26/01/2002 - 3° - trascrizione - Opera Omnia di Giacomo B. Contri

«COMMEDIE» DEL PENSIERO
26 GENNAIO 2002
3° LEZIONE
IO CHE INIZIA E GIUDICA
DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE
NON CHI DICE "SIGNORE, SIGNORE"
IL BACIO
GIACOMO B. CONTRI
Il bacio. Questo è il tema.
Possiamo applicarlo subito: la ripetizione del bacio. A mio avviso è sufficiente pensare alla
ripetizione del bacio perché risulti evidente che non si tratti di compulsione.
Mentre ascoltavo mi tornavano alla mente due celebri raffigurazioni del bacio della storia dell’arte:
uno è quello di Canova, quella scultura di Canova che molti conosceranno, questo adorabile bacio di Eros a
Psiche. Se lo conoscete andate a rivederlo, se non lo conoscete andate a vederlo e capirete la differenza, dico
io, fra un atto erotico e la pornografia. A mio parere nel bacio di Canova è totalmente assente la pornografia.
Pur essendo vero che nulla è lasciato all’immaginazione. Ad ogni modo, la verifica sperimentale la potete
fare andando a procurarvi una riproduzione del bacio di Canova. Riproduzione, essendo una scultura che è
data a 360° secondo latitudine e secondo longitudine; è quello che chiamavo “nulla è lasciato alla fantasia”.
E nulla in esso potrebbe fare pensare alla compulsione.
Un secondo celebre bacio è quello di Hayez, che già, a mio avviso è meno… Ma diciamo che è un
celebre quadro intitolato Il bacio. Preferisco Canova.
Su Kierkegaard vi riferisco un’osservazione di un momento fa di Pietro R. Cavalleri che condivido
in pieno: lui diceva «Più leggo o ascolto, sento parlare come ora benissimo da Sandro Alemani di
Kierkegaard e più trovo che abbiamo a che fare con un ossessivo», con l’aggiunta di Pietro R. Cavalleri,
altrettanto condivisa da me: «La perversione in Kierkegaard è la via che è data alla nevrosi, è al via di
soluzione», in questo caso di non soluzione che è data alla nevrosi. Condivido in pieno e ritengo che la
medesima osservazione di Pietro R. Cavalleri sia estendibile… — ma del resto è stato lui l’anno scorso a
parlarci dell’angoscia in Kierkegaard e quella di Kierkegaard è un ovvio angosciato, è compulsivo in
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Testo rivisto dall’Autore
CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 2001-2002
UNA IDEA SEMPLICE. LA PIETRA SCARTATA. IL PENSIERO
Kierkegaard il non baciare Regina. Non compulsivo sarebbe se Regina baciasse; è compulsiva l’inibizione a
baciare Regina Olsen — di cui Kierkegaard strabocca di parte in parte salvo mentire sull’angoscia facendo il
primo uomo della storia che ha veramente parlato dell’angoscia, che ha veramente parlato mendacemente
dell’angoscia.
Diversamente da tanti compromessi, mi viene sul filo delle parole in cui noi spesso parliamo
mendacemente della verità: è molto più onesto.
Ma nel parlare del bacio io faccio una distinzione. Il bacio di cui ho appena parlato — Canova,
Hayez — che è il bacio che è soddisfacente allorché non gli vengono imposti limiti; ma qualsivoglia bacio si
pensi, sarà sempre e solo il secondo bacio. Io parlo ora del primo bacio. C’è una relazione stretta fra il lavoro
psicoanalitico di cui c’è stato un momento ieri sera e il Corso, e la psicopatologia. Direi così: che il lavoro
psicoanalitico, che non è solo quello del seminario del Il Lavoro Psicoanalitico, ma è soprattutto quello fra
poltrona e divano, è paragonabile a un polmone, è il polmone che sta fra il sangue arterioso spinto in avanti
dal cuore, il sangue arterioso dell’Enciclopedia o del Corso o della lingua parlata e il sangue venoso della
psicopatologia, della conoscenza della psicopatologia. Ieri sera il tema era quello della distinzione fra udire e
vedere, auditus e visus, e abbiamo esplorato insieme il rapporto udire e parlare, o parlare e udire. Fra bocca e
orecchi là dove gli alcuni decimetri di distanza che intercorrono fra l’orecchio dell’uno e le labbra dell’altro
sono solo lì a rappresentare che questo rapporto che è il primo dei rapporti non è immediato, ma è mediato: è
il primo bacio. È il primo bacio senza il quale non vi saranno i secondi baci.
Come giustamente dicono le prostitute, tutto ma non baciare. C’è una logica e stringente, anzi. Il
primo bacio è il primo rapporto e non c’è neppure il contatto. Salvo chiamare contatto le onde sonore che
vanno avanti e indietro.
Il primo bacio è un altro modo per dare il nome alla pietra scartata: che il primo rapporto è il bacio
dell’orecchio con la bocca; è il bacio dell’udire, è il bacio dell’intendere. Intendere come udire e intendere
come intendimento, intelletto.
Io ieri sera proponevo che con la medesima costruzione di una celebre frase di Tommaso d’Aquino,
fides per auditum, che la fede si fa via timpano — auditus non è una metafora: vuol dire via udito, orecchio
esterno, orecchio medio, orecchio interno — allo stesso modo amor per auditum. È quello che chiamo — e
lo è — il primo bacio.
La cosa è bene risaputa in tanti casi di isteria, allorché l’orecchio si fa non intendente, si fa anacusico, come
si dice: non sente.
Mi è venuta l’idea poco fa: le commedie di cui ci occupiamo quest’anno, ma in fondo sempre, sono
le commedie dei sordi. Le commedie dei sordi in cui è omesso il primo rapporto. Il primo rapporto è senza
contatto, è mediato. Immediato. Il bacio, il primo bacio non è abbraccio. Se c’è primo bacio potrà seguire
l’abbraccio, ma il primum nell’esperienza, ivi compreso il solito mamma-bambino, il primum del rapporto
non è l’abbraccio. Non è il contatto. Ma è il primo bacio: è il rapporto fra l’udito e le labbra.
Io faccio un’ipotesi, oggi, a riguardo della nostra invenzione della psicopatologia precoce: ipotesi.
Potrebbe anche venire falsificata. In ogni caso si cerchino, si apportino documenti, descrizioni.
Il bambino percepisce il primo bacio — ma già qui si ricascherebbe nell’equivoco, riprenderebbe a
essere analogo all’idea che l’amore della mamma è l’abbraccio, perché non parlo del percepire il primo bacio
su di sé, foss’anche quello che ho descritto e definito come primo bacio, quello a distanza tra udito e labbra
— il bambino percepisce il primo bacio fra gli adulti o la sua assenza. Il primo oggetto della percezione del
bambino è il rapporto. E posso dire che il rapporto è oggetto di percezione perché ho parlato di orecchio
fisico e di labbra fisiche e di suoni e di intendere o non intendere da parte dei due partner di questo rapporto.
Ho detto ipotesi. Ho sufficiente modestia per non proporlo come una dottrina che possa ritenersi
sufficientemente consolidata. Ma quando raccolgo — ormai le numerose testimonianze di ricordo — di
fastidio al ricordo del bacio, del secondo bacio fra i genitori, come ricordo di altri tempi, il fastidio non ha
come fonte quel bacio che ho chiamato “il secondo bacio fra i genitori”. Ciò che resta rimosso è la
percezione della mancanza del primo rapporto, del primo bacio fra i genitori. Che non ha alcun bisogno di
essere proiettato lontano, indietro nel tempo, perché il primo rapporto che è quello delle labbra con l’udito è
di ogni tempo.
Mi sentirei persino di dire che l’allucinazione uditiva allucina il non esistito bacio nell’esperienza,
allucina il non rapporto.
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Penso che sia un salto quello che ora farò. Diciamo che dovrebbe esserci di mezzo un pezzo
discorsivo. Non mi faccio scrupoli a questo riguardo.
Nella lista dei secondi baci, a questo punto potrebbe essere messo come primo della serie, il bacio
fisico delle labbra all’orecchio, ancora prima che alla bocca. Non so se qualcuno ci ha mai pensato o ne ha
una qualche esperienza. C’è solo un caso in cui l’orecchio farà bene a sottrarsi alla legge del primo bacio. Ma
è un sottrarsi pieno di intendere. Era bravissimo Lacan quando diceva che l’imperativo, già chiamato Superio, l’imperativo osceno e feroce — così qualificava correttamente Lacan il cosiddetto Super-io, e ben detto
Super-io; il maledetto Super-io, ma bene detto sul piano della definizione per il fatto di essere stato chiamato
così. È bene, è corretto che sia stato chiamato così — ma dice che l’imperativo del Super-io non è un
imperativo privativo, «non godere», ma è l’imperativo del godimento: «Godi!». uno dei grandi colpi di genio
di Lacan. E a esso, dice Lacan, chi sappia davvero ascoltare, l’imperativo «Godi!», risponderà
semplicemente «Odo». In francese è più completa l’omofonia, perché godi è jouis, odo è j’ouis. Ogni lingua
ha le sue possibilità.
Quella versione del paradiso, come in Kierkegaard c’è una versione della nevrosi, una versione
perversa dell’angoscia, così noi non abbiamo fatto altro che prendercela con una versione perversa del
paradiso, potremmo dire — altro gioco di parole di cui mi servo — un paradiso in cui la escatologia —
questa grande parola che ogni tanto aleggia da qualche parte — altro non è che scatologia, che non vuol dire
le scatole, ma vuol dire la merda in greco. Il paradiso del puro comando, del puro «Godi!». che sia nella
contemplazione comandata, che sia nella marcia forzata. Ed è notevole: è un paradiso di sordi. Nessuno parla
e nessuno ode. È escluso il primo bacio. Ed è una cosa abbastanza curiosa — io sono un logico nel senso del
principio di non contraddizione usato su larghi spazi, senza fare il professionista del sillogismo, come tanti
secoli fa alcuni hanno fatto — perché?
Perché io che sono contrario alle teologie naturali, perché la cosa va presa tutta da un’altra parte e non
intendo perdere tempo su questo argomento e farvelo perdere, però in ogni caso, se proprio dovessimo
concedere che esiste un’idea corretta di Dio, accettabile come corretta da chiunque, senza star lì a
dimostrarne l’esistenza — una volta dicevo: se io fossi Dio e voi vi mettete a dimostrare la mia esistenza io
me la prendo: cosa fate? Mi allucinate? Dimostrare la mia esistenza di Dio vuole dire allucinarmi in via
argomentativa. Non voglio allucinazioni sul mio conto. Ci penso io con la mia brava esistenza a fare presente
qualche cosa! — dicevo che se c’è un’idea accettabile di Dio, senza fare tante storie sulle dimostrazioni, è
che Dio è qualcuno che ode, non fosse che le preghiere. Ha l’udito in rapporto a delle labbra. Lasciamo stare
le vecchie distinzioni sulla preghiera mentale e poi non me ne importa assolutamente niente: non faccio mica
il mistico. Ma per definizione se c’è un significato potabile della parola Dio, ancora in questi giorni con la
preghiera per la pace etc., ma sorvoliamo anche su quello, è che è uno che sa usare le orecchie, che ode. È
abbastanza curioso che poi salti fuori un paradiso in cui sono tutti sordi a partire da lui, in cui non c’è primo
rapporto, quello che ho chiamato primo bacio.
In questo senso, sono molto d’accordo con Glauco Genga quando dice: no mendicanti, domandanti.
E quante ormai abbiamo detto — vedi ancora la nostra formula — che il primo atto, l’inizio, è una domanda,
che è già un lavoro, è un atto. Non fosse che quello di preparare casa mia e di compiere l’atto verbale, poi
uditivo, di invitare qualcuno a casa mia. Ma certo che è una domanda: voi potreste non venirci. Più domanda
di questa…! Anche lì, con tutte le storie che sono state fatte su Cristo, quando dice a quel paio di primi
chiamati «Venite a casa mia»: è lui che domanda. Domanda a un paio di andare a casa sua: potrebbero non
andare.
Per finire, perché poi il mio vuole solo essere un tentativo di sviluppo del tema, il bacio, ma e lo dico
subito con una aggiunta a proposito delle commedie dei sordi. Ricordo una simpatica battuta di Lacan su un
certo analista che aveva teorizzato che nell’analisi funziona il terzo orecchio. E Lacan dice: «Ma che terzo
orecchio e terzo orecchio! Come se non ne bastassero due per essere sordi!». È la stessa storia — uso la
trivialità della parola «manfrina» — perché in questo caso è corretta, non per dire una trivialità. È la stessa
manfrina della marcia in più o del sesto senso, come se non bastassero cinque per essere autistici, inibiti,
paralitici, non vederci, non sentire, etc. Sulla marcia in più è già stato detto quanto basta.
Giustamente si tratta del lavoro. Il primo lavoro, dicevamo, è una domanda. Oppure, ma già Maria
Delia Contri ci si è fermata, io stesso ci avevo scritto su, non è che i gigli del campo non lavorano: è che non
fanno il lavoro del sudore della fronte. Ne fanno un altro. Fanno il lavoro del ricco. Vorrei persino
aggiungere, di quella singolare specie di ricco che non ha bisogno di avere degli schiavi, cioè che non è nato
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ad Atene, che non ha elaborato tutta una filosofia avente come fine celato il mantenimento della schiavitù,
del rapporto servo-padrone.
Ora, dato che più volte si è qui osservato — io mantengo questo nocciolo ideologico dell’analisi
marxiana del capitalismo — che è l’analisi di un rapporto di lavoro. Anche il rapporto labbra-udito è un
rapporto di lavoro. Nella sordità sintomatica è rifiutato il lavoro dell’intendere. Ovviamente, senza sudore
della fronte. Il lavoro del ricco. Il ricco è quello che non spreme sudore dalla fronte per compiere un lavoro
che avrà dei frutti o dei prodotti.
Il capitalismo, come è analizzato da Marx, è un rapporto di lavoro. C’è un primo lavoro, quello del
capitalista, imprenditore o iniziatore, e poi di altri. Certo, già Marx, e io nel mio piccolo con lui, non era
molto d’accordo che fosse il migliore dei rapporti di lavoro. Ma almeno, ha tutto il merito del non cedere sul
fatto, sul fine di una produzione, per di più con valorizzazione, che deriva da un rapporto di lavoro. E che se
c’è rapporto è di lavoro.
È detto un po’ alla svelta, non ho saputo dire bene tutto, ma è per arrivare a proporre una definizione
come questa: che anche il capitalismo è una delle commedie dell’amore o del rapporto. Tengo, anche a
vostro beneficio, a questa aggiunta, momentanea conclusione, perché nulla è più resistente nel nostro
intendere, che diventa mal-intendere, misintendere, che la ripartizione dei rapporti in due classi: quelli che
finiscono per avere o che hanno già fin dal primo momento un carattere pubblico, donde l’economia politica,
e poi i rapporti cosiddetti del bacio: faccende private. Si tratta di un’unica classe di esempi di rapporti. Nel
bene o nel male non sono due classi di esempi di rapporti. Per questo fra il bacio da cui sono partito e il
rapporto cui sono arrivato vi è certamente conflitto, ma non eterologia, non appartenenza a due ambiti di
leggi differenti, per esempio differenziate come private e pubbliche.
Meglio non aggiungere altro. Ma devo dire che questa idea del primo bacio mi pare qualcosa.
© Studium Cartello – 2007
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