INFORMAZIONE 125 Ricerca applicata Dalla fisica teorica alla fisica sperimentale per esplorare le nuove frontiere dell’ingegneria Lo studio sui reattori per la produzione di energia da fusione nucleare calda L’Universo si può spiegare con poche e semplici – si fa per dire – leggi elementari? È quello che gli scienziati-filosofi cercano di fare da oltre duemilacinquecento anni: lo ripeteva anche Albert Einstein, ogni qualvolta ne aveva l’occasione. C’è stato un tempo in cui scienza e filosofia andavano a braccetto e, dall’osservazione “del mondo”, cioè della realtà che ci circonda – quella che percepiamo con i sensi e quella che possiamo solo immaginare che esista, come l’antimateria – è scaturita la prima fondamentale ipotesi sulla struttura dell’Universo: ogni cosa è formata da elementi indivisibili, che potremmo definire i mattoni della materia. A queste particelle indivisibili un filosofo greco della scuola presocratica, Democrito di Abdera (circa 460 - 370 a.C.), diede il nome di atomo (letteralmente: indivisibile), da cui il nome della cosiddetta “scuola atomista”. Le sostanze e la varietà dei fenomeni che si manifestano sulla Terra e nell’Universo sono stati oggetto di filosofeggiamenti da parte, fra gli altri, di Aristotele. Questi, che ha avuto un peso enorme nella storia e nell’evoluzione scientifica del mondo occidentale, riteneva che ogni cosa e fenomeno si potesse spiegare come la perfetta combinazione di quattro elementi di base: aria, acqua, terra e fuoco. Non più, quindi, facendo ricorso all’inafferrabile atomo democriteo. L’incerta – sul piano scientifico – tesi sostenuta da Aristotele è sopravvissuta per circa 2000 anni. Sono stati necessari gli illuminati studi e ricerche dell’italiano Galileo Galilei (1564-1642) e dell’inglese Isaac Newton (1642-1727), tra il XVII e il XVIII secolo, per scardinare la suddetta tesi. La competenza del chimico Antoine Lavoiser (1743-1794) permise poi di scomporre l’acqua nei suoi elementi di base (idrogeno e ossigeno). L’acqua dunque non è – come sosteneva Aristotele – un elemento fondamentale, giacché non è indivisibile; una molecola d’acqua è infatti scomponibile in due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno (in formula H2O). Se la soluzione offerta da Aristotele prevedeva che la materia e i fenomeni fisici e chimici osservabili in natura fossero tutti – nessuno escluso – riconducibili alla combinazione di soli quattro elementi, il chimico russo Dmitrij Mendeleev (1834-1907) invece, facendo propria la tesi sostenuta da John Dalton (1766-1844) sul fondamento dell’ipotesi democritea dell’esistenza degli atomi, propose un semplice e fecondo sistema per classificare gli atomi degli elementi – decisamente più di quattro – costituenti l’Universo. Il sistema di Mendeleev prende il nome di tavola periodica degli elementi ed è alla base della chimica e della fisica moderne. La tabella periodica consentì di predire l’esistenza di elementi chimici che non erano ancora stati scoperti – ma che lo sarebbero stati di lì a poco – e di spiegare alcune affinità tra elementi chimici appartenenti agli stessi gruppi. Di recente è stato scoperto il pagina L’AUTORE. Andrea Alessandro Muntoni è un ingegnere per l’ambiente e il territorio, libero professionista. e-mail: [email protected] centodiciassettesimo elemento della tabella periodica, che presto avrà anche un nome: si tratta di un elemento molto pesante, instabile, creato artificialmente in laboratorio, che gode di particolare attenzione perché è più stabile degli altri elementi artificiali che lo precedono nella tabella periodica, a dispetto della sua maggiore massa. Nella tabella periodica gli atomi degli elementi sono ordinati in base al numero atomico (Z), cioè in base al numero di protoni costituenti il nucleo. Ma allora neanche l’atomo è la particella indivisibile di Democrito, giacché esso – come sappiamo con certezza – è costituito da mattoncini ancora più piccoli, che possono essere spiegati solo facendo ricorso al Modello di Thomson della meccanica classica e al Modello Standard della meccanica quantistica. Antoine Becquerel (1852-1908), in onore del quale il Sistema internazionale chiama Becquerel (Bq) l’unità di misura della radioattività, scopre che certi sali di uranio hanno la capacità di impressionare delle lastre – cosa che sino ad allora era possibile solo esponendo alla luce delle superfici ricoperte da particolari sostanze, mediante tecniche antesignane della moderna fotografia – anche in assenza di luce, cioè in assenza di radiazione elettromagnetica nello spettro visibile. Sulle lastre, infatti, risultavano essere presenti delle tracce lasciate da qualcosa che veniva, evidentemente, liberata dal campione di sali di uranio e che riusciva, peraltro, a superare (attraversare) anche sottili lamine interposte tra il campione e la lastra stessa. Si trattava, evidentemente, della scoperta di un fenomeno – noto come radioattività – che destò da subito il forte interesse di un fisico di nome Maria Sklodowska (1867-1934), oggi più conosciuta come Marie Curie, poiché aveva sposato 40 pagina positivamente, sulla cui superficie o al cui interno sono più o meno uniformemente distribuiti gli elettroni, affinché il sistema sia elettricamente neutro. Tuttavia, fu E. Rutherford a dover smentire, nel 1911, il modello di atomo proposto dal proprio maestro J. Thomson, attraverso una lunga serie di esperimenti sui raggi alfa condotti insieme a Ernest Walton (1903-1995) e a John Cockcroft (1897-1967), padri dei moderni acceleratori di particelle. Il modello atomico di Rutherford prevedeva, infatti, che l’atomo fosse sostanzialmente più vuoto che pieno, con un nucleo di diametro molto piccolo (10-14 m) e dotato di carica elettrica di segno positivo, con elettroni (dotati di carica elettrica negativa) che gli ruotano intorno. Pochi anni più tardi, un allievo di E. Rutherford, il danese Niels Bohr (1865-1962), anch’egli amico di Albert Einstein, proporrà in seno alla meccanica quantistica – di cui il primo fu un sostenitore e l’altro un detrattore – un modello atomico che prevede una nuvola di elettroni che ruota intorno al nucleo su particolari orbite, che si concilia con la teoria elettromagnetica del matematico e fisico scozzese James Maxwell (1831-1879). E il nucleo, ci si chiede all’inizio del XX secolo, sarà indivisibile? La risposta è negativa e sarà ancora E. Rutherford a darla, individuando i suoi principali costituenti elementari, primo fra tutti il protone (nucleo dell’atomo di idrogeno – prozio), che questi riesce a evidenziare sperimentalmente bombardando degli atomi con particelle alfa, cui si attribuisce una carica positiva, uguale e contraria a quella dell’elettrone. In natura, infatti, l’idrogeno si presenta in tre forme isotopiche, che corrispondono ai nomi di prozio (Z = 1, A = 1), deuterio (Z = 1, A = 2) e trizio (Z = 1, A = 3), in cui Z rappresenta il numero atomico (evidentemente uguale a 1 in tutti e tre i casi, essendo isotopi dell’idrogeno) e in cui A rappresenta il numero di massa (somma dei protoni e dei neutroni che costituiscono il nucleo). Indicata con “e” la carica elettrica elementare, se si ammette che la carica elettrica dei protoni è uguale e contraria a quella degli elettroni, un nucleo con una carica pari, per esempio, a +6e dovrebbe avere un corrispondente numero di protoni: 6, per l’appunto, come quelli ipotizzati da D. Mendeleev per l’elemento che occupa la sesta casella della tavola periodica, il Carbonio (C). E quindi una massa pari a 6 volte quella del nucleo dell’atomo di idrogeno. I fisici, però, si accorgono che il nucleo non può essere composto di soli protoni: vi sono, infatti, elementi chimici la cui massa risulta essere doppia rispetto a quella che gli competerebbe se i protoni (nuclei di atomi di idrogeno) fossero in numero pari alle cariche elettriche ad esso attribuite; nell’esempio di cui sopra, ad una carica di +6e dovrebbe corrispondere una massa pari a 6 volte quella del nucleo di un atomo di idrogeno, e invece si osserva e rileva che la massa è pari a 12 volte quella del nucleo di un atomo di idrogeno, cioè è doppia rispetto a quella attesa dall’equivalenza carica elettrica - massa del nucleo di un atomo di idrogeno (protone). Evidentemente, si arriva infine a ipotizzare, il nucleo è costituito anche da altre particelle elementari, di massa sostanzialmente identica – in realtà di poco superiore – a quella di un protone, elettricamente neutre; esse, cioè, contribuirebbero alla massa ma non alla carica del nucleo atomico, e sarà 41 INFORMAZIONE 125 il fisico francese Pierre Curie (1859-1906). Amica fra l’altro di Albert Einstein, la scienziata polacca fece assieme al marito una scoperta fondamentale: la radioattività non è prodotta dai sali di uranio – composti da uranio (U), potassio (K) e zolfo (S) – ma dall’uranio stesso. Il fisico neozelandese Ernest Rutherford (1871-1937) scoprì che la radiazione emessa dall’atomo di uranio aveva una natura corpuscolare. Esistono due distinte forme di radiazione corpuscolare, denominate radiazione alfa e radiazione beta: la prima è dovuta all’emissione di una particella alfa (costituita da due protoni e due neutroni, cioè dal nucleo dell’atomo di Elio (He), elettricamente positiva); l’altra è imputabile all’emissione di una particella beta (generalmente dovuta a un elettrone, di carica negativa). La terza forma in cui può presentarsi la radioattività fu scoperta da Paul Villard (1860-1934): la radiazione gamma, che è elettricamente neutra ed è dovuta all’emissione di fotoni ad altissima energia. Rutherford comprese appieno la portata delle sue scoperte e di quelle di Villard: esse indicano che l’atomo non è indivisibile ma è composto da particelle elementari (protoni, neutroni, elettroni) di cui alcuni elementi (radioattivi) si liberano spontaneamente. Gli elementi radioattivi decadono e decadendo si trasformano: l’uranio 238 (U-238) decade (emettendo una particella alfa) in un atomo con un numero di massa (A) più piccolo di quattro unità. Dopo un certo numero di decadimenti alfa e beta si arriva al radio 226 (Ra-226) e quando anche quest’ultimo decade (emettendo una particella alfa) si trasforma in radon (Rn-222), e quest’ultimo in polonio. Infine, dopo un certo numero di ulteriori decadimenti, in un elemento stabile, che non decadrà più: il piombo (Pb). Il tempo complessivo necessario per il decadimento da un elemento all’altro è normalmente espresso dal tempo di dimezzamento (t1/2 è il tempo necessario perché il 50% degli isotopi costituenti un dato campione decadano). Il radon impiega poco più di 3 giorni per decadere in polonio e dunque la sua attività radioattiva è sufficientemente lunga da consentire a questo (pericoloso) gas di essere inalato dall’apparato respiratorio e di causare, in caso di esposizione a elevati valori di concentrazione di attività radioattiva (tipicamente 100 Bq/ m3, secondo WHO), il cancro al polmone. Avevano dunque ragione gli stregoni che in passato cercavano il sistema per trasformare i metalli in oro, cioè di effettuare con qualche alchimia la trasmutazione di un elemento in un altro? L’ipotesi formulata da Rutherford suonava un po’ esoterica, se è vero che ammetteva la possibilità che un elemento chimico della tabella periodica potesse, nel tempo, cambiare la propria natura chimica, trasformandosi in qualcos’altro! La scoperta della radioattività mise dunque in discussione concetti e conoscenze ormai consolidate per fisici e chimici. Occorreva a questo punto dimostrare la tesi di E. Rutherford o formulare un’altra ipotesi. Fu Joseph Thomson (1856-1940) – alla cui scuola si formò Rutherford – a scoprire l’elettrone, riconoscendo che le particelle dei raggi beta hanno la stessa natura e carica elettrica della particelle emesse dai raggi catodici nei tubi catodici. Fu Thomson a proporre il primo modello dell’atomo, che immaginò come una specie di sferetta carica INFORMAZIONE 125 Ricerca applicata è ancora quella massima realizzabile presso l’acceleratore LHC, come si 2/3 1/2 quark up u 2,5 MeV/c2 sono premuniti di far osservare i por-1/3 1/2 quark down d 5,0 MV/c2 tavoce – uno dei quali era l’italiana 2/3 1/2 quark charm c 1,27 GeV/c2 Fabiola Gianotti – dei due gruppi di ricerca del CERN riuniti intorno ai -1/3 1/2 quark strange s 101 MeV/c2 rivelatori ATLAS e CMS. 2/3 1/2 quark top t 172,0 GeV/c2 In effetti, anche se Gianotti e Joe 2 -1/3 1/2 quark bottom b 4,2 GeV/c Incandela hanno dato per quasi certa <2,2 eV/c2 0 1/2 leptoni neutrino elettronico νe la scoperta di una nuova particella, <0,17 MeV/c2 0 1/2 leptoni neutrino muonico νμ rimangono prudenzialmente ancora 2 dei dubbi riguardo al fatto che si tratti <15,5 MeV/c 0 1/2 leptoni neutrino tauonico ντ proprio del bosone di Higgs. -1 1/2 leptoni elettrone e 0,511 MeV/c2 Ma cosa avviene, concretamen2 μ -1 1/2 leptoni muone 105,7 MeV/c te, presso l’acceleratore di particelle 2 τ -1 1/2 leptoni tauone 1,777 GeV/c denominato LHC e gestito dal CERN γ bosoni fotone 0 0 1 a Ginevra? Nell’acceleratore vengono bosoni gluone g 0 0 1 fatti scontrare due fasci di protoni (p) e antiprotoni (p-), che corrono parallela0 1 bosoni forza debole Z 91,2 GeV/c2 mente fra loro ma seguendo traiettorie 0,4 GeV/c2 ±1 1 bosoni forza debole W± di verso opposto all’interno di un anello 0 2 125,5 GeV/c 0 0 bosoni bosone di Higgs H con una circonferenza pari a 27 km, Figura 1. Quadro sinottico del Modello Standard per la descrizione dell’atomo ubicato a una profondità media di circa 100 m. L’anello è costituito da 1600 E. Rutherford a chiamarle neutroni. A onor del vero, il fatto magneti (toroidali) superconduttori che vincolano le particelle che la massa del neutrone potesse essere di poco superiore ed antiparticelle suddette a ruotare parallelamente fra loro, a quella del protone venne a suo tempo spiegata – errone- facendo in modo che aumenti la loro velocità (da cui appunto amente – da Rutherford con la possibilità che questa nuova il nome di acceleratore di particelle dato a queste macchine) particella elementare potesse formarsi per fusione tra un sino a che non si raggiunge l’energia desiderata. Nel 2011 l’energia che si faceva raggiungere a ciascuno protone e un elettrone. È certo, oggi, che così non è; tuttavia, anche se qualche fisico sorride all’idea a suo tempo proposta dei due fasci era pari a 3,5 TeV; nel 2012 si è saliti a 4 TeV, e da Rutherford, pur riconoscendogli tutta la stima e il rispetto in futuro si arriverà, gradualmente, a 7 TeV, ovvero l’energia che merita per le innumerevoli e fondamentali scoperte fatte massima raggiungibile nell’LHC. Al raggiungimento dell’energia programmata, dovuta e le intuizioni avute, rimane il fatto che negli acceleratori di particelle si assiste a fenomeni di annichilazione e creazione all’accelerazione dei due suddetti fasci all’interno dell’accedi materia che dovrebbero stupire assai più di quella discussa leratore, si fa in modo che le particelle P e P- si scontrino in ipotesi. Insomma, per dirla con Einstein, forse «Dio non gioca quattro stazioni sperimentali, ove sono ubicati i rivelatori che a dadi», ma al CERN di Ginevra si assiste talora a inspiegabili registrano ciò che avviene per effetto della collisione. Per avere un’idea delle dimensioni delle stazioni sperimentali, ubicate fenomeni fisici, per il momento non del tutto comprensibili. A rivelare sperimentalmente il neutrone sarà poi James all’interno di cavità scavate nella roccia, basti pensare che l’apparato di misura e controllo dell’esperimento ATLAS è Chadwick (1891-1974), nel 1932. lungo circa 45 m ed è alto circa 20 m. Il Modello Standard e il bosone di Higgs La collisione fra le particelle di protoni e antiprotoni acIl 4 luglio 2012 a Ginevra, in Svizzera, nel corso di una celerati provoca la loro annichilazione, cioè la trasformazione conferenza stampa rivolta a fisici, giornalisti e divulgatori di materia (p) ed antimateria (p-) in energia; nel 2012 sono scientifici di tutto il mondo, è stata data una notizia che po- stati registrati sperimentalmente valori di energia (totale) pari trebbe rivoluzionare la fisica, giacché confermerebbe la bontà a 7-8 TeV. L’energia che si libera per effetto dell’annichilazione è del Modello Standard: presso il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC), è stata la materia prima di cui la Natura si serve per creare nuove sperimentalmente rilevata la presenza di una “inafferrabile” particelle, di cui gli esperimenti mostrano le tracce; molte particella denominata bosone di Higgs, dal nome del suo particelle, peraltro, hanno una vita assai breve poiché tendono a trasformarsi in altre particelle. scopritore, il fisico nucleare inglese Peter Higgs. Non deve stupire il fatto che l’energia si trasformi in Sono trascorsi parecchi decenni da quando Higgs ipotizzò la presenza di una nuova particella, denominata appunto massa: già agli inizi del XX secolo Albert Einstein dimostrò bosone, che potrebbe essere responsabile del conferimento infatti l’equivalenza fra energia e massa (E = m · c2). Dalle collisioni che si realizzano nell’LHC si forma una della massa a tutte le altre particelle. La scoperta, tuttavia, dovrà ancora essere avvalorata e confermata da ulteriori miriade di particelle; la difficoltà per i fisici sta nel fatto che da esperimenti, anche aumentando l’energia in gioco, che non ciascuna traccia occorre risalire alle particelle capostipiti che tipo nome simbolo massa pagina carica 42 spin INFORMAZIONE 125 l’hanno generata, complicando la lettura e l’interpretazione del fenomeno (collisione) artificialmente indotto. Per interpretare i dati relativi alle collisioni tra i fasci di p e p- (circa un miliardo di collisioni al secondo), i fisici dispongono di opportuni “filtri” hardware e software. Solo un evento ogni 5 milioni di quelli osservati diventa oggetto di più approfondite analisi; pertanto i fisici, anche dopo aver passato al setaccio gli eventi, debbono analizzare nel dettaglio circa 200 eventi al secondo. Si stima che la collisione che può dare luogo alla formazione del bosone di Higgs si verifichi, in media, una volta ogni tre ore, cosicché occorre collezionare 2.160.000 eventi (= 200 eventi/s * 3600 s/h * 3 h) per avere a che fare con quella che è stata a lungo denominata la “particella mancante” del Modello Standard. La fisica teorica e sperimentale, come temevano i fisici dei laboratori statunitensi prima della rivelazione del bosone di Higgs, dovrà d’ora innanzi volgere il proprio sguardo verso altri fenomeni noti ma ancora inspiegabili e indimostrabili; è questo, in fondo, il sale della ricerca scientifica. La fusione nucleare Accanto alle ricerche di fisica teorica, si stanno svolgendo importanti ricerche nel campo della fisica applicata alla produzione di energia mediante la fusione nucleare, che in un futuro prossimo potrebbe sostituire la tecnologia delle centrali nucleari attualmente in esercizio, ove si produce energia a partire dalla fissione di materiale radioattivo, tipicamente uranio. pagina Nella foto qui sopra e nella prossima pagina: installazione dei rilevatori per l’Esperimento ATLAS presso il CERN di Ginevra foto di Claudia Marcelloni De Oliveira © 2014 CERN La fusione nucleare può essere di due tipi: fredda (scoperta e presentata alla comunità scientifica da Martin Fleischmann e Stanley Pons nel 1989), quando avviene a temperatura ambiente, o calda, quando avviene a temperature elevatissime, dell’ordine di molti milioni di gradi centigradi. Uno degli obiettivi della ricerca è realizzare su grande scala un reattore in cui fare avvenire, in maniera controllata, la fusione nucleare calda. La fusione nucleare potrebbe essere spiegata in questo modo: due nuclei di due o più atomi – avvicinati fra loro al punto da far prevalere l’interazione forte sulla forza di repulsione elettromagnetica – danno luogo alla formazione, per effetto della loro fusione, di un nucleo di massa minore della somma delle masse dei due o più atomi compressi fra loro e alla produzione di energia e altre particelle. L’idrogeno è il più leggero elemento chimico ed è presente, in grande abbondanza, in tutto l’Universo. È un gas presente in forma isotopica: esso, cioè, ha un nucleo costituito da un protone e uno o più neutroni, cosicché il nucleo è sempre elettricamente neutro. Se si creano le condizioni per avvicinare fra loro i nuclei del deuterio (H-2) e del trizio (H-3) si può produrre un nucleo di elio (He-4), costituito da 2 protoni e 2 neutroni e un neutrone libero, oltre a una grande quantità di energia (circa 17,6 MeV, leggi milioni di elettronvolt). Due 43 INFORMAZIONE 125 Ricerca applicata semplici conti consentono di verificare che la massa iniziale è pari a 5 (= 2 protoni + 3 neutroni) e che alla fine della reazione nucleare calda si ha una massa pari a 4 (= 2 protoni + 2 neutroni, corrispondenti al nucleo dell’elio) più 1 neutrone libero, oltre a una grande quantità di energia. Il vantaggio di questa innovativa scoperta scientifica è rappresentato dal fatto che il deuterio (H-2) è presente naturalmente nell’acqua, mentre il trizio (H-3) si può ricavare, più o meno facilmente, dal litio; il combustibile, pertanto, è disponibile in gran quantità ovunque, sulla Terra. La reazione di fusione nucleare dà luogo a modestissime quantità di materiali debolmente radioattivi, che debbono comunque essere stoccati in appositi depositi; essi esauriscono la propria attività nell’arco di circa 100 anni, neppure minimamente paragonabile col tempo di dimezzamento dei rifiuti e scorie radioattivi che si generano nelle centrali nucleari in cui avviene la produzione di energia per mezzo della fissione nucleare di uranio arricchito. È a quest’obiettivo che stanno lavorando scienziati di tutto il mondo: la costruzione di un Tokamak, un reattore nucleare all’interno del quale si dovrebbe riuscire a far avvenire la fusione di nuclei atomici. Il reattore è già in costruzione in Francia e dovrebbe costare non meno di 15 miliardi di euro; alla sua realizzazione e al suo finanziamento concorrono molti partner, tra cui l’Unione europea, gli USA, la Russia, l’India, la Cina e la Corea del sud. Il Tokamak – ideato nell’ex Unione Sovietica – è un’apparecchiatura costituita da una camera toroidale in cui è pagina possibile far avvenire la fusione nucleare, essendo capace di contenere al suo interno il plasma, a una temperatura di circa 150 milioni di gradi. Questa temperatura è 10 volte maggiore di quella a cui – si ipotizza – avviene la fusione nucleare nel nucleo del sole: uno degli aspetti più delicati e complessi, sul piano tecnologico, è quindi garantire che il calore prodotto dal plasma non faccia fondere i materiali con cui sarà costruito il Tokamak. La soluzione prospettata è la seguente: mettere in opera intorno alla camera a vuoto delle spire metalliche che dovranno produrre elevatissimi campi elettromagnetici in grado confinare il plasma all’interno della cella e garantire all’esterno di essa temperature dell’ordine dei 270 gradi sotto zero (-273 °C), cioè temperature prossime allo zero assoluto (0 K), che non facciano fondere i pur resistenti materiali del reattore. La scommessa, pertanto, si gioca sulla possibilità di realizzare in poco spazio una condizione critica al limite delle possibilità ingegneristiche: un salto termico di circa 150.000.000 °C tra la camera a vuoto in cui vorticherà il plasma e l’ambiente esterno. Se si riuscirà nell’impresa sarà possibile realizzare su scala industriale dei reattori che, utilizzando l’idrogeno come combustibile, potranno produrre energia sufficiente per tutte le future esigenze di sviluppo e crescita della civiltà umana. La fusione nucleare calda è, in linea teorica, molto più vantaggiosa e sicura della fissione nucleare; occorrerà però attendere qualche decennio prima che la fase sperimentale su un modello di reattore a grande scala possa essere completata e la tecnologia resa sicura, affidabile ed efficiente. Andrea Alessandro Muntoni 44