CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Ufficio per gli Incontri di Studio Incontro di studio sul tema: “La riforma del diritto societario e fallimentare nella prospettiva interdisciplinare” Roma, 14 – 16 luglio 2008 Hotel Jolly Midas La revocatoria riformata Allegati: 1. Senteza Corte di Cassazione, sez. u. civ. – Fallimento Italsemole; 2. Sentenza Trib. di Milano, II sez. fall. – Fallimento Pizz Angelo Relatore Dott. Giovanni NARDECCHIA Giudice del Tribunale di Como 1 La revocatoria riformata I. La revocatoria alla luce del d.l. 14 marzo 2005, n. 35.- II. Il periodo sospetto – III. (Segue) Il tribunale incompetente - IV. (Segue) La consecuzione di procedure – V. L’art. 67: le novità del 1° comma – VI. (Segue) le novità del 2° comma – VII. Le esenzioni del 3° comma – VIII. Uno sguardo su alcune esenzioni: i pagamenti nei termini d’uso – IX. (Segue) Le rimesse sul conto corrente bancario – X. (Segue) Il Piano attestato di risanamento - XI. (Segue) Accordi di ristrutturazione dei debiti - XII. Gli effetti della revocazione. I. La revocatoria alla luce del d.l. 14 marzo 2005, n. 35. Il D.L.35/2005, poi convertito nella l. 80/2005 ha profondamente innovato la disciplina della revocatoria fallimentare1. Disciplina applicabile esclusivamente ai fallimenti dichiarati successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. 35/2005 in forza dell’art. 2 comma 2 del medesimo provvedimento legislativo, disposizione per la quale le nuove disposizioni in materia revocatoria “si applicano alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del presente decreto”; è stata cioè sancita la irretroattività della nuova disciplina della revocatoria non soltanto alle azioni già promosse alla data di entrata in vigore del decreto legge, ma anche alle azioni non ancora promosse da procedure fallimentari già pendenti a tale data, che continuano ad essere regolate dalla normativa precedentemente in vigore. La revocatoria fallimentare è regolata da due distinte discipline: quella della vecchia legge fallimentare, che si applica a tutte le azioni promosse dai fallimenti dichiarati anteriormente al 17.3.2005 e quella introdotto dalla riforma, che si applica alle azioni promosse dai fallimenti dichiarati dopo tale data. 1 Nell’ambito della copiosa produzione scientifica successiva alla riforma della revocatoria vedi Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Fall., 2005, 573 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria falimentare, in Riv. dir. proc., 2005, 877 ss.; Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006; Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2006, I. 250 ss.; Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Bertacchini, Comm. sub art. 67, 3° co., lett. c) e f) l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Cavalli,Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; D’Ambrosio,Comm. sub art. 67, 3° co. lett. d), e), g) l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Nigro, sub art. 67 l.f., in La riforma della legge fallimentare (a cura) di Nigro-Sandulli, Torino, 2006; Patti, La revocatoria fallimentare (riformata): caratteri generali, in Il diritto falimentare riformato, commento sistematico (a cura) di Schiano Di Pepe, Padova, 2007; Limitone, sub. art. 67 l.f., in La legge fallimentare (a cura) di Ferro, Padova, 2007; Sabatelli, La revocatoria degli atti “anormali” nella riforma del diritto fallimentare, in Dir. fall., 2007, I, 989 ss.; Patti art. 67, in Codice commentato del falimento (diretto da) Lo Cascio, Milano, 2008; per un inquadramento generale dell’istituto alla luce dei vari progetti di riforma vedi Patti, La disciplina della revocatoria, in Fall., 2004, 322 ss. 2 Come recentemente affermato dalla suprema corte “È manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità dell'art. 2, comma 2 d.l. 14 marzo 2005 n. 35, in materia di nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lett. a e b, si applicano soltanto alle azioni proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo l'entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per situazioni identiche; tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si aprono in base a regole diverse vigenti all'atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva l'inesistenza di dubbi con riguardo sia agli art. 3, 24 e 41 cost., sia all'art. 77 cost., il cui presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell'apprezzamento discrezionale del legislatore, fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese, attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari, relativamente alle aspettative di recupero o restituzione delle risorse erogate alle imprese insolventi”2. Nella vigenza dell’originario testo del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, di una disciplina, quindi, improntata ad una visione del fallimento come procedura essenzialmente liquidatoria dell’impresa, l’azione revocatoria fallimentare era configurata come uno strumento tendenzialmente inteso a colpire tutte le operazioni compiute dal fallito nel periodo sospetto. La descritta funzione redistributiva della revocatoria fallimentare, mirando a ripartire tra i creditori la perdita derivante dall’insolvenza, caratterizzava l’azione come rimedio rivolto a ripristinare la parità di trattamento tra tutti i creditori, pur nel rispetto delle eventuali cause di prelazione3. Con la conseguenza che nell’azione revocatoria fallimentare per i creditori il danno si riteneva presunto e si concretizzava nella stessa lesione della par condicio4. La natura antiindennitaria della revocatoria fallimentare è stata recentemente ribadita dalla suprema corte5 con l'affermazione del principio per cui, ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67 l. fall., comma 2, l'eventus damni è "in re ipsa" e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione. Per cui grava, in tal senso, sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente. La tesi della natura redistributiva dell’azione revocatoria fallimentare è stata oggetto di numerose e penetranti critiche da parte della dottrina in epoca anteriore alla riforma. Nel corso del dibattito e dei lavori che hanno preceduto la recente riforma della legge fallimentare, ed anche successivamente è stata talora proposta una rimodulazione dell’art. 67 l.fall. in senso indennitario6. 2 Cass. 5-3-2008, n. 5962. Cass., 22-1-1999, n. 570. 4 Cass., 14-11-2003, n. 17189; Cass., 30-3-2000, n. 3878; Cass., 19-2-1999, n. 1390. 5 Cass., s.u., 28-3-2006, n. 7028. 6 Anche nel corso del dibattito parlamentare sulla conversione del D.L. n. 35/2005, ad esempio, è stato presentato, dagli onorevoli Legnini,, Calvi, Maritati, Ayala l’emendamento 2.28 che accoglieva la teoria indennitaria, emendamento poi non accolto. 3 3 Indirizzi a cui non si è poi dato seguito essendo prevalsa la diversa scelta di ridurre semplicemente (dimezzandolo) il periodo sospetto per l'esercizio dell'azione in esame, con l'introduzione anche, per altro, di talune eccezioni alla regola (implicitamente confermative quindi della stessa). Con la riforma introdotta nel 2005 il legislatore non ha toccato l’art. 67, 2° comma, nella parte in cui stabilisce la revocabilità degli atti a titolo oneroso (compresi i pagamenti) con la conseguenza che si deve ritenere che non sia stata messa in discussione la natura distributiva della azione di cui al capoverso dell'art. 67 l. fall. Scelta legittima anche alla luce della considerazione che la Corte costituzionale ha più dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del 2° comma dell’art. 67 nella parte in cui la norma assoggettava (ed assoggetta) a revocatoria i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali di pagamento essendo stata modellata dal legislatore in modo tale da “contemperare l’interesse dei creditori a recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantità di beni, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività economica ed alla stabilità degli atti”7. Più di recente la corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui “non contrasta con l'art. 81 del trattato Ce, sulla concorrenza tra imprese appartenenti a diversi Stati membri, la disciplina della revocatoria fallimentare della rimessa bancaria dettata dall'art. 67 l. fall., nel testo (applicabile "ratione temporis") anteriore alla riforma introdotta dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35 (conv. nella l. n. 80), nel presupposto che essa, accollando alle banche operanti in Italia oneri altrove non previsti, limiti la libertà di stabilimento posta dalla norma: infatti, non è l'azione predetta a costituire ostacolo all'investimento di capitali o alla prestazione di servizi o all'assunzione di partecipazioni, ma semmai il fenomeno che essa tende a correggere, così regolando gli interessi coinvolti, cioè l'insolvenza; rappresenta invero un freno alla libera circolazione l'assenza di misure repressive, anche nei termini civilistici e patrimoniali, delle condotte causative del dissesto, riguardate come atti preferenziali lesivi della "par condicio creditorum"; ne consegue l'inammissibilità del rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234 trattato Ce, per una pronuncia pregiudiziale interpretativa delle norme del trattato, essendo la disciplina anteriore alla citata riforma del 2005 addirittura di maggiore garanzia per gli investitori comunitari in materia di insolvenza dei propri debitori, in quanto consente un maggior recupero di attivo di quanto reso possibile dalla predetta novella8. La disciplina della revocatoria ha poi subito lievi modifiche nei successivi interventi di riforma. Con il D.Lgs. n. 5/2006 è stata introdotta una norma, l’art. 67bis, per disciplinare la revocabilità degli atti incidenti su un patrimonio destinato ad uno specifico affare. Con la riforma del 2006 è stato altresì introdotto l’art. 69bis che prevede un termine di decadenza di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque di non oltre cinque anni dal compimento dell’atto per l’esperimento dell’azione. Il decreto correttivo 169/2007 ha poi integrato il disposto dell’art. 67, comma 3°, lett. c), disponendo l’irrevocabilità non solo delle vendite a giusto prezzo degli immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo grado (principio già affermato con la riforma del 2005), ma anche dei relativi contratti preliminari, purché trascritti ai sensi dell’art. 2645bis, c.c. non divenuti inefficaci per mancata tempestiva trascrizione del contratto definitivo (o di atto equipollente) ai sensi del comma 3 dell’art. 2645bis c.c. 7 8 Corte cost., 27-7-2000, n. 379. Cass. 5-3-2008, n. 5962. 4 Il D.Lgs. è altresì intervenuto sull’art. 67, comma 3°, lett. d) precisando i requisiti soggettivi del professionista chiamato ad attestare il piano di risanamento. II. Il periodo sospetto La prima grande novità introdotta con la riforma del 2005 è il dimezzamento del perido sospetto. Secondo l’opinione corrente tale innovazione allineerebbe l’ordinamento concorsuale italiano a quello dei principali paesi europei, anche se, in realtà, tale affermazione sembra più un luogo comune che una realtà assodata9. Misura che già di per sé stessa, a prescindere dall’ambito di applicazione delle esenzioni introdotte nel nuovo comma 3 dell’art. 67, ha di fatto quasi azzerato l’utilizzo di questo strumento recuperatorio10. Risultato amplificato dall’allungamento dei tempi dell’istruttoria prefallimentare, mentre è stata abbandonata la proposta (avanzata da parte della dottrina nel corso dei lavori preparatori della riforma) di far decorrere il periodo sospetto dal deposito del ricorso, se accolto, e non dalla successiva dichiarazione di fallimento, così come previsto nell’ordinamento tedesco11. A seguito dell’intervento riformatore del 2005 il quadro di riferimento legislativo per la determinazione del periodo sospetto è ancor più variegato e frammentato: a) Gli atti gratuiti12 ed i pagamenti di debiti non scaduti13 sono revocabili se compiuti nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento; 9 Come giustamente sottolineato da Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, in Fall., 2007, 1044, il panorama europeo presenta soluzioni assai differenziate tra loro in relazione alla fissazione del periodo sospetto, soluzioni che appaiono sovente assai lontane dall’opzione abbracciata dal legislatore italiano. L’autore ricorda, ad esempio, come nella legislazione spagnola il periodo sospetto legale è di due anni (art. 71, primo comma, ley concursal), in quella tedesca talora è più lungo (quattro anni per gli atti a titolo gratuito,§ 134 InsO, dieci anni per gli atti intenzionalmente pregiudizievoli, § 133InsO) e solo per alcuni è particolarmente breve (tre mesi per pagamenti e garanzie e per gli atti direttamente pregiudizievoli, §§ 130 e 131 InsO); in quella francese, nella quale sopravvive il sistema della retrodatazione dell’insolvenza, può arrivare ad un anno e mezzo (art. 621-7 code de commerce); sull’argomento vedi anche Schiano Di Pepe, La nuova revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 13 ss. e, con particolare riferimento al diritto spagnolo, Falcone, La riforma concorsuale spagnola. Contributo all studio del diritto concorsuale comparato, Milano, 2006, 160 ss.. 10 Come riportato sul SOLE 24 ORE del 22 settembre 2007 (con commento di Visivoccia, La revocatoria non ha più tempo. Il dimezzamento del periodo sospetto paralizza l’azione. Decisive anche le novità sulle rimesse bancarie), secondo una ricerca di Assonime le azioni revocatorie sono quasi del tutto scomparse nei 19 tribunali presi in esame dalla ricerca. Secondo Fabiani, Il decreto correttivo della riforma fallimentare, in Foro it., 2007, V, 233 la responsabilità della drastica diminuzione dell’esercizio dell’azione revocatoria sarebbe imputabile anche al comportamento dei curatori fallimentari. 11 Così Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, cit., 1044; negli stessi termini Nigro, sub. art. 67, cit., 371; contra Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir.fall., 2006, I, 250 ss.; Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., cit. 904 ss. 12 Il termine dei «due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento», previsto dall’art. 64 per il compimento degli atti a titolo gratuito inefficaci nei confronti del fallimento, è stato interpretato nel senso che entro il descritto limite temporale l’atto deve essere stato perfezionato, senza che possa assumere rilievo, ai fini dell’inefficacia di atti a titolo 5 b) Gli atti previsti dall’art. 67, comma 1, sub 1), 2) e 3) l.fall. sono revocabili se compiuti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento; c)Gli atti costitutivi di garanzie non contestuali per debiti scaduti ex art. 67, comma 1., sub 4) e gli atti ed i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili di cui all’art. 67, comma 2, l.fall. sono revocabili se compiuti nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento; d)Sono revocabili gli atti previsti dall’articolo 67, compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un’impresa commerciale e quelli a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento. Con riferimento agli atti tra coniugi non trovano quindi applicazione i limiti temporali di compimento dell’atto (di un semestre, di un anno, di due anni prima del fallimento) previsti per la revocatoria degli atti di cui al 1° ed al 2° comma dell’art. 67 e per l’inefficacia degli atti gratuiti14. Il profilo temporale di cui all’art. 69 va però coordinato con la disposizione dell’art. 69bis che stabilisce un termine di decadenza di cinque anni dal compimento dell’atto, oltre il quale la revocatoria non è proponibile. Il dies a quo per l’individuazione del compimento dell’atto revocando nel c.d. «periodo sospetto», biennale, annuale o semestrale, previsto, rispettivamente, dagli artt. 64, 65, 67 e 69 coincide con la data di deposito (pubblicazione) della sentenza dichiarativa di fallimento e non anche con quella, anteriore, della sua deliberazione15. La giurisprudenza di merito ha, inoltre, precisato che, in ipotesi di revocatoria ai sensi del 2° comma dell’art. 67, il periodo sospetto deve essere computato con riferimento all’epoca in cui è intervenuto l’atto solutorio e non a quella in cui è sorta l’obbligazione, così come l’esercizio del diritto di prelazione o la stipulazione di un contratto preliminare non determinano, ai fini in esame, la retrodatazione del contratto definitivo. Termine che decorre dalla stipulazione del contratto preliminare in relazione a quanto stabilito nel D.Lgs. 122/05 con specifico riferimento alla fattispecie degli immobili in costruzione da trasferire. gratuito perfezionati antecedentemente, il compimento nel biennio di formalità non necessarie per il perfezionamento, quali la registrazione o la trascrizione. 13 Per quanto attiene all’individuazione del termine di pagamento, occorre fare riferimento alla scadenza convenzionale del debito, non rilevando l’eventuale previsione contrattuale della facoltà per il debitore di liberarsi anticipatamente dall’obbligazione. Per pagamento anticipato deve intendersi soltanto quello effettuato prima della sua originaria scadenza, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, a nulla rilevando la circostanza che il debitore paghi avvalendosi di clausola contrattuale, contenuta nel regolamento di un prestito obbligazionario, che consenta il pagamento anticipato (Cass., 5-4-2002, n. 4842). 14 Il legislatore ha trasfuso nel testo legislativo quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 100 del 19 marzo 1993,in…. che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 del r.d. 267/1942 “nella parte in cui non comprende[va] nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava unìimpresa commerciale”. 15 Cass., 16-4-1992, n. 4705; Cass., 11-3-1992, n. 2382; Cass., 22-11-1991, n. 12573. 6 In ipotesi di estensione del fallimento ex art. 147 la Corte di Cassazione, modificando il proprio precedente orientamento, ha statuito che la successiva dichiarazione di fallimento del socio occulto od illimitatamente responsabile ha effetto, ai fini della determinazione del «periodo sospetto», dalla data della dichiarazione di fallimento del socio16. La riforma non ha modificato i termini del periodo sospetto nella disciplina della revocatoria cd.”aggravata” prevista dall’art. 91 D.lgs. n. 270/1999 per le operazioni infragruppo. Termini fissati nei cinque anni anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza, per gli atti indicati nei nn. 1), 2) e 3) dell’art. 67, comma 1 e nei tre anni sempre dalla dichiarazione dello stato di insolvenza per gli atti indicati nel n. 4) e nel comma 2 dell’art. 67 l.fall. Ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 347/2003 (c.d. legge Marzano), i medesimi termini si applicano anche nell’ipotesi di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione delle imprese di rilevanti dimensioni in sato di insolvenza. III. (Segue) Il tribunale incompetente Il problema della decorrenza del periodo sospetto presenta profili problematici di non poco momento in relazione ad alcune particolari ipotesi di retrodatazione degli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento. La prima fattispecie è quella della declaratoria di incompetenza del tribunale che ha dichiarato il fallimento. L’art. 9bis introdotto con il D.Lgs. n. 5/2006 ha disposto che la procedura apertasi a seguito di pronuncia di un giudice incompetente prosegua dinanzi al giudice competente, sulla base della precedente valutazione di sussistenza dei presupposti del fallimento. Il principio oggi positivizzato con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2006, è applicabile anche ai fallimenti dichiarati prima del 16 luglio 2006. La sezioni unite, nel disciplinare gli effetti del fallimento dichiarato da un giudice non competente, hanno infatti affermato il principio della conservazione degli effetti del fallimento dichiarato da tribunale incompetente anche con riferimento ai fallimenti disciplinati dall’originario R.D. 267/194217. L’affermata scissione degli effetti processuali e di quelli sostanziali della sentenza dichiarativa di fallimento emessa da giudice non competente, determina quindi il considerare “sospetto” agli effetti dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare il periodo antecedente la prima dichiarazione di fallimento. IV.(Segue) La consecuzione di procedure La problematica più complessa in tema di retrodatazione degli effetti sostanziali della successiva sentenza dichiarativa di fallimento è quella collegata all’ipotesi di consecuzione di procedure concorsuali, vale a dire al decorso del periodo sospetto dalla data di ammissione alla prima delle procedure concorsuali susseguitesi prima del fallimento. 16 Cass., s.u., 7-6-2002, n. 8257; Cass., 10-8-1991, n. 8757; Cass., 6-11-1985, n. 5394; ; contra Cass., 1-8-1996, n. 6971. 17 Cass. sez. un. 18-12-2007, n. 26619, in Fall., 2008, 511, con commento di Marelli, Le sezioni Unite confermano la conservazione degli effetti del fallimento dichiarato da tribunale incompetente. 7 Principio fondato su un’interpretazione estensiva dell’art. 67 l.fall. nella parte in cui fa decorrere il periodo sospetto dalla data di dichiarazione di fallimento “nel senso che il legislatore si sia in essa riferito alla dichiarazione di fallimento come al normale mezzo legale di accertamento dello stato di insolvenza, con ciò implicitamente volendo attribuire la stessa efficacia al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che … costituisce il provvedimento giurisdizionale cui l’accertamento di tale stato è demandato”18. Principio applicato successivamente dalla giurisprudenza anche nell’ipotesi in cui la prima procedura concorsuale della sequenza fosse l’amministrazione controllata19. Principio che aveva avuto l’autorevole avallo dei giudici della legge, che avevano dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67 l.fall. nella parte in cui la norma, nell’interpretazione allora corrente, fissava il dies a quo per l’esperimento dell’azione revocatoria alla data di ammissione alla procedura minore20. Abrogata dalla riforma l’amministrazione controllata, la problematica si incentra oggi nella consecuzione concordato preventivo-fallimento. La diversità del presupposto oggettivo delle due procedure concorsuali, crisi ed insolvenza nell’una, insolvenza nell’altra, sembrerebbe escludere oramai la possibilità di retroagire il momento iniziale per il computo del periodo sospetto alla data di ammissione al concordato preventivo21. E ciò in quanto non può più sostenersi che il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo contenga un accertamento giudiziale della sussistenza dello stato d’insolvenza in capo al debitore22. Posizione che ha come logico corollario la considerazione che al tribunale in sede di ammissione sarebbe preclusa ogni indagine circa la natura della crisi denunciata dal debitore. Vi è chi ritiene, al contario, che lo stato di crisi di cui all’art. 160 l.fall. ricomprenda soltanto ipotesi di insolvenza reversibile o irreversibile, con la conseguenza che la retrodatazione sarebbe assicurata, proprio come nel caso della consecuzione amministrazione controllata-fallimento, dalla sostanziale identità dei due presupposti23. 18 Così Cass. 27-10-1956, n. 3981, in Foro it., 1957, I, 2114. Sulla scorta di una sostanziale equiparazione tra la temporanea difficoltà ad adempiere ed insolvenza, quali fenomeni qualitativamente identici, differenti solo dal punto di vista quantitativo. Cfr. da ultimo Cass. 3-22006, n. 2437, in Fall., 2006, 1332. 20 Cost. 6-4-1995, n. 110, in Fall., 1995, 707, con osservazioni di Lo Cascio. 21 In questi termini Alessi, Il nuovo concordato preventivo, in Dir. fall., 2005 I, 1152, Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei “fallimenti immobiliari”, Milano, 2005, 187 ss., Bozza, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fall., 2005, 959 ss.; Guglielmucci, La riforma in via d’urgenza della legge fallimentare, Torino, 2005, 118 ss.; Censoni, in Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 307-308. 22 In questi termini Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, cit., 1045. 23 In questi termini Censoni P.F. Il concordato preventivo, in La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, di Bonfatti-Censoni, Padova, 2006 260; per questa interpretazione dello stato di crisi Trib. Modena 14-10-2005 in 19 8 Alcuni autori individuano le ragioni della retrodatazione non tanto nell’identità dei presupposti delle procedure consecutive, quanto piuttosto nell’identità funzionale delle stesse, nel convergere verso un comune obiettivo di soluzione della crisi nell’interese di tutti i creditori, contemperando il sacrificio della permanente possibilità di esposizione (per taluni) ad azione revocatoria con la garanzia (per tutti) di non perdere strumenti finalizzati, da una parte, ad incentivare percorsi alternativi alla liquidazione fallimentare, dall’altra, alla tutela di serietà e di correttezza di comportamenti24. Altri ancora ritengono che la possibilità della retrodatazione dovrebbe essere valutata caso per caso con un accertamento da condursi in concreto per ogni singola procedura25. Qualora il fallimento consegua all’infruttoso tentativo di risolvere la crisi d’impresa con la stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.fall. la possibile retrodatazione del decorso del periodo sospetto al momento dell’omologa dell’accordo dipende dalla natura che si attribuisce a tale istituto. Gli accordi di ristrutturazione sono un istituto autonomo, distinto dal concordato preventivo, anche se rimane aperta la questione se esso sia, o meno, catalogabile nell’ambito delle procedure concorsuali vere e proprie. L’assenza di un controllo sulla gestione del debitore da parte di un soggetto terzo (rappresentante dei creditori; organo giurisdizionale o amministrativo) sembrerebbe far propendere decisamente per la natura contrattuale della fattispecie dato che questo elemento caratterizza invariabilmente le procedure concorsuali o d’insolvenza in tutti i più importanti ordinamenti europei26. Così come la mancata previsione di un trattamento predeterminato per legge, o comunque paritario, dei creditori aderenti all’accordo. D’altro canto l’introduzione di un blocco automatico, sia pur temporaneo, delle azioni esecutive e cautelari, collegato alla pubblicazione dell’accordo in camera di commercio farebbe propendere per una diversa interpretazione, in quanto anche il divieto di azioni esecutive individuali è un www.ipsoa.it/fallimento; per un’ampia rassegna delle varie problematiche vedi Filocamo, Art. 173, in La legge fallimentare (a cura) di M. Ferro, Padova, 2007, 1303 ss. 24 Così Terranova, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale, in Dir. fall., 2006, 574; negli stessi termini, Patti, art. 67, cit. 554-555. secondo cui un ulteriore elemento a favore della retrodatazione el perido sospetto nel caso di consecuzione concordato preventivo-fallimento si ricava dal fatto che il legislatore ha espressamente previsto una specifica esenzione da revocatoria dei “pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso a…concordato preventivo” (art 67, comma 3, lett. g) norma priva di significato se non sottintendesse la revocabilità dei pagamenti dei debiti non aventi una tale finalità. 25 In questi termini Ferro, Il nuovo concordato preventivo: la privatizzazione delle procedure riorganizzative nelle prime esperienze, in Giur. mer., 2006 664 ss., Santangeli, Il nuovo fallimento, Milano, 2006, 297. 26 Sull’argomento vedi Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007 pp. 180-181. 9 elemento che caratterizza invariabilmente tutte le procedure concorsuali previste dal nostro27 e da altri ordinamenti28. In procedure non concorsuali, ma eventualmente prodromiche alle stesse (come ad esempio nell’art. 15 l.fall. in pendenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento), tale divieto non scatta automaticamente, ma è collegato ad una valutazione discrezionale di un organo giurisdizionale o amministrativo29. Solo ove si ricomprendano gli accordi di ristrutturazione nell’ambito delle procedure concorsuali, in caso di successivo fallimento saranno ad essi astrattamente applicabili i principi generali in tema di consecuzione di procedure. Sia con riferimento alla prededucibilità dei crediti che alla retrodatazione della decorrenza del periodo sospetto. Possibilità da escludersi nel caso in cui il fallimento consegua ad un piano attestato di risanamento ex art. 67. comma 3, lettera d), dato che non vi sono dubbi circa l’impossibilità di ricomprendere quest’ultima fattispecie nel novero delle procedure concorsuali. V. L’art. 67: le novità del 1 comma Il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16 marzo 2005) ha lasciato immutata la struttura dell’art. 67 l.f. Nel 1° e nel 2° comma dell’articolo in esame vengono disciplinate le fattispecie per le quali si applica l’azione revocatoria, mentre i successivi commi regolano le cause di esenzione. La disciplina della nuova revocatoria ha inciso soltanto sulla disciplina degli atti con prestazioni sproporzionate di cui all’art. 67, comma 1, n. 1. Tale norma è stata riformulata nel senso che ora sono revocabili, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: “gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso”. La nuova disciplina segna quindi il passaggio da un parametro flessibile la cui integrazione era rimessa all’interprete, alla valutazione operata, caso per caso dal giudice, ad uno rigido L’opzione di fissare nel «quarto» la soglia della notevole sproporzione rappresenta una sorta di codificazione di una prassi giurisprudenziale piuttosto diffusa nella vigenza della precedente disciplina che, pur in assenza di un criterio aritmetico (quale è stato prescelto, ad esempio, per la 27 Si vedano l’art. 51 l.fall. per il fallimento; l’art. 168 l.fall. per il concordato preventivo; l’art. 83, comma 3, d.lgs. n. 385/1993 per la liquidazione coatta delle banche; l’art. 262 d.lgs. 209/2005 per la liquidazione coatta delle assicurazioni; gli artt. 18 e 49 d.lgs. 270/1999 per l’amministrazione straordinaria. 28 In questi termini Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, cit., p. 250 che sottolinea come la forza caratterizzante di tale divieto è tale che dalla sua esistenza di è desunta la natura concorsuale di procedure previste da leggi speciali quali, ad esempio quella di liquidazione del gruppo EFIM. Sulla procedura disposta con la legge 17 febbraio 1993 n. 33 vedi Gambino, I gruppi nelle procedure concorsuali minori, in Giur. comm, 1993, I, p. 367 ss.; Corsi, Soppressione dell’EFIM: la sorte delle società controllate, in Giur.comm., 1993, I, p. 657 ss. 29 In questi termini Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, cit., p. 254 che ricorda come una simile previsione sia contenuta anche nell’art. 74 del TUB con riferimento all’amministrazione straordinaria delle banche che prevede un provvedimento che dispone la sospensione dei pagamenti e delle restituzioni di beni. 10 rescissione in materia contrattuale ed ereditaria), identificava la notevole sproporzione in percentuali che si assestavano fra il 20 ed il 30% circa30. In verità, l’introduzione di un fattore di rigidità in una materia che nulla ha di giuridico, se da una parte rappresenta una scelta coerente con l’obiettivo di garantire maggiore certezza ai rapporti commerciali, rischia di togliere quei margini di elasticità che sono sempre stati considerati il «valore aggiunto» di una siffatta disposizione normativa. Infatti è difficile negare che per l’alienazione di beni per i quali il prezzo è segnato da listini, più o meno ufficiali (si pensi ad una partita d’oro), anche uno scostamento del 10-15% può rivelarsi sproporzionato; mentre, per converso, rispetto a contratti para-aleatori, anche una differenza di prezzo del 30% può apparire giustificata31. La novità introdotta con la novella del 2005 non va ad incidere sui principi giurisprudenziali formatisi nella vigenza della precedente disciplina per cui la sproporzione deve essere accertata con riferimento alla data del compimento dell’atto (salva l’ipotesi degli immobili da costruire rispetto alla quale vale la data del preliminare) e grava sempre sul curatore fallimentare che agisce in revocatoria l’onere di provare che il compimento dell’atto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento è caratterizzato dalla lamentata sproporzione tra le prestazioni, potendo avvalersi a tal fine di qualunque mezzo di prova, anche per presunzioni32. Gli atti a prestazioni corrispettive connotati da una sproporzione inferiore alla misura sopra indicata continuano ad essere revocabili ai sensi dell’art. 2001 c.c. e del comma 2° dell’art. 67; fermo restando ormai la presunzione di non sproporzione per quelli contenenti una differenziazione di misura inferiore. Con riferimento alla revocabilità degli immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, posto che l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3°, lett. c), dispone l’irrevocabilità delle vendite a giusto prezzo e dei relativi contratti preliminari, essa potrà essere disposta ai sensi dell’art. 67, comma 1, ove il prezzo sia sproporzionato ovvero ai sensi del secondo comma ove il prezzo non sia comunque “giusto”, pur se al di sotto della soglia del quarto33. Se il prezzo è giusto l’atto non è revocabile neppure ai sensi del 2°comma. La riforma ha lasciato inalterata la restante parte dell’art. 67 l.f., comma 1, cosicché esso, ai numeri 3 e 4 assoggetta ancora a revocatoria, rispettivamente, i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti ed i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie (elencazione ritenuta non tassativa, potendo essere assoggettate a revocatoria anche garanzie atipiche quali, ad esempio, il pegno su merci- Cass., 5-2-1982, n. 652) costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. La differente tutela accordata dalla disposizione ai creditori garantiti è quindi ancora correlata al momento in cui viene costituita la garanzia rispetto al credito garantito. La massima tutela è accordata al creditore che ha ricevuto la garanzia contestualmente al sorgere del credito, con onere della prova della scientia decotionis a carico del curatore (art. 67, comma 2); minore tutela a chi ha ricevuto la garanzia per un credito preesistente scaduto, con onere della prova della inscientia decotionis a carico del creditore (art. 67, comma 1, n. 4); minore ancora a chi ha ricevuto la garanzia per un debito preesistente non ancora scaduto, nel qual caso vige lo 30 Vedi Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare,Padova, 2000, 252. 31 In questi termini assai correttamente Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, cit., 583. 32 Cass., 7-10-1959, n. 2699. 33 In questi termini Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, cit. 573 ss ;Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., cit. 910. 11 stesso criterio presuntivo probatorio ma il periodo sospetto si estende all’anno e non ai sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (art. 67, comma 1, n. 3). VI. (Segue) le novità del 2 comma Con la riforma introdotta nel 2005 il legislatore non ha toccato l’art. 67, 2° comma, nella parte in cui stabilisce la revocabilità degli atti a titolo oneroso (compresi i pagamenti) La miniriforma ha però apportato una significativa novità nel secondo comma dell’art. 67 l.f., con riferimento alla revocabilità degli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, ove è stata aggiunta la locuzione “anche di terzi”. In primo luogo va rammentato che la concessione di garanzia per debito altrui viene solitamente inquadrata nella rigida alternativa derivante dalla qualificazione come atto a titolo gratuito (art. 64 l.f.) o a titolo oneroso (art. 67 l.f.). La prima questione che si poneva a fronte di tale tradizionale impostazione era quella relativa all’applicabilità, o meno, alla revocatoria fallimentare delle garanzie prestate per debito altrui della presunzione di onerosità stabilita per le garanzie contestuali nella disciplina della revocatoria ordinaria dall’art. 2901, comma 2 c.c. Un primo orientamento (decisamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità), fondato essenzialmente sulla presunta identità di natura degli istituti dell’azione revocatoria ordinaria e di quella fallimentare, sosteneva che l’art. 2901, comma 2, c.c. affermava un principio generale, applicabile quindi, come tale, anche alla revocatoria fallimentare34. Di contro vi era chi negava l’applicabilità della norma al di fuori dell’ambito della revocatoria ordinaria, sia per motivi letterali (lo stesso art. 2901 c.c. sembra limitare l’estensione della disposizione “agli effetti della presente norma”; l’art. 2904 c.c. fa espressamente “salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e penale”) che sistematici (Cass., 285-1998, n. 5264). Orbene appare evidente come la questione sia stata risolta dal legislatore, il quale, ai fini della revocatoria ex art. 67, comma 2 l.f., ha sostanzialmente uniformato la disciplina degli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, siano essi propri o altrui35. Soluzione caldeggiata dalla dottrina più autorevole che sottolineava come “in questo caso, infatti, non può affermarsi che il soggetto erogatore del credito riceva una prestazione gratuita, anche se il garante non veda in concreto ricompensata la sua prestazione. Viene in gioco, cioè, non solo la 34 Cass. 1 aprile 2005, n. 6918; Cass. 24.2.2004, n. 3615 secondo la quale "con riguardo ad un atto costitutivo di garanzia prestata dal terzo contestualmente alla erogazione di un credito in favore di altro soggetto, il principio stabilito per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma, c.c.- secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerati atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito- è estensibile anche al sistema revocatorio fallimentare, essendo tale principio coerente con la natura intrinseca dell'atto (di prestazione di garanzia), il quale, nei confronti del soggetto erogatore del finanziamento, non può essere considerato gratuitocon conseguente inapplicabilità dell'art. 64 della l.fall. (salva la revoca ex art. 67, secondo comma, della legge stessa), perché viene a porsi in relazione di corrispettività con la contestuale erogazione del credito", conf. Cass. 25.6.2003, n. 10072; Cass. 7.6.1999, n. 5562; Cass. 2.9.1996, n. 7997. 35 Come correttamente osservato da Lamanna, La presunzione di onerosità delle garanzie contestuali nella novellata disciplina della revocatoria, in Fall., 2006, 402 ss., per le prestazioni di garanzia contestuali non si può parlare di equiparazione piena con la presunzione di onerosità posta dall’art. 2901, comma 2, c.c. non essendo ricompresse negli atti costitutivi di un diritto di prelazione le garanzie personali. 12 posizione del terzo concedente la garanzia, ma anche quella del beneficiario della garanzia stessa, in una valutazione comparativa e bilanciata che porta ad escludere la gratuità quando la garanzia costituisce la condicio sine qua non dell'operazione creditizia, perché la garanzia, che nella sua fase attuativa individua una situazione di sussidiarietà, quando non di accessorietà, del credito, nella fase costitutiva può integrare un presupposto dell'operazione di credito, nel senso che l'operazione stessa non vi sarebbe stata se non vi fosse la garanzia”36. Modifica che evidenzia quindi come ora, secondo la lettura più accreditata della norma, tutte le garanzie contestuali, sia reali che personali, vadano qualificate come atti a titolo oneroso e, come tali, qualora ne ricorrano i presupposti, eventualmente assoggettabili alla revocatoria ex art 67 l.f. e non (quali atti a titolo gratuito) a quella prevista dall’art. 64 lf. Rimangono, al contrario, inalterate tutte le altre problematiche precedentemente affrontate in dottrina ed in giurisprudenza. E ciò sia con riferimento alla contestualità, o meno, tra garanzia e credito sia alla già avvenuta scadenza o no di quest’ultimo. In giurisprudenza è consolidato l’orientamento secondo cui la contestualità va qualificata in termini causali e non meramente temporali37. In altre parole la contestualità tra credito e garanzia sussiste ogni qual volta il credito sia stato concesso a causa ed in conseguenza della prestazione di garanzia, anche in mancanza di una coincidenza cronologica tra i due eventi.38 Ai fini della prova dell’accertamento di tale collegamento genetico tra i due negozi non assume alcuna rilevanza l’elemento formale dell’unicità o meno del documento contrattuale contenente le dichiarazioni di volontà delle parti39. Parimenti consolidato è l’orientamento secondo il quale si può avere contestualità della garanzia, intesa come necessaria incidenza causale ai fini dell’erogazione del credito garantito, anche tra negozi stipulati tra parti diverse40. Si discute se possa definirsi contestuale la garanzia creata in epoca successiva alla scadenza di un’obbligazione, in occasione della novazione della medesima41 ovvero in caso di semplice proroga del debito42. Preesistendo un credito, se viene prestata una garanzia contestualmente al sorgere di un nuovo credito, essa è revocabile per l’intero, dovendo essere interpretata come garanzia per crediti preesistenti, non ammettendosi la scindibilità della garanzia medesima, salvo che essa non sia stata creata esclusivamente in ragione della nuova obbligazione43. Ulteriore questione è poi quella della prospettiva da cui effettuare il giudizio di gratuità (questione oramai rilevante soltanto in caso di garanzia non contestuale), dato che non vige alcuna presunzione a contrario di gratuità per le prestazioni di garanzia non contestuali, che possono essere, in relazione alla fattispecie, a titolo oneroso, ed allora rientreranno nella previsione dell’art. 67 l.fall., ovvero a titolo gratuito, trovando in tal caso disciplina nell'art. 64 l.fall., come 36 così Bozza, 06; negli stessi termini Cass., 5-12-1992, n. 12948. Cass. 21.3.2003, n. 4126; Cass. 9.5.2000, n. 5845; Cass. 17.9.1996, n. 8306; Cass. 5.12.1992, n. 12948. 38 Cass. 17.7.1997, n. 6558 ha ritenuto, ad esempio, ininfluente un lasso di tempo di otto giorni tra l’erogazione del credito e la costituzione del pegno. 39 Cass. 13.2.1992, n. 1751, la quale ha considerato meramente occasionale il collegamento fra due negozi risultanti dallo stesso documento; Cass. 5.7.1991, n. 7415; Cass. 25.5.1983, n. 3622. 40 Cass. 14.3.2003, n. 3808. 41 in senso affermativo Cass. 5.2.2003, n. 1655. 42 per la non con testualità in questo caso Cass. 15.5.1963, n. 1204. 43 Cass. 9.5.2000, n. 5845; Cass. 30.1.1998, n. 969. 37 13 nel caso della mancanza di un corrispettivo economicamente apprezzabile proveniente dal debitore principale o dal creditore garantito44. Sulla problematica in dottrina si confrontano una pluralità di orientamenti che, per chiarezza espositiva, possono ridursi essenzialmente a due principali opzioni interpretative: da una parte coloro che ritengono necessario valutare l’atto con riferimento alla posizione sia del datore, sia del creditore, sia del debitore, dall’altra coloro i quali sostengono che l’indagine vada effettuata con riferimento agli effetti che tale atto abbia prodotto nel patrimonio di uno soltanto dei soggetti del rapporto, ed in particolare del solo terzo concedente la garanzia. VII. Le esenzioni del 3° comma Il profilo più innovativo della riforma è indubbiamente rappresentato dalla disciplina delle esenzioni contenute nel comm 3 dell’art. 67 l.fall. Esenzioni collegate all’intento, espresso dal legislatore nella relazione accompagnatoria al decreto legge, di “evitare che situazioni che appaiono meritevoli di tutela siano invece travolte dall’esercizio, sovente strumentale, delle azioni giudiziarie conseguenti all’accertata insolvenza del destinatario dei pagamenti”. Il principale problema interpretativo che si pone è quello dell’ambito di applicazione di tali esenzioni. Se esse, cioè, ferma restando la loro sicura applicabilità alle ipotesi previste dall’art. 67 comma 245, riguardino anche le ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 67 e si applichino o meno anche alle azioni recuperatorie di cui agli articoli 64-65 l.fall.46 Il dato testuale non è di grande conforto in quanto l’art. 67 comma 3 l.fall. si limita ad affermare la non assoggettabilità “all’azione revocatoria” di tutti gli atti elencati nelle successive lettere, dalla a) alla g), del medesimo comma. A differenza del successivo quarto comma che stabilisce che le ulteriori esenzioni ivi previste si riferiscono alla sola “revocatoria fallimentare”. Dato letterale che sembrerebbe estendere l’ambito di applicazione delle esenzioni del terzo comma dell’art. 67 quanto meno alle azioni previste dagli articoli 64-67, generalmente identificate proprio con il termine di “azioni revocatorie”. 44 Cass., 20-5-1987, n. 4608; secondo Cass. 5.12.1992, n. 12948 in tale ipotesi la gratuità dovrà essere accertata in base ai criteri dogmatici utilizzati per accertare la sussistenza di prestazioni corrispettive; Cass., 28-9-1991, n. 10161 ha, ad esempio, ritenuto oneroso il contratto di prestazione di garanzia ipotecaria per un debito altrui, qualora il creditore garantito presti corrispettivamente il consenso alla proroga di scadenza del debito del terzo suo debitore. 45 Secondo Meli, La revocatoria fallimentare: profili generali, in La riforma della legga fallimentare, Bologna, 2006, (a cura) di Ambrosini, 123) le esenzioni elencate nel comma 3 dell’art. 67 l.fall. opererebbero con esclusivo riferimento alla disciplina dell’azione revocatoria degli atti c.d. normali prevista dal comma 2 dell’art. 67 l.fall.; negli stessi termini Fortunato, Brevi note sulla “filosofia” della nuova revocatoria fallimentare, in Giur. Comm., 2005, I, 720 ss.; 46 Sull’argometo vedi da ultimo Tarzia, L’ambito di applicazione delle esenzioni nel nuovo art. 67 l.fall., in Fall., 208, 637 ss.; Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2007, I, 163 ss.; Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2005, I, 802 ss. 14 Dato letterale che potrebbe offrire fondati argomenti anche in senso contrario considerando che le esenzioni sono inserite nel corpo dell’art. 67 l.fall, costruite quindi come eccezione alla sola revocatoria fallimentare prevista dal medesimo articolo47. Senza tralasciare la considerazione che gli atti ed i pagamenti previsti dagli articoli 64 e 65 l.fall. sono colpiti da una sanzione, l’inefficacia, non contemplata dall’art. 67, che parla di esonero dall’azione revocatoria. A quest’ultima osservazione potrebbe, d’altro canto, obiettarsi che da tempo la distinzione tra inefficacia ex artt. 64 e 65 l.fall. e revocatoria ex art. 67 l.fall. ha perso di significato, tanto che sia la giurisprudenza48 che lo stesso legislatore49 utilizzano l’ampia nozione di revocabilità per tutti gli atti pregiudizievoli ai creditori, ivi compresi gli atti inefficaci ex artt. 64 e 65 l.fall50. Da tali considerazioni emerge chiaramente come non sia possibile attribuire un valore dirimente al dato letterale, di per sé equivoco, tanto più che tale approccio presuppone un legislatore attento all’esatto significato dei termini e delle espressioni utilizzate, il che non è certo avvenuto nel caso in esame51. L’abbandono del canone interpretativo basato sul dato letterale della norma comporta altresì l’abbandono della ricerca di una risposta necessariamente unitaria alla problematica. Il che appare opportuno ed anzi necessario in quanto non appare possibile fornire una risposta unitaria alla questione, valida per tutte le esenzioni. Anche perché un’interpretazione di tal genere porterebbe a delle conseguenze del tutto irrazionali ed inaccettabili. E ciò sia nel caso in cui si ritenesse le stesse applicabili alle azioni recuperatorie ex art. 64-6552, sia ove, al contrario, si limitasse il loro raggio d’azione al solo articolo 67, ovvero al solo secondo comma dell’articolo. 47 In questi termini Limitone, sub. art. 67 l.f., cit., 458; anche secondo De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 85 ss., ritengono che le esenzioni non potrebbero operare con riferimento a fattispecie diverse da quelle previste dall’art. 67 l.fall. 48 Cass. 11 aprile 2001, n. 5369, in Fall., 2002, 69, che, riferendosi al momento successivo all’omologa del concordato fallimentare, afferma che divengono improcedibili “le azioni revocatorie promosse dalla curatela ai sensi degli articoli 64 e 67 l.fall”; Cass. 20 giugno 2000, n. 8379, in Giust. Civ., 2000, I, 2584 che parla di impugnabilità “con revocatoria fallimentare a norma dell’art. 64 l.fall.” della costituzione di un fondo patrimoniale, in caso di fallimento di uno dei coniugi. 49 Come chiaramente evincibile dalla rubrica dell’art. 49 del D.Lgs. n. 270/99 (Azioni revocatorie), poi richiamata nell’art. 6 D.l. n. 347/03 il legislatore ha fatto propria questa nozione più ampia di revocabilità, coincidente con l’impugnabiità di tutti gli atti pregiudizievoli ai creditori. 50 In questi termini assai correttamente Tarzia, L’ambito di applicazione delle esenzioni nel nuovo art. 67 l.fall., cit., 639. 51 Come assai correttamente sottolineato da Bonfatti, in Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 86, lo stesso legislatore, a pochi giorni dal D.L. 35/2005 ha introdotto con il D.Lgs. 122/05 un’ulteriore fattispecie di esenzione da revocatoria del tutto simile a quella prevista dall’art. 67, comma 3, lett. c) sugli acquisti di immobili ad uso abitativo, sottraendola alla sola revocatoria “di questo articolo” (67), in evidente ed insanabile contraddizione con la portata apparentemente generale dell’esenzione disposta per tutti gli atti previsti nel terzo comma dell’articolo 67, comprendenti anche gli acquisti di immobili ad uso abitativo. 52 In questo senso Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria nelle procedure di composizione negoziale delle crisi di impresa, in La disciplina 15 Nel primo caso si arriverebbe a sottrarre all’azione revocatoria anche gli atti a titolo gratuito di cui all’art. 64 l.fall., atti che non possono di certo essere ritenuti “meritevoli di tutela” dal legislatore53. Nel secondo caso si priverebbero di effettiva tutela situazioni che il legislatore intendeva sicuramente esentare da revocatoria, quali, ad esempio quelle previste dalle lettere d), e) e g), dato che i nuovi strumenti di risoluzione della crisi d’impresa sarebbero destinati ad un sicuro insuccesso ove l’esenzione fosse limitata alle sole ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 67 l.fall. Appare quindi preferibile affrontare la questione in maniera diversa, basandosi non tanto sull’equivoco dato letterale, quanto piuttosto sulla ratio delle esenzioni e sul loro grado di compatibilità con i singoli strumenti “revocatori”. Interpretazione che appare coerente con la natura destrutturata, frammentata della nuova revocatoria fallimentare. Al fine di contemperare il suddetto criterio interpretativo di natura finalistica con le esigenze di un approccio comunque sistematico alla questione, occorre verificare se sia possibile rinvenire un filo conduttore comune tra alcune delle numerose esenzioni introdotte con la riforma del 2005. Secondo la ricostruzione sistematica della dottrina54 le esenzioni possono, a grandi linee, ricondursi a tre categorie: I) protezione per gli atti compiuti durante la gestione ordinaria dell’impresa (lett. a, b); II) protezione per gli atti correlati a tentativi di composizione concordata della crisi dell’impresa (lett. d., e, g); III) protezione per taluni atti reputati particolarmente meritevoli di tutela per la posizione soggettiva del destinatario dell’atto (lett. c, f). Il primo gruppo di esenzioni sembra avere il più limitato ambito di applicazione in quanto i pagamenti di forniture di beni e servizi o le rimesse in conto corrente sono tutelati se effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa con modalità ordinarie, ordinarietà che va valutata con un margine di tolleranza, così come evidenziato dall’utilizzo di formule flessibili (“nei termini d’uso”, “in maniera consistente e durevole”), esenzioni la cui ricorrenza è rimessa alla valutazione, caso per caso, del giudice. Qualora tali pagamenti avvengano con modalità “anomale” in senso lato (con modalità quindi ricadenti nella sfera di applicazione dell’art. 65 e dell’art. 67 comma 1) non vi è ragione per assicurare ad essi una particolare tutela55. Tanto più che la ratio di tali esenzioni è rinvenibile nella tutela dell’impresa in senso lato.56 dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei “fallimenti immobiliari”, (a cura) di S. Bonfatti, Milano, 2005, p. 139. 53 Sull’argomento da ultimo vedi Abriani-Quagliotti, An e quantum della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, in Fall., 2008, 380. 54 Sull’argomento da ultimo vedi Abriani-Quagliotti, An e quantum della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, cit. 379-380. 55 Contra, Cavalli, sub. art. 67 l.f., cit. 974 secondo il quale l’esenzione sub. art. 67, comma 3°, lett. b) riguarderebbe anche l’azione revocatoria ex art. 67 comma 1, n. 2) comprendendo quindi anche quelle rimesse in denaro frutto di operazioni connotate dal carattere di anormalità, quali, ad esempio, così considerati da parte della giurisprudenza, i versamenti eseguiti da terzi sul conto del’insolvente a seguito di mandati in rem propriam all’incasso conferiti alla banca nell’ambito di operazioni d’anticipo al salvo buon fine. 56 Nozione di impresa che, come correttamente osservato da Patti, La revocatoria fallimentare (riformata): caratteri generali, cit., 195, ha assunto, come confermato dalla normativa sulla nuova ammnistrazione straordinaria, una propria posizione di spiccata autonomia rispetto 16 Tutela che deve essere assicurata qualora l‘imprenditore agisca nell’esercizio della normale attività d’impresa anche attraverso la tutela del credito strumentale alla continuazione di tale attività. Tutela che deve essere negata qualora l’imprenditore in crisi ricorra a mezzi “anomali” per continuare la propria attività. Qualora l’imprenditore entri in crisi e tale crisi non gli consenta di proseguire la propria attività nei modi ordinari l’ordinamento gli assicura ancora tutela: quella garantita dal ricorso agli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa previsti dall’ordinamento concorsuale57. Interpretazione che ha anche l’effetto di favorire un comportamento virtuoso da parte dell’imprenditore, che, in linea con quanto auspicato dal legislatore, individui nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel piano attestato di risanamento gli strumenti ordinari della soluzione della crisi della sua impresa. Circolo virtuoso fortemente depotenziato dalla riduzione del periodo sospetto che, come detto, ha di fatto prodotto la sostanziale abrogazione dell’azione revocatoria, e, quindi, reso meno appetibili le soluzioni della crisi d’impresa che assicurano l’esenzione dalla revocatoria medesima. Da tali premesse appare evidente come all’esenzione collegata agli strumenti di soluzione della crisi d’impresa deve essere assicurato il massimo ambito di applicazione. Il massimo favore accordato dall’ordinamento a tali soluzioni è evidenziato dal fatto che la protezione da revocatoria è comunque assicurata per il semplice fatto di aver posto in essere l’atto in funzione/occasione/esecuzione dello strumento di soluzione della crisi d’impresa, senza alcuna distinzione tra finalità di recupero e prosecuzione dell’attività e finalità meramente liquidatorie. Con la conseguenza che la protezione deve esere assicurata tendenzialmente a tutti gli atti e riguardare tutte le azioni revocatorie. Le esenzioni previste dalle lettere d), e) e g) si applicano quindi a tutte le ipotesi previste dall’art. 6758, nonché a quella contemplata dall’art. 65. Con riferimento alle esenzioni di cui alle lettere c) ed f), fondate come sono sulla rilevanza soggettiva dell’avente causa, la preminenza attribuita dall’ordinamento alla tutela del destinatario all’ìmprenditore, come “entità oggettiva distinta dall’imprenditore nella sua duplice valenza di fonte unitaria della produzione e di fattore di mantenimento della produzione” (relazione al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270). 57 Di questo avviso sembrano essere anche Abriani-Quagliotti, An e quantum della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, cit., 378, secondo i quali dalla riforma emergerebbe una nuova collocazione funzionale della revocatoria fallimentare che dovrebbe rappresentare ”lo spartiacque tra gli imprenditori che illegittimamente scelgono di affrontare la fase prefallimentare ponendo in essere atti funzionali alla protezione diretta o indiretta dei propri interessi (eventualmente accordando pagamenti preferenziali) e imprenditori che invece scelgono la via della doverosa salvaguardia del valore oggettivo dell’impresa attraverso i nuovi istituti di prevenzione o, almeno, non aggravando il proprio dissesto”. 58 In questi termini anche Patti, art. 67, cit., 541-542, secondo cui il pagamento anomalo collegato al c.d. “uso distorto” del contratto di mutuo fondiario, contratto con il quale si realizza, in realtà, un’operazione di ripianamento di pregresse esposizioni debitorie meno (o affatto) garantite, non sarebbe revocabile ove effettuato in esecuzione di un piano attestato di risanamento, di un accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un concordato preventivo. Secondo l’autore l’esenzione si giustificherebbe per il fatto che l’operazione si collocorebbe al di fuori di una contrattazione singolare, finalizzata a preferire le ragioni di un solo creditore, in pregiudizio di tutti gli altri, rispondendo piuttosto ad un generale favor, accomunante le ipotesi dirette ad una soluzione della crisi d’impresa alternativa al fallimento. 17 dell’atto o del pagamento (l’acquirente e il lavoratore), identificato come soggetto meritevole di tutela in quanto soggetto debole sia nel contratto59 che nel mercato, fa si che tale protezione debba essere assicurata in ogni caso qualora ricorrano i presupposti dell’esenzione, a prescindere dalle modalità di pagamento della vendita o del preliminare di vendita conclusi a giusto prezzo o del corrispettivo per prestazioni di lavoro. Con la conseguenza che, a prescindere dall’ipotesi dell’art. 64 .fall. ontologicamente incompatibile con tali fattispecie, le esenzioni di cui alle lettere c) ed f) si applicano a tutte le ipotesi previste dall’art. 67, nonché a quella contemplata dall’art. 65. In caso di atto astrattamente riconducibile a più fattispecie esonerative l’eccezione fondata, ad esempio, sul collegamento funzionale dell’atto all’accordo di ristrutturazione dei debiti, non preclude la proposizione, in subordine, di un’altra eccezione fondata su una diversa fattispecie contemplata dal comma 3 dell’art. 67 l.fall. VIII. Uno sguardo su alcune esenzioni: i pagamenti nei termini d’uso La prima eccezione alla regola generale secondo la quale sono revocabili i pagamenti effettuati nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento quando il curatore provi che il creditore era a conoscenza dello stato d’insolvenza riguarda “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”. Nell’idea del legislatore la fattispecie di esonero di cui alla lett. a) doveva rispondere all’esigenza di assicurare certezza e stabilità ai traffici commerciali connessi ad una ordinaria gestione dell’impresa. Idea poi non pienamente realizzata in quanto la disposizione non esclude dal campo di applicazione della revocatoria ogni tipo di atto e di negozio che si riveli coerente con una normale gestione in funzione di assicurare la continuità aziendale. Invero va sottolineato come l’inequivoco dato normativo non consente, nonostante il generico richiamo a “beni e servizi”, di applicare la disposizione a tutte le operazioni gestionali: l’esenzione non si applica quindi ai contratti ed agli atti a titolo oneroso previsti dai primi due commi dell’art. 67 l.fall. e, in generale a tutti gli atti diversi dai pagamenti. Va altresì escluso che nell’ambito di applicazione dell’esenzione rientrino anche i contratti di finanziamento ed i rapporti finanziari in genere 60. Essa riguarda tutti i pagamenti attinenti alla vita ordinaria dell’impresa, con riferimento ai fornitori, ai lavoratori, ai collaboratori ecc…, purché si tratti di pagamenti relativi a obbligazioni assunte in termini di coerenza con l’oggetto sociale61. 59 Sull’argomente vedi in generale le puntuali osservazioni di Di Marzio, Crisi d’imprsa e contratto. Note sulla tutela dell’acquirente dell’immobile da costruire, in Dir. fall., 2006, I, 53 ss. 60 In questi termini Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 254 ss.; negli stessi termini Patti, art. 67, cit., 545, secondo cui un ulteriore elemento a favore di un’interpretazione limitativa dell’esenzione si ricava dall’esplicita previsione dell’applicazione dell’esenzione in esame alle somme già riscosse dal concedente, nel caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria da parte del curatore del fallimento dell’utilizzatore (art. 72 quater comma 2, l.fall.). Norma che, alla luce dell’assimilazione, operata dal legislatore, del leasing ai conratti di finanziamento, va letta come necessaria previsione di tutela (tenuto conto della peculiarità del servizio rappresentato dal contratto di leasing) di pagamenti altrimenti revocabili in quanto non rientranti nell’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett a) l.fall; contra Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 191. 18 Non rientrano nell’esenzione e sono quindi revocabili i pagamenti rispondenti a finalità diverse da quelle riconducibili all’attività d’impresa62 e quindi, ad esempio, i debiti personali del fallito63, nel mentre è dubbio se vi rientrino i pagamenti effettuati da un’impresa che sia in stato di liquidazione e, quindi, che non sia operativa, oppure sia cessata di fatto. Il riferirsi alla attività d’impresa vuol significare che si deve trattare di pagamenti intervenuti mentre l’impresa è ancora operativa. Interpretazione coerente con la ratio dell’esenzione, riconducibile alla considerazione che la continuazione dell’attività d’impresa costituisce quasi sempre un valore da tutelare perchè conservativo dell’unità aziendale e dei beni che la compongono, per cui si deve escludere l’esenzione per gli atti, pur se normali, eseguiti dall’impresa in liquidazione o comunque con attività esaurita64. Sono, pertanto revocabili i pagamenti effettuati dall’imprenditore al di fuori dell’esercizio dell’“attività di impresa”, nonchè quelli effettuati dal debitore fuori dal “termine d’uso”, oltre che, come visto, quelli di cui agli artt. 64, 65 e 67 comma 1 n. 2, l.fall. L’espressione “nei termini d’uso” è quella di più difficile interpretazione, quella che genera i maggiori interrogativi. L’unico dato certo ed univoco è che l’espressione si riferisce senza ombra di dubbio al pagamento, nel senso che è l’atto solutorio che deve essere eseguito nei termini d’uso, per poter godere del beneficio dell’esenzione. Il problema interpretativo che si pone è se alla parola “termine” si debba attribuire un significato esclusivamente cronologico o anche (o esclusivamente) modale ed a quali “usi” abbia inteso riferirsi il legislatore. Secondo alcuni l’usualità del pagamento dovrebbe riguardare le modalità con cui viene effettuato65. Opinione che non appare convincente in quanto andrebbe ad ipotizzare l’esistenza di tante singole “modalità normali di pagamento” (derivanti dal rapporto commerciale debitore-creditore) diverse dal modello oggettivo tenuto presente dal legislatore ai fini del diverso trattamento revocatorio. Secondo altri sono applicabili entrambi i parametri, con la conseguenza che sarebbero sottratti all’azione revocatoria i pagamenti relativi a beni e servizi inerenti all’attività d’impresa che si svolgono in tempi e secondo modalità usuali66. 61 In questi termini Patti, art. 67, cit., 545 secondo cui l’esenzione non si applica alle operazioni estranee alla sua gestione caratteristica, ossia nell’ambito del suo oggetto tipico, con esclusione pertanto di proventi generati da eventi di natura straordinaria; negli stessi termini Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2006, 123. 62 In questi termini Tarzia, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall’azione revocatoria fallimentare nella recente riforma, in Fall., 2005, 840. 63 Distinzione che vale soltanto per l’imprenditore individuale, perché alla sua persona possono essere riferiti tanto pagamenti eseguiti per finalità d’esercizio dell’azienda commerciale, quanto pagamenti di debiti “civili” estranei a tale esercizio. Mentre gli atti delle società commerciali sono sempre e necessariamente atti d’impresa. Così assai correttamente Cavalli, Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f., cit., 950. 64 In questi termini Cavalli, Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f., cit., 950-951; e De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 94 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, cit., 881. 65 Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 90. 19 Con l’inaccettabile conseguenza che un pagamento anomalo ai sensi dell’art. 67 comma 1, n. 2, l.fall. dovrebbe considerarsi effettuato “nei termini d’uso” per il solo fatto di essere conforme a quello usualmente utilizzato in quel determinato rapporto commerciale. L’opinione prevalente è nel senso di ritenere che al vocabolo “termine” debba attribuirsi un significato esclusivamente cronologico67. Attribuire un significato cronologico all’espressione “termine” non scioglie però tutti i dubbi interpretativi. Se, infatti, vi è sostanziale concordia in relazione al fatto che l’esenzione riguardi i pagamenti effettuati alla scadenza, minore consenso vi è in ordine alla tollerabilità del ritardo. Questione strettamente connessa all’applicabilità o meno alla fattispecie di quanto disposto dall’art. 4 del D.lgs. n. 231/2002. Applicabilità che escluderebbe la possibilità di godere dell’esenzione in esame anche nel caso di ritardo di un solo giorno nell’adempimento, rispetto al termine convenzionale o legale stabilito, appunto, dall’art. 4 del D.lgs. n. 231/200268. Interpretazione non seguita dalla maggior parte degli autori che non ritengono sovrapponibile, in assenza di un espresso richiamo, la disciplina del decorso degli interessi moratori all’adempimento nei “termini d’uso” di cui all’art. 67 comma 3 lett. a) l.fall69. Ne deriva che l’esenzione copre anche quei pagamenti eseguiti dopo la scadenza, purché il tempo di estinzione del debito si possa considerare ordinario. Fermo restando altresì che l’uso cui fa riferimento l’articolo non va inteso nel senso tecnico giuridico di cui all’art. 8 prel c.c.70 ci si interroga se l’espressione si riferisca alle singole prassi seguite dal fallito con i propri fornitori, soprattutto quelli “strategici”, considerati singolarmente o per settore merceologico, ovvero se abbia una accezione più ampia, ragguagliata agli usi contrattuali praticati in certi ambiti territoriali. Pare preferibile la prima opzione, se, infatti, lo scopo della norma è quello di non colpire con l’inefficacia i pagamenti “normali”, rispetto ai quali il fornitore non ha ragione di pensare ad una situazione di difficoltà del proprio cliente, ne discende che il cambiamento delle modalità di pagamento è prova del fatto che il debitore non è più in grado di rispettare i precedenti termini di pagamento e quindi diventa indizio significativo di una situazione quanto meno di crisi del debitore, indipendentemente dall’andamento del settore o da valutazioni che riguardino gli usi commerciali. IX.(Segue) Le rimesse sul conto corrente bancario 66 Così Sabatelli, La revocatoria degli atti “anormali” nella riforma del diritto fallimentare, cit. 1008; negli stessi termini Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2006, I, 226 ss. 67 In questi termini Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, cit., 584; Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006 296; Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 254 ss.; De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 94 ss. 68 In questi termini Falcone, La “esenzione” da revocatoria dei pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, in La riforma della legge fallimentare, (a cura) di Bonfatti-Falcone, Milano, 2005, 22 ss.; Tarzia, Le esenzioni (vecchie e nuove) dalla revocatoria fallimentare nella recente riforma, cit., 840. 69 In questi termini Sabatelli, La revocatoria degli atti “anormali” nella riforma del diritto fallimentare, cit. 1007; 70 In questi termini Cavalli, Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f., cit., 952. 20 La seconda esenzione riguarda le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”71. Sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario la Corte di Cassazione aveva preso una univoca posizione, a partire dalla nota sentenza 18.10.82, n. 5413, stabilendo che erano revocabili le rimesse in conto corrente bancario aventi natura solutoria e non anche quelle aventi invece mera natura ripristinatoria della provvista. Le prime (di carattere solutorio) sono quelle affluite su un “conto scoperto”, ossia su un conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, oppure assistito da apertura di credito con saldo debitore oltre i limiti del fido convenzionalmente accordato al correntista, revocabili in quanto immediatamente destinate ad estinguere (anche solo parzialmente) il credito della banca; le seconde (di carattere ripristinatorio) sono quelle affluite su un “conto passivo”, ossia su un conto con saldo debitore assistito da apertura di credito di cui non è stato superato il limite, non revocabili in quanto i versamenti entro il limite del fido costituiscono una mera ricostituzione della provvista nella disponibilità del correntista. Con la nuova disciplina sono suscettibili di revocatoria solamente le rimesse che abbiano conseguito l’effetto di ridurre in modo consistente e durevole l’esposizione del fallito nei confronti della banca. L’esenzione, che rappresenta la prima disposizione di legge che riconosce la natura di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili alle rimesse in conto corrente, accoglie in pieno le doglianze del sistema bancario nei confronti del presunto troppo ampio esercizio dell’azione revocatoria delle rimesse di conto corrente da parte delle curatele fallimentari. Lamentele incentratesi soprattutto sui costi eccessivi e sproporzionati che le banche andrebbero a subire in caso di vittorioso esperimento dell’azione, dato che sovente le curatele ottengono la condanna alla restituzione di somme per importi superiori sia all’ammontare del credito che la banca ha concretamente erogato al correntista fallito sia all’ammontare dei versamenti attraverso i quali la banca ha realizzato un effettivo rientro delle somme anticipate. L’esenzione ponendosi, almeno formalmente, come eccezione alla regola della revocabilità dei pagamenti dettata dal comma 2, non è suscettibile di applicazione analogica od estensiva a soggetti diversi dagli istituti bancari che pure svolgano attività di finanziamento agli imprenditori. La disposizione evidenzia una scarsa tecnica legislativa, e la chiara incapacità di formulare i precetti con adeguata proprietà, incapacità che pone sempre più spesso gli interpreti dinanzi a problemi quasi insolubili, con grave nocumento degli obiettivi di certezza del diritto che, pure, si vorrebbero, a parole, conseguire. 71 Sulla riforma della revocatoria di rimesse in conto corrente: S.BONFATTI, La disciplina dell’azione revocatoria, Milano, 2005; U. De Crescienzo-L. Panzani, Il nuovo diritto falimentare (dal maxiemendamento alla legge n. 80 del 2005), Milano, 2005; M. FABIANI “La revocatoria fallimentare “bonsai” delle rimesse in conto corrente”, in Foro it, 2005, I, 3297; M.FABIANI, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Fallimento, 2005, 573; M.FARINA, Alla ricerca delle rimesse revocabili. spunti critici per una riflessione sul nuovo art.67 terzo, comma , lett. b), l.f. in, Fallimento, 2006, 229; L.GUGLIELMUCCI, La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Dir. fall., 2005, I, 805; G.MINUTOLI, In difesa dell’istituto revocatorio (brevi riflessioni sulle nuove revocatorie fallimentari ex d.l. 14 marzo 2005 n.35), in Dir.fallim., 2005, I, 809; A. PATTI, L’esenzione da revocatoria delle rimesse bancarie, in Fall., 2006, 238; G.SCHIANO DI PEPE, La nuova revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 798; A. SILVESTRINI, La nuova disciplina della revocatoria delle rimesse su conto corrente bancario, in Fall., 2005, 844; GIOR.TARZIA, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall’azione revocatoria fallimentare nella recente riforma, in Fallimento, 2005, 835;; S.VINCRE, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, in Riv.dir.proc., 2005, 877. 21 Il primo problema interpretativo riguarda l’utilizzo del termine “rimessa”, parola genericamente riconducibile ad ogni operazione che determini un accreditamento in conto corrente. L’impossibilità di stabilire un’immediata equivalenza tra rimessa e pagamento ha fatto ritenere ad alcuni interpreti che il legislatore si sia voluto discostare dal principio costantemente affermato dalla giurisprudenza nella vigenza della precedente disciplina, secondo cui la revocabilità è sempre stata associata non già alla mera rimessa ma solo alla rimessa avente natura solutoria72. Secondo questa interpretazione, che è altresì, suffragata dal riferimento testuale alla “riduzione dell’esposizione debitoria” - termine che secondo il corrente uso bancario, rappresenta il saldo debitore onnicomprensivo e generico del cliente nel conto corrente -, la riforma avrebbe privato di ogni rilevanza la distinzione fra conti passivi e conti scoperti, con la conseguenza che sarebbero astrattamente revocabili tutte le rimesse anche se effettuate su un conto corrente passivo purché abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca73. Soluzione, quest’ultima, che semplificherebbe notevolmente il lavoro dell’interprete. Invero, nella disciplina previgente le maggiori problematiche in tema di revocatoria di rimesse, vertevano proprio sulla qualificazione degli affidamenti in termini d’apertura di credito in senso tecnico, sulla prova della medesima attraverso la produzione di documenti opponibili alla curatela, nonché sui criteri da applicare per la determinazione del saldo al fine di evidenziare eventuali sconfinamenti. Soluzione, quella appena riferita, che non appare però convincente, posto che le numerose esenzioni introdotte dal nuovo terzo comma dell’art. 67 riguardano atti, pagamenti e garanzie che ricadono nella sfera di previsione del secondo comma della norma. Il terzo comma dell’art. 67 l. fall. è costruito quale eccezione al principio generale della revocabilità dei pagamenti di cui si occupa il secondo comma, con la conseguenza che le rimesse di cui alla lett. b) del comma 3 dell’art. 67 l. fall. sono revocabili solo ed in quanto abbiano natura solutoria di pagamento, di mezzo di estinzione dell’obbligazione74. Ne deriva, da una parte, che di revocabilità può parlarsi (come accadeva ed accade per la disciplina previgente) solo nel caso di rimesse affluite su conti passivi non affidati o scoperti, ovverosia eccedenti il limite dell’apertura di credito e, dall’altra, che le rimesse aventi le accennate caratteristiche sono suscettibili di revoca nei limiti fissati in via generale per tutti i pagamenti ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l.fall. : il curatore, cioè, deve provare che, al momento della loro esecuzione, la banca conosceva lo stato d’insolvenza del cliente ed il periodo sospetto è ridotto da un anno a sei mesi. Interpretazione quest’ultima che consentirebbe quindi di recuperare gran parte dei principi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza a partire dalla nota sentenza 18.10.82, n. 5413 della suprema corte anche per le revocatorie proposte dai fallimenti aperti dopo l’entrata in vigore del d.l. 35/2005. La rimessa “consistente” In primo luogo va sottolineato come la lettera della norma non lasci dubbi circa il fatto che la rimessa è revocabile non in quanto sia di per sé stessa consistente, ma in quanto abbia ridotto in misura consistente l’esposizione debitoria. 72 Come ricorda M. Fabiani La revocatoria fallimentare “bonsai”.cit 3300.. In questo senso L. Guglielmucci, cit, p. 807,. per il quale “risulta ormai priva di rilievo la distinzione fra rimesse su conto corrente passivo e rimesse su conto corrente scoperto”; negli stessi termini S. Bonfatti, cit. p. 123; M. Farina, cit. p. 233. 74 In questi termini, Patti, cit. 240. 73 22 Il primo problema interpretativo che si pone è se tale consistente riduzione dell’esposizione debitoria debba essere valutata in termini assoluti, o relativi. In atre parole, se il giudice dovrà fissare un parametro assoluto oltre la cui soglia la riduzione è consistente, ovvero dovrà verificare la consistenza della rimessa in relazione all’entità complessiva della esposizione debitoria. Nei primi contributi prevale decisamente quest’ultima interpretazione75, che però non risolve tutti i numerosi dubbi generati dall’utilizzo di quest’aggettivo di incerto significato. Invero, pur assodato che la riduzione andrà valutata in termini percentuali, quale parametro quantitativo il giudice adotterà per qualificare tale riduzione percentuale come consistente? Di certo non potrà essere utilizzata la soglia del 25% adottata dal legislatore nel primo comma, n. 1) per gli atti sproporzionati, dato che tale percentuale è basata sostanzialmente sull’orientamento adottato dalla giurisprudenza con riferimento alla vecchia formulazione della norma, orientamento che in passato segnava il confine, il discrimine fra l’atto normale e quello anomalo76. Giudizio di valore, dunque, non equiparabile a quello che passa tra l’atto (la rimessa) poco consistente e quella consistente. In definitiva, pur riconoscendo che ad oggi non è ancora possibile prevedere con esattezza quale sarà l’orientamento della giurisprudenza sul punto, può sostenersi che la percentuale minima per definire una rimessa “consistente” potrà situarsi sicuramente in una fascia inferiore, stimabile nell’ordine di una riduzione del 10-15% dell’esposizione debitoria. Secondo alcuni autori la misurazione dovrà essere effettuata non con riferimento alla singola rimessa ma, bensì, alla luce del risultato solutorio finale77. Interpretazione quest’ultima che prende spunto dall’art. 70 terzo comma l. fall. In questa prospettiva l’art. 70 terzo comma, l.fall., che recepisce sostanzialmente la teoria del c.d. “massimo scoperto”, non avrebbe la funzione di derogare all’art. 67, terzo comma, lett. b), limitando i suoi effetti restitutori, ma quella di attribuire rilevanza, ai fini della definizione della consistente e durevole riduzione dell’esposizione debitoria, al solo momento conclusivo del rapporto, cioè al saldo finale, indipendentemente ed a prescindere dai movimenti verificatisi nel semestre sul conto corrente. Con la conseguenza che la consistenza e la durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria andrebbero valutate con riferimento alla sommatoria di tutte le rimesse effettuate nel periodo sospetto. Interpretazione che non risulta convincente sia perché la collocazione sistematica dell’art. 67, terzo comma, l. fall., rende tuttora evidente che oggetto di revoca devono essere i pagamenti e non una differenza contabile, sia perché essa andrebbe a svuotare sostanzialmente di significato l’ulteriore requisito indicato dalla norma. Invero, una misurazione ex post alla luce del risultato solutorio finale finirebbe per risolversi esclusivamente in una valutazione per stabilire una soglia percentuale sotto la quale le rimesse non sarebbero esenti da revocatoria, in quanto il credito della banca non sarebbe stato ridotto in misura consistente. La definizione del concetto di esposizione debitoria discende ovviamente da quello di rimessa, nel senso che ove si ritenga superata la distinzione tra rimesse di natura solutoria e rimesse di natura 75 In questi termini Gio. Tarzia, op cit., 841; A. Silvestrini, op. cit. 846. Come correttamente sottolinea M. Fabiani La revocatoria fallimentare “bonsai”.cit 3300. 77 In questi termini A. Silvestrini, op. cit., 847 secondo cui il legislatore ha inteso collegare la consistente e durevole riduzione dell’esposizione debitoria “..a tutte le rimesse effettuate in periodo sospetto, attribuendo rilievo soltanto al saldo finale, in modo da sterilizzare le oscillazioni verificatesi ne conto corrente”. 76 23 ripristinatoria il termine di raffronto per determinare la consistenza dell’accredito sarà il saldo debitore onnicomprensivo e generico del cliente nel conto corrente. Venendo poi all’esame dell’elemento temporale, la consistenza va valutata con riferimento all’esposizione debitoria del momento in cui avviene l’accredito, a quella media del periodo “sospetto” e quindi dei sei mesi dalla dichiarazione di fallimento, ovvero a quella media di tutta la durata del rapporto contrattuale di conto corrente? Un interpretazione che valuti tale requisito alla luce dell’esposizione debitoria media durante tutto il rapporto contrattuale appare più rispondente all’esigenza di attribuire significativa affidabilità a tale parametro di confronto, ed è l’unica in grado di evidenziare eventuali scostamenti dalla normale esecuzione del rapporto, dato che, come è noto, l’andamento del conto corrente negli ultimi mesi ante fallimento è spesso ben diverso da quello “ordinario”. Un’interpretazione strettamente letterale farebbe invece propendere per l’esame della sola esposizione debitoria del momento in cui avviene la rimessa. La rimessa “consistente” e “durevole” Il legislatore ha inserito nell’art. 67 comma 3 lett. b) un ulteriore aggettivo per definire la rimessa astrattamente revocabile. Un requisito temporale per cui la rimessa deve aver determinato una riduzione durevole dell’esposizione debitoria. Le norme sulla revocatoria fallimentare contengono solamente un altro riferimento ad un elemento temporale, vale a dire quello relativo alla contestualità della costituzione della garanzia con il credito garantito78. Invero, nell’ambito della revocatoria degli atti costitutivi di un diritto di prelazione, secondo il pressoché dominante orientamento giurisprudenziale, la contestualità va intesa non come contemporaneità o simultaneità cronologica, bensì come simultaneità logico-volitiva, nel senso che l'obbligazione principale e quella garantita devono risultare essere state contemporaneamente volute dalle parti nel contesto della regolamentazione di un determinato rapporto patrimoniale, pur se poste in essere con atti separati (cfr. ed esempio Cass. 24-2-2004, n. 3615). Principio interpretativo che traslato in ambito di revocatoria di rimesse si ricollega logicamente a quello delle c.d. operazioni bilanciate, in cui la irrevocabilità dell’accredito non è determinata soltanto dalla contemporaneità o simultaneità cronologica con il successivo addebito, piuttosto quanto dal nesso teleologico fra rimessa ed addebito medesimo. In altre parole il legislatore avrebbe voluto introdurre una specifica esenzione per tali operazioni, liberando la banca da quella prova rigorosa sovente richiesta dai giudici, ovverosia che la provvista versata sia destinata dal cliente all’immediato prelievo e per un fine specifico e ben determinato. Prova necessaria in quanto la regola che si trae dal combinato disposto degli articoli 1720 e 1852 c.c. e dall’art. 6 delle norme bancarie uniformi è quella secondo cui la banca imputa ogni rimessa ad estinzione del proprio credito. Prova spesso quasi impossibile per la banca dato che la posizione di terzietà processuale del curatore imponeva (ed impone) altresì la prova scritta con data certa. Con tale innovazione legislativa verrebbero superate le suesposte difficoltà probatorie e quindi generalizzata e positivizzata l’irrevocabilità di tutte le operazioni di accredito seguite da speculari operazioni di addebito. Assurgerebbe a principio legislativo la netta distinzione fissata dalla giurisprudenza tra la funzione creditizia della banca e quella di cassa, quella di mero intermediario incaricato dal cliente di effettuare determinati pagamenti. Distinzione riconducibile alla natura stessa della 78 Come osservato da Patti, cit. 241. 24 rimessa, che in caso di operazioni bilanciate non ha carattere solutorio in quanto non vi è alcun rientro per la banca, essendo il versamento finalizzato concordemente non già a ripianare, in tutto o in parte, il conto, ma a costituire una specifica provvista in funzione dell’ordine ricevuto ed accettato. Si avrà riduzione non durevole dell’esposizione debitoria non soltanto nel caso in cui vi sia completa identità tra accredito ed addebito sotto il profilo quantitativo e contestualità della data delle opposte appostazioni, ma anche nell’ipotesi in cui dalla semplice lettura dell’estratto conto si evinca il succedersi di due operazioni di segno opposto. L’esenzione si estenderà quindi in forza di legge anche nel caso di operazioni, che sia pur quantitativamente non esattamente coincidenti col pregresso versamento, si siano succedute in un arco di tempo ragionevole, con un utilizzo della provvista destinata a consentire all’impresa di operare con i terzi. Non potrebbe più quindi, ad esempio, essere negata la natura non durevole di una rimessa effettuata con presentazione di effetti per 150.000,00 euro seguita dopo qualche giorno da un bonifico di 120.000,00 euro a favore di un terzo. Fattispecie simile a quella esaminata dalla suprema corte nella vigenza della precedente disciplina, la quale aveva negato a tale operazione natura di operazione bilanciata perché mancava l’identità quantitativa tra accredito ed addebito, l’identità di disponibilità perché le valute erano diverse e la prova del collegamento funzionale tra le due operazioni (Cass. 19.11.2003, n. 17543). In quest’ottica appare evidente come l’esenzione si applichi (ma non si limiti) innanzitutto alle operazioni infragiornaliere, cioè alle rimesse effettuate nell’arco della medesima giornata in cui siano registrate successivamente anche operazioni in addebito. Secondo un autorevole interpretazione l’esenzione riguarderebbe anche le rimesse solutorie di modesto ammontare erogate in vista del futuro ma prevedibile accredito di somme destinate a ridurre l’esposizione nei limiti del fido giacché, in effetti in questi casi, la banca non eroga, dal punto di vista sostanziale, ulteriore credito al cliente, che supera il fido accordato soltanto per un breve lasso di tempo, in attesa che venga contabilizzata ulteriore provvista, già considerata dalla banca nel momento in cui consente lo sconfinamento oltre il fido79. Vi è da chiedersi se in questa prospettiva l’esenzione possa comprendere anche tutte le rimesse rappresentate da anticipazioni su crediti, anticipazioni sulla garanzia impropria costituita da documenti commerciali ove il rientro, evento futuro ma prevedibile, conseguente al pagamento del terzo “chiude” quella specifica operazione d’anticipo e ne determina l’estinzione. Questa interpretazione, per cui le rimesse (equiparate espressamente dal legislatore ai pagamenti di debiti liquidi ed esigibili) effettuate su un conto scoperto non sono oggettivamente revocabili solo in quanto non hanno carattere solutorio, essendo il versamento finalizzato concordemente non già a ripianare, in tutto o in parte, il conto, ma a costituire una specifica provvista in funzione dell’ordine ricevuto ed accettato appare altresì l’unica che renda compatibile la norma con l’art.117 t.u.b. laddove è stabilito che i contratti bancari devono essere redatti, a pena di nullità, per iscritto. Invero, ogni altra interpretazione del requisito prescritto dall’esenzione dalla revocatoria comporterebbe il riconoscimento, nel diritto positivo, della tollerabilità dello scoperto bancario, in barba, ripetesi, al richiamato art. 117 t.u.b. (salvo che si ritenga che il legislatore abbia proprio voluto derogare a tale norma del t.u.b.). Problematica superata ove si ritenga non necessario ad integrare la fattispecie l’effetto solutorio della rimessa e che quindi il legislatore abbia inteso riferirsi a tutte le rimesse anche se effettuate su un conto corrente passivo. Secondo una diversa interpretazione il termine durevole esprimerebbe, invece, un valore assoluto, e sarebbe sinonimo di definitivo80. 79 80 In questi termini G. Bozza La revocatoria riformata, in www.Fallco.it. In questi termin Gio. Tarzia, cit., 841. 25 La riduzione per essere durevole dovrebbe dunque protrarsi sino alla fine del rapporto di conto corrente. In definitiva solo ove non vi fossero operazioni in addebito dopo la rimessa, la riduzione dell’esposizione potrebbe essere reputata durevole. Interpretazione non condivisibile sia perché frutto di una notevole forzatura del dato letterale, sia perché determinerebbe seri problemi di coordinamento con la successiva statuizione del nuovo art. 70, che verrebbe in sostanza ad essere privato di ogni significato, dato che un limite restitutorio, una regola limitatrice hanno senso solo ove collegati alle oscillazioni di un rapporto di conto corrente bancario, normalmente connotato da una pluralità di movimentazione di segno opposto, con continui versamenti e prelievi. Sempre nel solco di tale orientamento si è ipotizzato che sarebbero invece durevoli i soli versamenti intervenuti su un conto passivo chiuso o, comunque, bloccato o congelato o privo d’elasticità, in quanto il dato essenziale della fattispecie sarebbe costituito dalla mancanza, in diritto od in fatto, di una capacità repristinatoria della provvista. Una diversa, ulteriore soluzione, poi, individua nell’aggettivo durevole un valore relativo, da porre in relazione con il fattore temporale della durata del rapporto. Impostazione che paga lo scotto dell’assoluta mancanza di criteri di riferimento per distinguere un effetto solutorio durevole da uno non durevole, sia con riferimento alla percentuale minima di durata della rimessa, sia con riferimento al periodo di riferimento, non essendo chiaro se l’arco temporale di raffronto sia quello esposto alla potenziale revocatoria o tutta la durata del rapporto contrattuale. Ove prevalesse quest’ultima interpretazione sarebbe comunque opportuno fissare la soglia minima per definire una rimessa “durevole” in armonia con quanto verrà a stabilirsi con riferimento alla percentuale minima per definire una rimessa “consistente”, prendendo come riferimento lo stesso arco temporale. ONERE PROBATORIO Nella vigenza della precedente disciplina, come è noto, al curatore spettava l’onere di provare l’esistenza delle rimesse, la sua effettuazione nel periodo sospetto e la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della banca. Onere probatorio basato sul generale principio stabilito dall’art. 2697 c.c. che viene ad essere quasi sovvertito dalla riforma. Il nuovo comma 3 lett. b) dell’art. 67 l.f. pur costruito sistematicamente, come detto, come un’eccezione in antitesi alla generale regola della revocabilità dei pagamenti, contiene a sua volta, dal punto di vista sostanziale una regola generale, quella dell’esonero da revocabilità delle rimesse in conto corrente ed un’eccezione, quella che ammette la revocabilità purché esse abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Ne deriva un diverso onere probatorio per le parti: la banca dovrà eccepire l’esistenza dell’esenzione, mentre la curatela, a sua volta dovrà provare la non operatività dell’esenzione per avere le rimesse ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Dal punto di vista processuale l’eccezione della banca, è da considerarsi eccezione in senso stretto, in quanto nella piena disponibilità della parte, mentre la caratteristica delle rimesse (consistente e durevole) è uno dei fatti costitutivi della domanda con quel che ne deriva con riferimento all’onere di allegazione ed ai termini di preclusione per la loro proposizione. Ove si acceda alla preferibile opinione per cui sarà ammissibile la revocatoria delle sole rimesse affluite su un conto “scoperto” la banca avrà ancora l’onere probatorio di eccepire la natura non solutoria dell’accredito. Sia in forza del richiamato generale principio dell’art. 2697 c.c. (conclusione rafforzata dalla considerazione che la natura di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili delle rimesse in conto corrente è ora riconosciuta dal legislatore) sia perché in base all’art.117 t.u.b. n.385/1993 i 26 rapporti contrattuali con gli istituti di credito devono essere redatti per iscritto a pena di nullità, per cui la banca deve fornire la prova del contratto di apertura di credito stipulato per iscritto e, poiché il contratto è rappresentato da un documento e la curatela assume la posizione di terzo, deve anche fornire la prova della sua opponibilità al fallimento, della sua data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento. Parimenti, ovviamente, il curatore avrà ancora l’onere probatorio di dimostrare il compimento dell’atto nel periodo sospetto e la scientia decoctionis della banca. A revocatoria di rimesse in conto corrente è stata ulteriormente depotenziata dalla previsione dell’art. 70 l.fall. l’art. 70 segna il limite massimo di restituzione di importi, anche considerando la collocazione del principio nella norma che regola gli effetti dell’azione. Così si assiste ad una dissociazione fra pronuncia di inefficacia e pronuncia restitutoriacondannatoria; è una novità a livello di diritto positivo, ma non lo è affatto a livello di diritto vivente; basta pensare alle pronunce in tema di inefficacia della datio in solutum e alla condanna alla restituzione di una somma pari al valore del bene. X. (Segue) Il Piano attestato di risanamento L’unico effetto ricollegabile al piano attestato di risanameto è proprio quello dell’esenzione da revocatoria degli atti posti in essere in sua esecuzione81. Dal punto di vista soggettivo la portata dell’esenzione è limitata agli atti posti in essere dal debitore, anche nell’ipotesi che il piano preveda, per la sua realizzazione, anche atti di terzi, dato che il beneficio è concesso dal legislatore proprio in considerazione della coerenza degli atti con il progetto di risanamento dell’impresa, risanamento che riguarda esclusivamente il debitore medesimo82. Dal punto di vista oggettivo diversa si presenta l’enunciazione degli atti assistiti da tale beneficio, rispetto a quello previsto per gli accordi di ristrutturazione omologati, in quanto in questo caso l’esenzione è circoscritta, tra le altre, alle “garanzie concesse su beni del debitore”. In primo luogo va sottolineato che la diversa disciplina riservata alle garanzie concesse in esecuzione degli accordi di ristrutturazione non può riferirsi a garanzie concesse da soggetti diversi dal debitore (reali o personali che siano), dato che la loro intangibilità non ha certo bisogno di una espressa previsione. Una prima lettura che si fermi al (peraltro inequivoco) dato letterale deve far a ritenere che il legislatore con l’espressione “garanzie concesse su beni del debitore” abbia voluto limitare il novero delle garanzie cui il debitore può efficacemente far ricorso nella predisposizione e nell’esecuzione del piano a quelle reali, escludendo dall’esenzione quelle concesse coinvolgendo la generica responsabilità patrimoniale del debitore medesimo, quale, ad esempio, la fideiussione. 81 Secondo Panzani, Il d.l. 35/2005 e la riforma della legge fallimentare, in www.fallimentoonline.it, p. 19, il piano, o più propriamente, l’attestazione di ragionevolezza dell’esperto avrebbe un altro effetto: quello di escludere la responsabilità della banca per abusiva concessione di credito, salvo l’ipotesi del dolo. Interpretazione che non pare del tutto convincente in quanto la responsabilità della banca non può essere esclusa a priori in base alla mera sussistenza dell’attestazione dell’esperto, ma va valutata al momento dell’erogazione del credito, alla perdurante ragionevolezza del piano. 82 In questi termini Ferro Il piano attestato di risanamento, cit., p. 475, il quale sottolinea altresì come la stessa norma inerisca alla regolazione degli effetti dell’insolvenza sugli atti pregiudizievoli ai creditori del solo debitore insolvente e non di terzi che ne abbiano eventualmente assecondato un tentativo di risanamento. 27 Secondo una diversa lettura l’espressione “garanzie concesse su beni del debitore” si ricollega alla costituzione da parte dell’imprenditore in crisi di garanzie reali o personali per debiti altrui83, garanzie per debiti altrui escluse, in questa lettura, dal beneficio dell’esenzione da revocatoria, esclusione che appare, anch’essa, espressione di un perdurante favor legislativo riservato agli accordi (totalmente o parzialmente) giudiziali rispetto agli accordi stragiudiziali 84. XI. (Segue) Accordi di ristrutturazione dei debiti Ai sensi del novellato art. 67 comma 3, lett. e) non sono soggetti all’azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis l.fall. In primo luogo l’ambito di applicazione dell’esenzione è limitata agli atti posti in essere dal debitore, pur nell’ipotesi che l’accordo preveda, per la sua realizzazione, anche il compimento di atti da parte di terzi, dato che il beneficio è concesso dal legislatore proprio in considerazione della coerenza degli atti con l’accordo di ristrutturazione dei debiti, ristrutturazione che riguarda esclusivamente il debitore medesimo. Inoltre appare evidente come l’esenzione sia inserita in una disposizione differente da quella che disciplina la fattispecie degli accordi, in un articolo che concerne la regolazione degli effetti dell’insolvenza sugli atti pregiudizievoli ai creditori del solo debitore insolvente e non di terzi che abbiano eventualmente partecipato all’accordo. Non tutti gli atti posti in essere dal debitore in crisi dopo l’omologazione dell’accordo godono quindi dell’effetto protettivo previsto dalla norma, ma soltanto quelli direttamente esecutivi dell’accordo medesimo. Il che evidenzia, come detto, la necessità che il tribunale vagli la sufficiente analiticità dello stesso, onde non vanificare una precisa scelta del legislatore: quella di ricollegare gli effetti protettivi non soltanto ad un momento temporale (il periodo successivo all’omologa) quanto piuttosto ad un rapporto funzionale, all’esistenza di un collegamento genetico tra l’accordo e l’atto esentato da revocatoria. Esenzione collegata all’omologa del tribunale: il legislatore ha voluto ancorare al decreto emesso al termine del giudizio l’irreversibilità dei pagamenti eseguiti in forza dell’accordo, ad un decreto, si badi bene non ancora definitivo, dato che avverso la decisione del tribunale è sempre proponibile il reclamo alla corte d’appello ex art. 739 c.p.c. Secondo una diversa impostazione l’esenzione riguarderebbe tutti gli atti esecutivi dell’accordo successivi al deposito presso il registro delle imprese con la conseguenza che l’omologazione avrebbe, a tali fini, un effetto retroattivo, in quanto assicurerebbe un regime di immunità dalla revocatoria anche ad atti, pagamenti e garanzie anteriori al giudizio85. Successivamente all’omologa l’accordo potrebbe rivelarsi non più attuabile: quale è quindi la sorte degli atti esecutivi posti in essere dopo tale momento? 83 In questo senso Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione,cit., p., 302. 84 In questi termini D’Ambrosio Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), cit., p. 991. 85 In questi termini, D’Ambrosio, Art. 67 3° co., lett. d), e) g), in Il nuovo diritto fallimentare, (diretto da) A. Jorio e (coordinato da) M. Fabiani, Bologna, 2006, p. 998; Coppola, L’accordo per la ristrutturazione dei debiti, cit., p. 303. 28 L’esistenza (a differenza di quel che accade nel piano di risanamento) di un vaglio giudiziario, di un giudizio di omologa deve far ritenere che i terzi non siano successivamente onerati dall’obbligo di una verifica sulla persistenza dei requisiti di attuabilità dell’accordo. Ne deriva che nel successivo giudizio revocatorio il convenuto potrà paralizzare la pretesa attorea semplicemente eccependo che il pagamento ricevuto costituisce un atto esecutivo dell’accordo omologato. Eccezione che potrà essere superata soltanto ove il curatore provi l’eventuale dolosa, fraudolenta collusione tra debitore e terzo beneficiario dell’atto86. Con riferimento al diverso profilo, quello dell’individuazione degli atti sottratti all’azione revocatoria, l’ampia e generica espressione utilizzata lascia intendere che tutti gli atti posti in essere dal debitore volti all’esecuzione dell’accordo omologato rientrino in tale esenzione, e ciò a prescindere dal beneficiario finale dell’atto, godendo di tale beneficio anche i soggetti che non hanno partecipato all’accordo, primi fra tutti i creditori estranei. I pagamenti eseguiti dal debitore prima dell’omologa sono sottratti alla nuova condizione di esonero dell’art. 67 comma 3, lett.e) l.fall. A fronte dell’evidente difficoltà che tale previsione può comportare in termini di aggravamento della crisi determinato da un arresto temporaneo delle relazioni commerciali e finanziarie, vi è chi ha intravisto un possibile rimedio, volto a garantire protezione agli atti precedenti all’omologazione posti in essere in funzione del superamento della crisi d’impresa, nella saldatura di tale rimedio con l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. d)87. XII. Gli effetti della revocazione Per quanto attiene agli effetti della revocazione nulla è mutato con la riforma sul consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il diritto all’ammissione al passivo del soccombente nell’azione revocatoria deriva non dalla sentenza di revoca, bensì dall’effettiva restituzione, con la conseguenza che l’ammissione al passivo non è automatica, dovendo essere effettuata dal soccombente stesso con il solo mezzo dell’insinuazione al passivo, in via tardiva se necessario. Per il resto, permangono immutate le ben note problematiche formatesi nel vigore del vecchio art. 71. Le principali novità dell’art. 70 l.fall. riguardano il 1° ed il 3° comma. Il 1° comma introduce una ulteriore causa di esenzione dalla revocatoria, nel senso che, in presenza di un rapporto definibile “trilaterale”, l’eventuale azione revocatoria deve essere rivolta nei confronti del destinatario della prestazione e non nei confronti dell’immediato percettore. Questa disciplina di particolare favore per l’intermediario specializzato, per le società fiduciarie e per gli altri soggetti che possono essere parti nella procedura di compensazione multilaterale, crea non poche difficoltà pratiche perchè se la revocatoria si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario finale della prestazione, la scientia decoctionis dovrà essere dimostrata nei confronti di quest’ultimo, operazione indubbiamente difficile alla luce del fatto che i rapporti tra solvens ed accipiens si svolgono per il tramite dell’intermediario. 86 Secondo Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit., p. 168, la prova della frode del creditore va intesa in modo estensivo “così da ricomprendere altresì gli stati soggettivi di consapevolezza dell’insolvenza irrimediabile, e dell’inattualità del piano”. 87 In questo senso Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, p. 313. 29 Con riferimento al terzo comma la lettera della legge fa riferimento agli «atti estintivi di rapporti continuativi» e non agli atti estintivi di obbligazioni; si individua, poi, l’oggetto della restituzione in una somma pari alla differenza tra ammontare massimo delle pretese e ammontare residuo. Ed ancora anche se la norma è sicuramente applicabile proprio alle rimesse, si tratta di trovare un coordinamento con l’art. 67, 3 comma, lett. b. A seguito della novella del 2007 non vi sono dubbi che tale coordinamento risiede nel fatto che l’art. 67 disciplina le fattispecie in cui la rimessa può essere dichiarata inefficace, ma la restituzione da parte della banca non può oltrepassare l’importo dato dal criterio differenziale. Giovanni Battista Nardecchia Magistrato in Como 30 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente Aggiunto Dott. PRESTIPINO Giovanni - Presidente di sezione Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere Dott. VIDIRI Guido - Consigliere Dott. BONOMO Massimo - Consigliere Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - rel. Consigliere Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere Dott. BOTTA Raffaele - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: FALLIMENTO ITALSEMOLE S.R.L., in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell'avvocato STANISLAO AURELI, rappresentato e difeso dall'avvocato INZITARI BRUNO, giusta delega a margine del ricorso; - ricorrente contro BANCA ROMA S.P.A. (ora CAPITALIA S.P.A.); - intimata e sul 2^ ricorso n. 05430/03 proposto da: CAPITALIA S.P.A. - CAPOGRUPPO DEL GRUPPO BANCARIO CAPITALIA (già BANCA DI ROMA S.P.A.), in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 6, presso lo studio dell'avvocato ALESSI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale; - controricorrente e ricorrente incidentale contro FALLIMENTO ITALSEMOLE S.R.L., in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIACO 8, presso lo studio dell'avvocato STANISLAO AURELI, rappresentato e difeso dall'avvocato BRUNO INZITARI, giusta delega a margine del controricorso al ricorso incidentale; - controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 930/02 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 04/11/2002; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 16/02/2006 dal Consigliere Giuseppe Maria BERRUTI; uditi gli avvocati Bruno INZITARI, Giuseppe ALESSI; udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso principale, accoglimento del secondo motivo, rinvio per il resto ad una sezione semplice. Fatto 31 Con citazione del 5 settembre 1999 il fallimento srl Italsemole, in persona del curatore conveniva davanti al Tribunale di Foggia la spa Banca di Roma per sentirla condannare in suo favore al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in ragione della abusiva concessione di credito alla srl predetta, quando era in bonis, in quanto effettuata in presenza di elementi tali da doverne far riconoscere la situazione di impresa insolvente. Precisava che il credito così concesso aveva tenuto artificiosamente in vita la srl, suscitando nel mercato la falsa opinione che si trattasse di impresa economicamente valida.La banca convenuta si costituiva e resisteva eccependo anzitutto la nullità della citazione, l'incompetenza del Tribunale adito, la carenza di legittimazione attiva del curatore per esservi quella dei singoli creditori danneggiati dal preteso illecito, e la prescrizione quinquennale dell'azione. Quindi, quanto alle azioni revocatorie ne eccepiva la inammissibilità per superamento del periodo sospetto, che a suo avviso andava calcolato dalla sentenza del Tribunale di Foggia senza che dovesse darsi alcun rilievo a quella antecedente del Tribunale di Nola, cassata dalla Corte Suprema che aveva dichiarato la competenza del Tribunale pugliese. Ne eccepiva altresì il difetto di interesse con riferimento alla domanda risarcitoria il cui accoglimento avrebbe soddisfatto interamente i creditori. Il Tribunale di Foggia con sentenza n. 898 del 2001, non definitiva, rigettava le domande revocatorie per superamento del periodo previsto dalla legge; affermava la propria competenza territoriale sulla domanda risarcitoria della Curatela nonchè la legittimazione attiva della stessa, e rigettava la relativa eccezione di prescrizione.La Banca di Roma proponeva regolamento facoltativo di competenza e la Corte di Cassazione con ordinanza n. 1236 del 2001 confermava la competenza territoriale del Tribunale di Foggia ex art. 20 c.p.c., pur escludendo quella ex art. 24 L. Fall.. La banca proponeva anche appello al quale resisteva il fallimento che proponeva a sua vola appello incidentale. La Corte di Bari, respinta la reiterata eccezione di nullità della citazione, in parziale riforma della prima sentenza dichiarava il difetto di legittimazione attiva del curatore fallimentare a proporre l'azione risarcitoria, fondata l'eccezione di prescrizione della domanda stessa ed infondata l'eccezione di inammissibilità dell'azione revocatoria dovendosi il periodo sospetto calcolare avendo riguardo alla sola sentenza del Tribunale di Foggia e non anche a quella, cassata, del Tribunale di Nola, giacchè ciò avrebbe dato luogo a due distinti periodi sospetti. Per quanto soprattutto attiene all'odierno giudizio, riteneva, aderendo alla pronuncia della Corte di Cassazione resa nelle citata ordinanza n. 12368 del 2001 che l'azione aquiliana in parola non costituisse azione di massa, in quanto la parte danneggiata dalla abusiva concessione del credito bancario non si identifica con la collettività dei creditori ma con ciascuno di essi, cosicchè rispetto ad ognuno dei pretesi danneggiati occorre valutare, caso per caso, la sussistenza dell'illecito e del pregiudizio. Rilevava in proposito che la curatela non aveva allegato un pregiudizio risentito dall'intero ceto creditorio dal momento che la domanda identificava il danno risarcibile nella differenza tra le attività fallimentari e le passività nei confronti di soggetti diversi dalle banche, tra i quali soli dunque andrebbe suddiviso il risultato dell'eventuale esito favorevole della azione risarcitoria.La Corte barese negava che al curatore si possa riconoscere un generale potere di rappresentante dei dritti dei creditori del fallimento e, al di fuori dello strumento della revocatoria, quello di far valere in nome loro la eventuale responsabilità di terziRiteneva quindi che l'azione in parola fosse da assimilarsi a quella di cui all'art. 2395 c.c. e che fosse pertanto ininfluente ogni riferimento all'art. 146 L. Fall., per pervenire alla affermazione della legittimazione di cui si tratta, e negava la applicabilità alla vicenda della previsione dell'art. 240 L. Fall..Quanto alla eccepita prescrizione delle azioni proposte dalla curatela riteneva che il decorso del relativo periodo si doveva considerare iniziato già alla data del 30 luglio 1994, nella quale le banche non approvarono il piano di rientro presentato dalla impresa, giacchè da tale evento, molto pubblicizzato, i creditori non potettero dedurre la solvibilità della stessa.Contro questa sentenza vi è ricorso per Cassazione da parte della curatela del fallimento con quattro motivi. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato la Banca di Roma, 32 ora Capitalia s.p.a.. Resiste al ricorso incidentale condizionato con altro controricorso la Curatela del fallimento. Le parti hanno depositato memorie.La causa è stata rimessa all'esame di queste Sezioni Unite per la soluzione della questione di massima di particolare importanza relativa alla legittimazione attiva del curatore fallimentare. Diritto 1.1 ricorsi vanno preliminarmente riuniti.2. Vanno esaminati, prima del ricorso principale, il primo ed altresì il secondo motivo del ricorso incidentale, ancorchè questo sia espressamente condizionato all'accoglimento del principale, giacchè con essi la Banca propone questioni pregiudiziali di rito che incidono su quella di massima il cui esame è stato demandato a queste Sezioni Unite.2.a. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca lamenta il mancato esame da parte della Corte Barese di un motivo di appello da essa proposto relativo alla già eccepita incompetenza del Tribunale di Foggia.2.b. Osserva il collegio che la sentenza impugnata, sia pure senza farne un capo di decisione formalmente evidenziato, ha tuttavia trattato la questione ed ha dato conto di avere esaminato la eccezione di incompetenza, rigettandola, rilevando che la questione era stata risolta dalla ordinanza delle Sezioni Unite n. 12368 del 2001. In tal modo dunque la Corte di merito ha anche motivato in ordine alla ritenuta competenza, giacchè ha espressamente richiamato, condividendolo, il dictum delle Sezioni Unite.Il motivo è infondato.2.c. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta il mancato rilievo della nullità della domanda originaria di risarcimento dei danni da abusiva concessione del credito, sotto il profilo della mancanza di specificazione. La citazione infatti, come la Corte Barese non ha notato, non indicava i singoli finanziamenti che sarebbero stati effettuati commettendo l'abuso.2.d. Osserva il collegio che la domanda della curatela è stata interpretata dalla Corte di merito come fondata sulla allegazione di un complessivo comportamento professionale del banchiere protratto per un certo periodo, il cui effetto è stata la produzione nel mercato della percezione della impresa sovvenuta come ancora finanziatale. La domanda, rileva la sentenza impugnata sul punto, si conclude con la richiesta di un risarcimento commisurato alle passività bancarie complessive. Esattamente la Corte Barese ha ritenuto la domanda, così intesa, specificata nei suoi elementi. La doglianza è dunque anch'essa infondata.3. Con il primo motivo del ricorso principale la Curatela lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. nonchè la motivazione insufficiente, contraddittoria ed omessa sul punto decisivo dell'affermata carenza di legittimazione attiva del curatore a proporre l'azione risacitoria. Sostiene che siccome il curatore è legittimato a proporre, quale avente causa dal fallito, ogni azione che questi avrebbe potuto proporre, egli nella vicenda ha fatto valere per l'appunto un pregiudizio subito dalla Italsemole per effetto della abusiva concessione di credito da parte della banca. Il valore economico di un finanziamento secondo questa prospettazione è neutralizzato dal suo costo complessivo, cosicchè esso assume rispetto al patrimonio del soggetto finanziato, un valore negativo. La condotta della banca, illecita perchè connotata non già dal rispetto dei principi di sana e corretta gestione del credito, ma invece diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore decotto, avrebbe cagionato al patrimonio della società per l'appunto con i non dovuti finanziamenti un danno diretto, il cui ristoro può essere chiesto dal curatore allo stesso titolo per il quale avrebbe potuto chiederlo l'imprenditore danneggiato.3.a. Deve, a questo punto, essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del motivo, avanzata dalla banca resistente sotto il profilo della sua novità. La banca infatti sostiene che la domanda risarcitoria era stata avanzata esclusivamente sotto il profilo della spettanza al Curatore della tutela immediata dei diritti della massa e non dei diritti derivati al creditore da pretese lesioni del patrimonio della società fallita.3.b. Osserva il collegio che la citazione introduttiva del primo giudizio allega a fondamento della accusa di illecita concessione di credito bancario, la direzione a mantenere "artificiosamente in vita" una impresa decotta, "suscitando nel mercato la falsa opinione si trattasse di impresa economicamente valida". La direzione a mantenere artificiosamente in vita l'impresa non è, in questa prospettazione, 33 allegazione distinta da quella della produzione della falsa opinione del mercato, corrispondente cioè a circostanza fattuale a sua volta distinta e capace di dare luogo ad evento ulteriore, come sostiene la curatela rispondendo sul punto alla eccezione della banca. Essa è, piuttosto, il presupposto della seconda. Si manteneva in via artificiosamente un' impresa che era insolvente e con ciò appunto si suscitava nel mercato una errata percezione della sua realtà finanziaria ed economica. Effetto questo che a sua volta conduceva i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con la società.Detta prospettazione unitaria della condotta della banca da parte della Curatela, trova conferma nella sottolineatura di circostanze dalle, quali, secondo l'attrice, doveva emergere una sorta di complicità tra i vertici della impresa ed i funzionari della banca, tendente a rendere apparenti le istruttorie ed ad evitare che esse facessero emergere la vera situazione della impresa. Attività scorretta che peraltro nello stesso atto introduttivo viene attribuita all'intero ceto bancario interessato e che viene valutata come estesa a tutto il gruppo Casillo del quale la srl Italsemole era componente.Siffatta impostazione della domanda, e dunque la causa pretendi, si riflette sul petitum. Tant'è che la domanda risarcitoria viene specificata in citazione nell'ammontare delle passività non bancarie della fallita, detratte le attività.Infatti, in assoluta coerenza alla predetta interpretazione della domanda la sentenza impugnata a foglio 13 e 14 rileva la novità della prospettazione della curatela secondo la quale il diritto leso consisteva anche nella impossibilità nella quale la fallita società era stata messa relativamente all'esercizio delle azioni revocatorie e ritiene di non poterla esaminare. Ciò in quanto, appunto, l'azione originariamente esercitata dal curatore era relativa alla tutela della massa dei creditori, lesi da una attività bancaria che li aveva indotti a ritenere, tutti indistintamente, effettivamente sussistente una organizzazione di impresa che invece era una apparenza, frutto del predetto artificio finanziario.3.c. Va peraltro osservato che il danno da abuso di credito cagionato nei confronti dei terzi, creditori inclusi, ha natura aquiliana. Esso è il pregiudizio che segue alla insufficienza del riparto, pur dopo l'esperimento delle azioni esecutive. Esso, diversamente dalla diminuzione che subisce il patrimonio del creditore per effetto dell'inadempimento, risale anche alla attività di un soggetto diverso dall'inadempiente, e richiede per il suo accertamento, prima ancora che per la sua liquidazione, l'esperimento delle azioni, per l'appunto di massa, che tendono alla conservazione della garanzia generica.Consegue che le due responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale risalgono a fatti pregiudizievoli distinti ed autonomi, i quali possono dare luogo a distinti eventi dannosi. La rispettiva allegazione in giudizio a fondamento della domanda risarcitoria, a prescindere dalla questione della legittimazione a proporre quest'ultima, deve essere differenziata non potendo l'una essere dedotta automaticamente dall'altra.In conclusione nella vicenda in esame il dedotto danno al patrimonio della società non è mai stato allegato autonomamente, ma solo quale indistinto elemento del danno alla massa. Un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita, quale presupposto dell'azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne mai dedotto.La questione, come tale, è nuova perchè avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile.4. Con il secondo motivo di ricorso la Curatela del Fallimento lamenta la violazione degli artt. 2043, 1175, 1375, 2740, 2741 c.c., degli artt. 51 e 52 L. Fall., degli artt. 99 e 100 c.p.c., degli artt. 6 e 31 L. Fall. nonchè la motivazione carente sul punto della legittimazione attiva del curatore fallimentare. Sostiene che il comportamento della banca, contrario a correttezza e buona fede, ha leso il diritto della massa alla realizzazione del credito nella esecuzione concorsuale. Sostiene che la banca con l'allegato comportamento non solo ha violato i doveri del proprio stato, ma ha realizzato il proprio interesse con il danno contemporaneo dei creditori della fallita diminuendo la soddisfazione che questi avrebbero potuto realizzare attraverso il riparto. Ciò tanto con riferimento ai creditori anteriori al compimento dell'illecito quanto a quelli successivi. Il motivo quindi rileva che la banca ha operato perchè attraverso la abusiva concessione del credito venisse allargato il passivo, così pregiudicando il patrimonio della fallita e facendo oggettivamente diminuire le quote spettati ai partecipanti al riparto- L'iniziativa del curatore dunque sarebbe diretta a tutelare la intera massa 34 al maggior riparto possibile. L'interesse della fallita alla conservazione del patrimonio e quello dei creditori ad un più ampio riparto sarebbero coincidenti.4.a. Osserva il collegio che in via di principio non si può ritenere, come sembra presupporre la ricorrente, che nel sistema fallimentare il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato. Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l'esercizio delle cosìdette azioni di massa, dirette ad ottenere, nell'interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come avviene per l'appunto attraverso l'esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie. Tale principio peraltro non è assoluto, come ancora pare ritenere il ricorrente, ma va armonizzato con quello secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito, come avviene mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c. (vedi cass. n. 18147 del 2002).Il quesito sottoposto alla Corte è dunque se la azione di danno da abusiva concessione di credito possa essere ritenuta azione di massa, nel senso precisato, con conseguente legittimazione attiva del curatore fallimentare. La risposta, anche sulla scorta della dominante opinione scientifica, deve essere negativa.4.b. L'azione di massa è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell'immediato perviene all'effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto.Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori. Nè vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una specifica pretesa, necessita pur sempre dell'esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non essendo sufficiente ad assicurarne l'eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.4.c. Va dunque anzitutto rilevato che l'azione risarcitoria di cui si tratta nella sua ontologia costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, analogamente alle azioni che traggono origine da atti degli amministratori della società fallita che danneggiano il terzo, ai sensi dell'art. 2395 c.c..Il danno che deriva da siffatta attività andrà, comunque, caso per caso valutato nella sua esistenza e nella sua entità, essendo ben ipotizzabile che creditori che pur hanno diritto di partecipare al riparto non hanno titolo per il risarcimento di cui si tratta, non avendo ricevuto danno dalla continuazione della attività di impresa.4.d. Inoltre la posizione dei singoli creditori nei confronti di siffatta attività di sovvenimento abusivo dell'imprenditore si differenzia a seconda che i crediti siano antecedenti oppure successivi alla stessa. La circostanza temporale infatti può escludere oppure costituire il presupposto del pregiudizio, negando pertanto il carattere indifferenziato che struttura l'azione di massa.Il creditore antecedente l'abusiva concessione del credito avrà titolo a dolersi per la partecipazione al riparto, pur sempre all'esito delle azioni conservative del patrimonio da ripartire, dei creditori successivi. Questi ultimi, invece, esclusivamente dell'eventuale incapienza e per tale parte soltanto.4.e. Va ancora osservato, sviluppando un argomento cui si è cennato innanzi ai soli fini processuali rilevanti nell'esame del primo motivo, che la odierna ricorrente partecipò al contratto che dette luogo alla abusiva concessione del credito. Essa dunque da quel contratto non trasse un credito nei confronti della banca, oggi rivendicabile dal curatore. Piuttosto dette luogo, nella stessa costruzione proposta dalla curatela, all'illecito di cui si discute.Dunque non può ragionarsi in termini di compensazione delle colpe, come pretende la curatela, giacchè l'ipotesi di cui all'art. 1227 c.c., non può applicarsi al caso in cui entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente, al medesimo illecito, riguardando la norma codicistica la fattispecie nella quale distinte condotte, diversamente efficienti a produrre l'evento di danno, ma tuttavia l'una avente titolo nella colpa, concorrono a produrre l'evento pregiudizievole.Nelle vicenda in esame si ha che l'abuso del credito affermato si è perfezionato mediante la conclusione di un contratto al quale la s.r.l. partecipò con i suoi organi, 35 a tanto legittimati dai suoi statuti. Potrebbe, al più, ipotizzarsi una responsabilità di costoro per mala gestio, ma questa esclude comunque l'azione risarcitoria di cui si tratta per la ragione che alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attività infedele dei suoi rappresentanti.Ragionare diversamente, pare il caso di osservare, vorrebbe dire ammettere che la banca dopo di avere subito l'azione risarcitoria, e dunque avere conferito alla massa l'equivalente del pregiudizio arrecato, possa poi, non essendo venuta meno la sua qualità di creditore del fallito, partecipare al riparto della massa così costruita e riprendere quanto versato. Siffatto duplice eventuale ruolo della banca, creditrice e insieme responsabile di un pregiudizio, viene autorevolmente indicato in dottrina come ulteriore ragione di esclusione della legittimazione di cui si tratta.4.f. Osserva ancora la Corte che la abusiva concessione del credito per perfezionarsi e produrre pregiudizio, non deve essere collegata di necessità all'evento fallimento, come la suggestiva prospettazione del ricorrente sembra supporre. Essa infatti rimane illecita e dunque possibile fonte di pregiudizio aquiliano, ancorchè non venga seguita dal fallimento ed addirittura prima ancora che questo si verifichi.Una concessione di credito estranea alle regole di corretta amministrazione del medesimo, mantenendo artificialmente in vita una impresa quando essa invece dovrebbe uscire dal mercato, le consente di continuare una concorrenza che altrimenti non eserciterebbe. Con ciò essa, quale ne possa essere la sorte, produce danno di natura concorrenziale al concorrente, il quale a prescindere dal fallimento, può esercitare azione risarcitoria nei confronti della impresa stessa, oltre che della banca.Si deve dunque dedurre che l'effetto dannoso della attività illecita di cui si tratta non è di necessità e dunque esclusivamente la erronea percezione della solvibilità della impresa finanziata. Lo specifico effetto piuttosto è potenzialmente plurimo, e dipende dalla relazione giuridica con il terzo danneggiato. Situazione tutt'affatto estranea a quella caratterizzata dalla omogeneità delle azioni di massa.Nella fattispecie in esame il fallimento della impresa abusivamente finanziata, come autorevole dottrina ha chiarito, si pone che evento storico, non essenziale a renderla rilevante. Laddove invece, ad esempio un pagamento effettuato con modalità anomale, rileva quale oggetto di una revocatoria fallimentare, solo se è seguita dal fallimento.In questo senso peraltro deve essere intesa la giurisprudenza della Corte di Cassazione che si è occupata dell'abuso del credito al fine di determinare la competenza territoriale sulla relativa domanda (oltre alla già citata ord. n. 12369 del 2001, vedi la n. 13934 del 2003).Essa osserva che tale competenza si individua con riferimento al luogo nel quale si è verificato l'evento dannoso, che on è costituito dal fallimento, fatto estraneo alla struttura del danno, ma dall'aggravamento del dissesto economico della impresa artificiosamente tenuta in vita. Evento che per l'appunto si realizza laddove essa svolge la sua attività economica.4.g. Tale considerazione toglie utilità alla prospettazione ulteriormente avanzata dalla ricorrente relativa alla piena coincidenza del pregiudizio alla massa con quello al patrimonio della società, di cui s'è detto nel rilevare la inammissibilità quale motivo di ricorso, e che viene in questa sede adoperata quelle argomentazione di rincalzo.4.h. Pare infine utile precisare che la interpretazione che si è appena sostenuta è coerente con la linea di tendenza che emerge dalle recenti riforme nella materia fallimentare (D.L. n. 35 del 2005, L. n. 80 del 2005 e D.Lgs. n. 122 del 2005). Mentre infatti le finalità recuperatorie della azione revocatoria risultano ribadite, viene ulteriormente rafforzata la opinione oramai risalente che sostiene lo sganciamento dell'istituto dalle forme di tutela nei confronti dell'illecito, e dunque viene ulteriormente sottolineata la differenza con la azione ordinaria. Cosicchè pare di dovere concludere che ogni pretesa che pur riguardando il patrimonio del fallito, allega a fondamento un illecito da questi subito, sfugge alla logica della universalità e della concorsualità, tipiche delle azioni esecutive di massa.Con ciò, va pure rimarcato, confermandosi quella autorevole lettura dell'art. 240 L. Fall., che considera, a fronte di un illecito, eccezionale la doppia legittimazione ad agire del curatore e del creditore.Il motivo deve essere respinto.5. Vanno dunque rigettate le prime due doglianze del 36 ricorso incidentale e le prime due doglianze del ricorso principale.Gli atti vanno rimessi al Primo Presidente per la assegnazione alla Sezione Semplice che dovrà esaminare le restanti questioni. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale ed il primo ed il secondo motivo del ricorso principale. Rimette gli atti al Primo Presidente per la assegnazione della causa alla sezione semplice per l'esame delle restanti questioni. 37 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MILANO Sezione II Civile Fallimentare Il giudice Mauro Vitiello ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 49147/2006 R.G. promossa da: Fallimento Pizzi Angelo Emilio in persona del curatore Carlo Giraudo, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Dimundo presso il cui studio in Milano, Via Boccaccio n. 19 è elettivamente domiciliato giusta delega in calce all’atto di citazione - attore contro Banca Popolare Italiana Soc. Coop. r. l. rappresentata, nella persona del procuratore Giovanni Blumenti, dalla mandataria Bipielle Gestione Credito SpA, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Lazzati presso il cui studio in Milano, via Fontana n. 16, è elettivamente domiciliata giusta delega in calce all’atto di citazione notificato - convenuta oggetto: revocatoria fallimentare conclusioni delle parti: vedi fogli allegati. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 24.07.06, il Fallimento Pizzi Angelo Emilio ha convenuto in giudizio Banca Popolare Italiana Soc. Coop. (già Banca Popolare di Lodi), chiedendo la revoca ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. b) l. fall. delle rimesse affluite sul conto corrente bancario n. 10680 nel periodo compreso tra il 06.06.05 ed il 06.12.05, data di deposito della sentenza di fallimento di Angelo Emilio Pizzi, intervenuto quale conseguenza automatica del fallimento della Pizzi Felice & C. s.n.c. L’attore, ritenuto che l’art. 70, co. 3, l. fall. costituisca canone di interpretazione autentica dell’art. 67, c. 3, lett. b) l. fall., ha sostenuto che la natura solutoria delle rimesse intervenute nel periodo sospetto e la consistenza e la durevolezza della diminuzione dell’esposizione debitoria del fallito, siano dimostrate dalla differenza esistente tra il massimo scoperto 38 registrato nel periodo esaminato ed il saldo finale del conto, differenza pari all’importo di euro 13.503,80, oggetto della domanda restitutoria. La convenuta si è costituita in giudizio all’udienza del 23.01.07, rilevando la mancanza dei presupposti oggettivi dell’azione: la consistenza delle rimesse e la capacità delle stesse di diminuire durevolmente l’esposizione debitoria del fallito, nonché la carenza del requisito soggettivo che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere riferito alla società poi fallita e non al socio illimitatamente responsabile. L’attore, con memoria ex art. 183, c. 6, n. 1 c.p.c., ha quindi dedotto la conoscenza, da parte della convenuta, dello stato di insolvenza anche della Pizzi Felice & C. s.n.c. La causa è stata ritenuta matura per la decisione sulla base dei documenti prodotti e le parti hanno quindi precisato le conclusioni così come da fogli allegati. MOTIVI DELLA DECISIONE Secondo la prospettazione della banca convenuta, il riferimento della conoscenza della banca all’insolvenza della società, e non soltanto a quella del socio, integra una modifica della domanda, irritualmente effettuata dall’attore nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. La convenuta sostiene inoltre l’inammissibilità delle produzioni documentali effettuate dal fallimento attore con la predetta memoria e con quella depositata ex art. 183, c. 6, n. 3 c.p.c. Quanto al primo profilo, va detto che l’introduzione del tema della scientia riferita alla società, e non più soltanto al socio, integra una modificazione delle argomentazioni poste a fondamento della pretesa, o meglio delle allegazioni dei fatti posti a fondamento della domanda e non certo una mutatio libelli (neppure, per la verità, una emendatio libelli); di qui la considerazione che la modifica sia ritualmente avvenuta in sede di memoria depositata ai sensi dell’art. 183, c. 6, n. 1 c.p.c. e che sarebbe potuta intervenire anche in un momento successivo del procedimento. Quanto invece alla prospettata inammissibilità delle produzioni documentali effettuate dall’attore con la prima delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., essa non sussiste. Le norme codicistiche, infatti, impongono alle parti termini finali, aventi carattere perentorio, per la definizione del thema probandum, ma in nessun modo proibiscono di anticipare le produzioni documentali, con ciò non realizzandosi alcuna violazione del principio del contraddittorio che, al contrario, viene maggiormente garantito da un’anticipata discovery. Quanto invece alla produzione, da parte dell’attore, dei documenti contraddistinti dai numeri 9), 10) e 11), produzione effettuata con memoria ex art. 183, c. 6, n. 3 c.p.c. va rilevato quanto segue. La produzione della visura storica della Pizzi Felice & C s.n.c. (doc. 9 dell’attore) è da considerarsi tempestiva, in quanto tesa a dimostrare che, contrariamente a quanto dedotto dalla convenuta con memoria depositata ai sensi dell’art. 183, co. 6, n. 2, tutti i protesti di cui al documento 8) di parte attrice, malgrado la loro intestazione, in parte alla Pizzi Felice & C s.n.c. e in parte alla Autotrasporti Pizzi Felice & C s.n.c., fossero riferibili allo stesso soggetto giuridico. Le produzioni dell’estratto del conto corrente n. 9872 intestato alla Pizzi Felice & C s.n.c. (doc. 10 dell’attore) e delle copie dei decreti ingiuntivi e dei precetti notificati alla società (doc. 11 dell’attore) sono invece da considerarsi tardive. Tali documenti dimostrerebbero infatti la conoscenza da parte della banca convenuta dello stato di insolvenza della società; la necessità di provare tale circostanza sorge, però, semplicemente, dalla necessità di provare la fondatezza della domanda; deve pertanto escludersi che nel caso in esame operi la norma di cui all’art. 183, co. 6, n. 3 c.p.c. 39 Non potrà tenersi conto, quindi, dei documenti prodotti dal fallimento sub nn. 10) e 11). *** Passando all’esame del merito della controversia si rileva preliminarmente che, poiché il fallimento di Angelo Emilio Pizzi è stato dichiarato con sentenza depositata in data 06.12.05 (doc. 3 dell’attore), la revocatoria delle rimesse bancarie affluite sul conto corrente di cui si discute è regolata dagli artt. 67 e 70 l. fall., così come modificati dal D.L. 35/05, poi convertito in legge dalla l. 80/05, applicabile alle procedure concorsuali aperte dopo il 16.03.05. A norma dell’art. 67 l.f., pertanto, affinché le rimesse in conto corrente bancario siano revocabili devono cumulativamente sussistere i seguenti requisiti: 1) devono essere intervenute nei sei mesi antecedenti la declaratoria di fallimento; 2) devono aver avuto natura solutoria; 3) devono aver ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; 4) devono essere accompagnate dalla scientia decotionis da parte dell’accipiens. Nella compresenza di tutti i suddetti requisiti, l’obbligo della banca di restituire quanto percepito dal fallito subisce un’ulteriore limitazione a norma dell’art. 70, u. co. l. fall. secondo cui, nel caso in cui la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario, l’istituto di credito non può essere chiamato a restituire una somma maggiore di quella risultante dalla differenza fra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperta la procedura concorsuale. L’art. 70 l.f., quindi, pone un limite agli obblighi restitutori della banca, che non interferisce con i requisiti necessari, a monte, affinché vi sia la revocabilità delle rimesse in conto corrente effettuate dal fallito. Ciò premesso e venendo alla fattispecie in esame, posto che la natura solutoria delle rimesse discende dal fatto, non contestato, che le stesse siano intervenute a conto corrente scoperto, non essendo quest’ultimo assistito da un contratto di apertura di credito, la valutazione di fondatezza della domanda dipende anzitutto dalla possibilità di ritenere che alcune delle rimesse abbiano avuto l’effetto di ridurre l’esposizione debitoria in modo consistente e durevole. Per stabilire quale sia la soglia oltre la quale la restituzione alla banca può dirsi consistente, deve escludersi che sia possibile riferirsi ad un criterio quantitativo assoluto, che prescinda cioè dagli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta: l’inefficacia di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori va necessariamente fatta dipendere dalla sua idoneità a ledere l’interesse tutelato, il che si verificherà in tutti quei casi in cui la lesione della par condicio potrà essere ritenuta apprezzabile e non trascurabile. L’intento del legislatore è infatti quello di escludere dall’ambito di applicazione dell’istituto della revocatoria quelle operazioni che, per il loro peso, non paiono idonee a depauperare il patrimonio del fallito in maniera significativa. E’ allora evidente che l’unità di misura debba essere relativizzata, condizionata quindi sia dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente, sia dall’entità media dei versamenti in entrata e delle uscite dal conto, sia infine dall’ammontare del debito nel momento in cui la singola rimessa è stata effettuata. Diversamente, non si terrebbe conto del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, e si finirebbe per trattare in maniera equivalente delle fattispecie molto diverse tra loro. Se così è, la consistenza del pagamento va individuata ricorrendo ad un parametro espresso in termini percentuali. 40 Tale parametro può essere individuato nel dieci per cento, con il conseguente e successivo problema dell’individuazione del criterio cui riferire il parametro stesso. Nell’individuazione del polo comparativo di tale parametro, in mancanza di indicazione alcuna da parte del legislatore, va fatto ricorso al criterio dell’importo massimo revocabile, individuato dall’art. 70, u. co. l. fall. nella differenza tra la massima esposizione debitoria raggiunta dal fallito nel periodo cd. sospetto e quella riscontrata al momento di apertura del concorso. Poiché nel caso in esame tale somma è pari a poco più di euro tredicimilacinquecento, ne discende che vanno considerate rimesse con effetto restitutorio consistente quelle superiori ad euro 1.350,00. Venendo al requisito della durevolezza della diminuzione dell’esposizione debitoria del fallito, va premesso che non paiono sostenibili né la tesi che finisce per ravvisarlo nella sola ipotesi in cui la rimessa non sia seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente, né quella che individua il requisito in negativo, rispetto all’ipotesi della rimessa cd. bilanciata (identificabile ricorrendo ai principi elaborati dalla giurisprudenza sotto il vigore della passata disciplina). Infatti la prima interpretazione finirebbe per limitare la sfera di applicazione della norma al solo caso in cui il versamento integri un (integrale o parziale) definitivo rientro, quando invece tale tesi non è fondata su alcun indice normativo e non v’è dubbio che, se tale fosse stato l’intento del legislatore, l’esplicitazione della regola sarebbe stata doverosa. La seconda delle due viste tesi non tiene invece conto che dalla previsione del requisito della durevolezza deve derivare, necessariamente, pena l’inutilità della sua introduzione, che ci sia un quid pluris rispetto all’assenza del bilanciamento delle operazioni sul conto corrente. Tale elemento in più va quindi individuato nell’apprezzabile stabilità, nel tempo, dell’effetto solutorio. Nell’interpretazione del significato dell’aggettivo durevole, quindi, va cercato un punto di equilibrio, tra le viste due impostazioni teoriche, che sfocia nel concetto di stabilità nel tempo dell’effetto solutorio e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non necessariamente di importo corrispondente, ma anche superiore, o inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di “consistenza”), sia caratterizzato dalla durevole riduzione dell’esposizione debitoria prevista dalla disciplina scaturita dalla riforma. Nella determinazione del periodo successivo rilevante ai detti fini, deve essere fatto ricorso, necessariamente, ad un criterio relativo e non assoluto, dipendente dalla valutazione della frequenza delle movimentazioni del conto. E’ infatti innegabile che lo stesso periodo possa avere una rilevanza diversa se riferito ad un conto caratterizzato da un’intensa movimentazione o piuttosto ad un conto con movimentazioni occasionali. Ne deriva che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con rimesse e prelevamenti infragiornalieri, non nelle altre ipotesi. Nel caso in esame la frequenza delle movimentazioni del conto corrente riscontrabile dall’estratto prodotto induce a ritenere equa una quantificazione del “periodo di stabilità” in giorni dieci. Ne consegue che soltanto le rimesse non seguite per tale periodo da prelevamenti di entità superiore, equivalente, o inferiore ma in misura tale da far scendere la rimessa sotto il limite della consistenza, potranno considerarsi caratterizzate dal requisito della durevolezza dell’effetto. 41 Dall’applicazione combinata dei due criteri, così come interpretati, al caso in esame, deriva che le rimesse inefficaci ex art. 67 sono soltanto le seguenti: quella di euro 3.000, in data 5.9.05; quella di euro 1.560, in data 9.9.05; quella di euro 6.800, con un saldo debitorio pari ad euro 6.762,19, a tale importo dovendosi limitare l’efficacia solutoria della rimessa, in data 30.9.05; quella di euro 1.681,56, in data 19.10.05; quella di euro 2.578,73 in data 7.11.05. L’ammontare complessivo delle rimesse in conto corrente bancario assistite dai presupposti oggettivi che ne giustificano la pronuncia di inefficacia ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. b) l.f. è, quindi, pari ad € 15.582,48. In applicazione di quanto stabilito dall’art. 70, co 3., l. fall., la conseguente condanna della banca convenuta alla restituzione alla massa dei creditori deve essere limitata alla somma di € 13.503,80, pari alla differenza tra l’ammontare massimo dell’esposizione debitoria (€ 13.503,80 in data 05.09.05), e l’ammontare residuo della stessa che, alla data dell’apertura del concorso, era pari a zero, avendo il conto corrente, in quel momento, un saldo positivo. Venendo alla scientia decoctionis, va detto che la fattispecie in esame si caratterizza per la certa configurabilità dell’elemento soggettivo. Banca Popolare Italiana ha correttamente sostenuto la necessità di dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza non di Angelo Emilio Pizzi, bensì della società Pizzi Felice & C s.n.c. Secondo condivisibile giurisprudenza, infatti, “ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale” (Cass., 4705/06, conforme, tra le altre, a Cass., 17180/03). Sono quindi irrilevanti i protesti pubblicati nei confronti di Angelo Emilio Pizzi, nonché il decreto ingiuntivo emesso nei confronti dello stesso (docc. 6 e 7 dell’attore), parimenti non possono essere prese in considerazione, ai fini della valutazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie, le modalità di movimentazione del conto corrente n. 10680 intestato a Angelo Emilio Pizzi (doc. 4 dell’attore). Dimostrano, tuttavia, pienamente la conoscenza da parte della convenuta dello stato di insolvenza della Pizzi Felice & C s.n.c. i numerosi protesti contro quest’ultima elevati e pubblicati (doc. 8 dell’attore). È documentalmente provato, infatti, che nel periodo che va dal 17.04.02 al 15.06.05 furono elevati nei confronti della società poi fallita quarantaquattro protesti per assegni e cambiali rimaste impagate e che di questi ben quattordici furono levati nel 2005. In proposito a nulla rileva il fatto che l’intestazione di alcuni dei precetti non corrisponda perfettamente alla ragione sociale della società. Un operatore del settore bancario non può, infatti, ignorare che l’intestazione del protesto dipende da ciò che è scritto ed è possibile leggere sul titolo di credito; ne consegue la possibilità che un’imprecisione nell’intestazione del titolo generi una discrasia nella pubblicazione del protesto. È notorio, tuttavia, che a tale inconveniente sia possibile rimediare utilizzando il criterio della partita Iva della società. Nel caso in esame è facile notare l’oggettiva somiglianza fra le denominazioni utilizzate (“Autotrasporti Pizzi Felice”, “Autotrasporti Pizzi Felice & C s.n.c.”, oltre a quella corretta “Pizzi Felice & C s.n.c.”), ma anche il costante utilizzo della stessa partita IVA, riferibile esclusivamente alla Pizzi Felice & C s.n.c. (doc. 6 dell’attore). 42 L’elevato numero dei protesti, il fatto che gli stessi siano stati levati lungo un considerevole arco temporale, la circostanza – incontroversa – che la società fallita fosse anch’essa titolare di un conto corrente presso la banca convenuta, che quindi aveva interesse a verificarne periodicamente la solidità finanziaria, dimostrano la conoscenza da parte di Banca Popolare Italiana dello stato di insolvenza della Pizzi Felice & C s.n.c., dal cui fallimento è dipeso il fallimento del socio illimitatamente responsabile Angelo Emilio Pizzi. Per le ragioni esposte, va dichiara l’inefficacia delle rimesse nei limiti della complessiva somma di euro 13.503,80; ne consegue la condanna della Banca Popolare Italiana Soc. Coop. r. l. a restituire al curatore del fallimento Pizzi Angelo Emilio la somma di € 13.503,80, oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo. Le spese vanno compensate per intero, stante la novità della normativa e delle questioni interpretative. P.Q.M. il giudice, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) dichiara l’inefficacia delle rimesse indivuduate in motivazione, nei limiti della complessiva somma di euro 13.503,80; 2) condanna conseguentemente la Banca Popolare Italiana Soc. Coop. r. l. a restituire al curatore del fallimento Pizzi Angelo Emilio la somma di € 13.503,80, oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo; 3) spese compensate. Così deciso in Milano, in data 20.3.08 Il giudice Mauro Vitiello Sentenza redatta con la collaborazione del magistrato ordinario in tirocinio Desirè Perego. 43