Efficacia clinica della terapia familiare sistemica nella schizofrenia

Efficacia clinica della terapia familiare sistemica
nella schizofrenia: uno studio prospettico longitudinale
Schizophrenia and the clinical efficacy of the systemic
family therapy: a prospectic longitudinal study
CINZIA BRESSI*, ROSA LO BAIDO**, STEFANO MANENTI*, PATRIZIA FRONGIA*, BARBARA GUIDOTTI*,
LUCIA MAGGI*, ORIANA MERATI*, PIERLUIGI GIORDANO**, GIORDANO INVERNIZZI*
*Clinica Psichiatrica dell’Università di Milano. IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
**Clinica Psichiatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Palermo
RIASSUNTO. Scopo. Il presente studio prospettico longitudinale, con follow-up a un anno, mira alla valutazione dell’efficacia clinica della terapia familiare sistemica, condotta secondo il modello della Scuola di Milano, nel trattamento di pazienti
affetti da schizofrenia a confronto con una casistica di controllo costituita da pazienti in terapia psichiatrica di routine.
Metodi. La casistica dello studio è costituita da 20 pazienti in terapia familiare associata a trattamento psichiatrico routinario e 20 pazienti in trattamento psichiatrico routinario. Hanno inoltre partecipato allo studio di follow-up 40 familiari “chiave”, ovvero a più alta Emotività Espressa (EE). Entrambi i gruppi di pazienti sono stati rivalutati al termine della terapia
(T1) e a 12 mesi dal termine della terapia (T2) per verificare l’andamento clinico della malattia ed il funzionamento sociale.
Risultati. Al termine del periodo di follow-up abbiamo osservato un migliore andamento clinico di malattia ed una migliore
compliance farmacologica nel gruppo di pazienti che avevano seguito la terapia familiare sistemica: nella casistica sperimentale, 3 soggetti (15%) avevano recidivato, contro 13 pazienti (65%) della casistica di controllo (p=0.03); la compliance farmacologica nella casistica sperimentale era buona in tutti i soggetti (100%), contro i 13 soggetti (65%) della casistica di controllo (p=0.04). Il nostro studio fornisce un contributo innovativo circa la valutazione dell’efficacia clinica della terapia familiare sistemica nella cura di pazienti schizofrenici. I risultati clinici sono stati significativi ed incoraggiano l’utilizzo di questo
tipo di terapia nell’intervento integrato di pazienti schizofrenici.
PAROLE CHIAVE: terapia familiare, terapia familiare sistemica, schizofrenia, famiglia.
SUMMARY. Aim. The present perspective longitudinal study, with one-year follow-up, aims at the evaluation of the clinical
efficacy of the systemic family therapy, according to the School of Milan type, when treating schizophrenic patients compared
with a control sample of patients under a routine psychiatric treatment. Methods. The case sample of the study consists of
20 patients under systemic family therapy associated to routine psichiatric treatment and 20 patients under psychiatric routine treatment. In addition, to the follow-up study participated 40 “key” relatives, thus with a higher Expressed Emotion (EE).
Both groups of patients have been re-evaluated at the end of the therapy (T1) and 12 months after the end of the therapy
(T2) to examine the clinical course of the illness and the social functioning. Results. At the end of the follow-up period we
observed a better clinical course of the illness and a better pharmacological compliance in the group of patients who had attended the systemic family therapy: in the sperimental case sample 3 patients (15%) had relapsed against 13 patients (65%)
of the control sample (p=0.03); the pharmacological compliance was good in all cases (100%), whereas it was good in 13 controls (65%) (p=0.04). Our study provides an innovative contribution about the evaluation of the clinical efficacy of the systemic family therapy in the treatment of schizophrenic patients. The clinical results are significant and encourage the use of
this kind of therapy in the integrated treatment of schizophrenic patients.
KEY WORDS: family therapy, systemic family therapy, schizophrenia, family.
E-mail: [email protected]
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Bressi C, et al.
INTRODUZIONE
L’importanza della realtà familiare nei disturbi psichiatrici è ormai da tempo condivisa anche da coloro
che per formazione clinica non si riconoscono in modelli di intervento familiare. La famiglia rappresenta
infatti, oltre che il primo e principale “luogo degli affetti”, anche il primo ambiente sociale di cui l’individuo fa esperienza e nel quale apprende i “giochi relazionali” interpersonali, poiché al suo interno si determinano e contrattano regole e norme, si stabiliscono
ruoli e comportamenti e si trasmettono valori.
Di fronte all’insorgere di una sintomatologia psichiatrica, il nucleo familiare mette in atto una serie di
risposte emotive e comportamentali che possono incidere profondamente sul decorso della patologia psichiatrica stessa; ciò è stato ampiamente dimostrato in
letteratura dagli studi compiuti nell’ambito della psichiatria sociale inglese, a partire da quelli di Brown
(1,2) e Vaughn e Leff (3): essi identificarono una variabile familiare chiamata Emotività Espressa (EE)
come misura quantitativa del clima emotivo familiare
che si genera rispetto all’individuo malato. La valutazione EE avviene attraverso un’intervista semi-strutturata (Camberwell Family Interview, CFI), della durata di circa un’ora e mezza e prende in considerazione l’emotività esplicita di ciascun familiare, escludendo
quindi qualsiasi inferenza sullo stato d’animo “autentico” dell’intervistato.
Sono state identificate cinque scale, che forniscono
una misurazione attendibile e standardizzata dell’EE:
Commenti Critici (CC), numero di affermazioni che,
per il modo in cui sono espresse, costituiscono un commento sfavorevole circa il comportamento del soggetto
cui si riferisce; Ostilità (H), generalizzazione del sentimento negativo e/o rifiuto, rivolto contro la persona in
toto piuttosto che contro particolari comportamenti o
atteggiamenti; Ipercoinvolgimento Emotivo (EOI), tutte le manifestazioni di eccessivo coinvolgimento dei familiari nella patologia del congiunto malato, considerando sia i comportamenti riferiti dall’intervistato sia il
comportamento manifestato durante l’intervista; Calore
Affettivo (W), il complesso dei sentimenti positivi – interesse per la persona, simpatia, capacità empatica –
mostrati dall’intervistato nei confronti del familiare di
cui si parla; Commenti Positivi (PR), affermazioni che
esprimono lode, approvazione o apprezzamento verso il
comportamento o la personalità del soggetto cui si riferisce. Attualmente un familiare è valutato ad alta EE se
totalizza (singolarmente o in combinazione) 6 o più
commenti critici, un punteggio di EOI uguale o superiore a 4, o se è presente Ostilità. Una famiglia viene definita ad alta EE se è presente almeno un familiare ad
alta EE. Brown, Vaughn e Leff hanno per primi dimostrato come i pazienti provenienti da famiglie ad alta
EE presentassero un peggiore andamento di malattia.
Da allora sono stati numerosi gli studi che hanno
confermato l’efficacia della variabile EE nel predire
l’andamento clinico della malattia e la sua validità transculturale (4-8). La Clinica Psichiatrica dell’Università
di Milano (direttore prof. G. Invernizzi) ha sviluppato
dei progetti sperimentali innovativi applicati alle patologie organiche – epilessia, cardiopatie acute, nefropatie croniche, sclerosi multipla, patologie neoplastiche –
(9-12): i risultati hanno confermato la validità predittiva delle variabili EE nei riguardi delle componenti psicologiche e cliniche dei pazienti in oggetto.
Da quanto detto si evince l’importanza della terapia
familiare come strumento in grado di modificare le risposte emotive ed i pattern relazionali disfunzionali all’interno del nucleo familiare, favorendo così un miglioramento clinico del paziente psichiatrico. La sistematica revisione dei dati di lettura evidenzia che l’intervento familiare, affiancato all’intervento farmacologico routinario, in soggetti affetti da schizofrenia riduce la frequenza di recidiva, la riospedalizzazione, i costi del trattamento e aumenta la compliance farmacologica (13,14). Confrontando interventi familiari con
trattamenti di routine o altri interventi psicosociali,
emerge una maggiore efficacia clinica espressa nella riduzione della frequenza di recidiva nei pazienti in trattamento familiare (15-19).
Il modello sistemico di terapia familiare, sviluppato
in Italia da Selvini Palazzoli, et al. negli anni ’70 (20), si
caratterizza per l’applicazione dei concetti mutuati
dalla Teoria Generale dei Sistemi all’analisi delle relazioni familiari: tale modello considera la famiglia come
un sistema cibernetico autogovernantesi, in cui tutti gli
elementi sono in costante interrelazione ed i comportamenti espressi dai diversi membri si influenzano reciprocamente in un’ottica circolare; tali comportamenti, anche quelli sintomatici, vengono analizzati per la
loro natura di comunicazione e si ritiene che i sintomi
svolgano una funzione precisa all’interno dell’organizzazione familiare, sebbene essi producano disagio e
sofferenza a livello individuale.
OBIETTIVI
Il presente studio mira alla valutazione dell’efficacia
clinica della terapia familiare sistemica, condotta secondo il modello della Scuola di Milano, nel trattamento di un campione di pazienti affetti da schizofrenia o disturbi dello spettro schizofrenico a confronto
con una casistica di controllo costituita da pazienti che
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hanno seguito una terapia psichiatrica di routine (colloqui e terapia farmacologica).
Lo studio prospettico longitudinale condotto con un
follow-up a 12 mesi si è proposto la misurazione dell’outcome clinico e del funzionamento sociolavorativo
del paziente.
MATERIALI E METODI
Pazienti
Sono stati inizialmente reclutati 54 pazienti con diagnosi di schizofrenia o disturbi dello spettro, provenienti
dall’area urbana di Milano, e ricoverati presso il Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Maggiore
di Milano (IRCCS) dell’Istituto di Clinica Psichiatrica
dell’Università degli Studi di Milano.
Di questi, 5 hanno rifiutato personalmente (9.26%) e
9 sono stati esclusi per indisponibilità dei familiari
(16.67%) alla partecipazione allo studio. Pertanto 40 pazienti sono stati assegnati in modo randomizzato ai due
tipi di intervento: trattamento routinario (n=20) e trattamento routinario più terapia familiare sistemica (n=20).
Il campione finale dello studio è costituito da 20 pazienti in trattamento psichiatrico routinario associato a
terapia familiare sistemica e 20 pazienti in trattamento
routinario.
I criteri di inclusione nello studio comprendevano la
diagnosi di schizofrenia o disturbi dello spettro schizofrenico, in base ai criteri del Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, IV edizione (21); un’età compresa tra i 18 ed i 65 anni; la convivenza in famiglia di origine da almeno 6 mesi, con un contatto face to face con i
familiari di almeno 35 ore settimanali.
I criteri di esclusione dallo studio comprendevano la
presenza di disturbo organico sotteso al disturbo psichiatrico o un QI inferiore a 75.
Per quanto concerne lo stato civile i 20 pazienti erano
tutti celibi o nubili (100%). La scolarità media era di
13.40 anni (range 6-24; d.s. 3.99). Nessun paziente aveva
una occupazione (0%), 13 erano disoccupati (65%) e 7 si
trovavano in una condizione non professionale (35%).
I pazienti trattati con intervento psichiatrico di routine (n=20) avevano un’età media di 28.65 anni (range 2042; d.s. 7.39). Per quanto riguarda il sesso 16 erano maschi
(80%) e 4 erano femmine (20%). Considerando poi lo
stato civile, i 20 pazienti erano celibi o nubili (100%). La
scolarità media era di 12.50 anni (range 8-20; d.s. 3.55).
Tre pazienti svolgevano un’occupazione (15%), 11 erano
disoccupati (55%) e 6 si trovavano in una condizione non
professionale (30%).
Non è emersa tra i due gruppi di trattamento alcuna
differenza statisticamente significativa per quanto concerne le variabili sociodemografiche.
Valutazione clinica
Le variabili cliniche prese in considerazione sono state la durata media di malattia, il numero di ricoveri subiti, la compliance clinica e farmacologica e la modalità di
somministrazione della terapia farmacologica (autonoma o eteronoma). La valutazione è avvenuta attraverso
la somministrazione di una scheda standardizzata da noi
ideata, compilata integrando informazioni fornite dagli
psichiatri curanti.
Con l’espressione “cattiva compliance clinica” viene
indicata una condizione in cui il paziente non si è recato a
più di due appuntamenti consecutivi, mentre con l’espressione “buona compliance farmacologica” si vuole fare riferimento ad una situazione in cui il paziente non ha interrotto l’assunzione della terapia per più di tre giorni.
I pazienti trattati con intervento routinario più terapia
familiare sistemica (n=20), avevano una durata media di
malattia di 100.95 mesi (range 3-252; d.s. 68.47). Il numero medio di ricoveri era 2.25 (range 0-7; d.s. 2.12). Per
quanto riguarda la compliance clinica, tutti i pazienti seguivano una terapia psichiatrica (100%), 12 pazienti presentavano buona compliance (60%) e 8 cattiva compliance (40%). Per quanto concerne poi la compliance
farmacologica, 13 pazienti presentavano buona compliace (65%) e 7 presentavano cattiva compliance (45%). Infine, 2 pazienti non assumevano alcuna terapia (10%), la
somministrazione era autonoma per 11 pazienti (55%)
ed eteronoma per 7 (35%).
I pazienti trattati con intervento psichiatrico di routine (n=20) avevano una durata media di malattia di
103.60 mesi (range 8-360; d.s. 97.09). Il numero medio di
ricoveri era 3.70 (range 0-21; d.s. 5.18).
Per quanto concerne la compliance clinica, tutti i pazienti seguivano una terapia psichiatrica (100%), 11 pazienti presentavano buona compliance clinica (55%) e 9
presentavano invece cattiva compliance (45%). Per
Caratteristiche sociodemografiche
Al T0 sono state valutate le caratteristiche sociodemografiche dei 40 pazienti (età, sesso, stato civile, scolarità, professione) e le variabili cliniche (durata di malattia, numero di ricoveri, compliance clinica, compliance
farmacologica, somministrazione di terapia), attraverso
una scheda standardizzata da noi ideata, compilata integrando informazioni fornite eminentemente dagli psichiatri curanti, poi dai familiari e dai pazienti stessi.
Per quanto riguarda i pazienti trattati con intervento
di routine più terapia familiare sistemica (n=20), l’età
media era di 29.05 anni (range 19-46; d.s. 6.48). Quattordici pazienti erano maschi (70%) e 6 femmine (30%).
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quanto riguarda la compliance farmacologica, anche in
questo caso tutti i pazienti assumevano una terapia
(100%), 12 pazienti presentavano buona compliance
(60%) e 8 presentavano invece cattiva compliance
(40%). La somministrazione della terapia, infine, era autonoma per 11 pazienti (55%) ed eteronoma per 9
(45%).
Non sono emerse differenze statisticamente significative tra i due gruppi di pazienti per quanto concerne le
variabili cliniche.
Per quanto concerne il gruppo in trattamento psichiatrico di routine (n=20), il rapporto di parentela con
i rispettivi congiunti malati era: madre 10 (50%), padre
10 (50%), con età media di 59.95 anni (range 37-78; d.s.
9.99). La scolarità media era di 8.30 anni (range 5-17;
d.s. 3.88). Per quanto concerne la professione, 8 familiari erano occupati (40%), 2 erano disoccupati (10%) e 10
si trovavano in una condizione non professionale
(50%).
Tra i due gruppi di familiari non emergono differenze
statisticamente significative per quanto concerne le variabili sociodemografiche.
Familiari
Sono stati inizialmente reclutati 76 familiari nel corso
del ricovero del loro congiunto; di questi, 8 si sono dichiarati non disponibili alla valutazione (10.5%).
Pertanto sono stati valutati 68 familiari; è stata somministrata loro la CFI (22), intervista semistrutturata
volta a dare una misurazione quantitativa del grado di
EE del familiare nei confronti del paziente secondo le
cinque scale descritte sopra: EOI, W, H, CC, PR. Attualmente in Italia un familiare è valutato ad alta EE secondo i seguenti criteri: 6 o più commenti critici, un punteggio di EOI uguale o superiore a 4, o se è presente H (6).
Una famiglia viene definita ad alta EE se è presente almeno un familiare ad alta EE. Ogni intervista viene definita ad alta EE se è presente almeno un familiare ad alta EE. Ogni intervista è stata registrata su nastro e valutata, in cieco rispetto alla casistica, da ricercatori addestrati presso il Friern Hospital di Londra (C. Bressi, O.
Merati).
Si è quindi proceduto ad assegnare a ciascun paziente
il familiare con il più alto valore di EE, denominato familiare chiave, che potesse entrare nello studio di followup. Pertanto il campione finale di familiari che hanno
partecipato allo studio è costituito da 20 familiari chiave
nel gruppo in terapia sistemica e 20 familiari chiave nel
gruppo in trattamento psichiatrico routinario.
Valutazione dell’Emotività Espressa familiare
Per quanto riguarda il gruppo in terapia routinaria più
terapia familiare sistemica (n=20), l’EE risultò elevata in
15 familiari (75%) e bassa in 5 familiari (25%).
L’EOI è stato valutato elevato in 8 familiari (40%) e
basso in 12 familiari (60%). Otto familiari risultarono ad
alta Critica (40%) e 12 a bassa Critica (60%). L’H risultò
presente in 6 familiari (30%) e assente in 14 (70%). Il W,
infine, risultò alto in 2 casi (10%), basso nei restanti 18
(90%).
I valori medi di EOI furono di 2.85 (d.s. 1.46), di CC
6.50 (d.s. 5.29), di W 1.65 (d.s. 1.39), di PR 2.90 (d.s. 3.74).
Nel gruppo in trattamento routinario (n=20), 15 familiari risultarono ad alta EE (75%) e 5 a bassa EE (25%).
L’EOI (soglia 4) risultò alto per 10 familiari (50%) e
basso per gli altri 10 (50%). La Critica (soglia 6) fu valutata elevata per 6 familiari (30%) e bassa per 14 (70%).
L’H era presente in 7 familiari (35%) e assente negli altri 13 (65%). Infine il W, che nella nostra ricerca riteniamo utile considerare anche come variabile dicotomica
(soglia 4), fu valutato alto in 3 familiari (15%) e basso in
17 familiari (85%).
I valori medi di EOI furono di 2.85 (d.s. 1.73), di CC
6.45 (d.s. 6.18) di W 1.60 (d.s. 1.31), di PR 1.35 (d.s. 1.46).
Non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa nella distribuzione dei due gruppi familiari, sia
nelle classi alta/bassa EE, EOI (soglia 4), Critica (soglia
6), W (soglia 4) e H (presente/assente), sia per quanto riguarda i valori medi di EOI, CC, W, PR. Possiamo quindi
affermare che famiglie ad alta e a bassa EE sono risultate omogeneamente distribuite nei due campioni.
Caratteristiche sociodemografiche
I 40 familiari conviventi con il paziente e partecipanti
allo studio sono stati valutati per le loro caratteristiche
sociodemografiche (età, sesso, scolarità, professione) in
base ad una scheda standardizzata da noi ideata.
Per quanto riguarda i rapporti di parentela nel gruppo
trattato con terapia familiare sistemica (n=20), essi si
configuravano come segue: madre 12 (60%), padre 8
(40%). L’età media era di 58.85 anni (range 46-74; d.s.
7.59). La scolarità media era di 9 anni (range 5-18; d.s.
4.12).
Per quanto riguarda infine la professione, 6 familiari
erano occupati (30%), 1 era disoccupato (5%) e 13 si trovavano in una condizione non professionale (65%).
Procedure di follow-up
Entrambi i gruppi di pazienti sono stati rivalutati al
termine della terapia (T1) e a 12 mesi dal termine della
stessa (T2) per quanto concerne le variabili cliniche:
– numero di recidive sintomatologiche;
– numero di ricoveri;
– numero di passaggi in Pronto Soccorso Psichiatrico;
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– compliance farmacologica;
– somministrazione autonoma o eteronoma della terapia.
Nel presente studio si definisce come recidiva una riacutizzazione della sintomatologia presente al T0 e/o la
comparsa di nuovi sintomi (valutazione effettuata dallo
psichiatra curante).
Inoltre, sono state considerate anche le visite specialistiche di urgenza nel servizio di Pronto Soccorso Psichiatrico dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano (visita di uno specialista in psichiatria con somministrazione
di una terapia farmacologica e periodo di osservazione
minima di 4 ore) ed i ricoveri presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura del medesimo ospedale.
Le valutazioni cliniche sono state ottenute integrando, su una scheda standardizzata da noi ideata, le informazioni fornite dai curanti, dai familiari e dal paziente
stesso.
Si è inoltre proceduto a valutare il funzionamento sociale e lavorativo del paziente, integrando le informazioni fornite dai familiari e dai curanti:
– si è indagata la modificazione per qualità e numero
dei rapporti sociali al di fuori dell’ambito familiare rispetto ai 12 mesi precedenti il momento valutativo (risposte possibili: invariati, migliorati, peggiorati, inesistenti);
– la modificazione qualitativa dell’utilizzo del tempo libero (risposte possibili: invariato, migliorato, peggiorato);
– la modificazione dell’attività lavorativa (risposte possibili: attività saltuaria, nuova o migliorata, interrotta
o assente, continuazione dell’attività precedente);
– l’indipendenza economica (risposte possibili: presente, assente).
miglia a esprimere le loro opinioni in merito al rapporto
e alle differenze tra gli altri membri, rendendo così più
evidenti le relazioni e le convinzioni presenti all’interno
del nucleo familiare. L’attenzione dei terapeuti si focalizza quindi sull’individuazione dei pattern comunicativi e
comportamentali disfunzionali e sul sistema di regole e
miti che determinano l’organizzazione e il funzionamento della famiglia.
La maggior parte degli interventi terapeutici nel modello sistemico sono interventi di reframing, cioè mirati ad
alterare la mappa cognitiva interna della famiglia, introducendo un punto di vista alternativo, in modo implicito o
esplicito. Nella strategia del reframing rientrano le ripunteggiature verbali del terapeuta, la connotazione positiva,
gli interventi paradossali, la prescrizione del sintomo.
In conclusione, la finalità della terapia sistemica è sfidare le premesse epistemologiche della famiglia, facendo
sì che i suoi membri possano creare nuove connessioni
tra eventi e significati, così da immaginare un nuovo sistema di significati da cui emergano comportamenti alternativi. Questa modificazione viene ottenuta attraverso l’impegno continuo del terapeuta e dei familiari in una
lettura alternativa della realtà, che viene così ripunteggiata, stimolando la creazione di nuove prospettive e relazioni all’interno della famiglia.
Il processo terapeutico consiste in una fase valutativa
ed in una serie di 12 sedute familiari mensili della durata
di un’ora e mezza l’una, o con frequenza maggiore se necessario.
Ai fini della presente ricerca la durata della Terapia
Familiare Sistemica è stata standardizzata in 12 mesi. Anche per i pazienti del campione di controllo il periodo T0T1 ha durata di 12 mesi.
I pazienti in terapia familiare sistemica ricevevano,
inoltre, il trattamento psichiatrico di routine.
Modalità di trattamento
Trattamento psichiatrico di routine
Terapia familiare sistemica
Consiste in una serie di colloqui psichiatrici con cadenza variabile da caso a caso, associati a trattamento
farmacologico caratterizzato dalla presenza di almeno un
neurolettico.
L’assegnazione dei 40 pazienti al trattamento psichiatrico di routine o al trattamento psichiatrico di routine
associato a Terapia Familiare Sistemica è avvenuta in
modo randomizzato.
Nel Modello Sistemico di Milano (fondato negli anni ’70 da Selvini Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata) la
famiglia viene concepita come un sistema che si autogoverna attraverso regole sue proprie ed esclusive, i cui
componenti costituiscono un circuito di interazione dove il comportamento di uno influenza quello dell’altro e
ne è contemporaneamente a sua volta influenzato. Secondo l’ottica circolare non è possibile individuare una
causa e un effetto ma una rete di relazioni reciprocamente causali. Anche i sintomi portati da un membro
vengono inquadrati all’interno del sistema di relazioni
in cui si producono e viene riconosciuto ad essi una funzione precisa nel mantenimento dell’organizzazione familiare.
La terapia si svolge soprattutto attraverso le domande
circolari, cioè domande che inducono i membri della fa-
Analisi statistica
Gli end points dello studio sono gli indici clinici di recidiva al termine del follow-up di 12 mesi. Le variabili
utilizzate, recidiva (presente/assente) e compliance (buona/cattiva), al termine del follow-up sono state considerate dicotomiche secondo i criteri sopra definiti.
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Tabella 1. Studi di correlazione al T1
La descrizione della casistica analizzata è stata effettuata mediante gli appropriati metodi della statistica descrittiva. Considerando che molte variabili analizzate
hanno dei cut-off riconosciuti (in riferimento a dei limiti
di normalità delle scale psichiatriche impiegate) e che altre hanno un’intrinseca natura discreta, si è provveduto a
costruire, per tutte le variabili continue, delle classi in accordo soprattutto al criterio clinico, ma anche sulla base
di considerazioni statistiche inerenti la distribuzione dei
dati delle variabili esaminate. L’analisi dell’effetto di tali
variabili è stata effettuata in accordo alla natura longitudinale dello studio secondo il seguente approccio:
– Analisi della Varianza a una via delle variabili in esame per le due classi di trattamento. Tale approccio mira a saggiare l’ipotesi di differenza tra le medie di una
variabile quantitativa nelle due classi di trattamento
considerate.
– Analisi delle tabelle di contingenza scaturite dalla
combinazione di variabili qualitative mediante il test
esatto di Fischer. Il test utilizzato mira alla valutazione di differenze nelle frequenze delle variabili considerate nelle due classi di trattamento suddette.
L’analisi statistica è stata effettuata mediante SPSS e
PC per Windows.
Casistica di
controllo
Casistica
sperimentale
p*
recidive
sì
no
13 (65%)
7 (35%)
3 (15%)
17 (85%)
0.03
passaggi in PSP
sì
no
8 (40%)
12 (60%)
1 (5%)
19 (95%)
0.02
0.05 (d.s. 0.22)
0.02
media passaggi 0.85 (d.s. 1.39)
in PSP
compliance
farmacologica
sì
no
0.04
13 (65%)
7 (35%)
20 (100%)
0 (0%)
p*: probabilità statistica secondo il test esatto di Fischer o test
one-way ANOVA
Tabella 2. Studi di correlazione al T2
recidive
sì
no
RISULTATI
Casistica di
controllo
Casistica
sperimentale
p*
13 (65%)
7 (35%)
5 (25%)
15 (75%)
0.02
p*: probabilità statistica secondo il test esatto di Fischer
Valutazione dell’efficacia clinica della terapia
familiare sistemica
Al termine della terapia abbiamo osservato (Tabella 1)
che nella casistica sperimentale 3 pazienti (15%) avevano recidivato contro i 13 pazienti (65%) della casistica di controllo (p=0.03). Nella casistica sperimentale
un unico paziente (5%) ha fatto registrare almeno un
passaggio in Pronto Soccorso Psichiatrico (PSP), contro gli 8 pazienti (40%) della casistica di controllo
(p=0.02). Anche la media di passaggi in PSP è risultata
differente in modo statisticamente significativo nei
due gruppi di trattamento: 0.85 nei pazienti appartenenti alla casistica sperimentale (d.s. 1.39), 0.05 nei
controlli (d.s. 0.22) (F=6.48; p=0.02). La compliance
farmacologica nella casistica sperimentale era buona
in tutti i casi (100%) mentre in quella di controllo era
buona in 13 casi (65%), cattiva in 7 (35%) (p=0.04). Al
termine del periodo completo di osservazione (Tabella 2) è stata confermata una differenza statisticamente
significativa tra i due gruppi per quanto riguarda la variabile delle recidive: nella casistica sperimentale 5 pazienti (25%) avevano recidivato al T2, contro i 13 pazienti (65%) della casistica di controllo (p=0.02).
Valutazione delle variabili di funzionamento sociale e
lavorativo
Al termine della terapia, nel gruppo sperimentale si
sono registrate le seguenti frequenze nelle variabili
considerate: 6 pazienti (30%) in terapia familiare avevano mantenuto invariati i loro rapporti sociali per
qualità e numero, 11 (55%) li avevano migliorati, 3
(15%) li avevano peggiorati. Dieci pazienti (50%)
avevano mantenuto invariato l’utilizzo del loro tempo
libero, 7 l’avevano migliorato (35%), 3 l’avevano peggiorato (15%). Tre pazienti (15%) avevano mantenuto la precedente attività lavorativa, 16 (80%) non lavoravano e un paziente (5%) lavorava saltuariamente. Tre pazienti (15%) erano economicamente indipendenti, 17 (85%) no. Nello stesso periodo di tempo,
nella casistica di controllo, 9 pazienti (45%) avevano
mantenuto invariati i loro rapporti sociali per qualità
e numero, 5 (25%) li avevano migliorati, 4 (20%) li
avevano peggiorati e 2 pazienti (10%) non avevano
alcun rapporto sociale. Dieci pazienti (50%) avevano
mantenuto invariato l’utilizzo del loro tempo libero, 6
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Efficacia clinica della terapia familiare sistemica nella schizofrenia
l’avevano migliorato (30%), 4 l’avevano peggiorato
(20%).
Dopo 12 mesi 2 pazienti (10%) avevano mantenuto
la precedente attività lavorativa, 15 (75%) non lavoravano e 3 pazienti (15%) avevano trovato una nuova
occupazione. Sei pazienti (30%) erano indipendenti
economicamente, 14 (70%) no. Non sono emerse differenze statisticamente significative in ciascun gruppo
di pazienti per quanto riguarda le variabili prese in
considerazione nel periodo di tempo T0-T1, né tra i
due gruppi al T1.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La letteratura è povera di studi controllati che si
siano posti come obiettivo di valutare l’efficacia clinica della terapia familiare di tipo sistemico nella cura di
pazienti schizofrenici.
Lo studio di Bennum del 1986 (23) mise a confronto due campioni sottoposti uno ad una terapia familiare sistemica, l’altro ad una terapia familiare cognitivocomportamentale. Questo studio, che pure ha dimostrato un’efficacia terapeutica simile per entrambe le
terapie, aveva però il limite, per quanto qui interessa,
che i pazienti reclutati non avevano una diagnosi di
schizofrenia o disturbo dello spettro, ma di vari e diversi disturbi: alcolismo, depressione, fobie, disturbi
alimentari e anche asma.
De Giacomo, et al. (24) condussero uno studio su 38
pazienti con disturbo schizofrenico (secondo i criteri
del DSM-III-R): 19 furono assegnati, in modo randomizzato, al tradizionale trattamento farmacologico e
19 ad un trattamento combinato in cui alla terapia farmacologica si associava un particolare modello sistemico (EPM: Elementary Pragmatic Model) con una
forte connotazione paradossale. Ad un anno di followup entrambi i gruppi mostrarono un miglioramento
nelle scale di valutazione utilizzate sia per la valutazione clinica che per le abilità sociali.
La frequenza di recidiva ad un anno di follow-up da
noi registrata non è distante da quella fatta registrare
nei principali studi di una ricca letteratura che ha invece studiato l’efficacia di altri interventi psicosociali
nella cura di pazienti schizofrenici, come il social skills
training, gli interventi familiari psicoeducativi e comportamentali. Fra gli studi controllati con follow-up a
due anni possiamo ricordarne alcuni, insieme ai dati
sulle recidive: Leff, et al. (16) confrontarono una casistica di controllo in terapia psichiatrica routinaria ed
un gruppo di pazienti con terapia psicosociale consistente in un intervento educativo familiare, terapia familiare, gruppi di familiari e terapia clinica routinaria:
le frequenze di recidive furono del 9% a 9 mesi e del
40% a due anni di follow-up nella casistica sperimentale, del 50% e del 78% nella casistica di controllo.
Falloon, et al. (25) confrontarono una casistica di
controllo in terapia clinica routinaria ed un gruppo di
pazienti con terapia comportamentale: le frequenze di
recidive furono del 6% a 9 mesi e del 17% a due anni
di follow-up nella casistica sperimentale, del 44% e del
83% nella casistica di controllo.
Hogarty, et al. (15,26) confrontarono una casistica
di controllo in terapia clinica routinaria e tre diversi
gruppi di pazienti con terapia psicosociale: le frequenze di recidive furono del 23% a 9 mesi e del 34% a due
anni di follow-up nella casistica in terapia familiare,
del 30% a 9 mesi e del 42% a due anni di follow-up
nel gruppo in social skill training, del 9% e del 25%
nel gruppo che combinava terapia familiare e social
skill training ed infine del 49% e del 67% nella casistica di controllo.
Quanto rilevato fa riflettere sull’importanza di coinvolgere l’intero nucleo familiare nel processo terapeutico del paziente schizofrenico, sia pure con approcci
diversi. Non sappiamo di preciso come gli interventi
psicosociali funzionino, possiamo però ipotizzare che
l’approccio sistemico sia in grado di ridurre la tensione
emotiva scatenata nella famiglia dalla patologia psichiatrica e possa creare un ambiente familiare accogliente e ben adattativo, capace di gestire quegli avvenimenti interni od esterni alla famiglia che possono
portare i pazienti ad una ricaduta sintomatologica.
Vogliamo per ultimo ricordare quanto la terapia familiare sistemica riesca ad influire positivamente sulla
compliance farmacologica dei pazienti: al T1 la compliance farmacologica nella casistica sperimentale era
buona in tutti i casi (100%), mentre in quella di controllo era buona in 13 casi (65%), cattiva in 7 (35%),
(p=0.04). Questi dati suggeriscono che l’attivazione di
una comunicazione più valida e il cambiamento delle
relazioni intrafamiliari permetta una maggiore alleanza terapeutica sostenuta anche dagli altri membri della famiglia. In un’ottica circolare il supporto e l’alleanza terapeutica, che si stabilisce con l’équipe sistemica,
si riflettono anche nel potenziare l’adesione ai trattamenti farmacologici del paziente.
Studio delle variabili di funzionamento sociale e
lavorativo
Per quanto riguarda le aree di funzionamento sociale e lavorativo l’analisi dei dati non ha messo in luce
differenze statisticamente significative tra i due gruppi
di trattamento; le variabili prese in esame erano i rap-
Rivista di psichiatria, 2004, 39, 3
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Bressi C, et al.
porti sociali extrafamiliari, l’utilizzo del tempo libero,
l’attività lavorativa e l’indipendenza economica.
Dai dati emersi sembra che la terapia familiare sistemica sia insufficiente a determinare un miglioramento significativo in queste aree. Dobbiamo ricordare che questo non è fra i principali obiettivi della terapia, ma è semmai un effetto indiretto auspicabile: la ristrutturazione del sistema-famiglia e la diminuzione
della frequenza di recidiva con allungamento dello
spazio intercritico potrebbero creare un ambiente favorevole perché il paziente si apra alle relazioni extrafamiliari, utilizzi meglio il proprio tempo libero, conduca un qualche tipo di attività lavorativa e mantenga
una indipendenza economica. Se questo non è stato
osservato nel nostro studio è possibile, a nostro parere,
immaginare che un anno di follow-up sia un periodo
troppo breve per valutare una reale modificazione delle variabili considerate, in questo particolare tipo di terapia familiare.
La letteratura non è particolarmente ricca di studi
che si occupano della valutazione del funzionamento
sociale e lavorativo dei pazienti, anche se vi è un sempre maggiore impegno in questa direzione.
La terapia familiare sistemica ha dimostrato di portare un miglioramento nel funzionamento sociale e lavorativo nel già citato studio di De Giacomo, et al.
(24). Per quanto riguarda gli studi che valutano l’efficacia di altre terapie familiari possiamo ricordare quello di Falloon (14). A 9 mesi di follow-up vi furono dei
miglioramenti all’interno di entrambi i gruppi di terapia, ma in maniera significativamente maggiore nel
gruppo in terapia familiare comportamentale, per
quanto riguardava i compiti di casa, le attività di studio
o di lavoro, le amicizie extrafamiliari. A 24 mesi si riscontrarono dei miglioramenti nello svolgimento dei
compiti di casa e nel prendere delle decisioni. Gli Autori conclusero lo studio affermando che il miglioramento del funzionamento sociale era avvenuto in maniera indiretta, dato che il trattamento familiare seguito consisteva in un generico approccio di problem-solving. Risultati positivi sono stati ottenuti in quest’area
anche nel già citato studio di Hogarty, et al. (26).
Gli interventi psicosociali sono ormai da lungo tempo entrati a far parte della pratica clinica nella cura
della schizofrenia. Se la letteratura internazionale è
ricca di studi controllati che hanno dimostrato l’efficacia clinica di interventi familiari di tipo psicoeducazionale e comportamentale (14), il nostro studio apre la
strada della ricerca sulla valutazione dell’efficacia clinica della terapia familiare sistemica nella cura di pazienti schizofrenici. I risultati clinici sono stati significativi ed incoraggiano l’utilizzo di questo tipo di terapia nell’intervento integrato di pazienti schizofrenici.
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