Venezia Gran Teatro La Fenice 27 - 29 maggio 2011 Torna al Gran Teatro La Fenice la piÄ famosa delle opere serie di Donizetti, pietra miliare del melodramma italiano. Gran Teatro La Fenice venerd€ 27 maggio 2011(19.00) Lucia di Lammermoor di G. Donizetti Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Direttore: Antonio Fogliani - Regia: John Doyle Interpreti: C. Sgura, J. Pratt, R. De Biasio, M. Palazzi L'Hotel Starhotels Splendid Venice**** vanta una posizione centrale, nei pressi di Piazza San Marco e del celebre Ponte dei Sospiri. Completamente rinnovato nei servizi e negli standard, lo Starhotels Splendid Venice rappresenta un perfetto connubio tra lusso, tradizione e stile contemporaneo. Fra gli spazi comuni a disposizione degli ospiti, una comoda biblioteca al piano terra, una suggestiva terrazza panoramica, e un'ampia corte tipicamente veneziana - il Campiello - con copertura in vetro a scomparsa. 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Opere ‘buffe’ furono invece l’ Elisir d’amore (1832) e Don Pasquale (1843); ma esistevano anche le ‘farse’, come Le convenienze e inconvenienze teatrali (1827) o il Campanello (1836), nel repertorio donizettiano. Lucia di Lammermoor non fu il primo grande successo di Donizetti nel genere ‘serio’: giƒ Anna Bolena (1830) e Lucrezia Borgia (1833) erano state opere vincenti. Quest’ultima, anzi, fu assiduamente rappresentata fino all’inizio del nostro secolo. Ma Lucia di Lammermoor rientra tuttora nel repertorio teatrale pi‡ consueto. Donizetti mor€ cinquantunenne a Bergamo, sua cittƒ natale, in stato di demenza, dopo aver composto settanta opere. Per un singolare destino aveva descritto la demenza in varie opere, iniziando dalla protagonista di Emilia di Liverpool (1824) e continuando con i deliri di Murena nell’ Esule di Roma (1828) e di Torquato Tasso nell’opera omonima, per giungere a quelli di Linda di Chamounix (1842). D’altronde le scene di follia erano un antico retaggio dell’opera italiana o italianizzante; comparvero giƒ nell’ Orfeo di Luigi Rossi, per non parlare dell’ Orlando furioso di Vivaldi e di H&aulm;ndel o della Nina pazza per amore di Paisiello. Il libretto di Salvatore Cammarano fu tratto da The Bride of Lammermoor , romanzo di quel singolare depositario di soggetti operistici che fu Walter Scott. A lui si ispirarono ben quattro compositori che prima di Donizetti musicarono le vicende di Lucia ed Edgardo: Michele Carafa ( Le nozze di Lammermoor , Parigi 1829), Luigi Riesk (1831), Ivar Frederik Bredal ( La sposa di Lammermoor , Copenhagen 1832) e Alberto Mazzuccato ( La fidanzata di Lammermoor , Padova 1834). Donizetti, come di consueto, fu rapidissimo: iniziˆ la composizione alla fine del maggio 1835, la terminˆ il 6 luglio. Scott, riferendosi alle lotte fra i seguaci di Guglielmo III d’Orange e i fedeli del detronizzato Giacomo II, aveva collocato il suo romanzo nella Scozia del 1689, mentre Cammarano retrodatˆ Lucia alla fine del Cinquecento… Il 20 luglio 1830, scrivendo a Francesco Florimo - storico della musica, compositore e amico di Vincenzo Bellini Saverio Mercadante parlava d’un ‘Dozinetti’, intendendo ‘dozzinale’. Era un nomignolo affibbiato a Donizetti per certa sciattezza e faciloneria, riscontrabili in non poche opere fino allora da lui composte. Donizetti, Š risaputo, scriveva di getto, rapidissimo, senza troppo soffermarsi su ciˆ che gli usciva dalla penna; n„ poteva ancora vantare un’ Anna Bolena , un Elisir d’amore , una Lucrezia Borgia , rappresentate tra il 1830 e il ’33. Ma Lucia di Lammermoor fu la sua risposta al Pirata di Bellini, espressione dell’allora nascente melodramma romantico italiano. Anche nel Pirata Gualtiero (tenore) Š vittima delle trame di Ernesto (baritono), che gli ha sottratto Imogene (soprano) costringendola a sposarlo. La vendetta di Gualtiero Š la pirateria. Ucciderƒ poi Ernesto in duello, ma questo renderƒ folle Imogene. In sostanza il Pirata aveva coniato quattro personaggi fondamentali: il giovane eroe oppresso dalla tristezza e dal rancore, perch„ ha sub€to lutti e usurpazioni (Gualtiero); l’antagonista usurpatore (Ernesto); la donna angelicata, alla quale lo scontro fra Ernesto e Gualtiero toglierƒ il senno (Imogene) e Goffredo, che tenterƒ invano, in nome della dignitƒ sacerdotale, di evitare la tragedia. Ma questa Š anche la conformazione di Edgardo, Enrico, Lucia e Raimondo. Il Pirata aveva fatto scalpore. Personaggi, linguaggio e situazioni stimolavano nella societƒ dell’epoca, fino ad allora amante del lieto fine, il gusto dell’intenerimento, la voluttƒ della commozione. Ebbene, Lucia fu una sorta di Pirata che, partendo da fatti meglio coordinati sotto il profilo narrativo, esprimeva pi‡ compiutamente l’esperienza belliniana. D’altronde Bellini e Donizetti s’erano sovente mossi, fino ad allora e sia pure con formule in parte diverse, nella stessa direzione. Bench„ alcune opere di Rossini avvincessero ancora il pubblico, il romanticismo esigeva un linguaggio meno stilizzato, meno fiorito e tale da raffigurare con maggiore immediatezza le situazioni sceniche. Bellini e Donizetti presero ad accostarsi a un linguaggio per l’epoca realistico, sopprimendo o riducendo le fioriture e l’ornamentazione nel canto delle voci maschili e, a volte, anche in quello delle voci femminili. Fu il primo passo verso la verosimiglianza del linguaggio vocale - ‘verosimiglianza’ che poco ha a che vedere con quello che sarƒ pi‡ tardi il verismo. Il secondo passo furono melodie che partivano dall’accentazione delle parole per svilupparsi in un motivo semplice, tenero, malinconico. Cos€ nacquero le arie, definite ‘nenie’ o ‘cantilene’, che furono la sigla e di Bellini e di Donizetti. IL SIPARIO MUSICALE E’ un’iniziativa de: Via Molino delle Armi 11 – 20123 Milano. Tel. +39 02 5834941 Fax. +39 02 58349430 [email protected] - www.ilsipariomusicale.com Tuttavia in certe ‘cantilene’ di Parsina , di Maria Stuarda o di Anna Bolena , l’abbandono e la malinconia nascono dall’antico espediente di far muovere la voce per gradi contigui, senza bruschi salti, o al massimo per piccoli intervalli. Ma proprio per questo Donizetti sfiora la grande melodia senza realizzarla: mancano lo struggimento e l’incisivitƒ, che egli raggiunge invece in Lucia . In una melodia come "Verranno a te sull’aure" (il duetto di Lucia ed Edgardo) l’accentuazione della parola Š messa in rilievo dall’introduzione di ampi intervalli. Il languore della voce, che sale o scende per gradi contigui, trova nel salto d’ottava iniziale di ‹VerrannoŒ un impulso che imprime sul periodo musicale ampiezza e incisivitƒ. Lo stesso nell’avvio di "Tu che a Dio spiegasti l’ali" (l’aria finale di Edgardo) e, in precedenza, in "Spargi d’amaro pianto" (la scena della follia di Lucia nel terzo atto). Anche gli spunti veementi e iracondi nascono dall’immediata trasfigurazione melodica della accentazione delle parole. Come nel Larghetto "Cruda, funesta smania" di Enrico (I,2) e, subito dopo, nella veemenza dell’Allegro moderato "La pietade in suo favore", che funge da cabaletta. Altrettanto aderente all’accentazione ‘parlata’ Š il Larghetto di Edgardo "Sulla tomba che rinserra", che non per questo perde una felice flessuositƒ melodica (scena e duetto del finale primo). Per la protagonista, il discorso sul linguaggio vocale Š diverso. Donizetti, come Bellini in tutte le sue opere, applica soltanto saltuariamente al canto del soprano il procedimento di renderlo realistico eliminando vocalizzi e fiorettature; e questo proprio mentre il realismo drammatico guadagna spazio. Ma esiste una ragione storicopsicologica. Giƒ agli albori del melodramma il canto fiorito e vocalizzato distingueva i personaggi mitologici o regali dai comuni mortali. Nel melodramma romantico il canto fiorito risponde al concetto della donna virtuosa, inaccessibile, portata a nascondere le proprie forme dalla foggia della crinolina, che il moralismo del periodo 1830-60 contrappone al ricordo d’un passato, ancor prossimo, ritenuto licenzioso. Si tratta, insomma, d’un linguaggio allegorico che afferma l’avversione della donna alle basse passioni. Lucia prova certamente slanci d’amore fervidi, appassionati, ma Donizetti le inibisce il canto sillabico e ‘spianato’ perch„ non allegorico, non idealizzato. Quando Lucia entra in scena e narra l’apparizione d’un fantasma ("Regnava nel silenzio", I,4) la vocalitƒ Š prevalentemente ‘spianata’, ma quando Š descritto l’amore per Edgardo ("Quando rapita in estasi") diviene gradualmente virtuosistica. Cos€ ancora Verdi nel primo atto del Trovatore : canto semplice, quasi ‘spianato’ nella descrizione che Leonora fa dell’incontro con Manrico ("Tacea la notte placida"), ma un repentino getto di trilli e di agilitƒ nel successivo "Di tale amor". Ma il canto ornato e fiorito di Lucia ha anche il compito di esprimere orrore e terrore, come nella seconda parte della cavatina "Regnava nel silenzio" e come nella celebre scena della pazzia (III,5). Qui il recitativo arioso (quasi melodico, cioŠ) si alterna inizialmente ai melismi, per poi cedere, nel Larghetto "Ardon gli incensi" e nel Moderato "Spargi d’amaro pianto", a una scrittura che evoca tutte le componenti del vocalismo d’agilitƒ: gorgheggi in alta tessitura, volate e volatine, trilli, note ribattute, picchettati. Notevoli in Lucia i recitativi, anche per la loro varietƒ. Se Donizetti usa il recitativo ‘monofonico’ - articolato, imitando il ‘parlato’, sulla ripetizione di una stessa nota - lo ravviva facendo gradualmente salire di tono ogni frase (scena di Enrico e Lucia del secondo atto, "Appressati, Lucia" e "M’odi, spento Š Guglielmo"). Adotta il ‘parlante-misto’, dove il recitativo Š affine al canto, ma il motivo conduttore Š in orchestra (nel dialogo di Enrico e Arturo prima della scena delle nozze). Sono presenti anche il ‘declamato’ (Edgardo, prima della ‘maledizione’) e il recitativo arioso che sfiora il cantabile (Edgardo in "Tombe degli avi miei"). Questa complessitƒ dei recitativi rende pi‡ serrato il ritmo della narrazione. Il momento magico vissuto da Donizetti durante la composizione investe tutte le strutture dell’opera. Tra le pagine d’insieme emerge il sestetto del finale secondo, dove tra l’altro si scorge in Donizetti l’allievo di Mayr, per talune analogie con il sestetto del finale primo di La rosa bianca e la rosa rossa (1813). La parte corale, vasta e accurata, s’inserisce felicemente nell’azione a partire dalla prima scena dell’opera, ora bellicosa ("Percorriamo le spiagge vicine"), ora festosa ("Per te d’immenso giubilo", finale secondo), ora partecipe del dolore di Edgardo e commossa dalla sua agonia nel finale. La strumentazione Š abilmente correlata al mutare degli eventi scenici, anche attraverso interventi solistici. Nell’atmosfera notturna del parco, nel quale Lucia compare per la prima volta, Š l’arpa ad annunciarla, con suoni liliali e sognanti; quando Š convocata da Enrico, piagata dalla lunga assenza di Edgardo, Š il lamento dell’oboe che la introduce; mentre nella scena della pazzia l’accompagna il suono ‘bianco’ e scarno del flauto IL SIPARIO MUSICALE E’ un’iniziativa de: Via Molino delle Armi 11 – 20123 Milano. Tel. +39 02 5834941 Fax. +39 02 58349430 [email protected] - www.ilsipariomusicale.com