La responsabilità dei magistrati alla luce della giurisprudenza

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 1
ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI
Seminario interdisciplinare – Roma, 8 giugno 2009
Problemi della giustizia in Italia
La responsabilità del giudice alla luce della giurisprudenza comunitaria*
Antonio D’Aloia *
1. Il senso di questa iniziativa di studio sui problemi della giustizia in Italia è
essenzialmente quello di riflettere non tanto sui singoli istituti, sui meccanismi
organizzativi o sulle procedure che riguardano la dimensione strutturale e quella
operativa della giurisdizione, quanto sulle proposte (o sulle esigenze) di riforma
che si vanno manifestando, in questa fase, per ciascuno di essi.
A questa impostazione cercherò di attenermi nel trattare il tema che mi è stato
assegnato, cioè la responsabilità del giudice alla luce della giurisprudenza
comunitaria.
La responsabilità che viene qui in rilievo è quella civile, è la responsabilità
risarcitoria del soggetto che esercita la funzione giurisdizionale (e, normalmente,
dello Stato per lui) nei confronti delle parti del processo che si ritengono
danneggiate da una sua decisione. E’ una responsabilità che si colloca su un
piano diverso da quella disciplinare1, che invece ‘nasce’ e si sviluppa in un
quadro di valori e di motivazioni che hanno a che fare principalmente con la
dimensione ‘interna’ o comunque ‘collettiva’ del sistema giudiziario2. Ad ogni
modo, le due ipotesi di responsabilità sono tutt’altro che reciprocamente
impermeabili o staccate3, ponendosi spesso su una linea di continuità e di
*
Testo della relazione (riproposta con poche aggiunte, essenzialmente bibliografiche) presentata al
Seminario interdisciplinare sul tema “Problemi della giustizia in Italia”, organizzato dall’Associazione
Italiana dei Costituzionalisti l’8 giugno 2009 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma
“La Sapienza”.
*
Professore Ordinario di Diritto Costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli
Studi di Napoli Federico II.
1
C. MURGIA, Appunti in tema di responsabilità civile dei magistrati, in Foro Amm., 1971, 526.
2
Sulle logiche principali del sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati, v. N. ZANON – FBIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, seconda ed., Bologna, 2008, 177 ss.
3
Cfr. N. PICARDI, La responsabilità del giudice: la storia continua, in Riv. Dir. Proc., 2007, 288 ss.;
nonché, volendo A. D’ALOIA, Questioni in tema di responsabilità dei magistrati, in Associazione
Italiana dei Costituzionalisti, Annuario 2004, Separazione dei poteri e funzione giurisdizionale, Padova,
2008, 315 ss.
derivazione, almeno della responsabilità disciplinare da quella civile (si pensi
agli artt. 5, co. 5, e 9 della l. 117/88)4.
Il tema presenta degli elementi di complessità che appartengono alla teoria
dell’ordinamento giudiziario, prima ancora che alle singole esperienze storiche
di sistemi giurisdizionali.
Il fatto che questa responsabilità sia contemporaneamente la più temuta, per le
potenziali ricadute lesive sui “beni” costituzionali dell’indipendenza e della
serenità di giudizio del magistrato, e quella meno utilizzata poi sul piano delle
concrete dinamiche processuali5, non è una delle solite ‘eccezioni’ o (come si
dice) ‘anomalie corporative’che caratterizzano l’ordinamento italiano della
magistratura.
Le sue difficoltà teoriche e pratiche attraversano il panorama così eterogeneo dei
sistemi giudiziari comparati, generando ovunque problematiche dalle quali
appare arduo venir fuori con soluzioni lineari e prive di aporie o punti di frattura
della sequenza tra premesse e conclusioni. D’altro canto, è lo stesso quadro dei
possibili interventi modificativi a non consentire molti spazi di differenziazione
delle discipline6.
In altre parole,
il rapporto tra indipendenza e responsabilità (civile) del
magistrato delinea un equilibrio7 stretto, in cui è particolarmente elevato il
rischio che lo spostamento –anche parziale- dello schema verso uno dei due
termini possa comportare una nuova sintesi eccessivamente squilibrata, nella
quale uno dei due elementi subisce un sostanziale svuotamento a vantaggio
dell’altro.
Questo non significa che i due concetti siano o possano essere letti in una
relazione di rigida alternativa (o di contrasto) tra di loro. Una simile
ricostruzione, pure non estranea ad un certo indirizzo culturale, che si è palesato
soprattutto all’epoca del referendum sulla disciplina codicistica della
responsabilità civile, appartiene alle rappresentazioni per così dire ‘di maniera’,
che servono a definire retoricamente una linea di demarcazione e di conflittualità
tra posizioni diverse piuttosto che a descrivere oggettivamente un tema di
discussione.
4
Ai sensi dell’art. 2, co. 1, lett. g), del d.lgs. 109 del 1996, la grave violazione di legge determinata da
ignoranza e negligenza inescusabile costituisce illecito disciplinare.
5
Cfr., da ultimo, S. PANIZZA, La responsabilità civile dei magistrati nella giurisprudenza
costituzionale, in M. VOLPI (a cura di), Responsabilità dei magistrati, Napoli, 2009, 192. Vedi in
precedenza, per considerazioni analoghe, A. GIULIANI – N. PICARDI, La responsabilità del giudice:
problemi storici e metodologici, in AA.VV.,L’educazione giuridica – vol. III, La responsabilità del
giudice, Perugia, 1978, 26.
6
In questo senso, mi ero espresso già in A. D’ALOIA, Questioni in tema di responsabilità dei magistrati,
cit., 311.
7
Cfr. già E. FASSONE, Il giudice tra indipendenza e responsabilità, in Riv.it. dir. Proc. Pen., 1980, 12.
2
L’indipendenza ha bisogno della responsabilità, è anche responsabilità, e anzi
questa è un aspetto non secondario della credibilità e dell’autorevolezza della
funzione giurisdizionale, proprio in vista della sua ‘missione’ costituzionale, che
è principalmente quella di dare corpo all’idea della difesa effettiva ed inviolabile
dei diritti della persona, che la Repubblica è chiamata (dall’art. 2 Cost.) non solo
a riconoscere ma a garantire, appunto attraverso la figura imparziale del giudice
e la struttura (rectius: le strutture) del processo.
A sua volta, la nozione di responsabilità si concretizza in una pluralità di
significati e di implicazioni (anche) organizzative.
La responsabilità del giudice (e, più in generale, del magistrato) è innanzitutto la
qualità ‘modale’ dell’agire del soggetto investito del potere giurisdizionale, la
consapevolezza del senso e dell’importanza (spesso ‘drammatica’) del suo ruolo
e dei suoi compiti: e qui, il discorso della responsabilità incrocia i problemi (che
fuoriescono dai confini di questa relazione) della formazione, della carriera,
dello status dei magistrati8.
Ed è, ovviamente, la possibilità di ‘reagire’ nei confronti di comportamenti che
alterano gravemente il servizio pubblico della giustizia, determinando un danno
ingiusto ai privati che su di essa hanno fatto affidamento, ovvero che ne hanno
subito il raggio di azione.
Questa responsabilità, se è parte necessaria –come si è detto- di una giustizia
amministrata in nome del popolo, secondo la formula costituzionale di apertura
del titolo dedicato alla Magistratura, che richiama tutti quei principi in cui si
realizza la centralità del popolo nella Costituzione democratica (e tra questi, i
diritti, la loro effettiva garanzia, il principio di responsabilità di tutti coloro che
esercitano una funzione pubblica, salvi i temperamenti e le eccezioni sostenuti
da motivazioni di rilievo altrettanto costituzionale), può tuttavia, se non
configurata in modo attento ed equilibrato, rivelarsi un fattore di
condizionamento e di distorsione di quelle prerogative di indipendenza, libertà
interpretativa, imparzialità, che sono il tratto irrinunciabile della giurisdizione.
E’ una preoccupazione seria, oggettiva, diffusa negli ordinamenti moderni al di
là delle forti differenze che caratterizzano i diversi sistemi di organizzazione del
potere giudiziario9. E questa non è una notazione irrilevante. In altre parole, non
8
In questi termini, L. PEPINO, Legalità e diritti di cittadinanza nella democrazia maggioritaria, in Quest.
Giust., 1993, 275.
9
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 18 del 1989, richiamò una risoluzione (del 29
novembre 1985) dell’Assemblea generale dell’ONU, secondo la quale i giudici debbono godere di forme
d’immunità dalle azioni civili di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti da atti impropri od
omissioni commessi nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
3
ci sono conclusioni facili della ricerca di un nuovo equilibrio tra indipendenza e
responsabilità, e i margini di manovra sono –come si è detto- abbastanza risicati.
2. Ho fatto questa premessa per dare subito atto della difficoltà di trattare il tema
della responsabilità civile del magistrato nella prospettiva di immaginare
possibili indirizzi di riforma, o di ragionare sulle proposte presenti nel dibattito
politico o nelle riflessioni interne alla cultura giuridica.
Partendo da queste, se ci si ferma al dato parlamentare, e alla legislatura in corso,
non sono molti, né particolarmente interessanti, gli spunti di analisi. Non si
intravvede nei disegni di legge presentati in questa prima fase della nuova
legislatura una chiara percezione dei problemi da cui muove una istanza di
riforma, anche quando –e questo è in un certo senso paradossale- questi problemi
sono formalmente segnalati nelle relazioni di accompagnamento o esplicative
delle proposte.
Il filo ‘comune’ di queste proposte (mi riferisco ai disegni di legge nn. 1429,
Lussana ed altri, n. 252, Bernardini e altri, n. 1956, Brigandì e altri, tutti del
2008) sembra essere quello di una ‘personalizzazione’ della responsabilità del
giudice, con il superamento dell’attuale modello della responsabilità ‘indiretta’,
imperniato sulla chiamata in giudizio dello Stato per il fatto del giudice, con una
possibilità di rivalsa successiva alla condanna10. E ciò, come si proverà a
sostenere, se richiama la ‘parola d’ordine’ del referendum del 1987, appare un
po’ fuori centro rispetto alle effettive esigenze in gioco. Come eccezione merita
di essere segnalato il d.d.l. Tomassini (Atti Senato, n. 54 del 29 aprile 2008), che
all’art. 2 stabilisce il principio secondo cui “E’ ammessa azione di responsabilità
nei confronti del giudice che versi in dolo o colpa grave, in solido con lo Stato,
anche se il danno ingiusto dipende da una pronunzia in sede di interpretazione di
norme o di valutazione del fatto e delle prove”.
In realtà, a mettere all’ordine del giorno della riflessione politica il tema della
modifica della disciplina legislativa della responsabilità civile del magistrato
sono soprattutto due fattori di pressione, uno in un certo senso ‘oggettivo’, che
nasce dalla stessa esperienza “(non) applicativa” della legge n. 117/88; l’altro
‘esterno’ al dibattito tutto italiano sui problemi e sulla riforma della giustizia, che
10
In particolare, l’art. 7, co. 1, della l. 117/88 prevede che “lo Stato, entro un anno dal risarcimento
avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di un titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di
ammissibilità di cui all’art. 5, esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato”. Il successivo art.
8, co. 3, stabilisce che “La misura della rivalsa non può superare una somma pari al terzo di una annualità
dello stipendio […]”. Nella proposta di legge Mantini, n. 2089 del 2009, si prevede che la misura della
rivalsa, fermo restando il limite ‘superiore’ di un terzo della stipendio, non possa essere inferiore ad un
quinto dello stipendio medesimo.
4
ormai da molti anni si sviluppa ‘a strappi’, con accelerazioni dettate dal difficile
rapporto tra politica e magistratura.
3. Cominciamo dal primo.
La legge 117 è un classico esempio di legislazione ‘di carta’11; è rimasta
praticamente inapplicata, almeno in quella che pure doveva essere una delle sue
‘naturali’ implicazioni come legge che era chiamata a dare una proiezione
giuridica all’esito del referendum che aveva abrogato il precedente schema
normativo sulla responsabilità civile del giudice (articolato negli artt. 55, 56 e 74
c.p.c.), vale a dire l’ampliamento della possibilità delle parti private di ottenere
un risarcimento dei danni provocati dall’attività giurisdizionale degli apparati
della magistratura.
E questo dato non può rimanere senza effetto sulla valutazione in termini di
ragionevolezza della legge appena richiamata.
E’ vero che nella sent. 18 del 1989, la Corte Costituzionale affermò che tale
legge rappresentava un adeguato bilanciamento tra le ragioni dell’indipendenza e
quelle della responsabilità, e del suo sfondo assiologico correlato ad una piena ed
effettiva tutela giurisdizionale dei singoli; ma quello era un giudizio quasi
‘astratto’, su una legge entrata in vigore pochi mesi prima, in un momento in cui
non era ancora emersa l’oggettiva difficoltà dell’impianto normativo a produrre
risultati concreti ed apprezzabili. Oggi, dopo più di vent’anni di sostanziale
disattivazione del meccanismo normativo, certo non dovuta all’inerzia dei
potenziali titolari dell’azione risarcitoria (sono comunque più di 100 le cause di
responsabilità intentate nei confronti dello Stato per illecito giurisdizionale)12,
non appare più possibile evitare di chiedersi se la legge non sia in sé,
“oggettivamente”, inadeguata a dare risposta all’istanza di responsabilità dei
soggetti investiti di potere giudiziario.
Non è nemmeno in discussione se ed in quale misura la legge abbia ‘tradito’ o
neutralizzato il mandato referendario13; questo mi sembra un elemento
11
Vedi, in tal senso, G. AFFERNI, La disciplina italiana della responsabilità civile dello stato per
violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultima istanza, in NGCC,
2007, 262; E. FAZZALARI, Una legge “difficile”, in Giur. Cost., 1989, 104; F. D. BUSNELLI, La parabola
della responsabilità civile, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1988, 570; G. GIACOBBE, Riflessioni in tema di
responsabilità del giudice a proposito di una recente proposta di legge, in AA.VV., Giudicare il giudice,
Roma, 1982, 191. Cfr., volendo, anche A. D’ALOIA, Questioni, cit., 308.
12
Per questi dati, v. V. ROPPO, Responsabilità dello Stato per fatto della giurisdizione e diritto europeo:
una case story in attesa del finale, in Riv. Dir. Priv., 2/2006, 366-36713
N. ZANON – F- BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, cit., 200-201.
5
incontestabile. Il fatto è che siamo di fronte ad una disciplina congegnata in
modo da rendere praticamente impossibile o quasi la sua applicazione.
L’asticella della responsabilità è collocata così in alto da determinare una sorta
di cortocircuito, che inibisce la capacità della legge di interagire sul piano
fattuale, finendo perciò col rilevare in termini di irragionevolezza della soluzione
normativa.
Sono ampiamente note, e sono state studiate in modo approfondito, le cause
principali di questo ‘blocco’ dell’attuazione legislativa.
La responsabilità del giudice, che è –come si è ricordato- responsabilità dello
Stato per l’illecito del giudice, scatta solo in casi di dolo e colpa grave; e il
problema non è certamente questo, giacchè sia il meccanismo della
responsabilità ‘indiretta’ (con eventuale rivalsa dello Stato nei confronti del
giudice) che la definizione di una soglia di responsabilità più circoscritta sul
piano dell’elemento soggettivo-psicologico (non ogni colpa, ma solo quella
grave in aggiunta ai comportamenti dolosi) costituiscono delle costanti nella
riflessione e nella esperienza comparata sulla responsabilità civile del giudice.
La stessa nozione di colpa grave è ulteriormente ‘aggravata’ rispetto alla
fenomenologia ordinaria di questa categoria. Il legislatore si preoccupa infatti di
limitare la valutazione del giudice sulla sussistenza di una situazione di colpa
grave, ricorrendo all’elencazione di un ‘fascio’ di fattispecie tipizzate, che
restringono lo spettro dei possibili significati e delle ipotesi riconducibili al
concetto di colpa grave.
La ‘colpa grave’ che può rilevare per legittimare una azione di responsabilità
verso lo Stato-giudice è solo quella che si traduce in: a) grave violazione di legge
determinata da negligenza inescusabile; b) affermazione, determinata da
negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa
dagli atti del procedimento; c) negazione, determinata da negligenza
inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del
procedimento; d) emissione di un provvedimento concernente la libertà della
persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione (art. 2,
comma 3, l. 117/88).
In secondo luogo, ma invero si tratta di un elemento persino più decisivo del
precedente, la legge contiene una clausola generale di esclusione della
responsabilità (la cd. clausola di salvaguardia interpretativa) per “l’attività di
interpretazione di norme di diritto […] e di valutazione del fatto e delle prove
(art. 2, comma 2, l. cit.).
6
Proprio la combinazione di questi due elementi14 nella lettura dominante che la
giurisprudenza ha fatto fino a questo momento appare particolarmente
emblematica dei ‘limiti’ genetici della l. 117/88. La netta separazione tra lo
spazio della violazione di legge e quello dell’attività interpretativa15, con la
conseguenza che il primo può ravvisarsi solo al di fuori (o al di qua) dell’ambito
di svolgimento della seconda o di ogni sua pur minima manifestazione, ha
portato ad ‘estremizzare’ i casi di “grave violazione di legge determinata da
negligenza inescusabile”, fino a renderli praticamente in-concepibili. Per aversi
responsabilità è necessario che la decisione del giudice si profili come
incomprensibile, che è finanche più di (semplicemente!) non giustificabile, tanto
che in dottrina si è parlato provocatoriamente di “decisioni giudiziarie folli, che
chiamano in causa la psichiatria piuttosto che la tecnica legale”16.
In una leading opinion della Corte di Cassazione17, si legge che la formula
qualificatoria della colpa grave (appunto quella della grave violazione di legge
determinata da negligenza inescusabile) “postula una totale mancanza di
attenzione nell’uso degli strumenti normativi, una trascuratezza così marcata da
non potere trovare alcuna plausibile giustificazione e da apparire espressione di
assoluta incuria e mancanza di professionalità […] (essa si esprime) nella
violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma, ovvero … nella
lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico, nell’adozione di
scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, nella
manipolazione arbitraria del testo normativo, nello sconfinamento nel diritto
libero […]”.
In sintesi, allora, la l. 117 è venuta meno ab initio allo scopo per cui è stata –
almeno formalmente- approvata. Il bilanciamento tra indipendenza e
responsabilità (e quindi tutela del privato danneggiato dall’uso scorretto del
servizio della giustizia) si è risolto in un totale accantonamento del secondo
termine.
14
Che F. BONACCORSI, I primi vent’anni della legge n. 117/08 tra interpretazioni giurisprudenziali e
prospettive di riforma, in Danno e Resp., n. 11/2008, 1137; e V. ROPPO, Responsabilità dello Stato per
fatto della giurisdizione e diritto europeo: una case story in attesa del finale, in Riv. Dir. Priv., 2/2006,
352 ss.
15
Per Attardi (Note sulla nuova legge in tema di responsabilità dei magistrati, in Giur. It., 1989, IV,
306-307) ad esempio, “l’art. 2 contrappone interpretazione e violazione di legge (…). Se non si vuole
constatare una contraddizione nell’art. 2, nella parte in cui esclude che l’attività di interpretazione possa
dar luogo a responsabilità e nel contempo riconosce una responsabilità per colpa grave in caso di
violazione di legge, … (bisogna) ritenere che lo stesso art. 2 abbia inteso riferirsi solo alle situazioni nelle
quali, a monte della violazione, vi sia una svista o un abbaglio sul testo della legge da applicare”.
16
V. ROPPO, Responsabilità dello Stato per fatto della giurisdizione e diritto europeo: una case story in
attesa del finale, cit., 355.
17
Corte di Cass., sez. I civ., 20 settembre 2001, n. 11859; ma v., analogamente, anche la sent. n. 7272 del
18 marzo 2008, sempre della Suprema Corte, commentata da L. FRATA, Cronaca di una legge inutile:
la Cassazione e la responsabilità civile dei magistrati, in Danno e resp., 11/2008, 1140 ss..
7
Già in questo si pone perciò una esigenza oggettiva di modifica dell’impianto
legislativo, sulla quale si innesta il secondo fattore di pressione al quale si
accennava in precedenza, che ha visto la legge in esame messa in crisi da alcune
pronunce della Corte di Giustizia Europea.
Soprattutto queste decisioni del Giudice comunitario rappresentano, allo stato, le
vere ‘proposte di riforma’ della l. 117.
4. La prima sentenza (Köbler c/ Repubblica di Austria, causa C-224/01) è del 30
settembre 200318. La Corte europea statuisce che il principio di responsabilità
degli Stati membri per i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto
comunitario si applica anche se la violazione di cui trattasi deriva da una
decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
Le condizioni della responsabilità sono essenzialmente quelle già enucleate dal
Giudice sovranazionale nella sua giurisprudenza sulla responsabilità dello Stato
per gli atti legislativi (a partire dalla notissima sentenza Francovich)19, e cioè: a)
la norma comunitaria violata deve essere preordinata ad attribuire diritti ai
singoli; b) la violazione deve essere “sufficientemente caratterizzata”; c) deve
sussistere un nesso causale diretto tra la violazione e il danno subito dalle parti
lese.
La consapevolezza della peculiarità del potere giurisdizionale, e delle oggettive e
fondamentali esigenze di certezza del diritto che si riannodano al suo esercizio,
spingono la Corte di Giustizia a precisare con un particolare rigore il perimetro
della violazione ‘sufficientemente caratterizzata’ che, come si è visto, è uno dei
presupposti della responsabilità statale per illecito del giudice.
Viene chiarito, anche nel dispositivo della sentenza, che “al fine di determinare
se la violazione sia sufficientemente caratterizzata […], il giudice nazionale
competente deve, tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale,
accertare se tale violazione presenti un carattere manifesto” (violazione grave e
manifesta, si dice in altra parte della decisione) (cfr. par. 53). Possono influire su
questo giudizio diversi elementi e criteri, come il grado di chiarezza e precisione
della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o
l’inescusabilità dell’errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da
un’istituzione comunitaria, nonché la mancata osservanza, da parte dell’organo
18
Su questa sentenza, v. M. MAGRASSI, Il principio della responsabilità risarcitoria dello Statogiudice tra ordinamento comunitario, interno e convenzionale, in Dir. Pubbl. comp. Eur., 2004/I, 490
ss.; e F. BIONDI, La responsabilità del magistrato, Milano, 2006, 221 ss.
19
Sul tema, resta fondamentale il contributo di R. BIFULCO, La responsabilità dello Stato per atti
legislativi, Padova, 1999.
8
giurisdizionale implicato, dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.
234, terzo comma, del Trattato (cfr. par. 55).
In ogni caso, si aggiunge nella sentenza Köbler (par. 56), la violazione è
“sufficientemente caratterizzata” se la decisione è intervenuta ignorando
manifestamente la giurisprudenza della Corte sulla materia oggetto del giudizio.
Non è ancora una remise en cause diretta della l. 117/88. Il giudizio davanti alla
Corte europea nasce da una vicenda austriaca, e dunque la legge italiana sulla
responsabilità civile del giudice non è l’oggetto del dubbio di compatibilità
comunitaria, sebbene una delle questioni risolte dalla sentenza appena esaminata
è comune al rinvio che darà luogo, tre anni dopo, alla sentenza sul caso
“Traghetti del Mediterraneo” (v. infra, par. 5).
Tuttavia, i potenziali riflessi, per quanto indiretti, cominciano da subito ad
essere evidenti.
Da una parte, c’è il dato appariscente, simbolico, della erosione del mito del
giudicato, sul quale non a caso era incentrata la strategia difensiva del Governo
austriaco e degli altri Governi intervenuti nel giudizio. In realtà,
nell’impostazione della Corte di Giustizia, il riconoscimento del principio della
responsabilità dello Stato per la decisione di organo giurisdizionale di ultimo
grado non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità
della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione, in quanto “il
ricorrente in un’azione per responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di
successo, la condanna di quest’ultimo a risarcire il danno subito, ma non
necessariamente […] la revisione della decisione giurisdizionale che ha causato
il danno” (par. 39 di Kobler)20.
Già l’altra Corte Europea, quella di Strasburgo, aveva in precedenza affermato
l’applicabilità dell’art. 41 (sulla possibilità della Cedu di accordare un’equa
soddisfazione alla parte lesa anche alle violazioni risultanti dal contenuto di una
decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (sent. 21 marzo 2000,
caso Dulaurans/Francia). Più recentemente, ancora la CJCE ha completato il suo
percorso di ‘relativizzazione’ della forza del giudicato in rapporto alle esigenze
di primazia del diritto comunitario (in questo caso facendo riferimento proprio al
nostro codice del rito civile), dichiarando il principio per cui “il diritto
comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come
l’art. 2909 del codice civile italiano, vbolta a sancire il principio dell’autorità di
20
In termini, v. le riflessioni di V. CERULLI IRELLI, Trasformazioni del sistema di tutela
giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza europea, in Riv. It.
Dir. Pubbl. comun., 2/2008, nonché in www.dejure.giuffre.it, 2008, 10-11.
9
cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il
recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la
cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della
Commissione delle Comunità Europee divenuta definitiva” (sent. del 18 luglio
2007, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c/ Lucchini
Spa, causa C-119-2005).
Tornando al tema che ci interessa, non si può non rilevare che il principio della
cosa giudicata è stato in passato uno degli ostacoli teorici alla stessa pensabilità
di una responsabilità civile del giudice21, anche nel modello anteriore alla l.
11722.
Nello schema di questa legge, poi, l’esperibilità dell’azione di risarcimento del
danno contro lo Stato è resa possibile solo qualora siano stati esperiti i mezzi
ordinari di impugnazione o non siano più possibili la modifica o la revoca del
provvedimento; il che ha fatto ritenere, a più di un autore, infondata o addirittura
inammissibile l’azione di responsabilità per colpa grave relativa ad un atto
giurisdizionale illecito confermato ovvero commesso direttamente dal Giudice di
ultima istanza. Come è stato efficacemente illustrato23, questo giudizio di
responsabilità civile è stato conformato alla stregua di un giudizio dei vincitori
della causa ovvero degli assolti in ultimo grado, vittime degli errori commessi
nei gradi inferiori del procedimento.
Ma è soprattutto il concetto di “violazione sufficientemente caratterizzata”, come
“violazione grave e manifesta”, che comincia ad introdurre un cuneo, un fattore
distorsivo rispetto al nostro modello di responsabilità civile dello Stato-giudice;
e qui mi riferisco più che al modello ‘formale’, già di per sé ad ogni modo
estremamente restrittivo nel delineare le condizioni di responsabilità collegata
all’esercizio della funzione giurisdizionale, a quello affermatosi sul piano
dell’applicazione giurisprudenziale, e che ha finito con il leggere –come prima si
è ricordato- il “comma 2”, cioè la clausola di salvaguardia interpretativa, come
un ulteriore rafforzamento dell’operazione di delimitazione tipologica che il
“comma 3” fa sulla nozione di ‘colpa grave’.
21
Vedi A. LAZARI, «Là où est la responsabilità, là est le pouvoir ». Il nuovo ruolo del Giudice nel
paradigma comunitario dopo la sentenza Traghetti, in www.reei.org, 2.
22
Per S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Padova, 1966, vol. III, 211-212, “la
funzione stessa del giudicare … esclude ogni responsabilità. La responsabilità presuppone infatti un atto
lesivo dell’altrui diritto: tale non è e non può essere in alcun modo il giudizio, che è dichiarazione del
diritto”; una posizione analoga è stata espressa da G. BATTAGLINI, La libertà personale dell’imputato e
la responsabilità civile del giudice, in Giust. Pen., 1949, III, 210, sostenendo che la irresponsabilità del
giudice “consegue alla natura stessa della funzione giurisdizionale che è esplicazione diretta della
sovranità dello Stato e pone il giudice al di sopra dell’obbligo di rendere conto alle parti della delicatezza
e della perizia con cui esercita le funzioni”.
23
G.P. CIRILLO- F. SORRENTINO, La responsabilità del giudice, Napoli, 1988, 189.
10
In sostanza, la “grave violazione di legge determinata da negligenza
inescusabile” costituisce ‘colpa grave’ solo se non coincidente con un’attività di
interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove. E non
è la stessa cosa che sostenere che la clausola di salvaguardia interpretativa vale
fino a che l’attività di interpretazione non si traduce in una grave ed inescusabile
violazione di legge.
In questo caso, contraddicendo un famoso principio della matematica,
cambiando l’ordine dei fattori …. “il prodotto cambia”, nel senso che l’area di
immunità discendente dalla prima lettura è evidentemente più ampio, fino a
praticamente ad escludere ogni responsabilità24.
Viceversa, ponendo l’accento sulla grave violazione di legge e sulla negligenza
inescusabile, non siamo molto distanti (diventa un problema di sfumature
interpretative) dalla categoria comunitaria della violazione sufficientemente
caratterizzata in quanto “grave e manifesta”.
Ancora due passaggi della sentenza del 2003 meritano di essere segnalati, perché
sono in una certa misura il canale di collegamento con il piano normativo
‘interno’.
Nell’impostazione accolta e rilanciata dalla Corte di Giustizia, le tre condizioni
della responsabilità comunitaria dello Stato per atti di organi giurisdizionali sono
necessarie e sufficienti per fondare il diritto al risarcimento sulla base appunto
delle norme europee. Non si esclude però che la responsabilità dello Stato possa
essere accertata a condizioni meno restrittive (id est con un allargamento
dell’area della responsabilità) sulla base del diritto nazionale.
Secondariamente, è il diritto nazionale che deve definire le condizioni
procedurali per garantire la riparazione delle conseguenze del danno provocato,
fermo restando che tali condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali devono
rispettare sia un principio di equivalenza, non potendo essere meno favorevoli di
quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna, che un principio di
effettività, nel senso che non possono essere (tali meccanismi) congegnati in
modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il
risarcimento.
5. Con la successiva sentenza Traghetti del Mediterraneo (TdM c/ Repubblica
Italiana, sent. 13 giugno 2006, causa C- 173/2003)25, lo ‘spiazzamento’ della
24
Cfr. ancora V. ROPPO, Responsabilità dello Stato, cit., 355.
Su cui v., ex multis, F. BIONDI, Dalla Corte di Giustizia un «brutto» colpo per la responsabilità civile
dei magistrati, in Quad. Cost., 2006, 839 ss.; e C. RASIA, Responsabilità dello Stato per violazione del
25
11
12
soluzione italiana ad opera del paradigma comunitario della violazione manifesta
viene a palesarsi in modo diretto: la questione pregiudiziale di compatibilità
comunitaria é sollevata da un giudice italiano, e ‘al centro del mirino’ c’è
proprio la legge 117/88.
La Corte di giustizia coglie molto bene il nodo problematico, identificandolo
nella integrazione tra clausola di salvaguardia interpretativa e rigida tipizzazione
dei casi di colpa grave. Se l’autonomia degli Stati nel definire i presupposti della
responsabilità del giudice non può comunque portare a configurare un livello
applicativo che supera la linea della violazione ‘manifesta’, nel senso di
richiedere un quid pluris rispetto ad essa, questo significa due cose:
a) Di per sé, la limitazione della responsabilità ai casi di dolo e colpa grave,
non costituisce un problema, se tali concetti, e in particolare il secondo,
pur circoscritto sul piano delle ipotesi di realizzazione, vengono
interpretati in modo da coincidere sostanzialmente con le implicazioni del
concetto di violazione “grave e manifesta” o “sufficientemente
caratterizzata”, elaborata dalla giurisprudenza comunitaria;
b) Lo diventa però, nel momento in cui ad essa si affianca, nei termini che si
sono poi concretamente registrati nella pur scarna esperienza
giurisprudenziale, una sorta di esclusione generale ed assoluta delle
attività legate all’interpretazione di norme di diritto, proprio perché
l’interpretazione è il cuore della giurisdizione26, “rientra nell’essenza
vera e propria dell’attività giurisdizionale, poiché, qualunque sia il
settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti
o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche
pertinenti nazionali e/o comunitarie – al fine di decidere la controversia
che gli è sottoposta” (par. 34 della sentenza TdM).
Ed è singolare, ed eloquente al tempo stesso, questa inversione di un argomento
tradizionalmente utilizzato per escludere o circoscrivere fortemente la
responsabilità del giudice.
La conclusione della Corte di Giustizia è che “il diritto comunitario osta ad una
legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello
Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto
comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado per il
motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme
diritto comunitario da parte del giudice supremo: il caso Traghetti del Mediterraneo contro Italia, in
Riv. Trim. dir.proc. civ., 2007, 661 ss.
26
Come abbiamo provato ad evidenziare già in A. D’ALOIA, Questioni, cit., 301 ss., cui si rinvia anche
per più ampie indicazioni bibliografiche.
giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operata da tale organo
giurisdizionale”; come pure “osta ad una legislazione nazionale che limiti la
sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice,
ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della
responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata
commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti
53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler”.
6. Quali conseguenze possono avere ora queste prese di posizione della
giurisprudenza comunitaria sulla normativa nazionale in tema di responsabilità
civile conseguente all’esercizio dell’attività giurisdizionale?
Non è facile dare risposte sicure, questo mi sembra che emerga dai numerosi
commenti che sono stati dedicati alle pronunce rese nei giudizi Köbler e
Traghetti del Mediterraneo.
Per un verso, non bisogna cadere nel rischio di esasperare la spinta modificativa
che certamente avanza da queste decisioni.
La Corte di Giustizia non mette in discussione, ad esempio, la costruzione
‘indiretta’ dell’azione di responsabilità civile per fatto del giudice, il fatto cioè
che essa sia (almeno in prima battuta) una responsabilità dello Stato, e non
personale e diretta del Giudice27.
La deroga allo schema costituzionale dell’art. 28, che sembra mettere in prima
fila la responsabilità diretta e personale del funzionario, è solo parziale, e
peraltro fondato sull’esigenza –non meno rilevante sul piano costituzionale- di
rafforzare la dimensione di effettività della tutela risarcitoria del soggetto
danneggiato dall’anormale esercizio della funzione giurisdizionale28.
D’altra parte, il ragionamento svolto nelle due sentenze è attraversato dalla
consapevolezza che la responsabilità collegata al potere giurisdizionale abbia
bisogno di una disciplina speciale, in ragione della natura particolare di questa
funzione pubblica e della posizione istituzionale del Giudice.
In altre parole, come ho già detto, i limiti alla responsabilità civile del giudice
non riflettono un dibattito tutto (e solo) interno all’ordinamento giudiziario
italiano. Siamo di fronte a problemi diffusi proprio perché intrinseci alla
funzione stessa del giudicare, a prescindere dai diversi modelli organizzativi
vengono adottati: basti pensare all’elaborazione giurisprudenziale francese sul
27
Sul punto, v. i contributi raccolti in M. DEGUERGUE, Justice et responsabilità de l’Etat, Paris, PUF,
2003.
28
In questo senso, già F. MERUSI, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la Costituzione:
l’art. 28 rivisitato, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1986, 57.
13
requisito della faute lourde29 o alla nozione inglese di atti “falling outside
jurisdiction”30 come presupposti della responsabilità del giudice.
Non sarà il ‘naufragio’ della l. 117/8831, come qualcuno ha sostenuto, tuttavia la
disarmonia tra questo impianto normativo e il nuovo parametro comunitario c’è
tutta, e deve essere in qualche modo recuperata.
Non può valere, sul versante interno, richiamarsi al precedente della sentenza
della Corte Costituzionale n. 18 del 1989. Intanto, sono passati vent’anni da
quella decisione, e al di là di ogni generale considerazione sull’impatto del
tempo e dei mutamenti della cultura giuridica sull’evoluzione degli orientamenti
interpretativi del giudice costituzionale, questo tempo ha registrato un notevole
rafforzamento del principio di tutela dei diritti del singolo nei confronti delle
diverse manifestazioni del potere pubblico: si pensi all’approfondimento che c’è
stato, nel solco aperto dalla sent. 1150 del 1988, sui limiti dell’insindacabilità
delle opinioni espresse dai parlamentari quando esse sono offensive di diritti
(all’onore, alla reputazione, ecc.) dei privati32; alla giurisprudenza comunitaria
sulla responsabilità dello Stato anche per gli atti legislativi, e non solo per le
omissioni legislative; alla rottura del mito dell’irrisarcibilità del danno da
violazione di interessi legittimi; fino alla sent. 154 del 2004, che ha intaccato
l’assolutezza dell’immunità presidenziale prevista dall’art. 90 Cost.33
Per di più, come si è già avuto modo di sottolineare, la decisione della Corte
seguiva di pochissimo l’entrata in vigore della legge. La ragionevolezza allora
29
Cfr. G. KERBAOL, La responsabilité des magistrats, PUF, Paris, 2006, 21 ss.; nonché A. LAZARI,
«Là où est la responsabilità, là est le pouvoir ». Il nuovo ruolo del Giudice nel paradigma comunitario
dopo la sentenza Traghetti, cit., 14. Per un tentativo di ancorare a parametri più oggettivi la nozione di
faute lourde, almeno in tema di illegittime intercettazioni delle comunicazioni tra una parte e il suo
avvocato, v. Court de cassation, Ass. Plen., 23 febbraio 2001.
30
F. RUGGIERI, La responsabilità della pubblica accusa e del giudice nelle democrazie occidentali, in V.
MALAGOLA ANZIANI (a cura di), Giustizia e responsabilità, Atti del Convegno tenutosi a Firenze il 24
novembre 2001, Milano, Giuffrè, 2003, 51; e V. VIGORITI, Le responsabilità del giudice: orientamenti e
prospettive nell’esperienza italiana e comparativa, in Quad. Cost., 1/1983, 81 e 83 ss.
31
Come si legge nel titolo del contributo di G. MERONE, Il naufragio europeo della legge sulla
responsabilità dei magistrati, in Diritto e Giustizia, 2006, fasc. 32, 8 ss.
32
Cfr., su questa evoluzione, M. CERASE, Art.68, in Commentario alla Costituzione (ed. R. Bifulco, A.
Celotto, M. Olivetti), vol. II; Torino, WKI-Utet, 2006, 1298 ss.
33
In questa sentenza, la Corte Costituzionale significativamente afferma che “É dunque necessario tenere
ferma la distinzione fra atti e dichiarazioni inerenti all’esercizio delle funzioni, e atti e dichiarazioni che,
per non essere esplicazione di tali funzioni, restano addebitabili, ove forieri di responsabilità, alla persona
fisica del titolare della carica, che conserva la sua soggettività e la sua sfera di rapporti giuridici, senza
confondersi con l’organo che pro tempore impersona. […] Quando dunque la Corte di cassazione, nelle
pronunce impugnate, stabilisce i principi di diritto secondo cui l’immunità del Presidente della
Repubblica riguarda solo gli atti che costituiscono esercizio delle funzioni presidenziali e le dichiarazioni
strumentali o accessorie rispetto a tale esercizio, coglie correttamente la portata dell’art. 90 della
Costituzione e non reca lesione alle prerogative del Presidente. Anche la possibilità che nell’ambito
dell’esercizio delle funzioni possano rientrare, in determinate ipotesi, attività o dichiarazioni intese a
difendere l’istituzione presidenziale non può mai tradursi automaticamente in una estensione della
immunità a dichiarazioni extrafunzionali per la sola circostanza che esse siano volte a difendere la
persona fisica del titolare della carica e, come tali, possano indirettamente influire sul suo prestigio o
sulla sua “legittimazione” politica”.
14
riscontrata era perciò ‘teorica’, basata su un equilibrio normativo che non era
ancora stato messo alla prova dell’esperienza. Oggi sarebbe molto più difficile
affermare le stesse cose, di fronte ad una disciplina che ha manifestamente
‘mancato’ il suo obiettivo, definendo un ‘finto’ bilanciamento (tra i valori
dell’indipendenza e della responsabilità) che, in realtà, produce un totale
annullamento di uno dei due ‘beni’ da contemperare34.
7. Su un piano diverso, non convince il tentativo, pure raffinato teoricamente, di
circoscrivere la portata delle due sentenze comunitarie, applicando lo standard
meno restrittivo della violazione ‘manifesta’ ai soli errores in procedendo, in
quelle fattispecie consistenti nella mancata osservanza dell’obbligo di rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. Per gli errores in iudicando,
invece, resterebbe fermo il doppio schermo della tipizzazione dei casi di colpa
grave e della esclusione di ogni responsabilità per l’attività di interpretazione di
norme di diritto35.
A parte la difficoltà di riuscire a distinguere sempre chiaramente tra scelte
procedurali, legate perciò a norme di procedura, e scelte di diritto sostanziale,
laddove l’esperienza ci mette davanti ad una continua imbricazione funzionale
delle due categorie, nella prospettazione del Giudice comunitario la mancata
osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale è solo un “pezzo”, uno degli
elementi che sono idonei a produrre quella violazione “sufficientemente
caratterizzata” che può giustificare la responsabilità comunitaria dello Stato per
illecito giurisdizionale; e ciò, peraltro, non consente nemmeno di restringere la
portata applicativa della sentenza TdM ai soli giudici di ultima istanza36.
Si è battuta anche un’altra strada per provare a ridurre la ricaduta delle sentenze
della Cjce sul sistema della l. 117/88, ed è quella che fa leva sulla
differenziazione dei livelli di rilevanza, rispettivamente della responsabilità
comunitaria dello Stato per illecito giurisdizionale, e della responsabilità dello
Stato-giudice per violazione del diritto interno. Nel primo caso, la l. 117 non
viene proprio chiamata in causa perché ad essere responsabile verso
l’ordinamento comunitario è (solo) lo Stato come “unità”, a prescindere dal tipo
e dalla natura del soggetto agente.
34
Sulle diverse figure della irragionevolezza legislativa nella giurisprudenza costituzionale, tra cui la non
adeguatezza della norma, gli ‘automatismi’ legislativi, la deviazione della norma dal fine legale, v.
l’ottima ricostruzione di A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, 186 ss., 194 ss.,
207 ss.
35
Per questa posizione, v. F.P. LUISO, La responsabilità civile del magistrato, in www.judicium.it,
2007, passim.
36
Come sembra invece ritenere F. BIONDI, Dalla Corte di Giustizia un «brutto» colpo per la
responsabilità civile dei magistrati, cit., 842.
15
In sostanza, secondo questa ricostruzione, piuttosto che parlare di difformità
della l. 117 rispetto al diritto europeo, bisognerebbe chiedersi (e la risposta non
dovrebbe essere affermativa) se sussistano i presupposti di applicabilità della
legge interna37.
Anche questa ricostruzione presenta, a mio avviso, alcuni punti deboli.
Il primo elemento di dubbio nasce dal fatto che la sentenza TdM attacca
direttamente la l. 117/88; e quindi, se con Köbler era ancora possibile, in linea
teorica, fare una distinzione tra i due piani della responsabilità per illecito
giurisdizionale, questo percorso argomentativo sfuma quasi del tutto in rapporto
alla sentenza successiva.
In secondo luogo, non ha molto senso costringere le sentenze della Corte di
Giustizia (in particolare quelle interpretative del diritto comunitario) in una
prospettiva limitata al caso oggetto della decisione o all’ambito tematico di
riferimento.
Le sentenze interpretative del giudice comunitario sono ‘fonti del diritto’38, come
ha più volte confermato la stessa Corte Costituzionale39, e concorrono a
determinare quel parametro ‘complesso’ che oggi rappresenta la “legge” alla
quale deve rapportarsi dinamicamente il potere interpretativo del giudice.
Il rinvio pregiudiziale da un lato, l’interpretazione conforme del diritto nazionale
dall’altro, sono gli strumenti di chiusura della primazia del diritto europeo40, e al
37
Per questa tesi, v. E. SCODITTI, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento
giurisdizionale: illecito dello Stato e non del giudice, in Foro It., 2006, IV, 420 ss.; nonché G.
AFFERNI, La disciplina italiana della responsabilità civile dello stato per violazione del diritto
comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultima istanza, in NGCC, 2007, 267-268. Contra,
C. RASIA, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte del giudice
supremo: il caso Traghetti del Mediterraneo contro Italia, cit., 676-677.
38
Cfr. G. MARTINICO, L’integrazione silente. La funzione interpretativa della Corte di Giustizia e il
diritto costituzionale europeo, Napoli, 2009, 77 ss., il quale afferma, a proposito delle sentenze
interpretative della Cjce (pag. 129), “esse sono fonti culturali e non politiche, non essendo scaturite da
processi di attuazione di un programma politico, né da procedimenti a tale obiettivo istituzionalizzati;
rispecchiano quel misto di voluto-non voluto che caratterizza la fonte-fatto per eccellenza –la
consuetudine- non essendo frutto di un’attività telologicamente tesa alla posizione della norma. A
differenza delle altre norme comunitarie non presentano il bifrontismo di cui scriveva Paladin, ovvero
non sono fonti-atto nell’ordinamento comunitario e fonti-fatto in quello interno. Esse si presentano come
fonti-fatto in entrambi gli ordinamenti”; e M. BIGNAMI, L’interpretazione del giudice comune nella
«morsa» delle Corti sovranazionali, in Giur. Cost., 2008, 595 ss., spec. 599-600.
39
Vedi le sent. 113/1985, 285/1993, 249/1995, fino alle più recenti ord. 62/2003 e 165/2004; in tema v.
R. ROMBOLI, Il ruolo del giudice in rapporto all’evoluzione del sistema delle fonti ed alla disciplina
dell’ordinamento giudiziario, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 27 gennaio 2006, 5 e 8.
40
Vedi le riflessioni di G. FALCON, Separazione e coordinamento tra giurisdizioni europee e
giurisdizioni nazionali nella tutela avverso gli atti lesivi di situazioni soggettive europee, in Riv. It. Dir.
Pubbl. comun., 2004, 1166.
16
tempo stesso delineano per il giudice nazionale una serie di possibilità e di
vincoli interpretativi che finiscono col riflettersi sullo stesso obbligo di
applicazione delle leggi dello Stato41.
8. Per riprendere allora l’interrogativo riguardante le conseguenze della
giurisprudenza comunitaria sulla legge 117/88, penso che sia una linea di
resistenza destinata a cedere quella che si fonda sul doppio binario della
responsabilità per violazione del diritto comunitario, cui si applicherebbe il
nuovo criterio ‘europeo’ della “violazione sufficientemente caratterizzata”,e
della responsabilità per illecito giurisdizionale ‘interno’, che rimarrebbe nella
sfera di operatività della legge del 198842.
Il diritto di poter chiedere, a certe condizioni, il risarcimento dei danni
conseguenti ad un illecito commesso nell’esercizio della funzione
giurisdizionale, costituisce ormai un contenuto del diritto di difesa,
costituzionalmente garantito come inviolabile, e del buon andamento del servizio
‘giustizia’, oltre che un riflesso possibile dello stesso inquadramento anche della
giustizia nella sfera di esplicazione della sovranità popolare. Non si può valutare
solo la posizione del Giudice, la sua intrinseca esigenza di indipendenza. A
questa stregua, appare tutt’altro che forzato ritenere che le aperture della Corte di
Giustizia sul versante dei presupposti della responsabilità -e nello specifico la
correzione dell’automatismo negativo che porta ad escludere la responsabilità
per qualsiasi attività che presenti (anche solo formalmente o esteriormente) i
caratteri dell’attività interpretativa, e che, rovesciando i termini, precluda ogni
valutazione sulla giustificabilità o inescusabilità dell’errata interpretazione di
norme di diritto- spostino necessariamente in avanti i confini della ricerca dei
significati delle formule normative usate dalla l. 117, verso una dimensione di
effettività che finora questo schema normativo ha evidentemente eluso.
Semmai, quello che continua a rimanere fuori dalla ‘versione’ comunitaria della
responsabilità per illecito giurisdizionale, è il profilo della condizione peculiare
del soggetto agente, in questo caso del magistrato. D’altronde, anche in altre
decisioni della Corte comunitaria (il riferimento è a A.G.M. . Cos. Met., causa
C-470/2003) , non si esclude la possibilità che gli ordinamenti nazionali
41
Cfr. R. ROMBOLI, Il ruolo del giudice, cit., 4-5.1
Invero, questa chiave di lettura sembra essere stata adottata da una decisione del Tribunale di Roma del
29 settembre 2004, riportata in Diritto e Giustizia, 2004, fasc. 41, 80 ss., con la quale il giudice romano
ha disapplicato la l. 117/88 trattandosi di violazione del diritto comunitario, applicando gli schemi
elaborati dalla sentenze Kobler e TdM. Sul punto v. P. DELLACHÁ, La responsabilità civile del
magistrato per dolo, colpa grave e violazione del diritto comunitario: equilibrio del sistema e possibili
elementi di rottura, in Danno e Resp., n. 11/2008, 1134; e C. PINOTTI, La responsabilità dello Statogiudice per violazione del diritto comunitario, in Riv. Corte dei Conti, 2006, n. 3, 395 ss.
42
17
mantengano alcune situazioni di limitazione o di esonero della responsabilità
concernenti non lo Stato, ma appunto il “funzionario agente”43.
Questo vuol dire che, al di là dell’esigenza di adattare il modello di attivazione
della responsabilità dello “Stato-giudice” ai criteri ‘potenzialmente’ meno
‘estremi’ definiti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, non è impedito al
legislatore nazionale di confermare una posizione più tutelata (rectius: ‘meno
esposta’) per il magistrato, separando il livello di responsabilità dello Stato dal
livello di responsabilità del soggetto che ha svolto anormalmente la funzione
giurisdizionale.
Per il primo risultato, potrebbe persino non essere necessaria una modifica della
l. 117/88, in quanto la distanza tra le formule normative (nazionali) e
giurisprudenziali (comunitarie) non appare incolmabile attraverso gli strumenti
ermeneutici, in particolare lavorando sul raccordo tra il secondo ed il terzo
comma dell’art. 2 della l. 117, e prima ancora sulla clausola della salvaguardia
interpretativa44.
In fondo, la violazione di legge comprende l’errata interpretazione del
riferimento normativo, è anche il risvolto patologico dell’interpretazione. Se
l’art. 2 della l. 117/88 lo leggiamo nella sua ‘successione’ normale (vale a dire
prima il secondo comma sulla clausola di salvaguardia interpretativa, poi il terzo
comma sulle ipotesi rilevanti di colpa grave), la grave violazione di legge
determinata da negligenza inescusabile potrebbe porsi come eccezione alla
ordinaria sottrazione dell’attività interpretativa –vero ed essenziale volto, anche
creativo, della giurisdizione- ad ogni responsabilità.
In altri termini, l’art. 2 non appare precludere l’individuazione di un’attività
interpretativa palesemente priva di fondamento giustificativo, e quindi
negligente in modo inescusabile, tale da integrare contemporaneamente la grave
violazione di legge di cui parla questo stesso articolo e la violazione ‘manifesta’
delineata invece nella giurisprudenza comunitaria quale presupposto sostanziale
di emersione della responsabilità dello Stato per illecito giurisdizionale.
Due sembrano essere le strade plausibili per ammettere uno spazio di sindacato –
ai fini della responsabilità civile- sull’attività interpretativa del giudice.
Innanzitutto, il controllo sull’assenza o sulla manifesta illogicità e
ingiustificabilità della motivazione. La motivazione è uno dei due obblighi
costituzionali del giudice, l’altro è la soggezione alla legge; entrambi
43
Richiama questa sentenza M. BIGNAMI, L’interpretazione del giudice comune, cit., 596-597.
Non sembra ritenerlo possibile F. DAL CANTO, La responsabilità del magistrato, cit., 32, nota 92,
per il quale c’è una “irriducibile differenza tra i due criteri segnalati, informandosi il primo alla
valutazione di indicatori di tipo oggettivo […] e l’altro avente invece una natura esclusivamente
soggettiva”.
44
18
rappresentano la garanzia di un uso razionale e razionalmente valutabile del
potere giudiziario45, e una faccia dell’effettività del diritto alla difesa in
giudizio46.
Una interpretazione senza motivazione o con una motivazione ‘fittizia’,
totalmente priva di raccordo con i fatti e con le norme implicate,è una
contraddizione in termini, perché dismette la stessa giustificazione di sé, la sua
connotazione più tipica e, proprio per questo, irrinunciabile.
Il rapporto tra obbligo di motivazione e funzione nomofilattica degli organi
giurisdizionali supremi può essere un altro punto di emersione di una ipotesi di
inescusabilità dell’attività interpretativa del giudice.
Non si vuole ovviamente sostenere un preteso obbligo del giudice di conformarsi
al ‘diritto vivente’ delle Magistrature Supreme nei diversi settori della
giurisdizione47, ma invece un onere di motivare le ragioni di dissenso rispetto
all’orientamento ‘superiore’, e di palesare la conoscenza di questi indirizzi48.
Questo, del resto, è –formulato diversamente- uno dei criteri che la sentenza
Köbler usa per identificare il concetto di violazione “manifesta” o
“sufficientemente caratterizzata”.
Si può dire cioè che il dissenso rispetto ai precedenti delle Corti supreme è
espressione di legittima attività interpretativa, in sé coperta dalla clausola di
immunità, purchè sia un dissenso consapevole e motivato49.
45
V. DENTI, Art. 111, in Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Bologna, Zanichelli, 1987,
2 ss. Cfr. anche D. BIFULCO, Il giudice è soggetto soltanto al «diritto», Napoli, 2008, 175 ss., spec.
178, secondo cui “la ratio dell’obbligo motivazionale non può comprendersi appieno, se non ricordando
che esso, aprendo la strada al controllo sociale della sentenza, soddisfa non solo un’istanza di mera
regolarità formale della decisione, bensì un’istanza più generale di democraticità del sistema, se è vero
che il giudice si rivolge a una comunità di cittadini, in funzione dei quali deve anche pensare le sue
argomentazioni e ricercare un accordo esplicito nella misura in cui il diritto ha da essere accettato da
parte di tutti”.
46
J. F. LÓPEZ AGUILAR, La riforma della giustizia in Spagna, in S. GAMBINO (a cura di), La
magistratura nello Stato costituzionale, Milano, 2004, 129-130.
47
Su questi temi, cfr. ancora D. BIFULCO, Il giudice è soggetto soltanto al «diritto», Napoli, 2008, 25
ss.
48
Come nota correttamente F. BIONDI, La responsabilità del magistrato, cit., 205, “in un caso di questo
tipo, solo un’adeguata motivazione del dissenso dimostrerà che il magistrato ha agito consapevolmente,
ben conoscendo lo stato della giurisprudenza sul punto”. Anche per F. BONACCORSI, I primi vent’anni
della legge n. 117/08, cit., 1138, con la sentenza “Traghetti” la Corte di Giustizia ha inteso ribadire
l’importanza della funzione nomofilattica delle Corti di ultima istanza degli Stati membri (cfr. anche
pagg. 1139 per le conclusioni).
49
Cfr., in argomento, le riflessioni già svolte in A. D’ALOIA, Questioni, cit., 305-306. In una sentenza
del 1999 (n. 8260), la Corte di Cassazione affermava che “è di tutta evidenza che il dissenso
dall’indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte, ove –come nella specie- motivato in diritto pur senza
l’opportuno richiamo delle pronunce disattese, è comunque espressione dell’attività di interpretazione
delle norme riservata al magistrato”; su questa sentenza, v. F. ANGELONI, Ancora sul precedente di
Cassazione: questa volta sotto il profilo della responsabilità civile del magistrato che lo disattende senza
indicare le ragioni della propria decisione, in Contr. E impresa, n. 1/2000, 43 ss.
19
Ritenere possibile una interpretazione conforme al diritto comunitario della l.
117/88, e dunque una soluzione del ‘conflitto’ attraverso la risorsa interpretativa,
non è, però, un’operazione scontata, perché il modo in cui è formulata la
clausola interpretativa sembra effettivamente sancire l’intento di escludere in via
generale la sussistenza di qualsiasi responsabilità dello Stato-giudice, proprio ciò
che la Corte di Giustizia contesta nella sentenza “Traghetti”.
Non a caso, nel dispositivo e nella motivazione di questa pronuncia, il Giudice
comunitario, mentre sembra ammettere che il problema del confronto tra nozione
di “violazione manifesta” e ‘colpa grave’ può essere impostato ed eventualmente
risolto in chiave interpretativa50, quando parla della clausola di salvaguardia
interpretativa, sembra imputare il significato –per come si è affermato e
consolidato sul piano dell’applicazione giurisprudenziale- direttamente alla
legge e alla sua struttura testuale.
In questa ottica, è chiaro che il problema è (o sarebbe) della legge, e non
semplicemente della sua proiezione interpretativa; e pertanto, anche la
‘correzione’ dovrebbe operare su un piano diverso da quello della conservazione
del riferimento normativo, che andrebbe disapplicato o modificato.
Per l’altra prospettiva di riforma, quella di un ripensamento del parallelismo
‘perfetto’ tra la responsabilità dello Stato e quella del giudice-magistrato, appare
invece più evidente che la l. 117/88 non offre molti margini di adeguamento
interpretativo, anche partendo dalla premessa che la giurisprudenza della Corte
di Giustizia europea riguarda lo Stato piuttosto che il ‘funzionario’ (o
l’istituzione) agente51.
Qui è il legislatore che deve scegliere di avviare un processo di scissione tra la
responsabilità dello Stato e quella del giudice. Una soluzione che, per un verso,
non pone alcun problema rispetto al quadro di riferimento ‘europeo’ (anzi la
Corte di giustizia sembra quasi adombrare una opzione del genere), per altro
verso, potrebbe in qualche misura ‘sdrammatizzare’ e persino ‘neutralizzare’ gli
effetti che l’avanzamento della linea della responsabilità (avanzamento
50
Si legge infatti nella sentenza che “il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che limiti la
sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione
conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi
in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56
della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler”.
51
Per una proposta di disapplicazione ‘asimmetrica’ della l. 117/88, v. invece A. PIZZORUSSO, La
giustizia
costituzionale
italiana
e
il
processo
di
integrazione
europea,
in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2007, 8, secondo il quale “il giudice di un giudizio di
responsabilità proposto ai sensi della legge n. 117 del 1988, dovrà disapplicare questa legge ai fini
dell’accertamento della responsabilità dello Stato, ma non anche qualora lo Stato venisse condannato e
proponesse un’azione di rivalsa nei confronti del magistrato. Pertanto, il precedente stabilito dalla Corte
di Giustizia sembra comportare una restrizione della portata dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, ma
non determinare, né l’incostituzionalità (rispetto alla Costituzione italiana) di tale disposizione, né alcuna
necessità di intervento del legislatore italiano”. 20
potenziale, perché in fondo quello che la Corte comunitaria non accetta è la
negazione aprioristica e generale di ogni rapporto tra interpretazione –pur
manifestamente e gravemente erronea- e responsabilità) potrebbe produrre sul
discorso dell’indipendenza, su quel delicato equilibrio che la legge mira a
preservare, e che ha una sicura e solida base costituzionale.
Una risposta più adeguata e corrispondente all’esigenza sociale diffusa di una
più ampia tutela riparatoria del cittadino nei confronti degli errori giudiziari52
potrebbe essere cercata nella direzione di un rafforzamento in senso ‘oggettivo’
della responsabilità dello Stato, lasciando inalterata o comunque configurando in
termini differenti e più restrittivi (rispetto a quella dello Stato), la responsabilità
del funzionario-giudice53.
E’ una linea di modifica questa, che la stessa Corte Costituzionale, nella celebre
sentenza n. 2 del 1968, ha ritenuto (sebbene indirettamente) non estranea al
modello costituzionale, anche se fondata su parametri diversi dall’art. 28 Cost.54
L’esito sarebbe quello di valorizzare le potenzialità inespresse del principio
costituzionale della riparazione degli errori giudiziari, finora limitato –senza che
la Costituzione imponga questo risultato (vedi ad es. la sent. della Corte
Costituzionale n. 1 del 1969)55- al piano della privazione della libertà personale.
Ma è appunto un capitolo che spetta al legislatore scrivere.
52
Di una responsabilità vista “in funzione dei cd. «consumatori del diritto», fruitori ultimi del serviziogiustizia” parla F. BONACCORSI, I primi vent’anni, cit., 1140.
53
Cfr. P. DELLACHÁ, La responsabilità civile del magistrato per dolo, colpa grave e violazione del
diritto comunitario, cit., 1129, per il quale sarebbe “preferibile considerare lo strumento della
responsabilità civile nell’ottica di migliorare il livello di compensazione dei danni derivanti dal
malfunzionamento dell’apparato giudiziario”.
54
Su questa impostazione v. già P.A. CAPOTOSTI, Profili costituzionali della responsabilità dei
magistrati, cit., 199-200; G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1997,
219-220; e, volendo, A. D’ALOIA, Questioni, cit., 311 ss. Più recentemente, si sono espressi in questo
senso G. AFFERNI, La disciplina italiana della responsabilità civile dello stato per violazione del diritto
comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultima istanza, cit., 266; F. BIONDI, Dalla
Corte di Giustizia un «brutto» colpo per la responsabilità civile dei magistrati, cit., 842; S. PANIZZA,
La responsabilità civile dei magistrati nella giurisprudenza costituzionale, cit., 211.
55
In termini, v. ancora G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, op. e loco cit.
21
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