Introduzione
All’inizio del 2012 l’associazione culturale Progettazione Sostenibile Partecipata
(PSP) ha invitato tutti gli abitanti1 del Laboratorio di Progettazione Partecipata
del XVII Municipio2 a partecipare a un seminario per elaborare una proposta
progettuale finalizzata al recupero e riuso dell’ex deposito ATAC “Vittoria” di
Roma che fosse coerente con le linee guida del Laboratorio (vedi Appendice)
e con un’idea di città dove il rispetto dell’ambiente è d’obbligo e il valore d’uso
prevale sempre sul valore di scambio.
Il primo capitolo del quaderno illustra in sintesi la storia e le vicende urbanistiche
del quartiere Della Vittoria e del deposito ATAC e le attività del Laboratorio di
Progettazione Partecipata, sulla base di alcune documentazioni raccolte dagli
abitanti nella fase iniziale del seminario.
Il secondo capitolo descrive il metodo utilizzato dai partecipanti per elaborare
la proposta progettuale. Nel terzo e ultimo capitolo sono riportati gli scenari
futuri, ovverosia i racconti fatti di parole e immagini dove gli abitanti prefigurano il futuro dell’ex deposito, in un modo “visionario” ma coerente con le
loro attuali volizioni.
Il seminario è ancora in corso.
I prossimi passi vedranno i partecipanti confrontarsi e discutere in merito agli
scenari al fine di pervenire a un unico scenario futuro condiviso. Questo scenario sarà utilizzato per sviluppare un progetto preliminare3: la speranza di quanti
partecipano al seminario è che esso possa costituire quantomeno un riferimento
imprescindibile per chi sarà incaricato dall’amministrazione comunale di progettare il recupero dell’ex deposito.
Questo quaderno vuole essere soprattutto un incentivo per gli abitanti del Municipio a partecipare più numerosi alle attività del seminario, rinunciando almeno in parte al “pessimismo della ragione” — purtroppo dominante in questi
tempi — per dare più spazio all’“ottimismo della volontà”. In particolare potranno elaborare i loro scenari che, assieme a quelli già elaborati, saranno utilizzati
per costruire lo scenario condiviso e la proposta progettuale che ne discenderà.
1. Abitanti non sono solo i residenti, ma anche coloro che frequentano abitualmente il
quartiere per motivi di lavoro, di studio o nel tempo libero.
2. Il Laboratorio è stato attivato dal Municipio nel giugno 2011 su richiesta del Coordinamento Cittadino Progetto Partecipato (CCPP) e del Comitato Cittadino Della Vittoria.
3. All’elaborazione del progetto parteciperanno gli studenti del modulo di progettazione
architettonica svolto dalla prof. Elena Mortola nell’ambito del Laboratorio di Progettazione
Urbana (docente prof. Anna Palazzo) del Corso di Laurea Magistrale Architettura — Progettazione Urbana della Facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre.
7
2. Un nuovo approccio alla progettazione partecipata
2.1 Premessa
Dopo aver acquisito le informazioni necessarie, il Laboratorio di progettazione
partecipata del XVII Municipio ha proceduto a elaborare le linee guida (vedi Appendice), un insieme di principi e indicazioni progettuali coerenti con una visione
condivisa di città sostenibile che il progetto di recupero e riuso dell’ex deposito
ATAC “Vittoria” dovrà rispettare.
Nella maggior parte dei processi di progettazione partecipata la fase interattiva
si conclude a questo punto: i tecnici, sulla base delle linee guida, elaborano autonomamente il progetto che sarà quindi sottoposto al giudizio degli abitanti.
Nell’approccio adottato dal seminario i tecnici e gli abitanti sviluppano assieme
la soluzione progettuale nel pieno rispetto delle linee guida e della struttura
profonda del luogo. Gli abitanti — che hanno la possibilità di influenzare direttamente le scelte progettuali e di verificarne gli esiti nel corso del processo —
non rischiano così di trovarsi di fronte a un progetto finale che non condividono
perché non rispetta appieno le loro volizioni.
Il metodo adottato nel seminario s’ispira alle teorie sviluppate negli ultimi quaranta anni da Christopher Alexander, integrate da alcuni nuovi concetti la cui validità è confermata dai risultati delle sperimentazioni progettuali svolte da alcuni
membri di PSP (Giangrande 2009, Giangrande et al. 2009, Giangrande e Goni
Mazzitelli 2011, Giangrande e Mortola 2011a, Giangrande e Mortola 2011b,
Mortola e Mecarelli 2012).
Questo metodo si articola in tre fasi: identificazione della wholeness del luogo,
costruzione dello scenario futuro e unfolding1.
2.2 Identificazione della wholeness
Elementi fondamentali della wholeness (totalità, interezza) di un luogo sono i
suoi centri viventi (living center).
“In ogni regione dello spazio alcune sub-regioni hanno un’intensità maggiore
come centri, altre meno [...]. La configurazione complessiva dei centri, in parte
1. I termini wholeness, centro vivente, centro latente, proprietà/trasformazioni geometriche fondamentali, pattern (e pattern language), aree danneggiate, unfolding fanno tutti parte
del glossario di Alexander.
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inclusi gli uni negli altri, con le loro relative intensità, costituisce una singola
struttura. Definisco questa struttura la wholeness di quella regione” (Alexander
2005, Book 1, p. 96).
“Quando uso la parola centro mi riferisco a un sistema fisico distinto che occupa
un certo volume nello spazio e possiede una speciale, rilevante coerenza.” [...]
“La vita di ogni centro dipende da quella di altri centri. Questa vita o intensità è
una funzione dell’intera configurazione di cui il centro stesso fa parte” (Alexander 2005, Book 1, p. 84).
La vita di un centro consegue dai suoi valori intrinseci consolidati: naturalistici, storico-testimoniali, architettonici, artistici, sociali, culturali, economici ecc.;
dall’importanza che gli abitanti gli riconoscono come luogo ricco di memorie e
di significati identitari; ma anche e soprattutto dalla “speciale, rilevante coerenza” che gli deriva dalle connessioni tra le diverse parti del centro e con i centri
vicini. Questa coerenza è resa spesso evidente dalla presenza di proprietà geometriche fondamentali2 e di un insieme di pattern3 strutturati secondo le regole
di uno specifico linguaggio.
I centri viventi possono essere di due tipi.
– I centri del primo tipo ospitano una o più attività. Si tratta di spazi aperti
(un parco, un giardino, una spiaggia, un punto panoramico, un campo
sportivo, una piazza ecc), spazi coperti (una scuola, un museo, un teatro,
una biblioteca, un centro culturale, un’abitazione, una stanza ecc) o un
mix di spazi aperti e coperti.
– I centri del secondo tipo, diversamente da quelli del primo tipo, non sono
in grado di ospitare attività in quanto privi di spazi interni praticabili. Si
tratta, ad esempio, di un albero secolare, un corpo d’acqua, una fontana
storica, un antico acquedotto, una statua, un quadro ecc.
2. Queste proprietà sono strumenti utili per riconoscere i centri, per capire sempre più cose
della loro vita e dei modi in cui interagiscono; nel processo progettuale aiutano a trasformare
ogni centro latente o area danneggiata in un centro vivente, rendendo la geometria dei suoi
spazi congruente con le pratiche che in esso si svolgono e creando le necessarie relazioni
spaziali e funzionali con gli altri centri (vedi 2.3). Le proprietà geometriche fondamentali sono
quindici: LIVELLI DI SCALA, CENTRI FORTI, CONFINI, RIPETIZIONE ALTERNATA, SPAZIO POSITIVO, BUONA FORMA, SIMMETRIE LOCALI, INTERCONNESSIONE PROFONDA E AMBIGUITÀ,
CONTRASTO, GRADIENTI, IRREGOLARITÀ, ECHI, VUOTO, SEMPLICITÀ E CALMA INTERIORE,
NON-SEPARATEZZA (Alexander 2005, Book 1, pp. 143–252).
3. Un pattern è un “modulo” o “vocabolo” spaziale che descrive il nucleo della soluzione
di un problema che si presenta in modo ricorrente nel contesto fisico e sociale di un luogo, in
situazioni storiche e geografiche diverse (archetipo). A ogni pattern è associato un numero —
da 1 a 253 — che è tanto più grande quanto minore è la scala dell’ambito territoriale al quale si
riferisce. I pattern sono collegati tra loro secondo le regole di uno specifico linguaggio (pattern
language). Secondo queste regole, ogni pattern contribuisce a “completare” alcuni pattern di
scala superiore ed “è completato” a sua volta da alcuni pattern di scala inferiore. (Alexander et
al. 1977).
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Sono parte della wholeness del luogo anche i centri latenti, ovverossia quei
centri che non possiedono tutti i requisiti di un centro vivente ma che potrebbero acquisirli facilmente con opportuni interventi di recupero e ristrutturazione.
I centri latenti sono di tre tipi.
– I centri latenti del primo tipo ospitano attività di riconosciuto valore, ma
non possiedono (o possiedono solo in parte) i requisiti necessari per essere centri viventi. I suoi spazi sono talvolta sottoutilizzati o utilizzati con
scarsa soddisfazione per la presenza di situazioni di degrado o di pericolo.
I suoi spazi non sono del tutto congruenti (per dimensione, forma o altro)
con le attività ospitate. La carenza di proprietà geometriche fondamentali
e di un linguaggio di pattern rende inoltre il centro poco riconoscibile e
scarsamente integrato, spazialmente e funzionalmente, con gli altri centri
del contesto.
– I centri latenti del secondo tipo — come quelli viventi dello stesso tipo —
non possono ospitare attività in quanto privi di spazi interni praticabili.
Questi centri posseggono valori intrinseci, ma la loro percezione è attenuata dalla presenza di situazioni di degrado. Spesso la loro posizione
non contribuisce (o addirittura riduce) la coerenza spaziale del contesto di
cui fanno parte.
– I centri latenti del terzo tipo sono spazi degradati che non ospitano attualmente alcuna attività o ospitano attività giudicate del tutto improprie.
Tuttavia questi spazi, diversamente dalle aree danneggiate (vedi oltre),
ereditano dal loro passato alcuni valori intrinseci, anche identitari, che
ne impongono il recupero e il riuso. Per trasformare un centro di questo
tipo in centro vivente occorre contemperare l’esigenza di recuperare gli
elementi degradati — che sono costitutivi del suo valore intrinseco o che
concorrono a realizzare le connessioni tra il centro stesso e gli altri centri
— con quella di ristrutturare i suoi spazi affinché possano ospitare nuove
e più adeguate attività4.
Sono costitutivi della wholeness anche gli accessi appropriati che consentono di
raggiungere un centro o un’area dove sono presenti più centri.
Gli accessi si distinguono anche in reali e potenziali. La realizzazione degli
accessi potenziali, che allo stato attuale non esistono, potrebbe integrare util 4. Un esempio di centro latente del terzo tipo è l’edificio di via Monte Nero, che delimita
a sud l’ex deposito ATAC. Per conservare l’impianto a corte del complesso occorrerà mantenere l’edificio in tutta la sua lunghezza, senza modificarne sostanzialmente l’altezza; inoltre
occorrerà restaurare il suo fronte esterno, il cui valore storico e identitario è riconosciuto dagli
abitanti del quartiere. L’esigenza di salvaguardare questo valore dovrà essere contemperata
con quella di realizzare i varchi atti a collegare l’interno del complesso con l’area adiacente di
via Sabotino e di ristrutturare l’edificio per renderlo idoneo a ospitare alcune nuove attività,
scelte tra quelle volute dagli abitanti (vedi Appendice).
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mente il sistema di quelli reali. Altri elementi costitutivi della wholeness sono i
luoghi caratterizzati da viste importanti, reali e potenziali.
La mappa della wholeness è uno strumento di progettazione importante dove
sono riportati su base topografica tutti gli elementi costitutivi della wholeness
presenti nell’ambito d’intervento. Su essa sono localizzati anche tutti i “detrattori”, ovverossia gli elementi che diminuiscono la wholeness del luogo: le aree
danneggiate, gli accessi inappropriati e le viste sgradevoli.
Le aree danneggiate sono spazi del tutto privi di valori intrinseci e identitari. Si tratta
in genere di spazi degradati o pericolosi, dove non si svolge alcuna attività: la loro
presenza contribuisce soltanto a ridurre la wholeness dell’ambito di cui fanno parte.
L’unica trasformazione possibile per un’area danneggiata è un intervento di demolizione e ricostruzione, seguito dalla realizzazione di un nuovo centro vivente.
Diversamente da quelli appropriati, gli accessi inappropriati sono caratterizzati da una o più situazioni sfavorevoli: degrado, tempi di percorrenza eccessivi,
percorsi non adatti alle persone con limitata capacità motoria o sensoriale ecc.
2.3 Costruzione dello scenario futuro (visioning)
Uno scenario futuro prefigura i cambiamenti che gli attori interessati desiderano
per i loro spazi di vita. Questa prefigurazione non si riferisce a uno specifico
orizzonte temporale, ma è una “visione” genericamente orientata a un futuro
lontano che potrà sempre essere aggiornata in funzione della mutata situazione
del contesto.
Lo scenario viene costruito come un “racconto dal futuro”. Per sviluppare il racconto, tutti i partecipanti sono sollecitati a immedesimarsi in un abitante che
ritorna dopo molti anni nei suoi luoghi d’origine e li trova rivitalizzati, trasformati
in conformità alle sue volizioni attuali. Ciascuno, nei panni dell’abitante, racconta quello che vede e sente, le emozioni che prova: le frasi che i partecipanti
pronunciano a turno sono registrate in modo puntuale e riorganizzate in forma
di racconto5. Questo racconto non è necessariamente coerente: le situazioni che
i partecipanti prefigurano possono anche essere diverse (se riferite allo stesso
luogo) e non compatibili (se riferite a luoghi differenti).
Un modo alternativo di costruire uno scenario consiste nel sollecitare ogni singolo partecipante a sviluppare un racconto individuale. Questi racconti — in quanto riferiti a “visioni” diverse — potranno presentare incoerenze non dissimili da
quelle del racconto costruito secondo la modalità precedente.
Prima di procedere all’unfolding (vedi 2.3) occorre che i partecipanti si confrontino
e discutano al fine di pervenire a un unico scenario futuro, coerente e condiviso.
5. Lo scenario preliminare costruito nei mesi di aprile e maggio 2011 (vedi 1.1) è stato elaborato in questo modo.
24
La costruzione dello scenario unico non presenta di solito particolari difficoltà.
L’obbligo di essere coerenti con la mappa della wholeness e con la “visione”
generale sottesa alle linee guida induce spesso i partecipanti a prefigurare situazioni diverse ma che possono essere facilmente integrate tra loro in quanto non
conflittuali, ma complementari o sinergiche. La discussione diventa necessaria
solo quando, in presenza di situazioni irriducibilmente alternative, i partecipanti
sono obbligati a scegliere.
Uno scenario futuro può essere visto anche come un insieme di “visioni” che
si riferiscono a sotto-ambiti progettuali distinti. Dalla “visione” di ogni specifico
sotto-ambito si possono ricavare uno o più centri viventi “in nuce”, cioè prefigurazioni di luoghi e pratiche cui occorrerà fare riferimento per sviluppare e realizzare i centri viventi. Ai principali centri “in nuce” si possono associare una o più
immagini non necessariamente contestualizzate — foto di progetti già realizzati
altrove, schizzi ecc — che anticipano le caratteristiche principali e alcuni dettagli
dei centri da sviluppare.
Allo scenario può essere allegata una mappa che consente di localizzare con facilità sia i sotto-ambiti sia i centri “in nuce” principali che ad essi appartengono.
2.4Unfolding
Unfolding significa “sviluppo con mantenimento/rafforzamento della wholeness”. Questo concetto discende dalla filosofia di Alexander, interessato soprattutto a trasformare l’esistente nel rispetto della struttura profonda dei luoghi
piuttosto che a riprodurre pedissequamente le forme del passato: tutti gli interventi — di recupero o di nuova costruzione — potranno essere sviluppati
secondo un linguaggio che è proprio della contemporaneità, a patto però che
non peggiorino la coerenza e il carattere unitario del luogo.
Il processo di unfolding comporta innanzitutto la progettazione dei nuovi centri
viventi a partire dai centri “in nuce” corrispondenti6. Ogni centro “in nuce” che
appartiene a uno specifico sotto-ambito sarà sviluppato in modo che le sue attività coincidano con quelle prefigurate nello scenario futuro. Per essere vivente,
esso dovrà inoltre possedere quella “speciale, rilevante coerenza” che consegue
dalle relazioni spaziali e funzionali esistenti sia al suo interno, sia con gli altri
centri del suo sotto-ambito.
L’insieme dei centri che fanno parte dello stesso sotto-ambito costituisce un centro vivente di scala superiore. Tra i centri che si riferiscono ai diversi sotto-ambiti
6. I centri viventi preesistenti, che funzionano da “catalizzatori” del processo di sviluppo,
saranno conservati così come sono; l’unfolding riguarderà soltanto la trasformazione dei centri
latenti e degli altri spazi, come le aree danneggiate e gli accessi inappropriati.
25
occorre quindi sviluppare, attraverso un processo incrementale e ciclico, le connessioni spaziali e funzionali che consentono di realizzare uno spazio coerente e
unitario alla scala dell’intero ambito d’intervento.
Per sviluppare i centri e le loro relazioni a tutte le scale si può fare uso delle
quindici trasformazioni7 geometriche fondamentali e di uno specifico linguaggio
di pattern.
Per utilizzare il pattern language è innanzitutto necessario identificare i pattern
più congruenti con le attività prefigurate nello scenario futuro per ogni singolo
centro in nuce. A questo fine occorre selezionare il pattern principale — cioè
quello maggiormente rappresentativo del centro “in nuce” — e utilizzare le regole del linguaggio per identificare un opportuno repertorio di pattern collegati
tra loro. Il repertorio, che può essere rappresentato mediante un grafo orientato
atto a evidenziare le relazioni di subordinazione e sovraordinazione esistenti tra
i diversi pattern, viene quindi utilizzato per progettare gli spazi e le funzioni del
centro considerato.
L’uso del pattern language si alternerà a quello delle trasformazioni geometriche
fondamentali. Scrive Alexander: “Benché importanti, le quindici trasformazioni
non sono di per sé essenziali. Ciò che conta è la vita dei centri. La loro importanza consiste esclusivamente nel fatto che esse aiutano a capire in che modo i centri possano essere portati alla vita” (Alexander 2005, pp. 143-144). La presenza
puramente formale di proprietà geometriche non garantisce di per sé la vita del
progetto, la sua capacità di suscitare emozioni: questa vita dipende dal modo
in cui esse sono applicate. Le trasformazioni geometriche fondamentali vanno
dunque intese come strumenti che aiutano il progettista a dare vita ai centri.
2.5 La mappa della wholeness dell’ex deposito ATAC
“Vittoria” e delle zone adiacenti
La mappa della wholeness (vedi figura seguente) elaborata nell’ambito del seminario è un documento che completa e approfondisce le linee guida del Laboratorio (vedi Appendice). Nelle note allegate alla mappa — che qui non riportiamo
— sono illustrate in dettaglio le motivazioni che hanno consentito ai partecipanti
d’identificare in tutta l’area d’intervento gli elementi costitutivi della wholeness
(centri latenti, accessi appropriati e visuali importanti, reali e potenziali) e gli elementi detrattori della stessa (aree danneggiate e accessi inappropriati). Nell’area
non sono stati trovati centri viventi.
7. Trasformazioni e non proprietà, poiché nell’unfolding le proprietà geometriche fondamentali sono utilizzate come strumenti per trasformare l’ambito d’intervento, non per analizzarlo.
26
MAPPA DELLA WHOLENESS
La mappa dovrà aiutare i partecipanti a trasformare l’esistente nel rispetto della
struttura profonda del luogo. Qui di seguito sono illustrate in sintesi le indicazioni di progetto che si ricavano contestualmente dalla mappa e dalle linee guida.
1.L’intero complesso dovrà conservare l’impianto a corte. Il suo bordo integrerà in modo coerente gli elementi preesistenti di maggior pregio —
che saranno restaurati o ristrutturati — con quelli di nuova costruzione.
Il bordo sarà continuo, ma il numero degli accessi che collegano l’interno
del complesso alle zone circostanti dovrà aumentare. L’altezza del bordo
non potrà superare quella dell’edificio che ospita la sede ASL del DSM
(Dipartimento di Salute Mentale).
N.B. Il bordo avrà un’altezza pressoché uniforme: le eventuali differenze d’altezza dei
suoi lati non dovranno essere tali da rendere lo spazio circoscritto incapace di trasmettere a chi lo frequenta lo stesso senso di equilibrio e protezione di una normale corte
delimitata da muri o corpi di fabbrica di uguale altezza.
27
2.L’attuale portale d’ingresso di piazza Bainsizza sarà demolito e sostituito
da un portale nuovo, ben integrato con i bordi del complesso (viale Carso
e via Monte Santo).
3.L’edificio che ospita il DSM di via Monte Santo — che manterrà la sua
funzione — sarà consolidato, restaurato e liberato dalle superfetazioni
(leggi spazi adibiti a uffici e a guardiania adiacenti all’ingresso di piazza
Bainsizza). Gli spazi attualmente non utilizzati — nei sotterranei, al piano
terra e sulla terrazza — saranno recuperati al fine di potenziare l’attività
della struttura sanitaria.
4.L’edificio strutturato su un piano continuo e attualmente inutilizzato, ubicato tra la sede del DSM e la sottocentrale elettrica, sarà restaurato per
poter accogliere nuove attività, scelte tra quelle previste dalla linee guida8. Utilizzando alcuni spazi liberi (o liberabili) ubicati tra questo edificio e
l’edificio della sottocentrale elettrica (vedi 5.), si potrà realizzare un nuovo
percorso per accedere all’interno del complesso da via Monte Santo.
5.Il numero di piani e le altezze interpiano dell’edificio che ospita la sottocentrale elettrica saranno conservati, e le sue facciate restaurate. Le apparecchiature della sottocentrale dovranno essere delocalizzate. Lo spazio
interno potrà essere ristrutturato per accogliere nuove attività, scelte tra
quelle più adatte previste dalle linee guida.
6.Il lungo corpo di fabbrica di un piano che affaccia su via Monte Nero e
collega senza soluzione di continuità l’edificio della sottocentrale elettrica
con viale Angelico sarà ristrutturato in modo da poter ospitare sia alcune
pratiche tra quelle previste dalle linee guida sia i varchi di collegamento
con l’area di via Sabotino.
L’intervento di ristrutturazione dovrà prevedere la conservazione e il restauro della facciata di viale Monte Nero, nonché la ricostruzione delle aperture
che sono andate perdute con il crollo di parte del muro perimetrale.
7.Il piccolo spazio aperto che s’interpone tra la recinzione di viale Angelico
e l’edifico già sede di ATAC Patrimonio s.p.a. sarà conservato e restaurato, assieme al prospetto dell’edificio. L’ingresso da viale Angelico sarà
ristrutturato per essere adeguato alle nuove attività che saranno ospitate
nella zona ovest del complesso.
8.Il muro di viale Carso, che sarà conservato e restaurato, non sarà alterato nelle sue caratteristiche fondamentali: mantenimento delle partizioni,
nessuna introduzione di elementi incoerenti ecc. Lungo il muro potranno
essere creati peraltro alcuni varchi estendendo fino a terra i bordi di alcu 8. Attività sportive; attività culturali e sociali (teatro, musica, cinema, caffè letterario, conferenze ed esposizioni temporanee, interventi socio-educativi extrascolastici e di alternanza
scuola-lavoro: formativi, ricreativi e ludici); casa della cittadinanza con sportello permanente
della partecipazione; ciclo-officina; attività artigianali e commerciali (commercio di vicinato,
commercio equo e solidale, valorizzazione e vendita di prodotti agricoli a km zero e di prodotti
tipici); residenza (abitazioni di piccolo taglio).
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ne finestrature del muro, che consentiranno di penetrare all’interno del
complesso. La tettoia interna, collegata alla sua sommità, sarà demolita.
A ridosso del muro, nello spazio già coperto dalla tettoia, sarà realizzato
un nuovo corpo di fabbrica9 atto ad ospitare alcune pratiche tra quelle
previste dalle linee guida.
9.Il grande piazzale interno del complesso, secondo le linee guida, dovrà
ospitare “una nuova piazza verde (…) con alberi anche di alto fusto e
piccoli specchi d’acqua, dove i bambini possano giocare e gli adulti passeggiare e rilassarsi in un ambiente protetto dai rumori del traffico e
dall’inquinamento, ben ventilato d’estate e al riparo dai venti invernali,
aperto al quartiere ed in comunicazione con gli adiacenti spazi oltre via
Montenero”.
10.L’officina sarà demolita. Una parte dell’area recuperata sarà utilizzata per
creare alcuni spazi della nuova piazza verde, mentre l’area restante sarà utilizzata per realizzare un nuovo complesso (con eventuali passaggi
e spazi aperti interclusi), che ospiterà alcune delle attività previste dalle
linee guida. Di questo complesso farà parte anche l‘edificio già sede di
ATAC Patrimonio s.p.a., che sarà opportunamente ristrutturato, nonché
gli spazi che si libereranno a seguito della demolizione delle vicine aree
danneggiate (tettoie, impianto di autolavaggio, piccoli edifici di servizio).
N.B. Qualora fosse riconosciuta l’importanza storica della struttura, l’officina potrebbe
tuttavia essere conservata e restaurata in modo da poter ospitare alcune attività idonee.
11.Via Montenero non sarà più una strada carrabile. L’attuale carreggiata e i
marciapiedi adiacenti saranno sostituiti da uno spazio atto a interfacciare
l’interno del complesso dell’ex deposito con l’area di via Sabotino attraverso i varchi e gli ingressi dei loro fronti. L’ascensore e le rampe che immettono nei parcheggi sotterranei dovranno essere delocalizzati (per le
rampe si potrà prendere in considerazione una soluzione alternativa che
ne preveda il mantenimento, ma con una netta separazione delle rampe
stesse dal nuovo spazio d’interfaccia).
12.Le attività che si svolgono nell’area di via Sabotino saranno mantenute,
ma gli spazi e gli edifici che le ospitano potranno essere delocalizzati o
trasformati (anche mediante la demolizione e la ricostruzione dei manufatti esistenti) in modo da rendere più coerente l’area stessa sotto il
profilo spaziale e delle relazioni funzionali. Lo spazio del bau park sarà
riqualificato e ridimensionato a favore delle altre attività. Il centro anziani
potrà rimanere all’interno dell’area o essere spostato in altra sede. La
recinzione dell’intera area dovrà essere sostituita con una più valida, in
grado di proteggere le attività dal rumore e dall’inquinamento dovuto al
9. La necessità di realizzare questo nuovo corpo di fabbrica consegue dall’esigenza di
rendere più spesso e consistente il bordo del complesso, come vuole la proprietà geometrica
fondamentale CONFINI.
29
traffico delle strade circostanti. Gli accessi attuali saranno infine sostituiti
da altri più appropriati.
13.I tratti stradali adiacenti al complesso e all’area di via Sabotino trarranno
vantaggio dal progetto di recupero e riuso. La creazione di collegamenti
fisici e funzionali tra i tratti stessi e le aree recuperate potrà renderli più
vitali e maggiormente frequentati dagli abitanti. Per alcuni tratti potranno essere appropriati alcuni interventi particolari diretti a riqualificarne
alcuni elementi specifici, come la piantumazione dei pioppi mancanti a
viale Carso. Ma soprattutto dovranno essere presi provvedimenti, dove
possibile, per ridurre/regolamentare il parcheggio delle auto lungo i marciapiedi e negli spazi centrali coperti da belle alberature.
14.Considerazioni analoghe si possono fare anche per piazza Bainsizza, dove un’attenzione particolare dovrà essere rivolta al problema dell’isolamento dell’area centrale dovuta al traffico intenso circostante. Nell’area
in questione l’intervento di riqualificazione dovrà mantenere il banco per
la rivendita di fiori e gli alberi esistenti.
Tutte queste indicazioni saranno importanti nelle successive fasi del processo:
dalla costruzione dello scenario futuro all’unfolding. La creatività del progettista
svolgerà un ruolo fondamentale per elaborare soluzioni innovative dove l’antico
e il nuovo convivono e si rafforzano vicendevolmente.
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3. Gli scenari futuri
3.1Premessa
La spiacevole sensazione di vivere e operare in un tempo in cui sembra che conti
solo il presente — dove alla mancanza di una visone futura si associa spesso il
disinteresse per il passato — può essere attenuata dall’uso dello scenario futuro,
uno strumento di progettazione partecipata che aiuta a generare progetti coerenti con il passato di un luogo1 e con il suo futuro prefigurato.
Ogni partecipante al seminario è stato sollecitato a costruire uno specifico scenario che anticipa il futuro dell’ex deposito ATAC “Vittoria” e delle zone adiacenti. Dopo un iniziale disorientamento — dovuto probabilmente alla scarsa
abitudine a immaginare il futuro dei luoghi — alcuni partecipanti hanno iniziato
a sviluppare il loro scenario, prefigurando in dettaglio gli spazi recuperati dell’ex
deposito e le nuove attività che in essi si svolgono.
Gli scenari sviluppati a tutt’oggi sono cinque.
In ogni scenario i centri “in nuce” sono evidenziati in grassetto. Le immagini associate ai centri principali anticipano alcuni aspetti che dovranno caratterizzare
i corrispondenti centri viventi e che saranno progettati nella fase di unfolding.
3.2 I cinque scenari
SCENARIO 1 (Caterina)
Eccomi in un assolato sabato pomeriggio estivo in giro per il quartiere dove vivo
sin da quando ero bambina con la fierezza di chi ha contribuito a renderlo migliore.
La destinazione della mia passeggiata è, come spesso mi capita, l’enclave che è stata
recuperata in quel trapezio irregolare tra viale Carso, via Monte Santo, via Monte
Nero e viale Angelico dove un tempo sorgeva il deposito Vittoria dell’ATAC e dove
— mi ricordo ancora — la sera arrivavano sia gli autobus sia i tram che all’epoca
passavano sui binari di via Oslavia. Ora, simbolo di questo passato non lontano,
troneggia in fondo nell’angolo a sinistra del parco un vecchio filobus adibito a
biblioteca per bambini, dove tra poco mi recherò per prendere in prestito un libro
per i miei nipotini.
1. La costruzione dello scenario deve tener conto delle indicazioni che scaturiscono dalla
mappa della wholeness.
31
Devo incontrare al caffè letterario delle amiche del quartiere per discutere del
prossimo libro da leggere insieme nel nostro gruppo di lettura.
Mi diverte passare di qua, come se fossi ritornata dopo tanto tempo di assenza nel
quartiere. E’ questo un gioco che faccio spesso e che mi aiuta a vedere le cose con
occhi nuovi e ad apprezzare questi luoghi. Mi piace che sia stato conservato l’originario assetto di “corte chiusa” tipico di altri complessi del quartiere Delle Vittorie.
I muri, che contornano l’area e la delimitano rispetto agli spazi circostanti, conferiscono all’interno una dimensione di tranquillità e pace che ormai è così difficile
trovare a Roma.
Venendo da casa mia, in circonvallazione Clodia, mi trovo all’angolo tra viale Carso e viale Angelico e comincio a costeggiare il muro di viale Carso. Ammiro il
sapiente restauro che ha conservato ed anzi esaltato le partizioni del muro, scandite
da ampi finestroni che in alcuni punti, allungandosi fino al suolo, sono diventati
ingressi. Così, camminando sull’ampio marciapiede, delimitato dal lato della strada
dai pioppi, posso già godere del giardino interno con i suoi grandi alberi ombrosi
nella zona centrale.
Ho abbastanza tempo, così prima di entrare faccio il giro completo intorno al complesso per ripercorrere in ogni sua parte l’aspetto esterno.
Passo davanti al bel portale che prospetta piazza Bainsizza. Attraverso l’arcata, che
riprende lo stile dei muri;
i passanti possono vedere, oltre al giardino interno, i piccoli edifici a un piano addossati al muro di viale Carso e di via Monte Nero e sullo sfondo l’edificio su viale
Angelico con davanti l’aggetto della piscina e della palestra a vetri al piano terra. Il
tutto è animato dalla vivacità delle tante persone di diverse età presenti nell’area.
32
La bella vista invita ad entrare, ma preferisco continuare il mio giro. Passo davanti
all’edificio che ospita il Dipartimento di Salute Mentale, in via Monte Santo, così
ben integrato nel quartiere. Tutto ristrutturato e consolidato, mantiene quell’aspetto
un po’ retrò e soprattutto conserva, a servizio degli abitanti, le sue funzioni originarie sentite come parte importante della loro memoria collettiva. Dei ragazzi sulla
terrazza seduti in circolo all’ombra di un grande ombrellone sono intenti a un’attività di socializzazione sotto la guida del coordinatore.
Ancora un piccolo varco di ingresso e poi la palazzina, un tempo adibita a sottocentrale elettrica, dove ora vedo i panni stesi delle famigliole che abitano i piccoli
appartamenti che vi sono stati ricavati.
Arrivo in via Monte Nero, luogo che amo molto. Se penso a quei giardinetti infossati in cui pure i bambini della zona venivano a frotte a giocare, mi sembra che tutta
questa ristrutturazione, che ha interessato anche gli spazi compresi tra via Monte
Nero e via Sabotino, sia stata una delle conquiste principali del quartiere.
Dove un tempo c’era la cosiddetta “fossa dei leoni” ora nella prima parte vedo la
gradinata del piccolo anfiteatro dove d’estate si tengono concerti e rappresentazioni
teatrali; sul retro, verso via Sabotino, all’altezza della strada, è rimasto uno spazio
sufficientemente grande per lo svago dei cani che sostituisce il vecchio e degradato
bau park.
Ora la vista spazia libera da via Monte Santo a viale Angelico interrotta solo dal
verde degli alberi e dal basso capannone destinato al gioco delle bocce, perché il
Centro Anziani si è trasferito negli ampi locali degli edifici su via Monte Nero.
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Vedo i bambini che giocano nel giardino, davvero irriconoscibile. Un piccolo specchio d’acqua, i bei giochi in legno, gli alberi, le panchine dove chiacchierano le
mamme. Tutto mi appare sereno e lontano dal traffico circostante i cui rumori giungono attutiti all’interno del muro valorizzato da graffiti dei ragazzi del quartiere
scelti con un concorso tra le scuole.
Via Monte Nero, che della strada mantiene solo il nome perché non è più consentito
l’accesso alle macchine, collega i due complessi che hanno formato oggetto di un’unica ristrutturazione. I varchi nei giardini di via Sabotino, corrispondenti a quelli
aperti nell’ex deposito Atac, mettono in relazione i due giardini. I bambini più
grandicelli passano così in tutta sicurezza da un giardino all’altro sperimentando i
giochi e le iniziative a loro disposizione.
L’edificio adibito a residenza che parte dall’angolo di via Monte Nero e prosegue
un po’ arretrato su viale Angelico, vicino alla pista ciclabile, rispetta il carattere d’inizio ‘900 dei villini che prospettano su viale Angelico dall’altra parte della strada,
lasciando libera la vista verso tutto il crinale di Monte Mario e l’osservatorio. Questo
edificio, la cui altezza è pari a quella di tutti gli edifici presenti nell’area, nel rispetto
dell’assetto a corte caratteristico del complesso, ospita in piccoli appartamenti giovani coppie, nuclei familiari con bambini piccoli o single, che vedo uscire allegri dal
portone. Una ragazza in bicicletta si avvia lungo la pista ciclabile verso Ottaviano.
A questo punto, avendo completato il mio giro, entro all’interno della corte da uno
degli ingressi di viale Carso. Il giardino non è riservato agli abitanti del complesso,
ma è aperto per tutta la giornata al quartiere.
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Ci si rende subito conto che l’ex deposito è diventato un centro di aggregazione secondo le indicazioni espresse dagli abitanti del quartiere e dai ragazzi delle scuole.
Anche all’interno si può effettuare il giro del complesso camminando sul piccolo
marciapiede dal bell’acciottolato che circonda il giardino interno.
Mi volto un attimo per guardare l’edificio che corre lungo viale Carso e non supera
in altezza il muro retrostante. Al piano terra ci sono i piccoli negozi di quartiere
con quelli degli artigiani, introvabili in altre zone. Al piano superiore varie sale a
disposizione della cittadinanza che si affacciano con piccole terrazze sul giardino.
Mi propongo di tornare la domenica mattina quando gli spazi artigianali e commerciali, sotto i portici adornati dalle buganvillee rampicanti, si animano con i mercatini per la vendita di prodotti agricoli a chilometro zero e di prodotti tipici del
commercio equo e solidale.
Ma ormai sono un po’ stanca anche per il gran caldo e passo attraverso il giardino
entrando da uno dei cancelli, che si aprono lungo la cancellata che circonda lo spazio verde interno, e che la notte vengono chiusi.
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Questo spazio mi ricorda in piccolo le Jardin de Luxembourg a Parigi. Davanti a me
si stende il giardino con i bambini che si rincorrono e fanno navigare piccole barchette nel fontanone. Il clima è piacevole grazie al venticello che entra dai varchi e
lambisce l’acqua della fontana che contribuisce con le sue acque al mantenimento
di una temperatura fresca anche nelle giornate più afose.
I ragazzi fanno ginnastica servendosi degli attrezzi in legno distribuiti nel parco.
Una coppia seduta sul prato sotto gli alberi discute animatamente. Piccoli sentieri
si snodano fra il prato e le aiuole profumate di fiori. Il rumore arriva soffocato e lo
smog fa fatica a entrare grazie ai muri di confine.
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Arrivo agli edifici addossati a via Monte Nero. In questi spazi c’è grande vivacità: i
giovani davanti alla sala prove musicale chiacchierano e provano i loro strumenti.
Guardo le belle fotografie scattate da un giovane del quartiere e appese alle pareti
della sala dedicata alle esposizioni temporanee. In una saletta annessa c’è la mostra permanente con le foto del deposito com’era e delle fasi della ristrutturazione.
Questa mostra voluta dal quartiere è il luogo della memoria e il simbolo di quanto i
cittadini possano ottenere con un’attiva partecipazione.
Mi fermo a leggere le locandine con i programmi musicali dell’auditorium e mi
riprometto di proporre a mio marito di venire la prossima settimana a sentire i
concerti brandeburghesi di Bach che io amo molto. Vedo anche che nella sala conferenze proseguono le lezioni sull’ascolto della musica. Anche questi cicli di chiacchierate mi interessano molto. Chissà che non riesca a sentirne qualcuna! Do un’occhiata anche al programma mensile del cineforum che propone bei film d’essai che
troppo spesso spariscono rapidamente dai cartelloni degli altri cinema.
Arrivata al caffè letterario, meta del mio vagabondare, mi siedo con le mie amiche
a un tavolino sotto l’ombra di un gazebo e cominciamo a discutere del prossimo
incontro del gruppo di lettura.
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Lascio vagare lo sguardo ammirando il giardino davanti a me circondato dalla bella
cancellata e da una bassa bordura di lauro ceraso.
Penso a quanto questi spazi abbiano contribuito a migliorare la vita del quartiere
anche a favore dei giovani che finalmente qui hanno potuto trovare un punto di incontro corrispondente ai loro desideri
SCENARIO 2 (Elena)
“Raccontiamo quello che vediamo
con gli occhi della mente. Chiunque può raccontare quello che vede
usando il linguaggio parlato. Non
c’è differenza tra architetti, letterati, artigiani. Ognuno vedrà qualche
cosa di più, secondo la sua specializzazione, però tutti possono comunicare”.
Ritorno a Roma dopo dieci anni e incontro un caro amico che mi farà da guida per
visitare i grandi cambiamenti del quartiere Prati-Delle Vittorie, tra cui il recupero
e la rifunzionalizzazione dell’ex-deposito Vittoria
“La cosa più impressionante del nuovo complesso sono gli 8000 mq di verde!”. Così
commento con il mio amico. Mi dice che questa conquista cittadina è costata molta
fatica. Tutta la volumetria interna, di scarso o nullo valore (capannoni, pensiline,
locali tecnici), è stata ‘trasferita’ sui corpi di fabbrica di via Montenero, viale Angelico e viale Carso.
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Seguiamo il percorso pedonale, largo circa tre metri, pavimentato con sampietrini e
parzialmente coperto da un portico, che gira intorno allo spazio verde centrale. Sul
portico, in corrispondenza di viale Carso, affacciano il Centro Civico, un negozio per
il commercio equo e solidale e alcuni altri piccoli negozi di artigianato e di servizio.
Lungo il percorso incontriamo i corpi scala e gli ascensori che portano alla residenza.
In corrispondenza dei corpi scala le finestrature esterne arrivano fino a terra e creano dei
varchi sempre aperti. Ne incontriamo tre, sempre molto illuminati, di notte e di giorno.
Ritorniamo sul percorso pedonale che è separato dal verde da una inferriata leggera
di ferro con piccoli cancelli — in corrispondenza dei varchi — che di giorno sono
sempre aperti (l’amico mi dice che lo spazio verde di notte viene chiuso). Attraversiamo uno dei cancelli e percorriamo un piccolo sentiero non più largo di un metro,
pavimentato con blocchi di pietra. Osservo che questo sentiero ha una forma sinuosa.
La rete dei sentieri attraversa liberamente tutto lo spazio verde e conduce a un
lungo stagno che inizia di fronte all’ingresso di piazza Bainsizza e arriva a sfiorare
la piscina coperta alla quale si accede da viale Angelico.
Lo stagno, di forma sinuosa, è lungo circa 120 metri e largo 10. Assomiglia a quello
del Giardino Botanico di Roma, dove l’ acqua viene riciclata da una pompa. Osservo
che è un po’ infossato rispetto all’intorno, in modo che le canalette parallele ai sentieri
possano convogliare in esso le acque piovane. Le sue acque sono depurate in modo
naturale dalle piante acquatiche, soprattutto liliacee e altre piante filamentose.
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Costeggiando lo stagno incontriamo alcune spiaggette: ci sediamo su un sedile di
lastre di travertino, disposte a gradoni verso l’acqua.
E’ primavera e le persone cominciano a prendere il sole. I bambini mettono in acqua
le loro barchette a vela. Naturalmente in questo stagno vivono molte specie di pesci
e anatre, che costituiscono la maggiore attrazione per i bambini.
Osservo contenta che lo spazio verde ha più l’aspetto di un piccolo bosco selvatico
che di un giardino all’italiana; il terreno non è piatto, ma presenta piccole colline
artificiali dove ci sono arbusti bassi — come l’acanto e l’alloro — che bordano i
sentieri, e alberi di alto fusto che fanno ombra, dove le persone trovano pace e tranquillità: querce, lecci, pioppi, ma anche alberi ornamentali fioriti e alberi da frutta.
L’amico dice che alcuni cittadini del Coordinamento Cittadino Progetto Partecipato
si occupano della manutenzione dello spazio verde con l’aiuto di due giardinieri,
che vengono una volta alla settimana. “Vorrei partecipare anch’io”, esclamo. I fondi
per la manutenzione ce li mettono i bar, due chioschi collocati per una parte su una
piccola zattera ancorata al bordo dello stagno. “Prendere un gelato sui bordi dello
stagno è il massimo in primavera!”.
Dove il giardino è più largo, vicino al lato di via Montenero, un’altra zattera sull’acqua costituisce il proscenio di un teatro all’aperto circondato da sedute circolari
realizzate con tavole di legno appoggiate su una gradonata coperta d’erba.
Con l’amico osservo che la volumetria del lungo edificio di via Montenero non è cambiata sostanzialmente: la profonda ristrutturazione non ha alterato il carattere del suo
vecchio prospetto. Le finestrature sono state tutte riportate alla quota del piano strada.
Sopra il cornicione c’è un tetto con coppi fotovoltaici, inclinato a sud, che copre quasi
la metà del corpo di fabbrica; il resto del tetto è coperto da piastrelle fotovoltaiche.
Alcune finestrature sono diventate varchi che conducono allo spazio verde interno.
“Vedi, osservo con il mio amico, adesso la facciata non è più chiusa: le aperture
fino a terra la rendono ‘permeabile’ ”. Le aperture sono sempre aperte e creano una
sorta di galleria aperta, alta 4 metri, che interfaccia lo spazio esterno con le attività
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culturali: gallerie per artisti e sale prova insonorizzate per musicisti. Più avanti,
all’incrocio con viale Angelico, c’è una sala più grande, un auditorium, dove si
svolgono spettacoli teatrali e musicali.
Al primo piano dell’edificio trovano posto alcuni mini alloggi. Sopra la galleria
c’è un ballatoio, che distribuisce alle abitazioni. Ogni abitazione, all’interno, ha un
terrazzo che poggia sopra un portico largo 4 metri che gira attorno al verde.
Vediamo le persone che provengono dalla nuova area di giochi di via Sabotino,
finalmente a quota strada, ristrutturata e attrezzata con giochi di legno — grandi
animali che diventano scivoli e spazi per nascondersi — posti su un prato verde: per
me è una visione da favola, quando confronto questo spazio con quello di un tempo,
impresso ancora nella mia memoria.
Via Montenero è ora una zona pedonale: di domenica accoglie un piccolo mercato
con prodotti che cambiano da domenica a domenica. Sono contenta che la vista
verso Monte Mario non sia alterata.
Finalmente Piazza Bainsizza è diventata verde ed è tutt’uno con il cuore verde
dell’ex-deposito. Io e il mio amico ci sediamo sulle sedute in travertino che hanno
preso il posto del vecchio triste cancello.
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Il luogo è fresco perché le sedute sono ombreggiate da grandi salici. L’esposizione a
nord rende forti e frondosi i salici. Dalla nostra posizione privilegiata vediamo sia la
piazza sia l’ingresso al giardino; ammiriamo il bel cancello di ferro che a quest’ora
è ancora aperto.
E’ tardo pomeriggio e dietro il cancello si vede solo un bosco verde. Si sente un
venticello che viene da Monte Mario. Il vento spira perché le altezze degli edifici
del complesso non sono cambiate; inoltre l’aria si raffresca passando sopra il lungo stagno.
L’acqua del fontanone a gradoni, al centro di Piazza Bainsizza, va a confluire
attraverso un passaggio sotterraneo nello stagno che si trova all’interno dello
spazio verde.
Vado da sola a viale Carso per vedere che effetto mi fa.
Sono contenta perché mi sembra che non sia cambiato niente: però è cambiato tutto.
Adesso, passeggiando, viene la voglia di entrare per partecipare a tutte le attività
del Centro Civico: gruppi d’incontro, conferenze e riunioni del Laboratorio di
Progettazione Partecipata.
La parete, una volta un po’ ostile, adesso è luminosa. Le finestre riflettono il cielo e
si intravede lo spazio verde interno attraverso le aperture, anche d’inverno.
Entrando in una delle aperture vedo un corpo scala con un ascensore che porta al
primo piano, alle residenze in cohousing.
Gli appartamenti, prevalentemente di piccolo taglio, hanno il vantaggio di avere
molti servizi nell’immediato intorno. Sono alloggi in affitto e in proprietà. Mi accorgo che tutto il complesso rispetta criteri di sostenibilità: i soggiorni sono orientati a sud, protetti da un frangisole. Il tetto, opportunamente coibentato, è rivestito
da un film fotovoltaico. Tutto l’edificio di viale Carso si affaccia sul grande spazio
verde raffrescato dal lungo stagno.
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All’interno c’è un portico che copre il percorso pedonale aperto notte e giorno con
aperture verso i servizi e il piccolo commercio. A destra del portico c’una pista
ciclabile con a fianco la bassa recinzione di ferro che protegge il giardino durante
la notte.
Sono curiosa di vedere il complesso da viale Angelico. Una volta entrati nella piccola corte recintata con un basso muretto e alcune rastrelliere per le biciclette, vediamo tre ingressi. Il primo, sulla sinistra, conduce alla zona sportiva costituita da
una piscina coperta di dimensioni medie e da alcuni ambienti per la ginnastica a
corpo libero. Il secondo, sulla destra, porta al piccolo auditorium /teatro/cinema.
L’ingresso al centro fa intravedere il verde interno.
Entro in uno spazio che affaccia sull’ambiente piscina, che è molto gradevole. Numerose persone nuotano o si riposano sulle sdraio. La piscina è dotata di servizi ed
è molto ben tenuta. Osservo che c’è continuità visiva tra l’acqua della piscina e lo
spazio verde, con una grande vetrata sullo stagno.
L’edificio della ex sottocentrale elettrica, svuotato delle sue funzioni, ha lasciato il
posto a una bella residenza in cohousing con quattro mini-alloggi per piano.
Conosco una persona che me li fa visitare. Al piano terra ci sono le attività comuni:
una grande cucina, una lavanderia-stireria, un piccolo asilo gestito dai residenti,
un bel soggiorno e alcune salette per attività sociali e culturali. Lo spazio verde che
circonda la palazzina è ad uso del cohousing, escluso il passaggio con cancello che
conduce allo spazio verde centrale.
Pare che gli otto nuclei familiari abbiano investito per il recupero una quota pari a
40.000 euro che vengono riscattati con quote d’affitto mensili pari a 400, 600 e 800
euro, a seconda della dimensione dell’alloggio, oltre al versamento di una quota per
i servizi comuni.
Il DSM è stato restaurato e consolidato. La copertura a terrazza è diventata nuovamente un tetto-giardino, molto utilizzato durante tutto l’arco della giornata. Tutti
i locali dell’edificio sono ora utilizzati. “E’ veramente gradevole, esclamo”. Un pic-
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colo spazio di pertinenza recintato, confinante con il lato dell’edificio che affaccia
sullo spazio verde, è destinato a orto: vedo alcuni ospiti del DSM che se ne stanno
prendendo cura.
L’edificio a fianco del DSM, alto circa 7 metri, è stato assegnato alle associazioni
giovanili. A piano terra alcuni mi mostrano una serie di spazi destinati ad attività
sociali che consentono alle associazioni di mantenersi e pagare un affitto; al primo
piano mi fanno visitare i mini alloggi occupati dai giovani.
SCENARIO 3 (Irene e Valeria)
Tempo fa una mia amica, Sara, mi disse: “Sai che al quartiere Prati hanno organizzato per la stagione estiva un festival di musica davvero molto interessante?!”
Così lo scorso sabato decidiamo di andare. Avevo appuntamento con Sara nel luogo
indicato sul volantino “L’ex Deposito ATAC Vittoria”. Decido di prendere la metro
e scendere alla fermata Ottaviano. Dopo anni di lontananza dal quartiere Prati,
con grande stupore mi accorgo che hanno attivato un efficientissimo servizio di
bikesharing.
Così decido di prendere la bicicletta e inizio a pedalare lungo la pista ciclabile di
viale Angelico, e con piacere mi accorgo che gli incroci, un tempo pericolosi, fanno
parte di un percorso sicuro.
Pedalando arrivo all’isolato dello storico deposito ATAC, che, dopo anni di abbandono e battaglie, finalmente è stato restituito alla comunità. Parcheggio la bicicletta
nelle apposite rastrelliere e prendo via Monte Nero per fare un giro dell’isolato.
Dall’esterno, il manufatto, pur mantenendo il suo carattere originario di corte, si
è finalmente aperto verso l’esterno. Le storiche finestre alte e irraggiungibili sono
state trasformate in luminosi varchi che permettono di collegare l’ex deposito con
il vicino lotto verde, che ospita ancor oggi i giochi dei bambini, il centro anziani
e il baupark. Da una rapida occhiata mi pare di capire che anche quest’area è stata
oggetto di recupero, probabilmente all’interno di un progetto unitario che ha interessato entrambi i lotti.
Via Monte Nero è stata portata allo stesso livello del marciapiede così da diventare
un ampio viale pedonale pavimentato, attraversato solo dalle auto che entrano ed
escono dal parcheggio interrato sottostante.
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Con grande stupore noto che l’antico edificio industriale di Via Monte Nero oggi
ospita una serie di attività culturali e sociali quali la libreria, il caffè letterario, e
un piccolo auditorium.
Proseguendo per via Monte Santo vedo che la sede del DSM è stata mantenuta e
dopo l’ultimo restauro è stata ampliata e resa ancora più efficiente, un punto di riferimento per gli abitanti del quartiere e non solo. Gli spazi un tempo vuoti ospitano
oggi ulteriori ambienti per la casa famiglia, nuove attività e laboratori, inoltre un
centro di formazione per il personale sociosanitario che può svolgere nella struttura la sua attività di tirocinio. Scambio due parole con uno dei ragazzi del Centro
affacciato alla finestra e mi dice che all’interno della corte hanno un piccolo giardino adibito ad orto, frequentato anche dagli anziani del centro vicino. Dentro di me
faccio questa considerazione: grande idea l’ortoterapia!
Raggiungo così piazza Bainsizza che dopo gli ultimi lavori è finalmente degna di
tale nome. L’ingresso al deposito dalla piazza è stato risistemato: un ampio cancello
con diverse entrate regola l’apertura e la chiusura dello spazio verde pubblico interno, lasciando un’ampia visuale per scorgere la meraviglia che si trova all’interno
del lotto.
Giro su Viale Carso e al posto dell’antica pensilina del deposito mi accorgo che è
sorto un edificio in linea che ospita al piano terra botteghe del commercio equo e
solidale e laboratori artigianali; al piano primo invece si trovano appartamenti
di piccolo taglio assegnati sulla base di un bando pubblico a giovani coppie e appartamenti di medio/grande taglio per famiglie numerose e cohousing. Alzo lo sguardo
e intravedo sul tetto i pannelli solari. Dando poi un’occhiata più attenta mi accorgo
che tutto l’edificio è costruito secondo principi bioclimatici e low cost.
Arrivo sullo storico ingresso di Viale Angelico. La facciata originaria è stata restaurata ma conservata. Entro dentro quelli che una volta erano gli spazi dedicati alla
mensa, deposito e rimessa, oggi restaurati e adibiti a centro sportivo, con piscina,
palestra e centro benessere.
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Attraverso questi spazi accedo facilmente all’area verde interna che avevo già intravisto dai numerosi varchi di Viale Carso e di Via Monte Nero, o dall’ingresso di
Piazza Bainsizza.
Ciò che si apre ai miei occhi è un vero e proprio parco urbano.
Mi accorgo che la piscina ha una grande vetrata che si affaccia sull’area verde.
Inoltre è in continuità con un ampio specchio d’acqua che occupa parte del parco,
come fosse una piscina all’aperto, ma che in realtà è funzionale solo al raffrescamento dell’area.
Continuando la mia scoperta con sguardo attento ed incredulo, noto che i grandi
spazi delle ex officine coperte, un tempo rumorosi e trafficati, oggi non ci sono più.
Resta, però, un binario con un vecchio tram storico, un tempo pieno di pendolari
e viaggiatori, oggi assaltato da giocosi bambini. E’ proprio lì che si concentra il
divertimento per i più giovani.
I percorsi pavimentati hanno un andamento piuttosto sinuoso e questo rende più
interessante la forma del giardino e crea aspettativa di ciò che può essere visto dopo
la curva successiva. Mentre cammino vedo passare accanto persone che praticano
jogging.
Giungo in prossimità dell’ingresso di Piazza Bainsizza dove si trova un romantico
pergolato da cui scendono bellissimi glicini.
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Mi ritrovo immersa in un vero e proprio giardino olfattivo che mi riporta alla
mente quello dell’Alcazar a Siviglia. Rose, gelsomini, iris, lavanda, alberi di limoni
e aranci, piante degli aromi utilizzati in cucina, come rosmarino, timo, maggiorana,
salvia. Tempo fa avevo letto della tecnica del ‘bioenergetic landscape’, che basa i
suoi studi sulla relazione uomo-natura e sulla convinzione che il contatto con le
piante abbia un effetto positivo sulla salute fisica e mentale dell’uomo. Devo dire
che dopo questa immersione in colori e profumi mi sento rigenerata!
Continuo la mia scoperta e mi concedo un momento di breve pausa all’ombra di un
grande leccio. Io scelgo di sedermi sul prato, ma, come me, altre persone si godono
l’ombra seduti su panchine sparse qua e là lungo i percorsi.
Giungo finalmente alla platea con gradoni, dove si tengono concerti, spettacoli teatrali e cinema all’aperto, realizzata su una collina naturale che permette un’ottima
visuale. Intuisco che è proprio lì che si terrà il concerto. Vedo già che qualcuno ha
cominciato ad accaparrarsi i posti migliori!
Mentre aspetto che mi raggiunga la mia amica chiedo informazioni ad una giovane
mamma per saperne di più di questa fantastica trasformazione. La ragazza mi racconta che lei stessa ha partecipato attivamente al processo di progettazione partecipata alla base dell’intervento. Dal processo sono uscite una serie di linee guida che
si sono dimostrate un valido strumento per l’amministrazione pubblica per redigere
il bando alla base del concorso di progettazione e realizzazione dell’intervento di
recupero. Le linee guida, oltre a individuare quali aree e funzioni fossero da conservare e valorizzare hanno dato interessanti indicazioni per la progettazione dell’area:
altezza degli edifici, verde centrale, aspetti biocliamatici. Aggiunge anche che se ne
avessi voluto sapere di più avrei trovato tutte le informazioni negli uffici del centro
civico situato in quel grazioso edificio, oggi restaurato, dove una volta c’era la sottocentrale elettrica. Inoltre, se avessi voluto approfondire il tema della partecipazione,
all’interno dello stesso edificio avrei potuto seguire interessanti corsi di progettazione partecipata finanziati dal comune e organizzati dal gruppo di facilitatori che
ha seguito il processo.
Mi squilla il cellulare: finalmente la mia amica è arrivata. Ci andiamo a sedere su
uno dei gradoni della platea e aspettiamo entusiaste che inizi il concerto!
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SCENARIO 4 (Sandro)
Un abitante torna al quartiere Della Vittoria dopo oltre dieci anni di assenza.
Primo giorno: via Monte Santo — piazza Bainsizza — il portale principale
— la piazza verde — gli spazi privati ad uso pubblico (lato via Monte Nero)
Ho abitato a lungo nel quartiere Della Vittoria, ma sono più di dieci anni che non
lo frequento. Qualche giorno fa Giorgio mi ha invitato a visitare la sua nuova casa
nell’ex deposito ATAC. Giorgio lo conosco da una vita. E’ un architetto che si interessa alle problematiche delle politiche urbane, con particolare attenzione ai loro
risvolti sociali e antropologici. Pochi anni fa, dopo aver vinto un concorso pubblico
riservato a single e a giovani coppie, è diventato proprietario di uno degli appartamenti di piccolo taglio realizzati nel nuovo complesso. Ho deciso di accettare
l’invito per rivedere un caro amico, ma anche perché sono curioso di ve dere come
è cambiato l’ex deposito e il quartiere dove avevo vissuto.
Arrivo a piazza Bainsizza, dove Giorgio mi sta già aspettando. Dopo avermi salutato e abbracciato, mi guida attraverso il portale principale del complesso.
Il portale non ha niente a che vedere con il brutto cancello che conoscevo: è un bel
portale moderno che ricorda per alcuni aspetti quello antico, un elegante corpo di
fabbrica in muratura, tra via Monte Santo e viale Carso, ben integrato con il ‘recinto’ del complesso e con una bella cancellata in ferro battuto al centro.
Appena entrato, mi accorgo della ricchezza della vegetazione presente all’interno:
una vera piazza verde con prati e siepi, ma anche numerosi alberi di alto fusto. A
dire il vero avevo già notato dall’esterno le chiome degli alberi più alti, ma non immaginavo ciò che avrei trovato all’interno.
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Per arrivare a piazza Bainsizza da via Monte Santo avevo camminato lungo il marciapiede adiacente all’area che fino a pochi anni fa ospitava lo spazio di gioco dei
bambini, il centro anziani, la bocciofila e il bau park. Quest’area, un tempo infossata in parte e malamente confinata, si trova ora tutta allo stesso livello delle strade
circostanti, protetta da un bel muro di cinta dai rumori del traffico e dall’inquinamento. Guardando attraverso le ‘finestre’ del muro mi è sembrato di intravedere un
luogo assai diverso, meglio organizzato sotto tutti i profili.
Prima di arrivare a piazza Bainsizza avevo visto con piacere una parte del ‘recinto’, alto
circa sette metri, che delimita l’attuale complesso. Si tratta di un bel manufatto costituito
dai muri e dagli edifici di maggior pregio del vecchio deposito — tutti perfettamente
restaurati — con alcune nuove costruzioni ben integrate con quelle preesistenti.
Entrando nel complesso mi viene in mente ciò che aveva scritto Alexander nel lontano 1977: “ in tempi e luoghi differenti (..) i giardini e i piccoli parchi pubblici non
danno abbastanza sollievo a meno che non siano ben protetti”. Alexander giustificava questa affermazione con un ragionamento che mi sento di condividere appieno:
“Le persone hanno bisogno del contatto con gli alberi, la vegetazione e l’acqua. In
certi casi esse si sentono più ‘complete’ in presenza della natura, sono più capaci
di introspezione e di trarre energia dalla vita delle piante e dell’acqua. Nella città,
i giardini e i piccoli parchi possono risolvere questo problema; ma sono di solito
così vicini al traffico, al rumore e alle zone edificate, che il beneficio della natura si
perde del tutto. Per essere veramente utili, nel senso psicologico più profondo, devono essere schermati dalla vista e dal rumore del traffico, dagli altri rumori della
città e dalla vista degli edifici. Ciò richiede che ogni giardino sia circondato da muri
relativamente alti o da una fitta vegetazione”. Gli architetti che hanno progettato il
‘recinto’ del nuovo complesso devono aver pensato le stesse cose: l’impianto a corte
chiusa dell’ex deposito non doveva essere conservato soltanto per salvaguardarne la
tipologia urbanistica e gli edifici di pregio collocati lungo i suoi bordi — in quanto
elementi che fanno parte integrante della memoria storica degli abitanti del quartiere — ma anche per ‘proteggere’ i futuri frequentatori della piazza verde. Ho provato
a prefigurare un confine diverso — ad esempio, un semplice muretto basso o un
bordo alto il doppio di quello che è stato realizzato. Mi sono subito reso conto che
il ‘recinto’, nel primo caso, non sarebbe stato in grado di proteggere i frequentatori
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della piazza dall’impatto ambientale e psicologico; nel secondo, avrebbe ingenerato
in loro una sensazione di chiusura eccessiva e d’isolamento, accettabile forse per
una corte condominiale privata ma non per uno spazio pubblico.
Lungo il percorso avevo avuto modo di notare altre novità: dal nuovo varco ubicato
tra la ex sottocentrale elettrica e il vicino edificio di via Monte Santo, all’edificio della sede del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) della ASL, ora perfettamente
restaurato, con tutti i suoi spazi recuperati all’uso, compresi quelli che un tempo non
erano utilizzati (il seminterrato, alcuni ambienti del primo piano e il tetto-terrazza).
Superato il portale vedo una bordura pressoché continua di siepi, alta poco più di
un metro e mezzo, che circonda una vasta zona ricca di vegetazione che copre tutta
la parte centrale del complesso. Quando esprimo il desiderio di visitarla, Giorgio si
offre subito di accompagnarmi.
Attraversiamo uno stretto varco che interrompe la bordura e ci incamminiamo lungo un
sentiero pavimentato con lastre di pietra separate da piccole fessure dove si insinua l’erba.
La prima impressione è che si tratti, in massima parte, di un giardino selvatico dove
l’erba, i cespugli, i fiori e gli alberi crescono in modo naturale, senza elementi divisori,
senza aiuole ‘disegnate’ e recintate: i confini che delimitano la vegetazione sono di
pietra, legno o mattoni e fanno parte integrante del contesto naturale. “ Chi cura il
giardino?”, chiedo. Giorgio mi dice che il Municipio ha stipulato una convenzione con
un’associazione locale, costituita in gran parte da abitanti e commercianti che provvedono a turno alla sua manutenzione e alla pulizia, con la supervisione dello NSG, il
Nuovo Servizio Giardini del Comune. “Un giardiniere, in particolare, svolge il ruolo
di ‘dottore’: tiene sotto osservazione il giardino, entrando in azione solo quando serve
per potare o sradicare alcune specie, in modo da consentire alla vegetazione di crescere perseguendo i propri equilibri”. Mi sembra che questo giardino sia più ‘sano’ e facile da mantenere di quelli ‘artificiali’, ben curati e rasati ma bisognosi di molto lavoro.
Arriviamo a uno spazio dove ci sono molti bambini piccoli che giocano felici in un
prato. Alcuni si arrampicano su scivoli di legno dalla forma di grandi animali; altri giocano a rincorrersi e a nascondersi nelle vicine casette colorate in muratura; altri ancora
salgono sulle altalene dove si fanno spingere dai loro compagni di gioco. Mi viene di
pensare a quanto sia più bello e vivo quello spazio rispetto a quelli lastricati e attrezzati
con giochi convenzionali, spesso di plastica, fortunatamente sempre meno diffusi!
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I bambini sono accompagnati da adulti — domestiche, nonni o genitori (questi ultimi in netta minoranza, dal momento che la maggior parte di loro a quest’ora è
ancora al lavoro) — che li sorvegliano da lontano o giocano con loro.
“Non c’è alcun dubbio che questi bambini siano contenti, ma che fine hanno fatto
quelli più grandi?”. L’amico mi spiega che i ragazzi dispongono di uno spazio attrezzato con giochi più adatti alla loro età nell’area adiacente al complesso. “Per
accedere ad esso si può attraversare il varco che si apre sul lato di via Monte Nero.
Questa strada, con tutte le sue brutture — dall’ascensore l’ascensore alle rampe di
accesso ai posteggi sotterranei — oggi non esiste più: al suo posto, come vedrai, è
stato realizzato un bello spazio che collega in modo coerente gli spazi interni del
nuovo complesso a quelli dell’area di via Sabotino”.
Mi accorgo che il sentiero, con la sua sinuosità, conforma di fatto gli spazi della
piazza che ospitano attività diverse. Si tratta sempre di luoghi compatti e convessi,
privi di zone residuali. I loro bordi sono costituiti da siepi, alberi, muretti in muratura, staccionate di legno, piccoli dislivelli ecc. La loro ‘apertura’, in termini di percorsi e visuali, dipende dalle attività che in essi si svolgono. Alcuni sono più aperti;
altri parzialmente chiusi e ‘protetti’, ma sempre tali da non ingenerare un senso di
claustrofobia in coloro che li frequentano.
Giungiamo in una nuova area delimitata da muretti di mattone, un piccolo giardino
tattile e profumato. Riconosco che si tratta di un luogo particolare che consente
anche ai non vedenti e agli ipovedenti di fare un’esperienza sensoriale del mondo
che li circonda. Seguo il percorso indicato da uno dei piccoli sentieri che ‘tagliano’
il giardino a strisce, formando aiuole coltivate a fiori e piante officinali profumate:
il percorso è affiancato da una corda-guida che permette ai non vedenti di muoversi
autonomamente. Una persona non vedente è proprio davanti a me: chiudo gli occhi,
lo seguo lasciandomi anch’io guidare dai profumi, ma poi decido di riaprire gli occhi per leggere i cartellini vicini a ogni pianta, scritti in caratteri stampati e braille.
Lungo un altro percorso sono attorniato da piante meno conosciute o più strane al
tatto: il kalanchoe, dalle foglie grandi e carnose; il geranio odoroso, con le sue foglie
pelose,…a un tratto mi colpisce un rumore: è l’acqua di una vasca che zampilla. In
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altra parti del piccolo giardino ci sono piante con fiori dai colori vistosi, destinate
agli ipovedenti. A fianco dei percorsi c’è uno slargo con una panchina, dove ci si
può fermare per godere ancora della musica dell’acqua e dei profumi che emanano
le piante, soprattutto quando c’è un po’ di vento.
Torno dall’amico che mi stava aspettando fuori dal piccolo giardino. Decidiamo di
abbandonare il sentiero e di avviarci verso il centro della piazza, il suo ‘cuore verde’.
In questo spazio, leggermente ondulato per la presenza di alcune piccole colline
artificiali alte non più di due metri, ci sono persone sedute o sdraiate sul prato, al
sole o all’ombra degli alberi.
Alcune riposano; altre leggono un libro; altre ancora usano il loro tablet per dare
un’occhiata alle ultime notizie o ascoltano musica con il loro nuovo i-phone. Un
gruppo di giovani, seduti in cerchio, con i loro PC sulle ginocchia, partecipano a un
video gioco che sembra prenderli molto. Giorgio mi spiega che stanno utilizzando
il nuovo sistema wi-fi — attivato dalla Provincia di Roma in tutto il complesso —
per accedere gratuitamente al World Wide Virtual Web 3.0 che consente loro di
condividere il software di uno stesso sito, utilizzarne i programmi e interagire tra
loro in modo sincrono. Mi accorgo della presenza di una bella vasca-fontana, che
contribuisce a raffrescare l’aria.
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Alcuni bambini giocano con barchette rudimentali di legno che fanno navigare lungo il piccolo ruscello che fuoriesce della vasca e attraversa tutta l’area.
Il clima, in questo tardo pomeriggio, è piacevole. Da Monte Mario, ben visibile
attraverso gli alberi, spira il ponentino che attraversa tutta la piazza e prosegue
verso il Tevere. Una quercia frondosa offre ancora la sua ombra a coloro che a non
desiderano stare al sole.
A lato delle collinette c’è una zona silenziosa, schermata da alberi e arbusti. Giorgio
mi dice che gli abitanti del quartiere la frequentano per fare meditazione, esercizi di
yoga o pratiche fisico-energetiche di altre discipline orientali come il Qui-Gong o il
Taiji. Mi dice che una parte di questo spazio è frequentato anche da giovani coppie
che desiderano appartarsi per scambiare le loro effusioni amorose senza essere disturbati o osservati. Le panchine dove sono solite sedersi sono sistemate in luoghi
protetti dalla vista degli altri visitatori.
Guardando a ovest, nella direzione di Monte Mario, vedo un piccolo anfiteatro
‘verde’: il proscenio è in posizione ribassata rispetto al terreno circostante e la gradinata, a forma di semicerchio, è rivolta verso di noi.
Il ‘cuore verde’ della piazza costituisce dunque il fondale naturale delle rappresentazioni che vi si svolgono. Giorgio mi spiega che l’anfiteatro è molto utilizzato nelle
sere d’estate da singoli artisti o piccole compagnie teatrali, per lo più d’avanguardia,
che si esibiscono di fronte a un pubblico sempre numeroso, attento e interessato. A
fianco dell’anfiteatro c’è il programma dei prossimi spettacoli: alle 20.30 di questa
sera una compagnia di giovani ripropone un capolavoro del teatro dell’assurdo degli
anni ’50: La cantatrice calva di Ionesco. Lo spettacolo fa parte di un programma
più vasto tutto dedicato al teatro d’avanguardia del secondo novecento.
Abbiamo entrambi sete. L’amico mi indica un piccolo chiosco che vende cibarie
e bevande al bordo del ‘cuore verde’, tra l’anfiteatro e il varco che collega il complesso con l’area di via Sabotino. Ordiniamo entrambi un tè freddo al limone. Ho
l’impressione che i panini del chiosco assomiglino molto a quelli di un noto bar di
via Sabotino che, un tempo, frequentavo con assiduità. Giorgio mi conferma che i
panini sono proprio gli stessi del bar, di cui il chiosco non è altro che una sorta di
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‘succursale’. Siamo un po’ stanchi e preferiamo sederci a un tavolino per bere con
calma i nostri tè prima di avviarci verso un’altra meta. Il gestore del chiosco, un
gran chiacchierone, ci dice che tra mezzogiorno e le due del pomeriggio il suo chiosco è affollato perché chi lo frequenta durante la pausa-pranzo preferisce mangiare
lo stesso buon cibo del bar ma in una situazione più tranquilla, lontana dal traffico.
Ci avviciniamo al lato sud del complesso. Al piano terra, vicino all’edificio che un
tempo era occupato dalla sottocentrale elettrica, vediamo un locale che a prima vista mi sembra un grande bar. Decidiamo di entrare per capire di che cosa si tratta.
Appena entrati ci rendiamo subito conto subito che è un caffè letterario, un luogo
particolare dove il ristoro si accompagna alla cultura e all’arte. Il caffè vero e proprio è collocato nello spazio centrale e costituisce una sorta di cerniera verso tutte
le altre pratiche che si svolgono all’interno del locale. Ma di quali pratiche si tratta?
Uno degli ambienti ospita una vera e propria biblioteca, realizzata con la collaborazione di Biblioteche di Roma, che raccoglie circa 3000 pubblicazioni appartenenti
ad altre biblioteche del quartiere. Sono soprattutto libri e riviste che riguardano
tematiche specifiche quali l’arte, il teatro e la musica. La biblioteca conserva anche
una collezione di audiovisivi non meno vasta di quella delle pubblicazioni cartacee
e offre servizi d’informazione e consulenza, prestito di libri e documenti, catalogo
on line, consultazione e lettura in sede.
Un altro ambiente è dedicato allo svolgimento di eventi che riguardano la letteratura, l’arte visiva, il design, il cinema e la musica, dove la contaminazione dei generi
è spesso la benvenuta. “L’ipotesi — mi dice il gestore del locale — è quella di creare
un rapporto intimo e immediato tra gli artisti e la gente nella speranza di suscitare
emozioni e reazioni del tutto diverse — e spesso più stimolanti — di quelle che
hanno luogo nelle sedi istituzionali come librerie, musei ecc.”. Tra gli eventi vanno
anche annoverati i dibatti socio-politici, le commemorazioni culturali, la presentazione di libri e altro ancora.
In un altro spazio, denominato gallery, si vedono fotografie e filmati che illustrano
gli eventi trascorsi e quelli programmati per il prossimo futuro, ma anche le fotografie di personalità del mondo dell’arte e della cultura che hanno partecipato atti-
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vamente alle attività del caffè letterario. Nel locale c’è anche una libreria, gestita in
collaborazione con un noto editore romano, dove si possono acquistare libri e riviste
edite dalla sua ma anche da altre case editrici.
Giorgio mi confessa di non essere mai entrato prima nel caffè letterario, perché il
locale è stato inaugurato da poche settimane. Dopo esserci ripromessi di frequentarlo in un prossimo futuro, ci dirigiamo a ovest, percorrendo il marciapiede adiacente al corpo di fabbrica che ospita il locale che abbiamo appena visitato.
Superato il varco, incontriamo un edificio a doppia altezza. Giorgio mi dice che si
tratta dell’Auditorium, uno spazio che ospita soprattutto concerti di musica classica, ma anche musica jazz, pop ecc. Lo spazio non è molto grande: può accogliere al
massimo centocinquanta spettatori, ma è flessibile. Di fatto può essere facilmente
riorganizzato per consentire lo svolgimento di spettacoli dove non esiste una chiara
separazione tra esecutori e pubblico, dove le persone sono sollecitate dagli artisti a
svolgere un ruolo attivo, come spesso avviene nei concerti o negli spettacoli sperimentali o d’avanguardia.
L’amico m’invita a salire a casa sua, ma sono troppo stanco: gli prometto che sarei
tornato il giorno dopo sia per onorare il suo invito, sia per vedere le altre parti del
complesso che non mi è stato possibile visitare oggi. Gli prometto che resterò a
cena e lo invito a mia volta al concerto che si svolgerà nell’Auditorim (avevo letto
la locandina che riportava il programma del giorno dopo), dove un importante complesso da camera eseguirà la suite lirica di Alban Berg e uno degli ultimi quartetti
di Beethoven, l’op. 135 in fa maggiore. Giorgio, come prevedevo, accetta entusiasta
l’invito: ben sapevo che avrebbe accettato conoscendo i suoi gusti in fatto di musica.
Secondo giorno: l’abitazione di Giorgio — gli spazi pubblici del complesso: il
centro civico del Municipio, la sede ASL e il centro giovani — gli spazi artigianali e produttivi — il centro sportivo.
Arrivo a viale Carso, dove abita il mio amico. Attraverso uno dei varchi che collegano il viale con la piazza verde del complesso e salgo le scale che conducono al
primo piano. Raggiungo l’ingresso dell’appartamento percorrendo un breve tratto
del ballatoio sul quale affacciano gli ingressi delle residenze. Il ballatoio è lungo
un’ottantina di metri, stretto tra il muro di viale Carso e la parete del nuovo edificio
che, al primo piano, ospita le abitazioni.
Il muro, dall’esterno, è proprio come lo ricordavo: solo i bordi di alcune finestrature sono stati allungati fino a terra per poter aprire i varchi. Lo spazio del ballatoio
— forse per il colore chiaro delle sue pareti e la copertura leggermente ricurva —
sembra più largo di quanto sia in realtà. Il luogo è piacevole: lo spazio non viene
percepito come un corridoio buio e monotono grazie alla luce che penetra dalle
ampie finestrature e ad alcuni sottili diaframmi che lo articolano, senza interromperne la continuità fisica.
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Suono il campanello: Giorgio apre la porta e m’invita a entrare.
L’appartamento è bello e luminoso. Attraversiamo il soggiorno e ci rechiamo sulla
terrazza, protetta da un bel pergolato.
La terrazza si affaccia sulla piazza interna, il “cuore verde” del complesso: da qui
le persone che frequentano la piazza, schermate dalla fitta vegetazione, sono poco
visibili. Giorgio mi fa vedere la sua camera da letto e la cucina abitabile. “La casa
è piccola — in tutto 50 mq circa — ma per me che sono single è più che sufficiente. In questo edificio ci sono anche appartamenti più grandi, abitati in genere da
giovani coppie”. Gli chiedo se la casa non sia troppo calda d’estate o troppo fredda
d’inverno. “In estate la casa è fresca, grazie soprattutto alla ricca vegetazione della
piazza ma anche alle brezze che la sfiorano nelle prime ore della sera. L’edificio è
esposto a sud: nei mesi invernali i raggi del sole penetrano nell’abitazione senza
essere intercettati dagli edifici antistanti né dal fogliame del gelsomino che ricopre
la pergola, che è caduco; i muri sono ben coibentati, gli infissi a bassa emissione
e i ponti termici assenti. Inoltre il muro di viale Carso protegge l’edificio dai venti
freddi invernali provenienti da nord. In pratica, l’energia necessaria per riscaldare
l’appartamento è meno della metà di quella che serviva per riscaldare la mia precedente abitazione”. Ma il rumore che proviene dalla piazza interna? “Le attività che
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si svolgono nella piazza non sono affatto rumorose, eccetto il vociare dei bambini
che giocano — che non mi da fastidio, ma anzi, mi fa compagnia — e i suoni che
provengono dall’anfiteatro nelle serate estive (ma gli spettacoli terminano sempre
prima della mezzanotte). Il rumore che si produce all’interno dei locali sui bordi del
complesso non si diffonde all’esterno, poiché tutti gli ambienti sono isolati acusticamente.
Giorgio m’invita a bere un birra sulla terrazza: seduti al piccolo tavolo, all’ombra
della pergola, beviamo la birra, mentre decidiamo come proseguire la nostra visita.
“Visiteremo per primi gli spazi pubblici del complesso che ospitano sia attività istituzionali, sia attività culturali e di promozione sociale gestite da cooperative sociali
e organizzazioni di volontariato”.
Scendiamo nella piazza verde e ci avviamo verso il Centro Civico Municipale, un
edificio di nuova costruzione realizzato a suo tempo dai nuovi proprietari dell’area.
I proprietari lo avevano ceduto gratuitamente al Comune che, a sua volta, lo aveva
concesso in uso al Municipio.
L’edificio, di due piani (piano terra e primo piano), è situato a ridosso del muro di
viale Carso, all’altezza del portale di piazza Bainsizza. Al piano terra, oltre all’URP
(Ufficio Relazioni con il Pubblico), ci sono alcuni sportelli che hanno il compito di
informare i cittadini sui loro diritti e su altre questioni particolari quali la sicurezza
e l’emergenza abitativa. Allo stesso piano ci sono le sedi di due consulte: quella dei migranti e quella sui problemi delle persone disabili e della salute mentale,
nonché una sede distaccata dell’Ufficio Tecnico. Giorgio mi dice che i tecnici di
quest’Ufficio hanno il compito di mettere a disposizione dei cittadini tutte le documentazioni necessarie — piani e programmi, iniziative e provvedimenti in materia
urbanistica e ambientale — e di fornire tutti i chiarimenti necessari perché essi li
possano “decodificare” e farne buon uso durante le sessioni di lavoro del Laboratorio Municipale di Progettazione Partecipata.
Saliamo al primo piano dove si trova il Laboratorio: una quindicina di abitanti e alcuni rappresentanti politici e funzionari del Comune e del Municipio, assieme ad altri soggetti che non riusciamo a identificare, stanno discutendo in merito a un nuovo
importante progetto da realizzare in un’area adiacente a piazzale Clodio. Le attività,
coordinate da un facilitatore, procedono in modo ordinato. Giorgio, che è anche
esperto di metodi di progettazione partecipata, mi spiega che il gruppo di lavoro sta
utilizzando Strategic Choice: “si tratta di un approccio alla progettazione strategica
partecipata molto interessante che alcuni, a torto, considerano troppo complicato. Io
stesso ho avuto occasione di utilizzarlo con successo proprio in questo Laboratorio,
e devo dire che i risultati sono stati sempre molto apprezzati da tutti i partecipanti”.
Lo spazio del Laboratorio è relativamente ampio ed è dotato di numerose attrezzature: due computer collegati in rete (wi-fi), un video proiettore, uno schermo, una
lavagna a parete e una a fogli mobili. Accanto al Laboratorio ci sono tre stanze più
piccole, dove altrettanti sottogruppi di lavoro possono lavorare in completa tranquillità. Una stanza, in particolare, è attrezzata per poter svolgere attività di supporto, dal disegno alla costruzione di modelli plastici.
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Allo stesso piano ci sono altri ambienti destinati alle cooperative e alle associazioni che hanno vinto un apposito concorso per svolgere attività culturali e corsi di
formazione all’interno del Centro Civico. Gli abitanti possono partecipare gratuitamente alle attività o seguire un corso pagando una piccola quota d’iscrizione.
Tra le attività ce ne sono alcune che promuovono la diffusione di forme espressive
come la musica e il teatro. Entro in una stanza dove alcuni giovani seguono una
lezione di chitarra sotto la guida di un insegnante. “E’ da sempre che desidero imparare a suonare uno strumento musicale. Questa volta sono deciso: mi iscriverò al
corso serale di flauto dolce che, secondo i programmi, dovrebbe iniziare la prossima
settimana”. Giorgio mi guarda scettico e mi confessa di aver frequentato qualche
anno prima un corso di ‘cultura e regia teatrale’, ma di non essere poi riuscito a
coltivare questa sua passione a causa dei suoi impegni lavorativi. “Ma non è detto
— aggiunge — che prima o poi non mi riesca di trovare il tempo necessario per
approfondire le nozioni apprese a suo tempo e a metterle in pratica”.
Quando esco dal Centro mi dichiaro stupito dei numerosi progressi fatti dall’amministrazione pubblica negli ultimi anni. “Questi progressi — mi spiega Giorgio
— sono la conseguenza di quanto è avvenuto alcuni anni fa, quando il Comune ha
finalmente deciso di mettere in atto un processo di decentramento vero, concedendo
ai Municipi poteri maggiori nel settore normativo e finanziario”.
Oltrepassato il portale di piazza Bainsizza, proseguiamo lungo il bordo interno che
separa la piazza verde dal “recinto” edificato che la delimita, fino alla sede ASL del
DSM (Dipartimento di Salute Mentale) di via Monte Santo.
La fama di questa struttura, considerata da tempo un polo di eccellenza, supera
ormai i confini del quartiere. Il bell’edificio che la ospita è stato perfettamente restaurato: i suoi spazi, diversamente da dieci anni fa, sono ora tutti utilizzati.
Sul retro dell’edificio, al centro del corpo di fabbrica, scorgo un ingresso che ai miei
tempi non esisteva. Entriamo nell’edificio, dove incontriamo un medico del DSM.
Ci dice che negli ultimi anni la struttura è stata potenziata: “il Centro Diurno è ora
in grado di prestare la propria assistenza a un numero maggiore di persone. Grazie
alle nuove cure, la percentuale di pazienti che riescono a essere reinserite nel territorio è quasi doppia rispetto a dieci anni fa”. Gli chiediamo di descriverci il Centro
con le sue attività. “La parte dell’edificio più amata è certamente la terrazza, dove
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si svolgono le pratiche del laboratorio di giardinaggio. Tra i laboratori che svolgono
una funzione complementare a quella delle cure mediche vere e proprie eccellono
anche il laboratorio di pittura e il laboratorio di danza integrata, un’esperienza singolare di arte applicata nel campo sociosanitario gestita in collaborazione con la
Foundation of Community Dance, dove gli ospiti del Centro imparano a danzare
assieme ad altre persone, che decidono volontariamente di partecipare”.
Il dottore dice che gli operatori del Centro accompagnano spesso gli ospiti fuori
dalla struttura per consentire loro di relazionarsi al contesto urbano e sociale del
quartiere. “Molte di queste visite si svolgono ora nel complesso, ricco di quelle attività espressive, ricreative, culturali e sportive che possono rafforzare le capacità
d’interazione sociale e di gestione della vita quotidiana dei pazienti”.
Usciti dal DSM, proseguiamo la nostra visita. Il primo edificio che incontriamo
è ‘CHIARA’, acronimo del nome del progetto che i giovani del quartiere, a suo
tempo, avevano proposto all’amministrazione: CoHousing di Innovazione Artistica,
Residenziale e Amministrativa. Giorgio mi dice che l’amministrazione pubblica,
all’inizio, non era convinta del progetto, che considerava utopistico (o, quantomeno,
molto difficile da realizzare). “Dopo molte esitazioni, l’amministrazione ha concesso l’edificio in comodato d’uso gratuito a una comunità di giovani, per la durata
di tre anni (rinnovabili). La comunità, in cambio, si doveva impegnare a svolgere
alcune attività di volontariato socialmente utili”.
L’edificio è occupato attualmente da una comunità che si configura come una compagnia teatrale, i cui membri svolgono anche altre attività.
“Di che attività si tratta?”, chiedo a uno dei giovani. “ Il nostro è un lavoro volontario: aiutiamo le persone diversamente abili, con handicap di tipo fisico o mentale, ospitate negli
enti assistenziali del quartiere. Buona parte della nostra attività è di supporto al DSM, che
si trova qui accanto. Ma ci occupiamo anche dei problemi dei minori, degli anziani, dei
senzatetto, dei rom: in breve, di tutti coloro che necessitano di aiuto. Abbiamo anche il
compito di provvedere alla manutenzione dell’edificio e delle aree prospicienti”.
“Perché Innovazione Artistica?”. “La nostra comunità è una vera e propria compagnia teatrale che, oltre a recitare, svolge attività di formazione in collaborazione
con il Centro Civico Municipale. I nostri spettacoli si svolgono principalmente nel
piccolo teatro all’aperto della piazza, ma anche in altri teatri del quartiere”.
“I membri di CHIARA — prosegue il giovane — si autogestiscono. Le regole che ci
siamo imposti prevedono la piena condivisione dei nostri averi. I nostri introiti provengono principalmente da coloro che assistono ai nostri spettacoli o frequentano
il nostro punto di ristorazione. I prodotti che utilizziamo per preparare i cibi provengono esclusivamente dalle botteghe del commercio equo e solidale e dagli altri
negozi che, a ridosso del muro di viale Carso, vendono prodotti agricoli biologici e
a ‘chilometro zero’’ e organizzano i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale).
Contenti di quanto avevamo visto e sentito, proseguiamo la nostra visita. “La speranza — mi dice Giorgio — è che questa esperienza possa consolidarsi e diffondersi in altri luoghi, a Roma e altrove, coinvolgendo un numero sempre maggiore
di persone”.
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Superato l’accesso che collega via Monte Santo con l’interno del complesso, giungiamo all’edificio della sottocentrale elettrica. Come previsto dal programma di
recupero dell’ex deposito, la sottocentrale è stata delocalizzata e l’edificio destinato
interamante a residenza.
L’edificio ospita oggi nove abitazioni di taglio medio-piccolo. Giorgio mi fa notare
che l’intervento di ristrutturazione ha trasformato profondamente l’interno dell’edificio originario, ma ne ha conservato il numero di piani, le altezze interpiano e
la ‘pelle’, rispettandone di fatto il valore formale e la compiutezza volumetrico —
architettonica.
Non conoscendo nessuno di coloro che abitano lì, decidiamo di proseguire. Giorgio
mi racconta che quando aveva deciso di trasferirsi nel nuovo complesso aveva visitato
un alloggio di circa 70 mq, situato all’ultimo piano dell’edificio. “L’abitazione era bella e ben rifinita, ma ho rinunciato ad acquistarla perché troppo cara per le mie tasche”.
È l’una: Giorgio suggerisce di fare una sosta per il pranzo. Accetto di buon grado
e gli propongo di avviarci verso il punto di ristorazione gestito dalla comunità del
progetto CHIARA.
Attraversiamo la piazza, ci sediamo a un tavolo e ordiniamo. Il cibo è veramente
buono (oltre che poco caro) e l’appetito non ci manca. Durante il pranzo parliamo
delle cose interessanti che abbiamo appena visto.
Vicino al punto di ristoro, a ridosso del muro di viale Carso, c’è un punto di vendita
del commercio equo e solidale e una bottega che vende prodotti enogastronomici tipici del Lazio. Poco più avanti alcune cooperative agricole espongono prodotti
“a km zero”, coltivati con tecniche biologiche e biodinamiche nei loro terreni situati
all’interno del GRA e in aree limitrofe. Uno spazio specifico è a disposizione dei
GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), che lo utilizzano per organizzare i loro acquisti.
Ci fermiamo alcuni minuti a osservare la frutta e gli ortaggi in esposizione. La varietà dei prodotti in vendita non è molto ampia: trattandosi di prodotti ‘a km zero’
non è possibile trovare qui frutti esotici o ortaggi differenti da quelli di stagione.
Ma questa minore varietà ha come contropartita la drastica riduzione dei tempi
di trasporto, con conseguente diminuzione dell’impatto atmosferico generato dai
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mezzi che portano i prodotti dai luoghi di produzione a quelli di vendita, nonché
la certezza per il consumatore di poter comprare prodotti che costano meno, grazie
all’abbattimento dei costi di trasporto. Ma soprattutto i prodotti ‘a km zero’, coltivati senza l’uso di diserbanti e fertilizzanti chimici e non assoggettati a trattamenti
di lunga conservazione, sono certamente più sani e sicuri.
“Mi ha fatto piacere sapere che la verdura e la frutta che abbiamo mangiato al punto
di ristoro proveniva da questi banchi”.
Giorgio mi propone di visitare il centro sportivo, costruito negli spazi adiacenti al
lato ovest (viale Angelico).
L’intervento non ha alterato sostanzialmente le preesistenze di maggior pregio
dell’ex deposito: il ‘recinto’ e il piccolo spazio d’ingresso sono stati modificati
soltanto per consentire ai cittadini di accedere agevolmente al nuovo complesso da
viale Angelico, sia a piedi che in bicicletta: un ramo della pista ciclabile di viale
Angelico penetra al suo interno, costeggia il bordo del’auditorium ed prosegue attraversando il varco che mette in relazione il complesso con l’area di via Sabotino.
Il prospetto dei piccoli edifici, già sede di ATAC Patrimonio S.p.a., sono stati conservati, ma i loro spazi interni sono stati ristrutturati per poter ospitare sia una piccola ciclofficina — punto di snodo della pista ciclabile — sia gli uffici del centro
sportivo: dalla biglietteria d’ingresso agli uffici amministrativi.
L’impresa che ha realizzato il complesso ha affittato l’intero centro a una cooperativa, a
un canone vantaggioso. La cooperativa ha peraltro l’obbligo di farsi carico delle spese di
gestione e di manutenzione della struttura, nonché di mantenere bassi i prezzi dei biglietti
d’ingresso e degli abbonamenti (Giorgio mi dice che questi prezzi sono quasi la metà di
quelli che si pagano di solito per frequentare centri sportivi privati dello stesso livello).
Il centro, che comprende una piscina e una palestra, è ubicato nella zona dell’ex deposito già occupata dalla officina (che è stata demolita) e da alcuni spazi aperti adiacenti.
Chiedo a Giorgio se gli va di fare un tuffo in piscina: mi risponde di sì. Giorgio mi
accompagna al suo appartamento, dove questa mattina avevo lasciato lo zaino con
il costume da bagno. Torniamo al centro, acquistiamo i biglietti d’ingresso, accediamo allo spogliatoio, indossiamo i costumi ed ci sediamo sul bordo della vasca.
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La piscina è molto bella: le porte e le finestre, di vetro, lasciano vedere tutt’intorno
la vegetazione della piazza verde. Uno dei suoi lati confina con l’anfiteatro ‘verde’;
da una porta del lato opposto si accede direttamente a un bel prato con sedie sdraio,
lettini e un piccolo bar, circondato da alberi e siepi.
La vasca, lunga 25 metri, mi sembra abbastanza grande: le persone in acqua non sono più di una quindicina. Giorgio mi dice che la piscina non è molto affollata perché
oggi è un giorno feriale. “Il numero di chi la frequenta è maggiore nei week-end,
soprattutto nei giorni più caldi”.
Mi tuffo in acqua e incomincio a nuotare. Faccio una ventina di vasche senza troppo
sforzo; alla fine decido di uscire dalla vasca e di raggiungere Giorgio che mi aveva
preceduto nel prato, dove stava già prendendo il sole sdraiato su un lettino.
Giorgio mi chiede se sono interessato a frequentare anche la palestra. Gli dico che
per oggi mi sento soddisfatto: nei prossimi giorni si vedrà. “Mi puoi descrivere la
palestra?”.
“Diversamente dalla piscina che si trova a piano terra, la palestra è situata al primo
piano dell’edificio. La sala principale della palestra ospita numerosi attrezzi per il
fitness. Le persone che la frequentano possono allenarsi in modo nuovo a stimolante
sia da sole, sia guidate da esperti. Mi dicono che esiste anche un efficace servizio
di personal training, abbinato all’allenamento funzionale. Tutte le volte che ci sono
stato ho trovato sempre un’atmosfera tranquilla e rilassata. Un programma di corsi
particolari (ginnastica ‘dolce’, ginnastica posturale ecc.) sono svolti da istruttori
esperti in certi periodi”.
Si è fatto tardi: Giorgio mi invita ad andare a casa sua per la cena. dove lui ha già
preparato qualcosa. Dobbiamo sbrigarci, perché alle 21 dobbiamo stare all’auditorium per il concerto.
Terzo giorno: le zone limitrofe all’area dell’ex deposito
Ritorno al quartiere Delle Vittorie per esplorare le zone limitrofe al complesso
dell’ex deposito. Giorgio mi ha già telefonato per dirmi che non potrà accompagnarmi per un impegno imprevisto.
Le strade adiacenti al complesso e alla contigua area di via Sabotino sembrano più
vive rispetto a dieci anni fa. Le persone che le frequentano, attratte dal nuovo ‘nodo
di attività’, sono più numerose e gli esercizi commerciali — per lo più negozi di
vicinato — sono cresciuti di numero.
La qualità delle strade è migliorata: gli alberi, un tempo mancanti — alcuni pioppi
a viale Carso e tre o quattro platani a viale Angelico — sono stati finalmente ripiantumati. La spina centrale di via Monte Santo è stata allargata, sia pure di poco, a
spese delle corsie carrabili adiacenti: sotto i lecci non sostano più le numerose auto
di un tempo, ma solo alcuni pedoni che si riposano sulle nuove panchine protette dal
traffico automobilistico, comunque meno intenso di una volta.
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Mi domando dove siano finite tutte le automobili che un tempo sostavano lungo i
bordi o al centro delle strade.
Un passante mi spiega che, da allora, le cose sono molto cambiate. La maggiore
efficienza dei mezzi pubblici ha consentito agli abitanti di limitare l’uso dell’auto
privata. Mi ricorda che la metro C, operativa ormai da qualche anno, permette di
raggiungere velocemente il quartiere Delle Vittorie da molti altri quartieri della
città, anche da quelli più lontani.
“L’accresciuta efficienza dei trasporti pubblici — aggiunge — ha indotto la maggior parte delle persone a rinunciare all’uso dell’auto per spostarsi in città. Molti la
utilizzano soltanto per andare fuori Roma o quando devono recarsi in luoghi che è
difficile raggiungere con i mezzi.
Ogni famiglia può posteggiare gratuitamente la propria auto in un apposito spazio:
se la famiglia ha più di una macchina paga però un prezzo che cresce progressivamente con il numero di auto possedute. Alcuni hanno scelto di disfarsi definitivamente della propria automobile e di ricorrere, in caso di necessità, al servizio di car
sharing gestito dall’amministrazione comunale. Questo servizio, negli ultimi anni,
si è molto sviluppato: a piazzale Clodio, per esempio, è stato creato un grande parcheggio che ospita alcune centinaia di auto di cui tutti possono disporre a un costo
assai più basso rispetto a quello di dieci anni fa”.
Tutto ciò non mi suona nuovo. Anch’io, nel mio quartiere, mi servo sempre più
frequentemente del car sharing. Credo che presto dovrò decidermi a sbarazzarmi
dell’auto.
L’inquinamento atmosferico generato dal traffico è diminuito a causa della diffusione delle automobili elettriche, il cui numero è fortemente cresciuto da quando è
stato possibile fare facilmente il pieno di elettricità sfruttando le reti che, da qualche
anno, sono state rese più intelligenti ‘incrociandole’ con le reti mobili a banda larga.
Un normale trasmettitore UMS e una sim, inseriti nell’auto, consentono di attaccare
a ogni spina (a casa, in azienda ecc) la macchina per fare il pieno e programmare un
tempo di ricarica uguale quello di sosta previsto. Il costo della ricarica è addebitato
direttamente sulla bolletta del proprietario.
Via Monte Nero, da alcuni anni, non è più una strada carrabile, ma uno spazio bello
e coerente che collega e integra perfettamente, in termini spaziali funzionali, l’area
di via Sabotino con il nuovo complesso dell’ex deposito ATAC.
Entro nell’area dall’ingresso di via Monte Nero, da dove partono i brevi percorsi
che conducono alle diverse zone: lo spazio giochi, il centro anziani, la bocciofila e
il bau park.
Mi accorgo che il dislivello che separava il centro anziani e il bau park dallo spazio
giochi e dalla bocciofila è stato colmato: tutte le zone si trovano ora alla quota delle
strade circostanti.
Lo spazio giochi è più grande di quello che conoscevo: ora comprende anche l’area
che prima era occupata dalla bocciofila. I giochi sono adatti ai bambini più grandi-
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celli e ai ragazzi (quelli dei bambini piccoli si trovano soprattutto nella piazza verde
dell’ex deposito).
In un campetto sportivo polivalente vedo i ragazzi che giocano a calcetto.
Accanto a esso c’è anche uno spazio destinato ai giochi d’avventura, dove i bambini creano i propri giochi con i materiali messi a loro disposizione: alcuni costruiscono un piccolo castello con scatole di cartone, altri utilizzano vecchi rami per fare
gare d’equilibrio…
Il centro anziani dispone ora di uno spazio più grande. L’edificio, circondato da
uno spazio meno striminzito di quello di un tempo, è stato ampliato per ospitare
altre attività. Alcuni anziani sono contenti perché il trasferimento della bocciofila
nella nuova zona — tra il centro anziani e il bau park — ha permesso di creare un
accesso diretto allo spazio giochi. “Così siamo più vicini ai nostri nipoti che giocano qui accanto”, mi dicono.
I campi di gioco coperti della bocciofila non sono sostanzialmente diversi da quelli
di un tempo, ma la zona che li ospita è più grande. Accanto ai campi c’è un piccolo
chiosco autogestito, dove i giocatori possono dissetarsi o prendere un caffè; possono anche sostare all’aperto su alcune sedute, all’ombra di grandi alberi.
Mi sposto nella zona del bau park. L’area a disposizione dei cani del quartiere è un
po’ più piccola di un tempo, ma è più pulita e meglio attrezzata. In particolare c’è
una sabbiera, dove gli animali possono fare i loro bisogni, che i proprietari degli
animali puliscono a turno.
Tutte le zone sono collegate anche all’altro ingresso: soddisfatto per quanto avevo
visto, decido di uscire dal bau park su via Sabotino e di andare a prendere un caffè
da Antonini, prima di recarmi alla stazione della metro Bainsizza e tornare a casa.
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SCENARIO 5 (Silvia)
Torno in Italia durante l’estate, dopo essere stata costretta all’espatrio, dieci anni fa,
per ragioni di famiglia.
Eccomi nel mio quartiere Prati: la curiosità mi spinge a fare un giro, per vedere se
qualcosa sia cambiato, se qualche albero in più sia spuntato, se la qualità della vita
sia migliorata.
Mi avvicino a piazza Bainsizza e già mi colpisce un silenzio invitante: non sono
tante le macchine in circolazione, pochi strombazzamenti, l’aria più pulita.
Non riesco a crederci: la pista ciclabile, lungo via Oslavia, è piena di ciclisti colorati, di tutte le età, che si infilano, ad un certo punto, nell’area dell’ex deposito Atac
di piazza Bainsizza.
Li seguo, oltrepassando un bel portale circondato da piante rampicanti, dal quale
intravedo il verde di un parco pubblico. Noto che l’insieme della struttura ha mantenuto il suo carattere originario: nessun palazzone è stato costruito e questo mi
sembra già un miracolo!
Mi inoltro nel parco e ammiro le piante ad alto fusto. Dunque gli abitanti ce l’hanno
fatta: i parcheggi non sono stati costruiti e la natura ha ripreso il sopravvento, offrendo
ai visitatori un’oasi di tranquillità. Una distesa erbosa ricopre il terreno tra un albero e
l’altro: molti bambini si rincorrono giocando, finalmente liberi di muoversi, di giocare a
nascondino, di saltare alla corda. Alcuni si divertono su altalene. Varie persone, sedute
su panchine, sono intente a leggere libri e giornali o a chiacchierare tra loro.
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Una fontana rinfresca l’aria e, con i suoi giochi d’acqua, permette ai bambini di
prendere sollievo dalla calura estiva.
Il giardino è attraversato da vialetti, che confluiscono in un anello pedonale che circonda il parco e su cui affacciano gli edifici. Alcuni varchi, inoltre, che si aprono lungo il perimetro dell’area, permettono, anche dall’esterno, la visione del parco centrale.
Al centro del parco è stato costruito un anfiteatro all’aperto, che viene usato per
spettacoli teatrali, ma anche come cinema serale nel periodo estivo. “Meno male!!
— penso — questo quartiere non sarà più un mortorio d’estate. E gli abitanti che vi
restano non saranno più costretti ad andarsene in centro per cercare un po’ di vita.
Tra l’altro vedo che la programmazione degli spettacoli e dei film ricopre anche il
fine settimana: allora c’è stata proprio la volontà di rivitalizzare un deserto!”
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Torno all’ingresso di piazza Bainsizza e decido di visitare il Dipartimento di Salute Mentale. Quasi non lo riconosco più: il vecchio edificio è stato restaurato fin
dal seminterrato e reso più funzionale. Molti nuovi locali sono stati recuperati e in
essi si muovono, indaffarate tra le varie attività che la ristrutturazione ha reso possibile, le persone che attualmente frequentano il centro. Le scritte sulle porte delle
varie stanze mi fanno capire che davvero sono tante le opportunità offerte: pittura,
musica, laboratori di artigianato...Tra l’altro è stata anche riaperta la bellissima terrazza, dove in questo momento si sta tenendo un corso teatrale, che sfocerà nella
preparazione di uno spettacolo da presentare un giorno nell’anfiteatro all’aperto.
Mi colpisce proprio il fatto che le persone si muovano disinvolte tra le varie parti
dell’area e non solo dell’edificio del DSM.
Una costruzione affianca il DSM: si tratta di un edificio adibito a cohousing e
questa mi sembra proprio un’incredibile novità per il quartiere. I giovani ce l’hanno
fatta a portare avanti il loro progetto Chiara (CoHousing di Innovazione Artistica,
Residenziale e Amministrativa) e la vita in comune deve avere risolto molti dei loro
problemi abitativi (e non solo!). Parlando con uno di loro, mi rendo conto che essi
devono essere diventati, grazie alla loro ospitalità, un indispensabile supporto a
molti dei servizi sociali del quartiere, compreso il DSM: volontari e tirocinanti aiutano nello svolgimento delle attività di quest’ultimo, a partire dall’attività teatrale e
da quelle artistiche.
Un particolare mi colpisce: i giovani del progetto Chiara e gli utenti del DSM gestiscono insieme anche un orto, che si trova davanti ai rispettivi edifici (dalla parte
del parco). Sono contenta, sia per l’occasione di socialità che l’ortoterapia offre sia
perché finalmente constato che una parte del compost, ricavato con tanta fatica
dalla raccolta differenziata dei rifiuti nel quartiere, viene raccolto in un posto sicuro
e messo a buon frutto.
Accanto a questa costruzione ne noto un’altra: si tratta di un edificio per residenze
di piccolo taglio, destinato a giovani coppie del quartiere. “Era ora che il quartiere
si ripopolasse di giovani — penso — si è pensato finalmente a loro, che in questo
spazio trovano finalmente quello che cercavano, sotto varie forme”. Chiedo a una
mamma, che sta uscendo col suo bambino, se è stato difficile, dal punto di vista
economico, comprare qui una casa: mi risponde che le abitazioni sono state vendute
a prezzo agevolato, proprio per evitare l’esodo dei giovani dal quartiere.
Resto davvero stupita per la lungimiranza dei nostri amministratori che, per una
volta, sembrano avere avuto uno sguardo rivolto al futuro!
Sono arrivata in via Montenero e qui vedo finalmente realizzato il mio sogno: è qui
che trovo, infatti, distribuito in bassi edifici che costeggiano tutta la strada, quel
Centro Civico tante volte sognato in passato, dove i cittadini si possono riunire in
santa pace, senza dover chiedere continuamente ospitalità alle varie istituzioni. Mi
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aggiro, guardando con curiosità, attraverso una sala-riunioni, un centro-studi per
studenti (aperto fino a tarda ora), una sala per mostre o conferenze, un piccolo
auditorium e persino un caffè letterario, dove decido di fermarmi per prendere
un po’ di riposo dalla calura estiva. Mentre mi godo la pausa, osservo che il via-vai
animato della gente che si muove in questo centro comprende anche molti anziani,
impegnati nelle mille attività che vi si svolgono: sembrerebbe che esista finalmente
una mescolanza di interessi e una possibilità di interazione tra gente di ogni età!
Mi soffermo un po’ in una sala: è in corso una riunione e mi colpisce l’espressione
contenta degli abitanti, che stanno scrivendo una lettera al Municipio, all’Atac e al
Comune, con cui, dall’epoca della progettazione partecipata, si è aperta una fruttuosa collaborazione.
In generale noto, in tutte le sale del Centro Civico che attraverso, la vivacità degli
sguardi e dei comportamenti: sembra che tutti abbiano piacere di incontrarsi e di
salutarsi, come se fossero cadute antiche barriere.
Mi sposto dalla parte di viale Angelico. Constato con gioia che lo spazio d’ingresso,
con pergolato, è stato mantenuto: mi piaceva tanto quell’aria un po’ da antico paese
che il pergolato dava a questa parte dell’area. Da qui si accede ad una piccola piscina
coperta, con ampie vetrate, da cui si può ammirare il verde del parco centrale. Ancora
una volta constato che è stata rispettata la volumetria originaria e che è stata mostrata
particolare attenzione a non rompere il delicato equilibrio uomo-natura.
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Costeggio ora la parte che dà su viale Carso: qui sono state aperte varie attività
artigianali e non solo: c’è una ciclo-officina, in cui ferve grande attività. Chiunque
voglia, può costruirsi da solo una bicicletta, usando pezzi di altre ormai inservibili:
ad attività conclusa, può portarsi via, gratuitamente, la bicicletta ricostruita e usarla
finché vuole, salvo riportarla quando non la usa più.
“Anche questa attività può avere un gran valore terapeutico — penso — a parte il
significato ecologico”.
A fianco si aprono una bottega del commercio equo e solidale e un’altra che vende
prodotti agricoli a chilometro zero: dal numero di persone che sosta davanti, arguisco che i prodotti devono essere buoni e convenienti e decido di fermarmi anch’io
per fare provviste.
Procedo oltre e colpiscono la mia attenzione i colori animati dei vari oggetti in
esposizione presso l’adiacente mercatino del baratto e decido subito che sarei tornata il giorno dopo per partecipare agli scambi.
Con un ultimo colpo d’occhio, mi accorgo infine che i tetti di tutte le costruzioni
hanno pannelli solari e che sono stati usati tutti gli accorgimenti per rendere l’area
energeticamente autosufficiente.
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Sembra insomma che sull’intera area dell’ex deposito Atac sia passata una ventata
di rinnovamento e che essa sia diventata un esempio di cosa si può ottenere se si
cerca la qualità prima del profitto!
A questo punto rimpiango davvero di non essere stata presente mentre tutto questo
si realizzava! Perché mi sono scoraggiata così presto?
Faccio un ultimo giro all’esterno, lungo il muro di cinta. Da qualche parte, temo, dovrebbero esserci le entrate dei nuovi parcheggi: invece constato con piacere che non
se ne sono aggiunti altri. Del resto, una fermata della metropolitana all’altezza di
via Monte Santo e una potenziata rete di autobus urbani, rendono facile, insieme
alla pista ciclabile, l’accesso all’area.
3.3Conclusioni
Ai cinque scenari se ne potranno aggiungere altri. Ogni abitante che non ha partecipato al processo di progettazione partecipata potrà costruire il proprio scenario in forma di “racconto” e proporlo al seminario che lo utilizzerà, assieme a tutti
gli altri scenari individuali, per ricavare un unico scenario coerente e condiviso.
La seguente procedura per costruire lo scenario unico è solo una tra quelle possibili.
Gli abitanti discutono in merito ai diversi scenari e scelgono quello preferito. Se
dalla discussione dovessero emergere opinioni divergenti, sarà necessario procedere a una votazione: in questo caso non si parlerà di scenario condiviso, ma
di scenario preferito dalla maggioranza degli abitanti.
Gli abitanti procedono quindi a disegnare la mappa dei centri “in nuce” dello
scenario. Sulla mappa si cercherà anche di localizzare quei centri la cui posizione
non è chiaramente desumibile dal “racconto”. La mappa sarà anche l’occasione
per verificare se la grandezza di ogni centro “in nuce” è compatibile con quella
dell’area in cui esso dovrà essere realizzato. In caso di palese incompatibilità, si
procederà a eliminare del tutto il centro o a localizzarlo in una parte dell’ambito
d’intervento più idonea ad ospitarlo.
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La mappa potrà anche aiutare a identificare immediatamente la zone dove lo
scenario preferito non fornisce sufficienti indicazioni per la loro trasformazione.
In questo caso sarà necessario integrare lo scenario con le prefigurazioni e i centri “in nuce” di altri scenari, la cui “visione” non sia troppo dissimile da quella
sottesa allo scenario preferito. Questa integrazione potrà farsi anche in altre
zone per arricchire i centri dello scenario preferito con i centri di altri scenari che
sono ad essi complementari o sinergici.
Lo scenario preferito, opportunamente integrato con le prefigurazioni e i centri
“in nuce” di altri scenari, sarà utilizzato nella fase di unfolding per sviluppare il
progetto di recupero e riuso dell’ex deposito (ma questa è un’altra storia).
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