Spunti sull`identità culturale degli italiani in Romania

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Spunti sull’identità
culturale degli italiani
in Romania
Introduzione
I
l fenomeno migratorio è da sempre esistito nella specie
umana e, ai giorni nostri, grazie allo sviluppo tecnologico dei mezzi di trasporto, gli
spostamenti sono maggiori e più facilitati rispetto a prima. Chi emigra lo fa per diverse ragioni quali la ricerca di un lavoro, fuggire da una guerra, riuscire in qualche
modo a dare una mano ai propri cari e, a volte, per spirito d’avventura; ma la motivazione principale che accumuna ogni emigrante è il bisogno di migliorare la propria
vita o almeno alcuni aspetti di essa. Migrare è difficile, in poco tempo si è costretti a
cambiare radicalmente tutto il proprio stile di vita, dai ritmi circadiani del sonno, al
cibo, al modo di relazionarsi con le persone e il mondo che li circonda. La lingua può
essere un ostacolo insormontabile ed è necessario riuscire subito ad acquisirla (almeno le competenze di base), sia per cercare un lavoro, ma soprattutto per riuscire ad
instaurare delle relazioni e delle amicizie in modo tale che l’emigrato non diventi
anche emarginato. Come se non bastasse l’individuo può incontrare nel nuovo paese
fenomeni di discriminazione sul lavoro e di razzismo. Dunque: l’abbandono della
propria terra, una realtà tristemente differente da quella sognata, e le difficoltà
innumerevoli e di varia natura che la persona migrante può incontrare possono sottoporre l’individuo a gravi problematiche psico-fisiche che si potrebbero ripercuotere
nelle relazioni sociali e nel processo integrativo. Tale disintegrazione del legame
sociale ostacola il sentimento di appartenenza e accentua quello di non appartenenza andando così a minare l’identità culturale dell’individuo. Si è visto da numerose
ricerche che gli immigrati possono essere sottoposti a una serie di problemi anche di
origine psicosomatica e di disturbi psicologici. I molteplici stressor a cui è sottoposta
la persona che emigra possono provocare, se la risposta di coping non è adeguata,
anche disturbi acuti dello stress o generare disturbi della condotta e in casi gravi
disturbi d’ansia maggiori (P. Bria-E. Caroppo-P. Brogna-M. Colimberti, Trattato italiano di psichiatria culturale e delle migrazioni, Seu, Roma, 2010). Sotto il profilo psicologico l’Io viene sradicato dalla cultura e dall’ambiente in cui fino ad ora si era evoluto, per subire cambiamenti che mettono in pericolo la stabilità dell’individuo come la
rottura dei rapporti sociali e familiari precedenti.
Alla luce di queste considerazioni abbiamo svolto una ricerca, partendo da un
campione più ampio, abbiamo somministrato un questionario d’approfondimento di
di Luciano Lagamba, Marco Lucaferri, Michele Balducci, Roberto Buonacucina, Emanuele
Caroppo, Ufficio ricerche SEI-UGL
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tipo qualitativo. La struttura del questionario presenta 62 domande chiuse e semistrutturate con chiarimenti attraverso domande aperte su alcuni aspetti d’ordine
emotivo e socio-psicologico. Dal campione generale ricavato per la ricerca più ampia
condotta sulla migrazione internazionale, si sono estrapolate per questo approfondimento le notizie relative esclusivamente agli italiani residenti nel mondo e in
Romania in particolare indagando le motivazioni e analizzando i punti di forza e le
debolezze dell’italiano all’estero. La nostra ricerca vuole focalizzarsi sugli aspetti
disfunzionali e sui plausibili cambiamenti della struttura dell’Io che l’individuo subisce
durante l’emigrazione, tentando, per quel che è possibile, di fornire spunti su come
limitare e controllare gli innumerevoli traumi a cui l’individuo viene sottoposto. La
Romania, già nel passato sbocco della nostra emigrazione, lo è diventata nuovamente di recente, sia attraverso gli imprenditori che delocalizzano le loro attività produttive sia attraverso gli italiani che si trasferiscono a loro seguito (quelli che sono stati in
prevalenza intervistati).
Il principio metodologico che ci ha guidati è stato il rispetto della persona nella
sua molteplicità e unicità. In questi mesi abbiamo avuto la preziosa occasione di
intervistare Persone, abbiamo cercato di farlo con la consapevolezza che ciò che compivamo era qualcosa di più di una semplice inchiesta per ricavarne risultati, ma con la
profonda convinzione che davanti, o dall’altro capo del telefono, avevamo Persone
che raccontavano la propria vita, i sogni e desideri spesso infranti da una realtà più
dura e crudele. Questa visione ci ha permesso, almeno crediamo, di entrare più in
contatto con gli intervistati che si sono aperti fornendoci dati interessanti su cui vale
la pena elaborare alcune riflessioni. Questa ricerca è stata realizzata col sostegno del
Sei Ugl che ha fornito il supporto concreto per ricercare i contatti fornendoci gli spazi
e i mezzi attraverso cui è stato possibile realizzare questa ricerca.
Gli italiani in Romania
Il fenomeno dell’emigrazione italiana sembra relegato ad un epoca lontana in
cui, con poche cose, ma molta speranza, si partiva a “cercar fortuna” nella lontana
America. La domanda che ci siamo posti è: “Ma ora gli italiani emigrano ancora?” La
risposta a questa domanda retorica è: di meno, ma sì. Quel che ci siamo chiesti, analizzando i dati, è: quali sono le peculiarità del migrante italiano e, nello specifico, del
migrante italiano in Romania?
In Romania secondo i dati degli iscritti all’Aire del 2010 sono presenti 2.910 italiani di cui il 69% sono maschi. Questo dato coincide con il nostro campione fornendoci
lo spunto per una riflessione: a muoversi per emigrare in questo paese sembrano
essere principalmente gli uomini. Dalla nostra ricerca l’italiano che emigra in
Romania è risultato essere una persona adulta con un’età compresa tra i 30 e i 45
anni. Si è visto che, in linea di massima, queste persone si spostano verso i 30/40 anni
nonostante abbiano un lavoro e un nucleo familiare già costituito in Italia. Questo
elemento risulta importante ai fini di un’interpretazione in chiave psico-sociale di chi
emigra; come raccolto nell’intervista, sembra che gli italiani che si stabiliscono in
Romania, quindi in un luogo relativamente vicino al paese d’origine, cerchino un
modo per evadere dall’Italia stessa come sistema e come società.
Riteniamo interessante notare come chi parta dall’Italia verso la Romania abbia
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già dei figli nel 66% dei casi, ma una volta stabilitosi tenda a formare un nuovo
nucleo familiare piuttosto che ricostituire quello già esistente. Spesso in queste particolari situazioni i figli italiani rimangono nel loro luogo d’origine mentre diventa più
raro il caso in cui l’intero nucleo familiare venga riunito. Alla domanda diretta “Pensi
di riunire la tua famiglia?”, i 2/3 degli intervistati dichiarano di non voler riunire la
famiglia rimasta in Italia. Questo dato risulta ancora più interessante se correlato al
campione esteso: il 97% dei soggetti sposati o conviventi, infatti, ha riunito la coppia
nel paese ospitante mentre la totalità dei soggetti che non l’hanno fatto o hanno
formato un nuovo nucleo familiare (come nel caso degli italiani in Romania) o vivono
come più frustrante la condizione di emigrato.
Dallo studio dei dati appare evidente una incapacità, o comunque una difficoltà,
nello scegliere un nuovo lavoro rispetto a quello che i soggetti svolgevano prima di
partire; sembra, infatti, che non ci sia stata nessuna mobilità, né in meglio né in peggio, nella scala sociale. Piuttosto gli italiani riferiscono la possibilità di avere uno spazio d’azione maggiore nel settore in cui prima erano impiegati e affermano di aver
riscontrato meno difficoltà e più flessibilità nel tessuto lavorativo e sociale. La dimensione lavorativa appare più stabile e un dato che lo conferma è riscontrabile nella
domanda: “Sei soddisfatto del tuo lavoro?” a cui il 20% ha risposto “molto” e il
restante “abbastanza”. Nessuno degli intervistati ha riferito di essere insoddisfatto
né tantomeno disoccupato. Quest’ultimo dato risulta essere molto interessante se si
considera il campione più esteso dove la percentuale dei disoccupati, in seguito all’emigrazione, è pari al 20%: sembra essere in aumento per via della crisi mondiale,
fenomeno che ha colpito indiscriminatamente qualsiasi migrante.
Il trasferimento all’estero sembra premiare il miglioramento delle condizioni economiche per il 58% del campione; il 15% dichiara, invece, che questo è avvenuto
solo in parte, e di questi il 27% afferma che il problema è legato alla crisi economica.
In ogni caso, quasi il 90% degli intervistati ha un lavoro stabile e sicuro soprattutto
rispetto alla situazione che aveva prima della partenza. Ciò nonostante se da un lato
il lavoro è più stabile dall’altro va sottolineata una condizione economica solo “sufficiente” (dichiarata dal 73% degli intervistati) anche se il 60% del campione dichiara,
comunque, che la situazione economica sia migliorata in seguito al trasferimento.
Nella ricerca estesa avevamo notato la presenza di fattori che aiutano l’integrazione e la buona riuscita del processo migratorio quali: il possedere una casa di proprietà, una buona conoscenza della lingua locale, la tutela della comunità d’origine
sul luogo, ma soprattutto l’idea di aver costruito qualcosa.
A riscontro di ciò il 65% degli italiani emigrati possiede una casa di proprietà e il
restante 35% vive in affitto o presso il datore di lavoro. La conoscenza della lingua è
buona e anche i contatti con i connazionali permangono, ciò sembrerebbe indicare
ulteriormente che non è per motivi di famiglia che queste persone scelgono di emigrare, ma semplicemente per cercare un’opportunità di lavoro.
Il livello d’integrazione è interessante; quasi la totalità, il 90%, degli intervistati in
Romania si sente accettata dalla comunità del luogo, sia come vissuto relazionale
(personale e familiare) che la sicurezza di un lavoro stabile. Ciò renderebbe chiara
l’importanza di avere l’opportunità e di saper ricreare un complesso di relazioni
sociali molto forte al fine d’integrarsi a pieno nel nuovo sistema sociale in cui l’emiRAPPORTO ITALIANI NEL MONDO
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grato è inserito non solo all’interno della propria comunità d’origine, che risulta radicata sul territorio, ma anche all’interno della comunità del paese ospitante.
Così come si sentono accettati, allo stesso modo rispondono “sì” alla domanda:
“Senti di aver costruito qualcosa?”. La dinamica integrativa sembra molto sviluppata
nonostante si mantengano vive le tradizioni del paese d’origine e in parte si assimilino le tradizioni locali o comunque queste sembrano convivere in una relazione stabile. Gli intervistati, nel 70% dei casi, si sentono più ricchi nel condividere tradizioni
diverse e dichiarano, nel 57% dei casi, di tornare in Italia raramente.
A tale proposito possiamo prendere in considerazione anche il fatto che la maggior parte delle persone rifarebbe la scelta di migrare. Infatti, sempre a favore di una
buona integrazione dei connazionali italiani in Romania, il 91% sembra soddisfatto
dell’esperienza di migrazione all’estero e ha risposto affermativamente alla domanda “Lo rifarebbe?”. Le difficoltà all’estero sono di varia natura: dai diritti sul lavoro,
alla lingua, al cercare un alloggio. Si evidenzia come alcuni intervistati solo inizialmente abbiano trovato difficoltà d’inserimento nella società e come, sin dagli anni
90, sia di ostacolo la burocrazia per un immediato e sereno inserimento.
L’incognita del futuro tra integrazione
e l’impossibilità di tornare indietro
Alla domanda su dove credono di avere un futuro migliore, gli italiani, nel 80%
dei casi, pensano di trovarlo nel paese in cui sono emigrati e, quindi, vivono. Al contrario solo il 17% ritiene che i propri figli avrebbero un futuro migliore nel paese
ospitante mentre un 48% ritiene che i figli abbiano opportunità uguali in entrambi i
paesi e che la scelta spetti a loro e alle logiche dell’economia e della geopolitica mondiale. A livello psicologico, nel campione esteso, i soggetti hanno dichiarato la sensazione di sentirsi stranieri in patria tanto quanto nel paese che li ospita. Il senso di non
appartenenza comporta un non equilibrio nell’armonia della persona che finisce col
muoversi incerta all’interno del tessuto sociale. I fattori esterni su cui l’Io si struttura
vengono a mancare e ciò comporta una perdita o una crisi dell’identità. Il dato decisamente più importante, fra quelli che abbiamo raccolto, sembra questa perdita d’identità culturale che, come prima accennato, favorisce la disgregazione dell’Io e agevola l’aumento di stress; in concomitanza con fattori stressanti quali condizioni economiche precarie, relazioni sociali non buone, situazione sentimentale insicura e lontananza dalla famiglia. Alla luce di ciò abbiamo ipotizzato un intervento preventivo
che vada a promuovere gli aspetti dell’integrazione in grado di facilitare un buon
processo migratorio. Di grande importanza l’azione preventiva dovrebbe essere
posta sulla conoscenza della lingua del paese ospitante. Di contro le relazioni sociali
ne trarrebbero giovamento e permetterebbero l’inserimento in strutture aggregative. Per ultimo sembra emergere l’importanza del ricongiungimento coniugale o
comunque la creazione di uno nuovo legame per l’immigrato. Inoltre sarebbe auspicabile una campagna di sensibilizzazione sull’immigrazione volta a far emergere la
bellezza e la ricchezza della diversità piuttosto che la paura.
Tutto questo sembra già appartenere all’identikit dell’italiano medio in Romania.
Ancora una volta i dati sembrano sostenere la nostra ipotesi, ovvero una buona idenRAPPORTO ITALIANI NEL MONDO
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tità culturale e una buona integrazione nel tessuto sociale sembrano essere fattori
determinanti per un’immigrazione vincente e positiva.
Complessivamente si può aggiungere che i soggetti sembrano essersi integrati in
modo socialmente costruttivo e funzionale; questo emerge dallo studio dei dati e
dall’analisi delle domande aperte, che risultano utili per un’analisi approfondita di
alcune dinamiche di adattamento socio-psicologico.
L’approfondimento dell’intervista è realizzato con domande aperte dove è stata
data la possibilità al soggetto di poter avere un suo spazio e un proprio tempo per
rispondere ai quesiti. Gli interrogativi volevano inquadrare un aspetto emotivo e di
vissuto sul fenomeno migratorio ed i soggetti sono sempre stati, chi più chi meno,
disponibili alla collaborazione e a spiegarci cosa voleva dire per loro migrare. Alcune
domande le abbiamo tenute di base, altre le abbiamo somministrate come
approfondimento per riuscire ad avere un quadro dettagliato d’insieme a seconda
della situazione.
Principalmente si inizia con la richiesta di spiegarci le motivazioni della partenza
dal paese d’origine e del perché sia stata scelta la Romania come paese in cui emigrare. Le storie sono le più diverse e come psicologi ci è sembrato importante sottolineare l’aspetto personale di ognuno a discapito della presentazione statistica dei dati
nell’area delle domande aperte.
La dimensione fenomenologica sembra fondamentale non solo per comprendere
la situazione dell’immigrato, ma anche e soprattutto per aver una possibilità di formulare un modello preventivo atto ad evitare problemi di ordine psicologico a chi
viene nel nostro paese o a chi dal nostro paese emigra in altri posti.
Un fattore emerso dalle domande risulta essere la ricerca di lavoro come motivazione principale della migrazione. Altri cercavano un costo inferiore delle materie
prime d’area industriale; un caso particolare è stato quello di un italiano che, aspettando un carico in Romania, è rimasto fermo per talmente tanto tempo da decidere
di trasferirsi definitivamente. Le circostanze sono molte, diverse tra loro (per natura e
tutte particolari tanto che ci sembra riduttivo generalizzare su elementi comuni, ma
che per varia natura e situazione si differenziano tra loro.
Un punto di riflessione è stato fornito dalla domanda: “Cosa pensi dei tuoi connazionali in Romania?” dove abbiamo trovato molte risposte negative; ad esempio un
soggetto emblematico ci ha risposto che “Non mi sento sicuro, la situazione è brutta”. Si riscontra, ad un’analisi più approfondita, uno stereotipo negativo degli italiani
in Romania, soprattutto dei turisti, che si oppone ai dati annessi nelle domande a
scelta obbligata a risposta dicotomica sì/no (“Frequenti connazionali?”).
Sembra che all’interno della comunità italiana ci sia un divario sociale e una
forma di egoismo; ciò nonostante i soggetti frequentano connazionali in gruppi elitari e ristretti che, comunque, agiscono come fattore protettivo e aggregativo.
Una domanda ulteriore è stata: “Hai paura di tornare nel tuo paese? Se sì, di
cosa?” anche qui la situazione è particolare. Circa il 20% ha risposto che non sarebbe
un problema tornare in patria, mentre il restante 80% attraverso le più diverse motivazioni (in Italia è tutto cambiato, la mancanza di lavoro e la difficoltà di reinserimento nel tessuto sociale) ritiene che il tornare definitivamente in Italia comporti
problemi e che non rientri in un futuro possibile.
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Il confronto tra una immagine di sé nel passato e quella nel presente, sembra
poter attivare meccanismi di difesa primitivi, come la paura e l’ansia di una prestazione che potrebbe essere al di là delle forze del singolo individuo.
Abbiamo anche avuto l’opportunità di richiedere agli intervistati di dare un titolo
alla propria esperienza all’estero e spesso la risposta sembrava essere rappresentativa
del vissuto del soggetto, sintetizzando con una frase un modo di essere, di vedere il
mondo rispecchiando spontaneamente la situazione in cui vivono i nostri connazionali in Romania. Una fra le tante rivela la fatica e la difficoltà che s’incontrano nell’abbandonare la propria terra per un’altra, dove “ricominciare da capo” sembra da
un lato impossibile e dall’altro un’avventura avvincente: “Un lottatore che lotta per
vincere le gare e se stesso”. Dalle domande di approfondimento risulta, inoltre, che
l’impatto emotivo dei soggetti di fronte ad un realtà diversa rispetto a quanto atteso
è molto negativo. Per le questioni su citate il problema del primo approccio ad una
dimensione nuova di vita sembra essere fondamentale al fine di poter far emergere
le qualità e le risorse dell’individuo necessarie ad un inserimento immediato. In questo ci pare risolutivo trovare un partner con cui poter costruire una famiglia e un
ambiente sicuro, dove l’intimità e i tratti di personalità dell’individuo, possano esser
ristrutturati su basi solide. Il creare una nuova famiglia porta ad un distaccamento
ulteriore nei confronti dell’Italia e ad un sentimento di avversione nel ritornare a stabilirsi di nuovo nel paese d’origine.
Conclusione
In conclusione, dai dati analizzati risulta che l’italiano che emigra in Romania
sembra avere un buon grado d’integrazione, ricreando un famiglia ex novo al fine di
radicare la propria identità in un terra così diversa. Le persone che si spostano risultano essere uomini che lavorano nell’industria e nel terziario. Questi riescono costruttivamente a dar forma a una nuova rete di relazioni sociali e a trovare nel lavoro non
più una precarietà o una preoccupazione, ma una parte stabile anche della loro identità, che a partire dalla base si protende verso una scalata sociale e un miglioramento
delle proprie condizioni di vita. I rapporti sociali essendo buoni si estendono anche
ad attività ricreative di vario genere, attraverso strutture come chiese e punti di ritrovo quali pub e cerchie di connazionali, anche se abbastanza ristrette.
Nell’intervistare queste persone spesso è insorto un motivo di preoccupazione, di
difficoltà da superare, ma umanamente ci hanno ricordato, con un sorriso, che è
importante sempre riprendersi e aver coraggio nonostante le difficoltà. A tal proposito, ci ritorna in mente un’espressione di un nostro connazionale in Romania : “Un
po’ di qua, un po’ di là, Luca và dove il cuore sta!”
Non crediamo sia possibile che questa ricerca possa presentare in toto la complessità del fenomeno migratorio e nello specifico degli italiani in Romania. Le dinamiche
che si prefigurano in una situazione così articolata sono, infatti, molteplici e a diversi
livelli di complessità. Siamo consci che il nostro sia solo un contributo che necessita
ulteriormente di approfondimenti sia per confermare i dati raccolti sia per ampliare
con ulteriori indagini di ordine psicologico.
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