Recenti conoscenze sulla sensibilità chemocettiva ad ipossia ed

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Rassegne
Recenti Prog Med 21; 11: -1
Recenti conoscenze sulla sensibilità chemocettiva ad ipossia ed ipercapnia
in patologia cardiovascolare
Claudio Passino1,2, Alberto Giannoni1,2, Massimo Milli, Roberta Poletti1, Michele Emdin1
Riassunto. Il ruolo fisiopatologico dell’aumentata sensibilità chemocettiva all’ipossia e/o all’ipercapnia è stato sottolineato in diverse patologie cardiovascolari, tra cui lo scompenso cardiaco, dove il chemoriflesso inizialmente ha una
azione compensatoria; nelle fasi avanzate della malattia, sostiene attraverso un circolo vizioso l’attivazione simpatica
con ripercussione negative della funzione ventricolare sinistra e sulla prognosi dei pazienti.
Summary. Recent knowledges on chemosensitivity to hypoxia
and hypercapnia in cardiovascular disease.
The pathophysiologic role of enhanced chemosensitivity to
carbon dioxide and/or hypoxia has been underscored in
several cardiovascular diseases, including heart failure. In
the early stages of this syndrome, the chemoreflex acts as a
compensatory mechanism. Later on, however, it contributes to sustain the sympathetic activation, with detrimental effects on cardiovascular function and prognosis.
Parole chiave. Apnea ostruttiva, attivazione adrenergica,
chemosensibilità, ipercapnia, ipertensione arteriosa, respiro di Cheyne-Stokes, scompenso cardiaco cronico.
Key words. Adrenergic activation, chemosensitivity,
Cheyne-Stokes respiration, chronic heart failure, hypercapnia, hypertension, hypoxia, sleep apnea.
Introduzione
Fisiologia del chemoriflesso
Nonostante il notevole miglioramento della sopravvivenza, sia nelle fasi acute della malattia cardiovascolare (in particolare legato alla riduzione della mortalità intraospedaliera in corso di sindrome
coronarica acuta) e sia in cronico grazie al trattamento medico ottimale ed all’utilizzo di pacemaker
biventricolari e defibrillatori impiantabili, lo scompenso cardiaco è gravato ancora da mortalità elevata1. Nel corso degli ultimi decenni i progressi nelle
conoscenze hanno consentito di comprendere che, in
particolare nel caso di patologie cardiovascolari complesse e con fenotipi clinici assai mutevoli come lo
scompenso cardiaco e la sindrome coronarica, la
comprensione dei meccanismi fisiopatologici alla base dell’evoluzione della malattia è fondamentale per
una terapia mirata ed efficace.
Nello scompenso cardiaco, in seguito alla noxa
patogena originaria (ischemia, miocardite, tossicità
da chemioterapici, etc) ed alla conseguente riduzione della portata cardiaca, si verifica un “resetting” dei vari sistemi di feedback, tra cui è centrale la deattivazione del baroriflesso, al fine di sostenere l’emodinamica e l’attivazione del chemoriflesso, per garantire un miglioramento degli scambi
gassosi. Con il tempo, tuttavia, in particolare l’iperattivazione del chemoriflesso si associa ad effetti
negativi da un punto di vista della dinamica ventilatoria e del profilo neurormonale, contribuendo alla progressione della malattia.
Il chemoriflesso è uno strumento essenziale per
l’omeostasi dei gas respiratori ematici. Esso consente, infatti, di controllare le escursioni fisiologiche della tensione arteriosa di ossigeno e di anidride carbonica (PaO2 e PaCO2), attraverso una
modulazione calibrata della ventilazione2. La sua
funzione è correlata con le altre componenti vegetative di controllo, il baroriflesso e l’ergoriflesso, in
una modulazione reciproca imprescindibile.
Dal punto di vista pratico, il chemoriflesso può
essere distinto in centrale e periferico a seconda
della localizzazione dei chemocettori. I chemocettori centrali sono localizzati a livello della superficie ventrale del bulbo, immersi nel liquido cefalorachidiano, e sono stimolati intensamente dall’ipercapnia e dall’abbassamento del pH ematico. I
chemocettori periferici sono localizzati a livello dei
glomi carotidei ed aortici e sono perfusi ben venti
volte più dell’encefalo. Essi sono stimolati direttamente dall’ipossia; sono sensibili anche all’ipercapnia ed all’abbassamento del pH ematico, ma in
misura minore rispetto a quelli centrali.
La fisiologia del chemoriflesso è complessa e ad
oggi non sono ancora completamente chiari i meccanismi molecolari attraverso i quali il chemoriflesso
viene attivato. Inoltre, dal punto di vista funzionale,
quantomeno per la risposta all’anidride carbonica
(CO2), la distinzione tra chemoriflesso centrale e periferico non appare così netta come alcuni ritengono3.
1UO Medicina Cardiovascolare, Fondazione Gabriele Monasterio, Pisa; 2Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa; UO Cardiologia,
Ospedale di Santa Maria Nuova, Firenze.
Pervenuto il 3 novembre 2009.
C. Passino et al.: Recenti conoscenze sulla sensibilità chemocettiva ad ipossia ed ipercapnia in patologia cardiovascolare
Essa è legata a curve di risposta differenti allo
stesso stimolo. In condizioni fisiologiche e verosimilmente anche in condizioni patologiche, l’interazione/integrazione tra chemocettori centrali e periferici è assai elevata. Per questi motivi si dovrebbe parlare più propriamente di sensibilità chemocettiva all’ipercapnia o all’ipossia, piuttosto che
di risposta chemocettiva centrale o periferica. Proprio alla luce di tali considerazioni, i ricercatori che
si occupano di chemoriflesso, differentemente da
quanto fatto nei decenni scorsi, dovrebbero sempre
considerare la risposta chemocettiva nelle diverse
componenti di risposta.
La stimolazione dei chemocettori provoca un incremento della ventilazione e, tramite la stretta interrelazione sia anatomica che funzionale con il baroriflesso, anche una profonda influenza sul sistema cardiovascolare per il tramite di una attivazione adrenergica e conseguente aumento della pressione arteriosa. A sua volta, l’incremento di ventilazione e pressione arteriosa agisce come feedback
negativo per baro- e chemoriflesso.
Per quanto riguarda la risposta all’ipercapnia,
la stimolazione avviene, a livello bulbare, attraverso il trasporto di HCO3- dal sangue al liquor
(contribuendo sino al 90% della risposta iperventilatoria). I recettori periferici contribuiscono solo
per il 10% all’incremento della ventilazione, che segue in modo lineare l’incremento della PaCO2. La
diminuzione della PaO2 causa un ulteriore aumento della pendenza della retta che esprime la
relazione esistente tra ventilazione e PaCO24: la
variazione della pendenza indica l’entità del contributo alla risposta ventilatoria dei recettori periferici in risposta allo stimolo ipossico.
L’ipossia, invece, è in grado di stimolare solo i
chemocettori periferici; questi sono dotati di una
attività tonica che scompare solamente respirando
ossigeno puro. La risposta ventilatoria ha in questo
caso un andamento particolare: per valori di PaO2
tra 100 e 400 mmHg, la ventilazione si mantiene
costante, mentre al di sotto di 100 mmHg si verifica un rapido incremento. Sotto i 30 mmHg si verifica paradossalmente una depressione dell’attività
respiratoria, forse per un meccanismo centrale4. È
dunque sempre necessaria una minima concentrazione di ossigeno per mantenere la risposta chemocettiva periferica. In questo caso la relazione è
rappresentata da una curva sigmoide inversa.
Prendendo tuttavia in considerazione, al posto della PaO2, la saturazione di ossigeno, si ottiene una
relazione di nuovo lineare: infatti anche la saturazione di ossigeno varia in modo sigmoidale rispetto alla PaO2, con l’effetto di una neutralizzazione
reciproca delle due curve. Questa caratteristica
viene presa spesso in considerazione nell’effettuazione delle prove di risposta chemocettiva all’ipossia5.
Sfruttando le peculiarità di risposta dei chemocettori agli stimoli ipossici ed ipercapnici è possibile testare in vivo la sensibilità di tali riflessi: tra
le metodiche disponibili per lo studio della sensibilità chemocettiva – “steady-state”, “single bre-
ath” e “rebreathing” – quest’ultima, per la relativa
semplicità di esecuzione, è quella che è stata più
utilizzata negli studi clinici sull’uomo. Il metodo
del “rebreathing” (rirespirazione) consente di creare una situazione ipossica-normocapnica o ipercapnica-normossica respirando la propria aria attraverso un circuito chiuso, riuscendo così a testare separatamente la risposta riflessa a CO2 ed O2
(figura 1). Per valutare la risposta ipossica si fa respirare il soggetto all’interno di un contenitore in
modo tale da ridurre con ciascun atto respiratorio
la disponibilità di O2, mantenendo costante la quota di CO2 attraverso un assorbitore. Per valutare
invece la risposta ipercapnica, il soggetto deve respirare la propria aria, senza però che questa passi per l’assorbitore di CO2, aggiungendo O2 dall’esterno per mantenerne costanti i valori all’interno del circuito.
Sensibilità chemocettiva, ipertensione
ed apnee ostruttive
Evidenze sperimentali hanno mostrato che la
sensibilità chemocettiva all’ipossia è elevata in ratti spontaneamente ipertesi6 e che una deattivazione
dei chemocettori periferici ottenuta con il trattamento con O2 è in grado di ridurre i valori di pressione arteriosa7. Studi sull’uomo hanno confermato
la presenza di un’accentuazione della risposta ventilatoria all’ipossia in pazienti affetti da ipertensione arteriosa8. In particolare, mediante l’utilizzo della microneurografia, è stato possibile evidenziare
come la risposta simpatica all’ipossia sia due volte
più marcata in soggetti ipertesi rispetto a soggetti di
controllo8. L’aumento della sensibilità chemocettiva
all’ipossia nell’ipertensione può risultare particolarmente importante in caso di pazienti ipertesi affetti da sindrome delle apnee ostruttive. La maggior
sensibilità chemocettiva all’ipossia presente negli
ipertesi può infatti potenziare gli effetti negativi
emodinamici delle apnee ostruttive mediati dal simpatico9. La sindrome delle apnee ostruttive, inoltre,
indipendentemente dalla presenza di ipertensione
arteriosa, condiziona un incremento del tono simpatico10, suggerendo quindi che l’associazione tra
queste due patologie possa sostenere un grado elevato di attivazione adrenergica. Mentre queste due
condizioni patologiche, come detto, si associano ad
aumentata sensibilità chemocettiva all’ipossia, così
non è per la sensibilità all’ipercapnia, la quale risulta essere sovrapponibile a quella osservata in popolazioni di controllo10.
Sensibilità chemocettiva e scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco cronico rappresenta il
paradigma della sindrome in cui, unicamente andando ad intervenire sui meccanismi fisiopatologici alla base dell’evoluzione della malattia, si riesce a modificare significativamente l’evoluzione
clinica.
Recenti Progressi in Medicina, 11 (7-), luglio-agosto 21
1050 Intervallo RR
1050 Intervallo RR
ms
ms
700
30 Ventilazione minuto
700
30 Ventilazione minuto
L/min
L/min
0
0
90 PET CO2
PET CO2
90
mmHg
mmHg
0
0
100 Sa O2
Sa O2
100
%
%
65
65
0
6
Tempo (min)
0
HCVR slope
HVR slope
15
18
14
VE/MIN (L/min)
13
12
11
10
9
8
7
6
5
6
Tempo (min)
20
16
VE/MIN(L/min)
1
R= -0.87, p<0.001
Slope = -0.378
80
82
84
86
88
90
92
94
96
98 100
SaO2 (%)
16
14
12
10
R = 0.93, p<0.001
Slope = 1.001
8
6
36
38
40
42
44
46
48
50
52
PET-CO2 (mmHg)
Figura 1. Esempio di misura della sensibilità chemocettiva ad ipossia ed ipercapnia con la tecnica del “rebreathing”. Nei due grafici superiori, a sinistra, test ipossico-normocapnico: si noti come alla riduzione della saturazione di ossigeno (SaO2), pur in assenza di variazioni della
pressione parziale di CO2 a fine espirazione (PET CO2), si accompagni un incremento della ventilazione ed una tachicardizzazione; a destra,
test normossico-ipercapnico (si noti come lo stesso tipo di risposta si ottenga in conseguenza di un aumento della PETCO2 pur senza variazioni della SaO2). Nei due grafici inferiori sono rappresentate le regressioni lineari tra ventilazione e SaO2 e tra ventilazione e PET-CO2 relative ai due test: la pendenza delle due rette di regressione rappresenta la stima della sensibilità chemocettiva ad ipossia ed ipercapnia, rispettivamente.
Basti pensare al fallimento delle terapie inotrope che puntavano tutto sul miglioramento della
funzione di pompa ed al successo (al contrario) delle terapie “neurormonali” che vanno a limitare l’attivazione di quegli assi endocrini e di quei sistemi
nervosi riflessi che gli studi di fisiopatologia hanno dimostrato essere alla base dell’evoluzione della malattia. I recenti progressi in questo ambito
hanno consolidato come modello interpretativo della sindrome quello neuroendocrino: l’“imbalance”
tra attivazione dei sistemi cronotropi vasocostrittori e sodioritentori (sistema adrenergico, sistema
renina-angiotensina-aldosterone, in primo luogo)
e attivazione dei sistemi con effetti cronotropo negativo, vasodilatatore e natriuretico (sistema parasimpatico, funzione endocrina cardiaca) spiega
l’evoluzione clinica, la prognosi e l’efficace risposta
al trattamento beta-bloccante e dei bloccanti del si-
stema renina-angiotensina-aldosterone nei pazienti con scompenso. Alla base di questa attivazione c’è l’alterata risposta dei feedback barocettivo e chemocettivo alla disfunzione cardiaca. È verosimile che nelle prime fasi della malattia l’attivazione dei chemocettori possa essere considerata
un meccanismo compensatorio in grado, attraverso le variazioni nella funzione cardiovascolare e respiratoria modulate dal sistema nervoso autonomico, di prevenire ipossia ed ipercapnia tessutale
e di contribuire al ripristino dell’equilibrio emodinamico. Tuttavia, successivamente, l’iperattivazione del chemoriflesso può promuovere la creazione di un circolo vizioso che sostiene l’iperattivazione simpatica, altera il controllo della ventilazione ed in ultima analisi condiziona negativamente la prognosi dei pazienti affetti da scompenso cardiaco (figura 2).
C. Passino et al.: Recenti conoscenze sulla sensibilità chemocettiva ad ipossia ed ipercapnia in patologia cardiovascolare
cidenza di RCS, ad un maggior grado di attivazione
neurormonale e ad una
sensibilità
maggiore tendenza a manichemocettiva
festare aritmie ventricolari
potenzialmente letali. Inoltre, in uno studio successivo13 abbiamo dimostrato come l’incremento della sensibilità all’ipercapnia, specie
B NP, ANP,
se combinato con quello alrespiro
ipossia
l’ipossia, sia un predittore
noradrenalina
periodico
indipendente di mortalità
cardiaca anche dopo correzione per i più noti fattori di
rischio (età, sesso, massa
corporea, eziologia della disfunzione ventricolare sinisovraccarico
stra, frazione di eiezione,
emodinamico
classe NYHA, creatininemia, concentrazioni plasmatiche di peptide natriuretico
di tipo B e noradrenalina,
Figura 2. Il circolo vizioso sostenuto dall’aumentata sensibilità chemocettiva nello scompenso carattività reninica plasmatidiaco cronico. BNP: peptide natriuretico di tipo B; ANP: peptide natriuretico atriale.
ca, presenza di respiro di
Cheyne-Stokes, consumo di
ossigeno al picco dell’esercizio, VE/VCO2 slope). Lo
Un incremento della sensibilità chemocettiva
stesso studio ha anche mostrato che pazienti con
sia all’ipossia che all’ipercapnia è stato associato
normale sensibilità chemocettiva, a parità di comalla severità clinica dello scompenso cardiaco11,
promissione della funzione ventricolare sinistra,
presentavano una prognosi molto favorevole (figuma anche all’attivazione dei sistemi adrenergico
ra 4 alla pagina seguente).
e dei peptidi natriuretici cardiaci e ad una maggiore incidenza di aritmie ventricolari11. L’alterata sensibilità chemocettiva risulta inoltre responsabile anche di una significativa manifestazione clinica
dello scompenso: il respiro
di Cheyne-Stokes (RCS),
caratterizzato da periodiche fasi di apnea-ipopnea
ed iperpnea (figura 3), frequentemente sottostimato
nella pratica clinica, pur
essendo presente sia durante il sonno che la veglia
ed avendo un valore prognostico accertato12.
In un recente studio del
nostro gruppo11, è stato dimostrato che il paziente affetto da scompenso cardiaco
può presentare sia una normale sensibilità chemocettiva sia un incremento isolato
della sensibilità ad ipossia o
ipercapnia, sia un incremento combinato. Quest’ulFigura . Dall’alto in basso: andamento temporale della saturazione di ossigeno (SpO2), del flusso
tima situazione è risultata
aereo, del segnale respiratorio combinato toraco-addominale e dell’intervallo RR (RR) in un paziente
essere quella più negativa
di 62 anni con cardiomiopatia post-ischemica e respiro di Cheyne-Stokes diurno (adattato da Poletti
per il paziente, essendo aset al., #12).
sociata ad una maggiore in-
11
Recenti Progressi in Medicina, 11 (7-), luglio-agosto 21
HVR
&
HCVR
100
Sopravvivenza libera da
eventi (%)
12
HVR
HCVR
80
P<0.0001
60
HVR
&
HCVR
40
0
12
24
36
48
60
HVR&HCVR
43
43
43
43
43
43
HVR
13
13
13
12
12
12
HCVR
23
21
20
20
20
20
HVR&HCVR
31
28
25
23
22
22
Mesi
Figura 4. Curva di sopravvivenza libera da eventi cardiaci (morte cardiaca o aritmie potenzialmente fatali trattate dal defibrillatore) in pazienti con scompenso cardiaco e normale chemosensibilità
all’ipossia ed all’ipercapnia (HVR&HCVR, n=4) confrontata con pazienti con aumentata chemosensibilità isolata all’ipossia (HVR, n=1), isolata all’ipercapnia (HCVR, n=2) e combinata all’ipossia
ed all’ipercapnia (HVR&HCVR, n=1). HVR: risposta ventilatoria all’ipossia; HCVR: risposta ventilatoria all’ipercapnia (adattata da Giannoni et al., #1).
Il meccanismo ipotizzato alla base di questo effetto prognostico del chemoriflesso risiede nel fatto
che da una parte un’aumentata sensibilità chemocettiva favorisce un incremento del drive simpatico14, dall’altra un’aumentata attività simpato-eccitatoria centrale è in grado di modulare l’attività dei
chemocettori centrali15. Quest’associazione biunivoca tra attività simpatica e chemoriflesso può sostenere un circolo vizioso e rendere conto dei correlati prognostici sfavorevoli.
Implicazioni terapeutiche
Le strette interdipendenze fisiopatologiche tra
chemoriflesso, attivazione adrenergica, respiro di
Cheyne-Stokes, aritmie sopraventricolari-ventricolari e, non ultimo, l’impatto del chemoriflesso
sulla prognosi hanno reso una strategia di modulazione della chemosensibilità una prospettiva terapeutica interessante, tenendo conto della efficacia incompleta del trattamento moderno dello
scompenso cardiaco.
Tra le varie possibili modalità di intervento, spicca l’uso della diidrocodeina, che oltre ad aver dimostrato di ridurre la sensibilità chemocettiva in pazienti con scompenso cardiaco, negli stessi pazienti
sembra anche contribuire ad un miglioramento della performance cardiaca al test cardiopolmonare16.
Altre possibili alternative sono rappresentate dal
training fisico, il cui riconosciuto effetto vagomime-
tico potrebbe essere almeno
in parte spiegato dalla riduzione del tono adrenergico
conseguente alla deattivazione del chemoriflesso17. Infine,
se gli effetti benefici della
ventilazione meccanica non
invasiva sull’alterata sensibilità chemocettiva appaiono
principalmente legati al miglioramento emodinamico
conseguente all’erogazione di
pressioni positive18, alcune
particolari forme di ventilazione “self-controlled”, come
ad esempio lo yoga, sembrano agire direttamente sul
versante ventilatorio19, rimuovendo i fondamenti fisiopatologici alla base dell’incremento della sensibilità
chemocettiva (riduzione della portata e della perfusione
efficace con sangue ossigenato della periferia tessutale).
Conclusioni
L’incremento della sensibilità chemocettiva rappresenta un meccanismo fisiopatologico critico in alcune
patologie cardiovascolari, tra cui lo scompenso cardiaco e l’ipertensione arteriosa. Lo studio della alterata risposta ventilatoria ad ipossia ed ipercapnia rappresenta un promettente strumento di stratificazione prognostica in pazienti affetti da scompenso cardiaco; di grande interesse è anche la possibilità di modulare, con strumenti farmacologici e
non, la sensibilità chemocettiva: le potenziali ricadute in termini prognostici di tali manovre terapeutiche, che vanno ad agire su meccanismi fisiopatologici-chiave nell’evoluzione clinica della sindrome, rappresentano un forte stimolo alla conduzione di studi clinici nell’ambito di questa linea di
ricerca.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Claudio Passino
Fondazione Gabriele Monasterio
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Via Giuseppe Moruzzi, 1
56124 Pisa
E-mail: [email protected]
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