Conclusioni - College of the Holy Cross

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Conclusioni
Conclusioni
Chi a cogliere i tuoi frutti
ama l’ombre calanti, i luoghi oscuri,
lento cammina, va rasente i muri,
non vede quello che vedono tutti,
e quello che nessuno vede adora.
Umberto Saba, “La malinconia amorosa”
Non si può costruire senza mattoni: sicuramente esiste un mondo in cui la mia tesi sul
pensiero di David Lewis non comprende una ricostruzione piuttosto sistematica della sua
teoria della possibilità e piuttosto passa direttamente all’esame dei punti deboli di essa; ma
in quel mondo il lavoro di ricostruzione era già stato precedentemente compiuto da qualcun
altro. Purtroppo – o per fortuna, non so – al momento non esistono studi generali sul
pensiero di Lewis1 e quindi, prima di poter dire qualcosa in merito alla sua teoria della
possibilità, ho sentito l’esigenza di chiarire quale fosse tale teoria. Questo quindi sarebbe
uno dei principali motivi per cui questo lavoro dovrebbe o potrebbe destare qualche
interesse in un lettore: in quanto costituisce uno dei pochi lavori sistematici su una parte
del pensiero di un bizzaro, quanto importante filosofo contemporaneo.
1
O, perlomeno, io non ne sono al corrente.
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“I should have liked to be a piecemeal, unsystematic philosopher, offering indipendent
proposals on a variety of topics. It was not to be. I succumbed too often to the temptation to
presuppose my views on one topic when writing on another”(Lewis,1983a, p.ix). Certo, uno
dei motivi per cui ho creduto necessaria una ricostruzione dell’intera teoria della possibilità
di Lewis è proprio la sistematicità con cui egli ha sostenuto le sue idee, il legame tra le
varie parti del suo pensiero: qualsiasi sia il punto da cui scegliamo di partire, avremo
l’esigenza di conoscere la sua ontologia, filosofia del linguaggio, filosofia della mente,
spiegazione delle credenze e quant’altro ancora ci sia, in misura maggiore di quanto Lewis
stesso non avrebbe voluto e di quanto altri filosofi analitici contemporanei non abbiano
fatto (si pensi per esempio a Kripke). Proprio per questo la compattezza del pensiero di
Lewis evoca in molti lettori – almeno in quelli di mia conoscenza - le teorie, ormai
plurisecolari, di coloro che, come Tommaso d’Aquino o Leibniz, dovevano giustificare
l’intero operato divino. Per questo ho cercato di rendere l’idea di questo aspetto della sua
teoria.
Spero comunque che vi siano altri motivi di interesse in quanto ho scritto, che possano
essere apprezzati anche da chi conosce la produzione di Lewis ormai da anni. Mi sto
riferendo tanto alle due osservazioni critiche che si trovano nel paragrafo 3.2, quanto anche
ad altre correzioni o osservazioni che si trovano lungo tutto il lavoro.
In generale, credo che si possano suddividere i punti di maggior interesse di questa tesi
in due gruppi principali, a ciascuno dei quali corrisponde appunto uno scopo, un tipo di
lavoro che mi sono proposto di svolgere prima e durante la stesura: 1) lavoro di
ricostruzione-contestualizzazione; 2) lavoro di riformulazione, correzione, critica e nuovi
suggerimenti. Vediamo nell’ordine i loro frutti.
• 1) Ricostruzione e contestualizzazione
— (A) Sicuramente il lavoro principale di ricostruzione e contestualizzazione è quello
che riguarda l’intera teoria della possibilità di Lewis. Quanto ho cercato di fare è da un lato
inserire la teoria di Lewis nel contesto più generale delle teorie della possibilità basate sulla
semantica a mondi possibili, all’interno del quale il realismo modale rappresenta una
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posizione ben distinta e originale; dall’altro lato ho cercato di ricostruire la posizione di
Lewis, soffermandomi su alcuni suoi principi e presupposti la cui importanza viene a volte
sottovalutata, come per esempio il principio di composizione non ristretta e il principio di
ricombinazione - per quanto riguarda l’ontologia –, la concezione del de re e i vari tipi di
relazione di controparte e di possibilità che a esse corrispondono – per quanto riguarda la
semantica.
Tra i lavori più piccoli di ricostruzione vi è:
— (B) l’esposizione di un quadro generale delle varie teorie della possibilità
appartenenti all’ambito delle teorie fondate sulla semantica a mondi possibili (Premessa al
primo capitolo).
— (C) un quadro generale dell’ontologia di Lewis (par.1.2)
— (D) un quadro generale della concezione delle proprietà di Lewis (par.1.8).
— (E) un quadro generale della concezione di Lewis del de re, de dicto, de se (par.2.1).
• 2) Riformulazione, correzione, critica e nuovi suggerimenti
Tra i lavori di riformulazione, i più importanti credo siano:
— (A) La riformulazione dell’argomento di Lewis per mostrare la vaghezza del
concetto di “oggetto”, argomento su cui si fonda il principio di composizione non ristretta
(par.1.2.1.2). Lewis enuncia tale argomento in una sola pagina o poco più, ma la sua
importanza per l’ontologia di Lewis potrà essere difficilmente esagerata: ho creduto quindi
necessario ricostruire più accuratamente i presupposti e le inferenze su cui esso si basa.
— (B) Un secondo lavoro di riformulazione riguarda il concetto di relazione esterna
prioritaria (REP) e di sistema caratterizzato da una relazione esterna prioritaria (SREP)
(par.1.3.1.3). Lewis si sofferma a discutere il problema della relazione esterna prioritaria
che caratterizzerebbe ogni mondo, ma, a mio parere, non sottolinea a sufficienza la sua
importanza; infatti, dal momento che i mondi di Lewis sono oggetti fisici, per distinguerli
non è sufficiente specificare i domini di oggetti che appartengono loro: è necessario che tra
tali oggetti sussista un’appropriata relazione esterna, ovvero una REP.
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— (C) Infine, ho cercato di formulare (e non ri-formulare) la distinzione tra oggetti
astratti e oggetti concreti, se ha senso rintracciarne una, nella teoria di Lewis (par.1.5).
Lewis discute vari sensi in cui egli potrebbe usare tale distinzione, ma sostiene che essa non
sia rilevante per comprendere la sua teoria. Anch’io credo che sia così, ma poiché credo
anche che la distinzione tra oggetti astratti e oggetti concreti per Lewis corrisponda a quella
tra individui e insiemi, non vedo perché non dovremo dire, con le dovute riserve sulla sua
utilità, qual è. D’altronde molti filosofi (e anche molti che non lo sono) la utilizzano e si
chiedono anche come i loro avversari la impiegano: se accontentarli costa poco, perché non
farlo?
I principali punti in cui credo che la teoria di Lewis debba essere corretta riguardano:
— (D) Gli oggetti che possono appartenere agli insiemi: Lewis nega che gli individui
transmondani e altre somme mereologiche per le quali nel nostro linguaggio non abbiamo
riservato un unico termine, debbano essere escluse dall’appartenenza agli insiemi. Poiché
credo che questa scelta sia arbitraria e ingiustificata, ho sostenuto che Lewis dave
ammettere che anche tali oggetti appartengano agli insiemi (par.1.2.1.3).
— (E) Un secondo punto da menzionare è la critica di Lewis al realismo modale che
accetta il criterio di identità come miglior criterio per rintracciare un individuo tra i vari
mondi. Lewis nota come un sostenitore di tale teoria deve negare l’esistenza di proprietà
accidentali intrinseche e da qui ne conclude che tale teoria è contradditoria. Io non credo
che egli abbia il diritto di trarre questa conclusione: il realismo modale con identità è una
teoria piuttosto bizzarra per quanto riguarda le proprietà accidentali intrinseche, ma non per
questo è contraddittoria (par.3.2.1).
Vi sono poi alcune osservazioni critiche:
— (F) La prima riguarda il problema dell’esistenza di individui transmondani
nell’ontologia di Lewis, ovvero di individui composti da somme mereologiche di individui
ripartiti in almeno due mondi distinti. Lewis accetta l’esistenza di tali individui e, per farlo,
ha a disposizione due soluzioni alternative; io credo che entrambe queste soluzioni siano
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peggiori di una terza alternativa, quella di considerare gli enunciati del tipo “ci sono
individui transmondani” come finzioni semantiche in cui allarghiamo il dominio di
quantificazione per parlare di entità fittizie – proprio come quando diciamo “ci sono
quadrati rontondi rossi” (par.3.2.1).
— (G) La seconda osservazione critica riguarda l’esistenza di alcuni individui alieni.
Un individuo alieno rispetto al mondo W, per Lewis, è un individuo che a) non è un
duplicato di nessun abitante di W e b) non è divisibile in parti ciascuna delle quali è un
duplicato di un abitante di W. Lewis sostiene che la sua ontologia possa facilmente
ammettere l’esistenza di individui alieni, ma io credo che non sia così. Il problema che ho
esposto riguarda l’esistenza di individui completamente alieni, ovvero di individui che
possiedono solo proprietà aliene e vivono in mondi composti esclusivamente da individui
che possiedono solo proprietà aliene; Lewis ha a disposizione tre possibili alternative per
spiegare lo statuto ontologico di tali individui, ma tutte comportano qualche modifica
sostanziale o un ridimensionamento della portata della teoria di Lewis (par.3.2.2).
— (H) Un’ultima osservazione critica, non nuova, ma la cui esistenza non deve mai essere
dimenticata o sottovalutata, riguarda il rapporto tra la teoria di Lewis e il senso comune. Per
accettare la spiegazione della possibilità data da Lewis dobbiamo abbandonare sia la
credenza che esista soltanto un universo - il nostro - sia la credenza che gli individui che
avrebbero potuto essere o fare altre cose siamo proprio noi. Niente ci vieta di abbandonare
queste credenze: se preferiamo la teoria di Lewis perché più capace di risolvere con
semplicità vari problemi filosofici, possiamo pagare questo conto con il senso comune; la
scelta è nostra, ma quando presentiamo la teoria di Lewis non dobbiamo dimenticare di
ricordare qual è il suo prezzo (par.2.3.2).
In questo lavoro vengono suggeriti tre nuovi modi di guardare ad altrettante questioni
filosofiche:
— (I) La quantificazione plurale è considerata come un metodo per ridurre la
quantificazione su un dato insieme di individui alla quantificazione sui singoli individui che
appartengono all’insieme. Usando la composizione mereologica, ho suggerito che in alcuni
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casi è conveniente intendere la quantificazione plurale come una riduzione della
quantificazione da un insieme alla somma mereologica degli elementi che appartengono
all’insieme. In questo modo la riduzione è uno-a-uno e non uno-a-molti. Un vantaggio di
tale metodo è per esempio quello di ridurre ogni enunciato su insiemi di individui a un
enunciato su un individuo, ovvero ci permette di avere una riduzione anche nel caso in cui
non avremo termini per gli elementi dell’insieme di individui di cui stiamo parlando (par.
1.2.1.3).
— (L) Lewis inizialmente intese la relazione di controparte come una relazione binaria,
tra due individui; Forbes ha mostrato come, se vogliamo dare spazio anche alla possibilità
che un individuo non abbia una controparte in un mondo, dobbiamo rendere la relazione di
controparte una relazione ternaria. Ma se Lewis fosse un ecceitista estremo – e io suppongo
che gli converrebbe - allora non ci sono mondi dove non abbiamo una controparte. In tal
caso Lewis potrebbe sostenere che i mondi che esprimono la nostra possibilità di non essere
esistiti sono i mondi in cui le uniche controparti che abbiamo sono controparti minimali,
ovvero controparti che ci somigliano solo perché condividono con noi la proprietà “essere
un individuo”. Se questo punto è corretto, allora Lewis non ha bisogno di sostenere che la
relazione di controparte è ternaria, ma può rimanere con la relazione binaria di partenza
(par. 2.2.1).
— (M) Nell’ultimo paragrafo infine ho tracciato la linee della teoria della possibilità
che preferisco, o che perlomeno soddisfa maggiormente le mie preferenze (par. 3.3).
Queste, in dettaglio, sono le osservazioni contenute nel presente lavoro che ritengo più
interessanti. Nel complesso, credo venga confermato un giudizio espresso molti anni fa da
Lycan sulle teorie di Lewis e Meinong, secondo il quale “this “natural as breathing”
talk…thinly masks a formidable theoretical apparatus which must be evaluated on
theoretical grounds” (Lycan, 1979, p.277); spesso quindi in filosofia, per sostenere tesi
bizzarre, occorrono ragioni teoriche molto forti.
Un’ultima osservazione. Credo che da questo lavoro emerga la plausibilità della teoria
delle controparti. Essa infatti risulta più semplice della teoria rivale fondata sull’identità
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quando vogliamo 1) ammettere l’esistenza di individui alieni; 2) rendere conto della
rilevanza contestuale e della vaghezza di alcune nostre asserzioni sulla possibilità – un caso
su tutti: i controfattuali; 3) spiegare in termini modali l’essenza di un individuo: se
vogliamo evitare l’essenzialismo mereologico e sposare il realismo modale, dobbiamo
accettare la teoria delle controparti. Questi sono per me motivi più che sufficienti per
accettare la teoria semantica di Lewis; sicuramente non sono per tutti dei buoni motivi, ma
non credo che si possa negare per lo meno la possibilità di sostenere una teoria che presenta
questi vantaggi.
Avrei potuto soffermarmi più a lungo a discutere la non contingenza della realtà per
Lewis, o il significato del verbo “esistere”, la sua teoria delle proprietà, il significato del
termine “attuale”; forse avrei potuto ritagliare uno spazio anche per la semantica a mondi
possibili o per un’esposizione più assiomatica dell’ontologia di Lewis. Non è stato fatto. E
oltre a questo, molto lavoro rimane ancora da fare. E non ci resta che rimboccarci le
maniche.
Borghini Andrea, Università di Firenze,
Sabato 16 Settembre 2000, Viareggio.
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