[email protected] 09.01.2015 15:44 James Oswald Il libro del male Traduzione di Leonardo Taiuti [email protected] 09.01.2015 15:41 Per Barbara Titolo originale: The Book of Souls Copyright © James Oswald 2013 All rights reserved http://narrativa.giunti.it © 2015 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione: febbraio 2015 Ristampa Anno 6 5 4 3 2 1 0 2019 2018 2017 2016 2015 [email protected] 09.01.2015 15:41 1 Le strade sono deserte. La zona nord della città è immersa in una calma innaturale, come se tutti i rumori fossero stati ri­ succhiati via dai festeggiamenti su Princes Street. Solo qualche taxi occasionale disturba il silenzio, mentre un uomo avanza a piedi, diretto chissà dove. Lontano dalla folla, lontano dal divertimento, lontano dalla gioia. Sta vagando da ore, alla ricerca di qualcosa, anche se nel suo cuore sa che è ormai troppo tardi. È già stato lì? Quel luogo è terribilmente familiare: le lancette dell’orologio della torre puntate sulla mezzanotte e sull’imminente nuovo millennio; l’acciottolato luccicante di pioggia; il bagliore arancione sull’a­ renaria, che tinge tutto di una luce diabolica. I piedi lo portano giù, attraverso i nove cerchi dell’inferno, la sua disperazione aumenta a ogni passo. Perché si ferma sul ponte? Forse ha sentito un suono ina­ spettato. L’ eco di un grido di tanti anni prima. O forse è l’im­ provviso silenzio della città che trattiene il respiro, mentre con­ ta gli ultimi secondi che la separano da una nuova alba. Non riesce a condividere quell’entusiasmo, non gli importa niente. Se potesse fermare il tempo, ricominciare, farebbe tutto diver­ samente. Ma questo è soltanto un istante, e dopo ne seguiranno altri, e altri ancora. All’infinito. 5 [email protected] 09.01.2015 15:44 Si appoggia al parapetto di pietra e osserva l’acqua sotto­ stante, scura e agitata. Qualcosa l’ha portato qui, lontano dai festeggiamenti e dal baccano. Una potente esplosione segna la fine del vecchio e l’inizio del nuovo. I fuochi d’artificio si alternano in rapida successio­ ne, sorgendo da dietro gli alti edifici e illuminando il cielo. Un milione di nuove stelle riempiono la volta celeste, scacciando le ombre, riflettendosi sull’acqua nera, mostrando il suo orribile segreto. Un lampo, e l’acqua assume strane forme che svaniscono subito, fantasmi di un’immagine. Un lampo, e pesci spaventati fuggono dalle dita che stavano mordicchiando. Un lampo, e lunghi capelli neri fluttuano nella corrente, come alghe tra le onde. Un lampo, e la forza repressa di una settimana di pioggia abbatte gli ultimi ostacoli. Quella cosa si muove lentamente verso il mare, rotolando nell’acqua. Un lampo, e una faccia pallida lo guarda con occhi suppli­ chevoli. Un lampo… 6 [email protected] 09.01.2015 15:44 2 «Aaah! Cavolo, è un topo quello?» «Abbassa la voce, agente.» «Ma sergente, mi è salito su un piede. Era grosso come un castoro.» «Non mi interessa, neanche se era grande quanto me! Sta’ zitto finché non ci fanno il segnale.» Un silenzio teso calò sulla strada buia, dove il manipolo di poliziotti se ne stava acquattato dietro i sacchi della spazzatu­ ra, davanti a un edificio apparentemente privo di vita. Il co­ stante, sommesso ruggito della città attorno a loro sottolinea­ va quell’immobilità; la luce insufficiente dell’unico lampione funzionante avvolgeva ogni cosa in un’atmosfera crepuscolare. Era mattina presto e chi viveva in quella zona della città stava sicuramente dormendo o era privo di sensi per il troppo bere. Due ticchettii dalla ricetrasmittente, poi una voce metallica nella cuffia: «Sul retro è pulito. Via libera». Le figure scure si mossero, spuntando dalla spazzatura. «Okay, gente, al mio segnale. Tre… due… uno…» Lo schianto del legno spezzato riecheggiò nell’aria, seguito da un grido. «Accidenti, non era nemmeno chiusa.» Poi: «Cristo santis­ simo, il pavimento è coperto di merda!». 7 [email protected] 09.01.2015 15:44 L’ ispettore Anthony McLean sospirò e accese la torcia. Riusciva solo a vedere la figura in nero dell’agente Jones che tentava di districarsi da una pila di sacchi della spazzatura am­ mucchiati nell’ingresso. «A Tulliallan non ti hanno insegnato a controllare prima?» Superò l’agente e s’infilò nell’edificio umido, annusando l’aria e cercando di non soffocare. Spazzatura marcia, mista a piscio e muffa, l’odore tipico dei sobborghi di Edimburgo. Di solito però non era così intenso, e comunque non era mai un buon segno. «Bob, a te il pianoterra. Jones, aiutalo.» McLean si voltò ver­ so l’ultimo membro del gruppo, un giovane detective dai tratti angelici, che aveva avuto la sfortuna di trovarsi alla centrale un’ora prima, con l’aria di uno che non aveva niente di meglio da fare. Ecco la ricompensa per tanto entusiasmo, pensò Mc­ Lean. «Vieni con me, MacBride. Vediamo se troviamo qualcosa per cui sia valsa la pena sfondare una porta aperta.» Il condominio aveva tre piani, ognuno dei quali ospitava due appartamenti. Nessuna delle porte era chiusa e i graffiti dise­ gnati su ogni superficie disponibile erano vecchi di almeno un paio di generazioni. McLean entrò con cautela in tutte le stanze, illuminando con la torcia mobili rotti, prese elettriche strappa­ te via e qualche topo morto. Il detective MacBride gli rimase sempre vicino come un Labrador obbediente: quasi troppo per i suoi gusti. O forse gli stava accanto solo perché aveva paura di sfiorare qualcosa. McLean non poteva biasimarlo. Per mandare via quella puzza ci sarebbero volute settimane. «Un’altra perdita di tempo» disse McLean quando uscirono dall’ultimo appartamento e si fermarono sul pianerottolo di 8 [email protected] 09.01.2015 15:44 fronte. I vetri delle finestre che davano sui giardini lì intorno erano spariti da tempo. Se non altro, il vento freddo avrebbe spazzato via un po’ di quel cattivo odore. «Mmm, perché siamo qui, signore?» La domanda suonò poco convinta, come se MacBride fosse stato combattuto fino all’ultimo prima di pronunciarla ad alta voce. «Ottima domanda, detective.» McLean puntò la torcia verso le scale, poi sul soffitto, illuminando un lucernario di vetro rinforzato. Era lontano dalla portata dei vandali e abbastanza robusto da resistere a una cannonata, eppure un paio di pan­ nelli erano incrinati. «Abbiamo ricevuto una soffiata da un informatore. Una spia. Com’è che li chiamano ora? Human Intelligence?» accompagnò queste parole disegnando delle vir­ golette con le dita. «A dire il vero… il mio informatore è un tossico di nome Izzy ed è completamente inutile. Mi rifila un sacco di stronzate solo perché mi tolga dai piedi. Mi ha detto che questo posto era usato come centro di spaccio. Stupido io ad avergli creduto.» Altre luci guizzarono nell’oscurità del pianoterra, dove il sergente Bob Laird e l’agente Taffy Jones si facevano largo tra i sacchi della spazzatura. Se avessero trovato qualcosa avreb­ bero chiamato, ma a giudicare dalla situazione era poco pro­ babile. Ultimamente era sempre così. Poldo ne sarebbe stato entusiasta. «Forza. È meglio se non facciamo salire tutte le scale a Bob il Burbero. Torniamocene al calduccio in centrale.» McLean cominciò a scendere, ma arrivato a metà strada si accorse di non essere stato seguito. Si voltò e vide MacBride che puntava la torcia in un punto sopra la lunetta di una porta. Un piccolo portello permetteva di accedere alla soffitta dell’edificio. Non 9 [email protected] 09.01.2015 15:44 ci sarebbe stato nulla di sospetto, se non fosse stato per il fatto che era chiuso da un paletto nuovo di zecca. «Non crede che lassù possa esserci qualcosa, signore?» chie­ se MacBride quando McLean lo raggiunse sul pianerottolo. «C’è solo un modo per scoprirlo. Fammi salire.» McLean si infilò la torcia in bocca, poi mise il piede sulle mani a coppa del detective. Non c’era nulla a cui sostenersi, eccetto una piccola sporgenza sotto il portello, e dovette al­ lungarsi per mettere il piede sulla balaustra traballante prima di riuscire a tirare il paletto. Il punto in cui fino a poco tempo prima si trovava un lucchetto era più lucido. «Tieni duro.» McLean spinse il portello. All’inizio fece re­ sistenza, poi si aprì con facilità, ruotando su cardini ben oliati. Lo accolse un’oscurità diversa e un odore dolce di muschio, decisamente in contrasto con il tanfo che impregnava il resto dell’edificio. Girò la testa finché non riuscì a puntare la torcia nell’apertura; vide fogli di alluminio sulle travi, basse panche di legno, luci fluorescenti. «Non la reggerò ancora per molto, signore.» La voce di MacBride tremava per lo sforzo. McLean si diede la spinta sulla balaustra e saltò sul pianerottolo. L’ altro lo guardava con un’espressione preoccupata, come se temesse di venire rimpro­ verato per la sua debolezza. McLean gli sorrise. «Prendi la radio» disse. «Credo che presto ci servirà una squadra della scientifica.» Eliminare i sacchi della spazzatura era servito a rendere l’aria più respirabile, ma il pavimento era appiccicoso e coperto di liquami su cui era meglio non indagare troppo. McLean osser­ vò la fila di agenti della scientifica in tuta bianca scendere dal 10 [email protected] 09.01.2015 15:44 furgone, passare per il corridoio e salire le scale, trasportando valigette d’alluminio piene di attrezzature costose. «Mi dispiace per il poveraccio che dovrà occuparsi di quella roba.» Bob il Burbero indicò con la testa la pila di sacchi della spazzatura, che erano già stati classificati come «prove» e in attesa di un camion che li portasse via. «Dovrò farlo io, come sempre. Chi è l’ufficiale in comando, qui?» Una figura vestita di bianco si fermò a metà del corridoio. Si tolse il cappuccio mostrando una nera e irsuta capigliatura. Secondo alcuni, in centrale, Emma Baird usciva con McLean, secondo altri no. Lui comunque non la vedeva da due setti­ mane, era rimasta su ad Aberdeen per un addestramento o qualcosa del genere. Scorgendola nella penombra, desiderò che l’incontro fosse avvenuto in una circostanza migliore. Guardò Bob il Burbero, che si mostrò indifferente. «Ciao, Em» McLean uscì dall’ombra per farsi vedere. «Pen­ savo fossi ancora ad Aberdeen.» «Sto cominciando a rimpiangerla» disse lei, guardando il mucchio di spazzatura. «Sai che quell’attico non viene utiliz­ zato da mesi, vero?» «Merda.» Un altro vicolo cieco. Eppure gli era sembrata così promettente come pista… «Esatto, merda. Ventitré puzzolenti sacchi di merda, per essere precisi. E toccherà a me analizzare tutto, pur sapendo che dentro non c’è un cazzo di utile per la tua indagine. A meno che tu non decida che non è necessario…» Si interruppe e guardò prima lui, poi Bob, come se non sapesse bene a chi rivolgersi. «Se potessi lo farei, Em» McLean tentò di sorridere, ma sapeva che sarebbe stato inutile. «Conosci Poldo.» 11 [email protected] 09.01.2015 15:44 «Oh, cavolo. Non è mica lui che comanda?» Emma accar­ tocciò il cappuccio della tuta nella mano guantata, se lo infilò in tasca, si voltò e urlò ai ragazzi della scientifica. «Forza, gen­ te. Prima cominciamo, prima ci facciamo una doccia.» E uscì senza dire altro. 12 [email protected] 09.01.2015 15:44 3 Una pioggia gelida sferza il cimitero, trasformando la neve in una poltiglia grigiastra. Il cielo è plumbeo, le nubi si rincorrono come onde. Lui è in piedi sul bordo della fossa e scruta il buio, mentre un religioso mormora qualche banalità. Uomini forti afferrano le corde che avvolgono il feretro. Lei è lì dentro, immobile e fredda, nel vestito preferito di sua madre. Il suo vestito preferito. Lui vuole aprire il coperchio e vedere quel viso, un’ultima volta. Vuole stringerla tra le braccia e far sì che il passato scompaia, che tutto questo non sia mai successo. Cosa avrebbe dato pur di tornare indietro di un paio di mesi? L’ anima? Di sicuro. Portatemi il contratto e firmerò con il sangue. Non mi serve un’anima, ora che lei non c’è più. Ma non si muove. Non riesce a muoversi. Dovrebbe aiutare gli uomini a sotterrarla, ma non ce la fa. L’ unica cosa che riesce a fare è restare lì, in piedi. Una mano sul braccio. Si volta e vede una donna vestita di nero. Le lacrime le scorrono lungo il viso bianco, ma il suo sguardo è pieno di odio. Quegli occhi lo accusano. È colpa sua. È colpa sua se la sua bambina, la sua unica gioia, sta per essere ricoperta di terra. Sarà cibo per i vermi. È morta. Non può dare torto a quegli occhi. Hanno ragione, la colpa 13 [email protected] 09.01.2015 15:44 è sua. Se la donna l’avesse spinto nella tomba, lui non l’avrebbe fermata. Sarebbe stato felice di giacere sulla sua bara. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che cercare di vivere senza di lei. Ma lo sa che ci proverà. 14 [email protected] 09.01.2015 15:44 4 Era da poco passato mezzogiorno e il pallido sole autunnale stava già per tramontare. McLean guardò le nuvole che incom­ bevano su Salisbury Crags e tremò al pensiero dell’inverno in arrivo, quando la mole di cemento della centrale l’avrebbe inghiottito in un mondo di luci artificiali e finestre fumé. In quel momento voleva solo sentire il vento sul viso. In qualsiasi posto, ma non al chiuso. «Vuole rimanere lì fuori tutto il giorno, signore? Dentro c’è una tazza di tè che mi aspetta.» Bob il Burbero sbatté la portiera della volante e si diresse verso l’ingresso posterio­ re della centrale. Non aveva fatto più di una dozzina di passi quando il suono di un clacson lo fece sobbalzare. Uno stridio di freni e una Jaguar station wagon nuova fiammante inchiodò sulla rampa che usciva dal parcheggio sotterraneo. Un uomo dall’imponente figura scese dall’auto. «Scusami, Bob. Non ti avevo visto, ero controsole.» «Che cavolo, Needy. C’è mancato poco!» disse Bob portan­ dosi una mano sul petto, con fare teatrale, e appoggiando l’altra sul cofano dell’auto. «Bella carriola, comunque. Mi deve essere sfuggito qualcosa, hanno dato un aumento a tutti i sergenti?» «Lascia perdere Bob, tu spendi tutti i tuoi soldi in birra e donne…» 15 [email protected] 09.01.2015 15:44 McLean guardò Needy, sergente John Needham per chi non lo conosceva bene. Re dei sotterranei della centrale, del magazzino delle prove e guardiano degli archivi. Di solito si poteva fare affidamento su di lui per portare un po’ di allegria in qualsiasi situazione. Ora, però, sembrava teso, aveva il volto pallido e stanco. «Buon pomeriggio, signore.» Needy si mosse con difficoltà per salutare McLean, la gamba gli dava più problemi del solito. McLean ricordava l’atletico sergente che l’aveva preso sotto la sua ala, tanti anni prima. Se non fosse stato per uno sfortunato incontro con un coglione ubriaco, probabilmente sarebbe stato Needy a condurre le indagini e McLean a chiamarlo signore. «Buon pomeriggio, Needy. Bob ha ragione. Bella macchi­ na. Hai deciso di farti un regalo per la pensione? Ormai non manca molto.» «A febbraio.» Needy non sembrava felice al pensiero. «Dopo Capodanno, addio a tutto.» Allargò le mani a indicare il cortile e le pareti smorte, come se chiamasse l’applauso di un pubblico immaginario, dietro le finestre silenziose. «I Needham lavo­ ravano in polizia prima ancora che costruissero questo posto. Un centinaio d’anni di servizio, fra tutti. E io sono l’ultimo.» «Come sta il tuo vecchio, a proposito?» chiese McLean. Tom Needham, quarant’anni di carriera in polizia. Era da un po’ che non passava in centrale. Di solito se ne andava in giro come se quel posto fosse suo e ficcava il bastone da passeggio negli affari di tutti. Non importava che fosse in pensione da tempo e non fosse autorizzato a stare lì. Non c’era nessuno, alla centrale, che avrebbe osato dirgli di andarsene. Un’ombra passò sul viso di Needy, che fece per risalire in macchina. 16 [email protected] 09.01.2015 15:44 «È di nuovo in ospedale. Stavo andando a trovarlo.» «Fagli i miei auguri» disse McLean. «Non voglio trattenerti.» «Tranquillo, non ci tengo a restare. Voglio essere il più lon­ tano possibile da qui quando Poldo saprà del tuo raid di sta­ mattina.» «E tu come diavolo fai a saperlo?» chiese McLean. Ma Needy si limitò a sorridere, chiuse la portiera e sfrecciò via. La tensione cresceva mentre McLean saliva le scale che con­ ducevano al cuore della centrale. La percepiva nell’immobilità dell’aria. Poi c’era l’odore della paura che pervadeva i corridoi. Oppure qualche agente aveva bisogno di farsi una doccia. La più grande centrale operativa dell’edificio occupava una vasta porzione del primo piano. Le alte finestre davano sulla strada, dove si addensava il traffico dei pendolari dei Borders, diretti in centro. McLean entrò al suo interno e fu accolto da un clima di fermento. Agenti e sergenti in uniforme correvano avanti e indietro tra una fila di computer, una lavagna a parete e una mappa della città che copriva un muro intero. Decine di persone parlavano al telefono; una considerevole forza lavoro impiegata in straordinari sempre più lunghi. E tutto per cosa? Una soffiata inutile che li aveva condotti a un sito abbandonato da tempo che probabilmente non aveva niente a che vedere con la loro indagine. «Bene, bene, bene. Guarda un po’ chi c’è. Stavo comincian­ do a chiedermi che fine avessi fatto.» McLean si voltò, sollevato di poter riferire le ultime noti­ zie all’unico che forse non l’avrebbe massacrato. L’ ispettore Langley era un tipo a posto, per essere della narcotici. Tecni­ camente, tutta l’indagine avrebbe dovuto essere affidata a lui; 17 [email protected] 09.01.2015 15:44 a McLean sarebbe dovuto toccare solo il supporto logistico, qualunque cosa significasse, ma entrambi erano stati costretti ad assumere ruoli diversi a causa delle costanti interferenze di un certo ispettore capo che, con sollievo di McLean, non sembrava essere nei paraggi. «Com’è andata, allora?» chiese Langley, tentando invano di non far capire che sapeva già tutto. McLean fece spallucce. «Troppo presto per dirlo. La scien­ tifica potrebbe trovare qualcosa. Di sicuro le abbiamo dato parecchio su cui lavorare.» «Sì, ho sentito.» Langley si esplorò una narice con l’indi­ ce, che poi osservò come se stesse decidendo se infilarselo in bocca o meno. Alla fine optò per strofinarselo sulla giacca. «E a quanto pare anche il capo.» E spostò lo sguardo alle sue spal­ le, verso una porta aperta. In quel momento, McLean sentì la temperatura scendere; nella centrale operativa calò il silenzio. «Dove diavolo sei stato, McLean? È tutto il giorno che ti cerco.» L’ imponente figura dell’uomo che McLean meno sopporta­ va al mondo fece il suo ingresso nella stanza: l’ispettore capo Charles Duguid, altrimenti detto Poldo. Era la settimana in cui sfoggiava l’abito marrone di poliestere, logoro sui polsi e lucido sui gomiti. Sembrava più un professore che un detective, il tipo di professore che gode nell’infierire sui ragazzini meno bravi e il cui comportamento fomenta la rabbia degli studenti. Con quei capelli radi e grigi, il viso pallido e butterato, che diventava rosso di rabbia alla prima occasione, la figura allampanata e le mani troppo grandi, sembrava un orango vestito a festa. Cerca di essere ragionevole, almeno all’inizio, pensò McLean. «Se ricorda, signore, le ho detto che sarei andato a verificare 18 [email protected] 09.01.2015 15:44 una soffiata di uno dei miei informatori. Sa quanto è difficile beccare questa gente. Ho pensato di fare in fretta prima che se la svignassero.» «Quindi l’indagine è già chiusa? Mentre parliamo, i colpe­ voli sono in cella e la città è nuovamente libera dalla minaccia della cannabis…» sogghignò Duguid. «Non eri un semplice sergente, il mese scorso?» «Non vedo cosa c’entri questo con…» «Alcuni di noi hanno un po’ più di esperienza di te nel ge­ stire le indagini, McLean. Anche il nostro Langley ha arrestato i suoi bravi spacciatori, ai suoi tempi. E lo sai qual è l’aspetto più importante di una squadra investigativa, eh? Ricordi l’addestra­ mento, eh?» A ogni «eh?», Duguid si avvicinava sempre di più, sfruttando al massimo la sua altezza per intimidire McLean. «È una parolina semplice, McLean.» Duguid gli puntò un di­ to sul petto, l’unghia ingiallita dopo una vita di sigarette. «Squa­ dra. S. Q. U. A. D. R. A. Non si parte per un raid senza coordinarsi con tutti gli altri. E invece tu che fai? Acchiappi i primi agenti che ti capitano sottomano e fai irruzione a pistole spianate?» McLean voleva protestare, ma rinunciò subito quando si re­ se conto, suo malgrado, che nelle parole dell’ispettore capo c’e­ ra del vero. Si era completamente scordato della squadra, quella di cui avevano parlato nel veloce briefing lo stesso giorno. «Be’, che hai da dire in proposito?» chiese Duguid, frugan­ dosi nelle tasche della giacca e tirando fuori una mentina che aveva l’aria di essere vecchissima. La ripulì da quello che Mc­ Lean sperò fosse tabacco e se la infilò in bocca. «Abbiamo trovato fari potenti e attrezzatura idroponica nel loft dell’edificio indicato dal mio informatore» rispose, poi rag­ guagliò l’ispettore capo circa le attività del mattino. Per una 19 [email protected] 09.01.2015 15:44 volta, Duguid non lo interruppe, forse perché era troppo preso a godersi la sua mentina al sapore di tabacco. «Quindi, quelli della scientifica stanno analizzando per noi due dozzine di sacchi di spazzatura. E confermi che era una vita che qualcuno non entrava in quel posto…» McLean fece una smorfia. «Almeno sappiamo che sono passati di lì.» «Sappiamo bene dove sono stati, McLean. Abbiamo indivi­ duato mezza dozzina di siti in tutta la città.» Duguid indicò con una mano la fila di computer e gli agenti chini sulle tastiere o rivolti agli schermi con sguardo miope. «Abbiamo un’infinità di informazioni su dove sono stati. A me serve sapere dove sono adesso.» «Lo so, signore, ma…» «Non una parola di più. È già abbastanza penoso dover ascol­ tare Langley che si lamenta tutto il giorno come una pecora. Ti ho fatto entrare in quest’indagine perché il sovrintendente capo McIntyre pensava fosse una buona idea.» Duguid s’incupì pro­ nunciando il nome della sua superiore, come se il solo pensiero fosse sufficiente a metterlo di malumore. «L’ hai sicuramente fregata con il tuo sorriso, ma con me non funziona.» «Se non vuole il mio aiuto, signore, ho un sacco di altre cose di cui occuparmi. Non sappiamo ancora chi dà fuoco a quei vecchi edifici, per esempio.» McLean si rese conto di sembrare patetico, ma era troppo tardi per rimangiarsi tutto. Duguid si stizzì e diventò rosso come un peperone. «Fuori, McLean.» La sua voce stava crescendo di tono e di volume. «Vai a cercare il tuo piromane. Lascia il vero lavoro a chi lo sa fare.» 20 [email protected] 09.01.2015 15:44