Ho ambientato il film sul Gran Sasso perché è un

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ANTICIPAZIONI
diventati tutti mostri. Poi, grazie
all’aiuto di una persona, sono riuscito a
farli parlare. E’ stata un’esperienza
significativa.
Dal punto di vista umano?
Anche. Sono originario di quelle zone, di
un paese che si trova tra Lazio e Abruzzo,
Castel di Tora. Quando ho incontrato
questi ragazzi sul Gran Sasso mi sono reso
conto che sono sostanzialmente identici a
mio nonno. Come mentalità, rapporti con
le donne. Ho passato vent’anni a cercare di
affrancarmi dalla mia cultura di
appartenenza attraverso l’università e il
cinema. Avevo rimosso parte della mia
vita. Sono stato costretto a rimettere in
moto sensazioni, sentimenti e idee che
avevo allontanato.
Quando Uomini e lupi è diventato
L’orizzonte degli eventi?
Dopo Uomini e lupi (che ha vinto il
premio Sacher, ndr) ho scritto una storia.
Mi aveva colpito quello che mi succedeva
interiormente quando entravo in contatto
con quei personaggi. Un paio di anni fa ho
proposto alla Fandango di fare un film
tratto da Uomini e lupi e ho impiegato
circa un anno per scrivere la sceneggiatura
con Laura Paolucci e Antonio Leotti.
Laura aveva scritto con me Velocità
massima ed è una brava sceneggiatrice.
Prima di incominciare però mi sono
documentato moltissimo e alla fine è
venuto fuori un personaggio diverso da
quello che avevo concepito all’inizio.
Il pastore?
No, lui è rimasto immutato. Nel soggetto
che avevo scritto nel ’98 l’incontro era tra
un pastore di vent’anni e un ragazzo che
vive in un paesino spopolato a ridosso
della montagna. Una proiezione di me
stesso quindicenne. Era completamente
sbagliato, non pensavo di farne un film.
Nella fase di ricerca ho capito che, al posto
del ragazzo, avrei potuto mettere una
persona della mia generazione vicina alla
mia condizione esistenziale.
Che cosa ha in comune con te un fisico
che lavora in un laboratorio dentro il
Gran Sasso?
Sono un uomo tecnologico. Il mondo
della ricerca assomiglia in modo
incredibile a quello dell’espressione
artistica, gli scienziati sono risucchiati dal
lavoro, lo stesso vale per me. A volte si
passa una vita intera su un progetto. Può
accadere la stessa cosa a un regista.
Quindi si tratta di un personaggio
fortemente caratterizzato dal punto di
vista autobiografico?
No, il personaggio si è distaccato da me,
ha assunto connotati più oggettivi. Ha
assorbito quello che ho osservato nella
società italiana in questi ultimi anni. Ha le
16 RdC Aprile 2005
Valerio
Mastandrea e
l’albanese Bajram
in L’orizzonte
degli eventi
“Ho ambientato il film sul Gran Sasso perché è un’icona
della globalizzazione: in superficie i pastori pascolano le
pecore, sotto i fisici sperimentano il nucleare”
mani in pasta nel sistema, è figlio di un
costruttore che negli anni Novanta ha
avuto guai con la giustizia. La sua storia è
quella di un problema morale: la
falsificazione di dati relativi
all’esperimento che sta facendo. Attraverso
questo passaggio muta completamente la
sua vita.
Dall’incontro non scaturisce nessuna
redenzione?
Mentre in Velocità massima c’è un’amicizia
virile, che ha delle basi e può avere delle
possibilità, quella tra Max e il pastore è
una fratellanza impossibile.
Non ci sono punti di contatto tra di
loro?
Solo fiscamente: vivono nello stesso
territorio. Sono due esseri umani e in
qualche modo si avvicinano ma non
sviluppano un rapporto profondo, dal loro
incontro non nascono delle possibilità. E’
un film più pessimista di Velocità massima.
Che contiene una forte componente di
critica sociale.
Ho cercato il più possibile di fare un film
inquadrato nella realtà contemporanea,
sociale, politica, economica, culturale.
Non è un film a tesi. Il pastore cammina
sulla testa del fisico ma nessuno dei due lo
sa, in questo senso il Gran Sasso è
l’immagine sintetica della globalizzazione.
Cioè?
Dentro il laboratorio si sviluppa il mestiere
più avanzato dell’umanità e lo fanno
immigrati di lusso, che vengono da Cina,
Giappone, Stati Uniti. E sopra la
montagna ci sono immigrati poveri che
fanno il lavoro più antico del mondo ed è
quello che succede in questo momento. Il
Brasile è uno dei più grandi esportatori di
manufatti e al tempo stesso lo è di
prodotti tecnologici: non c’è
contraddizione. Stiamo vivendo un
periodo storico in cui non c’è
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