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Arte e Cultura
City of Paper: la fiducia nel futuro
in una città di carta
di Lorenzo Bagnara
L’arte del rendering architettonico nell’America del secondo
dopoguerra. Quando ho iniziato ad acquistare renderings
architettonici, all’inizio del 2005, ho provato a darmi dei parametri
sui quali porre le basi per la formazione della raccolta.
Si tratta infatti di un tipo di collezionismo davvero inusuale sul quale non esiste nessun tipo di “manuale” o guida
che possa tracciare un percorso da seguire. Il mio primo
approccio è stato di tipo “geografico”, prediligendo le produzioni americane del secondo dopoguerra, più facilmente reperibili sul mercato in quanto emanazione del boom
economico che ha contrassegnato il periodo postbellico.
Dal momento che si presentavano un certo numero di opzioni di acquisto, ho pensato di cercare di differenziare i
temi in modo da comporre passo dopo passo una sorta di
città utopica, una City of Paper appunto, dove non dovevano ripetersi con grande frequenza le medesime tipologie di soggetti. Aeroporti, ponti, ospedali, campus universitari, ma anche centri commerciali, autolavaggi, fabbriche e scuole dovevano convivere nella collezione con lo
stesso ritmo con il quale occupano una metropoli reale.
Rapidamente però mi sono reso conto di un’altra qualità
importante che dovevano avere i renderings: rappresentare luoghi identificabili. La possibilità di collocare geograficamente un edificio e poterne confrontare lo stato attuale con la fase progettuale, grazie anche all’uso di tecnologie come GoogleEarth, avrebbe conferito un valore intrinseco molto più elevato alle opere e ne avrebbe reso la
fruizione decisamente più godibile. Pertanto ho prediletto le rappresentazioni che fornivano il maggior numero di
notizie: il nome dell’edificio, quello dell’architetto e, la firma dell’artista che aveva realizzato il dipinto. In alcuni casi, trattandosi di produzioni relativamente recenti, è stato
A fronte
Architetto Philip Birnbaum, 1001 Fifth Avenue, New York City,
tempera di Charles Joseph Spiess, 1971.
così possibile addirittura entrare in contatto con alcuni di
questi autori o con loro diretti discendenti. È significativo
tuttavia come queste opere, frutto di lunghi studi prospettici e realizzati spesso con grande dovizia di particolari, non
siano mai reputate opere d’arte vere e proprie, ma semplici espressioni della tecnica. Certamente non c’è una volontà “artistica” dietro ad esse, ma ritengo siano straordinarie testimonianze dello spirito del tempo, anche se opera di “delineatori” che seguivano con grande attenzione
delle regole di geometria e proporzione mentre negli stessi anni artisti come Jackson Pollock creavano capolavori
con la tecnica del dripping.
Per comprendere meglio l’importanza del rendering nella
genesi di un’opera architettonica il testo di riferimento è
sicuramente “Architectural Rendering: the tecniques of contemporary presentation” di Albert O. Halse, pubblicato da
McGraw-Hill a New York nel 1960 e successivamente ristampato fino al 1988, quando le tecniche di elaborazione fotografica prima e l’avvento della computer graphic poi,
avrebbe cambiato totalmente le modalità di realizzazione
di queste opere.
L’autore occupava già da 13 anni la cattedra di disegno
presso la scuola di architettura della Columbia University
di New York ed è stato dunque responsabile della formazione di un’intera generazioni di architetti dell’America dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il libro di Halse parte da una domanda semplice: perché
l’architetto disegna? Il rendering è una risposta comprensibile al tecnicismo che pervade l’architettura moderna, così complessa da rendere altrimenti difficilmente leggibile un
progetto basandosi solamente su piante e schemi. Il ren-
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A fianco
Architetto Percival Goodman, Public School
57, Staten Island, New York, 1976.
Sotto
Architetto Leo A. Daly, Lippold Building
(oggi American California Bank),
Omaha, Nebraska, 1965.
Pagina a fianco, in alto
Architetti Woodford & Bernard
United California Bank, Lomita, California.
In basso
Architetti Leizer & Russell, Public Library
Santa Monica, California, Acquarello
di John R. Hollingsworth, 1965.
dering viene dunque a costituire “un ponte tra l’intelletto
del cliente e quello dell’architetto”. Una forma di comunicazione dunque, grazie alla quale il progettista avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi con il committente su una
“terra franca”. Il modello architettonico o una semplice prospettiva non avrebbero mai potuto infatti colmare il divario
tra le due visioni, il primo privo di scala umana, la seconda lacunosa dal punto di vista della resa dei materiali.
Il lavoro preliminare, spesso fatto di rapidi schizzi tracciati dall’architetto durante le conversazioni con il committente, resta ancora oggi un primo passo verso la realizzazione del progetto finale e numerosi sono gli stadi attraverso
i quali passerà l’opera prima di essere conclusa.
Il rendering permette all’architetto di “vendere” il progetto al
cliente, pertanto il professore suggerisce ai giovani allievi di
ascoltare il più possibile le sue richieste e di informarsi circa le sue preferenze in fatto di colori e materiali: di fronte ad
una reticenza, consiglia di osservarne la casa, gli abiti e l’autovettura. Saranno infatti elementi importanti per la creazione di qualcosa in sintonia con i suoi gusti. Halse sottolinea
anche come un rendering ben fatto permetterà di comprendere come l’edificio si inserirà nel contesto urbano e sarà un
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notevole passo avanti nell’avanzamento dei lavori, quando
lo si sottoporrà ad una commissione edilizia o in un concorso. Il committente inoltre potrà utilizzare il dipinto per diverse finalità: avere l’approvazione di un finanziamento da parte di un istituto bancario, ad esempio, oppure, una volta consegnato ad un sapiente pubblicitario, farne l’immagine per
una campagna vendite di successo. L’artista, continua Halse, dovrà porre molta attenzione alla contestualizzazione dell’edificio: una chiesa, ad esempio, dovrà essere rappresentata con la luce del mattino, dal momento che verrà utilizzata principalmente in quella parte della giornata, mentre teatri, ristoranti, cinema e luoghi sportivi dovranno essere circondati da numerose figure umane, autovetture e tutto ciò
che può essere coerente con la loro fruizione. Il docente avverte tuttavia di non inserire troppi elementi caratteristici di
un’epoca in quei rendering di progetti che andranno incontro a lunghi tempi di approvazione, citando ad esempio i palazzi governativi, in quanto si incorrerebbe nel rischio di rendere rapidamente “datato” anche l’edificio.
Possiamo riscontrare gli insegnamenti di Halse in quasi tutti i pezzi che compongono la collezione. Una coppia di rendering a matita e carboncino, ad esempio, rappresentano lo
stadio preliminare di un progetto mai
realizzato che avrebbe dovuto interessare la sponda est della penisola di
Manhattan: un piccolo aeroporto galleggiante dedicato ad elicotteri 1 e aerei privati progettato dall’architetto Jeffrey Ellis Aronin che avrebbe integrato
nella struttura anche dei moli per l’attracco di navi e traghetti. L’avvertenza
di porre una vegetazione di colore scuro dietro ad edifici dai toni chiari appare evidente nel progetto per la Church
of the Nazarene realizzato dagli architetti Keys & Hestrup per la città di Argo nello stato dell’Illinois. L’uso degli alberi per mettere in risalto i punti di fu-
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ga trova larga applicazione nel rendering della Santa Monica Public Library 2
che gli architetti Leizer e Russel commissionano a John Hollingsworth nei primi anni ’60. La trasparenza del vetro,
elemento chiave dell’architettura modernista, è un punto focale nella filiale di
Lomita della United California Bank progettata da Woodford & Bernard o negli uffici della U District Building Corporation di Seattle disegnato da Alfred
Simonson. Nel sesto capitolo del suo
manuale, Halse sottolinea proprio come siano stati aboliti i confini tra spazi interni ed esterni e quindi spetti al disegnatore mostrare
nella prospettiva dell’edificio anche alcuni elementi di arredo attraverso le vetrate. Edifici come questi ultimi citati, destinati a sorgere in aree urbane ancora libere, non dovevano incontrare grandi difficoltà nell’essere approvati dalle commissioni edilizie. Caso opposto appare invece quello del grande parcheggio che aveva progettato nel centro di Denver l’architetto James Sudler, già collaboratore di Gio Ponti nella realizzazione del museo della città, accanto al Republic Building, edificio in stile Art Deco disegnato nel 1925 da George Meredith Musick: la bandiera americana posta sulla sommità della rampa elicoidale non bastò a far superare il contrasto di stili dei due fabbricati e l’opera non venne approvata 3. Sorte diversa toccò invece al 1001 Fifth Avenue, grande edificio residenziale progettato da Philip Birnbaum nel
1971. La tempera di Charles Joseph Spiess 4, mostra infatti
ciò che venne poi realizzato esattamente di fronte al Metropolitan Museum di New York, suscitando aspre critiche. Inserito tra un palazzo in stile rinascimentale ed una piccolo
edificio Beaux-Arts del 1901, il condominio fu dunque oggetto di un profondo restyling post-modern da parte di Philip Jonhson, che aggiunse tra il 1978 ed il 1980 una falsa
mansarda sulla sommità e cercò di raccordare la facciata con
quella del fabbricato adiacente allineandone i marcapiani.
Un caso curioso è quello del Lippold Building di Omaha,
Nebraska. Disegnato da Leo A. Daly nel 1965 per il proprietario di una fabbrica di patatine fritte,
l’edificio, che oggi ospita l’America National Bank 5, avrebbe dovuto essere coronato da un attico di forma circolare.
A causa di problemi finanziari la struttura non fu ultimata ed i prefabbricati
già acquistati vennero impiegati per la
costruzione della St Timothy’s Church
a pochi isolati di distanza. Anche l’ultima opera entrata nella collezione rappresenta un “incompiuto”. Nella tempera prodotta dallo studio Tan & Voss
nel 1971 viene rappresentato uno
street corner sul quale domina un edi-
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ficio caratterizzato da un parcheggio multipiano che ne occupa il basamento. Nonostante l’assenza di indicazioni circa il nome del palazzo o il progettista, è stato possibile identificare grazie alla Chicago Architecture Fundation questo luogo come l’incrocio tra LaSalle e Lake Street nella metropoli
dell’Illinois. Viene presentato infatti quello che sarebbe stato il risultato dell’abbattimento della metropolitana leggera in
un’ottica di modernizzazione della città dei primi anni ’70,
ponendo dunque l’enfasi sul traffico scorrevole e la vista del
cielo aperto. Un progetto rimasto solamente sulla carta.
È proprio l’aspetto che trovo affascinante in queste opere:
la loro importanza nel processo che porta un’idea a diventare una realtà tangibile di ferro, cemento, mattoni e vetro
con la quale esseri umani andranno a confrontarsi per anni, decenni e forse secoli, mentre altre volte rimarrà solamente grafite, inchiostro o pigmento su cartoncino rigido.
Note
1
In quello recante il nome dell’architetto, si noti l’elicottero/autobus
che sembra uscito dalla matita di Richard Buckminster Fuller.
2
L’edificio modernista, inaugurato nel 1965, è stato purtroppo demolito nel 2003.
3
Per ironia della sorte, tuttavia, l’edificio di Musick venne poi demolito nel 1981 per essere sostituito dal Republic Plaza, quello che ancora oggi è il grattacielo più alto della città.
4
L’artista fu allievo di Halse alla Columbia University e diversi suoi
renderings ne illustrano l’opera.
5
L’indirizzo è 8990 West Dodge Road.
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