Potere, autorità e legittimità - Digilander

Potere, autorità e legittimità
Definizione e analisi del potere
Una definizione elementare di potere può essere la «capacità di fare o agire»,
nel senso che il possesso del potere consente ad individui o a gruppi di individui di
realizzare la propria volontà. Le «grandi potenze» e gli stati grandi hanno maggiore
capacità d’azione che non le potenze minori e gli stati più piccoli; «equilibrio dei
poteri» è un’espressione che indica la contrapposizione tra le capacità di uno stato o
di un gruppo di stati e quelle di un altro stato o di un gruppo di stati.
«Il potere», secondo Bertrand Russell, «è la capacità di realizzare effetti
desiderati». La maggior parte della storia contemporanea è stata considerata non solo
come il risultato di una serie di alleanze tra stati differenti, in cui spesso è presente il
concetto di equilibrio dei poteri, ma in ultima analisi il potere è stato invariabilmente
misurato in termini di capacità militare. La forza militare continua ad essere usata per
produrre gli effetti desiderati, non solo nel senso militare del termine ma anche per il
conseguimento di obiettivi più ampi.
Il punto chiave della definizione di Russell è la frase «effetti desiderati»; l’uso
della forza militare solitamente è deliberato e ha effetti desiderati, ma può anche
avere effetti non intenzionali. Questi ultimi effetti sono una conseguenza dell’uso del
potere, ma poiché essi non erano previsti o non facevano parte degli obiettivi
originari, non pervengono all’esercizio del potere.
Nella definizione di Russell il potere viene inoltre considerato come un
processo o un’attività, piuttosto che un bene o una risorsa; ma in tal modo si pone la
questione se il potere esista solo quando viene esercitato. È necessario considerare il
potere sia nei termini del suo potenziale che del suo esercizio, e i tentativi infruttuosi
di esercitare il potere fanno parte dei comportamenti sociali e politici tanto quanto
quelli coronati da successi.
Per Weber «il potere designa qualsiasi possibilità di far valere entro una
relazione sociale la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità».
Questa definizione, col termine possibilità, ci consente di considerare il potere in
termini potenziali e relativi piuttosto che in termini concreti e assoluti.
Weber respinge l’idea che il potere si basi unicamente sull’uso o sulla minaccia della
forza fisica, insistendo sull’esistenza di altri fattori che possono determinare il
prevalere della volontà di un individuo o di un gruppo di individui su quella di un
altro individuo o gruppo di individui.
È utile chiedersi:
a) Chi esercita il potere?
b) Come viene esercitato il potere?
c) Perché è esercitato il potere?
a) Vi sono tre ampie categorie di risposte alla questione di chi esercita il potere:
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Ø la risposta elitista (Mosca, Pareto e Mills): il potere è detenuto da un gruppo
coeso e socialmente identificabile all’interno di una determinata società che lo
esercita basandosi sulla consapevole difesa dei propri interessi.
Ø la risposta marxista (Marx): il potere è esercitato dalla classe sociale che
controlla i mezzi di produzione.
Storicamente questa classe cambia, ma nelle società capitalistiche è la
borghesia, cioè la classe che possiede il capitale, e che sarà sostituita al
momento opportuno dal proletariato, una volta che quest’ultimo avrà
conquistato il controllo dei mezzi di produzione.
Ø la risposta pluralista (Dahl e Polsby): il potere non è detenuto né da una
particolare élite né da una classe sociale, ma viene esercitato da gruppi in
competizione tra loro e varia da caso a caso.
È importante chiedersi se gli individui o le organizzazioni formalmente designati
come detentori di potere esercitano effettivamente il potere, o siano facciate dietro le
quali il potere «reale» è esercitato da favorite di corte, eminenze grigie, interessi
costituiti, burocrati senza volto, apparati di partito, funzionari corrotti e cos’ via.
b) Quando si parla di come il potere viene esercitato, ci si riferisce alle basi su cui
esso si fonda. Il potere può basarsi sulla forza, sulla ricchezza, lo status, la
conoscenza, il carisma, l’autorità. Il potere può anche prendere differenti forme
come:
- la coercizione, che comprende l’uso o la minaccia della forza fisica,
l’estorsione, il ricatto, l’esproprio e la confisca;
- l’influenza, che include la persuasione razionale, il rispetto, la deferenza, la
corruzione;
- il controllo, che implica l’accettazione del fatto che coloro che cercano di
esercitare il potere hanno i mezzi per farlo.
c) Il potere può essere usato per fini individuali o collettivi, per scopi politici,
economici o ideologici.
Hall associa tipi di potere e scopi, sostenendo che esistono tre tipi di potere –
politico, economico ed ideologico – ciascuno basato su particolari risorse sociali.
Il potere politico consiste nella capacità di alcuni individui di organizzare e dominare
i loro simili.
Il potere economico risiede nella capacità di organizzare e sviluppare risorse.
Il potere ideologico è la capacità di razionalizzare l’organizzazione sociale attraverso
un sistema di credenze o di valori.
Per Hall il potere militare fa parte del potere politico, ma inquadra il potere in un più
ampio contesto sociale. Egli sostiene che «dove il potere ideologico, politico ed
economico si muovono nella stessa direzione, è estremamente probabile che si crei
una grande energia sociale…» che porterà ad un mutamento nella società grazie ad un
«potere di propulsione». Dove invece tra questi differenti tipi di potere c’è conflitto
non si verificheranno cambiamenti, oppure saranno meno probabili o più lenti a causa
del «potere di stallo».
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Inoltre, il potere viene esercitato per scopi più immediati, come l’acquisizione
di ricchezza, status, controllo su persone o su territori, con l’imposizione di credi
spirituali o ideologici.
L’esercizio del potere implica costi e benefici, sia per coloro che lo esercitano
che per coloro che ne vengono assoggettati. Costi e benefici che possono essere
individuali o collettivi, o una loro combinazione, e possono comportare l’imposizione
o la minaccia di sanzioni oppure il pagamento o la promessa di compensi.
Nel classico studio di Robert Dahl sui processi decisionali, Chi detiene il
potere?, si esamina come vengono prese le decisioni e chi le prende, con riferimento
allo studio di tre casi:
- uno sul riassetto urbano;
- uno sull’educazione politica;
- uno sulle nomine politiche.
Così facendo Dahl ha isolato, attraverso l’osservazione, coloro che avevano il potere
d’iniziativa, di decisione e di veto in ciascuna area. I critici di Dahl hanno rilevato
come egli trascuri quello che essi definiscono «non decision-making», ovvero il
potere di controllare l’agenda politica e in particolare la capacità di tenere alcune
questioni fuori da quell’agenda.
Per definizione l’approccio pluralista si concentra prevalentemente sulle
attività degli interessi organizzati, ma anche i governi possono avere un ruolo
importante nel controllo dell’agenda politica. Quanto più un partito detiene il potere
tanto più certe istanze saranno lasciate fuori dall’agenda politica e avranno scarsa
priorità; altre questioni invece figureranno molto spesso ed avranno un’alta priorità.
Lukes sostiene che il ricorso al concetto di potere era servito per trattare istanze
reali e istanze potenziali, ma che il potere opera anche in una terza dimensione che
comprende quelli che definiscono come «conflitti latenti» e «interessi reali». Ciò
solleva un interrogativo, e cioè se l’esercizio del potere possa essere inconscio,
inducendo Lukes ad avanzare quello che egli definisce un punto di vista radicale sul
potere: «A esercita potere su B quando A influisce su B in modo contrario agli
interessi di B». In una situazione del genere B può ben essere consapevole che A non
sta agendo nei suoi interessi, ma è incapace di prevenire A dall’agire contro di essi.
Lukes però si spinge oltre affermando che B può non essere consapevole dei suoi
reali interessi. Lukes traccia una chiara distinzione tra interessi soggettivi – ciò che
qualcuno pensa che si vorrebbe – e interessi oggettivi – ciò che qualcuno vorrebbe se
potesse sperimentarne i risultati o avere la consapevolezza di modi di agire
alternativi.
Nonostante Weber abbia dato una delle più note definizioni di potere, egli
scrive prevalentemente in termini di dominio, che definisce come «la possibilità di
trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia uno specifico
contenuto». Analogamente Marx, Engels e i teorici marxisti si sono interessati più di
dominio che di potere, in quanto lo consideravano un dato. Solo quando le società
capitaliste hanno dimostrato una tenace capacità di sopravvivenza i teorici marxisti
hanno mostrato un esplicito interesse per il potere al fine di spiegare come la classe
capitalista continuasse a dominare la società. Una risposta è data dall’imperialismo,
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cioè lo sfruttamento delle aree meno sviluppate del mondo da parte delle società
industriali economicamente sviluppate. Un’altra risposta fu quella del controllo delle
idee, talvolta definito la mobilitazione del pregiudizio. Marx ed Engels scrivevano
che «le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti».
Antonio Gramsci affermò che lo strumento fondamentale del dominio borghese
sulla società consiste molto più nella creazione del consenso per mezzo delle
istituzioni culturali che fanno sì che prevalgano le concezioni borghesi del mondo che
non nell’uso della forza. Egli utilizza il concetto di «egemonia» per descrivere la
situazione in cui la classe dominante è capace di presentare i suoi interessi come gli
interessi dell’intera società.
Lo strutturalista Nicos Poulantzas definisce il potere come «la capacità di una classe
sociale di realizzare i suoi interessi obiettivi specifici». Con questa definizione
Poulantzas combina esercizio inconscio del potere ed effetti non intenzionali in
quanto per definizione una classe sociale agisce nei propri interessi, ne sia
consapevole o meno.
Il controllo delle idee, la mobilitazione dei pregiudizi e l’egemonia possono
essere collegati alla teoria della socializzazione, secondo la quale i valori e le norme
di comportamento si trasmettono di generazione in generazione tramite un processo
di apprendimento sia consapevole che inconscio. I valori e le norme politiche sono
dunque il prodotto della socializzazione politica e creano una specifica cultura
politica in ogni società.
Inizialmente il potere è stato concepito semplicemente come capacità di agire o
imporre la volontà di qualcuno, ma in seguito si è rivelato come un concetto
infinitamente più complesso che riguarda il dominio su altri da parte di un individuo
o di un gruppo di individui, assumendo varie forme, implicando una varietà di risorse
e costi e benefici per coloro che sono coinvolti da entrambi i lati del rapporto di
potere. Il suo esercizio può essere manifesto o occulto, consapevole o inconscio e,
mentre spesso si ottengono gli effetti voluti, invariabilmente si avranno anche effetti
non intenzionali e non previsti.
Autorità e legittimità
Si possono porre due domande:
1) perché la gente obbedisce?
2) perché dovrebbe obbedire?
I filosofi politici danno una risposta soprattutto alla seconda domanda. La risposta di
J.J. Rousseau nel Contratto sociale è che la «volontà generale» o bene comune può
essere raggiunta attraverso una democrazia diretta, con la partecipazione di tutti, e
che le leggi che esprimono la volontà generale devono essere rispettate. Un simile
stato di cose si è costituito e poggia su un contratto sociale tra tutti gli individui che
vivono in una società.
Altri teorici del contratto, in particolare Thomas Hobbes e John Locke, danno
una risposta completamente diversa alla questione. Entrambi sostengono che è
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nell’interesse degli individui accettare il dominio di un governo per la propria
protezione, ma divergono in modo significativo sulle circostanze in cui un governo
deve essere rifiutato. Hobbes vedeva nella sottomissione ad un sovrano con poteri
assoluti, o Leviatano, l’unico modo per evitare lo stato di cose caotico e anarchico
che gli avvenimenti da lui vissuti (guerra civile inglese) avevano posto in risalto.
Senza la protezione di un governo potente la società tornerebbe ad uno stato di
natura. Solo nel caso in cui il sovrano fallisca nel provvedere quella protezione si
potrà essere fedeli a qualcun altro.
La teoria di Hobbes è perciò considerata come l’estrema giustificazione di uno stato
assoluto o autoritario, che non comporta l’obbligo di perseguire i desideri dei sudditi.
Anche Locke considera il governo come un mezzo per fornire protezione
all’individuo, ma la sua libertà d’azione è limitata dal consenso. Quindi, mentre ci si
aspetta che il governo mantenga l’ordine, ci si aspetta anche che protegga i diritti
civili, la libertà e la proprietà degli individui, cosicché il fallimento in questi compiti
legittima gli individui a rifiutare il consenso e, se necessario, a rovesciare il governo.
Rousseau e Locke, ponendo il loro accento sul consenso dei governati, hanno
costituito una base importante per lo sviluppo delle teorie democratiche.
Hobbes ha dato una risposta anche alla prima domanda: perché la gente
obbedisce? Lo fa per il proprio bene e, nonostante nel caso di Hobbes fosse il timore
del ritorno ad uno stato di natura a spingere all’obbedienza, la gente può accettare di
sottoporsi ad un potere perché così facendo intravede vantaggi di altro tipo.
L’equazione costi benefici.
I teorici moderni considerano l’autorità – l’accettazione dell’esercizio del potere, sia
da parte di coloro che lo esercitano che di coloro sui quali esso viene esercitato –
come un concetto cruciale nella politica. Le ragioni che spingono gli individui ad
accettare il potere che viene esercitato nei loro confronti è importante.
Gli studiosi di diritto operano una distinzione tra autorità de facto e autorità de
jure. L’autorità de facto esiste quando un individuo o gruppo di individui accetta che
un potere venga esercitato su di loro ed obbedisce agli ordini o ai comandi di coloro
che detengono quel potere; l’autorità de jure esiste quando l’esercizio del potere è
accettato come giusto e viene giustificato da coloro nei cui confronti viene esercitato.
L’autorità è talvolta come potere legittimo e i termini «autorità» e «legittimità» sono
spesso usati come sinonimi. Nel contesto di determinati governi o regimi ciò non
costituisce quasi mai un problema, ma nel contesto più ampio delle organizzazioni
sociali e politiche è spesso più appropriato parlare di legittimità.
L’analisi di Weber sul dominio riguarda principalmente il potere legittimo ed
egli distingue tre idealtipi di legittimità:
1) di carattere tradizionale, «quando poggia sulla credenza quotidiana nel
carattere sacro delle tradizioni valide da sempre e nella legittimità di coloro che
sono chiamati a rivestire una autorità»;
2) di carattere carismatico, «quando poggia sulla dedizione straordinaria al
carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona e degli
ordinamenti rivelati o creati da essa»;
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3) di carattere razionale, «quando poggia sulla credenza nella legittimità di
ordinamenti statuiti e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad
esercitare il potere (potere legale) in base ad essi».
Weber cita la gerontocrazia – governo esercitato dai più anziani – e il potere
patriarcale – basato sull’eredità – come tipi tradizionali di legittimità.
La storia ci dà molti esempi di leader carismatici, le cui qualità personali e le cui idee
hanno consentito loro di attrarre ed ispirare i propri seguaci.
Il moderno stato burocratico, basato su regole e norme legali, è un esempio di
legittimità razionale-legale.
Weber propone questi tre principi come idealtipi e che in pratica la legittimità di
regimi particolari è spesso una combinazione di tutti e tre.
La legittimità – cioè l’ambito in cui sono accettate le norme sociali e politiche
in una data società – è senza dubbio un concetto importante per capire l’esercizio del
potere e le relazioni tra politica e società. I teorici struttural-funzionalisti (Parsons e
Almond) e gli esponenti della teoria sistemica (Easton) considerano la legittimità
come essenziale per il mantenimento di un sistema sociale e politico.
Nella sua teoria del sistema sociale Parsons afferma che una delle sue principali
funzioni è quella del mantenimento dei modelli, vale a dire la capacità del sistema di
conservare la propria stabilità attraverso la socializzazione a valori condivisi e
l’esistenza di norme culturali ampiamente diffuse. Easton nello sviluppare la sua
analisi input-output, parla di «supporti» al sistema, cioè di varie forme di
partecipazione politica e di reazioni positive agli output della politica, vale a dire di
attività che sostengono il funzionamento del sistema politico.
Almond in precedenza aveva considerato la socializzazione politica come una delle
tre funzioni di input nel sistema politico.
Per la maggior parte dei teorici marxisti la legittimità è stata in gran parte
ignorata e considerata irrilevante, in quanto parte dell’ideologia dominante. Più di
recente alcuni marxisti hanno di fatto considerato la legittimità come elemento
importante nella spiegazione della sopravvivenza del sistema capitalistico
Claus Offe sostiene che lo stato, per sopravvivere, deve essere «strutturalmente
selettivo», cioè in una società capitalistica lo stato favorisce differenti gruppi ed
interessi, inclusi alcuni settori delle classi lavoratrici, cosicché esso può sopravvivere
alle crisi economiche e sociali che lo minacciano continuamente. In breve, lo stato
cerca di mantenere la sua legittimità tentando di «trovare dei compromessi» tra le
forze del lavoro organizzato e quelle del capitale monopolistico.
Legittimità e obbedienza
In ultima analisi la legittimità risiede nella mente dell’osservatore, sia che
eserciti il potere o che vi sia sottomesso.
La legittimità può essere considerata solo come una spiegazione del perché la
gente obbedisce a coloro che sono al potere o che rivendicano a sé l’autorità.
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David Held ha elaborato un continuum dell’obbedienza o sottomissione.
Questo continuum ricomprende l’intera gamma delle spiegazioni del perché la gente
obbedisce a coloro che rivendicano per sé l’autorità, dalla percezione o dalla
convinzione di non avere possibilità di scelta in quel campo, al convincimento che è
giusto ed appropriato comportarsi in quel modo.
Ecco lo schema:
1) Coercizione (obbedire agli ordini): non c’è possibilità di scelta.
2) Tradizione: non è mai stata messa in discussione e noi facciamo come è
sempre stato fatto.
3) Apatia: non vogliamo essere infastiditi in un modo o nell’altro.
4) Acquiescenza pragmatica: anche se non ci piace questa situazione non
possiamo immaginare che le cose possano andare diversamente e così
«alziamo le spalle» ed accettiamo il destino.
5) Accettazione strumentale o accordo-consenso condizionato: non siamo
soddisfatti delle cose come sono ma tuttavia procediamo così per il
raggiungimento di un fine; noi accondiscendiamo perché i vantaggi si
verificheranno nel lungo periodo.
6) Accordo normativo: nelle circostanze che abbiamo di fronte e con le
informazioni disponibili al momento, giungiamo alla conclusione che si tratta
di cose «giuste», «corrette», «appropriate» per noi in quanto individui o
membri della collettività.
7) Accordo ideal normativo: è quanto noi saremmo stati d’accordo di fare in
circostanze ideali – come ad esempio avere tutte le informazioni possibili, tutte
le opportunità di conoscere le circostanze ed i requisiti degli altri.
Queste categorie sono idealtipi nel senso weberiano del termine e la sottomissione
sociale e politica in qualsiasi società sarà sempre una miscela di tali categorie.
Held cerca di spiegare l’obbedienza sociale e politica: «L’ordine politico è il risultato
di un complesso intreccio di interdipendenze tra istituzioni politiche, economiche e
sociali ed attività che dividono i centri di potere e che creano molteplici pressioni ad
obbedire».
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