La natura della luce; ottica geometrica e propagazione della
 luce; lenti, immagini, ingrandimenti e microscopio; le fibre
ottiche e il loro utilizzo nelle tecniche di indagine medica.
V^ lezione
LE DOMANDE
- Di che cosa è fatta la luce ?
+ Definizione e ripresa del concetto di onda elettromagnetica
+ La natura corpuscolare della luce: i fotoni
+ Il laser e il suo funzionamento
-
Di che cosa si occupa l’ottica geometrica ?
+ La propagazione rettilinea della luce e diffrazione
+ Ripresa della rifrazione
+ Le lenti convergenti
 Le leggi delle lenti sottili
+ Gli strumenti ottici: il microscopio
 Il microscopio a scansione elettronica è uno strumento ottico ?
+ L’occhio come lente
-
Le fibre ottiche
+ Ripresa della riflessione totale
+ La propagazione delle luce nella fibra ottica
+ L’ utilizzo della fibra ottica nelle indagini mediche
Riprendiamo le considerazioni attorno alle luce: la luce è una particolare
onda elettromagnetica e, precisamente, quella parte di radiazione
elettromagnetica che si colloca nell’intervallo di valori della lunghezza d’onda che
o
o
va circa dai 4 x107 m.  4000 A ai 7 x107 m.  7000 A , come si può dedurre dalla figura.
L’onda
elettromagnetica è di tipo
non meccanico, trasversale: ciò
significa che si propaga
anche senza il supporto di
un mezzo di supporto e che
le
perturbazioni
si
sviluppano
perpendicolarmente
alla
direzione di propagazione;
ricordiamo
che
l’onda
acustica è completamente diversa e cioè meccanica e longitudinale. Le
perturbazioni in questo caso sono costituite da variazioni dei valori dei vettori
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campo elettrico e campo magnetico nelle zone di spazio invase dall’onda: per la
descrizione di tale fenomeno si fa riferimento solo al comportamento del campo
elettrico E , dato che il campo magnetico B è legato a questo in modo rigido.
La descrizione classica della luce prevede, come visto, che essa sia un’onda
che dà luogo ai classici fenomeni quali rifrazione, interferenza e diffrazione, cosa
che in effetti accade; la scoperta di nuovi fenomeni, quali ad esempio effetto
fotoelettrico e pressione luminosa, ha indotto a ritenere che la luce si presenti sotto
forme tipicamente corpuscolari: l’effetto fotoelettrico può essere interpretato
correttamente solo se si ammette che la luce sia costituita da piccoli mattoncini,
detti fotoni, che interagiscono come corpuscoli di energia al contatto con la
materia (atomi o molecole). I fotoni (il loro simbolo nella letteratura fisica è  )
vanno considerati come particelle prive di massa e costituite da sola energia, che
viaggiano alla velocità della luce (… per
forza!) pari a c  3x105 km./ sec.  3 x108 m./ sec. .
La natura dei fotoni non è
immediatamente interpretabile, ma ci serve
come strumento descrittivo pratico per
ricostruire il funzionamento del laser,
strumento molto usato nell’ambiente
medico. Una semplice schematizzazione di questo strumento è riportata in figura.
Il laser serve a “bruciare”, cauterizzare con elevata precisione di
puntamento localizzazione: esso riesce a concentrare in una zona molto limitata
grandi quantità di energia, in questo caso elettromagnetica, direzionando fasci di
luce tipicamente monocromatica: monocromatica significa ad un solo colore e, cioè,
in termini di grandezze fisiche, ad una sola frequenza (lunghezza d’onda). Il
meccanismo di produzione di questa onda elettromagnetica ad alta energia è
abbastanza complesso: possiamo pensare, per semplicità di riferimento, che
all’interno del cristallo in cui è stato fatto il vuoto venga prodotto un fotone, che
in figura è rappresentato dal cerchietto nero più a sinistra con la freccia diretta
verso destra; questo fotone di luce verde (supponiamolo) si dirige verso destra e
alla fine del tubo trova uno specchio a metà e cioè ad uno strato di sostanza che
è può riflettere indietro, ma che può anche far passare il fotone all’esterno; se il
fotone resta all’interno, è in grado di stimolare l’emissione da parte del gas (ad
esempio miscela di gas nobili quali neon ed elio) che si trova all’interno del cristallo
di altri fotoni dello stesso tipo (stessa frequenza e lunghezza d’onda) e,
soprattutto, coerenti con il precedente e cioè che producano il massimo della
perturbazione in istanti uguali. Un po’ alla volta si creano gruppi di fotoni che
interferiscono tra loro dando sempre il massimo della perturbazione e quindi il
massimo della concentrazione energetica (luce coerente), che escono con continuità
dal cristallo e vengono concentrati sulla zona topica.
Abbiamo affermato che la luce può dar luogo a molti fenomeni tra cui la
diffrazione: questa consiste nella apertura di un fascio di raggi rettilinei in un
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fascio che si sviluppa da un ipotetico centro in maniera radiale. Si tratta di una
situazione di modificazione della modalità con la quale avviene la propagazione
dell’onda.
Se si rinuncia ad ammettere questa possibilità e cioè si mantiene come unica
propagazione quella per raggi lungo una direzione rettilinea ci si pone all’interno di
quella che viene definita ottica geometrica. All’interno dell’ottica geometrica si
spiegano molte situazioni, una per tutte le eclissi di sole, nella quale la luce inviata
dal sole viene oscurata, parzialmente o totalmente da un corpo interposto come la
luna.
L’ottica geometrica si occupa di riflessione per mezzo degli specchi e di
propagazione attraverso sistemi a indice di rifrazione diverso quali le lenti; noi
concentreremo la nostra attenzione sulla seconda, in modo da riuscire a dare
conto di come avviene la raccolta di immagini attraverso il nostro occhio e di
come è possibile ottenere degli ingrandimenti di immagini attraverso il
microscopio.
Prima di riprendere l’analisi della rifrazione illustriamo con una serie di tre
figure dei casi di formazione di immagini attraverso uno specchio concavo,
iniziando a illustrare quali tecniche si possano seguire per ricostruire l’immagine
che si forma da un oggetto che esiste, seguendo l’evoluzione di alcuni raggi
luminosi particolari. E’ fondamentale differenziare
i possibili risultati: una immagine reale è il risultato
di una effettiva raccolta di raggi fisici, mentre
invece un’immagine virtuale consiste nella sola
formazione di una rappresentazione cerebrale da
raggi che non provengono da un oggetto, ma
risultano provenienti da una immagine che si
forma virtualmente da un’altra parte, oltre lo
specchio nel caso della figura.
Dalla punta dell’oggetto sistemato a sinistra
dello specchio concavo si fanno partire due raggi
significativi e se ne considera la riflessione sulla
parete sferica: dalla loro intersecabilità si decide
sulla formazione dell’immagine. Nel primo caso,
con l’oggetto sistemato tra fuoco e specchio, si
forma un’immagine virtuale aldilà dello specchio;
nel secondo caso, posizionato l’oggetto sul fuoco,
non si formano immagini; nel terzo, con l’oggetto
aldilà del fuoco rispetto allo specchio, si produce
un’immagine reale sotto il piano ottico; si tratta di
un’immagine formata da raggi fisici che convergono; si sottintende in queste
rappresentazioni il fatto che il “piede” dell’oggetto fisico produce raggi luminosi
che vanno a concentrarsi sul “piede” dell’immagine, virtuale o reale che sia.
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Passiamo ora a riconsiderare la rifrazione: si tratta del fenomeno secondo il
quale la luce passa da un mezzo ad una altro cambiando la sua velocità di
propagazione, rallentando o accelerando a seconda che si passi, rispettivamente,
da un mezzo meno denso ad un mezzo più denso otticamente oppure da uno più
ad uno meno denso. La legge della rifrazione la ricordiamo è la seguente:
c
n1  sen(iˆ)  n2  sen(rˆ) con: ni  .
vi
Tale relazione (la legge di Snell) ci permette di
andare a considerare il percorso del raggio luminoso
all’interno di un materiale denso quale il vetro, ad
esempio; per il vetro ( il tipo più comune viene
denominato crown), l’indice di rifrazione vale:
nVETRO  1.52 .
Seguiamo in figura i percorsi di un raggio
luminoso dall’esterno all’interno di una superficie di
tipo sferico che separa il vuoto (… o l’aria) dal vetro:
nel primo caso l’immagine che si forma è reale, mentre
nel secondo è virtuale; n1 e n2 rappresentano in figura
i due indici di rifrazione; l’oggetto e la sua immagine
sono in questo caso puntiformi. Utilizziamo la
chiarezza della figura per introdurre le grandezze che sono essenziali nella
descrizione della propagazione attraverso lenti:
p rappresent a la dist anza dell'ogget t o dalla superficie di separazione
i rappresent a la dist anza dell' immagine dalla superficie di separazione
r è il raggio di curvat ura della superficie di separazione
su queste grandezze valgono le seguenti convenzioni: p ed i hanno segno
positivo se si trovano nelle loro zone di competenza, negative altrimenti; ad r, invece,
si assegna segno positivo se la superficie di rifrangenza è convessa, negativo
altrimenti.
Andiamo ora a ricavare l’equazione che regola il passaggio dal vuoto (aria)
al vetro, tenendoci nell’approssimazione di angoli di apertura molto piccoli (raggi
parassiali) e facendo riferimento ancora una volta alla figura. Dalla legge di Snell,
per piccoli angoli, deriva che:
n1  sen(iˆ)  n1  iˆ e n2  sen(rˆ)  n2  rˆ,
nella nost ra figura: 1  iˆ e 2  rˆ
le ulteriori proprietà che
valgono sugli angoli sono le seguenti:
1     e   2   ,
per cui la nostra relazione
diventa:
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n1    n2    (n2  n1 )  
che, con le espressioni:
ac
ac
ac
, 
e 
divent ano:
p
r
i
n1 n2 n2  n1
 
p i
r
che viene detta equazione del diottro; il diottro è un sistema ottico formato
da vuoto e da mezzo denso (oppure da altri due mezzi di diversa densità ottica)
separati da una superficie.

Il passaggio alle lenti è ora abbastanza immediato. Infatti il passaggio del
raggio luminoso attraverso la lente consiste in una ripetizione di rifrazione: in un
primo tempo un raggio luminoso arriva dal vuoto (aria) ed entra nel vetro; in un
secondo tempo il raggio ritorna al vuoto (aria) dal vetro. Si ha a che fare con un
doppio diottro. Oltre che dell’approssimazione di raggi parassiali, si parlerà di lenti
sottili e cioè di strutture ottiche poco sviluppate in lunghezza, nella direzione di
propagazione del raggio luminoso.
La lente in figura si considera convergente perché è in grado di convergere i
raggi di luce che arrivino paralleli all’asse ottico: essa si presenta da entrambe le
parti come convessa e cioè in una posizione tale da offrire una curva di superficie
convessa (… la concavità è dalla parte opposta).
L’analisi sulla lente convergente porta a concludere che la legge (…detta
appunto delle lenti sottili) sulla quale si può costruire il comportamento dei raggi
luminosi che l’attraversano è la seguente:
1 1
2 1
   n  1  
p i
r f
con f che viene detta distanza focale della lente; in questa legge si suppone
che i due raggi di curvatura della superficie lenticolare siano identici.
Dalla figura si può distinguere, tra le altre cose, che i raggi paralleli all’asse
ottico che partono dall’oggetto passano poi per il fuoco F della lente e che i raggi
che si sviluppano lo stesso dalla sommità dell’oggetto e che attraversano il centro C
della lente, restano indefessi; dall’intersezione di questi due raggi si può
ricostruire la sommità (rovesciata nel nostro disegno) dell’immagine; l’immagine si
completa costruendo la perpendicolare all’asse ottico.
All’interno di questa figura si può anche definire quella grandezza che ci
interessa da vicino e che è l’ingrandimento (più corretto sarebbe ingrandimento
trasversale): dalla rappresentazione si comprende che l’immagine, a fuoco, ha
un’estensione trasversale più consistente dell’oggetto e questo significa che oltre
la lente noi vediamo ingrandito. La definizione di ingrandimento è la seguente:
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m
A' B '
e cioè il rapport o t ra le due lunghezze
AB
grazie a considerazioni sui t riangoli simili ABC e A ' B ' C si deduce che
i
m
con il segno "-" che st a a ricordare il ribalt ament o della immagine rispet t o all'ogget t o
p
Come si può però vedere dalla
figura l’ingrandimento della lente
sottile è limitato ( … pensate alla
classica lente di ingrandimento); per
ottenere ingrandimenti più elevati,
importanti
nell’osservazione
del
mondo microscopico, sono state
pensate strutture ottiche più
elaborate, quali ad esempio il
microscopio,
qualificato
come
strumento ottico a due lenti.
In un strumento ottico a due
lenti l’ingrandimento che si può ottenere è il risultato della moltiplicazione degli
ingrandimenti delle singole lenti; per
il microscopio le due lenti sono
dette oculare di lunghezza focale f oc ,
quella più vicina all’occhio, e obiettivo
di lunghezza focale f ob , quella più
vicina all’oggetto da osservare, il
quale nella figura si trova in O.
Seguendo il percorso dei raggi,
si può osservare come la prima lente
venga superata nel modo classico, mentre per la seconda, l’oggetto è costituito
dall’immagine della prima e grazie alla lente va a fuoco ad infinito come immagine
virtuale: l’occhio la vede come ingrandita angolarmente e cioè ne percepisce
l’estensione trasversale al punto più vicino detto punto prossimo e che, da
valutazioni di media fisiologica, si può pensare che si collochi a 25 cm..
L’ingrandimento per questa seconda lente viene calcolato come rapporto
tra angolo sotto cui viene visto ad una distanza di 25 cm. e angolo sotto cui è
visibile l’oggetto (immagine della prima lente); perciò l’ingrandimento globale vale:
s 25cm.
m  m1  m2  

f ob
f oc
essendo s in figura molto più grande di f ob (dato che sarebbe: i  s  f ob ) e poi
essendo collocato l’oggetto molto vicino alla posizione focale di sinistra. Per
l’altro rapporto, invece, è un immediata traduzione del sopraccitato rapporto tra
angoli.
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Con i microscopi più moderni si arriva ad
ingrandimenti dell’ordine di 1000: con tale
ingrandimento un ‘immagine dell’estensione di 1 mm.
In realtà ha lo sviluppo parziale di 1  m. , che
rappresenta anche l’ordine di grandezza delle
dimensioni più piccole raggiungibili con il
microscopio ottico.
Il microscopio a scansione elettronica sembra
essere un parente del microscopio tradizionale ed in
certo senso lo è: non vengono utilizzati corpi di luce
(fotoni) per illuminare la materia ma bensì elettroni,
che vengono inviati ad alta energia sulla (di solito)
superficie da ricostruire e formano a tutti gli
effetti un “illuminamento” perché ad energie
elevate manifestano consistenti caratteristiche di tipo ondulatorio (De Broglie);
aumentare la loro energia significherà lunghezza d’onda più corta e frequenza più
alta e dunque maggior
potere risolutivo, che
significa miglior capacità
di distinguere tra due
oggetti piccoli vicini; con
tali tipi di microscopi si
arriva
addirittura
ad
osservare
lunghezze
dell’ordine del manometro
( 109 m. ) .
Chiudiamo osservando come la struttura fisiologica dell’occhio abbia tutte
le specificità di un sistema a più lenti (umor acqueo, cristallino e umor vitreo),
ciascuna a caratteristiche diverse dalle altre: il vantaggio del nostro sistema visivo
è che le “lenti” componenti sono elastiche nelle loro proprietà per mezzo di
muscoli che ne possono modificare le dimensioni.
Dopo aver affrontato la propagazione della luce da un mezzo ad un altro,
prendiamo in considerazione quella situazione nella quale il raggio di luce deve
essere tenuto il più possibile all’interno di un tubo in modo da convogliarne il più
possibile verso la
zona di interesse,
che di solito si
trova
in
uno
stato di buio: è il
caso della fibra
ottica,
pensata
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negli interventi medici per portare la maggior quantità di luce all’interno del
corpo, in zone dove è necessario vedere (colon e rettoscopia ad esempio) e anche
intervenire (meniscectomia ad esempio).
Il principio sul quale si basa il funzionamento della fibra ottica è quello della
riflessione totale, conseguente all’impossibilità di uscire da
parte
di
un
raggio
rifratto che proviene da
un mezzo più denso e che
va finire in un mezzo
meno denso otticamente:
sopra ad un certo valore
di soglia dell’angolo di
incidenza, tutti i raggi
che provengono dal mezzo più denso vengono riflessi e
tornano nel mezzo di partenza. Progettando la fibra ottica
in modo tale che si possa introdurre il pennello luminoso in modo inclinato
rispetto all’asse longitudinale della fibra e facendolo rimanere costantemente
inclinato lungo tutta la fibra, si riuscirà a portare quanta più luce possibile (un
assorbimento da parte delle pareti sarà ineliminabile) nella zona desiderata.
La visione in sezione della fibra ottica riportata qui a fianco, evidenzia che
esse sono pensate a gusci successivi quello interno con indice di rifrazione più
consistente ( n1 ) e quello esterno con indice meno consistente ( n2 ); ricordando la
relazione che definisce l’angolo limite, oltre al quale tutti i raggi restano confinati
nella fibra:
1
sen(iˆlim ite )  ,
n
con n indice di rifrazione del mezzo denso
e 1 che rappresent a l'indice di rifrazione dell'aria (vuot o)
si può dedurre che, grazie alla proporzionalità inversa, l’angolo limite è più
piccolo nel guscio interno alla fibra e più grande fuori; il guscio esterno ha
funzioni di contenimento per eventuali raggi che sfuggano a quello interno: questi
raggi fuggenti formano comunque angoli ridotti rispetto all’asse della fibra e
dunque risultano contenibili anche con materiali a più basso indice di rifrazione.
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