F. Segni Pulvirenti-A. Sari, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 1994, sch. 30: Casa Guarino (metà XV sec.) Sassari L’edificio, denominato da E. Costa «casa Defraia» e da lui raffigurato nell’Archivio pittorico (1976), anteriormente ai restauri effettuati nel 1922, fu erroneamente chiamato anche “casa di Re Enzo” e, in seguito, casa Guarino, dal cognome dell’attuale proprietario. Con molta probabilità, era la casa di Serafino di Montanyans, uno dei principali esponenti, di origine valenzana, della borghesia mercantile sassarese del Quattrocento, che nel 1420 ottenne il riconoscimento di “generosità” e nel 1470 quello di nobiltà, oltre a numerosi feudi, quale compenso per i servigi prestati ad Alfonso V. Edificato nella platha – l’attuale corso Vittorio Emanuele, l’arteria principale della città, equidistante dal Palazzo regio e dal Palazzo municipale – mostra l’insegna del suo proprietario, tre fasce angolate, nello stemma del capitello sulla colonna centrale del porticale. Nonostante le modifiche introdotte dal restauro novecentesco (gli intonaci, il falso paramento e le archeggiature del coronamento), l’edificio ha mantenuto la fisionomia originaria e rappresenta un magnifico esempio di abitazione civile quattrocentesca di foggia catalana. La facciata è tripartita da cornici modanate; al piano terreno due archi ribassati, retti da colonna monolitica in pietra forte e da semicolonne a rocchi, su alto basamento e con voluminosi capitelli scolpiti, introducono al fondaco, in origine voltato a crociera, quindi ristrutturato e affrescato nelle volte dal pittore sardo-déco Maninchedda nel 1925. La foggia della colonna e dei capitelli è simile a quella della colonna superstite del portico della vicina casa Meloni, la cui lapide di fondazione, datata 1432, è custodita presso il Museo Sanna di Sassari, e alle arcate del porticale murato della casa Farris, dirimpetto. Le due figure maschili, un giovane e un vecchio, raffigurate nel capitello centrale, potrebbero riferirsi ai due Serafino, padre e figlio, cui alluderebbero anche gli angeli nei capitelli laterali. Le sculture, dal panneggio mosso e angolato, ricordano quelle dei capitelli dell’arco murato alla base della cupola di S. Maria di Betlem, riferibili alla ristrutturazione quattrocentesca della chiesa, avvenuta fra il 1440 e il 1465, da attribuire a scultori di formazione catalana. Nel secondo ordine, al centro della facciata, tre bifore ogivali accostate, con esili colonne dal capitello a fogliame e arco trilobo fiorito all’interno, incluse entro una cornice rettilinea a bilancia e intervallate da pinnacoli gigliati, formano un raffinato trittico che poggia sul bordo della cornice. Sono tangenti alla cornice marcapiano anche le due simmetriche finestre del secondo ordine, con colonnina laterale, capitello a fogliame e toro di eguale sezione che contorna ad angolo retto l’architrave. Nella parete laterale, quasi in angolo, è una finestrella con intradosso a tutto sesto ed estradosso inflesso, simile a quelle laterali della facciata del quattrocentesco palazzo d’Albis di Alghero. Dal lato della finestrella, lungo la via Santa Caterina, si trova l’ingresso laterale dell’edificio, costituito da un grande portale con stipiti in pietra forte squadrata e architrave monolitico retto da mensole a due lobi. Il grande atrio, pur modificato nelle volte, conserva tracce degli originari pilastri compositi di sostegno alle crociere. La struttura dell’edificio e la raffinatezza degli elementi scultorei rinviano al Gotico fiorito dei modelli barcellonesi della metà del Quattrocento.