Elementi di meccanica dei fluidi

POLITECNICO DI MILANO - DIPARTIMENTO DI SCIENZE E TECNOLOGIE AEROSPAZIALI
IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2013
Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
Capitolo 3
Elementi di meccanica dei fluidi
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3.1
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
3.1 Introduzione
In molti impianti il collegamento fra i vari componenti è costituito da una tubazione in
grado di contenere un fluido. Lo scopo del fluido può essere quello del trasporto di una
qualsiasi delle grandezze di stato che lo caratterizzano; la finalità dell’impianto può quindi
essere quella del trasporto di una massa (collegata quindi alla densità) come ad esempio
nell’impianto combustibile o nell’impianto di ventilazione, del trasporto di una forza
(collegata quindi alla pressione) come ad esempio nell’impianto oleodinamico, del trasporto
di calore (collegato quindi alla temperatura) come ad esempio nell’impianto di
condizionamento.
Le leggi che reggono il funzionamento dell’impianto sono le stesse indipendentemente
dalle sue finalità; potranno al massimo assumere maggiore o minore importanza, e quindi
essere in pratica trascurabili, alcuni termini. Verranno in seguito richiamate le principali
caratteristiche fisiche e le leggi fondamentali per il calcolo del flusso interno utili per il
progetto e la verifica degli impianti a fluido con particolare riferimento a fluidi allo stato
liquido.
3.2 Caratteristiche principali dei fluidi
I fluidi in genere sono caratterizzati da un certo numero di proprietà fisiche di cui qui si
elencano le più rilevanti, con particolare riguardo per i liquidi, indicando le unità di misura
utilizzate secondo il sistema metrico internazionale ed nella pratica.
3.2.1 Densità
La densità (o massa volumica) è la massa dell'unità di volume di una determinata sostanza,
dipende dalla pressione e dalla temperatura, ha dimensioni [ML-3] e viene espressa con le
seguenti unità di misura:
sistema metrico internazionale
sistema tecnico
sistema anglosassone
kg/m3
kgfs2/m4
lbfs2/ft4
Nel caso dei gas la dipendenza della densità da temperatura e pressione è espressa dalla
equazione di stato  
p
RT
valida per i campi di temperatura e pressione utilizzati negli
impianti; per i liquidi non è possibile stabilire una legge così semplice, ma si ricorre ad
approssimazioni lineari come trattato nel paragrafo 3.3..
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3.2.2 Peso specifico
Il peso specifico è il peso dell'unità di volume. Ha dimensioni [FL-3] o, più propriamente,
[ML-2T-2]. E' legato alla densità dalla relazione  = g, dove g è l'accelerazione di gravità.
Anche esso è quindi dipendente da pressione e temperatura; vi è inoltre una dipendenza
dall’accelerazione di gravità, aspetto non trascurabile nelle applicazioni spaziali.
Il peso specifico è espresso con le seguenti unità di misura:
sistema metrico internazionale
sistema tecnico
sistema anglosassone
N/m3
kgf/m3
lbf/ft3
3.2.3 Pressione
La pressione è data dal rapporto fra una forza e l'area su cui questa agisce.
Dimensionalmente è quindi [FL-2], le unità di misura utilizzate sono varie:
sistema metrico internazionale
sistema tecnico
sistema tecnico anglosassone
Pa=N/m2
kgf/cm2
psi = lbf/in2
Il Pascal è una pressione piccola per cui vengono più usati il kPa o il MPa. Sono ancora
molto in uso vecchie unità, comprese quelle che misurano la pressione come altezza
equivalente di una colonna di acqua o mercurio:
atm
at
bar
kg/m2
psi
mmHg
mH2O
101325 Pa
98062 Pa
100000 Pa
9.81 Pa
6890 Pa
133.322 Pa
9806.2 Pa
1 kg/cm2
0.986 atm
atm, at, bar, 760 mmHg, 10 mH2O corrispondono all’incirca alla pressione atmosferica alla
quota zero in condizioni standard.
Ricordiamo che quando si parla di misura di pressione molte volte si trascura di precisare
se si tratta di una misura di pressione assoluta o relativa; in moltissimi casi questo è chiaro
dal contesto o è inessenziale; occorre comunque ricordare che la misura può essere eseguita in
entrambi i modi e spesso gli strumenti misurano la pressione relativa rispetto a quella
atmosferica nel luogo di misura. Se la misura è utilizzata per valutare differenze di pressioni
fra due punti diversi o le sollecitazioni indotte dalla pressione, l’una o l’altra misura portano
agli stessi risultati, dato che conta solo la differenza fra le due pressioni; esistono però
fenomeni legati alla pressione assoluta: uno di questi è il fatto che la pressione assoluta non
può diventare negativa. In tale caso si avrebbe, infatti, il passaggio da uno stato di
compressione ad uno di trazione, stato di sforzo al quale i fluidi non possono resistere; in
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particolare per i liquidi esiste un valore di pressione minimo al disotto del quale il fluido passa
allo stato gassoso. Il valore di pressione al quale questo fenomeno avviene è la tensione di
vapore ed è in genere fortemente influenzato dalla temperatura.
3.2.4 Viscosità
La viscosità è la capacità di un fluido a resistere a forze tangenziali. Per far scorrere l’uno
rispetto all’altro due piani paralleli separati da un fluido, è necessaria una forza F
proporzionale alla superficie di contatto A, alla velocità relativa v ed inversamente
proporzionale alla distanza h delle due superfici:
Av
F
h
il coefficiente di proporzionalità è la viscosità:

Fh
Av
Le dimensioni della viscosità sono quindi [FL-2T]. Le unità di misura utilizzate per la
viscosità sono le seguenti:
sistema metrico internazionale
sistema tecnico
sistema anglosassone
Ns/m2 o Pas
kgfs/m2
lbfs/m2
VISCOSITA' CINEMATICA [cSt]
ma in pratica vengono sempre usati il poise P o il centipoise cP, essendo:
1 P = 1 dyne s/cm2 = 0.1 Pas.
E’ spesso usata anche la
1000
viscosità cinematica, data dal
rapporto fra la viscosità e la
densità:



ed avente le dimensioni di
lunghezza per velocità [L2T-1], è
usualmente misurata in Stokes:
100
1 St = 1 cm2/s
o
più
comunemente
centistokes:
10
in
1 cSt = 10-6 m2/s
1
-80
-40
0
40
80
120
TEMPERATURA [°C]
Fig. 3.1 - Viscosità in funzione della temperatura
(liquido a base petrolifera)
La
viscosità
dipende
fortemente dalla temperatura,
come evidente nel diagramma di
fig.3.1 relativo ad un tipico
liquido a base petrolifera.
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3.2.5 Tensione di vapore
TENSIONE DI VAPORE [Pa]
La tensione di vapore è la grandezza più significativa per descrivere la volatilità di un
liquido. Un fluido allo stato liquido è caratterizzato dall'avere un volume proprio; se il fluido
viene posto in un recipiente di volume maggiore del volume del liquido, nel recipiente il
fluido si trova parzialmente allo
10000
stato liquido e parzialmente allo
stato gassoso. La pressione alla
quale viene a trovarsi lo stato
1000
gassoso è detta tensione di vapore
e dipende dalla temperatura (fig.
3.2); per esempio la tensione di
100
vapore dell’acqua a 100 C è
notoriamente di 1 atm.
La tensione di vapore è un
10
indice della tendenza del liquido
ad evaporare e definisce il punto di
ebollizione, la temperatura cioè
1
alla quale il liquido ad una certa
pressione tende a passare allo stato
gassoso.
0
La tensione di vapore definisce
40
80
120
160
200
l'equilibrio fra le due fasi del
TEMPERATURA [°C]
fluido ed è un parametro
Fig. 3.2 - Tensione di vapore in funzione della
fondamentale per i fenomeni di
temperatura (liquido a base petrolifera)
cavitazione (possibile formazione
di bolle di vapore nella tubazione con conseguente alterazione del corretto funzionamento
della linea).
3.2.6 Infiammabilità
L’infiammabilità è una caratteristica molto importante per la sicurezza dell'impianto e del
velivolo stesso, può essere il criterio di scelta determinante per il fluido da impiegare in un
determinato impianto.
L’infiammabilità viene caratterizzata attraverso tre temperature caratteristiche valutate in
condizioni prefissate di pressione e di presenza di aria:
1. punto di infiammabilità: temperatura minima alla quale il liquido, vaporizzato in modo
definito, crea una miscela capace in presenza di una fiamma di creare una vampata;
2. punto di fiamma: temperatura minima alla quale si genera vapore sufficiente a mantenere
la combustione che deve comunque essere innescata;
3. punto di auto ignizione: temperatura alla quale si crea una fiamma spontaneamente senza
che debba essere innescata.
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3.2.7 Comprimibilità
I fluidi impiegati negli impianti idraulici sono liquidi e quindi caratterizzati dall'avere un
volume proprio; in realtà sotto effetto della pressione il fluido tende a comprimersi e a ridurre
il proprio volume; una misura di questo effetto è data dal modulo di comprimibilità definito
come rapporto fra la variazione percentuale di volume e la variazione di pressione che la ha
prodotta, come meglio descritto in seguito (par 3.3).
3.2.8 Resistenza all’aria
L’aria può essere presente in un liquido sotto diverse forme: disciolta, dispersa in bollicine
ben distinte e in schiuma, ossia bolle agglomerate in superficie. Gli ultimi due casi sono da
evitare per il corretto funzionamento dell’impianto, in quanto vengono radicalmente
modificate alcune caratteristiche fisiche del liquido (in particolare densità e comprimibilità).
3.2.9 Stabilità
La stabilità chimica è la tendenza a mantenere invariate le principali caratteristiche. Si parla
in genere di:
 stabilità all’ossidazione, ossia alla reazione con l’ossigeno;
 stabilità termica, ossia alla decomposizione prodotta dalla temperatura;
 stabilità all’idrolisi, ossia alla reazione con l’acqua.
3.2.10 Corrosione
Indica l’aggressività del fluido sui materiali usati negli impianti. Può essere di due tipi:


corrosione chimica, in genere ossidazione o attacco acido;
corrosione elettrochimica, tipicamente quella galvanica, che interviene nel contatto di due
metalli bagnati da un elettrolito.
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3.3 Equazione di stato e modulo di comprimibilità
Le grandezze fondamentali che definiscono lo stato di un fluido sono, come noto:
pressione
densità
temperatura
p

T
[FL-2]=[MLT-2]
[ML-3]
[°]
Le grandezze di stato non sono indipendenti, ma legate dall’equazione di stato che nel caso
dei gas perfetti assume la nota forma:
p  RT
questa relazione è valida per gas perfetti, in un ben preciso campo di pressioni e temperature;
il coefficiente di proporzionalità R ha un valore dipendente dalla composizione del gas ed in
particolare dal peso molecolare degli elementi che lo compongono. Per i gas esistono anche
formulazioni dell’equazione di stato più complesse valide in condizioni più ampie.
Per i liquidi non è invece possibile determinare un’equazione di stato così semplice che
abbia un sufficiente campo di validità; si ricorre quindi ad una linearizzazione che porta ad
un’equazione di stato valida solo nell’intorno di un punto noto. Tale equazione, espressa più
comunemente in funzione del volume specifico, o direttamente di volumi, se ci si riferisce ad
una determinata massa, ha la forma:
V
2500
Coefficiente di comprimibilità [MPa]
V

1

p  T
La parte dell’equazione di stato
che fornisce il legame pressionedensità (sia pure questo espresso
in termini di volume), a
temperatura costante, diventa così
in termini finiti:
2000
1500
1000
p   
500
V
V
o in termini differenziali :
0
0
20
40
60
80
100
dp   
Pressione [MPa]
dV
V
Fig. 3.3 - Andamento del modulo di
comprimibilità con la pressione
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Il fatto che anche i liquidi siano comprimibili ha diverse conseguenze tra le quali le più
rilevanti consistono nel fatto che è necessario un certo lavoro di compressione per portarli
ad una determinata pressione e che una trasmissione idraulica non è rigida, ma presenta
una certa elasticità.
È da notare che per molte applicazioni pratiche la comprimibilità è sufficientemente
piccola da risultare trascurabile nei calcoli, occorre comunque ricordare che fisicamente
essa esiste ed è strettamente collegata al meccanismo di generazione della pressione.
Il modulo di comprimibilità  (bulk modulus nella letteratura anglosassone) è dipendente in
modo non lineare dalla pressione, secondo un andamento qualitativamente descritto in fig.3.3;
per l’utilizzo della relazione in termini finiti occorrerà quindi considerarne un valore medio.
 ha le dimensioni di una pressione ed il suo valore dipende dalla pressione; si può
assumere per i vari fluidi utilizzati negli impianti oleodinamici, impianti operanti alle più alte
pressioni, dove quindi la comprimibilità è in grado di far sentire i suoi effetti, valori
dell’ordine di grandezza di 1500 MPa.
Assumendo tale valore come valore medio indipendente dalla pressione ne derivano le
variazioni di volume del fluido riportate in tab. 3.1.
Variazioni di pressione dell’ordine di grandezza dei 20 MPa, che
sono valori tipici negli impianti oleodinamici di bordo, sono quindi
p
V
in grado di ridurre il volume del fluido già di una quantità superiore
V
all’1.3%; reciprocamente variazioni di volume dell’ordine dell’1%
[MPa]
sono necessarie per far nascere variazioni di pressione
2.5
0.0016
dell’ordine dei 15 MPa.
5.0
0.0033
In effetti l’equazione di stato deve essere vista come l’analoga
7.5
0.0050
dell’equazione di Hooke per i solidi; la pressione definisce lo stato
10.0
0.0066
di sforzo e la variazione percentuale di volume corrisponde alle
12.5
0.0083
deformazioni.
15.0
0.0100
Per quanto riguarda il termine legato alla temperatura:
17.5
0.0116
20.0
0.0133
V
 T
22.5
0.0150
V
25.0
0.0166
27.5
0.0183
Il valore di  è circa 7  10-4 C-1 per un olio idraulico.
30.0
0.0200
Le conseguenze dalla dilatazione provocate da incremento della
Tab. 3.1 Contrazione del
volume in funzione
del salto di pressione
temperatura sono in incremento di pressione se il liquido è
contenuto in un volume chiuso, come pure è possibile una
variazione di volume del contenitore come ad esempio in un
cilindro attuatore con spostamento del pistone.
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3.4 Modulo di comprimibilità effettivo
Per quanto riguarda i valori del modulo di comprimibilità, occorre fare attenzione che nella
pratica si deve tenere conto anche del fatto che in un impianto, nonostante tutte le precauzioni
che si possono prendere, è inevitabilmente contenuto, oltre al liquido, anche una frazione di
gas e che i componenti dell’impianto, per quanto rigidi, possono presentare una certa elasticità
e quindi per effetto della pressione si deformano aumentando il loro volume.
Il comportamento del gas espresso in termini di modulo di comprimibilità è facilmente
ottenibile dato che questo è ricavato in condizioni isoterme; per un gas in tali condizioni
quindi:
pV  cost
pdV  Vdp  0
dp   p
dV
V
  p
Se un certo volume Vtot è occupato parzialmente da liquido Vl e parzialmente da gas Vg, si
può ricavare un modulo di comprimibilità effettivo:
V tot  V l  V g
 V tot   V l   V g
1
e
1
e
 V  V  V g  V g
l
l

 



V tot  p
 V tot  V l  V tot  V g
  V tot

Vl
1
V tot  l

Vg
 1

  p
1
V tot  g
Dato che normalmente il volume di gas contenuto nel recipiente è piccolo rispetto a quello del
liquido, il modulo di comprimibilità effettivo può essere approssimato con:
1
e

1
l

Vg
1
V tot  g
Evidentemente il modulo di comprimibilità dipende dalla quantità di gas contenuto nel
volume in esame, quantità che deve essere normalmente piccola. La tabella 3.2 riporta i valori
di variazione di volume che si ottengono con varie percentuali di gas, considerando per il
modulo di comprimibilità del gas il valore corrispondente alla pressione media. Si può notare
che l’effetto corrispondente alla pressione di 30 MPa con solo liquido si ha alla pressione di
22.5 MPa con una percentuale dell’1% di gas, di 15 MPa con una percentuale del 2% e sotto i
2.5 MPa con percentuali superiori.
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Vg/Vtot
p
[MPa]
2.5
5.0
7.5
10.0
12.5
15.0
17.5
20.0
22.5
25.0
27.5
30.0
0
.01
V/V
.02
0.0016
0.0033
0.0050
0.0066
0.0083
0.0100
0.0116
0.0133
0.0150
0.0166
0.0183
0.0200
0.0066
0.0083
0.0100
0.0116
0.0133
0.0150
0.0167
0.0183
0.0200
0.0217
0.0233
0.0250
0.0116
0.0133
0.0150
0.0166
0.0183
0.0200
0.0217
0.0233
0.0250
0.0266
0.0283
0.0300
.05
.10
0.0266
0.0283
0.0300
0.0317
0.0333
0.0350
0.0366
0.0383
0.0400
0.0417
0.0433
0.0450
0.0516
0.0533
0.0550
0.0567
0.0583
0.0600
0.0617
0.0633
0.0650
0.0666
0.0683
0.0700
Tabella 3.2 - Contrazione del volume in dipendenza della
concentrazione di gas
Il discorso può però essere invertito: per portare a 30 MPa il liquido con presenza del 2% di
aria devo ridurne il volume del 50% in più rispetto al liquido senza aria, devo quindi compiere
un lavoro maggiore del 50%.
Effetti nello stesso senso si hanno per la dilatazione dei componenti che contengono il
liquido, per cui è possibile definire un modulo di comprimibilità dovuto all’incremento di
volume del recipiente ed avere in definitiva:
1
c
1
e


V
V tot  p
1
l

Vg
1
V tot  g

1
c
In pratica quindi il modulo di comprimibilità è normalmente più basso di quanto atteso in
base ai valori del solo liquido e questo ha conseguenze, per quanto piccole, sulla quantità di
liquido necessario a riempire un dato volume. Inoltre il legame pressione - volume è da
vedersi come una rigidezza e questa in pratica risulta più bassa di quanto di competenza del
solo liquido.
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3.5 Idrostatica: il principio di Pascal
L’idrostatica è governata dal principio di Pascal; se si considera un piccolo elemento di
fluido in condizioni statiche, la pressione che si misura sulle pareti di quell’elemento si
trasmette a tutto il fluido, con eguale intensità ed in ogni direzione:
p = cost
Si consideri, per meglio chiarire la portata del principio di Pascal, il sistema in fig. 3.4,
costituito essenzialmente da due cilindri differenti muniti di pistone, collegati tra loro da un
condotto, il tutto riempito di liquido.
F1
F2
A1
S2
A2
S1
p
p
Fig. 3.4 - Torchio idraulico
All’equilibrio deve essere:
F1
p
A1
F1 
A1
A2

F2
A2
F2
il che significa che un sistema del genere è in grado di trasmettere forze variandone l’intensità
a seconda del rapporto tra le aree dei pistoni (torchio idraulico).
D’altro canto, se non ci sono perdite di liquido, il volume spostato da una parte deve
ritrovarsi dall’altra:
V1  A1 s1  V2  A2 s 2
s1 
A2
A1
s2
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ossia gli spostamenti vengono anch’essi variati dal rapporto delle aree. Ovviamente il lavoro
si conserva:
L1  F1 s1  pA1 s1  pA2 s 2  F2 s 2  L2
Con tale dispositivo, che sta alla base della trasmissione idraulica, si può trasmettere
lavoro variandone l’intensità della forza e dello spostamento, ovvero si può amplificare la
forza a patto di ridurre lo spostamento, e viceversa.
3.6 Equazione di continuità
Sotto questo termine si intende l’equazione che esprime il principio di conservazione della
massa, e del quale già si è vista un’espressione elementare nel paragrafo precedente.
Per un volume chiuso la conservazione della massa si traduce in:
dm
dt
d
dt V

 dV  0
se nel volume possono esserci entrata o uscita di fluido;
d
dt V
 dV     vdA  0
Ai
dove V è il volume considerato, A sono le aree attraverso le quali può aversi entrata o uscita
di massa nel volume considerato e v è la componente di velocità normale alla superficie A
positiva se entrante.
Quando il fluido può essere ritenuto incomprimibile,  è costante e può quindi essere
eliminato; per le applicazioni impiantistiche non ha quasi mai interesse l’effettiva
distribuzione di velocità nelle sezioni di passaggio per cui si considera una velocità media:
v
 vdA
A
 dA
A
l’equazione di continuità si riduce quindi a:
dV
dt

v A
i
i
0
i  1, n
o, introducendo la portata volumetrica dalla singola sezione di passaggio:
Q i  v i Ai
dV
dt
n
  Qi  0
i 1
dove Qi sono le singole portate volumetriche, positive entranti.
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La relazione precedente è utile ad esempio per calcolare il volume di liquido contenuto in
certo istante in un serbatoio.
A parte i serbatoi praticamente tutti gli altri componenti di impianti a fluido sono
completamente riempiti di liquido.
Per tutti i componenti dove non si ha variazione di volume si ha quindi:
n
Q
i
0
i 1
Una classe importante di componenti nei quali si può avere variazione di volume è
costituita dagli attuatori lineari (normalmente detti martinetti); in questi l’incremento o
decremento di volume è ottenuto a sezione costante e quindi si ha un legame di
proporzionalità fra la portata entrante o uscente e la velocità di azionamento del martinetto:
Q  Ax
3.7 Conservazione dell’energia
Il primo principio della termodinamica impone la conservazione dell’energia;
ragionamenti energetici portano a formulazioni estremamente utili per il calcolo del flusso in
tubazioni. Esso infatti possiede energia in forma cinetica, dovuta cioè alla sua velocità, in
forma potenziale, dovuta cioè all’elevazione del condotto ed alla pressione del fluido e in
forma termica.
Quando si studia il moto del fluido in un condotto si osservano le varie grandezze fisiche in
sezioni di controllo fisse. Viene utile riferirsi all’energia per unità di massa, o di peso, o di
volume del fluido.
Vediamo di seguito le varie forme di energia possedute dal fluido, espresse per unità di
volume.
Energia cinetica
L’energia cinetica di qualsiasi massa m che viaggi alla velocità v è notoriamente data da:
Ec 
1
2
mv 2
Nel caso in esame, riferendosi all’unità di volume ed essendo  la densità, sarà:
Ec 
1
2
v 2
Energia potenziale
L’energia potenziale, in senso classico, di una particella di fluido di massa m dipende dalla
sua altezza z misurata rispetto ad un piano arbitrario di riferimento. L’energia potenziale per
unità di volume è quindi:
E z   gz
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3.13
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
Energia di pressione
L’energia di pressione può essere definita attraverso il lavoro che la pressione può
compiere.
Si consideri un recipiente come quello indicato nella fig. 3.5, contenente del liquido. Ad
una certa distanza dal pelo libero si supponga vi sia un tubo che si stacca dal contenitore,
chiuso da un pistone mobile di area A. La forza esercitata dal liquido su tale pistone, dovuta
alla sua pressione idrostatica, è p•A. Il lavoro compiuto dal fluido per spostare il pistone di
una lunghezza L, dalla sezione 1 alla sezione 2, sarà p•A•L; il volume di fluido che compie
tale lavoro è quello che passa per la sezione 1, ossia A•L. Il lavoro per unità di volume risulta
quindi:
Ep  p
L
p
p
A
Fig. 3.5 - Lavoro di pressione
Energia interna
L’energia interna è legata alla temperatura del fluido ed al calore specifico a volume
costante e, per unità di volume, possiamo scriverla come insegna la termodinamica:
E i  cv T
Conservazione dell’energia
Il primo principio della termodinamica assicura che l’energia viene conservata o meglio
che le variazioni di energia in un sistema sono uguali al lavoro che viene esercitato sul sistema
stesso. Per un tubo di flusso le variazioni complessive delle quattro energie sopra viste devono
quindi uguagliare il lavoro ed i calori forniti dall’esterno:
p2 
1
2
 2 v 22   2 gz 2  c v T2  p 1 
1
2
 1 v 12   1 gz 1  c v T1  L  q
dove lavoro e calore sono considerati per unità di volume.
La stessa espressa per unità di peso porta alla seguente dove  è il peso specifico:
p2
2
 z2 
v 22
2g
 c v T2 
p1
2
 z1 
v 12
2g
 c v T1  L   q 
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3.14
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
In tale espressione le dimensioni sono quelle di una lunghezza. Questo modo di esprimere
la conservazione dell’energia è sfruttato soprattutto nell’idraulica classica dove i termini legati
ai dislivelli presenti negli acquedotti e quindi all’energia potenziale hanno importanza
predominante.
3.8 Moto stazionario di un fluido incomprimibile
Se il fluido è incomprimibile ρ è costante:
p 2   gz 2 
1
2
 v 22  c v T2  p 1   gz 1 
1
2
 v 12  c v T1  L  q
3.9 Fluido in quiete
Se la velocità è nulla, il fluido in equilibrio termico e non si verifica scambio di lavoro e di
calore con l’esterno, ci si riduce a:
p 1   gz 1  p 2   gz 2
p 2  p 1   g z
Quando le pressioni sono consistenti e le variazioni di quota piccole, il termine dell’energia
potenziale può essere trascurato rispetto al termine della pressione e ci si riduce al principio di
Pascal per i fluidi in quiete:
p = cost
3.10 Perdite di carico distribuite
In assenza di lavoro e calore scambiato con l’esterno, considerando trascurabile l’energia
potenziale rispetto alle altre grandezze in gioco ed ipotizzando un condotto a sezione costante
(il che implica per fluidi incomprimibili la conservazione della velocità), l’equazione di
conservazione dell’energia si riduce a:
p1  c vT1  p 2  c vT2
In effetti si nota sperimentalmente che, se il moto è nella direzione dalla sezione 1 alla 2, la
pressione p2 è inferiore alla p1, questo implica un aumento della temperatura. Esistono quindi
fenomeni dissipativi, per cui parte dell’energia di pressione viene trasformata in energia
termica e quindi considerata persa dal punto di vista meccanico, tanto che è usuale chiamare
questo termine perdita di carico.
È conveniente esprimere questo trasformando la relazione precedente in:
p1  p 2  c v T2  T1   p 2   p
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3.15
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
dove il termine cv•(T2-T1) è stato sostituito da una generica caduta di pressione p.
Le tubazioni sono state ampiamente studiate dagli idraulici nel diciannovesimo secolo ed è
stata riconosciuta una relazione tra la caduta di pressione e l’energia cinetica:
1
p1  p 2  
2
v 2
L'intensità delle perdite di carico risente molto della presenza di un moto regolare,
caratterizzato dall'avere nelle singole particelle velocità sensibilmente dirette come l'asse del
condotto e nel verso del moto, o moto irregolare con componenti di velocità in tutte le
direzioni; il primo tipo di moto è detto moto laminare, il secondo moto turbolento.
Se si osserva sperimentalmente il moto del fluido, si vede che in certe condizioni il moto è
di tipo laminare ed in altre diventa turbolento. La transizione del moto da laminare a
turbolento è dominata dal rapporto fra le forze di massa e le forze viscose, esprimibile da una
grandezza adimensionale, il numero di Reynolds, definito da:
Re 
 vD vD



dove  è la densità, v la velocità media, D il diametro idraulico,  la viscosità e ν la viscosità
cinematica. La caduta di pressione lungo la linea è quindi dovuta a disuniformità nella
velocità che provoca conseguenti effetti viscosi.
Il diametro idraulico è definito come:
D
4S
C
dove S è l’area della sezione e C il perimetro; nel caso di sezione circolare il diametro
idraulico corrisponde al diametro geometrico:
4S
C
4

D 2
4
D
D
Per le tubazioni si è giunti per via sperimentale a determinare la seguente espressione di :
 
L
D
dove  è un coefficiente di perdite distribuite, L è la lunghezza della tubazione e D il diametro
idraulico. La caduta di pressione sull’intera tubazione è quindi data dalla legge di Darcy Weisbach:
p1  p 2  
L 1
D2
v 2
Il coefficiente  dipende dal tipo di moto, indicato dal numero di Reynolds, e dalla rugosità
superficiale del condotto, definita come rapporto tra lo spessore medio delle irregolarità ed il
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
diametro del tubo. Il diagramma di Moody di fig. 3.6 riporta l’andamento del coefficiente in
funzione del numero di Reynolds della corrente fluida e parametrato sulla rugosità
superficiale.
Fig. 3.6 - Diagramma di Moody
LAM INARE
TURB OLENTO
Fig. 3.7 - Profili di velocità tipici nel moto laminare e turbolento
Si riconosce che per Re < 2000 il moto è laminare, la velocità è nulla al contorno, diretta
come l’asse della tubazione e massima al centro del tubo (fig. 3.7), con una distribuzione
parabolica; in questo caso è possibile ricavare anche teoricamente il valore di  che risulta:

64
Re
e quindi:
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3.17
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
64 L 1
p1  p 2   p 
Re D 2
v 2 
64  L 1
 vD D 2
 v 2  32 
L
D2
v
Nel moto laminare la perdita di carico risulta dipendente, oltre che dai parametri
geometrici, in modo lineare dalla viscosità e dalla velocità del fluido. La dipendenza dalla
viscosità porta ad una dipendenza dalla temperatura dato che la viscosità è fortemente
influenzata da questa.
Quando il numero di Reynolds supera il valore di 4000, il moto diventa turbolento, la
distribuzione di velocità sulla sezione nella direzione normale a questa si appiattisce (fig. 3.7),
la velocità massima si avvicina quindi alla velocità media, ma la velocità ha componenti
anche perpendicolari alla tubazione: in questo caso i valori di  sono desumibili da curve
sperimentali o da formule empiriche.
Per numeri di Reynolds molto alti,  è sensibilmente indipendente dal numero di Reynolds
e dipende solo dalla rugosità. In tale campo di moto la perdita di carico risulta quindi
dipendente dal quadrato della velocità ed indipendente dalla viscosità del fluido (questa
interviene comunque nel calcolo del numero di Reynolds).
Per i valori del numero di Reynolds fra 2000 e 4000 si ha una zona di transizione non ben
definita, dato che il passaggio dallo stato laminare a quello turbolento è un fenomeno di
instabilità che può avere quindi un certo margine di indeterminazione.
Sono state proposte formule che permettono di ottenere valori interpolati di  :
0 .316

per tubi lisci e 4000  Re  100000


per tubi lisci e Re  4000
1

per la zona di transizione fra tubi lisci e ruvidi con Re  4000 :

Re 0 .25

 2 log 10 Re

  0 .8
9 .35 
 e
 1 .14  2 log 10  


 D Re  
1

per tubi ruvidi e flusso turbolento completamente sviluppato:
 e 
 1 . 14  2 log 10  

D
1
dove e/D è la rugosità relativa.
Per le tubazioni si parla comunemente di perdite distribuite dato che la caduta di pressione
è distribuita uniformemente su tutta la linea; la pressione decresce quindi sulla linea con
andamento lineare:
p  x   p1  
x 1
D 2
v 2
In realtà le perdite di carico così determinate avvengono quando il moto nella tubazione è a
regime; se consideriamo l’inizio del tubo si ha una zona di una certa lunghezza nella quale la
velocità passa da una distribuzione iniziale nella sezione alla distribuzione tipica del moto
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3.18
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
laminare o turbolento che si ha poi nell’intero tubo; per tubazioni di una certa lunghezza
questo fenomeno non porta a differenze significative, ma per tubazioni corte questo può non
essere più vero.
3.11 Componenti discreti
Le perdite di carico sono dovute agli effetti viscosi causati da differenze di velocità nei vari
punti nel fluido; questo avviene tutte le volte che il fluido trova nel suo cammino un ostacolo
di natura qualsiasi o comunque la geometria del condotto porta a variazioni del vettore
velocità (fig. 3.8).
Nell’idraulica classica, dove le tubazioni hanno una lunghezza molto elevata, queste
perdite possono essere di entità molto minore rispetto a quelle nelle tubazioni, tanto che nella
letteratura anglosassone vengono definite perdite minori; negli impianti di nostro interesse le
tubazioni sono invece relativamente corte ed esistono molti componenti in grado di causare
perdite di valore significativo. Verranno genericamente indicate come perdite concentrate.
Fig. 3.8 - Cause di perdite di carico concentrate
Anche in questo caso le perdite possono essere espresse come funzione di un’energia cinetica:
p 2  p1  
1
2
v 2
I coefficienti necessari per il calcolo delle perdite di carico concentrate sono ovviamente
funzione della geometria del componente, ma anche di un numero di Reynolds di riferimento.
È da notare che dal punto di vista degli impianti di interesse aeronautico non ha molta
importanza la variazione di pressione lungo un tubo, quanto i valori alle sue estremità. Di
conseguenza si può considerare il tubo come un elemento discreto con pressioni alle sue
estremità legate dalla:
p 2  p1  
1
2
 v 2 con   
L
D
Nei paragrafi seguenti vengono riportati alcuni esempi di coefficienti di perdite di carico
concentrate per le situazioni più comuni. Ampia mole di dati sull’argomento sono reperibili su
varie fonti ed in particolare sui data sheet ESDU e sul volume Idel’cik Memento des pertes de
charge (versione francese dal russo).
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3.19
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
3.11.1. Orifizio
L’orifizio consiste in un restringimento seguito da
un allargamento; nel caso ideale possiamo pensarlo
realizzato da un orifizio a bordi affilati.
A seconda del numero di Reynolds il flusso può
avere andamento laminare (a) o turbolento (b) come
mostrato nella figura 3.9:
3.11.1.1 Orifizio con flusso turbolento
Nel caso di flusso turbolento il passaggio attraverso
l’orifizio provoca un restringimento del tubo di flusso;
la sezione ristretta può essere collegata a quella
dell’orifizio mediante un coefficiente di contrazione Cc.
Si ha quindi:
Fig. 3.9 Orifizio
A2  C c A0
Tra la sezione 1 e la 2 si può ritenere di non avere perdite di carico e di conseguenza:
p1 
1
2
 v12  p 2 
p1  p 2 
1
2
1
2
 v 22
 v 22  v12 
essendo:
A1v1  A2 v 2
si ha
  A 2 
p1  p 2    1   2   v 22
2   A1  


1
v2 
2  p1  p 2 
  A 2 
  1   2  
  A1  


In realtà a causa degli attriti viscosi la velocità v2 sarà leggermente inferiore; introducendo
un coefficiente di velocità, la portata risulta:
Q  A2 c v v 2 
c v A2
A
1   2 
A1 

2
2

 p1  p 2 
considerando il coefficiente di contrazione, in modo da riferirsi alla sezione dell’orifizio:
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3.20
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
c v c c A0
Q
2

2
A
1  c  0 
 A1 
2
c
Q  c d A0
2

 p1  p 2 
 p1  p 2 
con:
cd 
cv cc
A
1  cc2  0 
 A1 
2
cv è di poco inferiore a 1 e
normalmente A0 è molto minore di
A1; in tali condizioni cd è
approssimativamente uguale a cc.
Per orifizi a spigoli vivi è
possibile calcolare teoricamente cc
ed il risultato è mostrato nella figura
3.10.
L’esperienza mostra che per
orifizi a spigolo vivo, se il flusso è
turbolento e la sezione dell’orifizio è
sufficientemente piccola rispetto al
diametro del tubo si può utilizzare il valore:
c d  cc 
Fig. 3.10 Coefficiente di scarica

 2
 0 .611
L’espressione delle perdite di carico può essere portata nelle consuete forme:
p1  p 2  
1
2
 v12
p1  p 2  KQ 2
con
K 
1  A 
  2  1 
c d  A0 

2cd A0 
2
2
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3.21
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
3.11.1.2 Orifizio di lunghezza finita
Per orifizi di una certa lunghezza possono essere usati i valori del coefficiente di scarica cd
desumibili dal diagramma di figura 3.11.
Fig. 3.11 Coefficiente di scarica
3.11.1.3 Orifizio con flusso laminare
Per bassi numeri di Reynolds il coefficiente di scarica può essere desunto dalla figura 3.12;
per Re=2500 il coefficiente tende al valore 0.611 indicato per il flusso turbolento.
Fig. 3.12 Coefficiente di scarica per flusso laminare
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3.22
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
3.11.2 Allargamenti - Restringimenti
La figura 3.13 riporta coefficienti di perdita di carico per allargamenti o restringimenti
improvvisi in tubazioni.
Fig. 3.13 Variazione di sezione
La figura 3.14 riporta coefficienti relativi a perdite di carico di imbocco (passaggio da
recipiente di grandi dimensioni a tubazione) e sbocco (scarico in ambiente di grandi
dimensioni).
Fig. 3.14 Imbocco e sbocco
I coefficienti K indicati sono relativi all’energia cinetica nella sezione a velocità maggiore:
p  K
1
2
 v12
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3.23
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Le figure seguenti riportano altri esempi di allargamenti o restringimenti:
Fig. 3.15 Allargamenti
Fig. 3.16 Restringimenti
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3.24
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3.11.3. Curve
La perdita di carico per un tratto curvo può essere calcolato con:
 L
1
2
 p     K g  v
d
2


dove 
L
d
esprime le perdite distribuite nel tratto di gomito e  K g le perdite dovute al cambio
di direzione del vettore velocità. K g e  sono ricavabili dai diagrammi di figura 3.17.
Fig. 3.17 Perdite di carico in tratti curvi
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3.25
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3.11.4. Diramazioni
La figura 3.18 riporta coefficienti perdita per diramazioni con un ramo cieco.
Fig. 3.18 Diramazioni cieche
La figura 3.19 riporta coefficienti per separazioni o riunioni di correnti.
Fig. 3.19 – Separazione e riunione di correnti
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3.26
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3.12 Colpo d’ariete
Se a valle di una tubazione con un certo flusso si ha la chiusura improvvisa di una valvola,
l’energia cinetica della colonna di fluido si trasforma in energia potenziale di compressione
con relativo incremento di pressione. L’incremento di pressione può in determinate condizioni
essere tale da creare seri problemi.
Una colonna di fluido in movimento ha una energia cinetica:
Ec 
1
2
 LAv 2
supponendo di passare istantaneamente a velocità nulla tutta l’energia cinetica si trasforma in
energia potenziale di pressione:
Ep 
1
2
 Vp i
dove ΔV è la variazione di volume e pi l’incremento di pressione. Dalla relazione che
definisce la comprimibilità:
Ep 
1V
2 
p i2 
1 LA
2 
p i2
Se tutta l’energia cinetica si trasforma in energia di pressione si ha un incremento di
pressione pari a:
pi 
 v
Con valori tipici per un olio minerale (β=1800 MPa; ρ=850 kg/m2) si ha:
pi  1800 * 10 6 * 850 v  1.24 * 10 6 v
L’arresto istantaneo di un flusso a 10 m/s provoca quindi un incremento di pressione
maggiore di 12 MPa.
In realtà il fenomeno è più complesso perché non si comprime contemporaneamente tutta
la colonna di fluido, ma si ha un’onda di compressione che si propaga a monte alla velocità
delle piccole perturbazioni (velocità del suono nel liquido c    ; per olio minerale
c


 1450 m / s ); dopo un tempo pari a L/c l’onda di compressione arriva all’inizio
della colonna di fluido che risulta così tutta compressa, a questo punto parte un’onda di
decompressione verso la chiusura. Il fenomeno si ripete fino a quando i fenomeni dissipativi
assorbono tutta l’energia in gioco.
Quanto sopra visto è valido per una chiusura istantanea della valvola; tale chiusura si può
ritenere istantanea se avviene in un tempo inferiore a quello richiesto dall’onda di
perturbazione per compiere un ciclo completo di andata e ritorno:
T  Tcr 
2L
c
Per tubi corti il tempo critico risulta molto piccolo (per un tubo di 10 m risulta dell’ordine
del centesimo di secondo) e il tempo di chiusura risulta difficilmente minore del tempo
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3.27
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
critico. In questo caso il calcolo dell’incremento di pressione risulta più complesso, dipende
anche dalla lunghezza del tubo, dalla pressione iniziale e dal tempo di chiusura della valvola.
Il valore di pressione alla quale si arriva può essere ricavato dal diagramma seguente.
Fig. 3.20 Colpo d’ariete per velocità di chiusura inferiori alla critica
dove:
K 
N 
pi
2 p0
T
Tc
;
pi 
 v ;
p 0 pressione iniziale
; T tempo necessario per la chiusura; Tc 
2L
c
tempo critico di chiusura
N rappresenta il numero di volte che il fenomeno di propagazione e ritorno dell’onda di
compressione si verifica nel tempo di chiusura della valvola.
È da notare che il valore massimo di pressione è sempre inferiore a quello corrispondente
ad una chiusura istantanea; salvo casi particolari viene quindi spesso assunto come valore di
progetto pi.
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3.28
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3.13 Collegamento di componenti
Può essere conveniente esprimere le perdite di carico in funzione della portata, sostituendo
al termine di velocità il corrispondente rapporto tra portata ed area del condotto:

 Q
L 1
L
1
p1  p 2   p  
v 2  

D 2
D 2  2
 D
 4
2


8L
   2 5 Q 2  KQ 2
 D



o, nel caso di elemento con perdite concentrate:

1 2
1  Q
p1  p 2   p    v    
2
2  2
 D
 4
2


8
   2 4  Q 2  KQ 2
 D



L’espressione del tipo
p1  p 2  KQ 2
(*)
può essere utilizzata per esprimere il legame fra le pressioni alle estremità e la portata che
attraversa un generico componente dove la portata entrante ed uscente coincidono, un
componente quindi dove non possono esserci variazioni di volume del fluido contenuto.
Questa espressione definisce quindi il legame fra pressione e portata, le due grandezze
caratteristiche della potenza idraulica, individua quindi la curva caratteristica valida per un
generico componente passivo. Il valore di K deve essere ricavato partendo dai coefficienti 
o  del componente, ma conviene portarsi a tale forma che consente di esprimere più
facilmente la conservazione di massa nei nodi di collegamento fra i vari componenti.
Per il singolo componente la relazione consente di ricavare una grandezza essendo
note le altre due: conoscendo le pressioni all’estremità si può ricavare la portata,
conoscendo una pressione e la portata si può ricavare l’altra pressione.
L’espressione (*) è valida se p1 è maggiore di p2 e il flusso è di conseguenza diretto da 1
verso 2; quando questa viene utilizzata in programmi di calcolo dove non è noto a priori il
verso della portata l’espressione deve essere sostituita da:
p1  p 2  K Q Q
dove si assume positiva la portata se diretta da 1 a 2 e negativa in senso contrario.
Collegando due componenti con collegamento in serie, essendo uguali le portate nelle due
tubazioni, si ha (fig. 3.21):
p1  p M  K 1Q 2
p M  p 2  K 2Q 2
p1  p 2   K 1  K 2 Q 2
p1  p 2  KQ 2
K  K1  K 2
Si sommano quindi i coefficienti caratteristici.
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3.29
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
p
p1
M
k1
p2
k2
Q
Q
k1
Q1
p1
p2
Q
Q
Q2
k2
Fig. 3.21 - Linee in serie e in parallelo
Nel collegamento in parallelo, essendo uguali le pressioni alle due estremità, si ha
(fig.3.21):
p1  p2  K1Q12
p1  p2  K2 Q22
Q  Q1  Q 2 
p1  p 2
p1  p 2

K1
K2
 1


 K
1


 p p
1
2
K 2 
1
p1  p2  KQ 2
1
K

1
K1

1
K2
Le relazioni sono analoghe a quelle delle resistenze elettriche in serie o in parallelo, con la
differenza che il legame è quadratico anziché lineare.
3.14 Reti idrauliche
La struttura degli impianti a fluido di interesse aerospaziale è normalmente semplice e
facilmente risolvibile con i collegamenti in serie o parallelo visti nel paragrafo precedente.
Si riporta comunque una procedura adatta a ricercare le condizioni di equilibrio di una rete
comunque connessa.
La rete viene schematizzata come un insieme di tratti connessi in un certo numero di nodi;
nei dati di ingresso la rete è definita attraverso un certo numero di nodi e di tratti; i tratti
vengono identificati dal nome del nodo iniziale e del nodo finale.
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3.30
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
Per la ricerca delle condizioni di equilibrio vengono assunte come incognite tutte le portate
nei tratti e tutte le pressioni nei nodi. Il numero di incognite nella soluzione è di conseguenza
pari alla somma del numero di tratti e del numero di nodi.
Le portate considerate nel calcolo sono portate volumetriche, supponendo quindi costante
la densità, e vengono assunte come positive le portate nel senso definito dal nodo iniziale al
nodo finale.
Per ognuno degli m tratti considerati è si può scrivere la relazione fra pressioni ai nodi di
estremità e portata; quindi un’equazione che chiamiamo di tipo A:
Ai  p1  p 2  f Qi   0
dove f Q i  è una funzione normalmente non lineare in Qi , che dipende dai vari effetti
considerati, per una rete di distribuzione di fluido i tratti possono ad esempio essere costituiti
dei seguenti elementi:
a) Tubi, rappresentati come perdite di carico distribuite:
f Q    p d  
l 1
d 2
v v  K d Q Q
b) Elementi discreti, rappresentati come perdite di carico concentrate:
f Q    p c  k
1
2
v v  K c Q Q
c) Pompe, definite attraverso una curva caratteristica portata – pressione.
 p p  f Q 
Per ognuno degli n nodi considerati è possibile scrivere una equazione che chiamiamo di
tipo B e che esprime la conservazione della massa, se si tratta di un nodo interno, o assegna un
valore alla pressione o alla portate, se queste sono note nel nodo; in alternativa quindi una
delle tre equazioni seguenti:
Bl 
n
Q
i
0
i 1
Bl  p i  p i  0
Bl  Q i  Q i  0
Il sistema formato dalle m equazioni di tipo A e dalle n equazioni di tipo B è un sistema
non lineare, per la sua soluzione si ricorre al metodo iterativo di Newton-Rapson, che porta
alla soluzione del sistema:
 Ai / Q j

 B l /  Q j
Ai / p k    Q j 
 Ai 
   

 Bl /  p k    p k 
 Bl 
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3.31
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
Per tutti i tratti (in alternativa a seconda del tipo di elemento)
 Ai
Q j
Ai
p k

 K Q
d
j

  Kc Q j
 df
i

 dQ j
 1

 1
Per i nodi interni:
Bl   1

Q j   1
Bl
p k
fornisce elementi solo sulla diagonale principale
nelle colonne corrispondenti ai nodi di entrata e uscita nel tratto
nelle colonne corrispondenti ai tratti in arrivo o in partenza dal nodo
0
Per i nodi esterni in cui è assegnata la pressione:
Bl
Q j
Bl
p k
0
1
sulla diagonale principale
Per i nodi esterni in cui è assegnata la portata:
Bl
Q j
Bl
p k
 1
a seconda che si tratti di portata entrante o uscente
0
Il calcolo, essendo basato sul metodo di Newton-Rapson, è di tipo iterativo; ad ogni passo
si utilizzano i valori di Q j e p k del passo precedente e si calcolano le correzioni  Q j e  p k
da applicare, il processo prosegue fino a convergenza.
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3.32
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
A scopo esplicativo si riporta un semplice esempio di rete.
La rete è formata da 9 elementi e 8
nodi.
I dati di definizione degli elementi
possono essere descritti in una matrice
contenente i nodi di estremità dei vari
elementi, l’ordine dei nodi definisce il
verso positivo della portata:
Tratto
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Nodo 1
1
2
3
2
3
4
5
6
7
Nodo 2
2
3
4
5
6
7
6
7
8
Supponiamo siano note le pressioni ai due nodi di estremità e costruiamo la matrice M
risolutrice.
Le prime 9 righe della matrice sono relative ai tratti, si avrà quindi nelle prime 9 colonne:
M ii   K di Q i  Ai
M ij  0
per i≠j
Nelle colonne successive si ha:
M i , Ntratti  j  1
se il tratto i inizia dal nodo j,
M i , Ntratti  j   1
se il tratto i termina nel nodo j
M i , Ntratti  j  0
se il nodo j non appartiene al tratto i
Per le righe successive, nelle prime 9 colonne, si ha:
M Ntratti  i , j  1
se il nodo i è interno e il tratto j termina in esso
M Ntratti  i , j   1
se il nodo i è interno e il tratto j inizia da esso
M Ntratti  i , j  0
nei rimanenti casi
Nelle colonne successive si ha:
M Ntratti  i , Ntratt  j  1
se i=j e il nodo i è esterno
M Ntratti  i , Ntratt  j  0
se i≠j o il nodo i è interno
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3.33
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
La matrice dei coefficienti nel nostro esempio diventa quindi:
1
1
2
3
4
5
6
7
8
9
A1
2
1
A2
3
A4
5
A6
A7
-1
6
A9
1
7
8
-1
-1
-1
1
A8
9
6
-1
1
5
1
8
5
4
1
7
4
-1
1
3
1
A5
6
3
2
A3
4
2
1
-1
1
-1
1
-1
1
1
-1
1
-1
-1
1
-1
-1
1
-1
1
1
7
1
-1
1
-1
8
1
E il vettore dei termini noti:
1
2
3
4
5
6
7
8
p1  p 2  K 1 Q1 Q1
p 2  p 3  K 2 Q 2 Q 2
p 3  p 4  K 3 Q3 Q3
p 2  p 5  K 4 Q 4 Q 4
p 3  p 6  K 5 Q5 Q5
p 4  p 7  K 6 Q 6 Q 6
p 5  p 6  K 7 Q 7 Q 7
p 6  p 7  K 8 Q8 Q8
9
p 7  p8  K 9 Q9 Q9
1
p1  p1
2
Q1  Q 2  Q 4
3
Q 2  Q3  Q5
4
Q3  Q 6
5
Q4  Q7
6
Q 7  Q 5  Q8
7
Q 6  Q8  Q 9
8
p8  p8
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3.34
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Capitolo 3 – Elementi di meccanica dei fluidi
È necessario stabilire dei valori iniziali di portata e pressione con cui avviare il calcolo. Per
una rete del tipo in esame si potrebbe assumere come valore iniziale delle pressioni interne un
valore medio fra le pressioni fissate nei nodi di estremità e per le portate il valore di portata
che ne deriverebbe sul primo tratto.
3.15 Bibliografia
Sono numerosi i testi di Meccanica dei fluidi, la materia è inoltre trattata in tutti i testi
relativi a impianti a fluido.
R.W.Jeppson, Analysis of Flows in Pipe Networks, Ann Arbor Science Publishers.
Daugherty and Franzini, Fluid mechanics with engeering application, McGraw Hill.
Idel’cik, Memento des pertes de charge, Eyrolles
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3.35