A002408 FONDAZIONE INSIEME onlus

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da MENTE & CERVELLO del 15/5/2015, <<LE EMOZIONI DELLA
MUSICA>>, di Delphine Dellacherie e Severin Samson, autori (vedi
nota a fine pezzo).
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile
citato.
Le emozioni musicali resistono ai disturbi della memoria.
Ecco perché i ricercatori cercano di chiarirne i meccanismi per usarle nel trattamento di
patologie neurologiche e psichiatriche.
Secondo Platone, «il ritmo e l’armonia sono particolarmente
adatti a penetrare nell’anima e a toccarla con forza».
Sull’influenza della musica sui nostri stati d’animo si sono
interrogati i massimi pensatori.
L’emozione procurata dalla musica è certamente il principale
motivo che ci spinge ad ascoltarla.
E noi crediamo che sia anche una delle spiegazioni delle sue
virtù terapeutiche, che oggi sono di nuovo al centro
dell’attenzione grazie allo sviluppo delle neuroscienze.
Alcuni studi di neuropsicologia hanno mostrato che le
emozioni suscitate dalla musica possono essere preservate anche
quando il ricordo della stessa è compromesso da una patologia, in
particolare dalle malattie degenerative.
Questa scoperta ci aiuta a capire meglio il funzionamento
dell’animo umano ma, in una prospettiva clinica, suggerisce anche
che si potrebbero adattare le terapie proposte a chi presenta
disturbi della memoria tenendo conto delle loro attitudini
emotive.
Per farlo, è importante capire meglio come nascono le
emozioni musicali.
Dato che il ricordo della musica e le emozioni musicali non
evolvono allo stesso modo, i loro substrati neuronali sono
diversi.
Quali sono dunque le aree cerebrali delle emozioni musicali?
BRIVIDI E ALTRE EMOZIONI.
Per studiarle, le tecniche di neuroimaging sono preziose.
Il primo studio di visualizzazione cerebrale dedicato alle
emozioni musicali è stato realizzato nel 1999 dal team di Robert
Zatorre, della McGill University, in Canada.
Le risposte del cervello all’ascolto di melodie che variavano
gradualmente dalla consonanza alla dissonanza sono state esplorate
con la tomografia a emissione di positroni.
La musica consonante, giudicata più gradevole, evoca diverse
risposte cerebrali in aree determinate, in particolare nello
striato ventrale, che fa parte del circuito della ricompensa e di
cui è nota l’implicazione anche nelle dipendenze.
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Positivi e duraturi.
I benefici dell’ascolto della musica sulle persone colpite dalla malattia di Alzheimer, e anche
su chi le accudisce, sono notevoli. E le prime ricerche lasciano ipotizzare che gli effetti positivi siano
anche duraturi.
Poco tempo dopo, nel 2001, gli stessi ricercatori hanno
cercato le basi cerebrali del brivido musicale.
Queste brevi e intense esperienze di estremo piacere, che ci
capita di provare con alcuni passaggi musicali, sono accompagnate
da alterazioni corporee, come la pelle d’oca.
Ciò sarebbe dovuto alla liberazione di endorfine,
neurotrasmettitori alla base della sensazione di piacere.
Lo studio di visualizzazione cerebrale sul brivido è stato un
passo in avanti, mostrando che questa esperienza intensa è
associata ad alterazioni in particolari zone corticali,
soprattutto lo striato ventrale, e in altre zone del lobo
temporale interno e del lobo frontale.
Il lavoro ha confermato l’effetto della musica sul sistema
della ricompensa.
La musica dunque provoca piacere perché attiva il circuito
cerebrale della gratificazione.
Nel 2011 i ricercatori hanno mostrato che il brivido è dovuto
alla secrezione di dopamina nello striato.
Il sistema dopaminergico, situato nello striato e legato a
una rete cerebrale complessa di cui fanno parte strutture dei lobi
temporali e frontali, sarebbe alla base del piacere della bellezza
musicale, al tempo stesso sensibile e astratta.
Questa scoperta dà concretezza alla nozione di emozione
estetica, un piacere intenso e disinteressato accompagnato da
alterazioni fisiologiche.
Le numerose ricerche condotte su musica e cervello hanno
permesso di identificare una geografia sempre più precisa delle
aree cerebrali implicate nell’ascolto musicale, in particolare la
corteccia temporale superiore, specializzata nell’elaborazione
uditiva, e il lobo frontale inferiore, sottostante alla percezione
astratta della musica, come la nozione di tonalità.
Parallelamente, fra i correlati cerebrali delle emozioni vi
sono numerose strutture corticali e sottocorticali attive quando
si ascolta musica: l’amigdala, il lobo temporale antero-mediano,
l’insula, lo striato, il cingolo anteriore, la corteccia orbitofrontale, prefrontale e somato-sensoriale (si veda
l’illustrazione).
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Una complessa elaborazione.
Sono molte le aree cerebrali che partecipano all’elaborazione delle emozioni musicali. La
posizione delle principali fra queste aree è schematizzata nell’illustrazione qui sopra (le aree
circondate da linee tratteggiate sono situate in profondità).
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L’unicità della musica sarebbe nella capacità di attivare
simultaneamente tutte queste aree cerebrali.
Ma come è orchestrata l’attività di queste regioni?
Per studiare il modo in cui il cervello reagisce alle
emozioni musicali abbiamo registrato l’attività cerebrale di
persone che presentavano epilessia resistente ai farmaci e che
dovevano subire un intervento chirurgico per tentare di eliminare
le crisi.
In alcuni casi questo esame precede l’intervento chirurgico:
vengono impiantati elettrodi nel cervello del paziente per
individuare la localizzazione cerebrale del focolaio epilettico
quando gli altri esami non sono riusciti a farlo.
A questo proposito dobbiamo precisare che queste ricerche non
modificano in nessun modo il trattamento clinico di questi
pazienti.
Vengono così registrate, con l’ausilio degli elettrodi, le
risposte di diverse popolazioni di neuroni.
Il metodo ha un’eccellente risoluzione sia spaziale che
temporale, anche nelle regioni profonde del cervello, il che
rappresenta un vantaggio essenziale nel campo che stiamo
esaminando.
Queste registrazioni ci hanno consentito di valutare la
sequenza di attivazione di diverse regioni cerebrali, fra cui la
corteccia uditiva, l’amigdala e la corteccia orbito-frontale,
quando si fanno ascoltare ai pazienti gruppi di accordi musicali
consonanti o dissonanti.
Abbiamo anche mostrato che in un’esperienza soggettiva di
piacere musicale quella che si attiva maggiormente è soprattutto
la corteccia orbito-frontale.
Inoltre l’amigdala, situata in profondità sulla faccia
interna del lobo temporale, si è rivelata essenziale nella rete
dedicata alle emozioni musicali.
Grazie a tecniche innovative che consentono di identificare
la direzione delle connessioni tra le regioni cerebrali, abbiamo
mostrato che se si fanno ascoltare a un gruppo di individui
accordi consonanti o dissonanti, si rafforza la collettività
dell’amigdala con la corteccia orbito-frontale e la corteccia
uditiva.
L’amigdala, che reagisce rapidamente a questo stimolo
emotivo, influenzerebbe alcune regioni cerebrali responsabili
dell’analisi delle proprietà acustiche, nella corteccia uditiva,
ma anche le aree implicate nella valutazione dei significati
emotivi soggettivi attraverso l’attivazione della corteccia
orbito-frontale.
DALLE EMOZIONI ALLE TERAPIE.
I ricercatori che lavorano nel campo delle emozioni musicali
producono nuovi risultati con regolarità.
Ma davanti a loro si apre un’altra strada altrettanto
promettente: lo studio delle pratiche musicali a vocazione
terapeutica.
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L’obiettivo di queste pratiche è usare la musica per aiutare
i pazienti colpiti da malattie neurologiche e psichiatriche.
Mentre ci sono diversi lavori che suggeriscono come questo
tipo di intervento possa avere un impatto positivo sul
comportamento, l’umore o le funzioni cognitive dei pazienti, gli
studi metodologicamente rigorosi sono rari, e spesso mettono in
dubbio le conclusioni fornite da altri lavori.
Un importante campo di applicazione di questi metodi riguarda
il trattamento delle patologie degenerative e in particolare delle
demenze.
I disturbi cognitivi (di memoria e linguaggio, per esempio) e
comportamentali (agitazione, aggressività) sono frequenti, e
rappresentano la causa principale del ricovero in istituto di
questo tipo di pazienti; inoltre, sono all’origine delle maggiori
sofferenze di chi li assiste.
Data l’efficacia limitata dell’approccio farmacologico per
superare questi disturbi, lo sviluppo di terapie non
farmacologiche è particolarmente allettante.
In questo contesto la musica si impone come un supporto
privilegiato.
Al di là delle sue numerose caratteristiche positive, sembra
che le persone colpite da malattia di Alzheimer o da disturbi
simili conservino, anche a stadi avanzati, una sensibilità alla
musica per molti aspetti affascinante, e che ne giustifica l’uso a
fini terapeutici.
Per dimostrare i benefici terapeutici della musica in questi
pazienti, il nostro gruppo a Lille, in collaborazione con il
Centro ospedaliero e universitario regionale di Reims, realizza
saggi clinici in cui si confronta l’effetto dell’intervento
musicale con quello di altre due attività gradevoli e altrettanto
attraenti, come la pittura e la cucina, sui pazienti ricoverati in
istituto.
UN IMPATTO POSITIVO.
Negli studi che abbiamo pubblicato nel 2012 e nel 2014
abbiamo scelto la cucina che, come la musica, dà piacere pur
stimolando sistemi sensoriali diversi.
Questi interventi, realizzati in gruppo, permettono di
alternare fasi di ascolto e fasi di pratica musicale; mettiamo
così alla prova i rapporti tra percezione e azione.
Entrambe le attività risvegliano vecchi ricordi senza bisogno
di comunicazione verbale.
In questi studi sono state controllate numerose altre
variabili per assicurare che durata e contesto degli stimoli
forniti attraverso la musica e la cucina fossero equivalenti.
Inoltre sono state prese precauzioni per evitare distorsioni
metodologiche.
Nel nostro ultimo studio, i dati raccolti presso i pazienti
che hanno beneficiato di questi interventi vengono confrontati con
quelli di un gruppo di controllo che riceve le cure abituali senza
interventi né musicali né culinari.
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Il tentativo è di precisare le conseguenze a breve e a lungo
termine di queste attività sullo stato emotivo delle persone
colpite dalla malattia di Alzheimer a partire dalle loro
espressioni facciali, dal loro umore e da ciò che dicono, usando i
metodi sviluppati in psicologia sociale.
Valutiamo inoltre gli effetti sul loro stato cognitivo e
funzionale, e sul comportamento dei pazienti usando test
neuropsicologici.
Infine, studiamo le ricadute indirette di questi trattamenti
sul dolore degli addetti all’assistenza.
Secondo i nostri risultati preliminari, non c’è dubbio che la
partecipazione a un’attività che dà piacere migliora lo stato
emotivo dei pazienti.
Osserviamo benefici già dopo quattro settimane, ossia dopo 16
ore di attività, che persistono talvolta anche per diverse
settimane dopo la fine delle sedute: gli effetti compaiono
rapidamente e sembrano duraturi.
La pratica della musica, come quella della cucina, sarebbe
dunque benefica, confermando l’impatto positivo delle attività
piacevoli sul benessere dei pazienti e di chi li assiste.
EFFICACI E A BASSO COSTO.
Queste ricerche sulle emozioni musicali e sui benefici
terapeutici della musica aprono la strada ad approcci sul campo
concreti, gradevoli per tutti gli attori, facili da applicare e
poco costosi, che migliorano lo stato emotivo dei pazienti.
In effetti la musica, per via delle emozioni che suscita,
modula i nostri stati emotivi e cognitivi, e rappresenta una
notevole forza di coesione sociale.
I benefici terapeutici della musica hanno certamente a che
fare con la sua componente edonica ed emotiva, unita al suo ruolo
nella comunicazione e nei legami sociali, di cui spesso i pazienti
sentono la mancanza.
Si può per questo ritenere che le emozioni musicali abbiano
una specificità che le rende uniche?
Anche se i nostri primi lavori non mostrano differenze tra
gli interventi musicali e non musicali, stiamo studiando la
specificità delle attività musicali sulle interazioni sociali.
Gli scambi, la pratica del canto corale, la sincronizzazione
dei movimenti, l’induzione emotiva attraverso l’ascolto di musica
allegra o triste sono tutti comportamenti che probabilmente
regalano alla musica il suo carattere originale.
Infine, alcuni risultati fanno pensare che l’effetto della
musica sia più duraturo di quello di altre attività piacevoli.
È dunque possibile che la musica sia in grado di produrre
benefici specifici.
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GLI AUTORI.
DELPHINE DELLACHERIE, maitre de conférences in psicologia presso l’Università Lille 3 e
neuropsicologa al CHRU di Lille, fa parte del Gruppo neuropsicologia e cognizione auditiva, Laboratorio di
neuroscienze funzionali e patologia, LNFP di Lille.
SEVERINE SAMSON, docente di psicologia all’Università Lilla 3, neuropsicologa all’ospedale de la
Pitié-Salpétrière di Parigi e membro onorario dell’istituto Universitario di Francia, dirige il Gruppo
neuropsicologia e cognizione auditiva, LNFP, a Lille.
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