implementate possono svolgere un’importante azione deterrente alla
diffusione di comportamenti illegali. L’alto valore simbolico che esercita il
riutilizzo per fini sociali ed istituzionali dei beni appartenuti alle organizza­
zioni criminali può contribuire in modo positivo ed efficace a spezzare il ci­
clo vizioso che si instaura soprattutto nei territori con massiccia presenza di
criminalità tra creazione di reti sociali “illegali” e attività criminali. La pos­
sibilità inoltre che la legge 109/1996 riconosce alle organizzazione del terzo
settore di gestire i beni delle organizzazioni criminali e di farli “rivivere” per
la creazione di attività di utilità sociale può agire in modo diretto sulla crea­
zione di ricchezza di un territorio attraverso la produzione di beni e servizi e
occasioni di lavoro aggiuntivi a quelli prodotti dal settore privato for profit
e dal settore pubblico. Un maggior sostegno e una maggiore diffusione delle
organizzazioni del terzo settore unito ad una semplificazione delle procedu­
re amministrative che governano le fasi di assegnazione dei beni confiscati
possono incrementare gli effetti diretti ed indiretti sui livelli di ricchezza
attraverso la produzione, alimentazione e manutenzione delle componenti
del capitale sociale come fiducia, rispetto delle regole civili, ampliamenti
degli spazi di cittadinanza attiva, attraverso cioè quegli elementi che miglio­
rano i livelli della qualità di vita degli individui che possono contribuire ad
innescare percorsi di legalità e rispetto delle regole.
Un buon welfare può dunque svolgere un ruolo determinante nella com­
partecipazione alla creazione di percorsi di rinforzamento della fiducia e di
ri–generatore di capitale sociale. Un sistema di welfare efficace deve, però,
essere in grado di promuovere interventi ed azioni per rimuovere qualsiasi
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forma di diseguaglianza sociale ed economica tra gli individui. Un modello
di welfare attento alle esigenze degli individui deve saper convogliare le ri­
sorse materiali e immateriali della comunità procedendo ad una sua trasfor­
mazione da welfare istituzionalizzato a welfare di comunità. Ciò richiede
una trasformazione dei rapporti tra istituzioni e società civile in modo da
assicurare maggiore soggettività e protagonismo alla comunità, aiutandola
in un’ottica di sussidiarietà, nella realizzazione di un percorso di auto–orga­
nizzazione e di autodeterminazione fondato sui valori della solidarietà, della
coesione sociale e del bene comune (Baldascino e Mosca 2011).
Una completa emancipazione dell’uomo può avvenire solo attraverso
l’eliminazione delle cause che creano dipendenza culturale, politica ed eco­
nomica dai centri di potere clientelari e illegali. Le politiche di welfare de­
vono perciò agire sulle cause che creano consenso sociale e consentono che
le organizzazioni criminali si sostituiscano alle Istituzioni pubbliche rappre­
sentando, per gli individui, interlocutori ai quali rivolgersi per il colloca­
mento al lavoro e di qualsiasi altra attività.
Tra gli economisti e i policymakers vi è ampia condivisione dell’idea che
il fattore decisivo di sviluppo, sia economico che civile, di un territorio o di
un paese dipende, in una certa misura, anche dal livello di capitale sociale
da esso accumulato. Nei territori dove massiccia è la presenza delle orga­
nizzazioni criminali che distorcono le regole di funzionamento dei mercati
compromettendone lo sviluppo sociale ed economico un contributo deter­
minante alla lotta contro l’illegalità passa necessariamente attraverso l’in­
tensificazione di un adeguato processo di accumulazione di capitale sociale
(Bruni e Zamagni 2004, Putnam, 2004).
Il capitale sociale rappresenta l’insieme di relazioni sociali che si sono
formate nel tempo e che sono in possesso degli individui: relazioni parenta­
li, di amicizia, di ceto, etc. (Coleman, 1990). Esso quindi non è un bene in
possesso di un singolo (o più) individuo (i) ma è costitutivo della “struttura
delle relazioni tra persone (due o più)” (Muti, 1998, p. 13). Da questo pun­
to di vista esso possiede la stessa natura del bene pubblico in quanto coloro
che partecipano alla sua produzione, vale a dire partecipano alla realizzazio­
ni delle reti fiduciarie, non producono esclusivamente benefici per sé, ma
anche per tutti gli altri individui che fanno parte della struttura relazionale.
Esso, inoltre, alla pari del capitale fisico e umano, rappresenta un input
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della produzione che non si estrinseca in un bene o prodotto tangibile,
ma produce piuttosto “valori materiali e simbolici”. Il capitale sociale è poi
strettamente connesso alla fiducia in quanto esso rappresentando il com­
plesso delle relazioni fiduciarie è in grado di generare tra gli individui “la
capacità di riconoscersi e intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi
reciprocamente e di cooperare a fini comuni” (Muti, 1998, p. 13).
Ma il capitale sociale rappresenta anche l’insieme delle caratteristiche
dell’organizzazione sociale, quali la fiducia le norme di reciprocità e le reti
di impegno civico, elementi fondamentali per il funzionamento della socie­
tà (Putnam, 1993). Esso assume, quindi, una rilevanza fondamentale nel
generare la cooperazione tra gli individui che è tanto più forte, e produce
tanto più benefici, quanto più il livello di fiducia è elevato tra gli individui
e tra questi e le istituzioni. La fiducia quindi è il fattore chiave in grado di
generare capitale sociale promuovendo collaborazione e cooperazione tra gli
individui (Fukuyama, 1996). La fiducia viene infatti definita come “l’aspet­
tativa, che nasce all’interno di una comunità, di un comportamento preve­
dibile, corretto e cooperativo, basato su norme comunemente condivise, da
parte dei suoi membri”.
Da quanto fin qui detto, quindi, una bassa dotazione di capitale sociale
o un suo depauperamento o “distruzione” riduce nel complesso la capacità
di produrre ricchezza sociale ed economica. Vi sarebbe inoltre una relazione
tra criminalità e capitale sociale, nella maggior parte dei casi di tipo negati­
va, al punto tale da poter affermare che i territori maggiormente martoriati
dalla presenza di organizzazioni criminali sono soprattutto quelli nei quali
il livello di dotazione di capitale sociale è basso (Buonanno, Montolio e
Vanin, 2009).
Il capitale sociale diventa perciò un input fondamentale per lo sviluppo
dei territori e se ne richiede un accrescimento e rinforzamento proprio dove
è forte e incontrastata l’azione della criminalità. Tale percorso non sottrae
nessuna istituzione, privata e pubblica, dalla responsabilità di costruire un
processo virtuoso di crescita dal basso che coinvolga man mano tutti i sog­
getti economici che operano e risiedono nei territori, incentivandoli ad im­
pegnarsi in un’opportuna opera di gestione e di valorizzazione soprattutto
delle risorse locali e dei beni comuni. Tale scelta impone che il modello di
welfare da implementare sia in grado di promuovere azioni co–progettate e
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Michele Mosca
condivise tra i vari soggetti che vi partecipano in grado di recuperare quelle
relazioni interpersonali sane tra gli individui che sono fondamentali negli
scambi e in generale nel concorrere allo sviluppo sociale ed economico dei
territori.
Una scelta che richiede un’analisi basata su un approccio interdiscipli­
nare che sappia tener in debito conto i contributi delle diverse discipline
delle scienze economiche, giuridiche e sociali che si interessano del com­
portamento dell’uomo che proponga soluzioni efficaci ed efficienti ai po­
licymaker e che trova un ambiente congeniale all’interno della Facoltà di
Scienze Politiche che da sempre si è caratterizzata per la sua capacità di
fornire riflessioni e analisi in una dimensione interdisciplinare.
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