Battaglia legale sulla privacy del Blasco A processo per falso e calunnia l’ex manager Nella combriccola del Blasco è stato regista di videoclip e lungometraggi, fidato collaboratore e manager con pieni poteri tanto da sostituire lo storico agente Floriano Fini al timone di Vascolandia. Un sodalizio artistico e un’amicizia andati avanti per anni e finiti nel peggiore dei modi quella tra l’icona del rock Vasco Rossi e il regista bolognese Stefano Salvati, che nella sua lunga carriera ha diretto artisti italiani e internazionali di chiara fama. Un divorzio doloroso e rumoroso, consumato a colpi di cause e querele incrociate. Al centro della battaglia legale ci sono, come spesso accade, i soldi. Una montagna di soldi. Quelli che Salvati ha chiesto al Komandante — 6 milioni di euro, 200 mila euro all’anno per trent’anni, una sorta di vitalizio plurimilionario — in forza di un patto di riservatezza che Salvati pretendeva di far valere nei confronti del rocker di Zocca una volta consumato il divorzio e quando ormai i rapporti tra i due si erano deteriorati. Una battaglia legale che si è conclusa di recente e in modo rovinoso per Salvati che dovrà affrontare un processo per falso in scrittura privata e calunnia proprio nei confronti di Rossi. I fatti al centro della vicenda, rimasta finora sottotraccia, risalgono all’aprile 2014. È il giorno in cui Salvati cita in giudizio il cantante chiedendo il pagamento della prima rata quale compenso previsto dal patto di riservatezza a suo dire stipulato nel 2013 e firmato da Rossi. Il rocker non perde tempo e querela Salvati sostenendo che quell’accordo, uguale in tutto e per tutto a quelli sottoscritti dagli altri collaboratori e attinente esclusivamente al rispetto della sua privacy, non C Querele e contro-querele dopo la causa per 6 milioni intentata da Salvati. Inchiesta sul patto di riservatezza Archiviato Vasco, nei guai finisce il regista. Il rocker: «Sono un sentimentale, mi fidavo di lui. Che amarezza» è ● Stefano Salvati, 54 anni, è un regista e sceneggiatore bolognese che nella sua lunga carriera ha realizzato videoclip e lungometraggi dirigendo artisti italiani e internazionali di chiara fama prevedeva compensi accessori rispetto allo stipendio stabilito dal contratto da manager. Della vicenda si occupa il pm Domenico Ambrosino che fa sequestrare il documento in possesso di Salvati che, a quel punto, querela Rossi sostenendo a sua volta la falsità del patto, privo di compensi, allegato alla denuncia del cantante. Partono gli accertamenti del pm che convoca i collaboratori del rocker che si erano occupati di far sottoscrivere i patti di riservatezza. Tutti escludono compensi accessori. A quel punto il pm affida due perizie, una per accertare l’autenticità delle firme su entrambi i documenti e un’altra sulla «fattura» dei due scritti. La conclusione del consulente sono perento- rie: l’accordo in possesso di Salvati, peraltro privo di data, è stato contraffatto, si tratta di un falso. La firma del rocker è autografa ma solo l’ultima pagina del documento proviene dalla stessa stampante in uso negli uffici del cantante e utilizzata per i patti con gli altri collaboratori. Le prime due pagine, che prevedono i termini del compenso, hanno un testo in gran parte diverso che proviene da un’altra stampante di cui nel quartier generale del Blasco non ci sarebbe traccia. Sulla base di queste considerazioni, il pm Ambrosino ha chiesto l’archiviazione di Rossi, assistito dall’avvocato Guido Magnisi, storico legale dell’artista, che poi è stata disposta dal giudice Francesca Zavaglia nonostante l’opposizione di Salvati, assistito dall’avvocato Francesco Tafuro. Poco prima il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio di Salvati per falso e calunnia. Il regista si è difeso in una memoria, ha ribadito l’autenticità del documento e puntato sul ruolo diverso rispetto agli altri collaboratori e sui tanti segreti sulla vita privata di Vasco a sua conoscenza, circostanza che avrebbe determinato il pagamento di un compenso ad hoc per mantenere la necessaria riservatezza. Argomenti che non hanno convinto il gip Bruno Perla che l’ha rinviato a giudizio. Il processo inizierà il 21 settembre. Ma non è l’unico: c’è la causa civile intentata da Salvati, che ora però sembra in salita. «Da eterno sentimentale che crede nell’amicizia, provo una profonda amarezza per essermi fidato di una persona che non merita la mia fiducia», ha confidato il rocker ai suoi collaboratori. Gianluca Rotondi © RIPRODUZIONE RISERVATA