CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Ufficio per gli Incontri di Studio
Incontro di studio sul tema:
“La riforma del diritto societario e fallimentare
nella prospettiva interdisciplinare”
Roma, 14 – 16 luglio 2008
Hotel Jolly Midas
La revocatoria riformata
Allegati:
1. Senteza Corte di Cassazione, sez. u. civ. – Fallimento Italsemole;
2. Sentenza Trib. di Milano, II sez. fall. – Fallimento Pizz Angelo
Relatore
Dott. Giovanni NARDECCHIA
Giudice del Tribunale di Como
1
La revocatoria riformata
I. La revocatoria alla luce del d.l. 14 marzo 2005, n. 35.- II. Il periodo sospetto – III. (Segue)
Il tribunale incompetente - IV. (Segue) La consecuzione di procedure – V. L’art. 67: le
novità del 1° comma – VI. (Segue) le novità del 2° comma – VII. Le esenzioni del 3° comma
– VIII. Uno sguardo su alcune esenzioni: i pagamenti nei termini d’uso – IX. (Segue) Le
rimesse sul conto corrente bancario – X. (Segue) Il Piano attestato di risanamento - XI.
(Segue) Accordi di ristrutturazione dei debiti - XII. Gli effetti della revocazione.
I. La revocatoria alla luce del d.l. 14 marzo 2005, n. 35.
Il D.L.35/2005, poi convertito nella l. 80/2005 ha profondamente innovato la disciplina della
revocatoria fallimentare1.
Disciplina applicabile esclusivamente ai fallimenti dichiarati successivamente alla data di entrata
in vigore del D.L. 35/2005 in forza dell’art. 2 comma 2 del medesimo provvedimento legislativo,
disposizione per la quale le nuove disposizioni in materia revocatoria “si applicano alle azioni
revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del presente
decreto”; è stata cioè sancita la irretroattività della nuova disciplina della revocatoria non soltanto
alle azioni già promosse alla data di entrata in vigore del decreto legge, ma anche alle azioni non
ancora promosse da procedure fallimentari già pendenti a tale data, che continuano ad essere
regolate dalla normativa precedentemente in vigore.
La revocatoria fallimentare è regolata da due distinte discipline: quella della vecchia legge
fallimentare, che si applica a tutte le azioni promosse dai fallimenti dichiarati anteriormente al
17.3.2005 e quella introdotto dalla riforma, che si applica alle azioni promosse dai fallimenti
dichiarati dopo tale data.
1
Nell’ambito della copiosa produzione scientifica successiva alla riforma
della
revocatoria
vedi
Fabiani,
L’alfabeto
della
nuova
revocatoria
fallimentare, in Fall., 2005, 573 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla
revocatoria falimentare, in Riv. dir. proc., 2005, 877 ss.; Bonfatti-Censoni,
La
riforma
della
disciplina
dell’azione
revocatoria
fallimentare
del
concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006;
Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall.,
2006, I. 250 ss.; Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., in Il nuovo
diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Bertacchini,
Comm. sub art. 67, 3° co., lett. c) e f) l.f., in Il nuovo diritto
fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; Cavalli,Comm. sub art.
67, 3° co. lett. a) e b) l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di
Jorio-Fabiani, Bologna, 2006; D’Ambrosio,Comm. sub art. 67, 3° co. lett. d),
e), g) l.f., in Il nuovo diritto fallimentare (a cura) di Jorio-Fabiani,
Bologna, 2006; Nigro, sub art. 67 l.f., in La riforma della legge fallimentare
(a cura) di Nigro-Sandulli, Torino, 2006; Patti, La revocatoria fallimentare
(riformata): caratteri generali, in Il diritto falimentare riformato, commento
sistematico (a cura) di Schiano Di Pepe, Padova, 2007; Limitone, sub. art. 67
l.f., in La legge fallimentare (a cura) di Ferro, Padova, 2007; Sabatelli, La
revocatoria degli atti “anormali” nella riforma del diritto fallimentare, in
Dir. fall., 2007, I, 989 ss.; Patti art. 67, in Codice commentato del
falimento (diretto da) Lo Cascio, Milano, 2008; per un inquadramento generale
dell’istituto alla luce dei vari progetti di riforma vedi Patti, La disciplina
della revocatoria, in Fall., 2004, 322 ss.
2
Come recentemente affermato dalla suprema corte “È manifestamente infondato il dubbio di
costituzionalità dell'art. 2, comma 2 d.l. 14 marzo 2005 n. 35, in materia di nuova disciplina delle
revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lett. a e b, si
applicano soltanto alle azioni proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo l'entrata in vigore
del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per
situazioni identiche; tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità
degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si
aprono in base a regole diverse vigenti all'atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la
disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza
con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva
l'inesistenza di dubbi con riguardo sia agli art. 3, 24 e 41 cost., sia all'art. 77 cost., il cui
presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell'apprezzamento discrezionale del legislatore,
fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese,
attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari,
relativamente alle aspettative di recupero o restituzione delle risorse erogate alle imprese
insolventi”2.
Nella vigenza dell’originario testo del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, di una disciplina, quindi,
improntata ad una visione del fallimento come procedura essenzialmente liquidatoria
dell’impresa, l’azione revocatoria fallimentare era configurata come uno strumento
tendenzialmente inteso a colpire tutte le operazioni compiute dal fallito nel periodo sospetto.
La descritta funzione redistributiva della revocatoria fallimentare, mirando a ripartire tra i
creditori la perdita derivante dall’insolvenza, caratterizzava l’azione come rimedio rivolto a
ripristinare la parità di trattamento tra tutti i creditori, pur nel rispetto delle eventuali cause di
prelazione3.
Con la conseguenza che nell’azione revocatoria fallimentare per i creditori il danno si riteneva
presunto e si concretizzava nella stessa lesione della par condicio4.
La natura antiindennitaria della revocatoria fallimentare è stata recentemente ribadita dalla
suprema corte5 con l'affermazione del principio per cui, ai fini della revoca della vendita di propri
beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67 l. fall., comma 2,
l'eventus damni è "in re ipsa" e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio
creditorum, ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all'uscita del bene dalla massa
conseguente all'atto di disposizione.
Per cui grava, in tal senso, sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di
insolvenza da parte dell'acquirente.
La tesi della natura redistributiva dell’azione revocatoria fallimentare è stata oggetto di numerose
e penetranti critiche da parte della dottrina in epoca anteriore alla riforma.
Nel corso del dibattito e dei lavori che hanno preceduto la recente riforma della legge
fallimentare, ed anche successivamente è stata talora proposta una rimodulazione dell’art. 67
l.fall. in senso indennitario6.
2
Cass. 5-3-2008, n. 5962.
Cass., 22-1-1999, n. 570.
4
Cass., 14-11-2003, n. 17189; Cass., 30-3-2000, n. 3878; Cass., 19-2-1999, n.
1390.
5
Cass., s.u., 28-3-2006, n. 7028.
6
Anche nel corso del dibattito parlamentare sulla conversione del D.L. n.
35/2005, ad esempio, è stato presentato, dagli onorevoli Legnini,, Calvi,
Maritati, Ayala l’emendamento 2.28 che accoglieva la teoria indennitaria,
emendamento poi non accolto.
3
3
Indirizzi a cui non si è poi dato seguito essendo prevalsa la diversa scelta di ridurre
semplicemente (dimezzandolo) il periodo sospetto per l'esercizio dell'azione in esame, con
l'introduzione anche, per altro, di talune eccezioni alla regola (implicitamente confermative quindi
della stessa).
Con la riforma introdotta nel 2005 il legislatore non ha toccato l’art. 67, 2° comma, nella parte in
cui stabilisce la revocabilità degli atti a titolo oneroso (compresi i pagamenti) con la conseguenza
che si deve ritenere che non sia stata messa in discussione la natura distributiva della azione di cui
al capoverso dell'art. 67 l. fall.
Scelta legittima anche alla luce della considerazione che la Corte costituzionale ha più dichiarato
infondata la questione di legittimità costituzionale del 2° comma dell’art. 67 nella parte in cui la
norma assoggettava (ed assoggetta) a revocatoria i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili
effettuati con mezzi normali di pagamento essendo stata modellata dal legislatore in modo tale da
“contemperare l’interesse dei creditori a recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantità
di beni, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività
economica ed alla stabilità degli atti”7.
Più di recente la corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui “non contrasta con l'art.
81 del trattato Ce, sulla concorrenza tra imprese appartenenti a diversi Stati membri, la disciplina
della revocatoria fallimentare della rimessa bancaria dettata dall'art. 67 l. fall., nel testo
(applicabile "ratione temporis") anteriore alla riforma introdotta dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35
(conv. nella l. n. 80), nel presupposto che essa, accollando alle banche operanti in Italia oneri
altrove non previsti, limiti la libertà di stabilimento posta dalla norma: infatti, non è l'azione
predetta a costituire ostacolo all'investimento di capitali o alla prestazione di servizi o
all'assunzione di partecipazioni, ma semmai il fenomeno che essa tende a correggere, così
regolando gli interessi coinvolti, cioè l'insolvenza; rappresenta invero un freno alla libera
circolazione l'assenza di misure repressive, anche nei termini civilistici e patrimoniali, delle
condotte causative del dissesto, riguardate come atti preferenziali lesivi della "par condicio
creditorum"; ne consegue l'inammissibilità del rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 234
trattato Ce, per una pronuncia pregiudiziale interpretativa delle norme del trattato, essendo la
disciplina anteriore alla citata riforma del 2005 addirittura di maggiore garanzia per gli investitori
comunitari in materia di insolvenza dei propri debitori, in quanto consente un maggior recupero di
attivo di quanto reso possibile dalla predetta novella8.
La disciplina della revocatoria ha poi subito lievi modifiche nei successivi interventi di riforma.
Con il D.Lgs. n. 5/2006 è stata introdotta una norma, l’art. 67bis, per disciplinare la revocabilità
degli atti incidenti su un patrimonio destinato ad uno specifico affare.
Con la riforma del 2006 è stato altresì introdotto l’art. 69bis che prevede un termine di decadenza
di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque di non oltre cinque anni dal compimento
dell’atto per l’esperimento dell’azione.
Il decreto correttivo 169/2007 ha poi integrato il disposto dell’art. 67, comma 3°, lett. c),
disponendo l’irrevocabilità non solo delle vendite a giusto prezzo degli immobili ad uso abitativo
destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo
grado (principio già affermato con la riforma del 2005), ma anche dei relativi contratti
preliminari, purché trascritti ai sensi dell’art. 2645bis, c.c. non divenuti inefficaci per mancata
tempestiva trascrizione del contratto definitivo (o di atto equipollente) ai sensi del comma 3
dell’art. 2645bis c.c.
7
8
Corte cost., 27-7-2000, n. 379.
Cass. 5-3-2008, n. 5962.
4
Il D.Lgs. è altresì intervenuto sull’art. 67, comma 3°, lett. d) precisando i requisiti soggettivi del
professionista chiamato ad attestare il piano di risanamento.
II. Il periodo sospetto
La prima grande novità introdotta con la riforma del 2005 è il dimezzamento del perido sospetto.
Secondo l’opinione corrente tale innovazione allineerebbe l’ordinamento concorsuale italiano a
quello dei principali paesi europei, anche se, in realtà, tale affermazione sembra più un luogo
comune che una realtà assodata9.
Misura che già di per sé stessa, a prescindere dall’ambito di applicazione delle esenzioni
introdotte nel nuovo comma 3 dell’art. 67, ha di fatto quasi azzerato l’utilizzo di questo strumento
recuperatorio10.
Risultato amplificato dall’allungamento dei tempi dell’istruttoria prefallimentare, mentre è stata
abbandonata la proposta (avanzata da parte della dottrina nel corso dei lavori preparatori della
riforma) di far decorrere il periodo sospetto dal deposito del ricorso, se accolto, e non dalla
successiva dichiarazione di fallimento, così come previsto nell’ordinamento tedesco11.
A seguito dell’intervento riformatore del 2005 il quadro di riferimento legislativo per la
determinazione del periodo sospetto è ancor più variegato e frammentato:
a) Gli atti gratuiti12 ed i pagamenti di debiti non scaduti13 sono revocabili se compiuti nei due anni
precedenti la dichiarazione di fallimento;
9
Come giustamente sottolineato da Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione
del patrimonio, in Fall., 2007, 1044, il panorama europeo presenta soluzioni
assai differenziate tra loro in relazione alla fissazione del periodo
sospetto,
soluzioni
che
appaiono
sovente
assai
lontane
dall’opzione
abbracciata dal legislatore italiano. L’autore ricorda, ad esempio, come nella
legislazione spagnola il periodo sospetto legale è di due anni (art. 71, primo
comma, ley concursal), in quella tedesca talora è più lungo (quattro anni per
gli
atti
a
titolo
gratuito,§
134
InsO,
dieci
anni
per
gli
atti
intenzionalmente
pregiudizievoli,
§
133InsO)
e
solo
per
alcuni
è
particolarmente breve (tre mesi per pagamenti e garanzie e per gli atti
direttamente pregiudizievoli, §§ 130 e 131 InsO); in quella francese, nella
quale sopravvive il sistema della retrodatazione dell’insolvenza, può arrivare
ad un anno e mezzo (art. 621-7 code de commerce); sull’argomento vedi anche
Schiano Di Pepe, La nuova revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 13
ss. e, con particolare riferimento al diritto spagnolo, Falcone, La riforma
concorsuale spagnola. Contributo all studio del diritto concorsuale comparato,
Milano, 2006, 160 ss..
10
Come riportato sul SOLE 24 ORE del 22 settembre 2007 (con commento di
Visivoccia, La revocatoria non ha più tempo. Il dimezzamento del periodo
sospetto paralizza l’azione. Decisive anche le novità sulle rimesse bancarie),
secondo una ricerca di Assonime le azioni revocatorie sono quasi del tutto
scomparse nei 19 tribunali presi in esame dalla ricerca. Secondo Fabiani, Il
decreto correttivo della riforma fallimentare, in Foro it., 2007, V, 233 la
responsabilità
della
drastica
diminuzione
dell’esercizio
dell’azione
revocatoria
sarebbe
imputabile
anche
al
comportamento
dei
curatori
fallimentari.
11
Così Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio, cit., 1044;
negli stessi termini Nigro, sub. art. 67, cit., 371; contra Terranova, La
nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir.fall., 2006, I, 250
ss.; Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., cit. 904 ss.
12
Il termine dei «due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento»,
previsto dall’art. 64 per il compimento degli atti a titolo gratuito
inefficaci nei confronti del fallimento, è stato interpretato nel senso che
entro il descritto limite temporale l’atto deve essere stato perfezionato,
senza che possa assumere rilievo, ai fini dell’inefficacia di atti a titolo
5
b) Gli atti previsti dall’art. 67, comma 1, sub 1), 2) e 3) l.fall. sono revocabili se compiuti
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento;
c)Gli atti costitutivi di garanzie non contestuali per debiti scaduti ex art. 67, comma 1., sub 4) e gli
atti ed i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili di cui all’art. 67, comma 2, l.fall. sono revocabili
se compiuti nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento;
d)Sono revocabili gli atti previsti dall’articolo 67, compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito
esercitava un’impresa commerciale e quelli a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni
prima della dichiarazione di fallimento.
Con riferimento agli atti tra coniugi non trovano quindi applicazione i limiti temporali di
compimento dell’atto (di un semestre, di un anno, di due anni prima del fallimento) previsti per la
revocatoria degli atti di cui al 1° ed al 2° comma dell’art. 67 e per l’inefficacia degli atti gratuiti14.
Il profilo temporale di cui all’art. 69 va però coordinato con la disposizione dell’art. 69bis che
stabilisce un termine di decadenza di cinque anni dal compimento dell’atto, oltre il quale la
revocatoria non è proponibile.
Il dies a quo per l’individuazione del compimento dell’atto revocando nel c.d. «periodo sospetto»,
biennale, annuale o semestrale, previsto, rispettivamente, dagli artt. 64, 65, 67 e 69 coincide con
la data di deposito (pubblicazione) della sentenza dichiarativa di fallimento e non anche con
quella, anteriore, della sua deliberazione15.
La giurisprudenza di merito ha, inoltre, precisato che, in ipotesi di revocatoria ai sensi del 2°
comma dell’art. 67, il periodo sospetto deve essere computato con riferimento all’epoca in cui è
intervenuto l’atto solutorio e non a quella in cui è sorta l’obbligazione, così come l’esercizio del
diritto di prelazione o la stipulazione di un contratto preliminare non determinano, ai fini in
esame, la retrodatazione del contratto definitivo.
Termine che decorre dalla stipulazione del contratto preliminare in relazione a quanto stabilito nel
D.Lgs. 122/05 con specifico riferimento alla fattispecie degli immobili in costruzione da
trasferire.
gratuito perfezionati antecedentemente, il compimento nel biennio di formalità
non necessarie per il perfezionamento, quali la registrazione o la
trascrizione.
13
Per quanto attiene all’individuazione del termine di pagamento, occorre fare
riferimento alla scadenza convenzionale del debito, non rilevando l’eventuale
previsione
contrattuale
della
facoltà
per
il
debitore
di
liberarsi
anticipatamente dall’obbligazione. Per pagamento anticipato deve intendersi
soltanto quello effettuato prima della sua originaria scadenza, anteriormente
alla dichiarazione di fallimento, a nulla rilevando la circostanza che il
debitore paghi avvalendosi di clausola contrattuale, contenuta nel regolamento
di un prestito obbligazionario, che consenta il pagamento anticipato (Cass.,
5-4-2002, n. 4842).
14
Il legislatore ha trasfuso nel testo legislativo quanto deciso dalla Corte
Costituzionale con la pronuncia n. 100 del 19 marzo 1993,in…. che aveva
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 del r.d. 267/1942
“nella parte in cui non comprende[va] nel proprio ambito di applicazione gli
atti a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della
dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava
unìimpresa commerciale”.
15
Cass., 16-4-1992, n. 4705; Cass., 11-3-1992, n. 2382; Cass., 22-11-1991, n.
12573.
6
In ipotesi di estensione del fallimento ex art. 147 la Corte di Cassazione, modificando il proprio
precedente orientamento, ha statuito che la successiva dichiarazione di fallimento del socio
occulto od illimitatamente responsabile ha effetto, ai fini della determinazione del «periodo
sospetto», dalla data della dichiarazione di fallimento del socio16.
La riforma non ha modificato i termini del periodo sospetto nella disciplina della revocatoria
cd.”aggravata” prevista dall’art. 91 D.lgs. n. 270/1999 per le operazioni infragruppo.
Termini fissati nei cinque anni anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza, per gli atti
indicati nei nn. 1), 2) e 3) dell’art. 67, comma 1 e nei tre anni sempre dalla dichiarazione dello
stato di insolvenza per gli atti indicati nel n. 4) e nel comma 2 dell’art. 67 l.fall.
Ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 347/2003 (c.d. legge Marzano), i medesimi termini si applicano
anche nell’ipotesi di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione delle
imprese di rilevanti dimensioni in sato di insolvenza.
III. (Segue) Il tribunale incompetente
Il problema della decorrenza del periodo sospetto presenta profili problematici di non poco
momento in relazione ad alcune particolari ipotesi di retrodatazione degli effetti della sentenza
dichiarativa di fallimento.
La prima fattispecie è quella della declaratoria di incompetenza del tribunale che ha dichiarato il
fallimento.
L’art. 9bis introdotto con il D.Lgs. n. 5/2006 ha disposto che la procedura apertasi a seguito di
pronuncia di un giudice incompetente prosegua dinanzi al giudice competente, sulla base della
precedente valutazione di sussistenza dei presupposti del fallimento.
Il principio oggi positivizzato con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2006, è applicabile anche ai
fallimenti dichiarati prima del 16 luglio 2006.
La sezioni unite, nel disciplinare gli effetti del fallimento dichiarato da un giudice non
competente, hanno infatti affermato il principio della conservazione degli effetti del fallimento
dichiarato da tribunale incompetente anche con riferimento ai fallimenti disciplinati
dall’originario R.D. 267/194217.
L’affermata scissione degli effetti processuali e di quelli sostanziali della sentenza dichiarativa di
fallimento emessa da giudice non competente, determina quindi il considerare “sospetto” agli
effetti dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare il periodo antecedente la prima
dichiarazione di fallimento.
IV.(Segue) La consecuzione di procedure
La problematica più complessa in tema di retrodatazione degli effetti sostanziali della successiva
sentenza dichiarativa di fallimento è quella collegata all’ipotesi di consecuzione di procedure
concorsuali, vale a dire al decorso del periodo sospetto dalla data di ammissione alla prima delle
procedure concorsuali susseguitesi prima del fallimento.
16
Cass., s.u., 7-6-2002, n. 8257; Cass., 10-8-1991, n. 8757; Cass., 6-11-1985,
n. 5394; ; contra Cass., 1-8-1996, n. 6971.
17
Cass. sez. un. 18-12-2007, n. 26619, in Fall., 2008, 511, con commento di
Marelli, Le sezioni Unite confermano la conservazione degli effetti del
fallimento dichiarato da tribunale incompetente.
7
Principio fondato su un’interpretazione estensiva dell’art. 67 l.fall. nella parte in cui fa decorrere
il periodo sospetto dalla data di dichiarazione di fallimento “nel senso che il legislatore si sia in
essa riferito alla dichiarazione di fallimento come al normale mezzo legale di accertamento dello
stato di insolvenza, con ciò implicitamente volendo attribuire la stessa efficacia al decreto di
ammissione alla procedura di concordato preventivo, che … costituisce il provvedimento
giurisdizionale cui l’accertamento di tale stato è demandato”18.
Principio applicato successivamente dalla giurisprudenza anche nell’ipotesi in cui la prima
procedura concorsuale della sequenza fosse l’amministrazione controllata19.
Principio che aveva avuto l’autorevole avallo dei giudici della legge, che avevano dichiarato
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67 l.fall. nella parte in cui la
norma, nell’interpretazione allora corrente, fissava il dies a quo per l’esperimento dell’azione
revocatoria alla data di ammissione alla procedura minore20.
Abrogata dalla riforma l’amministrazione controllata, la problematica si incentra oggi nella
consecuzione concordato preventivo-fallimento.
La diversità del presupposto oggettivo delle due procedure concorsuali, crisi ed insolvenza
nell’una, insolvenza nell’altra, sembrerebbe escludere oramai la possibilità di retroagire il
momento iniziale per il computo del periodo sospetto alla data di ammissione al concordato
preventivo21.
E ciò in quanto non può più sostenersi che il decreto di ammissione alla procedura di concordato
preventivo contenga un accertamento giudiziale della sussistenza dello stato d’insolvenza in capo
al debitore22.
Posizione che ha come logico corollario la considerazione che al tribunale in sede di ammissione
sarebbe preclusa ogni indagine circa la natura della crisi denunciata dal debitore.
Vi è chi ritiene, al contario, che lo stato di crisi di cui all’art. 160 l.fall. ricomprenda soltanto
ipotesi di insolvenza reversibile o irreversibile, con la conseguenza che la retrodatazione sarebbe
assicurata, proprio come nel caso della consecuzione amministrazione controllata-fallimento,
dalla sostanziale identità dei due presupposti23.
18
Così Cass. 27-10-1956, n. 3981, in Foro it., 1957, I, 2114.
Sulla scorta di una sostanziale equiparazione tra la temporanea difficoltà
ad adempiere ed insolvenza, quali fenomeni qualitativamente identici,
differenti solo dal punto di vista quantitativo. Cfr. da ultimo Cass. 3-22006, n. 2437, in Fall., 2006, 1332.
20
Cost. 6-4-1995, n. 110, in Fall., 1995, 707, con osservazioni di Lo Cascio.
21
In questi termini Alessi, Il nuovo concordato preventivo, in Dir. fall.,
2005 I, 1152, Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria nella nuova
legge fallimentare e nei “fallimenti immobiliari”, Milano, 2005, 187 ss.,
Bozza, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fall.,
2005, 959 ss.; Guglielmucci, La riforma in via d’urgenza della legge
fallimentare, Torino, 2005, 118 ss.; Censoni, in Bonfatti-Censoni, La riforma
della
disciplina
dell’azione
revocatoria
fallimentare
del
concordato
preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 307-308.
22
In questi termini Guglielmucci, Le azioni di ricostituzione del patrimonio,
cit., 1045.
23
In questi termini Censoni P.F. Il concordato preventivo, in La riforma della
disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e
degli accordi di ristrutturazione, di Bonfatti-Censoni, Padova, 2006 260; per
questa interpretazione dello stato di crisi Trib. Modena 14-10-2005 in
19
8
Alcuni autori individuano le ragioni della retrodatazione non tanto nell’identità dei presupposti
delle procedure consecutive, quanto piuttosto nell’identità funzionale delle stesse, nel convergere
verso un comune obiettivo di soluzione della crisi nell’interese di tutti i creditori, contemperando
il sacrificio della permanente possibilità di esposizione (per taluni) ad azione revocatoria con la
garanzia (per tutti) di non perdere strumenti finalizzati, da una parte, ad incentivare percorsi
alternativi alla liquidazione fallimentare, dall’altra, alla tutela di serietà e di correttezza di
comportamenti24.
Altri ancora ritengono che la possibilità della retrodatazione dovrebbe essere valutata caso per
caso con un accertamento da condursi in concreto per ogni singola procedura25.
Qualora il fallimento consegua all’infruttoso tentativo di risolvere la crisi d’impresa con la
stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis l.fall. la possibile
retrodatazione del decorso del periodo sospetto al momento dell’omologa dell’accordo dipende
dalla natura che si attribuisce a tale istituto.
Gli accordi di ristrutturazione sono un istituto autonomo, distinto dal concordato preventivo,
anche se rimane aperta la questione se esso sia, o meno, catalogabile nell’ambito delle procedure
concorsuali vere e proprie.
L’assenza di un controllo sulla gestione del debitore da parte di un soggetto terzo (rappresentante
dei creditori; organo giurisdizionale o amministrativo) sembrerebbe far propendere decisamente
per la natura contrattuale della fattispecie dato che questo elemento caratterizza invariabilmente le
procedure concorsuali o d’insolvenza in tutti i più importanti ordinamenti europei26.
Così come la mancata previsione di un trattamento predeterminato per legge, o comunque
paritario, dei creditori aderenti all’accordo.
D’altro canto l’introduzione di un blocco automatico, sia pur temporaneo, delle azioni esecutive e
cautelari, collegato alla pubblicazione dell’accordo in camera di commercio farebbe propendere
per una diversa interpretazione, in quanto anche il divieto di azioni esecutive individuali è un
www.ipsoa.it/fallimento; per un’ampia rassegna delle varie problematiche vedi
Filocamo, Art. 173, in La legge fallimentare (a cura) di M. Ferro, Padova,
2007, 1303 ss.
24
Così Terranova, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale,
in Dir. fall., 2006, 574; negli stessi termini, Patti, art. 67, cit. 554-555.
secondo cui un ulteriore elemento a favore della retrodatazione el perido
sospetto nel caso di consecuzione concordato preventivo-fallimento si ricava
dal fatto che il legislatore ha espressamente previsto una specifica esenzione
da revocatoria dei “pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla
scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso
a…concordato preventivo” (art 67, comma 3, lett. g) norma priva di significato
se non sottintendesse la revocabilità dei pagamenti dei debiti non aventi una
tale finalità.
25
In questi termini Ferro, Il nuovo concordato preventivo: la privatizzazione
delle procedure riorganizzative nelle prime esperienze, in Giur. mer., 2006
664 ss., Santangeli, Il nuovo fallimento, Milano, 2006, 297.
26
Sull’argomento vedi Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed
economia, Bologna, 2007 pp. 180-181.
9
elemento che caratterizza invariabilmente tutte le procedure concorsuali previste dal nostro27 e da
altri ordinamenti28.
In procedure non concorsuali, ma eventualmente prodromiche alle stesse (come ad esempio
nell’art. 15 l.fall. in pendenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento), tale divieto
non scatta automaticamente, ma è collegato ad una valutazione discrezionale di un organo
giurisdizionale o amministrativo29.
Solo ove si ricomprendano gli accordi di ristrutturazione nell’ambito delle procedure concorsuali,
in caso di successivo fallimento saranno ad essi astrattamente applicabili i principi generali in
tema di consecuzione di procedure.
Sia con riferimento alla prededucibilità dei crediti che alla retrodatazione della decorrenza del
periodo sospetto.
Possibilità da escludersi nel caso in cui il fallimento consegua ad un piano attestato di
risanamento ex art. 67. comma 3, lettera d), dato che non vi sono dubbi circa l’impossibilità di
ricomprendere quest’ultima fattispecie nel novero delle procedure concorsuali.
V. L’art. 67: le novità del 1 comma
Il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16 marzo
2005) ha lasciato immutata la struttura dell’art. 67 l.f.
Nel 1° e nel 2° comma dell’articolo in esame vengono disciplinate le fattispecie per le quali si
applica l’azione revocatoria, mentre i successivi commi regolano le cause di esenzione.
La disciplina della nuova revocatoria ha inciso soltanto sulla disciplina degli atti con prestazioni
sproporzionate di cui all’art. 67, comma 1, n. 1.
Tale norma è stata riformulata nel senso che ora sono revocabili, salvo che l’altra parte provi che
non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: “gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno
anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte
dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso”.
La nuova disciplina segna quindi il passaggio da un parametro flessibile la cui integrazione era
rimessa all’interprete, alla valutazione operata, caso per caso dal giudice, ad uno rigido
L’opzione di fissare nel «quarto» la soglia della notevole sproporzione rappresenta una sorta di
codificazione di una prassi giurisprudenziale piuttosto diffusa nella vigenza della precedente
disciplina che, pur in assenza di un criterio aritmetico (quale è stato prescelto, ad esempio, per la
27
Si vedano l’art. 51 l.fall. per il fallimento; l’art. 168 l.fall. per il
concordato preventivo; l’art. 83, comma 3, d.lgs. n. 385/1993 per la
liquidazione coatta delle banche; l’art. 262 d.lgs. 209/2005 per la
liquidazione coatta delle assicurazioni; gli artt. 18 e 49 d.lgs. 270/1999 per
l’amministrazione straordinaria.
28
In questi termini Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia,
cit., p. 250 che sottolinea come la forza caratterizzante di tale divieto è
tale che dalla sua esistenza di è desunta la natura concorsuale di procedure
previste da leggi speciali quali, ad esempio quella di liquidazione del gruppo
EFIM. Sulla procedura disposta con la legge 17 febbraio 1993 n. 33 vedi
Gambino, I gruppi nelle procedure concorsuali minori, in Giur. comm, 1993, I,
p. 367 ss.; Corsi, Soppressione dell’EFIM: la sorte delle società controllate,
in Giur.comm., 1993, I, p. 657 ss.
29
In questi termini Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia,
cit., p. 254 che ricorda come una simile previsione sia contenuta anche
nell’art. 74 del TUB con riferimento all’amministrazione straordinaria delle
banche che prevede un provvedimento che dispone la sospensione dei pagamenti e
delle restituzioni di beni.
10
rescissione in materia contrattuale ed ereditaria), identificava la notevole sproporzione in
percentuali che si assestavano fra il 20 ed il 30% circa30.
In verità, l’introduzione di un fattore di rigidità in una materia che nulla ha di giuridico, se da una
parte rappresenta una scelta coerente con l’obiettivo di garantire maggiore certezza ai rapporti
commerciali, rischia di togliere quei margini di elasticità che sono sempre stati considerati il
«valore aggiunto» di una siffatta disposizione normativa.
Infatti è difficile negare che per l’alienazione di beni per i quali il prezzo è segnato da listini, più o
meno ufficiali (si pensi ad una partita d’oro), anche uno scostamento del 10-15% può rivelarsi
sproporzionato; mentre, per converso, rispetto a contratti para-aleatori, anche una differenza di
prezzo del 30% può apparire giustificata31.
La novità introdotta con la novella del 2005 non va ad incidere sui principi giurisprudenziali
formatisi nella vigenza della precedente disciplina per cui la sproporzione deve essere accertata
con riferimento alla data del compimento dell’atto (salva l’ipotesi degli immobili da costruire
rispetto alla quale vale la data del preliminare) e grava sempre sul curatore fallimentare che agisce
in revocatoria l’onere di provare che il compimento dell’atto nell’anno anteriore alla dichiarazione
di fallimento è caratterizzato dalla lamentata sproporzione tra le prestazioni, potendo avvalersi a
tal fine di qualunque mezzo di prova, anche per presunzioni32.
Gli atti a prestazioni corrispettive connotati da una sproporzione inferiore alla misura sopra
indicata continuano ad essere revocabili ai sensi dell’art. 2001 c.c. e del comma 2° dell’art. 67;
fermo restando ormai la
presunzione di non sproporzione per quelli contenenti una
differenziazione di misura inferiore.
Con riferimento alla revocabilità degli immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione
principale dell’acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, posto che l’esenzione di
cui all’art. 67, comma 3°, lett. c), dispone l’irrevocabilità delle vendite a giusto prezzo e dei
relativi contratti preliminari, essa potrà essere disposta ai sensi dell’art. 67, comma 1, ove il
prezzo sia sproporzionato ovvero ai sensi del secondo comma ove il prezzo non sia comunque
“giusto”, pur se al di sotto della soglia del quarto33.
Se il prezzo è giusto l’atto non è revocabile neppure ai sensi del 2°comma.
La riforma ha lasciato inalterata la restante parte dell’art. 67 l.f., comma 1, cosicché esso, ai
numeri 3 e 4 assoggetta ancora a revocatoria, rispettivamente, i pegni, le anticresi e le ipoteche
volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non
scaduti ed i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie (elencazione ritenuta non
tassativa, potendo essere assoggettate a revocatoria anche garanzie atipiche quali, ad esempio, il
pegno su merci- Cass., 5-2-1982, n. 652) costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di
fallimento per debiti scaduti.
La differente tutela accordata dalla disposizione ai creditori garantiti è quindi ancora correlata al
momento in cui viene costituita la garanzia rispetto al credito garantito.
La massima tutela è accordata al creditore che ha ricevuto la garanzia contestualmente al sorgere
del credito, con onere della prova della scientia decotionis a carico del curatore (art. 67, comma
2); minore tutela a chi ha ricevuto la garanzia per un credito preesistente scaduto, con onere della
prova della inscientia decotionis a carico del creditore (art. 67, comma 1, n. 4); minore ancora a
chi ha ricevuto la garanzia per un debito preesistente non ancora scaduto, nel qual caso vige lo
30
Vedi Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare,Padova, 2000,
252.
31
In questi termini assai correttamente Fabiani, L’alfabeto della nuova
revocatoria fallimentare, cit., 583.
32
Cass., 7-10-1959, n. 2699.
33
In questi termini Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare,
cit. 573 ss ;Bonfatti, Comm. sub art. 67 1° e 2° co., l.f., cit. 910.
11
stesso criterio presuntivo probatorio ma il periodo sospetto si estende all’anno e non ai sei mesi
anteriori alla dichiarazione di fallimento (art. 67, comma 1, n. 3).
VI. (Segue) le novità del 2 comma
Con la riforma introdotta nel 2005 il legislatore non ha toccato l’art. 67, 2° comma, nella parte in
cui stabilisce la revocabilità degli atti a titolo oneroso (compresi i pagamenti)
La miniriforma ha però apportato una significativa novità nel secondo comma dell’art. 67 l.f., con
riferimento alla revocabilità degli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, ove è stata
aggiunta la locuzione “anche di terzi”.
In primo luogo va rammentato che la concessione di garanzia per debito altrui viene solitamente
inquadrata nella rigida alternativa derivante dalla qualificazione come atto a titolo gratuito (art. 64
l.f.) o a titolo oneroso (art. 67 l.f.).
La prima questione che si poneva a fronte di tale tradizionale impostazione era quella relativa
all’applicabilità, o meno, alla revocatoria fallimentare delle garanzie prestate per debito altrui
della presunzione di onerosità stabilita per le garanzie contestuali nella disciplina della
revocatoria ordinaria dall’art. 2901, comma 2 c.c. Un primo orientamento (decisamente prevalente
nella giurisprudenza di legittimità), fondato essenzialmente sulla presunta identità di natura degli
istituti dell’azione revocatoria ordinaria e di quella fallimentare, sosteneva che l’art. 2901, comma
2, c.c. affermava un principio generale, applicabile quindi, come tale, anche alla revocatoria
fallimentare34.
Di contro vi era chi negava l’applicabilità della norma al di fuori dell’ambito della revocatoria
ordinaria, sia per motivi letterali (lo stesso art. 2901 c.c. sembra limitare l’estensione della
disposizione “agli effetti della presente norma”; l’art. 2904 c.c. fa espressamente “salve le
disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e penale”) che sistematici (Cass., 285-1998, n. 5264).
Orbene appare evidente come la questione sia stata risolta dal legislatore, il quale, ai fini della
revocatoria ex art. 67, comma 2 l.f., ha sostanzialmente uniformato la disciplina degli atti
costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, siano essi propri o altrui35.
Soluzione caldeggiata dalla dottrina più autorevole che sottolineava come “in questo caso, infatti,
non può affermarsi che il soggetto erogatore del credito riceva una prestazione gratuita, anche se
il garante non veda in concreto ricompensata la sua prestazione. Viene in gioco, cioè, non solo la
34
Cass. 1 aprile 2005, n. 6918; Cass. 24.2.2004, n. 3615 secondo la quale "con
riguardo ad un atto costitutivo di garanzia prestata dal terzo contestualmente
alla erogazione di un credito in favore di altro soggetto, il principio
stabilito per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma,
c.c.- secondo il quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui,
sono considerati atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del
credito garantito- è estensibile anche al sistema revocatorio fallimentare,
essendo tale principio coerente con la natura intrinseca dell'atto (di
prestazione di garanzia), il quale, nei confronti del soggetto erogatore del
finanziamento,
non
può
essere
considerato
gratuitocon
conseguente
inapplicabilità dell'art. 64 della l.fall. (salva la revoca ex art. 67,
secondo comma, della legge stessa), perché viene a porsi in relazione di
corrispettività con la contestuale erogazione del credito", conf.
Cass.
25.6.2003, n. 10072; Cass. 7.6.1999, n. 5562; Cass. 2.9.1996, n. 7997.
35
Come correttamente osservato da Lamanna, La presunzione di onerosità delle
garanzie contestuali nella novellata disciplina della revocatoria, in Fall.,
2006, 402 ss., per le prestazioni di garanzia contestuali non si può parlare
di equiparazione piena con la presunzione di onerosità posta dall’art. 2901,
comma 2, c.c. non essendo ricompresse negli atti costitutivi di un diritto di
prelazione le garanzie personali.
12
posizione del terzo concedente la garanzia, ma anche quella del beneficiario della garanzia stessa,
in una valutazione comparativa e bilanciata che porta ad escludere la gratuità quando la garanzia
costituisce la condicio sine qua non dell'operazione creditizia, perché la garanzia, che nella sua
fase attuativa individua una situazione di sussidiarietà, quando non di accessorietà, del credito,
nella fase costitutiva può integrare un presupposto dell'operazione di credito, nel senso che
l'operazione stessa non vi sarebbe stata se non vi fosse la garanzia”36.
Modifica che evidenzia quindi come ora, secondo la lettura più accreditata della norma, tutte le
garanzie contestuali, sia reali che personali, vadano qualificate come atti a titolo oneroso e, come
tali, qualora ne ricorrano i presupposti, eventualmente assoggettabili alla revocatoria ex art 67 l.f.
e non (quali atti a titolo gratuito) a quella prevista dall’art. 64 lf.
Rimangono, al contrario, inalterate tutte le altre problematiche precedentemente affrontate in
dottrina ed in giurisprudenza.
E ciò sia con riferimento alla contestualità, o meno, tra garanzia e credito sia alla già avvenuta
scadenza o no di quest’ultimo.
In giurisprudenza è consolidato l’orientamento secondo cui la contestualità va qualificata in
termini causali e non meramente temporali37.
In altre parole la contestualità tra credito e garanzia sussiste ogni qual volta il credito sia stato
concesso a causa ed in conseguenza della prestazione di garanzia, anche in mancanza di una
coincidenza cronologica tra i due eventi.38
Ai fini della prova dell’accertamento di tale collegamento genetico tra i due negozi non assume
alcuna rilevanza l’elemento formale dell’unicità o meno del documento contrattuale contenente le
dichiarazioni di volontà delle parti39.
Parimenti consolidato è l’orientamento secondo il quale si può avere contestualità della garanzia,
intesa come necessaria incidenza causale ai fini dell’erogazione del credito garantito, anche tra
negozi stipulati tra parti diverse40.
Si discute se possa definirsi contestuale la garanzia creata in epoca successiva alla scadenza di
un’obbligazione, in occasione della novazione della medesima41 ovvero in caso di semplice
proroga del debito42.
Preesistendo un credito, se viene prestata una garanzia contestualmente al sorgere di un nuovo
credito, essa è revocabile per l’intero, dovendo essere interpretata come garanzia per crediti
preesistenti, non ammettendosi la scindibilità della garanzia medesima, salvo che essa non sia
stata creata esclusivamente in ragione della nuova obbligazione43.
Ulteriore questione è poi quella della prospettiva da cui effettuare il giudizio di gratuità (questione
oramai rilevante soltanto in caso di garanzia non contestuale), dato che non vige alcuna
presunzione a contrario di gratuità per le prestazioni di garanzia non contestuali, che possono
essere, in relazione alla fattispecie, a titolo oneroso, ed allora rientreranno nella previsione
dell’art. 67 l.fall., ovvero a titolo gratuito, trovando in tal caso disciplina nell'art. 64 l.fall., come
36
così Bozza, 06; negli stessi termini Cass., 5-12-1992, n. 12948.
Cass. 21.3.2003, n. 4126; Cass. 9.5.2000, n. 5845; Cass. 17.9.1996, n. 8306;
Cass. 5.12.1992, n. 12948.
38
Cass. 17.7.1997, n. 6558 ha ritenuto, ad esempio, ininfluente un lasso di
tempo di otto giorni tra l’erogazione del credito e la costituzione del pegno.
39
Cass. 13.2.1992, n. 1751, la quale ha considerato meramente occasionale il
collegamento fra due negozi risultanti dallo stesso documento; Cass. 5.7.1991,
n. 7415; Cass. 25.5.1983, n. 3622.
40
Cass. 14.3.2003, n. 3808.
41
in senso affermativo Cass. 5.2.2003, n. 1655.
42
per la non con testualità in questo caso Cass. 15.5.1963, n. 1204.
43
Cass. 9.5.2000, n. 5845; Cass. 30.1.1998, n. 969.
37
13
nel caso della mancanza di un corrispettivo economicamente apprezzabile proveniente dal
debitore principale o dal creditore garantito44.
Sulla problematica in dottrina si confrontano una pluralità di orientamenti che, per chiarezza
espositiva, possono ridursi essenzialmente a due principali opzioni interpretative: da una parte
coloro che ritengono necessario valutare l’atto con riferimento alla posizione sia del datore, sia
del creditore, sia del debitore, dall’altra coloro i quali sostengono che l’indagine vada effettuata
con riferimento agli effetti che tale atto abbia prodotto nel patrimonio di uno soltanto dei soggetti
del rapporto, ed in particolare del solo terzo concedente la garanzia.
VII. Le esenzioni del 3° comma
Il profilo più innovativo della riforma è indubbiamente rappresentato dalla disciplina delle
esenzioni contenute nel comm 3 dell’art. 67 l.fall.
Esenzioni collegate all’intento, espresso dal legislatore nella relazione accompagnatoria al decreto
legge, di “evitare che situazioni che appaiono meritevoli di tutela siano invece travolte
dall’esercizio, sovente strumentale, delle azioni giudiziarie conseguenti all’accertata insolvenza
del destinatario dei pagamenti”.
Il principale problema interpretativo che si pone è quello dell’ambito di applicazione di tali
esenzioni.
Se esse, cioè, ferma restando la loro sicura applicabilità alle ipotesi previste dall’art. 67 comma
245, riguardino anche le ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 67 e si applichino o meno anche alle
azioni recuperatorie di cui agli articoli 64-65 l.fall.46
Il dato testuale non è di grande conforto in quanto l’art. 67 comma 3 l.fall. si limita ad affermare
la non assoggettabilità “all’azione revocatoria” di tutti gli atti elencati nelle successive lettere,
dalla a) alla g), del medesimo comma.
A differenza del successivo quarto comma che stabilisce che le ulteriori esenzioni ivi previste si
riferiscono alla sola “revocatoria fallimentare”.
Dato letterale che sembrerebbe estendere l’ambito di applicazione delle esenzioni del terzo
comma dell’art. 67 quanto meno alle azioni previste dagli articoli 64-67, generalmente identificate
proprio con il termine di “azioni revocatorie”.
44
Cass., 20-5-1987, n. 4608; secondo Cass. 5.12.1992, n. 12948 in tale ipotesi
la gratuità dovrà essere accertata in base ai criteri dogmatici utilizzati per
accertare la sussistenza di prestazioni corrispettive; Cass., 28-9-1991, n.
10161 ha, ad esempio, ritenuto oneroso il contratto di prestazione di garanzia
ipotecaria per un debito altrui, qualora il creditore garantito presti
corrispettivamente il consenso alla proroga di scadenza del debito del terzo
suo debitore.
45
Secondo Meli, La revocatoria fallimentare: profili generali, in La riforma
della legga fallimentare, Bologna, 2006, (a cura) di Ambrosini, 123) le
esenzioni elencate nel comma 3 dell’art. 67 l.fall. opererebbero con esclusivo
riferimento alla disciplina dell’azione revocatoria degli atti c.d. normali
prevista dal comma 2 dell’art. 67 l.fall.; negli stessi termini Fortunato,
Brevi note sulla “filosofia” della nuova revocatoria fallimentare, in Giur.
Comm., 2005, I, 720 ss.;
46
Sull’argometo vedi da ultimo Tarzia, L’ambito di applicazione delle
esenzioni nel nuovo art. 67 l.fall., in Fall., 208, 637 ss.; Galletti, Le
nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2007, I, 163
ss.; Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur.
comm., 2005, I, 802 ss.
14
Dato letterale che potrebbe offrire fondati argomenti anche in senso contrario considerando che le
esenzioni sono inserite nel corpo dell’art. 67 l.fall, costruite quindi come eccezione alla sola
revocatoria fallimentare prevista dal medesimo articolo47.
Senza tralasciare la considerazione che gli atti ed i pagamenti previsti dagli articoli 64 e 65 l.fall.
sono colpiti da una sanzione, l’inefficacia, non contemplata dall’art. 67, che parla di esonero
dall’azione revocatoria.
A quest’ultima osservazione potrebbe, d’altro canto, obiettarsi che da tempo la distinzione tra
inefficacia ex artt. 64 e 65 l.fall. e revocatoria ex art. 67 l.fall. ha perso di significato, tanto che sia
la giurisprudenza48 che lo stesso legislatore49 utilizzano l’ampia nozione di revocabilità per tutti
gli atti pregiudizievoli ai creditori, ivi compresi gli atti inefficaci ex artt. 64 e 65 l.fall50.
Da tali considerazioni emerge chiaramente come non sia possibile attribuire un valore dirimente
al dato letterale, di per sé equivoco, tanto più che tale approccio presuppone un legislatore attento
all’esatto significato dei termini e delle espressioni utilizzate, il che non è certo avvenuto nel caso
in esame51.
L’abbandono del canone interpretativo basato sul dato letterale della norma comporta altresì
l’abbandono della ricerca di una risposta necessariamente unitaria alla problematica.
Il che appare opportuno ed anzi necessario in quanto non appare possibile fornire una risposta
unitaria alla questione, valida per tutte le esenzioni.
Anche perché un’interpretazione di tal genere porterebbe a delle conseguenze del tutto irrazionali
ed inaccettabili.
E ciò sia nel caso in cui si ritenesse le stesse applicabili alle azioni recuperatorie ex art. 64-6552,
sia ove, al contrario, si limitasse il loro raggio d’azione al solo articolo 67, ovvero al solo secondo
comma dell’articolo.
47
In questi termini Limitone, sub. art. 67 l.f., cit., 458; anche secondo De
Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, 85 ss.,
ritengono che le esenzioni non potrebbero operare con riferimento a
fattispecie diverse da quelle previste dall’art. 67 l.fall.
48
Cass. 11 aprile 2001, n. 5369, in Fall., 2002, 69, che, riferendosi al
momento successivo all’omologa del concordato fallimentare, afferma che
divengono improcedibili “le azioni revocatorie promosse dalla curatela ai
sensi degli articoli 64 e 67 l.fall”; Cass. 20 giugno 2000, n. 8379, in Giust.
Civ., 2000, I, 2584 che parla di impugnabilità “con revocatoria fallimentare a
norma dell’art. 64 l.fall.” della costituzione di un fondo patrimoniale, in
caso di fallimento di uno dei coniugi.
49
Come chiaramente evincibile dalla rubrica dell’art. 49 del D.Lgs. n. 270/99
(Azioni revocatorie), poi richiamata nell’art. 6 D.l. n. 347/03 il legislatore
ha fatto propria questa nozione più ampia di revocabilità, coincidente con
l’impugnabiità di tutti gli atti pregiudizievoli ai creditori.
50
In questi termini assai correttamente Tarzia, L’ambito di applicazione delle
esenzioni nel nuovo art. 67 l.fall., cit., 639.
51
Come assai correttamente sottolineato da Bonfatti, in Bonfatti-Censoni, La
riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato
preventivo e degli accordi di ristrutturazione, cit., 86, lo stesso
legislatore, a pochi giorni dal D.L. 35/2005 ha introdotto con il D.Lgs.
122/05 un’ulteriore fattispecie di esenzione da revocatoria del tutto simile a
quella prevista dall’art. 67, comma 3, lett. c) sugli acquisti di immobili ad
uso abitativo, sottraendola alla sola revocatoria “di questo articolo” (67),
in evidente ed insanabile contraddizione con la portata apparentemente
generale dell’esenzione disposta per tutti gli atti previsti nel terzo comma
dell’articolo 67, comprendenti anche gli acquisti di immobili ad uso
abitativo.
52
In questo senso Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria nelle
procedure di composizione negoziale delle crisi di impresa, in La disciplina
15
Nel primo caso si arriverebbe a sottrarre all’azione revocatoria anche gli atti a titolo gratuito di
cui all’art. 64 l.fall., atti che non possono di certo essere ritenuti “meritevoli di tutela” dal
legislatore53.
Nel secondo caso si priverebbero di effettiva tutela situazioni che il legislatore intendeva
sicuramente esentare da revocatoria, quali, ad esempio quelle previste dalle lettere d), e) e g), dato
che i nuovi strumenti di risoluzione della crisi d’impresa sarebbero destinati ad un sicuro
insuccesso ove l’esenzione fosse limitata alle sole ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 67
l.fall.
Appare quindi preferibile affrontare la questione in maniera diversa, basandosi non tanto
sull’equivoco dato letterale, quanto piuttosto sulla ratio delle esenzioni e sul loro grado di
compatibilità con i singoli strumenti “revocatori”.
Interpretazione che appare coerente con la natura destrutturata, frammentata della nuova
revocatoria fallimentare.
Al fine di contemperare il suddetto criterio interpretativo di natura finalistica con le esigenze di un
approccio comunque sistematico alla questione, occorre verificare se sia possibile rinvenire un
filo conduttore comune tra alcune delle numerose esenzioni introdotte con la riforma del 2005.
Secondo la ricostruzione sistematica della dottrina54 le esenzioni possono, a grandi linee,
ricondursi a tre categorie:
I) protezione per gli atti compiuti durante la gestione ordinaria dell’impresa (lett. a, b);
II) protezione per gli atti correlati a tentativi di composizione concordata della crisi dell’impresa
(lett. d., e, g);
III) protezione per taluni atti reputati particolarmente meritevoli di tutela per la posizione
soggettiva del destinatario dell’atto (lett. c, f).
Il primo gruppo di esenzioni sembra avere il più limitato ambito di applicazione in quanto i
pagamenti di forniture di beni e servizi o le rimesse in conto corrente sono tutelati se effettuati
nell’esercizio dell’attività d’impresa con modalità ordinarie, ordinarietà che va valutata con un
margine di tolleranza, così come evidenziato dall’utilizzo di formule flessibili (“nei termini
d’uso”, “in maniera consistente e durevole”), esenzioni la cui ricorrenza è rimessa alla
valutazione, caso per caso, del giudice.
Qualora tali pagamenti avvengano con modalità “anomale” in senso lato (con modalità quindi
ricadenti nella sfera di applicazione dell’art. 65 e dell’art. 67 comma 1) non vi è ragione per
assicurare ad essi una particolare tutela55.
Tanto più che la ratio di tali esenzioni è rinvenibile nella tutela dell’impresa in senso lato.56
dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei “fallimenti
immobiliari”, (a cura) di S. Bonfatti, Milano, 2005, p. 139.
53
Sull’argomento da ultimo vedi Abriani-Quagliotti, An e quantum della
“novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, in Fall., 2008, 380.
54
Sull’argomento da ultimo vedi Abriani-Quagliotti, An e quantum della
“novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, cit. 379-380.
55
Contra, Cavalli, sub. art. 67 l.f., cit. 974 secondo il quale l’esenzione
sub. art. 67, comma 3°, lett. b) riguarderebbe anche l’azione revocatoria ex
art. 67 comma 1, n. 2) comprendendo quindi anche quelle rimesse in denaro
frutto di operazioni connotate dal carattere di anormalità, quali, ad esempio,
così considerati da parte della giurisprudenza, i versamenti eseguiti da terzi
sul conto del’insolvente a seguito di mandati in rem propriam all’incasso
conferiti alla banca nell’ambito di operazioni d’anticipo al salvo buon fine.
56
Nozione di impresa che, come correttamente osservato da Patti, La
revocatoria fallimentare (riformata): caratteri generali, cit., 195, ha
assunto,
come
confermato
dalla
normativa
sulla
nuova
ammnistrazione
straordinaria,
una
propria
posizione
di
spiccata
autonomia
rispetto
16
Tutela che deve essere assicurata qualora l‘imprenditore agisca nell’esercizio della normale
attività d’impresa anche attraverso la tutela del credito strumentale alla continuazione di tale
attività.
Tutela che deve essere negata qualora l’imprenditore in crisi ricorra a mezzi “anomali” per
continuare la propria attività.
Qualora l’imprenditore entri in crisi e tale crisi non gli consenta di proseguire la propria attività
nei modi ordinari l’ordinamento gli assicura ancora tutela: quella garantita dal ricorso agli
strumenti di risoluzione della crisi d’impresa previsti dall’ordinamento concorsuale57.
Interpretazione che ha anche l’effetto di favorire un comportamento virtuoso da parte
dell’imprenditore, che, in linea con quanto auspicato dal legislatore, individui nel concordato
preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel piano attestato di risanamento gli
strumenti ordinari della soluzione della crisi della sua impresa.
Circolo virtuoso fortemente depotenziato dalla riduzione del periodo sospetto che, come detto, ha
di fatto prodotto la sostanziale abrogazione dell’azione revocatoria, e, quindi, reso meno appetibili
le soluzioni della crisi d’impresa che assicurano l’esenzione dalla revocatoria medesima.
Da tali premesse appare evidente come all’esenzione collegata agli strumenti di soluzione della
crisi d’impresa deve essere assicurato il massimo ambito di applicazione.
Il massimo favore accordato dall’ordinamento a tali soluzioni è evidenziato dal fatto che la
protezione da revocatoria è comunque assicurata per il semplice fatto di aver posto in essere l’atto
in funzione/occasione/esecuzione dello strumento di soluzione della crisi d’impresa, senza alcuna
distinzione tra finalità di recupero e prosecuzione dell’attività e finalità meramente liquidatorie.
Con la conseguenza che la protezione deve esere assicurata tendenzialmente a tutti gli atti e
riguardare tutte le azioni revocatorie.
Le esenzioni previste dalle lettere d), e) e g) si applicano quindi a tutte le ipotesi previste dall’art.
6758, nonché a quella contemplata dall’art. 65.
Con riferimento alle esenzioni di cui alle lettere c) ed f), fondate come sono sulla rilevanza
soggettiva dell’avente causa, la preminenza attribuita dall’ordinamento alla tutela del destinatario
all’ìmprenditore, come “entità oggettiva distinta dall’imprenditore nella sua
duplice valenza di fonte unitaria della produzione e di fattore di
mantenimento della produzione” (relazione al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270).
57
Di questo avviso sembrano essere anche Abriani-Quagliotti, An e quantum
della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, cit., 378, secondo i
quali dalla riforma emergerebbe una nuova collocazione funzionale della
revocatoria fallimentare che dovrebbe rappresentare ”lo spartiacque tra gli
imprenditori che illegittimamente scelgono di affrontare la fase prefallimentare ponendo in essere atti funzionali alla protezione diretta o
indiretta
dei
propri
interessi
(eventualmente
accordando
pagamenti
preferenziali) e imprenditori che invece scelgono la via della doverosa
salvaguardia del valore oggettivo dell’impresa attraverso i nuovi istituti di
prevenzione o, almeno, non aggravando il proprio dissesto”.
58
In questi termini anche Patti, art. 67, cit., 541-542, secondo cui il
pagamento anomalo collegato al c.d. “uso distorto” del contratto di mutuo
fondiario, contratto con il quale si realizza, in realtà, un’operazione di
ripianamento di pregresse esposizioni debitorie meno (o affatto) garantite,
non sarebbe revocabile ove effettuato in esecuzione di un piano attestato di
risanamento, di un accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un
concordato preventivo. Secondo l’autore l’esenzione si giustificherebbe per il
fatto che l’operazione si collocorebbe al di fuori di una contrattazione
singolare, finalizzata a preferire le ragioni di un solo creditore, in
pregiudizio di tutti gli altri, rispondendo piuttosto ad un generale favor,
accomunante le ipotesi dirette ad una soluzione della crisi d’impresa
alternativa al fallimento.
17
dell’atto o del pagamento (l’acquirente e il lavoratore), identificato come soggetto meritevole di
tutela in quanto soggetto debole sia nel contratto59 che nel mercato, fa si che tale protezione debba
essere assicurata in ogni caso qualora ricorrano i presupposti dell’esenzione, a prescindere dalle
modalità di pagamento della vendita o del preliminare di vendita conclusi a giusto prezzo o del
corrispettivo per prestazioni di lavoro.
Con la conseguenza che, a prescindere dall’ipotesi dell’art. 64 .fall. ontologicamente
incompatibile con tali fattispecie, le esenzioni di cui alle lettere c) ed f) si applicano a tutte le
ipotesi previste dall’art. 67, nonché a quella contemplata dall’art. 65.
In caso di atto astrattamente riconducibile a più fattispecie esonerative l’eccezione fondata, ad
esempio, sul collegamento funzionale dell’atto all’accordo di ristrutturazione dei debiti, non
preclude la proposizione, in subordine, di un’altra eccezione fondata su una diversa fattispecie
contemplata dal comma 3 dell’art. 67 l.fall.
VIII. Uno sguardo su alcune esenzioni: i pagamenti nei termini d’uso
La prima eccezione alla regola generale secondo la quale sono revocabili i pagamenti effettuati
nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento quando il curatore provi che il creditore era a
conoscenza dello stato d’insolvenza riguarda “i pagamenti di beni e servizi effettuati
nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”.
Nell’idea del legislatore la fattispecie di esonero di cui alla lett. a) doveva rispondere all’esigenza
di assicurare certezza e stabilità ai traffici commerciali connessi ad una ordinaria gestione
dell’impresa.
Idea poi non pienamente realizzata in quanto la disposizione non esclude dal campo di
applicazione della revocatoria ogni tipo di atto e di negozio che si riveli coerente con una normale
gestione in funzione di assicurare la continuità aziendale.
Invero va sottolineato come l’inequivoco dato normativo non consente, nonostante il generico
richiamo a “beni e servizi”, di applicare la disposizione a tutte le operazioni gestionali:
l’esenzione non si applica quindi ai contratti ed agli atti a titolo oneroso previsti dai primi due
commi dell’art. 67 l.fall. e, in generale a tutti gli atti diversi dai pagamenti.
Va altresì escluso che nell’ambito di applicazione dell’esenzione rientrino anche i contratti di
finanziamento ed i rapporti finanziari in genere 60.
Essa riguarda tutti i pagamenti attinenti alla vita ordinaria dell’impresa, con riferimento ai
fornitori, ai lavoratori, ai collaboratori ecc…, purché si tratti di pagamenti relativi a obbligazioni
assunte in termini di coerenza con l’oggetto sociale61.
59
Sull’argomente vedi in generale le puntuali osservazioni di Di Marzio, Crisi
d’imprsa e contratto. Note sulla tutela dell’acquirente dell’immobile da
costruire, in Dir. fall., 2006, I, 53 ss.
60
In questi termini Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie
fallimentari, cit., 254 ss.; negli stessi termini Patti, art. 67, cit., 545,
secondo cui un ulteriore elemento a favore di un’interpretazione limitativa
dell’esenzione
si
ricava
dall’esplicita
previsione
dell’applicazione
dell’esenzione in esame alle somme già riscosse dal concedente, nel caso di
scioglimento del contratto di locazione finanziaria da parte del curatore del
fallimento dell’utilizzatore (art. 72 quater comma 2, l.fall.). Norma che,
alla luce dell’assimilazione, operata dal legislatore, del leasing ai conratti
di finanziamento, va letta come necessaria previsione di tutela (tenuto conto
della peculiarità del servizio rappresentato dal contratto di leasing) di
pagamenti altrimenti revocabili in quanto non rientranti nell’esenzione di cui
all’art. 67, comma 3, lett a) l.fall; contra Bonfatti-Censoni, Manuale di
diritto fallimentare, Padova, 2007, 191.
18
Non rientrano nell’esenzione e sono quindi revocabili i pagamenti rispondenti a finalità diverse da
quelle riconducibili all’attività d’impresa62 e quindi, ad esempio, i debiti personali del fallito63, nel
mentre è dubbio se vi rientrino i pagamenti effettuati da un’impresa che sia in stato di
liquidazione e, quindi, che non sia operativa, oppure sia cessata di fatto.
Il riferirsi alla attività d’impresa vuol significare che si deve trattare di pagamenti intervenuti
mentre l’impresa è ancora operativa.
Interpretazione coerente con la ratio dell’esenzione, riconducibile alla considerazione che la
continuazione dell’attività d’impresa costituisce quasi sempre un valore da tutelare perchè
conservativo dell’unità aziendale e dei beni che la compongono, per cui si deve escludere
l’esenzione per gli atti, pur se normali, eseguiti dall’impresa in liquidazione o comunque con
attività esaurita64.
Sono, pertanto revocabili i pagamenti effettuati dall’imprenditore al di fuori dell’esercizio
dell’“attività di impresa”, nonchè quelli effettuati dal debitore fuori dal “termine d’uso”, oltre che,
come visto, quelli di cui agli artt. 64, 65 e 67 comma 1 n. 2, l.fall.
L’espressione “nei termini d’uso” è quella di più difficile interpretazione, quella che genera i
maggiori interrogativi.
L’unico dato certo ed univoco è che l’espressione si riferisce senza ombra di dubbio al
pagamento, nel senso che è l’atto solutorio che deve essere eseguito nei termini d’uso, per poter
godere del beneficio dell’esenzione.
Il problema interpretativo che si pone è se alla parola “termine” si debba attribuire un significato
esclusivamente cronologico o anche (o esclusivamente) modale ed a quali “usi” abbia inteso
riferirsi il legislatore.
Secondo alcuni l’usualità del pagamento dovrebbe riguardare le modalità con cui viene
effettuato65.
Opinione che non appare convincente in quanto andrebbe ad ipotizzare l’esistenza di tante singole
“modalità normali di pagamento” (derivanti dal rapporto commerciale debitore-creditore) diverse
dal modello oggettivo tenuto presente dal legislatore ai fini del diverso trattamento revocatorio.
Secondo altri sono applicabili entrambi i parametri, con la conseguenza che sarebbero sottratti
all’azione revocatoria i pagamenti relativi a beni e servizi inerenti all’attività d’impresa che si
svolgono in tempi e secondo modalità usuali66.
61
In questi termini Patti, art. 67, cit., 545 secondo cui l’esenzione non si
applica alle operazioni estranee alla sua gestione caratteristica, ossia
nell’ambito del suo oggetto tipico, con esclusione pertanto di proventi
generati da eventi di natura straordinaria; negli stessi termini Zanichelli,
La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali,
Torino, 2006, 123.
62
In questi termini Tarzia, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall’azione
revocatoria fallimentare nella recente riforma, in Fall., 2005, 840.
63
Distinzione che vale soltanto per l’imprenditore individuale, perché alla
sua persona possono essere riferiti tanto pagamenti eseguiti per finalità
d’esercizio dell’azienda commerciale, quanto pagamenti di debiti “civili”
estranei a tale esercizio. Mentre gli atti delle società commerciali sono
sempre e necessariamente atti d’impresa. Così assai correttamente Cavalli,
Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f., cit., 950.
64
In questi termini Cavalli, Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f.,
cit., 950-951; e De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, cit.,
94 ss.; Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, cit., 881.
65
Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria
fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione,
cit., 90.
19
Con l’inaccettabile conseguenza che un pagamento anomalo ai sensi dell’art. 67 comma 1, n. 2,
l.fall. dovrebbe considerarsi effettuato “nei termini d’uso” per il solo fatto di essere conforme a
quello usualmente utilizzato in quel determinato rapporto commerciale.
L’opinione prevalente è nel senso di ritenere che al vocabolo “termine” debba attribuirsi un
significato esclusivamente cronologico67.
Attribuire un significato cronologico all’espressione “termine” non scioglie però tutti i dubbi
interpretativi.
Se, infatti, vi è sostanziale concordia in relazione al fatto che l’esenzione riguardi i pagamenti
effettuati alla scadenza, minore consenso vi è in ordine alla tollerabilità del ritardo.
Questione strettamente connessa all’applicabilità o meno alla fattispecie di quanto disposto
dall’art. 4 del D.lgs. n. 231/2002.
Applicabilità che escluderebbe la possibilità di godere dell’esenzione in esame anche nel caso di
ritardo di un solo giorno nell’adempimento, rispetto al termine convenzionale o legale stabilito,
appunto, dall’art. 4 del D.lgs. n. 231/200268.
Interpretazione non seguita dalla maggior parte degli autori che non ritengono sovrapponibile, in
assenza di un espresso richiamo, la disciplina del decorso degli interessi moratori
all’adempimento nei “termini d’uso” di cui all’art. 67 comma 3 lett. a) l.fall69.
Ne deriva che l’esenzione copre anche quei pagamenti eseguiti dopo la scadenza, purché il tempo
di estinzione del debito si possa considerare ordinario.
Fermo restando altresì che l’uso cui fa riferimento l’articolo non va inteso nel senso tecnico
giuridico di cui all’art. 8 prel c.c.70 ci si interroga se l’espressione si riferisca alle singole prassi
seguite dal fallito con i propri fornitori, soprattutto quelli “strategici”, considerati singolarmente o
per settore merceologico, ovvero se abbia una accezione più ampia, ragguagliata agli usi
contrattuali praticati in certi ambiti territoriali.
Pare preferibile la prima opzione, se, infatti, lo scopo della norma è quello di non colpire con
l’inefficacia i pagamenti “normali”, rispetto ai quali il fornitore non ha ragione di pensare ad una
situazione di difficoltà del proprio cliente, ne discende che il cambiamento delle modalità di
pagamento è prova del fatto che il debitore non è più in grado di rispettare i precedenti termini di
pagamento e quindi diventa indizio significativo di una situazione quanto meno di crisi del
debitore, indipendentemente dall’andamento del settore o da valutazioni che riguardino gli usi
commerciali.
IX.(Segue) Le rimesse sul conto corrente bancario
66
Così Sabatelli, La revocatoria degli atti “anormali” nella riforma del
diritto fallimentare, cit. 1008; negli stessi termini Meoli, Vecchie e nuove
esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2006, I, 226 ss.
67
In questi termini Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare,
cit., 584; Caiafa, Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006
296; Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 254
ss.; De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 94 ss.
68
In questi termini Falcone, La “esenzione” da revocatoria dei pagamenti
effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, in La riforma della legge
fallimentare, (a cura) di Bonfatti-Falcone, Milano, 2005, 22 ss.; Tarzia, Le
esenzioni (vecchie e nuove) dalla revocatoria fallimentare nella recente
riforma, cit., 840.
69
In questi termini Sabatelli, La revocatoria degli atti “anormali” nella
riforma del diritto fallimentare, cit. 1007;
70
In questi termini Cavalli, Comm. sub art. 67, 3° co. lett. a) e b) l.f.,
cit., 952.
20
La seconda esenzione riguarda le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non
abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti
della banca”71.
Sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario la Corte di Cassazione aveva preso una
univoca posizione, a partire dalla nota sentenza 18.10.82, n. 5413, stabilendo che erano revocabili
le rimesse in conto corrente bancario aventi natura solutoria e non anche quelle aventi invece
mera natura ripristinatoria della provvista.
Le prime (di carattere solutorio) sono quelle affluite su un “conto scoperto”, ossia su un conto non
assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, oppure assistito da
apertura di credito con saldo debitore oltre i limiti del fido convenzionalmente accordato al
correntista, revocabili in quanto immediatamente destinate ad estinguere (anche solo
parzialmente) il credito della banca; le seconde (di carattere ripristinatorio) sono quelle affluite su
un “conto passivo”, ossia su un conto con saldo debitore assistito da apertura di credito di cui non
è stato superato il limite, non revocabili in quanto i versamenti entro il limite del fido
costituiscono una mera ricostituzione della provvista nella disponibilità del correntista.
Con la nuova disciplina sono suscettibili di revocatoria solamente le rimesse che abbiano
conseguito l’effetto di ridurre in modo consistente e durevole l’esposizione del fallito nei
confronti della banca.
L’esenzione, che rappresenta la prima disposizione di legge che riconosce la natura di pagamenti
di debiti liquidi ed esigibili alle rimesse in conto corrente, accoglie in pieno le doglianze del
sistema bancario nei confronti del presunto troppo ampio esercizio dell’azione revocatoria delle
rimesse di conto corrente da parte delle curatele fallimentari.
Lamentele incentratesi soprattutto sui costi eccessivi e sproporzionati che le banche andrebbero a
subire in caso di vittorioso esperimento dell’azione, dato che sovente le curatele ottengono la
condanna alla restituzione di somme per importi superiori sia all’ammontare del credito che la
banca ha concretamente erogato al correntista fallito sia all’ammontare dei versamenti attraverso i
quali la banca ha realizzato un effettivo rientro delle somme anticipate.
L’esenzione ponendosi, almeno formalmente, come eccezione alla regola della revocabilità dei
pagamenti dettata dal comma 2, non è suscettibile di applicazione analogica od estensiva a
soggetti diversi dagli istituti bancari che pure svolgano attività di finanziamento agli imprenditori.
La disposizione evidenzia una scarsa tecnica legislativa, e la chiara incapacità di formulare i
precetti con adeguata proprietà, incapacità che pone sempre più spesso gli interpreti dinanzi a
problemi quasi insolubili, con grave nocumento degli obiettivi di certezza del diritto che, pure, si
vorrebbero, a parole, conseguire.
71
Sulla riforma della revocatoria di rimesse in conto corrente: S.BONFATTI, La
disciplina dell’azione revocatoria, Milano, 2005; U. De Crescienzo-L. Panzani,
Il nuovo diritto falimentare (dal maxiemendamento alla legge n. 80 del 2005),
Milano, 2005; M. FABIANI “La revocatoria fallimentare “bonsai” delle rimesse
in conto corrente”, in Foro it, 2005, I, 3297;
M.FABIANI, L’alfabeto della
nuova revocatoria fallimentare, in Fallimento, 2005,
573; M.FARINA, Alla
ricerca delle rimesse revocabili. spunti critici per una riflessione sul nuovo
art.67 terzo, comma , lett. b), l.f. in, Fallimento, 2006, 229; L.GUGLIELMUCCI,
La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Dir.
fall., 2005, I, 805; G.MINUTOLI, In difesa dell’istituto revocatorio (brevi
riflessioni sulle nuove revocatorie fallimentari ex d.l. 14 marzo 2005 n.35),
in Dir.fallim., 2005, I, 809; A. PATTI, L’esenzione da revocatoria delle
rimesse bancarie, in Fall., 2006, 238; G.SCHIANO DI PEPE, La nuova revocatoria
fallimentare, in Dir. fall., 2005, I, 798; A. SILVESTRINI, La nuova disciplina
della revocatoria delle rimesse su conto corrente bancario, in Fall., 2005,
844; GIOR.TARZIA, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall’azione revocatoria
fallimentare nella recente riforma, in Fallimento, 2005, 835;; S.VINCRE, Le
nuove norme sulla revocatoria fallimentare, in Riv.dir.proc., 2005, 877.
21
Il primo problema interpretativo riguarda l’utilizzo del termine “rimessa”, parola genericamente
riconducibile ad ogni operazione che determini un accreditamento in conto corrente.
L’impossibilità di stabilire un’immediata equivalenza tra rimessa e pagamento ha fatto ritenere ad
alcuni interpreti che il legislatore si sia voluto discostare dal principio costantemente affermato
dalla giurisprudenza nella vigenza della precedente disciplina, secondo cui la revocabilità è
sempre stata associata non già alla mera rimessa ma solo alla rimessa avente natura solutoria72.
Secondo questa interpretazione, che è altresì, suffragata dal riferimento testuale alla “riduzione
dell’esposizione debitoria” - termine che secondo il corrente uso bancario, rappresenta il saldo
debitore onnicomprensivo e generico del cliente nel conto corrente -, la riforma avrebbe privato di
ogni rilevanza la distinzione fra conti passivi e conti scoperti, con la conseguenza che sarebbero
astrattamente revocabili tutte le rimesse anche se effettuate su un conto corrente passivo purché
abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti
della banca73.
Soluzione, quest’ultima, che semplificherebbe notevolmente il lavoro dell’interprete.
Invero, nella disciplina previgente le maggiori problematiche in tema di revocatoria di rimesse,
vertevano proprio sulla qualificazione degli affidamenti in termini d’apertura di credito in senso
tecnico, sulla prova della medesima attraverso la produzione di documenti opponibili alla
curatela, nonché sui criteri da applicare per la determinazione del saldo al fine di evidenziare
eventuali sconfinamenti.
Soluzione, quella appena riferita, che non appare però convincente, posto che le numerose
esenzioni introdotte dal nuovo terzo comma dell’art. 67 riguardano atti, pagamenti e garanzie che
ricadono nella sfera di previsione del secondo comma della norma.
Il terzo comma dell’art. 67 l. fall. è costruito quale eccezione al principio generale della
revocabilità dei pagamenti di cui si occupa il secondo comma, con la conseguenza che le rimesse
di cui alla lett. b) del comma 3 dell’art. 67 l. fall. sono revocabili solo ed in quanto abbiano natura
solutoria di pagamento, di mezzo di estinzione dell’obbligazione74.
Ne deriva, da una parte, che di revocabilità può parlarsi (come accadeva ed accade per la
disciplina previgente) solo nel caso di rimesse affluite su conti passivi non affidati o scoperti,
ovverosia eccedenti il limite dell’apertura di credito e, dall’altra, che le rimesse aventi le
accennate caratteristiche sono suscettibili di revoca nei limiti fissati in via generale per tutti i
pagamenti ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l.fall. : il curatore, cioè, deve provare che, al
momento della loro esecuzione, la banca conosceva lo stato d’insolvenza del cliente ed il periodo
sospetto è ridotto da un anno a sei mesi.
Interpretazione quest’ultima che consentirebbe quindi di recuperare gran parte dei principi
interpretativi elaborati dalla giurisprudenza a partire dalla nota sentenza 18.10.82, n. 5413 della
suprema corte anche per le revocatorie proposte dai fallimenti aperti dopo l’entrata in vigore del
d.l. 35/2005.
La rimessa “consistente”
In primo luogo va sottolineato come la lettera della norma non lasci dubbi circa il fatto che la
rimessa è revocabile non in quanto sia di per sé stessa consistente, ma in quanto abbia ridotto in
misura consistente l’esposizione debitoria.
72
Come ricorda M. Fabiani La revocatoria fallimentare “bonsai”.cit 3300..
In questo senso L. Guglielmucci, cit, p. 807,. per il quale “risulta ormai
priva di rilievo la distinzione fra rimesse su conto corrente passivo e
rimesse su conto corrente scoperto”; negli stessi termini S. Bonfatti, cit. p.
123; M. Farina, cit. p. 233.
74
In questi termini, Patti, cit. 240.
73
22
Il primo problema interpretativo che si pone è se tale consistente riduzione dell’esposizione
debitoria debba essere valutata in termini assoluti, o relativi.
In atre parole, se il giudice dovrà fissare un parametro assoluto oltre la cui soglia la riduzione è
consistente, ovvero dovrà verificare la consistenza della rimessa in relazione all’entità
complessiva della esposizione debitoria.
Nei primi contributi prevale decisamente quest’ultima interpretazione75, che però non risolve tutti
i numerosi dubbi generati dall’utilizzo di quest’aggettivo di incerto significato.
Invero, pur assodato che la riduzione andrà valutata in termini percentuali, quale parametro
quantitativo il giudice adotterà per qualificare tale riduzione percentuale come consistente?
Di certo non potrà essere utilizzata la soglia del 25% adottata dal legislatore nel primo comma, n.
1) per gli atti sproporzionati, dato che tale percentuale è basata sostanzialmente sull’orientamento
adottato dalla giurisprudenza con riferimento alla vecchia formulazione della norma, orientamento
che in passato segnava il confine, il discrimine fra l’atto normale e quello anomalo76.
Giudizio di valore, dunque, non equiparabile a quello che passa tra l’atto (la rimessa) poco
consistente e quella consistente.
In definitiva, pur riconoscendo che ad oggi non è ancora possibile prevedere con esattezza quale
sarà l’orientamento della giurisprudenza sul punto, può sostenersi che la percentuale minima per
definire una rimessa “consistente” potrà situarsi sicuramente in una fascia inferiore, stimabile
nell’ordine di una riduzione del 10-15% dell’esposizione debitoria.
Secondo alcuni autori la misurazione dovrà essere effettuata non con riferimento alla singola
rimessa ma, bensì, alla luce del risultato solutorio finale77.
Interpretazione quest’ultima che prende spunto dall’art. 70 terzo comma l. fall.
In questa prospettiva l’art. 70 terzo comma, l.fall., che recepisce sostanzialmente la teoria del c.d.
“massimo scoperto”, non avrebbe la funzione di derogare all’art. 67, terzo comma, lett. b),
limitando i suoi effetti restitutori, ma quella di attribuire rilevanza, ai fini della definizione della
consistente e durevole riduzione dell’esposizione debitoria, al solo momento conclusivo del
rapporto, cioè al saldo finale, indipendentemente ed a prescindere dai movimenti verificatisi nel
semestre sul conto corrente.
Con la conseguenza che la consistenza e la durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria
andrebbero valutate con riferimento alla sommatoria di tutte le rimesse effettuate nel periodo
sospetto.
Interpretazione che non risulta convincente sia perché la collocazione sistematica dell’art. 67,
terzo comma, l. fall., rende tuttora evidente che oggetto di revoca devono essere i pagamenti e non
una differenza contabile, sia perché essa andrebbe a svuotare sostanzialmente di significato
l’ulteriore requisito indicato dalla norma. Invero, una misurazione ex post alla luce del risultato
solutorio finale finirebbe per risolversi esclusivamente in una valutazione per stabilire una soglia
percentuale sotto la quale le rimesse non sarebbero esenti da revocatoria, in quanto il credito della
banca non sarebbe stato ridotto in misura consistente.
La definizione del concetto di esposizione debitoria discende ovviamente da quello di rimessa, nel
senso che ove si ritenga superata la distinzione tra rimesse di natura solutoria e rimesse di natura
75
In questi termini Gio. Tarzia, op cit., 841; A. Silvestrini, op. cit. 846.
Come correttamente sottolinea M. Fabiani La revocatoria fallimentare
“bonsai”.cit 3300.
77
In questi termini A. Silvestrini, op. cit., 847 secondo cui il legislatore
ha inteso collegare la consistente e durevole riduzione dell’esposizione
debitoria “..a tutte le rimesse effettuate in periodo sospetto, attribuendo
rilievo soltanto al saldo finale, in modo da sterilizzare le oscillazioni
verificatesi ne conto corrente”.
76
23
ripristinatoria il termine di raffronto per determinare la consistenza dell’accredito sarà il saldo
debitore onnicomprensivo e generico del cliente nel conto corrente.
Venendo poi all’esame dell’elemento temporale, la consistenza va valutata con riferimento
all’esposizione debitoria del momento in cui avviene l’accredito, a quella media del periodo
“sospetto” e quindi dei sei mesi dalla dichiarazione di fallimento, ovvero a quella media di tutta la
durata del rapporto contrattuale di conto corrente?
Un interpretazione che valuti tale requisito alla luce dell’esposizione debitoria media durante tutto
il rapporto contrattuale appare più rispondente all’esigenza di attribuire significativa affidabilità a
tale parametro di confronto, ed è l’unica in grado di evidenziare eventuali scostamenti dalla
normale esecuzione del rapporto, dato che, come è noto, l’andamento del conto corrente negli
ultimi mesi ante fallimento è spesso ben diverso da quello “ordinario”. Un’interpretazione
strettamente letterale farebbe invece propendere per l’esame della sola esposizione debitoria del
momento in cui avviene la rimessa.
La rimessa “consistente” e “durevole”
Il legislatore ha inserito nell’art. 67 comma 3 lett. b) un ulteriore aggettivo per definire la rimessa
astrattamente revocabile.
Un requisito temporale per cui la rimessa deve aver determinato una riduzione durevole
dell’esposizione debitoria.
Le norme sulla revocatoria fallimentare contengono solamente un altro riferimento ad un
elemento temporale, vale a dire quello relativo alla contestualità della costituzione della garanzia
con il credito garantito78.
Invero, nell’ambito della revocatoria degli atti costitutivi di un diritto di prelazione, secondo il
pressoché dominante orientamento giurisprudenziale, la contestualità va intesa non come
contemporaneità o simultaneità cronologica, bensì come simultaneità logico-volitiva, nel senso
che l'obbligazione principale e quella garantita devono risultare essere state contemporaneamente
volute dalle parti nel contesto della regolamentazione di un determinato rapporto patrimoniale,
pur se poste in essere con atti separati (cfr. ed esempio Cass. 24-2-2004, n. 3615).
Principio interpretativo che traslato in ambito di revocatoria di rimesse si ricollega logicamente a
quello delle c.d. operazioni bilanciate, in cui la irrevocabilità dell’accredito non è determinata
soltanto dalla contemporaneità o simultaneità cronologica con il successivo addebito, piuttosto
quanto dal nesso teleologico fra rimessa ed addebito medesimo.
In altre parole il legislatore avrebbe voluto introdurre una specifica esenzione per tali operazioni,
liberando la banca da quella prova rigorosa sovente richiesta dai giudici, ovverosia che la
provvista versata sia destinata dal cliente all’immediato prelievo e per un fine specifico e ben
determinato.
Prova necessaria in quanto la regola che si trae dal combinato disposto degli articoli 1720 e 1852
c.c. e dall’art. 6 delle norme bancarie uniformi è quella secondo cui la banca imputa ogni rimessa
ad estinzione del proprio credito.
Prova spesso quasi impossibile per la banca dato che la posizione di terzietà processuale del
curatore imponeva (ed impone) altresì la prova scritta con data certa.
Con tale innovazione legislativa verrebbero superate le suesposte difficoltà probatorie e quindi
generalizzata e positivizzata l’irrevocabilità di tutte le operazioni di accredito seguite da speculari
operazioni di addebito.
Assurgerebbe a principio legislativo la netta distinzione fissata dalla giurisprudenza tra la
funzione creditizia della banca e quella di cassa, quella di mero intermediario incaricato dal
cliente di effettuare determinati pagamenti. Distinzione riconducibile alla natura stessa della
78
Come osservato da Patti, cit. 241.
24
rimessa, che in caso di operazioni bilanciate non ha carattere solutorio in quanto non vi è alcun
rientro per la banca, essendo il versamento finalizzato concordemente non già a ripianare, in tutto
o in parte, il conto, ma a costituire una specifica provvista in funzione dell’ordine ricevuto ed
accettato.
Si avrà riduzione non durevole dell’esposizione debitoria non soltanto nel caso in cui vi sia
completa identità tra accredito ed addebito sotto il profilo quantitativo e contestualità della data
delle opposte appostazioni, ma anche nell’ipotesi in cui dalla semplice lettura dell’estratto conto
si evinca il succedersi di due operazioni di segno opposto.
L’esenzione si estenderà quindi in forza di legge anche nel caso di operazioni, che sia pur
quantitativamente non esattamente coincidenti col pregresso versamento, si siano succedute in un
arco di tempo ragionevole, con un utilizzo della provvista destinata a consentire all’impresa di
operare con i terzi.
Non potrebbe più quindi, ad esempio, essere negata la natura non durevole di una rimessa
effettuata con presentazione di effetti per 150.000,00 euro seguita dopo qualche giorno da un
bonifico di 120.000,00 euro a favore di un terzo.
Fattispecie simile a quella esaminata dalla suprema corte nella vigenza della precedente
disciplina, la quale aveva negato a tale operazione natura di operazione bilanciata perché mancava
l’identità quantitativa tra accredito ed addebito, l’identità di disponibilità perché le valute erano
diverse e la prova del collegamento funzionale tra le due operazioni (Cass. 19.11.2003, n. 17543).
In quest’ottica appare evidente come l’esenzione si applichi (ma non si limiti) innanzitutto alle
operazioni infragiornaliere, cioè alle rimesse effettuate nell’arco della medesima giornata in cui
siano registrate successivamente anche operazioni in addebito.
Secondo un autorevole interpretazione l’esenzione riguarderebbe anche le rimesse solutorie di
modesto ammontare erogate in vista del futuro ma prevedibile accredito di somme destinate a
ridurre l’esposizione nei limiti del fido giacché, in effetti in questi casi, la banca non eroga, dal
punto di vista sostanziale, ulteriore credito al cliente, che supera il fido accordato soltanto per un
breve lasso di tempo, in attesa che venga contabilizzata ulteriore provvista, già considerata dalla
banca nel momento in cui consente lo sconfinamento oltre il fido79.
Vi è da chiedersi se in questa prospettiva l’esenzione possa comprendere anche tutte le rimesse
rappresentate da anticipazioni su crediti, anticipazioni sulla garanzia impropria costituita da
documenti commerciali ove il rientro, evento futuro ma prevedibile, conseguente al pagamento
del terzo “chiude” quella specifica operazione d’anticipo e ne determina l’estinzione. Questa
interpretazione, per cui le rimesse (equiparate espressamente dal legislatore ai pagamenti di debiti
liquidi ed esigibili) effettuate su un conto scoperto non sono oggettivamente revocabili solo in
quanto non hanno carattere solutorio, essendo il versamento finalizzato concordemente non già a
ripianare, in tutto o in parte, il conto, ma a costituire una specifica provvista in funzione
dell’ordine ricevuto ed accettato appare altresì l’unica che renda compatibile la norma con
l’art.117 t.u.b. laddove è stabilito che i contratti bancari devono essere redatti, a pena di nullità,
per iscritto. Invero, ogni altra interpretazione del requisito prescritto dall’esenzione dalla
revocatoria comporterebbe il riconoscimento, nel diritto positivo, della tollerabilità dello scoperto
bancario, in barba, ripetesi, al richiamato art. 117 t.u.b. (salvo che si ritenga che il legislatore
abbia proprio voluto derogare a tale norma del t.u.b.).
Problematica superata ove si ritenga non necessario ad integrare la fattispecie l’effetto solutorio
della rimessa e che quindi il legislatore abbia inteso riferirsi a tutte le rimesse anche se effettuate
su un conto corrente passivo. Secondo una diversa interpretazione il termine durevole
esprimerebbe, invece, un valore assoluto, e sarebbe sinonimo di definitivo80.
79
80
In questi termini G. Bozza La revocatoria riformata, in www.Fallco.it.
In questi termin Gio. Tarzia, cit., 841.
25
La riduzione per essere durevole dovrebbe dunque protrarsi sino alla fine del rapporto di conto
corrente.
In definitiva solo ove non vi fossero operazioni in addebito dopo la rimessa, la riduzione
dell’esposizione potrebbe essere reputata durevole.
Interpretazione non condivisibile sia perché frutto di una notevole forzatura del dato letterale, sia
perché determinerebbe seri problemi di coordinamento con la successiva statuizione del nuovo
art. 70, che verrebbe in sostanza ad essere privato di ogni significato, dato che un limite
restitutorio, una regola limitatrice hanno senso solo ove collegati alle oscillazioni di un rapporto
di conto corrente bancario, normalmente connotato da una pluralità di movimentazione di segno
opposto, con continui versamenti e prelievi. Sempre nel solco di tale orientamento si è ipotizzato
che sarebbero invece durevoli i soli versamenti intervenuti su un conto passivo chiuso o,
comunque, bloccato o congelato o privo d’elasticità, in quanto il dato essenziale della fattispecie
sarebbe costituito dalla mancanza, in diritto od in fatto, di una capacità repristinatoria della
provvista.
Una diversa, ulteriore soluzione, poi, individua nell’aggettivo durevole un valore relativo, da
porre in relazione con il fattore temporale della durata del rapporto.
Impostazione che paga lo scotto dell’assoluta mancanza di criteri di riferimento per distinguere un
effetto solutorio durevole da uno non durevole, sia con riferimento alla percentuale minima di
durata della rimessa, sia con riferimento al periodo di riferimento, non essendo chiaro se l’arco
temporale di raffronto sia quello esposto alla potenziale revocatoria o tutta la durata del rapporto
contrattuale.
Ove prevalesse quest’ultima interpretazione sarebbe comunque opportuno fissare la soglia
minima per definire una rimessa “durevole” in armonia con quanto verrà a stabilirsi con
riferimento alla percentuale minima per definire una rimessa “consistente”, prendendo come
riferimento lo stesso arco temporale.
ONERE PROBATORIO
Nella vigenza della precedente disciplina, come è noto, al curatore spettava l’onere di provare
l’esistenza delle rimesse, la sua effettuazione nel periodo sospetto e la conoscenza dello stato
d’insolvenza da parte della banca.
Onere probatorio basato sul generale principio stabilito dall’art. 2697 c.c. che viene ad essere
quasi sovvertito dalla riforma. Il nuovo comma 3 lett. b) dell’art. 67 l.f. pur costruito
sistematicamente, come detto, come un’eccezione in antitesi alla generale regola della
revocabilità dei pagamenti, contiene a sua volta, dal punto di vista sostanziale una regola
generale, quella dell’esonero da revocabilità delle rimesse in conto corrente ed un’eccezione,
quella che ammette la revocabilità purché esse abbiano ridotto in maniera consistente e durevole
l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Ne deriva un diverso onere probatorio
per le parti: la banca dovrà eccepire l’esistenza dell’esenzione, mentre la curatela, a sua volta
dovrà provare la non operatività dell’esenzione per avere le rimesse ridotto in maniera consistente
e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.
Dal punto di vista processuale l’eccezione della banca, è da considerarsi eccezione in senso
stretto, in quanto nella piena disponibilità della parte, mentre la caratteristica delle rimesse
(consistente e durevole) è uno dei fatti costitutivi della domanda con quel che ne deriva con
riferimento all’onere di allegazione ed ai termini di preclusione per la loro proposizione. Ove si
acceda alla preferibile opinione per cui sarà ammissibile la revocatoria delle sole rimesse affluite
su un conto “scoperto” la banca avrà ancora l’onere probatorio di eccepire la natura non solutoria
dell’accredito.
Sia in forza del richiamato generale principio dell’art. 2697 c.c. (conclusione rafforzata dalla
considerazione che la natura di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili delle rimesse in conto
corrente è ora riconosciuta dal legislatore) sia perché in base all’art.117 t.u.b. n.385/1993 i
26
rapporti contrattuali con gli istituti di credito devono essere redatti per iscritto a pena di nullità,
per cui la banca deve fornire la prova del contratto di apertura di credito stipulato per iscritto e,
poiché il contratto è rappresentato da un documento e la curatela assume la posizione di terzo,
deve anche fornire la prova della sua opponibilità al fallimento, della sua data certa anteriore alla
dichiarazione di fallimento. Parimenti, ovviamente, il curatore avrà ancora l’onere probatorio di
dimostrare il compimento dell’atto nel periodo sospetto e la scientia decoctionis della banca.
A revocatoria di rimesse in conto corrente è stata ulteriormente depotenziata dalla previsione
dell’art. 70 l.fall.
l’art. 70 segna il limite massimo di restituzione di importi, anche considerando la collocazione del
principio nella norma che regola gli effetti dell’azione.
Così si assiste ad una dissociazione fra pronuncia di inefficacia e pronuncia restitutoriacondannatoria; è una novità a livello di diritto positivo, ma non lo è affatto a livello di diritto
vivente; basta pensare alle pronunce in tema di inefficacia della datio in solutum e alla condanna
alla restituzione di una somma pari al valore del bene.
X. (Segue) Il Piano attestato di risanamento
L’unico effetto ricollegabile al piano attestato di risanameto è proprio quello dell’esenzione da
revocatoria degli atti posti in essere in sua esecuzione81.
Dal punto di vista soggettivo la portata dell’esenzione è limitata agli atti posti in essere dal
debitore, anche nell’ipotesi che il piano preveda, per la sua realizzazione, anche atti di terzi, dato
che il beneficio è concesso dal legislatore proprio in considerazione della coerenza degli atti con il
progetto di risanamento dell’impresa, risanamento che riguarda esclusivamente il debitore
medesimo82.
Dal punto di vista oggettivo diversa si presenta l’enunciazione degli atti assistiti da tale beneficio,
rispetto a quello previsto per gli accordi di ristrutturazione omologati, in quanto in questo caso
l’esenzione è circoscritta, tra le altre, alle “garanzie concesse su beni del debitore”.
In primo luogo va sottolineato che la diversa disciplina riservata alle garanzie concesse in
esecuzione degli accordi di ristrutturazione non può riferirsi a garanzie concesse da soggetti
diversi dal debitore (reali o personali che siano), dato che la loro intangibilità non ha certo
bisogno di una espressa previsione.
Una prima lettura che si fermi al (peraltro inequivoco) dato letterale deve far a ritenere che il
legislatore con l’espressione “garanzie concesse su beni del debitore” abbia voluto limitare il
novero delle garanzie cui il debitore può efficacemente far ricorso nella predisposizione e
nell’esecuzione del piano a quelle reali, escludendo dall’esenzione quelle concesse coinvolgendo
la generica responsabilità patrimoniale del debitore medesimo, quale, ad esempio, la fideiussione.
81
Secondo Panzani, Il d.l. 35/2005 e la riforma della legge fallimentare, in
www.fallimentoonline.it, p. 19, il piano, o più propriamente, l’attestazione
di ragionevolezza dell’esperto avrebbe un altro effetto: quello di escludere
la responsabilità della banca per abusiva concessione di credito, salvo
l’ipotesi del dolo. Interpretazione che non pare del tutto convincente in
quanto la responsabilità della banca non può essere esclusa a priori in base
alla mera sussistenza dell’attestazione dell’esperto, ma va valutata al
momento dell’erogazione del credito, alla perdurante ragionevolezza del piano.
82
In questi termini Ferro Il piano attestato di risanamento, cit., p. 475, il
quale sottolinea altresì come la stessa norma inerisca alla regolazione degli
effetti dell’insolvenza sugli atti pregiudizievoli ai creditori del solo
debitore insolvente e non di terzi che ne abbiano eventualmente assecondato un
tentativo di risanamento.
27
Secondo una diversa lettura l’espressione “garanzie concesse su beni del debitore” si ricollega alla
costituzione da parte dell’imprenditore in crisi di garanzie reali o personali per debiti altrui83,
garanzie per debiti altrui escluse, in questa lettura, dal beneficio dell’esenzione da revocatoria,
esclusione che appare, anch’essa, espressione di un perdurante favor legislativo riservato agli
accordi (totalmente o parzialmente) giudiziali rispetto agli accordi stragiudiziali 84.
XI. (Segue) Accordi di ristrutturazione dei debiti
Ai sensi del novellato art. 67 comma 3, lett. e) non sono soggetti all’azione revocatoria gli atti, i
pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo
182-bis l.fall.
In primo luogo l’ambito di applicazione dell’esenzione è limitata agli atti posti in essere dal
debitore, pur nell’ipotesi che l’accordo preveda, per la sua realizzazione, anche il compimento di
atti da parte di terzi, dato che il beneficio è concesso dal legislatore proprio in considerazione
della coerenza degli atti con l’accordo di ristrutturazione dei debiti, ristrutturazione che riguarda
esclusivamente il debitore medesimo.
Inoltre appare evidente come l’esenzione sia inserita in una disposizione differente da quella che
disciplina la fattispecie degli accordi, in un articolo che concerne la regolazione degli effetti
dell’insolvenza sugli atti pregiudizievoli ai creditori del solo debitore insolvente e non di terzi che
abbiano eventualmente partecipato all’accordo.
Non tutti gli atti posti in essere dal debitore in crisi dopo l’omologazione dell’accordo godono
quindi dell’effetto protettivo previsto dalla norma, ma soltanto quelli direttamente esecutivi
dell’accordo medesimo.
Il che evidenzia, come detto, la necessità che il tribunale vagli la sufficiente analiticità dello
stesso, onde non vanificare una precisa scelta del legislatore: quella di ricollegare gli effetti
protettivi non soltanto ad un momento temporale (il periodo successivo all’omologa) quanto
piuttosto ad un rapporto funzionale, all’esistenza di un collegamento genetico tra l’accordo e l’atto
esentato da revocatoria.
Esenzione collegata all’omologa del tribunale: il legislatore ha voluto ancorare al decreto emesso
al termine del giudizio l’irreversibilità dei pagamenti eseguiti in forza dell’accordo, ad un decreto,
si badi bene non ancora definitivo, dato che avverso la decisione del tribunale è sempre
proponibile il reclamo alla corte d’appello ex art. 739 c.p.c.
Secondo una diversa impostazione l’esenzione riguarderebbe tutti gli atti esecutivi dell’accordo
successivi al deposito presso il registro delle imprese con la conseguenza che l’omologazione
avrebbe, a tali fini, un effetto retroattivo, in quanto assicurerebbe un regime di immunità dalla
revocatoria anche ad atti, pagamenti e garanzie anteriori al giudizio85.
Successivamente all’omologa l’accordo potrebbe rivelarsi non più attuabile: quale è quindi la
sorte degli atti esecutivi posti in essere dopo tale momento?
83
In questo senso Bonfatti-Censoni,
La riforma della disciplina dell’azione
revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione,cit., p., 302.
84
In questi termini D’Ambrosio Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), cit., p.
991.
85
In questi termini, D’Ambrosio, Art. 67 3° co., lett. d), e) g), in Il nuovo
diritto fallimentare, (diretto da) A. Jorio e (coordinato da) M. Fabiani,
Bologna, 2006, p. 998; Coppola, L’accordo per la ristrutturazione dei debiti,
cit., p. 303.
28
L’esistenza (a differenza di quel che accade nel piano di risanamento) di un vaglio giudiziario, di
un giudizio di omologa deve far ritenere che i terzi non siano successivamente onerati dall’obbligo
di una verifica sulla persistenza dei requisiti di attuabilità dell’accordo.
Ne deriva che nel successivo giudizio revocatorio il convenuto potrà paralizzare la pretesa attorea
semplicemente eccependo che il pagamento ricevuto costituisce un atto esecutivo dell’accordo
omologato.
Eccezione che potrà essere superata soltanto ove il curatore provi l’eventuale dolosa, fraudolenta
collusione tra debitore e terzo beneficiario dell’atto86.
Con riferimento al diverso profilo, quello dell’individuazione degli atti sottratti all’azione
revocatoria, l’ampia e generica espressione utilizzata lascia intendere che tutti gli atti posti in
essere dal debitore volti all’esecuzione dell’accordo omologato rientrino in tale esenzione, e ciò a
prescindere dal beneficiario finale dell’atto, godendo di tale beneficio anche i soggetti che non
hanno partecipato all’accordo, primi fra tutti i creditori estranei.
I pagamenti eseguiti dal debitore prima dell’omologa sono sottratti alla nuova condizione di
esonero dell’art. 67 comma 3, lett.e) l.fall.
A fronte dell’evidente difficoltà che tale previsione può comportare in termini di aggravamento
della crisi determinato da un arresto temporaneo delle relazioni commerciali e finanziarie, vi è chi
ha intravisto un possibile rimedio, volto a garantire protezione agli atti precedenti
all’omologazione posti in essere in funzione del superamento della crisi d’impresa, nella saldatura
di tale rimedio con l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. d)87.
XII. Gli effetti della revocazione
Per quanto attiene agli effetti della revocazione nulla è mutato con la riforma sul consolidato
orientamento giurisprudenziale, secondo cui il diritto all’ammissione al passivo del soccombente
nell’azione revocatoria deriva non dalla sentenza di revoca, bensì dall’effettiva restituzione, con
la conseguenza che l’ammissione al passivo non è automatica, dovendo essere effettuata dal
soccombente stesso con il solo mezzo dell’insinuazione al passivo, in via tardiva se necessario.
Per il resto, permangono immutate le ben note problematiche formatesi nel vigore del vecchio art.
71.
Le principali novità dell’art. 70 l.fall. riguardano il 1° ed il 3° comma.
Il 1° comma introduce una ulteriore causa di esenzione dalla revocatoria, nel senso che, in
presenza di un rapporto definibile “trilaterale”, l’eventuale azione revocatoria deve essere rivolta
nei confronti del destinatario della prestazione e non nei confronti dell’immediato percettore.
Questa disciplina di particolare favore per l’intermediario specializzato, per le società fiduciarie e
per gli altri soggetti che possono essere parti nella procedura di compensazione multilaterale, crea
non poche difficoltà pratiche perchè se la revocatoria si esercita e produce effetti nei confronti del
destinatario finale della prestazione, la scientia decoctionis dovrà essere dimostrata nei confronti
di quest’ultimo, operazione indubbiamente difficile alla luce del fatto che i rapporti tra solvens ed
accipiens si svolgono per il tramite dell’intermediario.
86
Secondo Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, cit.,
p. 168, la prova della frode del creditore va intesa in modo estensivo “così
da
ricomprendere
altresì
gli
stati
soggettivi
di
consapevolezza
dell’insolvenza irrimediabile, e dell’inattualità del piano”.
87
In questo senso Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione
revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione, Padova, 2006, p. 313.
29
Con riferimento al terzo comma la lettera della legge fa riferimento agli «atti estintivi di rapporti
continuativi» e non agli atti estintivi di obbligazioni; si individua, poi, l’oggetto della restituzione
in una somma pari alla differenza tra ammontare massimo delle pretese e ammontare residuo.
Ed ancora anche se la norma è sicuramente applicabile proprio alle rimesse, si tratta di trovare un
coordinamento con l’art. 67, 3 comma, lett. b.
A seguito della novella del 2007 non vi sono dubbi che tale coordinamento risiede nel fatto che
l’art. 67 disciplina le fattispecie in cui la rimessa può essere dichiarata inefficace, ma la
restituzione da parte della banca non può oltrepassare l’importo dato dal criterio differenziale.
Giovanni Battista Nardecchia
Magistrato in Como
30
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE
Vincenzo
- Presidente Aggiunto Dott. PRESTIPINO Giovanni
- Presidente di sezione Dott. MORELLI
Mario Rosario
- Consigliere Dott. GRAZIADEI
Giulio
- Consigliere Dott. VIDIRI
Guido
- Consigliere Dott. BONOMO
Massimo
- Consigliere Dott. BERRUTI
Giuseppe Maria
- rel. Consigliere Dott. BUCCIANTE
Ettore
- Consigliere Dott. BOTTA
Raffaele
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO ITALSEMOLE S.R.L., in persona del Curatore pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio
dell'avvocato STANISLAO AURELI, rappresentato e difeso dall'avvocato
INZITARI BRUNO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente contro
BANCA ROMA S.P.A. (ora CAPITALIA S.P.A.);
- intimata e sul 2^ ricorso n. 05430/03 proposto da:
CAPITALIA S.P.A. - CAPOGRUPPO DEL GRUPPO BANCARIO CAPITALIA (già
BANCA DI ROMA S.P.A.), in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 6, presso lo
studio dell'avvocato ALESSI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende,
giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
FALLIMENTO ITALSEMOLE S.R.L., in persona del Curatore pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIACO 8, presso lo studio
dell'avvocato STANISLAO AURELI, rappresentato e difeso dall'avvocato
BRUNO INZITARI, giusta delega a margine del controricorso al ricorso
incidentale;
- controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 930/02 della Corte d'Appello di BARI,
depositata il 04/11/2002;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
16/02/2006 dal Consigliere Giuseppe Maria BERRUTI;
uditi gli avvocati Bruno INZITARI, Giuseppe ALESSI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI
Domenico che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso
principale, accoglimento del secondo motivo, rinvio per il resto ad
una sezione semplice.
Fatto
31
Con citazione del 5 settembre 1999 il fallimento srl Italsemole, in persona del curatore conveniva
davanti al Tribunale di Foggia la spa Banca di Roma per sentirla condannare in suo favore al
risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in ragione della abusiva concessione di credito
alla srl predetta, quando era in bonis, in quanto effettuata in presenza di elementi tali da doverne
far riconoscere la situazione di impresa insolvente. Precisava che il credito così concesso aveva
tenuto artificiosamente in vita la srl, suscitando nel mercato la falsa opinione che si trattasse di
impresa economicamente valida.La banca convenuta si costituiva e resisteva eccependo anzitutto
la nullità della citazione, l'incompetenza del Tribunale adito, la carenza di legittimazione attiva
del curatore per esservi quella dei singoli creditori danneggiati dal preteso illecito, e la
prescrizione quinquennale dell'azione. Quindi, quanto alle azioni revocatorie ne eccepiva la
inammissibilità per superamento del periodo sospetto, che a suo avviso andava calcolato dalla
sentenza del Tribunale di Foggia senza che dovesse darsi alcun rilievo a quella antecedente del
Tribunale di Nola, cassata dalla Corte Suprema che aveva dichiarato la competenza del Tribunale
pugliese. Ne eccepiva altresì il difetto di interesse con riferimento alla domanda risarcitoria il cui
accoglimento
avrebbe
soddisfatto
interamente
i
creditori.
Il Tribunale di Foggia con sentenza n. 898 del 2001, non definitiva, rigettava le domande
revocatorie per superamento del periodo previsto dalla legge; affermava la propria competenza
territoriale sulla domanda risarcitoria della Curatela nonchè la legittimazione attiva della stessa, e
rigettava la relativa eccezione di prescrizione.La Banca di Roma proponeva regolamento
facoltativo di competenza e la Corte di Cassazione con ordinanza n. 1236 del 2001 confermava la
competenza territoriale del Tribunale di Foggia ex art. 20 c.p.c., pur escludendo quella ex art. 24
L.
Fall..
La banca proponeva anche appello al quale resisteva il fallimento che proponeva a sua vola
appello incidentale. La Corte di Bari, respinta la reiterata eccezione di nullità della citazione, in
parziale riforma della prima sentenza dichiarava il difetto di legittimazione attiva del curatore
fallimentare a proporre l'azione risarcitoria, fondata l'eccezione di prescrizione della domanda
stessa ed infondata l'eccezione di inammissibilità dell'azione revocatoria dovendosi il periodo
sospetto calcolare avendo riguardo alla sola sentenza del Tribunale di Foggia e non anche a
quella, cassata, del Tribunale di Nola, giacchè ciò avrebbe dato luogo a due distinti periodi
sospetti. Per quanto soprattutto attiene all'odierno giudizio, riteneva, aderendo alla pronuncia della
Corte di Cassazione resa nelle citata ordinanza n. 12368 del 2001 che l'azione aquiliana in parola
non costituisse azione di massa, in quanto la parte danneggiata dalla abusiva concessione del
credito bancario non si identifica con la collettività dei creditori ma con ciascuno di essi, cosicchè
rispetto ad ognuno dei pretesi danneggiati occorre valutare, caso per caso, la sussistenza
dell'illecito e del pregiudizio. Rilevava in proposito che la curatela non aveva allegato un
pregiudizio risentito dall'intero ceto creditorio dal momento che la domanda identificava il danno
risarcibile nella differenza tra le attività fallimentari e le passività nei confronti di soggetti diversi
dalle banche, tra i quali soli dunque andrebbe suddiviso il risultato dell'eventuale esito favorevole
della azione risarcitoria.La Corte barese negava che al curatore si possa riconoscere un generale
potere di rappresentante dei dritti dei creditori del fallimento e, al di fuori dello strumento della
revocatoria, quello di far valere in nome loro la eventuale responsabilità di terziRiteneva quindi
che l'azione in parola fosse da assimilarsi a quella di cui all'art. 2395 c.c. e che fosse pertanto
ininfluente ogni riferimento all'art. 146 L. Fall., per pervenire alla affermazione della
legittimazione di cui si tratta, e negava la applicabilità alla vicenda della previsione dell'art. 240
L. Fall..Quanto alla eccepita prescrizione delle azioni proposte dalla curatela riteneva che il
decorso del relativo periodo si doveva considerare iniziato già alla data del 30 luglio 1994, nella
quale le banche non approvarono il piano di rientro presentato dalla impresa, giacchè da tale
evento, molto pubblicizzato, i creditori non potettero dedurre la solvibilità della stessa.Contro
questa sentenza vi è ricorso per Cassazione da parte della curatela del fallimento con quattro
motivi. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato la Banca di Roma,
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ora Capitalia s.p.a.. Resiste al ricorso incidentale condizionato con altro controricorso la Curatela
del fallimento. Le parti hanno depositato memorie.La causa è stata rimessa all'esame di queste
Sezioni Unite per la soluzione della questione di massima di particolare importanza relativa alla
legittimazione attiva del curatore fallimentare.
Diritto
1.1 ricorsi vanno preliminarmente riuniti.2. Vanno esaminati, prima del ricorso principale, il
primo ed altresì il secondo motivo del ricorso incidentale, ancorchè questo sia espressamente
condizionato all'accoglimento del principale, giacchè con essi la Banca propone questioni
pregiudiziali di rito che incidono su quella di massima il cui esame è stato demandato a queste
Sezioni Unite.2.a. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca lamenta il mancato esame
da parte della Corte Barese di un motivo di appello da essa proposto relativo alla già eccepita
incompetenza del Tribunale di Foggia.2.b. Osserva il collegio che la sentenza impugnata, sia pure
senza farne un capo di decisione formalmente evidenziato, ha tuttavia trattato la questione ed ha
dato conto di avere esaminato la eccezione di incompetenza, rigettandola, rilevando che la
questione era stata risolta dalla ordinanza delle Sezioni Unite n. 12368 del 2001. In tal modo
dunque la Corte di merito ha anche motivato in ordine alla ritenuta competenza, giacchè ha
espressamente richiamato, condividendolo, il dictum delle Sezioni Unite.Il motivo è
infondato.2.c. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta il mancato rilievo della
nullità della domanda originaria di risarcimento dei danni da abusiva concessione del credito,
sotto il profilo della mancanza di specificazione. La citazione infatti, come la Corte Barese non ha
notato, non indicava i singoli finanziamenti che sarebbero stati effettuati commettendo
l'abuso.2.d. Osserva il collegio che la domanda della curatela è stata interpretata dalla Corte di
merito come fondata sulla allegazione di un complessivo comportamento professionale del
banchiere protratto per un certo periodo, il cui effetto è stata la produzione nel mercato della
percezione della impresa sovvenuta come ancora finanziatale. La domanda, rileva la sentenza
impugnata sul punto, si conclude con la richiesta di un risarcimento commisurato alle passività
bancarie complessive. Esattamente la Corte Barese ha ritenuto la domanda, così intesa, specificata
nei suoi elementi. La doglianza è dunque anch'essa infondata.3. Con il primo motivo del ricorso
principale la Curatela lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. nonchè la
motivazione insufficiente, contraddittoria ed omessa sul punto decisivo dell'affermata carenza di
legittimazione attiva del curatore a proporre l'azione risacitoria. Sostiene che siccome il curatore è
legittimato a proporre, quale avente causa dal fallito, ogni azione che questi avrebbe potuto
proporre, egli nella vicenda ha fatto valere per l'appunto un pregiudizio subito dalla Italsemole per
effetto della abusiva concessione di credito da parte della banca. Il valore economico di un
finanziamento secondo questa prospettazione è neutralizzato dal suo costo complessivo, cosicchè
esso assume rispetto al patrimonio del soggetto finanziato, un valore negativo. La condotta della
banca, illecita perchè connotata non già dal rispetto dei principi di sana e corretta gestione del
credito, ma invece diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore decotto, avrebbe
cagionato al patrimonio della società per l'appunto con i non dovuti finanziamenti un danno
diretto, il cui ristoro può essere chiesto dal curatore allo stesso titolo per il quale avrebbe potuto
chiederlo l'imprenditore danneggiato.3.a. Deve, a questo punto, essere esaminata l'eccezione di
inammissibilità del motivo, avanzata dalla banca resistente sotto il profilo della sua novità. La
banca infatti sostiene che la domanda risarcitoria era stata avanzata esclusivamente sotto il profilo
della spettanza al Curatore della tutela immediata dei diritti della massa e non dei diritti derivati al
creditore da pretese lesioni del patrimonio della società fallita.3.b. Osserva il collegio che la
citazione introduttiva del primo giudizio allega a fondamento della accusa di illecita concessione
di credito bancario, la direzione a mantenere "artificiosamente in vita" una impresa decotta,
"suscitando nel mercato la falsa opinione si trattasse di impresa economicamente valida". La
direzione a mantenere artificiosamente in vita l'impresa non è, in questa prospettazione,
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allegazione distinta da quella della produzione della falsa opinione del mercato, corrispondente
cioè a circostanza fattuale a sua volta distinta e capace di dare luogo ad evento ulteriore, come
sostiene la curatela rispondendo sul punto alla eccezione della banca. Essa è, piuttosto, il
presupposto della seconda. Si manteneva in via artificiosamente un' impresa che era insolvente e
con ciò appunto si suscitava nel mercato una errata percezione della sua realtà finanziaria ed
economica. Effetto questo che a sua volta conduceva i terzi a contrattare o a continuare a
contrattare con la società.Detta prospettazione unitaria della condotta della banca da parte della
Curatela, trova conferma nella sottolineatura di circostanze dalle, quali, secondo l'attrice, doveva
emergere una sorta di complicità tra i vertici della impresa ed i funzionari della banca, tendente a
rendere apparenti le istruttorie ed ad evitare che esse facessero emergere la vera situazione della
impresa. Attività scorretta che peraltro nello stesso atto introduttivo viene attribuita all'intero ceto
bancario interessato e che viene valutata come estesa a tutto il gruppo Casillo del quale la srl
Italsemole era componente.Siffatta impostazione della domanda, e dunque la causa pretendi, si
riflette sul petitum. Tant'è che la domanda risarcitoria viene specificata in citazione
nell'ammontare delle passività non bancarie della fallita, detratte le attività.Infatti, in assoluta
coerenza alla predetta interpretazione della domanda la sentenza impugnata a foglio 13 e 14 rileva
la novità della prospettazione della curatela secondo la quale il diritto leso consisteva anche nella
impossibilità nella quale la fallita società era stata messa relativamente all'esercizio delle azioni
revocatorie e ritiene di non poterla esaminare. Ciò in quanto, appunto, l'azione originariamente
esercitata dal curatore era relativa alla tutela della massa dei creditori, lesi da una attività bancaria
che li aveva indotti a ritenere, tutti indistintamente, effettivamente sussistente una organizzazione
di impresa che invece era una apparenza, frutto del predetto artificio finanziario.3.c. Va peraltro
osservato che il danno da abuso di credito cagionato nei confronti dei terzi, creditori inclusi, ha
natura aquiliana. Esso è il pregiudizio che segue alla insufficienza del riparto, pur dopo
l'esperimento delle azioni esecutive. Esso, diversamente dalla diminuzione che subisce il
patrimonio del creditore per effetto dell'inadempimento, risale anche alla attività di un soggetto
diverso dall'inadempiente, e richiede per il suo accertamento, prima ancora che per la sua
liquidazione, l'esperimento delle azioni, per l'appunto di massa, che tendono alla conservazione
della garanzia generica.Consegue che le due responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale
risalgono a fatti pregiudizievoli distinti ed autonomi, i quali possono dare luogo a distinti eventi
dannosi. La rispettiva allegazione in giudizio a fondamento della domanda risarcitoria, a
prescindere dalla questione della legittimazione a proporre quest'ultima, deve essere differenziata
non potendo l'una essere dedotta automaticamente dall'altra.In conclusione nella vicenda in esame
il dedotto danno al patrimonio della società non è mai stato allegato autonomamente, ma solo
quale indistinto elemento del danno alla massa. Un danno diretto ed immediato al patrimonio
della fallita, quale presupposto dell'azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del
fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne mai dedotto.La questione, come tale, è
nuova perchè avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile.4. Con il
secondo motivo di ricorso la Curatela del Fallimento lamenta la violazione degli artt. 2043, 1175,
1375, 2740, 2741 c.c., degli artt. 51 e 52 L. Fall., degli artt. 99 e 100 c.p.c., degli artt. 6 e 31 L.
Fall. nonchè la motivazione carente sul punto della legittimazione attiva del curatore fallimentare.
Sostiene che il comportamento della banca, contrario a correttezza e buona fede, ha leso il diritto
della massa alla realizzazione del credito nella esecuzione concorsuale. Sostiene che la banca con
l'allegato comportamento non solo ha violato i doveri del proprio stato, ma ha realizzato il proprio
interesse con il danno contemporaneo dei creditori della fallita diminuendo la soddisfazione che
questi avrebbero potuto realizzare attraverso il riparto. Ciò tanto con riferimento ai creditori
anteriori al compimento dell'illecito quanto a quelli successivi. Il motivo quindi rileva che la
banca ha operato perchè attraverso la abusiva concessione del credito venisse allargato il passivo,
così pregiudicando il patrimonio della fallita e facendo oggettivamente diminuire le quote spettati
ai partecipanti al riparto- L'iniziativa del curatore dunque sarebbe diretta a tutelare la intera massa
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al maggior riparto possibile. L'interesse della fallita alla conservazione del patrimonio e quello dei
creditori ad un più ampio riparto sarebbero coincidenti.4.a. Osserva il collegio che in via di
principio non si può ritenere, come sembra presupporre la ricorrente, che nel sistema fallimentare
il curatore sia titolare di un potere di rappresentanza di tutti i creditori, indistinto e generalizzato.
Il sistema piuttosto prevede che la funzione del curatore sia diretta a conservare il patrimonio del
debitore, garanzia del diritto del creditore, attraverso l'esercizio delle cosìdette azioni di massa,
dirette ad ottenere, nell'interesse del creditore, la ricostituzione del patrimonio predetto, come
avviene per l'appunto attraverso l'esercizio delle azioni revocatorie e surrogatorie. Tale principio
peraltro non è assoluto, come ancora pare ritenere il ricorrente, ma va armonizzato con quello
secondo il quale siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in
presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio
esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito, come avviene
mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c. (vedi cass. n. 18147 del 2002).Il quesito
sottoposto alla Corte è dunque se la azione di danno da abusiva concessione di credito possa
essere ritenuta azione di massa, nel senso precisato, con conseguente legittimazione attiva del
curatore fallimentare. La risposta, anche sulla scorta della dominante opinione scientifica, deve
essere negativa.4.b. L'azione di massa è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili
beneficiari del suo esito positivo. Essa nell'immediato perviene all'effetto di aumentare la massa
attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno.
Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore, inteso come sua garanzia
generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto.Non appartiene a tale novero di
azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad
uno o più creditori. Nè vi appartiene ogni azione che, per quanto diffusa possa essere una
specifica pretesa, necessita pur sempre dell'esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, non
essendo sufficiente ad assicurarne l'eventuale beneficio la mera appartenenza ad un ceto.4.c. Va
dunque anzitutto rilevato che l'azione risarcitoria di cui si tratta nella sua ontologia costituisce
strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, analogamente alle azioni che
traggono origine da atti degli amministratori della società fallita che danneggiano il terzo, ai sensi
dell'art. 2395 c.c..Il danno che deriva da siffatta attività andrà, comunque, caso per caso valutato
nella sua esistenza e nella sua entità, essendo ben ipotizzabile che creditori che pur hanno diritto
di partecipare al riparto non hanno titolo per il risarcimento di cui si tratta, non avendo ricevuto
danno dalla continuazione della attività di impresa.4.d. Inoltre la posizione dei singoli creditori
nei confronti di siffatta attività di sovvenimento abusivo dell'imprenditore si differenzia a seconda
che i crediti siano antecedenti oppure successivi alla stessa. La circostanza temporale infatti può
escludere oppure costituire il presupposto del pregiudizio, negando pertanto il carattere
indifferenziato che struttura l'azione di massa.Il creditore antecedente l'abusiva concessione del
credito avrà titolo a dolersi per la partecipazione al riparto, pur sempre all'esito delle azioni
conservative del patrimonio da ripartire, dei creditori successivi. Questi ultimi, invece,
esclusivamente dell'eventuale incapienza e per tale parte soltanto.4.e. Va ancora osservato,
sviluppando un argomento cui si è cennato innanzi ai soli fini processuali rilevanti nell'esame del
primo motivo, che la odierna ricorrente partecipò al contratto che dette luogo alla abusiva
concessione del credito. Essa dunque da quel contratto non trasse un credito nei confronti della
banca, oggi rivendicabile dal curatore. Piuttosto dette luogo, nella stessa costruzione proposta
dalla curatela, all'illecito di cui si discute.Dunque non può ragionarsi in termini di compensazione
delle colpe, come pretende la curatela, giacchè l'ipotesi di cui all'art. 1227 c.c., non può applicarsi
al caso in cui entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente, al medesimo illecito,
riguardando la norma codicistica la fattispecie nella quale distinte condotte, diversamente
efficienti a produrre l'evento di danno, ma tuttavia l'una avente titolo nella colpa, concorrono a
produrre l'evento pregiudizievole.Nelle vicenda in esame si ha che l'abuso del credito affermato si
è perfezionato mediante la conclusione di un contratto al quale la s.r.l. partecipò con i suoi organi,
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a tanto legittimati dai suoi statuti. Potrebbe, al più, ipotizzarsi una responsabilità di costoro per
mala gestio, ma questa esclude comunque l'azione risarcitoria di cui si tratta per la ragione che
alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente
potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attività infedele dei suoi
rappresentanti.Ragionare diversamente, pare il caso di osservare, vorrebbe dire ammettere che la
banca dopo di avere subito l'azione risarcitoria, e dunque avere conferito alla massa l'equivalente
del pregiudizio arrecato, possa poi, non essendo venuta meno la sua qualità di creditore del fallito,
partecipare al riparto della massa così costruita e riprendere quanto versato. Siffatto duplice
eventuale ruolo della banca, creditrice e insieme responsabile di un pregiudizio, viene
autorevolmente indicato in dottrina come ulteriore ragione di esclusione della legittimazione di
cui si tratta.4.f. Osserva ancora la Corte che la abusiva concessione del credito per perfezionarsi e
produrre pregiudizio, non deve essere collegata di necessità all'evento fallimento, come la
suggestiva prospettazione del ricorrente sembra supporre. Essa infatti rimane illecita e dunque
possibile fonte di pregiudizio aquiliano, ancorchè non venga seguita dal fallimento ed addirittura
prima ancora che questo si verifichi.Una concessione di credito estranea alle regole di corretta
amministrazione del medesimo, mantenendo artificialmente in vita una impresa quando essa
invece dovrebbe uscire dal mercato, le consente di continuare una concorrenza che altrimenti non
eserciterebbe. Con ciò essa, quale ne possa essere la sorte, produce danno di natura concorrenziale
al concorrente, il quale a prescindere dal fallimento, può esercitare azione risarcitoria nei
confronti della impresa stessa, oltre che della banca.Si deve dunque dedurre che l'effetto dannoso
della attività illecita di cui si tratta non è di necessità e dunque esclusivamente la erronea
percezione della solvibilità della impresa finanziata. Lo specifico effetto piuttosto è
potenzialmente plurimo, e dipende dalla relazione giuridica con il terzo danneggiato. Situazione
tutt'affatto estranea a quella caratterizzata dalla omogeneità delle azioni di massa.Nella fattispecie
in esame il fallimento della impresa abusivamente finanziata, come autorevole dottrina ha
chiarito, si pone che evento storico, non essenziale a renderla rilevante. Laddove invece, ad
esempio un pagamento effettuato con modalità anomale, rileva quale oggetto di una revocatoria
fallimentare, solo se è seguita dal fallimento.In questo senso peraltro deve essere intesa la
giurisprudenza della Corte di Cassazione che si è occupata dell'abuso del credito al fine di
determinare la competenza territoriale sulla relativa domanda (oltre alla già citata ord. n. 12369
del 2001, vedi la n. 13934 del 2003).Essa osserva che tale competenza si individua con
riferimento al luogo nel quale si è verificato l'evento dannoso, che on è costituito dal fallimento,
fatto estraneo alla struttura del danno, ma dall'aggravamento del dissesto economico della impresa
artificiosamente tenuta in vita. Evento che per l'appunto si realizza laddove essa svolge la sua
attività economica.4.g. Tale considerazione toglie utilità alla prospettazione ulteriormente
avanzata dalla ricorrente relativa alla piena coincidenza del pregiudizio alla massa con quello al
patrimonio della società, di cui s'è detto nel rilevare la inammissibilità quale motivo di ricorso, e
che viene in questa sede adoperata quelle argomentazione di rincalzo.4.h. Pare infine utile
precisare che la interpretazione che si è appena sostenuta è coerente con la linea di tendenza che
emerge dalle recenti riforme nella materia fallimentare (D.L. n. 35 del 2005, L. n. 80 del 2005 e
D.Lgs. n. 122 del 2005). Mentre infatti le finalità recuperatorie della azione revocatoria risultano
ribadite, viene ulteriormente rafforzata la opinione oramai risalente che sostiene lo sganciamento
dell'istituto dalle forme di tutela nei confronti dell'illecito, e dunque viene ulteriormente
sottolineata la differenza con la azione ordinaria. Cosicchè pare di dovere concludere che ogni
pretesa che pur riguardando il patrimonio del fallito, allega a fondamento un illecito da questi
subito, sfugge alla logica della universalità e della concorsualità, tipiche delle azioni esecutive di
massa.Con ciò, va pure rimarcato, confermandosi quella autorevole lettura dell'art. 240 L. Fall.,
che considera, a fronte di un illecito, eccezionale la doppia legittimazione ad agire del curatore e
del creditore.Il motivo deve essere respinto.5. Vanno dunque rigettate le prime due doglianze del
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ricorso incidentale e le prime due doglianze del ricorso principale.Gli atti vanno rimessi al Primo
Presidente per la assegnazione alla Sezione Semplice che dovrà esaminare le restanti questioni.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale ed il
primo ed il secondo motivo del ricorso principale. Rimette gli atti al Primo Presidente per la
assegnazione della causa alla sezione semplice per l'esame delle restanti questioni.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
Sezione II Civile Fallimentare
Il giudice
Mauro Vitiello
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. 49147/2006 R.G.
promossa da:
Fallimento Pizzi Angelo Emilio in persona del curatore Carlo Giraudo, rappresentato e difeso
dall’avv. Francesco Dimundo presso il cui studio in Milano, Via Boccaccio n. 19 è
elettivamente domiciliato giusta delega in calce all’atto di citazione
- attore contro
Banca Popolare Italiana Soc. Coop. r. l. rappresentata, nella persona del procuratore
Giovanni Blumenti, dalla mandataria Bipielle Gestione Credito SpA, rappresentata e difesa
dall’avv. Marcello Lazzati presso il cui studio in Milano, via Fontana n. 16, è elettivamente
domiciliata giusta delega in calce all’atto di citazione notificato
- convenuta oggetto: revocatoria fallimentare
conclusioni delle parti: vedi fogli allegati.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24.07.06, il Fallimento Pizzi Angelo Emilio ha convenuto in
giudizio Banca Popolare Italiana Soc. Coop. (già Banca Popolare di Lodi), chiedendo la
revoca ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. b) l. fall. delle rimesse affluite sul conto corrente
bancario n. 10680 nel periodo compreso tra il 06.06.05 ed il 06.12.05, data di deposito della
sentenza di fallimento di Angelo Emilio Pizzi, intervenuto quale conseguenza automatica del
fallimento della Pizzi Felice & C. s.n.c.
L’attore, ritenuto che l’art. 70, co. 3, l. fall. costituisca canone di interpretazione autentica
dell’art. 67, c. 3, lett. b) l. fall., ha sostenuto che la natura solutoria delle rimesse intervenute
nel periodo sospetto e la consistenza e la durevolezza della diminuzione dell’esposizione
debitoria del fallito, siano dimostrate dalla differenza esistente tra il massimo scoperto
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registrato nel periodo esaminato ed il saldo finale del conto, differenza pari all’importo di
euro 13.503,80, oggetto della domanda restitutoria.
La convenuta si è costituita in giudizio all’udienza del 23.01.07, rilevando la mancanza dei
presupposti oggettivi dell’azione: la consistenza delle rimesse e la capacità delle stesse di
diminuire durevolmente l’esposizione debitoria del fallito, nonché la carenza del requisito
soggettivo che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere riferito alla società poi fallita e non al
socio illimitatamente responsabile.
L’attore, con memoria ex art. 183, c. 6, n. 1 c.p.c., ha quindi dedotto la conoscenza, da parte
della convenuta, dello stato di insolvenza anche della Pizzi Felice & C. s.n.c.
La causa è stata ritenuta matura per la decisione sulla base dei documenti prodotti e le parti
hanno quindi precisato le conclusioni così come da fogli allegati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Secondo la prospettazione della banca convenuta, il riferimento della conoscenza della
banca all’insolvenza della società, e non soltanto a quella del socio, integra una modifica
della domanda, irritualmente effettuata dall’attore nella memoria depositata ai sensi
dell’art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c.
La convenuta sostiene inoltre l’inammissibilità delle produzioni documentali effettuate dal
fallimento attore con la predetta memoria e con quella depositata ex art. 183, c. 6, n. 3 c.p.c.
Quanto al primo profilo, va detto che l’introduzione del tema della scientia riferita alla
società, e non più soltanto al socio, integra una modificazione delle argomentazioni poste a
fondamento della pretesa, o meglio delle allegazioni dei fatti posti a fondamento della
domanda e non certo una mutatio libelli (neppure, per la verità, una emendatio libelli); di qui
la considerazione che la modifica sia ritualmente avvenuta in sede di memoria depositata ai
sensi dell’art. 183, c. 6, n. 1 c.p.c. e che sarebbe potuta intervenire anche in un momento
successivo del procedimento.
Quanto invece alla prospettata inammissibilità delle produzioni documentali effettuate
dall’attore con la prima delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., essa non sussiste.
Le norme codicistiche, infatti, impongono alle parti termini finali, aventi carattere
perentorio, per la definizione del thema probandum, ma in nessun modo proibiscono di
anticipare le produzioni documentali, con ciò non realizzandosi alcuna violazione del
principio del contraddittorio che, al contrario, viene maggiormente garantito da
un’anticipata discovery.
Quanto invece alla produzione, da parte dell’attore, dei documenti contraddistinti dai
numeri 9), 10) e 11), produzione effettuata con memoria ex art. 183, c. 6, n. 3 c.p.c. va
rilevato quanto segue.
La produzione della visura storica della Pizzi Felice & C s.n.c. (doc. 9 dell’attore) è da
considerarsi tempestiva, in quanto tesa a dimostrare che, contrariamente a quanto dedotto
dalla convenuta con memoria depositata ai sensi dell’art. 183, co. 6, n. 2, tutti i protesti di
cui al documento 8) di parte attrice, malgrado la loro intestazione, in parte alla Pizzi Felice
& C s.n.c. e in parte alla Autotrasporti Pizzi Felice & C s.n.c., fossero riferibili allo stesso
soggetto giuridico.
Le produzioni dell’estratto del conto corrente n. 9872 intestato alla Pizzi Felice & C s.n.c.
(doc. 10 dell’attore) e delle copie dei decreti ingiuntivi e dei precetti notificati alla società
(doc. 11 dell’attore) sono invece da considerarsi tardive.
Tali documenti dimostrerebbero infatti la conoscenza da parte della banca convenuta dello
stato di insolvenza della società; la necessità di provare tale circostanza sorge, però,
semplicemente, dalla necessità di provare la fondatezza della domanda; deve pertanto
escludersi che nel caso in esame operi la norma di cui all’art. 183, co. 6, n. 3 c.p.c.
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Non potrà tenersi conto, quindi, dei documenti prodotti dal fallimento sub nn. 10) e 11).
***
Passando all’esame del merito della controversia si rileva preliminarmente che, poiché il
fallimento di Angelo Emilio Pizzi è stato dichiarato con sentenza depositata in data 06.12.05
(doc. 3 dell’attore), la revocatoria delle rimesse bancarie affluite sul conto corrente di cui si
discute è regolata dagli artt. 67 e 70 l. fall., così come modificati dal D.L. 35/05, poi
convertito in legge dalla l. 80/05, applicabile alle procedure concorsuali aperte dopo il
16.03.05.
A norma dell’art. 67 l.f., pertanto, affinché le rimesse in conto corrente bancario siano
revocabili devono cumulativamente sussistere i seguenti requisiti:
1) devono essere intervenute nei sei mesi antecedenti la declaratoria di fallimento;
2) devono aver avuto natura solutoria;
3) devono aver ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del
fallito nei confronti della banca;
4) devono essere accompagnate dalla scientia decotionis da parte dell’accipiens.
Nella compresenza di tutti i suddetti requisiti, l’obbligo della banca di restituire quanto
percepito dal fallito subisce un’ulteriore limitazione a norma dell’art. 70, u. co. l. fall.
secondo cui, nel caso in cui la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive
derivanti da rapporti di conto corrente bancario, l’istituto di credito non può essere
chiamato a restituire una somma maggiore di quella risultante dalla differenza fra
l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese e l’ammontare residuo delle stesse alla
data in cui si è aperta la procedura concorsuale.
L’art. 70 l.f., quindi, pone un limite agli obblighi restitutori della banca, che non interferisce
con i requisiti necessari, a monte, affinché vi sia la revocabilità delle rimesse in conto
corrente effettuate dal fallito.
Ciò premesso e venendo alla fattispecie in esame, posto che la natura solutoria delle rimesse
discende dal fatto, non contestato, che le stesse siano intervenute a conto corrente scoperto,
non essendo quest’ultimo assistito da un contratto di apertura di credito, la valutazione di
fondatezza della domanda dipende anzitutto dalla possibilità di ritenere che alcune delle
rimesse abbiano avuto l’effetto di ridurre l’esposizione debitoria in modo consistente e
durevole.
Per stabilire quale sia la soglia oltre la quale la restituzione alla banca può dirsi consistente,
deve escludersi che sia possibile riferirsi ad un criterio quantitativo assoluto, che prescinda
cioè dagli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta: l’inefficacia di un atto
pregiudizievole per la massa dei creditori va necessariamente fatta dipendere dalla sua
idoneità a ledere l’interesse tutelato, il che si verificherà in tutti quei casi in cui la lesione
della par condicio potrà essere ritenuta apprezzabile e non trascurabile.
L’intento del legislatore è infatti quello di escludere dall’ambito di applicazione dell’istituto
della revocatoria quelle operazioni che, per il loro peso, non paiono idonee a depauperare il
patrimonio del fallito in maniera significativa.
E’ allora evidente che l’unità di misura debba essere relativizzata, condizionata quindi sia
dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente, sia dall’entità media dei
versamenti in entrata e delle uscite dal conto, sia infine dall’ammontare del debito nel
momento in cui la singola rimessa è stata effettuata.
Diversamente, non si terrebbe conto del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, e si
finirebbe per trattare in maniera equivalente delle fattispecie molto diverse tra loro.
Se così è, la consistenza del pagamento va individuata ricorrendo ad un parametro espresso
in termini percentuali.
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Tale parametro può essere individuato nel dieci per cento, con il conseguente e successivo
problema dell’individuazione del criterio cui riferire il parametro stesso.
Nell’individuazione del polo comparativo di tale parametro, in mancanza di indicazione
alcuna da parte del legislatore, va fatto ricorso al criterio dell’importo massimo revocabile,
individuato dall’art. 70, u. co. l. fall. nella differenza tra la massima esposizione debitoria
raggiunta dal fallito nel periodo cd. sospetto e quella riscontrata al momento di apertura del
concorso.
Poiché nel caso in esame tale somma è pari a poco più di euro tredicimilacinquecento, ne
discende che vanno considerate rimesse con effetto restitutorio consistente quelle superiori
ad euro 1.350,00.
Venendo al requisito della durevolezza della diminuzione dell’esposizione debitoria del
fallito, va premesso che non paiono sostenibili né la tesi che finisce per ravvisarlo nella sola
ipotesi in cui la rimessa non sia seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente,
né quella che individua il requisito in negativo, rispetto all’ipotesi della rimessa cd.
bilanciata (identificabile ricorrendo ai principi elaborati dalla giurisprudenza sotto il vigore
della passata disciplina).
Infatti la prima interpretazione finirebbe per limitare la sfera di applicazione della norma al
solo caso in cui il versamento integri un (integrale o parziale) definitivo rientro, quando
invece tale tesi non è fondata su alcun indice normativo e non v’è dubbio che, se tale fosse
stato l’intento del legislatore, l’esplicitazione della regola sarebbe stata doverosa.
La seconda delle due viste tesi non tiene invece conto che dalla previsione del requisito della
durevolezza deve derivare, necessariamente, pena l’inutilità della sua introduzione, che ci
sia un quid pluris rispetto all’assenza del bilanciamento delle operazioni sul conto corrente.
Tale elemento in più va quindi individuato nell’apprezzabile stabilità, nel tempo, dell’effetto
solutorio.
Nell’interpretazione del significato dell’aggettivo durevole, quindi, va cercato un punto di
equilibrio, tra le viste due impostazioni teoriche, che sfocia nel concetto di stabilità nel
tempo dell’effetto solutorio e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto
riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non
necessariamente di importo corrispondente, ma anche superiore, o inferiore ma non tale da
ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di “consistenza”),
sia
caratterizzato dalla durevole riduzione dell’esposizione debitoria prevista dalla disciplina
scaturita dalla riforma.
Nella determinazione del periodo successivo rilevante ai detti fini, deve essere fatto ricorso,
necessariamente, ad un criterio relativo e non assoluto, dipendente dalla valutazione della
frequenza delle movimentazioni del conto.
E’ infatti innegabile che lo stesso periodo possa avere una rilevanza diversa se riferito ad un
conto caratterizzato da un’intensa movimentazione o piuttosto ad un conto con
movimentazioni occasionali.
Ne deriva che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con
rimesse e prelevamenti infragiornalieri, non nelle altre ipotesi.
Nel caso in esame la frequenza delle movimentazioni del conto corrente riscontrabile
dall’estratto prodotto induce a ritenere equa una quantificazione del “periodo di stabilità”
in giorni dieci.
Ne consegue che soltanto le rimesse non seguite per tale periodo da prelevamenti di entità
superiore, equivalente, o inferiore ma in misura tale da far scendere la rimessa sotto il limite
della consistenza, potranno considerarsi caratterizzate dal requisito della durevolezza
dell’effetto.
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Dall’applicazione combinata dei due criteri, così come interpretati, al caso in esame, deriva
che le rimesse inefficaci ex art. 67 sono soltanto le seguenti:
quella di euro 3.000, in data 5.9.05; quella di euro 1.560, in data 9.9.05; quella di euro 6.800,
con un saldo debitorio pari ad euro 6.762,19, a tale importo dovendosi limitare l’efficacia
solutoria della rimessa, in data 30.9.05; quella di euro 1.681,56, in data 19.10.05; quella di
euro 2.578,73 in data 7.11.05.
L’ammontare complessivo delle rimesse in conto corrente bancario assistite dai presupposti
oggettivi che ne giustificano la pronuncia di inefficacia ai sensi dell’art. 67, c. 3, lett. b) l.f. è,
quindi, pari ad € 15.582,48.
In applicazione di quanto stabilito dall’art. 70, co 3., l. fall., la conseguente condanna della
banca convenuta alla restituzione alla massa dei creditori deve essere limitata alla somma di
€ 13.503,80, pari alla differenza tra l’ammontare massimo dell’esposizione debitoria (€
13.503,80 in data 05.09.05), e l’ammontare residuo della stessa che, alla data dell’apertura
del concorso, era pari a zero, avendo il conto corrente, in quel momento, un saldo positivo.
Venendo alla scientia decoctionis, va detto che la fattispecie in esame si caratterizza per la
certa configurabilità dell’elemento soggettivo.
Banca Popolare Italiana ha correttamente sostenuto la necessità di dimostrare la conoscenza
dello stato di insolvenza non di Angelo Emilio Pizzi, bensì della società Pizzi Felice & C s.n.c.
Secondo condivisibile giurisprudenza, infatti, “ai fini della revocatoria fallimentare degli atti
compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per
effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento
all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il
fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i
debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza
personale” (Cass., 4705/06, conforme, tra le altre, a Cass., 17180/03).
Sono quindi irrilevanti i protesti pubblicati nei confronti di Angelo Emilio Pizzi, nonché il
decreto ingiuntivo emesso nei confronti dello stesso (docc. 6 e 7 dell’attore), parimenti non
possono essere prese in considerazione, ai fini della valutazione circa la sussistenza
dell’elemento soggettivo della fattispecie, le modalità di movimentazione del conto corrente
n. 10680 intestato a Angelo Emilio Pizzi (doc. 4 dell’attore).
Dimostrano, tuttavia, pienamente la conoscenza da parte della convenuta dello stato di
insolvenza della Pizzi Felice & C s.n.c. i numerosi protesti contro quest’ultima elevati e
pubblicati (doc. 8 dell’attore).
È documentalmente provato, infatti, che nel periodo che va dal 17.04.02 al 15.06.05 furono
elevati nei confronti della società poi fallita quarantaquattro protesti per assegni e cambiali
rimaste impagate e che di questi ben quattordici furono levati nel 2005.
In proposito a nulla rileva il fatto che l’intestazione di alcuni dei precetti non corrisponda
perfettamente alla ragione sociale della società.
Un operatore del settore bancario non può, infatti, ignorare che l’intestazione del protesto
dipende da ciò che è scritto ed è possibile leggere sul titolo di credito; ne consegue la
possibilità che un’imprecisione nell’intestazione del titolo generi una discrasia nella
pubblicazione del protesto.
È notorio, tuttavia, che a tale inconveniente sia possibile rimediare utilizzando il criterio
della partita Iva della società.
Nel caso in esame è facile notare l’oggettiva somiglianza fra le denominazioni utilizzate
(“Autotrasporti Pizzi Felice”, “Autotrasporti Pizzi Felice & C s.n.c.”, oltre a quella corretta
“Pizzi Felice & C s.n.c.”), ma anche il costante utilizzo della stessa partita IVA, riferibile
esclusivamente alla Pizzi Felice & C s.n.c. (doc. 6 dell’attore).
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L’elevato numero dei protesti, il fatto che gli stessi siano stati levati lungo un considerevole
arco temporale, la circostanza – incontroversa – che la società fallita fosse anch’essa titolare
di un conto corrente presso la banca convenuta, che quindi aveva interesse a verificarne
periodicamente la solidità finanziaria, dimostrano la conoscenza da parte di Banca Popolare
Italiana dello stato di insolvenza della Pizzi Felice & C s.n.c., dal cui fallimento è dipeso il
fallimento del socio illimitatamente responsabile Angelo Emilio Pizzi.
Per le ragioni esposte, va dichiara l’inefficacia delle rimesse nei limiti della complessiva
somma di euro 13.503,80; ne consegue la condanna della Banca Popolare Italiana Soc. Coop.
r. l. a restituire al curatore del fallimento Pizzi Angelo Emilio la somma di € 13.503,80, oltre
ad interessi legali dalla domanda al saldo.
Le spese vanno compensate per intero, stante la novità della normativa e delle questioni
interpretative.
P.Q.M.
il giudice, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) dichiara l’inefficacia delle rimesse indivuduate in motivazione, nei limiti della
complessiva somma di euro 13.503,80;
2) condanna conseguentemente la Banca Popolare Italiana Soc. Coop. r. l. a restituire al
curatore del fallimento Pizzi Angelo Emilio la somma di € 13.503,80, oltre ad
interessi legali dalla domanda al saldo;
3) spese compensate.
Così deciso in Milano, in data 20.3.08
Il giudice
Mauro Vitiello
Sentenza redatta con la collaborazione del magistrato ordinario in tirocinio Desirè Perego.
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