Perchè la scelta di un Laboratorio di lettura riflessiva di testi dei Maestri del Lavoro sociale? Giovanni Devastato Negli ultimi tempi si stanno sempre più riscoprendo Autori e Maestri, che, attraversati dalla fiamma dell’azione guidata dal pensiero, nell’immediato periodo post-bellico posero le fondamenta di una rinnovata coscienza democratica fondata sull’impegno civico e sull’etica pubblica. Da questo fermento culturale e riflessivo nacque il moderno servizio sociale che ispirò in parte anche i Padri Costituenti nella redazione della nuova Carta fondativa della Repubblica italiana. Da qui la necessità di sottrarre questo giacimento di pensieri e valori dagli scaffali polverosi e nascosti degli Archivi per raccogliere e sistematizzare queste esperienze, rendendole fruibili a tutte le generazioni di assistenti sociali e non solo. Ciò è particolarmente cogente in questo periodo storico contrassegnato da una serie di processi in qualche modo analoghi alla fase della ricostruzione del Paese dopo le atrocità della guerra e la barbarie della dittatura fascista. Occorre, perciò, a nostro avviso, tornare al fervore contagioso e alla progettualità trascinante di quei tempi in quanto l’attuale situazione è molto simile a quella di allora: operatori e assistenti sociali si trovano di nuovo ad agire in un sistema di servizi sclerotizzato, burocratico e poco efficiente, privi di strumenti, di immaginazione, di un bagaglio operativo adeguato ai tempi e necessario a un agire “comunitario”. Il tratto che differenzia la fase critica che stiamo attraversando da quella che l’Italia sperimentò alla fine della guerra è che il fermento culturale e la tensione di allora sono per ora soffocati dallo smarrimento, dalla confusione e dal senso di impotenza. Ma inventarsi un nuovo modo di fare intervento e ricerca sociale è necessario oggi come allora, per ritrovare un’intelligenza che derivi dalla pratica, dalla conoscenza e aderenza alle questioni sociali, per immaginarsi nuove e più eque forme di economia, per riscoprire il senso di impegno militante che richiede il lavoro territoriale, il lavoro di comunità. Rimettere al centro quest’altra Italia, in cui la congiura dei buoni e la chiamata dei migliori ha impresso una svolta significativa alla tradizione assistenzialistica e paternalistica dei servizi sociali tradizionali, corrisponde alla narrazione di una biografia collettiva del lavoro sociale di comunità dentro un affresco corale, un’epica comunitaria, ricostruite attraverso le singole biografie di alcune figure del Novecento (Alinsky, Zucconi, Olivetti, Dolci, Jacobs, Buber, Zoebeli, Calogero, Capitini, ecc.) espressione di minoranze etiche e creative che hanno contrastato le distopie totalitarie del Novecento attraverso tante piccole utopie concrete fatte di pratiche comunitarie dal basso in modo da far incrociare le istanze di un tempo passato con le sfide del momento presente, sapendo che non si tratta di ripetere, ma di rifondare la prassi alla luce di quelle esperienze coniugando slancio utopico ed urgenza progettuale. Occorre proiettarsi verso nuovi spazi comunitari in cui è necessario salvaguardare la coesistenza dello spirito comunitario dentro gli attuali assetti societari come leva per l’innovazione sociale, investendo, in questi tempi di crisi e difficoltà, su un nuovo modello di “comunità possibile” al fine di promuovere un noi collettivo come spazio universale di umanità da cui nessuno dovrebbe essere escluso. Sono tante scintille viventi di utopia concreta che hanno scritto (e raccontato) una grande epopea del sociale, un’avvincente autobiografia della Nazione rispondendo, forse senza saperlo, all’appassionato appello millenario di Lao Tzu: Andate dalla Gente; Vivete fra di loro; Amateli; Imparate da loro; Partite dal punto in cui si trovano; Lavorate con loro; Costruite da quello che hanno. Ma dei migliori leader, Una volta terminato il compito, Completato il lavoro, Tutta la gente dirà: “Incredibile! Abbiamo fatto tutto da soli”.