Come imparare a parlare in pubblico e convincere gli altri In Italia i corsi di “formazione manageriale” presero l’avvio, come è noto agli affezionati frequentatori della rubrica, agli albori degli anni sessanta dello scorso secolo. Stava iniziando un profondo cambiamento del paese la cui economia si sarebbe trasformata, in pochi anni, da agricola a industriale. Erano gli anni, tanto per capirci, in cui i nostri ritmi di sviluppo erano analoghi a quelli dell’odierna Cina (la nostra “liretta” veniva premiata con l’oscar delle monete). La preparazione offerta da Scuola e Università, per gestire quello che ora chiamiamo disinvoltamente il “business”, non era sufficiente. Le nuove conoscenze venivano fornite dai corsi che si svolgevano, fuori stagione ovviamente, in amene località di villeggiatura. I docenti, generalmente di educazione nord americana, trasmettevano i rudimenti di una nuova scienza, il “management”, non ancora ospitata dal sistema scolastico. Nei corsi più evoluti e costosi mai mancava un cenno al “parlare in pubblico” nonostante i partecipanti snobbassero l’argomento, ritenendolo superfluo. Studiare e approfondire le tecniche per la preparazione del discorso, l’impostazione della voce, le regole della retorica e la gestualità relativa, era considerata una perdita di tempo. Quando mai il manager avrebbe dovuto affrontare un uditorio? Non era, e non si sentiva, né comiziante, né avvocato e nemmeno un insegnante! A onor del vero in fabbrica la gente ci dava dentro, senza bisogno di tanti discorsi, ben contenta di aver lasciato la dura fatica dei campi in cambio di una retribuzione sicura, che correva tredici volte l’anno. I politici poi, quelli che facevano i comizi, e i sindaci, abituati a parlare in Consiglio Comunale non mancavano mai di segnalare casi pietosi di gente che non riusciva a sfamare la famiglia… . Il docente italo americano, nome e soprannome inglese e cognome italiano (“Piacere Robert, chiamami Bob e dammi del tu”), non riusciva a suscitare l’interesse dei partecipanti nemmeno quando spiegava che sin da 1912, in New York si era iniziato ad insegnare ai manager USA l’arte di parlare in pubblico. Avete capito bene: l’avvio della nuova disciplina risale al lontano anno in cui affondava, durante la traversata inaugurale, il Titanic. A lume di logica, quanto trasmesso doveva essere di qualche utilità se il successo durava da oltre cinquant’anni! Quando il povero Bob accennava, sia pure per sommi capi, alle regole per la comunicazione efficace: “Raccontate un fatto che colpisce; promettete di dire ai presenti come ottenere qualcosa che vogliono, ricorrete alle statistiche, mostrate un oggetto (ben visibile all’uditorio)” i sorrisini si sprecavano; il docente per riconquistare l’attenzione ricorreva allora a un rilassante “coffee break”. Le regole per ottenere successo quando si parla in pubblico lentamente cominciano a diffondersi, a distanza di tanti anni, anche in Italia. Non sono però ancora di dominio pubblico; chi diligentemente le applica viene accreditato, dai commentatori politici, come “grande comunicatore”, mentre altro non è se non un diligente e volenteroso scolaretto che molto si è impegnato nello studio di un aureo libretto di Dale Carnegie, pubblicato in USA nel 1962 e da noi arrivato solo nel 1990, dal titolo: “Come parlare in pubblico e convincere gli altri”. La Voce di Forlì Cesena, 27 gennaio 2006 © RIPRODUZIONE RISERVATA