Dalla fisica teorica alla fisica sperimentale per esplorare le nuove

 INFORMAZIONE 125
Ricerca applicata
Dalla fisica teorica alla fisica sperimentale
per esplorare le nuove frontiere dell’ingegneria
Lo studio sui reattori per la produzione di energia da fusione nucleare calda
L’Universo si può spiegare con poche e semplici – si fa
per dire – leggi elementari? È quello che gli scienziati-filosofi
cercano di fare da oltre duemilacinquecento anni: lo ripeteva
anche Albert Einstein, ogni qualvolta ne aveva l’occasione. C’è
stato un tempo in cui scienza e filosofia andavano a braccetto e,
dall’osservazione “del mondo”, cioè della realtà che ci circonda – quella che percepiamo con i sensi e quella che possiamo
solo immaginare che esista, come l’antimateria – è scaturita la
prima fondamentale ipotesi sulla struttura dell’Universo: ogni
cosa è formata da elementi indivisibili, che potremmo definire i mattoni della materia. A queste particelle indivisibili un
filosofo greco della scuola presocratica, Democrito di Abdera
(circa 460 - 370 a.C.), diede il nome di atomo (letteralmente:
indivisibile), da cui il nome della cosiddetta “scuola atomista”.
Le sostanze e la varietà dei fenomeni che si manifestano
sulla Terra e nell’Universo sono stati oggetto di filosofeggiamenti da parte, fra gli altri, di Aristotele. Questi, che ha avuto
un peso enorme nella storia e nell’evoluzione scientifica del
mondo occidentale, riteneva che ogni cosa e fenomeno si
potesse spiegare come la perfetta combinazione di quattro
elementi di base: aria, acqua, terra e fuoco. Non più, quindi,
facendo ricorso all’inafferrabile atomo democriteo.
L’incerta – sul piano scientifico – tesi sostenuta da
Aristotele è sopravvissuta per circa 2000 anni. Sono stati necessari gli illuminati studi e ricerche dell’italiano Galileo Galilei
(1564-1642) e dell’inglese Isaac Newton (1642-1727), tra il
XVII e il XVIII secolo, per scardinare la suddetta tesi. La competenza del chimico Antoine Lavoiser (1743-1794) permise
poi di scomporre l’acqua nei suoi elementi di base (idrogeno
e ossigeno). L’acqua dunque non è – come sosteneva Aristotele – un elemento fondamentale, giacché non è indivisibile;
una molecola d’acqua è infatti scomponibile in due atomi di
idrogeno e un atomo di ossigeno (in formula H2O).
Se la soluzione offerta da Aristotele prevedeva che la
materia e i fenomeni fisici e chimici osservabili in natura fossero tutti – nessuno escluso – riconducibili alla combinazione
di soli quattro elementi, il chimico russo Dmitrij Mendeleev
(1834-1907) invece, facendo propria la tesi sostenuta da John
Dalton (1766-1844) sul fondamento dell’ipotesi democritea
dell’esistenza degli atomi, propose un semplice e fecondo
sistema per classificare gli atomi degli elementi – decisamente
più di quattro – costituenti l’Universo. Il sistema di Mendeleev
prende il nome di tavola periodica degli elementi ed è alla
base della chimica e della fisica moderne. La tabella periodica
consentì di predire l’esistenza di elementi chimici che non
erano ancora stati scoperti – ma che lo sarebbero stati di
lì a poco – e di spiegare alcune affinità tra elementi chimici
appartenenti agli stessi gruppi. Di recente è stato scoperto il
pagina
L’AUTORE.
Andrea Alessandro Muntoni
è un ingegnere per l’ambiente e il
territorio, libero professionista.
e-mail: [email protected]
centodiciassettesimo elemento della tabella periodica, che
presto avrà anche un nome: si tratta di un elemento molto
pesante, instabile, creato artificialmente in laboratorio, che
gode di particolare attenzione perché è più stabile degli altri
elementi artificiali che lo precedono nella tabella periodica,
a dispetto della sua maggiore massa.
Nella tabella periodica gli atomi degli elementi sono
ordinati in base al numero atomico (Z), cioè in base al numero
di protoni costituenti il nucleo. Ma allora neanche l’atomo è
la particella indivisibile di Democrito, giacché esso – come
sappiamo con certezza – è costituito da mattoncini ancora
più piccoli, che possono essere spiegati solo facendo ricorso
al Modello di Thomson della meccanica classica e al Modello
Standard della meccanica quantistica.
Antoine Becquerel (1852-1908), in onore del quale il
Sistema internazionale chiama Becquerel (Bq) l’unità di misura della radioattività, scopre che certi sali di uranio hanno
la capacità di impressionare delle lastre – cosa che sino ad
allora era possibile solo esponendo alla luce delle superfici
ricoperte da particolari sostanze, mediante tecniche antesignane della moderna fotografia – anche in assenza di luce, cioè in
assenza di radiazione elettromagnetica nello spettro visibile.
Sulle lastre, infatti, risultavano essere presenti delle tracce
lasciate da qualcosa che veniva, evidentemente, liberata dal
campione di sali di uranio e che riusciva, peraltro, a superare
(attraversare) anche sottili lamine interposte tra il campione
e la lastra stessa.
Si trattava, evidentemente, della scoperta di un fenomeno – noto come radioattività – che destò da subito il forte
interesse di un fisico di nome Maria Sklodowska (1867-1934),
oggi più conosciuta come Marie Curie, poiché aveva sposato
40
pagina
positivamente, sulla cui superficie o al cui interno sono più o
meno uniformemente distribuiti gli elettroni, affinché il sistema
sia elettricamente neutro.
Tuttavia, fu E. Rutherford a dover smentire, nel 1911, il
modello di atomo proposto dal proprio maestro J. Thomson,
attraverso una lunga serie di esperimenti sui raggi alfa condotti
insieme a Ernest Walton (1903-1995) e a John Cockcroft
(1897-1967), padri dei moderni acceleratori di particelle. Il
modello atomico di Rutherford prevedeva, infatti, che l’atomo
fosse sostanzialmente più vuoto che pieno, con un nucleo di
diametro molto piccolo (10-14 m) e dotato di carica elettrica di
segno positivo, con elettroni (dotati di carica elettrica negativa)
che gli ruotano intorno.
Pochi anni più tardi, un allievo di E. Rutherford, il danese
Niels Bohr (1865-1962), anch’egli amico di Albert Einstein,
proporrà in seno alla meccanica quantistica – di cui il primo fu
un sostenitore e l’altro un detrattore – un modello atomico che
prevede una nuvola di elettroni che ruota intorno al nucleo su
particolari orbite, che si concilia con la teoria elettromagnetica
del matematico e fisico scozzese James Maxwell (1831-1879).
E il nucleo, ci si chiede all’inizio del XX secolo, sarà
indivisibile?
La risposta è negativa e sarà ancora E. Rutherford a darla,
individuando i suoi principali costituenti elementari, primo fra
tutti il protone (nucleo dell’atomo di idrogeno – prozio), che
questi riesce a evidenziare sperimentalmente bombardando
degli atomi con particelle alfa, cui si attribuisce una carica
positiva, uguale e contraria a quella dell’elettrone. In natura,
infatti, l’idrogeno si presenta in tre forme isotopiche, che
corrispondono ai nomi di prozio (Z = 1, A = 1), deuterio (Z =
1, A = 2) e trizio (Z = 1, A = 3), in cui Z rappresenta il numero
atomico (evidentemente uguale a 1 in tutti e tre i casi, essendo
isotopi dell’idrogeno) e in cui A rappresenta il numero di massa
(somma dei protoni e dei neutroni che costituiscono il nucleo).
Indicata con “e” la carica elettrica elementare, se si
ammette che la carica elettrica dei protoni è uguale e contraria a quella degli elettroni, un nucleo con una carica pari, per
esempio, a +6e dovrebbe avere un corrispondente numero di
protoni: 6, per l’appunto, come quelli ipotizzati da D. Mendeleev per l’elemento che occupa la sesta casella della tavola
periodica, il Carbonio (C). E quindi una massa pari a 6 volte
quella del nucleo dell’atomo di idrogeno.
I fisici, però, si accorgono che il nucleo non può essere
composto di soli protoni: vi sono, infatti, elementi chimici
la cui massa risulta essere doppia rispetto a quella che gli
competerebbe se i protoni (nuclei di atomi di idrogeno) fossero in numero pari alle cariche elettriche ad esso attribuite;
nell’esempio di cui sopra, ad una carica di +6e dovrebbe
corrispondere una massa pari a 6 volte quella del nucleo di
un atomo di idrogeno, e invece si osserva e rileva che la massa
è pari a 12 volte quella del nucleo di un atomo di idrogeno,
cioè è doppia rispetto a quella attesa dall’equivalenza carica
elettrica - massa del nucleo di un atomo di idrogeno (protone).
Evidentemente, si arriva infine a ipotizzare, il nucleo è
costituito anche da altre particelle elementari, di massa sostanzialmente identica – in realtà di poco superiore – a quella
di un protone, elettricamente neutre; esse, cioè, contribuirebbero alla massa ma non alla carica del nucleo atomico, e sarà
41
INFORMAZIONE 125 il fisico francese Pierre Curie (1859-1906). Amica fra l’altro
di Albert Einstein, la scienziata polacca fece assieme al marito
una scoperta fondamentale: la radioattività non è prodotta dai
sali di uranio – composti da uranio (U), potassio (K) e zolfo
(S) – ma dall’uranio stesso.
Il fisico neozelandese Ernest Rutherford (1871-1937)
scoprì che la radiazione emessa dall’atomo di uranio aveva una
natura corpuscolare. Esistono due distinte forme di radiazione
corpuscolare, denominate radiazione alfa e radiazione beta: la
prima è dovuta all’emissione di una particella alfa (costituita
da due protoni e due neutroni, cioè dal nucleo dell’atomo di
Elio (He), elettricamente positiva); l’altra è imputabile all’emissione di una particella beta (generalmente dovuta a un
elettrone, di carica negativa).
La terza forma in cui può presentarsi la radioattività fu
scoperta da Paul Villard (1860-1934): la radiazione gamma,
che è elettricamente neutra ed è dovuta all’emissione di
fotoni ad altissima energia. Rutherford comprese appieno la
portata delle sue scoperte e di quelle di Villard: esse indicano
che l’atomo non è indivisibile ma è composto da particelle
elementari (protoni, neutroni, elettroni) di cui alcuni elementi
(radioattivi) si liberano spontaneamente.
Gli elementi radioattivi decadono e decadendo si trasformano: l’uranio 238 (U-238) decade (emettendo una particella
alfa) in un atomo con un numero di massa (A) più piccolo di
quattro unità. Dopo un certo numero di decadimenti alfa e beta
si arriva al radio 226 (Ra-226) e quando anche quest’ultimo
decade (emettendo una particella alfa) si trasforma in radon
(Rn-222), e quest’ultimo in polonio. Infine, dopo un certo
numero di ulteriori decadimenti, in un elemento stabile, che
non decadrà più: il piombo (Pb).
Il tempo complessivo necessario per il decadimento
da un elemento all’altro è normalmente espresso dal tempo
di dimezzamento (t1/2 è il tempo necessario perché il 50%
degli isotopi costituenti un dato campione decadano). Il radon
impiega poco più di 3 giorni per decadere in polonio e dunque
la sua attività radioattiva è sufficientemente lunga da consentire a questo (pericoloso) gas di essere inalato dall’apparato
respiratorio e di causare, in caso di esposizione a elevati valori
di concentrazione di attività radioattiva (tipicamente 100 Bq/
m3, secondo WHO), il cancro al polmone.
Avevano dunque ragione gli stregoni che in passato
cercavano il sistema per trasformare i metalli in oro, cioè di
effettuare con qualche alchimia la trasmutazione di un elemento in un altro? L’ipotesi formulata da Rutherford suonava
un po’ esoterica, se è vero che ammetteva la possibilità che
un elemento chimico della tabella periodica potesse, nel
tempo, cambiare la propria natura chimica, trasformandosi
in qualcos’altro!
La scoperta della radioattività mise dunque in discussione concetti e conoscenze ormai consolidate per fisici e chimici.
Occorreva a questo punto dimostrare la tesi di E. Rutherford
o formulare un’altra ipotesi. Fu Joseph Thomson (1856-1940)
– alla cui scuola si formò Rutherford – a scoprire l’elettrone,
riconoscendo che le particelle dei raggi beta hanno la stessa
natura e carica elettrica della particelle emesse dai raggi catodici nei tubi catodici. Fu Thomson a proporre il primo modello
dell’atomo, che immaginò come una specie di sferetta carica
INFORMAZIONE 125
Ricerca applicata è ancora quella massima realizzabile
presso l’acceleratore LHC, come si
2/3
1/2
quark
up
u
2,5 MeV/c2
sono premuniti di far osservare i por-1/3
1/2
quark
down
d
5,0 MV/c2
tavoce – uno dei quali era l’italiana
2/3
1/2
quark
charm
c
1,27 GeV/c2
Fabiola Gianotti – dei due gruppi di
ricerca del CERN riuniti intorno ai
-1/3
1/2
quark
strange
s
101 MeV/c2
rivelatori ATLAS e CMS.
2/3
1/2
quark
top
t
172,0 GeV/c2
In effetti, anche se Gianotti e Joe
2
-1/3
1/2
quark
bottom
b
4,2 GeV/c
Incandela
hanno dato per quasi certa
<2,2 eV/c2
0
1/2
leptoni
neutrino elettronico
νe
la scoperta di una nuova particella,
<0,17 MeV/c2
0
1/2
leptoni
neutrino muonico
νμ
rimangono prudenzialmente ancora
2
dei dubbi riguardo al fatto che si tratti
<15,5 MeV/c
0
1/2
leptoni
neutrino tauonico
ντ
proprio del bosone di Higgs.
-1
1/2
leptoni
elettrone
e
0,511 MeV/c2
Ma cosa avviene, concretamen2
μ
-1
1/2
leptoni
muone
105,7 MeV/c
te, presso l’acceleratore di particelle
2
τ
-1
1/2
leptoni
tauone
1,777 GeV/c
denominato LHC e gestito dal CERN
γ
bosoni
fotone
0
0
1
a Ginevra? Nell’acceleratore vengono
bosoni
gluone
g
0
0
1
fatti scontrare due fasci di protoni (p) e
antiprotoni (p-), che corrono parallela0
1
bosoni
forza debole
Z
91,2 GeV/c2
mente fra loro ma seguendo traiettorie
0,4 GeV/c2
±1
1
bosoni
forza debole
W±
di verso opposto all’interno di un anello
0
2
125,5 GeV/c
0
0
bosoni
bosone di Higgs
H
con una circonferenza pari a 27 km,
Figura 1. Quadro sinottico del Modello Standard per la descrizione dell’atomo
ubicato a una profondità media di circa
100 m. L’anello è costituito da 1600
E. Rutherford a chiamarle neutroni. A onor del vero, il fatto magneti (toroidali) superconduttori che vincolano le particelle
che la massa del neutrone potesse essere di poco superiore ed antiparticelle suddette a ruotare parallelamente fra loro,
a quella del protone venne a suo tempo spiegata – errone- facendo in modo che aumenti la loro velocità (da cui appunto
amente – da Rutherford con la possibilità che questa nuova il nome di acceleratore di particelle dato a queste macchine)
particella elementare potesse formarsi per fusione tra un sino a che non si raggiunge l’energia desiderata.
Nel 2011 l’energia che si faceva raggiungere a ciascuno
protone e un elettrone. È certo, oggi, che così non è; tuttavia,
anche se qualche fisico sorride all’idea a suo tempo proposta dei due fasci era pari a 3,5 TeV; nel 2012 si è saliti a 4 TeV, e
da Rutherford, pur riconoscendogli tutta la stima e il rispetto in futuro si arriverà, gradualmente, a 7 TeV, ovvero l’energia
che merita per le innumerevoli e fondamentali scoperte fatte massima raggiungibile nell’LHC.
Al raggiungimento dell’energia programmata, dovuta
e le intuizioni avute, rimane il fatto che negli acceleratori di
particelle si assiste a fenomeni di annichilazione e creazione all’accelerazione dei due suddetti fasci all’interno dell’accedi materia che dovrebbero stupire assai più di quella discussa leratore, si fa in modo che le particelle P e P- si scontrino in
ipotesi. Insomma, per dirla con Einstein, forse «Dio non gioca quattro stazioni sperimentali, ove sono ubicati i rivelatori che
a dadi», ma al CERN di Ginevra si assiste talora a inspiegabili registrano ciò che avviene per effetto della collisione. Per avere
un’idea delle dimensioni delle stazioni sperimentali, ubicate
fenomeni fisici, per il momento non del tutto comprensibili.
A rivelare sperimentalmente il neutrone sarà poi James all’interno di cavità scavate nella roccia, basti pensare che
l’apparato di misura e controllo dell’esperimento ATLAS è
Chadwick (1891-1974), nel 1932.
lungo circa 45 m ed è alto circa 20 m.
Il Modello Standard e il bosone di Higgs
La collisione fra le particelle di protoni e antiprotoni acIl 4 luglio 2012 a Ginevra, in Svizzera, nel corso di una celerati provoca la loro annichilazione, cioè la trasformazione
conferenza stampa rivolta a fisici, giornalisti e divulgatori di materia (p) ed antimateria (p-) in energia; nel 2012 sono
scientifici di tutto il mondo, è stata data una notizia che po- stati registrati sperimentalmente valori di energia (totale) pari
trebbe rivoluzionare la fisica, giacché confermerebbe la bontà a 7-8 TeV.
L’energia che si libera per effetto dell’annichilazione è
del Modello Standard: presso il più grande acceleratore di
particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC), è stata la materia prima di cui la Natura si serve per creare nuove
sperimentalmente rilevata la presenza di una “inafferrabile” particelle, di cui gli esperimenti mostrano le tracce; molte
particella denominata bosone di Higgs, dal nome del suo particelle, peraltro, hanno una vita assai breve poiché tendono
a trasformarsi in altre particelle.
scopritore, il fisico nucleare inglese Peter Higgs.
Non deve stupire il fatto che l’energia si trasformi in
Sono trascorsi parecchi decenni da quando Higgs ipotizzò la presenza di una nuova particella, denominata appunto massa: già agli inizi del XX secolo Albert Einstein dimostrò
bosone, che potrebbe essere responsabile del conferimento infatti l’equivalenza fra energia e massa (E = m · c2).
Dalle collisioni che si realizzano nell’LHC si forma una
della massa a tutte le altre particelle. La scoperta, tuttavia,
dovrà ancora essere avvalorata e confermata da ulteriori miriade di particelle; la difficoltà per i fisici sta nel fatto che da
esperimenti, anche aumentando l’energia in gioco, che non ciascuna traccia occorre risalire alle particelle capostipiti che
tipo
nome
simbolo
massa
pagina
carica
42
spin
INFORMAZIONE 125 l’hanno generata, complicando la lettura e l’interpretazione
del fenomeno (collisione) artificialmente indotto.
Per interpretare i dati relativi alle collisioni tra i fasci
di p e p- (circa un miliardo di collisioni al secondo), i fisici
dispongono di opportuni “filtri” hardware e software. Solo un
evento ogni 5 milioni di quelli osservati diventa oggetto di più
approfondite analisi; pertanto i fisici, anche dopo aver passato
al setaccio gli eventi, debbono analizzare nel dettaglio circa
200 eventi al secondo.
Si stima che la collisione che può dare luogo alla formazione del bosone di Higgs si verifichi, in media, una volta
ogni tre ore, cosicché occorre collezionare 2.160.000 eventi
(= 200 eventi/s * 3600 s/h * 3 h) per avere a che fare con
quella che è stata a lungo denominata la “particella mancante”
del Modello Standard.
La fisica teorica e sperimentale, come temevano i fisici
dei laboratori statunitensi prima della rivelazione del bosone
di Higgs, dovrà d’ora innanzi volgere il proprio sguardo verso
altri fenomeni noti ma ancora inspiegabili e indimostrabili; è
questo, in fondo, il sale della ricerca scientifica.
La fusione nucleare
Accanto alle ricerche di fisica teorica, si stanno svolgendo importanti ricerche nel campo della fisica applicata alla
produzione di energia mediante la fusione nucleare, che in un
futuro prossimo potrebbe sostituire la tecnologia delle centrali
nucleari attualmente in esercizio, ove si produce energia a partire dalla fissione di materiale radioattivo, tipicamente uranio.
pagina
Nella foto qui sopra e nella prossima pagina: installazione
dei rilevatori per l’Esperimento ATLAS presso il CERN di Ginevra
foto di Claudia Marcelloni De Oliveira © 2014 CERN
La fusione nucleare può essere di due tipi: fredda
(scoperta e presentata alla comunità scientifica da Martin
Fleischmann e Stanley Pons nel 1989), quando avviene a
temperatura ambiente, o calda, quando avviene a temperature
elevatissime, dell’ordine di molti milioni di gradi centigradi.
Uno degli obiettivi della ricerca è realizzare su grande scala un
reattore in cui fare avvenire, in maniera controllata, la fusione
nucleare calda.
La fusione nucleare potrebbe essere spiegata in questo
modo: due nuclei di due o più atomi – avvicinati fra loro al
punto da far prevalere l’interazione forte sulla forza di repulsione elettromagnetica – danno luogo alla formazione, per
effetto della loro fusione, di un nucleo di massa minore della
somma delle masse dei due o più atomi compressi fra loro e
alla produzione di energia e altre particelle.
L’idrogeno è il più leggero elemento chimico ed è presente, in grande abbondanza, in tutto l’Universo. È un gas
presente in forma isotopica: esso, cioè, ha un nucleo costituito da un protone e uno o più neutroni, cosicché il nucleo è
sempre elettricamente neutro. Se si creano le condizioni per
avvicinare fra loro i nuclei del deuterio (H-2) e del trizio (H-3)
si può produrre un nucleo di elio (He-4), costituito da 2 protoni
e 2 neutroni e un neutrone libero, oltre a una grande quantità
di energia (circa 17,6 MeV, leggi milioni di elettronvolt). Due
43
INFORMAZIONE 125
Ricerca applicata semplici conti consentono di verificare che la massa iniziale
è pari a 5 (= 2 protoni + 3 neutroni) e che alla fine della reazione nucleare calda si ha una massa pari a 4 (= 2 protoni +
2 neutroni, corrispondenti al nucleo dell’elio) più 1 neutrone
libero, oltre a una grande quantità di energia.
Il vantaggio di questa innovativa scoperta scientifica è
rappresentato dal fatto che il deuterio (H-2) è presente naturalmente nell’acqua, mentre il trizio (H-3) si può ricavare,
più o meno facilmente, dal litio; il combustibile, pertanto, è
disponibile in gran quantità ovunque, sulla Terra.
La reazione di fusione nucleare dà luogo a modestissime
quantità di materiali debolmente radioattivi, che debbono comunque essere stoccati in appositi depositi; essi esauriscono
la propria attività nell’arco di circa 100 anni, neppure minimamente paragonabile col tempo di dimezzamento dei rifiuti
e scorie radioattivi che si generano nelle centrali nucleari in
cui avviene la produzione di energia per mezzo della fissione
nucleare di uranio arricchito.
È a quest’obiettivo che stanno lavorando scienziati di
tutto il mondo: la costruzione di un Tokamak, un reattore
nucleare all’interno del quale si dovrebbe riuscire a far avvenire
la fusione di nuclei atomici. Il reattore è già in costruzione in
Francia e dovrebbe costare non meno di 15 miliardi di euro;
alla sua realizzazione e al suo finanziamento concorrono molti
partner, tra cui l’Unione europea, gli USA, la Russia, l’India,
la Cina e la Corea del sud.
Il Tokamak – ideato nell’ex Unione Sovietica – è un’apparecchiatura costituita da una camera toroidale in cui è
pagina
possibile far avvenire la fusione nucleare, essendo capace di
contenere al suo interno il plasma, a una temperatura di circa
150 milioni di gradi. Questa temperatura è 10 volte maggiore
di quella a cui – si ipotizza – avviene la fusione nucleare nel
nucleo del sole: uno degli aspetti più delicati e complessi, sul
piano tecnologico, è quindi garantire che il calore prodotto dal
plasma non faccia fondere i materiali con cui sarà costruito il
Tokamak. La soluzione prospettata è la seguente: mettere in
opera intorno alla camera a vuoto delle spire metalliche che
dovranno produrre elevatissimi campi elettromagnetici in
grado confinare il plasma all’interno della cella e garantire all’esterno di essa temperature dell’ordine dei 270 gradi sotto zero
(-273 °C), cioè temperature prossime allo zero assoluto (0 K),
che non facciano fondere i pur resistenti materiali del reattore.
La scommessa, pertanto, si gioca sulla possibilità di realizzare
in poco spazio una condizione critica al limite delle possibilità
ingegneristiche: un salto termico di circa 150.000.000 °C tra
la camera a vuoto in cui vorticherà il plasma e l’ambiente
esterno. Se si riuscirà nell’impresa sarà possibile realizzare su
scala industriale dei reattori che, utilizzando l’idrogeno come
combustibile, potranno produrre energia sufficiente per tutte
le future esigenze di sviluppo e crescita della civiltà umana.
La fusione nucleare calda è, in linea teorica, molto più
vantaggiosa e sicura della fissione nucleare; occorrerà però
attendere qualche decennio prima che la fase sperimentale su
un modello di reattore a grande scala possa essere completata
e la tecnologia resa sicura, affidabile ed efficiente.
Andrea Alessandro Muntoni
44