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Galileo 2009
1609-1616
I suoi corrispondenti
(1610-1613)
Le lettere di Galileo (1610-1613)
Galilei Michelangelo a Galileo
Galileo a Maffeo Barberini
Galileo a Federigo Borromeo
Galileo a Lodovico Cardi da Cigoli
Galileo a Benedetto Castelli
Galileo a Federico Cesi
Galileo ad Andrea Cioli
Galileo a Cristoforo Clavio
Galileo a Piero Dini
Galileo a Gallanzone Gallanzoni
Galileo a Gio. Camillo Gloriosi
Galileo a Ferdinando Gonzaga
Galileo a Cristoforo Grienberger
Galileo a Paolo Gualdo
Galileo a Giuliano de' Medici
Galileo a Tolomeo Nozzolini
Galileo a Virginio Orsini
Galileo a Filippo Salviati
Galileo a Paolo Sarpi
Galileo a Margherita Sarrocchi
Galileo a Belisario Vinta
Galileo a Marco Welser
I sezione – La Compagnia di Gesù
In relazione con i Matematici del Collegio
Romano
Cristoforo Clavio
Cristoforo Grienberger
Odo Van Maelcote
Giovan Paolo Lembo
Roberto Bellarmino
II sezione – I colleghi
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Giovanni Keplero (Gliuliano de’ Medici)
Giovanni Antonio Magini
Benedetto Castelli
Camillo Gloriosi
III sezione – Amici, prelati e corrispondenti
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•
Maffeo Barberini (Urbano VIII)
Carlo Conti
Federico Cesi
Piero Dini
Ludovico Cardi da Cigoli
Marco Welser
• Tommaso Campanella
• Paolo Antonio Foscarini
Il “secreto” dell’occhiale
GALILEO a LEONARDO DONATO, Doge di Venezia.
[24 agosto 1609].
Ser.mo Principe,
Galileo Galilei, humilissimo servo della Ser.à V.a, invigilando assiduamente et
con ogni spirito per potere non solamente satistare al carico che tiene
della lettura di Matematica nello Studio di Padova, ma con qualche utile
et segnalato trovato apportare straordinario benefizio alla S.tà V.a,
compare al presente avanti di quella con un nuovo artifizio di un occhiale
cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva, il quale conduce
gl'oggetti visibili così vicini all'occhio, et così grandi et distinti gli
rappresenta, che quello che è distante, v. g., nove miglia, ci apparisce
come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni negozio et
impresa marittima o terrestre può esser di giovamento inestimabile; […];
oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona giudiziosa.
Et questo presenta con ogni affetto il detto Galilei alla S. V., come uno de i
frutti della scienza che esso, già 17 anni compiti, professa nello Studio di
Padova […].
GIO. BATTISTA DELLA PORTA a FEDERICO CESI in Roma.
Napoli, 28 agosto 1609.
.... Del secreto dell'occhiale l'ho visto, et è una coglionaria, et è presa
dal mio libro 9 De refractione; e la scriverò , chè volendola far, V. E.
ne harà pur piacere. È un cannelo di stagno di argento, lungo un
palmo ad, grosso di tre diti di diametro, che ha nel capo a un
occhiale convesso: vi è un altro canal del medesimo, di 4 diti lungo,
che entra nel primo, et ha un concavo nella cima, saldato b, come il
primo. Mirando con quel solo primo, se vedranno le cose lontane,
vicine; ma perchè la vista non si fa nel catheto, paiono oscure et
indistinte. Ponendovi dentro l'altro canal concavo, che fa il
contrario effetto, se vedranno le cose chiare e dritte: e si entra e
cava fuori, come un trombone, sinchè si aggiusti alla vista del
riguardante, che tutte son varie....
GALILEO a BENEDETTO LANDUCCI in Firenze.
Venezia, 29 agosto 1609.
Dovete dunque sapere, come sono circa a 2 mesi che qua fu sparsa fama che in
Fiandra era stato presentato al Conte Mauritio un occhiale, fabbricato con tale
artifitio, che le cose molto lontane le faceva vedere come vicinissime, sì che un
huomo per la distantia di 2 miglia si poteva distintamente vedere. Questo mi parve
affetto tanto maraviglioso, che mi dette occasione di pensarvi sopra; e parendomi
che dovessi havere fondamento su la scientia di prospettiva, mi messi a pensare
sopra la sua fabbrica: la quale finalmente ritrovai, e così perfettamente, che uno
che ne ho fabbricato, supera di assai la fama di quello di Fiandra.
Hora, havendo io conosciuto quanto vi sarebb[e] stato d'utitità per le cose sì di mare
come di terra, e vedendolo desidera[..] da questo Ser.mo Principe, mi risolvetti il dì
25 stante di comparire in Coll[egio] e farne libero dono a Sua Ser.tà.Et essendomi
stato hordinato nell'[…]re del Collegio che io mi trattenessi nella sala del Pregadi,
di lì a poco [l']Ill.mo et Ecc.mo S. Proccurator Prioli, che è uno de' Riformatori di s[…],
uscì fuori di Collegio, e presomi per la mano mi disse come l'Ecc.mo Collegio,
sapendo la maniera con la quale havevo servito per anni 17 in Padova, et havendo
di più conosciuta la mia cortesia nel farli dono di cosa così accetta, haveva
inmediate hordinato agli Ill.mi Sig.ri Riformatori, che, contentandomi io, mi
rinnovassino la mia condotta in vita e con stipendio di fiorini 1000 l'anno; e che
mancandomi ancora un anno a finire la condotta precedente, volevano che il
stipendio cominciassi a corrermi il sopradetto presente giorno, facendomi dono
dell'accrescimento d'un anno, cioè di fiorini 480 di Lire 6.4 per fiorino.
ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova.
Firenze, 29 agosto 1609.
La gratissima di V. S. delli 3 di Luglio non ricercava
risposta; e però ho tardato sin ad hora ad accusarli la
ricevuta, perchè non haveva per allora che soggiungerli
di momento e che premessi. Hora con l'occasione,
essendo io venuto in ragionamento con S. A. di V. S., le
scrivo come la medesima Altezza mi ha comandato che
io saluti a suo nome V. S., et insieme le dica che ha
presentito che lei ha fatto uno occhiale, che in vedere
lontano fa effetti maravigliosi, e però che haverebbe
caro che ne facessi uno per lui e gli lo mandassi, e se
questo gli fussi d'incommodo, la scrivessi il muodo
come deve farsi, chè gli ne farà servitio.
GALILEO a [ANTONIO DE' MEDICI in
Firenze?].
[Padova], 7 gennaio 1610.
Per satisfare a V. S. Ill.ma, racconterò brevemente quello che ho osservato con
uno de' miei occhiali guardando nella faccia della luna; la quale ho potuto
vedere come assai da vicino, cioè in distanza minore di tre diametri della
terra, essendochè ho adoprato un occhiale il quale me la rappresenta di
diametro venti volte maggiore di quello che apparisce con l'occhio
naturale, onde la sua superficie vien veduta 400 volte, et il suo corpo
8000, maggiore di quello che ordinariamente dimostra: sichè in una mole
così vasta, et con strumento eccellente, si può con gran distintione
scorgere quello che vi è; et in effetto si vede apertissimamente, la luna
non essere altramente di superficie uguale, liscia e tersa, come da gran
moltitudine di gente vien creduto esser lei et li altri corpi celesti, ma
all'incontro essere aspra, et ineguale, et in somma dimonstrarsi tale, che
altro da sano discorso concluder non si può, se non che quella è ripiena di
eminenze et di cavità, simili, ma assai maggiori, ai monti et alle valli che
nella terrestre superficie sono sparse. Et le apparenze da me nella luna
osservate, sono queste.
GALILEO a [ANTONIO DE' MEDICI in Firenze?].
[Padova], 7 gennaio 1610.
Et i suoi aspetti avanti et dopo il plenilunio sono
simili a questi, avvertendo che sempre la
parte tenebrosa è verso il sole, et la chiara
all'opposto; inditio certo, quella essere una
grandissima cavità perfettamente rotonda et
da termini eminenti circondata.
GALILEO a [ANTONIO DE' MEDICI in Firenze?].
[Padova], 7 gennaio 1610.
Molte altre minutie ho osservate, e più ancora spero di essere per
osservarne, sendo intorno al finire un occhiale che mi avvicinerà la
luna a meno di 2 diametri della terra.
Di tutte le sopradette osservationi niuna se ne vede o può vedere
senza strumento esquisito; onde possiamo credere di essere stati i
primi al mondo a scuoprire tanto da vicino et così distintamente
qualche cosa dei corpi celesti.
Et oltre all'osservationi della luna, ho nell'altre stelle osservato questo.
Prima, che molte stelle fisse si veggono con l'occhiale, che senza
non si discernono; et pur questa sera ho veduto Giove
accompagnato da 3 stelle fisse. totalmente invisibili per la lor
picciolezza, et era la lor configuratione in questa forma:
GALILEO a BELISARIO VINTA [in Firenze].
Venezia, 30 gennaio 1610.
Io mi trovo al presente in Venezia per fare stampare alcune osservazioni le
quali col mezo di uno mio occhiale ho fatte ne i corpi celesti; et sì come
sono di infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia
compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda et
tenuta a tutti i secoli occulta. Che la luna sia un corpo similissimo alla
terra, già me n'ero accertato, et in parte fatto vedere al Ser.mo nostro
Signore, ma però imperfettamente, non havendo ancora occhiale della
eccellenza che ho adesso; il quale, oltre alla luna, mi ha fatto ritrovare una
moltitudine di stelle fisse non mai più vedute, che sono più di dieci volte
tante, quante quelle che naturalmente son visibili. Di più, mi sono
accertato di quello che sempre è stato controverso tra i filosofi, ciò è
quello che sia la Via Lattea. Ma quello che eccede tutte le meraviglie, ho
ritrovati quattro pianeti di nuovo, et osservati li loro movimenti proprii et
particolari, differenti fra di loro et da tutti li altri movimenti dell'altre
stelle; et questi nuovi pianeti si muovono intorno ad un'altra stella molto
grande, non altrimenti che si muovino Venere et Mercurio, et per
avventura li altri pianeti conosciuti, intorno al sole.
Observationes sidereae recens habitae ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐Æ Sidereus Nuncius
Cristoforo Clavio
Nasce nel 1537
Entra nella Compagnia di Gesù nel 1555
Studia a Coimbra
Riforma del Calendario (Gregorio XIII)
1598‐1612: Docente di matematica presso il
Collegio Romano
Muore a Roma il 6 febbraio 1612
Cristoforo Clavio
• 8 gennaio 1588 – 16 gennaio 1588 (Galileo gli
comunica i teoremi sul baricentro dei solidi)
“Io ho cercato molti giorni con diligenza qualche altra
dimostrazione, ma non trovo cosa alcuna, salvo che a
dimostrarla per induzione, il qual modo di dimostrare a
me non satisfà molto. Io sono per anteporre il parere
di V. S. M. R. ad ogn'altro: et se la vi si quieta, mi vi
quieterò io ancora; quanto che no, tornerò a cercare
altra demostrazione: però desidero che quanto prima
mi favorisca scrivermi l'opinion sua”.
• 25 febbraio 1588
• 5 marzo 1588
Cristoforo Clavio
1604 – Stella nuova
ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.
Verona, 30 dicembre 1604.
“Il P. Clavio scrive al S.r Magino, il quale mi manda la copia
della lettera, che l'ha osservata in Roma con i stromenti,
e l'ha trovata sempre immota et equidistante da molte
fisse, e la conclude nell'ottava sfera. Ch'è quanto mi
occorre per hora, abbracciandola per fine, sperando un
giorno, e presto, di farlo in persona”.
Cristoforo Clavio
MARCO WELSER a CRISTOFORO CLAVIO [in Roma].
Augusta, 12 marzo 1610.
Con questa occasione non posso mancare di ricordarle, che da Padova
mi viene scritto per cosa certa e sicura, che il S.or Galileo Galilei,
Mathematico di quello Studio, ha ritrovato coll'istromento novo, da
molti nominato visorio, del quale egli si fa autore, quatro pianeti,
novi quanto a noi, non essendo mai stati visti, per quanto si habbia
notizia, da huomo mortale, con di più molte stelle fisse, non
conosciute nè viste prima, e circa la Via Lattea mirabilia. Io so molto
bene che tarde credere est nervus sapientiae: però non mi risolvo a
nulla, ma prego V. R.za che me ne dica in confidenza liberamente la
sua opinione intorno questo fatto. E con bacciarle la mano, mi
raccomando alle sue sante orationi. Iddio la feliciti.
Cristoforo Clavio
FRANCESCO STELLUTI a GIO. BATTISTA STELLUTI in Fabriano.
Roma, 15 settembre 1610.
.... Già credo che a quest'hora habbiate visto il Galileo, cioè il
suo Sydereus Nuncius, et le gran cose che dice: ma hora il
Keplero, allievo del Ticone, gli ha scritto contro, et già n'è
venuto di Venetia un libro al Padre Clavio; et gli dice, che
lui si fa autore di quell'instromento, et sono più di
trent'anni che lo scrive Gio. Battista della Porta nella sua
Magia Naturale et l'accenna anco nel libro De refractione
optices: sì che il povero Galileo restarà smaccato. Ma
intanto il Gran Duca gli ha donate 800 piastre, et la Signoria
di Venetia gli ha accresciuta la provigione....
GALILEO a [CRISTOFORO CLAVIO in Roma].
Firenze, 17 settembre 1610.
È tempo ch'io rompa un lungo silenzio, che la penna, più che 'l pensiero, ha usato con
V. S. M. R. Rompolo hora, che mi trovo ripatriato in Firenze per favore del
Serenissimo G. Duca[…] mi basterà l'assicurarla che in me non si è mai intepidita
quella devozione che io devo alla sua gran virtù.
Per una sua lettera, scritta al S. Antonio Santini ultimamente a Venezia, ho inteso
come ella, insieme con uno dei loro Fratelli, havendo ricercato intorno a Giove,
con un occhiale, de i Pianeti Medicei, non gli era succeduto il potergli incontrare.
Di ciò non mi fo io gran meraviglia, potendo essere che lo strumento o non fusse
esquisito sì come bisogna, o vero che non l'havessero ben fermato; il che è
necessariissimo, perchè tenendolo in mano, benchè appoggiato a un muro o altro
luogo stabile, il solo moto dell'arterie, et anco del respirare, fa che non si possono
osservare, et massime da chi non gli ha altre volte veduti et fatto, come si dice, un
poco di pratica nello strumento. Io, oltre alle osservazioni stampate nel mio Avviso
Astronomico, ne feci molte dopo […] Et havendo ultimamente perfezionato un
poco più il mio strumento, veggonsi i nuovi Pianeti così lucidi et distinti come le
stelle della seconda grandezza con l'occhio naturale
Ho voluto dar conto a V. S. M. R. di tutti questi particolari, acciò in lei cessi il dubbio,
se però ve n'ha mai hauto, circa la verità del fatto; della quale, se non prima, li
succederà accertarsi alla mia venuta costà, sendo io in speranza di dover venire in
breve a trattenermi costà qualche giorno. Restami, per non tediarla più
lungamente, il supplicarla a ripormi in quel luogo della sua grazia, il quale dalla sua
cortesia et dalla conformità degli studii mi fu conceduto gran tempo fa […].
Cristoforo Clavio
LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze.
Roma, 1° ottobre 1610.
Intanto, s'ella può dare una volta di qua, non credo
che sia fuori di proposito, perchè questi Clavisi,
che sono tutti, non credono nulla; et il Clavio fra
gli altri, capo di tutti, disse a un mio amico, delle
quattro stelle, che se ne rideva, et che bisognierà
fare uno ochiale che le faccia e poi le mostri, et
che il Galileo tengha la sua oppinione et egli terrà
la sua.
Cristoforo Clavio
ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze.
Venezia, 9 ottobre 1610.
Il Padre Clavio mi scrive haver riceuto lettere da V. S., dove li fa
mentione haver inteso da me che loro a Roma se la burlano de'
pianeti novi, e mostra di aspettar lei di andar in esso luoco per
certificarsi del fatto. Io per me li ho scritto, che più fiate li ho veduti,
e mutati di sito, talmente che non ne dubito punto. La verità è una
sola; e quando haveranno imparato a maneggiare l'occhiale, e che
la potenza del vedere sia integra, forza è che confessino. Io dubito
che alcuni di questi più grossi, voglio dire di più riputassione, non
stiano duri, acciò V. S. si metta in necessità di mandargli lei uno
instrumento.
Cristoforo Clavio
ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze.
Venezia, 4 dicembre 1610.
Ora li dico, che finalmente il P. Clavio di Roma mi scrive come hanno
osservato Giove; e li metterò abasso le osservationi, copiate apunto
dalla sua lettera. A poco a poco la gente si chiarirà. Quando potrò
veder Saturno, li dirò se mi riuscirà di riconoscere quelle differenze.
Le stelle intorno Giove così comparsero:
ma non siamo ancora sicuri, se sono pianeti o non.
Cristoforo Clavio
GALILEO a [PAOLO GUALDO in Padova].
[Firenze], 17 dicembre 1610.
Sono finalmente comparse alcune osservationi circa i Pianeti
Medicei, veduti da alcuni Padri Giesuiti, scolari del P.
Clavio, e dal medesimo P. Clavio scritte e mandate anco a
Venezia. Io gli ho fatti più volte vedere ad alcuni de'
medesimi Padri qui in Firenze, anzi pur a tutti questi che ci
sono et ad altri che ci sono passati; e questi se ne sono
serviti in prediche et in orationi, con concetti molto
graziosi. Tuttavia non mi confido poter espugnar alcuni di
cotesti filosofi, o per dir meglio non credo che siano per
esser così facili a lasciarsi cacciar da me queste carote.
CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Firenze.
Roma, 17 dicembre 1610.
Si maravigliarà V. S. che alla sua lettera, scritta alli 17 di Settembre, non
habbia fin qui risposto; ma la causa è, che io aspettai di dì in dì la sua
venuta a Roma, et anco perchè volevo prima tentare di vedere i novi
Pianeti Medicei: et così l'habbiamo qua in Roma più volte veduti
distintissimamente. […] Veramente V. S. merita gran lode, essendo il
primo che habbi osservato questo. Già molto prima havevamo vedute
moltissime stelle nelle Pleiadi, Cancro, Orione et Via Lactea, che senza
l'instromento non si veggono.
Questi giorni mi scrisse il S.or Antonio Santini, che V. S. ha scoperto che
Saturno sia composto da tre stelle, ciò è che li stiano da canto due stelle
piccole di qua e di là. Questo ancora non habbiamo potuto osservare; solo
habbiamo notato co 'l instromento, che pare che Saturno sia oblongo, a
questo modo.
Vostra Signoria séguiti pur ad osservare; forse che scoprirà altre cose nove
nelli altri pianeti. Nella luna, mi maraviglio grandemente della sua
inequalità et asprezza, quando non è piena. In vero questo instrumento
sarebbe di valore inestimabile, se non fosse così fastidioso in adoprarlo.
GALILEO a [CRISTOFORO CLAVIO in Roma].
Firenze, 30 dicembre 1610.
La lettera di V.R. mi è stata tanto più grata, quanto più desiderata et
meno aspettata; et havendomi ella trovato assai indisposto et quasi
fermo a letto, mi ha in gran parte sollevato dal male, portandomi il
guadagno di un tanto testimonio alla verità delle mie nuove
osservazioni: il quale, prodotto, ha guadagnato alcuno
degl'increduli; ma però i più ostinati persistono, et reputano la
lettera di V.R. o finta o scrittami a compiacenza, et in somma
aspettano che io trovi modo di far venire almeno uno dei quattro
Pianeti Medicei di cielo in terra a dar conto dell'esser loro et a
chiarir questi dubbii; altramente, non bisogna che io speri il loro
assenso. Io credevo, a quest'hora dovere essere a Roma, havendo
non piccolo bisogno di venirvi; ma il male mi ha trattenuto: tuttavia
spero in breve di venirvi, dove con strumento eccellente vedremo il
tutto. In tanto non voglio celare a V. R. quello che ho osservato in
Venere da 3 mesi in qua.
Sappia dunque, come nel principio della sua apparizione vespertina la cominciai ad
osservare et la veddi di figura rotonda, ma piccolissima: continuando poi le
osservazioni, venne crescendo in mole notabilmente, et pur mantenendosi
circolare, sin che, avvicinandosi alla maxima digressione, cominciò a diminuir dalla
rotondità nella parte aversa al sole, et in pochi giorni si ridusse alla figura
semicircolare; nella qual figura si è mantenuta un pezzo, ciò è sino che ha
cominciato a ritirarsi verso il sole, allontanandosi pian piano dalla tangente: hora
comincia a farsi notabilmente cornicolata, et così anderà assottigliandosi sin che si
vedrà vespertina; et a suo tempo la vedremo mattutina, con le sue cornicelle
sottilissime et averse al sole, le quali intorno alla massima digressione faranno
mezzo cerchio, il quale manterranno inalterato per molti giorni. Passerà poi
Venere dal mezzo cerchio al tutto tondo prestissimo; et poi per molti mesi la
vedremo così interamente circolare, ma piccolina, sì che il suo diametro non sarà
la 6a parte di quello che apparisce adesso. Io ho modo di vederla così netta, così
schietta et così terminata, come veggiamo l'istessa luna con l'occhio naturale; et la
veggo adesso adesso di diametro eguale al semidiametro della luna veduta con la
vista semplice. Hora eccoci, Signor mio, chiariti come Venere (et indubitamente
farà l'istesso Mercurio) va intorno al sole, centro senza alcun dubbio delle
massime rivoluzioni di tutti i pianeti; in oltre siamo certi che essi pianeti sono per
sè tenebrosi et solo risplendono illustrati dal sole, il che non credo che occorra
delle stelle fisse, per alcune mie osservazioni, et come questo sistema de i pianeti
sta sicuramente in altra maniera di quello che si è comunemente tenuto: così nel
determinare le grandezze delle stelle (trattone il sole et la luna) si sono presi
errori, nella maggior parte de i pianeti et in tutte le fisse, di 3, 4 et 5 mila per
cento, et più ancora.
Quanto a Saturno, non mi meraviglio che non l'habbino potuto distintamente
osservare: prima, perchè ci bisogna strumento che multiplichi le superficie
almanco 1000 volte; di più, Satutno adesso è tanto lontano dalla terra, che non si
vede se non piccolissimo: tuttavia l'ho fatto vedere qui a molti dei loro fratelli così
distintamente, che non vi hanno alcuna dubitanza; et si vede giusto così . Cinque
mesi sono, si vedeva assai maggiore: da quel tempo in qua è diminuito molto, nè
però si è mutata pure un capello la costituzione delle sue 3 stelle, le quali, per
quanto io stimo, sono esattamente parallele non al zodiaco, ma all'equinoziale.
La notte passata osservai l'eclissi della luna, ma però senza novità alcuna, non
havendo veduto altro che quello appunto che mi ero immaginato, ciò è che il
taglio dell'ombra è indeterminatissimo et confuso, come quello che è cagionato
dal corpo della terra, posto lontanissimo dalla luna; dove che le ombre che si
scorgono nella medesima luna, cagionate dalle eminenze che sono nell'istesso
corpo, sono terminate, crude et taglienti. Delle quali eminenze, rupi et grandissimi
tratti di gioghi eminentissimi, sparsi per tutta la parte più lucida della luna, V. R.
non ne abbia dubbio alcuno, perchè a chi haverà buona vista, et intenderà un
poco poco di perspettiva et di ragione di ombre et di chiari, lo farò così
manifestamente toccar con mano, quanto manifestamente siamo certi delle
montagne et delle valli terrestri, et niente meno.
Hora, la notte passata, con l'occasione dell'aspettar l'eclissi, osservai molte volte i
Pianeti Medicei, notando le loro mutazioni nella medesima notte in diverse hore;
Cristoforo Clavio
MARCO WELSER a GALILEO in Firenze
Augusta, 18 febbraio 1611.
V. S. non si maravigli se per tutto incontra oppositori, poichè
l'inaspettata novità della sua dottrina non poteva esser accettata
dal mondo senza nota d'ignavia, se non precedeva lo squittinio de'
rigidissimi esami. Il R.o P. Clavio mi scrisse ultimamente,
confessando con molto candore ch'egli era stato duro et renitente
a creder questi miracoli, ma che finalmente, con un buon
istromento pervenutogli, si era chiarito talmente a vista d'occhio,
che non gli ne restava dubbio alcuno. Et così dovranno fare poco a
poco tutti gli maggiori della professione; o quando pure alcuno si
ostinasse a negar il senso, non ne guadagnarà salvo la propria
vergogna.
GALILEO a CRISTOFORO CLAVIO in Roma.
Firenze, 5 marzo 1611.
La speranza di dover trasferirmi sin costà per alcuni miei affari, mi ha di
giorno in giorno trasportato sino a questo tempo senza rispondere alla
cortesissima e dottissima lettera del molto Reverendo Padre Cristoforo
Griembergero, alla quale mi pareva di non poter pienamente satisfare se
non a bocca, per le molte repliche che mi potriano esser fatte; ma prima
un poco di malattia, poi alcune estraordinarie occupazioni, et insieme una
pessima et fastidiosissima stagione lungamente durata et che ancor dura,
mi hanno condotto a questo tempo. […]
Con tutto questo non ho voluto restare di scrivere a V. S. molto R. et al molto
Reverendo Padre Griembergero insieme, acciò più lungamente non
prendessero ammirazione del mio silenzio, proceduto solamente perchè è
più di un mese che sono, come si dice, col piede in staffa per partire.
Subito giunto, sarò con le Reverenze loro a far mio debito, et a satisfare,
almeno col reverirle, al'obbligo et all'animo mio.
GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].
Roma, 1° aprile 1611.
Giunsi qua il martedì Santo […]. Fui il giorno seguente da i Padri Giesuiti, et mi
trattenni lungamente col Padre Clavio et con due altri Padri intendentissimi della
professione et suoi allievi: li quali trovai occupati in leggere, non senza gran risa,
quello che ultimamente mi è stato scritto contro et stampato dal S. Francesco Sizii;
et credami V. S. Ill.ma, che ne sentii gran dispiacere in vedere scritte, et in mano di
huomini tanto intendenti, cose degne di scherno come sono queste, per esser loro
di autore Fiorentino, et anco per altre cause che per hora lascio sotto silenzio.
Ho trovato che i nominati Padri, havendo finalmente conosciuta la verità de i nuovi
Pianeti Medicei, ne hanno fatte da 2 mesi in qua continue oservazioni, le quali
vanno proseguendo; et le haviamo riscontrate con le mie, et si rispondano
giustissime. Loro ancora si affaticano per ritrovare i periodi delle loro revoluzioni;
ma concorrono col Matematico dell'Imperatore in giudicare che sia per esser
negozio difficilissimo et quasi impossibile. Io però ho grande speranza di havergli a
ritrovare et definire, et confido in Dio benedetto, che sì come mi ha fatto grazia di
essere stato solo a scoprire tante nuove meraviglie della Sua mano, così sia per
concedermi che io habbia a ritrovar l'ordine assoluto de i suoi rivolgimenti; et
forse al mio ritorno haverò ridotto questa mia fatica, veramente atlantica, a segno
di poter predire i siti et le disposizioni che essi nuovi Pianeti siano per havere in
ogni tempo futuro, et habbino anco hauto in ciascuno tempo passato; pur che le
forze mi concedino di poter continuare sino a molte hore di notte le osservazioni,
come ho fatto sin qui.
Cristoforo Clavio
LODOVICO DELLE COLOMBE a CRISTOFORO CLAVIO [in Roma].
Firenze, 27 maggio 1611.
Ho veduto la risposta che le Paternità vostre danno all'Illustriss. Cardinale Belarmino;
e mi piace ch'ella in particolare non approvi che la luna sia di superficie ineguale e
montuosa, come crede e vorrebbe persuadere il Sig. Galileo. Quelle montuosità
che appaiono nella luna, possono essere vere, perchè mostrano, dall'ombre(e lumi
e dalle mutazioni di quelle, che siano reali e abbiano le dimensioni corporee, e non
siano solo superficiali, come se dipinte fossero. Ma il punto consiste più della
differenza tra me ed il Sig. Galileo, ch'egli tiene ch'elle siano nella superficie, a
guisa della terra ch'è circondata dall'aria; ed io tengo ch'elle siano per entro quel
corpo, e non nella superficie, perchè sono parti più dense, e il restante del corpo
sia ripieno di parti più rare, sicchè sia tutto un corpo, con una sola superficie liscia
e in niuna parte diseguale o dentata; ma perchè il senso viene in tanta distanza
ingannato, non si vedendo quelle parti rare, perchè il sole non vi reflette con i suoi
raggi, di qui è che quel corpo pare ineguale, e non polito e sferico, perchè non si
termina la vista in quelle parti; siccome farebbe una gran palla di cristallo, dentro
la quale fossero molte varietà di figure fatte di smalto bianco, ed esposta in alto
lontana dai nostri occhi, che non parrerebbe tonda, non si vedendo le parti pure di
quel cristallo, siccome non si vede la pioggia guardando verso il cielo.
Dubito ancora che Saturno non possa essere ovato, ma che appaia tale perchè quelle
stelle a lui congiunte siano veramente staccate […].
Cristoforo Clavio
GALILEO a [GALLANZONE GALLANZONI in Roma].
Firenze, 16 luglio 1611.
Per ubidire al cenno dell'Ill.mo et Rev.mo S. Card.le mio Padrone, et satisfare al
comandamento di V. S., procurerò di rispondere quanto mi occorre in proposito
del contenuto nella lettera scritta al molto R.do Padre Clavio dal S. Lodovico dalle
Colombe, della quale ella mi ha mandato copia; et questo fo io tanto più
volentieri, quanto veggo, questo esser l'ultimo refugio di quei filosofi, li quali
vorriano pure accomodare le opere della natura alle loro inveterate opinioni.
…
Non voglio già passare alcuni altri particolari che nella lettera del S. Col. si
contengono: l'uno de i quali è, che io non veggo sì grande occasione di rallegrarsi
che il molto R. P. Clavio non approvi la montuosità della luna, poi che il medesimo
Padre è altresì molto differente da esso Col. nell'assegnare la causa della
apparente inegualità, attribuendola al denso et al raro. Et se il S. Col. ha caro che il
P. Clavio dissenta da me, è forza che egli habbia altrettanto discaro che gl'altri tre
Padri inclinino a favor della mia opinione, benchè egli di tal suo disgusto non faccia
menzione. Et non sa il S. Col. che facil cosa mi saria stata, mentre fui in Roma, il
persuadere et ridurre nella mia sentenza il Padre Clavio, se la gravissima età et la
sua continua indisposizione havessero tollerato che noi insieme fussimo di queste
materie stati in trattamento et fatte le necessarie osservazioni: ma saria stato
poco meno che sacrilegio l'affaticare et molestare con discorsi et osservazioni un
vecchio, per età, per dottrina et per bontà così venerando, il quale havendosi con
tante et sì illustri fatiche guadagnata una fama immortale, poco importa alla sua
gloria che egli in questo solo particolare trapassi e resti con opinione falsa et assai
facile a convincersi.
Il “caso” Bellarmino
ROBERTO BELLARMINO ai MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO.
[Roma], 19 aprile 1611.
So che le RR. VV. hanno notitia delle nuove osservationi celesti di un valente
mathematico per mezo d'un instrumento chiamato cannone overo ochiale; et
ancor io ho visto, per mezo dell'istesso instrumento, alcune cose molto
maravigliose intorno alla luna et a Venere. Però desidero mi facciano piacere di
dirmi sinceramente il parer loro intorno alle cose sequenti:
Prima, se approvano la moltitudine delle stelle fisse, invisibili con il solo ochio
naturale, et in particolare della Via Lattea et delle nebulose, che siano congerie di
minutissime stelle;
2°, che Saturno non sia una semplice stella, ma tre stelle congionte insieme;
3°, che la stella di Venere habbia le mutationi di figure, crescendo e scemando come
la luna;
4°, che la luna habbia la superficie aspera et ineguale;
5°, che intorno al pianeta di Giove discorrino quattro stelle mobili, et di movimenti fra
loro differenti et velocissimi.
Questo desidero sapere, perchè ne sento parlare variamente; et le RR. VV., come
essercitate nelle scienze mathematiche, facilmente mi sapranno dire se queste
nuove inventioni siano ben fondate, o pure siano apparenti et non vere. Et se gli
piace, potranno mettere la risposta in questo istesso foglio.
Il “caso” Bellarmino
MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO a ROBERTO BELLARMINO in Roma.
Roma, 24 aprile 1611.
Responderemmo in questa carta conforme al commandamento di V. S. Ill.ma() intorno
alle varie apparenze che si vedono nel cielo con l'occhiale, et con lo stesso ordine
delle proposte che V. S. Ill.ma fa.
Alla prima, è vero cha appaiono moltissime stelle mirando con l'occhiale nelle
nuvolose del Cancro e Pleiadi; ma nella Via Lattea non è così certo che tutta consti
di minute stelle, et pare più presto che siano parti più dense continuate, benchè
non si può negare che non ci siano ancora nella Via Lattea molte stelle minute. È
vero che, per quel che si vede nelle nuvolose del Cancro et Pleiadi, si può
congetturare probabilmente che ancora nella Via Lattea sia grandissima
moltitudine di stelle, le quali non si ponno discernere per essere troppo minute.
Alla 2a, habbiamo osservato che Saturno non è tondo, come si vede Giove e Marte,
ma di figura ovata et oblonga in questo modo ; se bene non habbiam visto le due
stellette di qua et di là tanto staccate da quella di mezzo, che possiamo dire essere
stelle distinte.
Il “caso” Bellarmino
Alla 3a, è verissimo che Venere si scema et cresce come la luna: et havendola noi vista
quasi piena, quando era vespertina, habbiamo osservato che a puoco a puoco
andava mancando la parte illuminata, che sempre guardava il sole, diventando
tutta via più cornicolata; et osservatala poi matutina, dopo la congiontione col
sole, l'habbiamo veduta cornicolata con la parte illuminata verso il sole. Et hora va
sempre crescendo secondo il lume, et mancando secondo il diametro visuale.
Alla 4a, non si può negare la grande inequità della luna; ma pare al P. Clavio più
probabile che non sia la superficie inequale, ma più presto che il corpo lunare non
sia denso uniformemente et che abbia parti più dense et più rare, come sono le
macchie ordinarie, che si vedono con la vista naturale. Altri pensano, essere
veramente inequale la superficie; ma infin hora noi non habbiamo intorno a
questo tanta certezza, che lo possiamo affermare indubitamente.
Alla 5a, si veggono intorno a Giove quattro stelle, che velocissimamente si movono
hora tutte verso levante, hora tutte verso ponente, et quando parte verso levante,
et quando parte verso ponente, in linea quasi retta: le quali non possono essere
stelle fisse, poichè hanno moto velocissimo et diversissimo dalle stelle fisse, et
sempre mutano le distanze fra di loro et Giove.
Il “caso” Bellarmino
FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze.
Acquasparta, 12 gennaio 1615.
Quant'all'opinione di Copernico, Bellarmino istesso, ch'è
de' capi nelle congregatione di queste cose, m'ha detto
che l'ha per heretica, e che il moto della terra, senza
dubio alcuno, è contro la Scrittura: dimodo che V. S.
veda. Io sempre son stato in dubio, che consultandosi
nella Congregation del'Indice, a tempo suo, di
Copernico, lo farebbe prohibire, nè giovarebbe dir
altro.
Il “caso” Bellarmino
GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze.
Roma, 28 febbraio 1615.
Io hebbi nuove una sera, circa a tre settimane fa, di questa sua predica; nè sapendo io
che cosa si fusse, e se bene non omnia metuenda, mi ricordai pure del nihil
spernendum. Benchè fossero due hore di notte, non volli differire; andai subito a
trovare il S.r Card.l Barberino, il quale conserva molto affetto verso V. S., e la saluta
e ringratia dell'offitio che in nome di lei ho passato con S. S.ria Ill.ma Non ci è ancora
stato tempo da fargli vedere la copia della lettera scritta al P. D. Benedetto, sì
come si farà da Mons.r Dini o da me, o da tutti due insieme: il che ancora
pensiamo che sia ben fare co 'l S.r Card.l Bellarmino.
…
Il S.r Card.l Barberino, il quale, come ella sa per esperienza, ha sempre ammirato il suo
valore, mi diceva pure hiersera, che stimerebbe in queste opinioni maggior cautela
il non uscir delle ragioni di Tolomeo o del Copernico, o finalmente che non
eccedessero i limiti fisici o mathematici, perchè il dichiarar le Scritture pretendono
i theologi che tocchi a loro; e quando si porti novità, ben che per ingegno
ammiranda, non ogn'uno ha il cuore senza passione, che voglia prender le cose
come son dette; chi amplifica, chi tramuta; tal cosa esce di bocca dal primo autore,
che tanto sarà trasformata nel divolgarsi, che più non la riconoscerà per sua.
Il “caso” Bellarmino
PIERO DINI a GALILEO in Firenze.
Roma, 7 marzo 1615.
Questi giorni di carnovale, e le molte rappresentationi e altre feste che si
sono fatte m'impedirono il trovar le persone che bisognava; però, in quel
cambio, feci fare molte copie della lettera di V. S. al P. Matematico, e l'ho
poi data al P. Grembergero, con una lettura di quella che V. S. scrive a
me(): e così ho poi fatto con molt'altri e con l'Ill.mo Bellarmino, col quale
parlai a lungo delle cose che V. S. scrive; delle quali mi assicurò non ne
haver mai più sentito parlare in conto nessuno, da che ella ne trattò seco
a bocca. E quanto al Copernico, dice S. S. Ill.ma non poter credere che si sia
per proibire, ma il peggio che possa accaderli, quanto a lui, crede che
potessi essere il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse
introdotta per salvar l'apparenze, o simil cose, alla guisa di quelli che
hanno introdotto gli epicicli e poi non gli credono […]
Il “caso” Bellarmino
GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze.
Roma, 21 marzo 1615.
Sono stato questa mattina con Mons.r Dini dal S.r Card.l Dal Monte, il
quale la stima singolarmente e le mostra affetto strasordinario. S.
S.ria Ill.ma diceva d'haverne tenuto lungo ragionamento col S.r Card.
Bellarmino: e ci concludeva che quando ella tratterà del sistema
Copernicano e delle sue dimostrationi senza entrare nelle Scritture,
la interpretatione delle quali vogliono che sia riservata a i professori
di theologia approvati con publica autorità, non ci doverà essere
contrarietà veruna; ma che altrimenti difficilmente si
ametterebbero dichiarationi di Scrittura, benchè ingegnose,
quando dissentissero tanto dalla comune openione de i Padri della
Chiesa.
Il “caso” Bellarmino – Epilogo
ROBERTO BELLARMINO a PAOLO ANTONIO FOSCARINI [in Roma].
Roma, 12 aprile 1615.
Ho letto volentieri l'epistola italiana e la scrittura latina che la P. V. m'ha mandato: la
ringratio dell'una e dell'altra, e confesso che sono tutte piene d'ingegno e di
dottrina. Ma perchè lei dimanda il mio parere, lo farò con molta brevità, perchè lei
hora ha poco tempo di leggere et io ho poco tempo di scrivere.
P.o Dico che mi pare che V. P. et il Sig.r Galileo facciano prudentemente a contentarsi
di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che
habbia parlato il Copernico. Perchè il dire, che supposto che la terra si muova et il
sole stia fermo si salvano tutte l'apparenze meglio che con porre gli eccentrici et
epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al
mathematico: ma volere affermare che realmente il sole stia nel centro del
mondo, e solo si rivolti in sè stesso senza correre dall'oriente all'occidente, e che la
terra stia 3° nel cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto
pericolosa non solo d'irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di
nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante; perchè la P. V. ha
bene dimostrato molti modi di esporre le Sante Scritture, ma non li ha applicati in
particolare, chè senza dubbio havria trovate grandissime difficultà se havesse
voluto esporre tutti quei luoghi che lei stessa ha citati.
2.° Dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de'
Santi Padri; e se la P. V. vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li commentarii moderni sopra
il Genesi, sopra li Salmi, sopra l'Ecclesiaste, sopra Giosuè, trovarà che tutti convengono in esporre
ad literam ch'il sole è nel cielo e gira intorno alla terra con somma velocità, e che la terra è
lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo, immobile. Consideri hora lei, con la sua
prudenza, se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un senso contrario alli Santi Padri
et a tutti li espositori greci e latini. Nè si può rispondere che questa non sia materia di fede, perchè
se non è materia di fede ex parte obiecti, è materia di fede ex parte dicentis; e così sarebbe
heretico chi dicesse che Abramo non habbia havuti due figliuoli e Iacob dodici, come chi dicesse
che Christo non è nato di vergine, perchè l'uno e l'altro lo dice lo Spirito Santo per bocca de' Profeti
et Apostoli.
3.o Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3°
cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con
molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non
l'intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal
dimostratione, fin che non mi sia mostrata: nè è l'istesso dimostrare che supposto ch'il sole stia nel
centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in verità il sole stia nel centro e
la terra nel cielo; perchè la prima dimostratione credo che ci possa essere, ma della 2a ho
grandissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa, esposta da' Santi
Padri. Aggiungo che quello che scrisse: Oritur sol et occidit, et ad locum suum revertitur etc., fu
Salomone, il quale non solo parlò inspirato da Dio, ma fu huomo sopra tutti gli altri sapientissimo e
dottissimo nelle scienze humane e nella cognitione delle cose create, e tutta questa sapienza
l'hebbe da Dio; onde non è verisimile che affermasse una cosa che fusse contraria alla verità
dimostrata o che si potesse dimostrare. E se mi dirà che Salomone parla secondo l'apparenza,
parendo a noi ch'il sole giri, mentre la terra gira, come a chi si parte dal litto pare che il litto si parta
dalla nave, risponderò che chi si parte dal litto, se bene gli pare che il litto si parta da lui,
nondimeno conosce che questo è errore e lo corregge, vedendo chiaramente che la nave si muove
e non il litto; ma quanto al sole e la terra, nessuno savio è che habbia bisogno di correggere
l'errore, perchè chiaramente esperimenta che la terra sta ferma e che l'occhio non s'inganna
quando giudica che il sole si muove, come anco non s'inganna quando giudica che la luna e le stelle
si muovano. E questo basti per hora.
Il “caso” Bellarmino – Epilogo
PIERO DINI a GALILEO [in Firenze].
Roma, 18 aprile 1615.
Dopo che io accusai la ricevuta lettera di V. S. da mostrarsi all'Ill.mo
Bellarmino, non ho, si può dir, fatto altro a favore di questo negozio,
perchè havevo proprio gusto di trattarne io col detto Ill.mo, ma una
raucedine grande m'ha tolto il poter discorrere con galantuomini, nè
d'altri mi son voluto fidare. Hora in questi santi giorni, che stanno
occupati, m'è parso lasciarli stare, tanto che finiscono queste fazioni
cardinalizie. Intanto V. S. dall'aggiunta lettera potrà vedere l'umore di
questi Signori; e io a questo Padre, in ricompensa d'altre sue cortesie, ho
dato la lettera di V. S., che ancora non l'ho lasciata in altre mani che del S.r
Principe Cesis. Scusimi V. S. di quello che non ho fatto per lei; e le bacio le
mani, con pregarle felicissime feste e ogni altro bene.
In vedendomi il S.r Card.le Barberino, mi disse spontaneamente queste parole:
Delle cose del S.r Galileo non sento che se ne parli più; e se egli seguiterà
di farlo come matematico, spero non gli sarà dato fastidio.
Un alto prelato: il card. Carlo Conti
CARLO CONTI a GALILEO in Firenze.
Roma, 18 agosto 1612.
In quanto poi a quello che me rechiede, se la Scrittura Sacra favorisca a' principii de Aristotele intorno la
constitutione dell'universo; se V. S. parla dell'incorrottibilità del cielo, come pare che accenni nella
sua, dicendo scoprirse ogni giorno nove cose nel cielo, le respondo non essere dubbio alcuno che la
Scrittura non favorisce ad Aristotele, anzi più tosto alla sentenza contraria, sì che fu comune
opinione de' Padri che il cielo fosse corruttibile. Se poi queste cose che di nuovo si scorgono in
cielo, dimostrino questa corruttibilità, ricerca longa consideratione, sì perchè il cielo essendo da noi
sì distante, è difficile affermare di lui cosa di certo senza longhe osservatione, sì anco perchè se è
corruttibile, bisogna habbi determinate cause di queste mutatione, quale a certi et determinati
tempi si debbino vedere, nè salvare si possino senza che il cielo patisca corruttione, come
facilmente alcuni pensaranno potersi salvare le macchie che si vedono nel sole con il moto de
alcune stelle che sotto de lui se aggirino. Queste ragione, et altre molte, penso siino state da V. S.
molto ben considerate et essaminate; et però aspetto haver da lei più longa dechiaratione delle
sue osservatione et ragione.
Quanto poi al moto della terra et del sole, si trova che de due moti della terra puol essere questione:
l'uno de' quali è retto, et fassi dalla mutatione del centro della gravità; et chi ponesse tal moto, non
dirrebbe cosa alcuna contro la Scrittura, perchè questo è moto accidentario alla terra: et così la
notò Lorino sopra il primo recto (sic) dell'Ecclesiastico (sic). L'altro moto è circolare, sì che il cielo
stii fermo et a noi appare moversi per il moto della terra, come a' naviganti appare moversi il lido;
et questa fu opinione di Pittagorici, seguitata poi dal Copernico, dal Calcagnino et altri, et questa
pare meno conforme alla Scrittura: perchè, se bene quei luoghi dove se dice che la terra stii stabile
et ferma, si possono intendere della perpetuità della terra, come notò Lorino nel luogo citato,
nondimeno dove si dice che il sole giri et i cieli si movono, non puole havere altra interpretatione la
Scrittura, se non che parli conforme al comun modo del volgo; il qual modo d'interpretare, senza
gran necessità non non si deve ammettere. Nondimeno Diego Stunica, sopra il nono capo di Giob,
al versetto 6°, dice essere più conforme alla Scrittura moversi la terra, ancor che comunemente la
sua interpretatione non sia seguita. Che è quello si è potu[to] trovare fin hora in questo proposito;
se bene quando V. S. desideri di havere altra chiarezza d'altri luoghi della Scrittura, me lo avisi, chè
gli lo mandarò.
Johannes Kepler
MARTINO HASDALE a GALILEO in Padova.
Praga, 15 aprile 1610.
[…] Ma io questa mattina ho havuta occasione di fare amicitia stretta con il Kepplero,
[…] Hora gli ho domandato quello che gli pare di quel libro et di V. S. Mi ha
risposto che sono molti anni che ha prattica con V. S. per via di lettere, et che
realmente non conosce maggiore huomo di V. S. in questa professione, nè manco
ha conosciuto; et che con tutto che il Tichone fosse tenuto per grandissimo,
nondimeno che V. S. l'avanzava di gran lunga. Quanto poi a questo libro, dice che
veramente ella ha mostrata la divinità del suo ingegno; però, che ella viene havere
data qualche occasione non solo alla natione Todesca, ma anco alla propria, non
havendo fattone mentione alcuna di quegli autori che le hanno accennato et porta
occasione di investigare quello che hora ha truovato, nominando fra questi
Giordano Bruno per Italiano, et il Copernico et sè medesimo, professando di
havere accennato simili cose (però senza pruova, come V. S., et senza
demostrationi): et haveva portato seco il suo libro, per mostrar allo Ambasciatore
Sassone il luogo. Ma in quello ch'eramo in questi ragionamenti, è sopragionto un
estraordinario di Sassonia al detto Ambasciatore, che ha disturbata la
conversatione. Ma domattina, piacendo a Dio, ci rivederemo, che senz'altro
porterà il medesimo suo libro con quello di V. S., come ha fatto hoggi, per
mostrarlo all'Ambasciatore di Toscana.
Johannes Kepler
Kepler a Magini, 10 maggio 1610 (da Praga)
“Chiedi il mio parere sul Nuncius Sidereus di
Galileo. Eccolo, e scusami. Siamo entrambi
copernicani: il simile di rallegra con il simile.
Ritengo comunque di essermi
sufficientemente garantito – se legi con
attenzione – e là dove è stato possibile, l’ho
richiamato ai suoi principi”. (X, n. 308).
Johannes Kepler
Dissertatio cum Nuncio Sidereo
La tua abilità viene in gara con la precisione di Tycho Brahe, accuratissima
nell’osservazione. […] Laddove Brahe ha misurato in cielo, in questo
modo, i gradi celesti […] ora Galileo, il tuo cannocchiale, facendo la sua
comparsa e abbracciando quell’ampiezza data da Brahe e da me, la
suddivide con estrema precisione, in minuti e parti di minuto, e si può
combinare in modo elegantissimo al metodo di osservazione di Brahe;
cosicché la un lato lo stesso Brahe può trarre profitto dal tuo metodo di
osservazione, e dall’altro tu puoi aggiungere il necessario al tuo con quello
di Brahe.
Vuoi che ti dica quello che penso? Mi auguro di avere il tuo strumento per
osservare un’eclissi di Luna: spererei da esso un validissimo aiuto al fine di
perfezionare (e in qualche punto deve essere anche modificato) tutto il
mio Ipparco, cioè la dimostrazione delle distanze e della grandezza dei tre
corpi: Sole, Luna e Terra.
Johannes Kepler
GALILEO a GIULIANO DE' MEDICI in Praga.
Firenze, 13 novembre 1610.
Ma passando ad altro, già che il S. Keplero ha in questa sua ultima Narrazione stampate le lettere
che io mandai a V. S. Ill.ma trasposte, venendomi anco significato come S. M.à ne desidera il
senso, ecco che io lo mando a V. S. Ill.ma, per participarlo con S. M.à, col S. Keplero, et con chi
piacerà a V. S. Ill.ma, bramando io che lo sappi ogn'uno. Le lettere dunque, combinate nel loro
vero senso, dicono così:
Altissimum planetam tergeminum observavi
Questo è, che Saturno, con mia grandissima ammiratione, ho osservato essere non una stella
sola, ma tre insieme, le quali quasi si toccano; sono tra di loro totalmente immobili, et
costituite in questa guisa ; quella di mezzo è assai più grande delle laterali; sono situate una
da oriente et l'altra da occidente, nella medesima linea retta a capello; non sono
giustamente secondo la drittura del zodiaco, ma la occidentale si eleva alquanto verso borea;
forse sono parallele all'equinotiale. Se si riguarderanno con un occhiale che non sia di
grandissima multiplicazione, non appariranno 3 stelle ben distinte, ma parrà che Saturno sia
una stella lunghetta in forma di una uliva, così ; ma servendosi di un occhiale che multiplichi
più di mille volte in superficie, si vedranno li 3 globi distintissimi, et che quasi si toccano, non
apparendo tra essi maggior divisione di un sottil filo oscuro. Hor ecco trovata la corte a
Giove, et due servi a questo vecchio, che l'aiutano a camminare nè mai se gli staccano dal
fianco. Intorno a gl'altri pianeti non ci è novità alcuna.
Johannes Kepler
GALILEO a [GIULIANO DE' MEDICI in Praga].
Firenze, 1° gennaio 1611.
È tempo che io deciferi a V. S. Ill.ma et R.ma, et per lei al S. Keplero, le lettere trasposte
[…]
Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendosi Venere vespertina, la cominciai ad
osservare diligentemente con l'occhiale, per veder col senso stesso quello di che
non dubitava l'intelletto.
Ma è il suo diametro adesso circa cinque volte maggiore di quello che si mostrava
nella sua prima apparizione vespertina: dalla quale mirabile esperienza haviamo
sensata et certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbie tra'
maggiori ingegni del mondo. L'una è, che i pianeti tutti sono di loro natura
tenebrosi (accadendo anco a Mercurio l'istesso che a Venere): l'altra(), che Venere
necessariissimamente si volge intorno al sole, come anco Mercurio et tutti li altri
pianeti, cosa ben creduta da i Pittagorici, Copernico, Keplero et me, ma non
sensatamente provata, come hora in Venere et in Mercurio. Haveranno dunque il
Sig. Keplero et gli altri Copernicani da gloriarsi di havere creduto et filosofato
bene, se bene ci è toccato, et ci è per toccare ancora, ad esser reputati
dall'universalità de i filosofi in libris per poco intendenti et poco meno che stolti.
Johannes Kepler
GALILEO a GIULIANO DE' MEDICI [in Praga].
[Firenze, febbraio 1611.]
Il principale fondamento del mio discorso è nell'osservare io molto evidentemente con l'occhiali, che
quelli pianeti, di mano in mano che si trovano più vicini a noi o al sole, ricevono maggiore
splendore, et più illustremente ce lo riverberano: et perciò Marte perigeo, et a noi vicinissimo, si
vede assai più splendido che Giove, benchè a quello di mole assai inferiore; et difficilmente se gli
può con l'occhiale levare quella irradiazione che impedisce il vedere il suo disco terminato et
rotondo, il che in Giove non accade, vedendosi esquisitamente circolato: Saturno poi, per la sua
gran lontananza, si vede essattamente terminato, sì la stella maggiore di mezo come le due
laterali() piccolissime; et appare il suo lume languido et abacinato, senza niuna irradiazione che
impedisca il distinguere i suoi 3 piccoli globi terminatissimi. Hora, poichè apertissimamente
veggiamo che il sole molto splendidamente illustra Marte vicino, et che molto più languido è il
lume di Giove (se bene senza lo strumento appare assai chiaro, il che accade per la grandezza et
candore della stella), languidissimo et fosco quello di Saturno, come molto più lontanto, quali
doveriano apparirci le stelle fisse, lontane indicibilmente più di Saturno, quando il lume derivasse
dal sole? Certamente debolissime, torbide e smorte. Ma tutto l'opposito si vede: però che se
rimireremo, per esempio, il Cane, incontreremo un fulgore vivissimo che quasi ci toglie la vista, con
una vibrazione di raggi tanto fiera et possente, che in comparazione di quello rimangono i pianeti, e
dico Giove et Venere stessa, come un impurissimo vetro appresso un limpidissimo et finissimo
diamante. Et benchè il disco di esso Cane apparisca non maggiore della cinquantesima parte di
quello di Giove, tutta via la sua irradiazione è grande et fiera in modo, che l'istesso globo tra i
proprii crini si implica et quasi si perde, et con qualche difficultà si distingue; dove che per Giove (e
molto più Saturno) si veggono et terminati, et di una luce languida et per così dire quieta. Et per
tanto io stimo che bene filosoferemo referendo la causa della scintillazione delle stelle fisse al
vibrare che elle fanno dello splendore proprio et nativo dall'intima loro sustanza, dove che nella
superficie de i pianeti termina più presto et si finisce la illuminazione che dal sole deriva et si parte.
Benedetto Castelli
BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze.
Brescia, 5 dicembre 1610.
Mi rallegro poi, non con V. S., ma con il S.r Magini, che non habbia (come haveva
inteso io) fatta quella coglioneria di scriver contro all'Aviso Sidereo. Quanto
all'opra dell'Orchi, non è ancora comparsa in Brescia, nè l'ho veduta; ma se ci
verrà mentre ci starò io et alcuni virtuosi gentilhuomini affezionatissimi al valor e
dottrina di V. S., sarà a spese comuni, siano quante si vogliano le copie, comprata
et abbrusciata, acciò in questa nostra patria non ne resti manco memoria. […]
Essendo (come credo) vera la posizione di Copernico, che Venere giri intorno al sole, è
chiaro che sarebbe necessario che fosse vista da noi alle volte cornuta, alle volte
no, stando pure detto pianeta in pari remozioni dal sole, ogni volta però che e la
piccolezza dei corni e la effusione dei raggi non c'impedissero l'osservazione di
questa differenza. Hora desidero saper da V. S. se lei, con l'aiuto dei suoi
meravigliosi occhiali, ha notata simile apparenza, quale senza dubio sarà mezo
sicuro di convincer qual si voglia ostinato ingegno. Simil cosa vo sospettando
ancora di Marte circa il quadrato con il sole; non dico già di apparenza cornuta e
non cornuta, ma almeno di semicircolare e più piena.
Benedetto Castelli
GALILEO a BENEDETTO CASTELLI in Brescia.
Firenze, 30 dicembre 1610.
Sappia dunque che io, circa tre mesi fa, cominciai a osservar Venere con lo strumento, et la vidi di
figura rotonda, et assai piccola; […]
Quanto a Marte, non ardirei di affermare niente di certo; ma osservandolo da quattro mesi in
qua, parmi che in questi ultimi giorni, sendo in mole a pena il terzo di quello che era il
Settembre passato, si mostri da oriente alquanto scemo, se già l'affetto non m'inganna, il che
non credo. […]
O quante et quali conseguenze ho io dedutte, D. Benedetto mio, da queste et da altre mie
osservazioni! Sed quid inde? Mi ha quasi V. R.a fatto ridere, col dire che con queste apparenti
osservazioni si potranno convincere gl'ostinati. Adunque non sapete, che a convincere i
capaci di ragione, e desiderosi di saper il vero, erano a bastanza le altre demostrazioni, per
l'addietro addotte; ma che a convincere gl'ostinati, et non curanti altro che un vano applauso
dello stupidissimo et stolidissimo volgo, non basterebbe il testimonio delle medesime stelle,
che sciese in terra parlassero di sè stesse? Procuriamo pure di sapere qualche cosa per noi,
quietandosi in questa sola sodisfazione; ma dell'avanzarsi nell'opinione popolare, o del
guadagnarsi l'assenso dei filosofi in libris, lasciamone il desiderio e la speranza.
Che dirà V. R.a. di Saturno, che non è una stella sola, ma tre congionte insieme et immobili tra di
loro, poste in linea retta parallela all'equinoziale, così ? La media è maggiore delle laterali tre
o quattro volte; tale l'ho io osservato da Luglio in qua: ma hora in mole sono diminuite assai.
Giovanni Antonio Magini
[GIO. ANTONIO MAGINI ad ANTONIO SANTINI in Venezia].
[Bologna, 22 giugno 1610].
Faccio poi sapere a V. S., che sono stato astretto levarmi di casa quel Mess.r Martino
Horki tedesco; e questo perchè egli è stato tanto incivile et inconsiderato, di
andare a Modona a fare stampare quella scrittura che egli havea fatto contra il S.re
Galilei, con tutto che io li protestassi in sul saldo ch'io non intendevo che facesse
questa cosa mentre stava in casa mia: ansi, havendolo inteso io domenica sera, lo
licentiai in modo, ch'io non volsi che ci stesse la sera. E perchè li dissi che volevo io
stesso correggiere questa sua imprudenza, et impedirli la stampa di quel libro con
scrivere a Modona ad amici, si risolse quasi subbito di tornare a Modona per
prender la detta scrittura.
Haverò caro che V. S. facci sapere questo successo al detto Sig.r Galilei, acciò egli
prenda quella resolutione che li piacerà: e la resposta a costui sarebbe di farlo
bastonare, muovendosi a tal impresa più per bestialità che per altro. Et io le ho
detto che la licentia dateli non è per lui solo, ma per tutti i Tedeschi, che sono
inimici di noi altri Italiani.
Giovanni Antonio Magini
ANTONIO SANTINI a GALILEO in Padova.
Venezia, 24 giugno 1610.
E quello che maggiormente mi premeva trattar seco, havevo carico di farle
testimonio, che quella voce si era sparsa fosse scritto contra il suo Sidereo
Nuncio, e che il S.re Gio. Antonio Magini ne fosse consapevole, o vero
autore, era del tutto vanità.
Non ho volsuto mancare di darli questo aviso, stimolato anche dal S.re Magini;
dal quale fu approvato il testimonio mio della vista de' pianeti, poi che
esso da impedimenti naturali stenterà a poter ricevere aiuto suficiente
con l'instrumento. () baciali
Giovanni Antonio Magini
GIO. ANTONIO MAGINI a [ANTONIO SANTINI].
[Giugno 1610].
Ho riceuto il vetro che V. S. mi ha mandato, che mi è stato oltre modo caro, come
quello che s'è benissimo accompagnato con l'altro; e ne rendo molte gratie alla
sua infinita cortezia, avisandoli che ho hauto incredibil satisfattione dell cannone
ultimo, che l'ho sperimentato nella luna, e veduto benissimo quelle macchie con la
medesma distintione tutte le sere che le ho osservate: et a me appaiano come
goccie d'oglio nella superficie dell'acqua; et ho scoperto l'eminenza della luna
benissimo, parendomi che sia come un ballone di neve non ben formato, ma alla
grossa, che fa poi qualche oscurità in certi luoghi e inequalità.
In proposito del S.r Galilei, dico che io cercarò i[n] ogni modo di sgannare il mondo,
che io non ho parte nella coglionaria che ha fatto quel mio Tedesco; […] ma sarà in
luogo che se gli potrà far qualche scherso finalmente, quando haverò qualche
resposta dal S.re Keplero, ma in nome suo proprio. Et ultimamente ricevè una
lettera che non mi volse mostrare. Costui mi ha smarrito il foglio b del Nuncio
Sidereo: se lo potessi havere, mi sarebbe cosa gratissima, etc.
Giovanni Antonio Magini
GIO. ANTONIO MAGINI a [GALILEO in Firenze].
Bologna, 28 settembre 1610.
A punto io stavo in pensiero di scrivere a V. S. per darle conto di certo effetto
ch'ho ritrovato col canone, quando m'è sopragionta la sua gratissima; il
qual è questo: che alungando il canone alla doppia distanza di quello che
porta, et levando via il traguardo o lente concava, si vedono tutte le cose
alla riverscia et molto distinte, se bene piccole. Et questo l'ho scoperto
con l'occasione d'un canone o tromba che mi ha mandata a donare il S.or
Santini, che è di forse dodici pezzi: il qual S.or Santini, per l'ultime lettere
che mi sono capitate hoggi, scrive così delli 4 pianeti:
«Alli 20 ho osservato Giove verso le 10 hore, et haveva li 4 pianeti tutti
orientali in questa forma ; alli 23, circa la medesma hora, li haveva così
disposti . Haverei pur caro di sapere di costì qualche cosa circa questa
mobilità, et la causa della negativa, quia patent sensui.»
Giovanni Antonio Magini
GIO. ANTONIO MAGINI a GALILEO in Firenze.
Bologna, 15 ottobre 1610.
Il S.or Card.le Giustiniano s'è fatto venire da Venetia, già più di due settimane, Bortolo,
figliuolo di quell'occhialaro dall'Imp.e, per far lavorare de' vetri da canoni, et se ne
caverà a suo modo la voglia, et n'haverò ancor io alcuno, facendone colui d'assai
buoni così per canoni lunghi come per mediocri; et credo voler tenir ancor io
questo giovane una settimana in casa.
Il S.or Santini mi mandò sino a 3 lenti assai grandi, tra le quali penso ce ne sia una
molto buona: ma io non ho traguardi molto a proposito, et n'aspetto da Venetia.
Ma se lei mi farà gratia di qualche vedri, sperarò che mi debbano riuscire molto
migliori di questi, et gli ne restarò con obligo et con disiderio di non me le
dimostrare ingrato.
Ho poi inteso quanto mi scrive del specchio grande, et spero fra poco d'haver fornito
un poco di discorso sopra lo specchio concavo, ad instanza del nostro Cardinale; il
quale forse mi risolverò di far stampare, chè potrebbe esser che movesse maggior
desiderio al G. D. d'haver uno di quei specchi, vedendo questo discorso.
Giovanni Antonio Magini
GIO. ANTONIO MAGINI a GALILEO in Firenze.
Bologna, 30 aprile 1613.
Se bene dall'Ill.mo S.or Marchese Cesis fu dato uno di questi libri di V. S. a libraro Tamburino(), che
me lo portasse in nome di quello, m'è però stato gratissimo questo che lei s'è compiacciuta
di mandarmi, et per venire dalle sue mani, che per ciò mostra di tenir conto di me, et per
haverlo havuto molto prima di quell'altro, che non è ancora arrivato a Bologna per i cattivi
tempi; onde per così segnalato favore le rendo molte gratie, confessandomele obligatissimo
et desiderosissimo di corrisponderle di gratitudine in ogni miglior modo ch'io potrò. L'ho
havuto a punto questa mattina dal libraro che me l'ha legato, et lo leggerò con molt'avidità
per la curiosità ch'apportano questi nuovi scoprimenti celesti, che porgono() grandissimo
lume all'astronomia et alla filosofia.
Con l'occasione che quest'anno ho lette publicamente le mie theoriche, sono andato facendo
qualche fatica per riformarle all'hipothesi Copernica[ne] et Tichoniche, per dar sodisfattione
ad ogn'uno; et per tal rispetto ho travagliato molti giorni intorno al moto di Marte per
cavarne le tavole, senza le quali si può malamente godere: le quali poi mi sono riuscite di
molta mia sodisfattione, vedendo ch'incontrano più con l'osservationi Tichoniche che non
fanno quelle dell'istesso S.or Keplero, per quanto egli stesso confessa; et tutta via sono sotto
le stampe, insieme con le tavole Tichoniche de i luminari, ridotte da me a facilità. Non son
più lungo per non la fastidire: et le bacio le mani, con offerirmi sempre prontissimo a' suoi
commandi.
Tommaso Campanella
(Gennaio 1611)
«Tu, invece, infrangendo prima del tempo involucri e veli di questo
mondo vaporoso, conduci sino a noi quel cielo clementino e lo
abbassi verso di noi. Esultiamo: se i teologi mormoreranno, i Padri
della teologia ti difenderanno con le loro profezie: Crisostomo,
Teodoro ‐ vescovo di Tarso, suo maestro ‐ e Procopio di Gaza, i
quali insegnano che il cielo è immobile, specialmente il primo, e che
le stelle ruotano intorno. E Agostino insegna che questa opinione
venne comprovata dai matematici a lui coevi, e che non deve
essere negata in nome delle Sacre Scritture, se non vogliamo essere
derisi dagli stessi matematici: cosa di cui Agostino stesso avrebbe
dovuto considerare quando negò l’esistenza degli antipodi».
Galileo 2009
1609-1616
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