A003177, 1 A003177 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da MENTE & CERVELLO del 15/5/2015, <<LE EMOZIONI DELLA MUSICA>>, di Delphine Dellacherie e Severin Samson, autori (vedi nota a fine pezzo). Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato. Le emozioni musicali resistono ai disturbi della memoria. Ecco perché i ricercatori cercano di chiarirne i meccanismi per usarle nel trattamento di patologie neurologiche e psichiatriche. Secondo Platone, «il ritmo e l’armonia sono particolarmente adatti a penetrare nell’anima e a toccarla con forza». Sull’influenza della musica sui nostri stati d’animo si sono interrogati i massimi pensatori. L’emozione procurata dalla musica è certamente il principale motivo che ci spinge ad ascoltarla. E noi crediamo che sia anche una delle spiegazioni delle sue virtù terapeutiche, che oggi sono di nuovo al centro dell’attenzione grazie allo sviluppo delle neuroscienze. Alcuni studi di neuropsicologia hanno mostrato che le emozioni suscitate dalla musica possono essere preservate anche quando il ricordo della stessa è compromesso da una patologia, in particolare dalle malattie degenerative. Questa scoperta ci aiuta a capire meglio il funzionamento dell’animo umano ma, in una prospettiva clinica, suggerisce anche che si potrebbero adattare le terapie proposte a chi presenta disturbi della memoria tenendo conto delle loro attitudini emotive. Per farlo, è importante capire meglio come nascono le emozioni musicali. Dato che il ricordo della musica e le emozioni musicali non evolvono allo stesso modo, i loro substrati neuronali sono diversi. Quali sono dunque le aree cerebrali delle emozioni musicali? BRIVIDI E ALTRE EMOZIONI. Per studiarle, le tecniche di neuroimaging sono preziose. Il primo studio di visualizzazione cerebrale dedicato alle emozioni musicali è stato realizzato nel 1999 dal team di Robert Zatorre, della McGill University, in Canada. Le risposte del cervello all’ascolto di melodie che variavano gradualmente dalla consonanza alla dissonanza sono state esplorate con la tomografia a emissione di positroni. La musica consonante, giudicata più gradevole, evoca diverse risposte cerebrali in aree determinate, in particolare nello striato ventrale, che fa parte del circuito della ricompensa e di cui è nota l’implicazione anche nelle dipendenze. A003177, 2 Positivi e duraturi. I benefici dell’ascolto della musica sulle persone colpite dalla malattia di Alzheimer, e anche su chi le accudisce, sono notevoli. E le prime ricerche lasciano ipotizzare che gli effetti positivi siano anche duraturi. Poco tempo dopo, nel 2001, gli stessi ricercatori hanno cercato le basi cerebrali del brivido musicale. Queste brevi e intense esperienze di estremo piacere, che ci capita di provare con alcuni passaggi musicali, sono accompagnate da alterazioni corporee, come la pelle d’oca. Ciò sarebbe dovuto alla liberazione di endorfine, neurotrasmettitori alla base della sensazione di piacere. Lo studio di visualizzazione cerebrale sul brivido è stato un passo in avanti, mostrando che questa esperienza intensa è associata ad alterazioni in particolari zone corticali, soprattutto lo striato ventrale, e in altre zone del lobo temporale interno e del lobo frontale. Il lavoro ha confermato l’effetto della musica sul sistema della ricompensa. La musica dunque provoca piacere perché attiva il circuito cerebrale della gratificazione. Nel 2011 i ricercatori hanno mostrato che il brivido è dovuto alla secrezione di dopamina nello striato. Il sistema dopaminergico, situato nello striato e legato a una rete cerebrale complessa di cui fanno parte strutture dei lobi temporali e frontali, sarebbe alla base del piacere della bellezza musicale, al tempo stesso sensibile e astratta. Questa scoperta dà concretezza alla nozione di emozione estetica, un piacere intenso e disinteressato accompagnato da alterazioni fisiologiche. Le numerose ricerche condotte su musica e cervello hanno permesso di identificare una geografia sempre più precisa delle aree cerebrali implicate nell’ascolto musicale, in particolare la corteccia temporale superiore, specializzata nell’elaborazione uditiva, e il lobo frontale inferiore, sottostante alla percezione astratta della musica, come la nozione di tonalità. Parallelamente, fra i correlati cerebrali delle emozioni vi sono numerose strutture corticali e sottocorticali attive quando si ascolta musica: l’amigdala, il lobo temporale antero-mediano, l’insula, lo striato, il cingolo anteriore, la corteccia orbitofrontale, prefrontale e somato-sensoriale (si veda l’illustrazione). A003177, 3 Fig 1 Una complessa elaborazione. Sono molte le aree cerebrali che partecipano all’elaborazione delle emozioni musicali. La posizione delle principali fra queste aree è schematizzata nell’illustrazione qui sopra (le aree circondate da linee tratteggiate sono situate in profondità). A003177, 4 L’unicità della musica sarebbe nella capacità di attivare simultaneamente tutte queste aree cerebrali. Ma come è orchestrata l’attività di queste regioni? Per studiare il modo in cui il cervello reagisce alle emozioni musicali abbiamo registrato l’attività cerebrale di persone che presentavano epilessia resistente ai farmaci e che dovevano subire un intervento chirurgico per tentare di eliminare le crisi. In alcuni casi questo esame precede l’intervento chirurgico: vengono impiantati elettrodi nel cervello del paziente per individuare la localizzazione cerebrale del focolaio epilettico quando gli altri esami non sono riusciti a farlo. A questo proposito dobbiamo precisare che queste ricerche non modificano in nessun modo il trattamento clinico di questi pazienti. Vengono così registrate, con l’ausilio degli elettrodi, le risposte di diverse popolazioni di neuroni. Il metodo ha un’eccellente risoluzione sia spaziale che temporale, anche nelle regioni profonde del cervello, il che rappresenta un vantaggio essenziale nel campo che stiamo esaminando. Queste registrazioni ci hanno consentito di valutare la sequenza di attivazione di diverse regioni cerebrali, fra cui la corteccia uditiva, l’amigdala e la corteccia orbito-frontale, quando si fanno ascoltare ai pazienti gruppi di accordi musicali consonanti o dissonanti. Abbiamo anche mostrato che in un’esperienza soggettiva di piacere musicale quella che si attiva maggiormente è soprattutto la corteccia orbito-frontale. Inoltre l’amigdala, situata in profondità sulla faccia interna del lobo temporale, si è rivelata essenziale nella rete dedicata alle emozioni musicali. Grazie a tecniche innovative che consentono di identificare la direzione delle connessioni tra le regioni cerebrali, abbiamo mostrato che se si fanno ascoltare a un gruppo di individui accordi consonanti o dissonanti, si rafforza la collettività dell’amigdala con la corteccia orbito-frontale e la corteccia uditiva. L’amigdala, che reagisce rapidamente a questo stimolo emotivo, influenzerebbe alcune regioni cerebrali responsabili dell’analisi delle proprietà acustiche, nella corteccia uditiva, ma anche le aree implicate nella valutazione dei significati emotivi soggettivi attraverso l’attivazione della corteccia orbito-frontale. DALLE EMOZIONI ALLE TERAPIE. I ricercatori che lavorano nel campo delle emozioni musicali producono nuovi risultati con regolarità. Ma davanti a loro si apre un’altra strada altrettanto promettente: lo studio delle pratiche musicali a vocazione terapeutica. A003177, 5 L’obiettivo di queste pratiche è usare la musica per aiutare i pazienti colpiti da malattie neurologiche e psichiatriche. Mentre ci sono diversi lavori che suggeriscono come questo tipo di intervento possa avere un impatto positivo sul comportamento, l’umore o le funzioni cognitive dei pazienti, gli studi metodologicamente rigorosi sono rari, e spesso mettono in dubbio le conclusioni fornite da altri lavori. Un importante campo di applicazione di questi metodi riguarda il trattamento delle patologie degenerative e in particolare delle demenze. I disturbi cognitivi (di memoria e linguaggio, per esempio) e comportamentali (agitazione, aggressività) sono frequenti, e rappresentano la causa principale del ricovero in istituto di questo tipo di pazienti; inoltre, sono all’origine delle maggiori sofferenze di chi li assiste. Data l’efficacia limitata dell’approccio farmacologico per superare questi disturbi, lo sviluppo di terapie non farmacologiche è particolarmente allettante. In questo contesto la musica si impone come un supporto privilegiato. Al di là delle sue numerose caratteristiche positive, sembra che le persone colpite da malattia di Alzheimer o da disturbi simili conservino, anche a stadi avanzati, una sensibilità alla musica per molti aspetti affascinante, e che ne giustifica l’uso a fini terapeutici. Per dimostrare i benefici terapeutici della musica in questi pazienti, il nostro gruppo a Lille, in collaborazione con il Centro ospedaliero e universitario regionale di Reims, realizza saggi clinici in cui si confronta l’effetto dell’intervento musicale con quello di altre due attività gradevoli e altrettanto attraenti, come la pittura e la cucina, sui pazienti ricoverati in istituto. UN IMPATTO POSITIVO. Negli studi che abbiamo pubblicato nel 2012 e nel 2014 abbiamo scelto la cucina che, come la musica, dà piacere pur stimolando sistemi sensoriali diversi. Questi interventi, realizzati in gruppo, permettono di alternare fasi di ascolto e fasi di pratica musicale; mettiamo così alla prova i rapporti tra percezione e azione. Entrambe le attività risvegliano vecchi ricordi senza bisogno di comunicazione verbale. In questi studi sono state controllate numerose altre variabili per assicurare che durata e contesto degli stimoli forniti attraverso la musica e la cucina fossero equivalenti. Inoltre sono state prese precauzioni per evitare distorsioni metodologiche. Nel nostro ultimo studio, i dati raccolti presso i pazienti che hanno beneficiato di questi interventi vengono confrontati con quelli di un gruppo di controllo che riceve le cure abituali senza interventi né musicali né culinari. A003177, 6 Il tentativo è di precisare le conseguenze a breve e a lungo termine di queste attività sullo stato emotivo delle persone colpite dalla malattia di Alzheimer a partire dalle loro espressioni facciali, dal loro umore e da ciò che dicono, usando i metodi sviluppati in psicologia sociale. Valutiamo inoltre gli effetti sul loro stato cognitivo e funzionale, e sul comportamento dei pazienti usando test neuropsicologici. Infine, studiamo le ricadute indirette di questi trattamenti sul dolore degli addetti all’assistenza. Secondo i nostri risultati preliminari, non c’è dubbio che la partecipazione a un’attività che dà piacere migliora lo stato emotivo dei pazienti. Osserviamo benefici già dopo quattro settimane, ossia dopo 16 ore di attività, che persistono talvolta anche per diverse settimane dopo la fine delle sedute: gli effetti compaiono rapidamente e sembrano duraturi. La pratica della musica, come quella della cucina, sarebbe dunque benefica, confermando l’impatto positivo delle attività piacevoli sul benessere dei pazienti e di chi li assiste. EFFICACI E A BASSO COSTO. Queste ricerche sulle emozioni musicali e sui benefici terapeutici della musica aprono la strada ad approcci sul campo concreti, gradevoli per tutti gli attori, facili da applicare e poco costosi, che migliorano lo stato emotivo dei pazienti. In effetti la musica, per via delle emozioni che suscita, modula i nostri stati emotivi e cognitivi, e rappresenta una notevole forza di coesione sociale. I benefici terapeutici della musica hanno certamente a che fare con la sua componente edonica ed emotiva, unita al suo ruolo nella comunicazione e nei legami sociali, di cui spesso i pazienti sentono la mancanza. Si può per questo ritenere che le emozioni musicali abbiano una specificità che le rende uniche? Anche se i nostri primi lavori non mostrano differenze tra gli interventi musicali e non musicali, stiamo studiando la specificità delle attività musicali sulle interazioni sociali. Gli scambi, la pratica del canto corale, la sincronizzazione dei movimenti, l’induzione emotiva attraverso l’ascolto di musica allegra o triste sono tutti comportamenti che probabilmente regalano alla musica il suo carattere originale. Infine, alcuni risultati fanno pensare che l’effetto della musica sia più duraturo di quello di altre attività piacevoli. È dunque possibile che la musica sia in grado di produrre benefici specifici. A003177, 7 GLI AUTORI. DELPHINE DELLACHERIE, maitre de conférences in psicologia presso l’Università Lille 3 e neuropsicologa al CHRU di Lille, fa parte del Gruppo neuropsicologia e cognizione auditiva, Laboratorio di neuroscienze funzionali e patologia, LNFP di Lille. SEVERINE SAMSON, docente di psicologia all’Università Lilla 3, neuropsicologa all’ospedale de la Pitié-Salpétrière di Parigi e membro onorario dell’istituto Universitario di Francia, dirige il Gruppo neuropsicologia e cognizione auditiva, LNFP, a Lille.