Teoria dei sistemi e complessità Collana diretta da Andrea Pitasi
Dagli studi di Von Bertalanffy in biologia, agli scritti di Wiener ed
Ashby a fondazione della prima cibernetica, dalle pagine di Buckley
sulla teoria dell’informazione a quelle di von Foerster per lo sviluppo
di una cibernetica di secondo ordine, dalla sociologia costruttivista di
Luhmann al campo olografico di Laszlo, dagli studi nelle scienze dell’organizzazione di Crozier e Friedberg alle riflessioni epistemologiche
di Delattre, la teoria dei sistemi è una delle principali protagoniste
intellettuali del XX secolo e all’alba di questo terzo millennio si conferma uno strumento concettuale potentissimo per l’evoluzione
socio–economica dell’umanità. Come scrive brillantemente proprio
Delattre: «la teoria dei sistemi ambisce ad agire allo sgretolamento dei
saperi e a sviluppare una metodologia all’altezza delle sfide della complessità (...) Dopo la fase di decostruzione delle vecchie discipline (...)
è diventato oggi indispensabile procedere ad una nuova sintesi delle
conoscenze secondo un principio di unificazione necessariamente differente da quelli precedenti poiché deve essere adeguato ad altri livelli
di apprendimento» (P. Delattre, Teoria dei sistemi ed epistemologia,
Einaudi, Torino 1984, pp. 3–5) e in tal senso,appunto, la teoria dei sistemi si è rivelata un modello concettuale formidabile anche per la sua
plasticità evolutiva ed adattiva ad esempio attraverso il paradigm shift
da una logica tutto/parti ad una logica sistema/ambiente. Essa rivela la
sua grande potenza euristica nel creare modellizzazioni concettuali
interdisciplinari fondamentali per sviluppare analisi di scenario globa-
le, strategie evolutive dotate anche di un adeguato impianto predittivo
– su base probabilistica? e interventi tattico–operativi di problem solving che l’hanno resa applicabile anche in varianti più divulgative
come quella di Paul Watzlawick e i suoi collaboratori. La teoria dei
sistemi, inoltre, essendo a sua volta evolutiva, come testimoniano le
splendide ricerche di Ford e Lerner, si presta a creare modelli concettuali glocali in grado, cioè, di gestire le complesse dinamiche di globalizzazione e localizzazione, di integrazione e differenziazione che contraddistinguono l’evoluzione auto–organizzativa del vivente. Come
scrive saggiamente lo stesso Delattre (op. cit., pp. 15–16): «il carattere
interdisciplinare della teoria dei sistemi implica lo studio e il confronto dei metodi e dei concetti utilizzati dalle diverse discipline per isolare il sostrato comune capace di costituire l’ossatura di un linguaggio
più o meno unificato (...) ogni linguaggio deve essere, nella misura del
possibile, formalizzato il che significa che le sue regole di combinazione interna devono essere sufficientemente precise da eliminare al massimo le ambiguità, un’esigenza costante di ogni attività scientifica».
Questa collana dunque è assai attenta ed aperta a contributi interdisciplinari che offrano anche occasione di rivoluzioni kuhniane e innovazioni schumpeterianamente radicali all’altezza delle sfide evolutive
della complessità negli scenari globali attuali così ricchi di soglie epocali e di biforcazioni (ad esempio se continuare ad avere un’economia
basata sul petrolio o attivare seriamente fonti alternative di energia, se
invocare teorie creazioniste sull’origine e l’identità biologica dell’uomo oppure aprirci a salti evolutivi che implichino una rilettura, con
relative minacce ed opportunità, delle chances di vita dell’uomo in
nuove forme) che sono proprie del nostro tempo e di fronte alle quali la
più tragica e rischiosa decisione sarebbe quella di non decidere.
Giulio Marini
E-LEARNING
Apprendimento e internet
dopo lo sboom della new economy
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I edizione: novembre 2009
Alla mia famiglia
Indice
11 Prefazione di Fernando Sarracino
Risorse digitali per la co-costruzione della conoscenza
30 Introduzione
43 Capitolo I
Gli scenari sociali del digital divide: chi e quanti sono gli esclusi dall’apprendimento
79 Capitolo II
L’evoluzione degli spazi digitali dal punto di vista formativo
117 Capitolo III
L’e-learning nel mondo della scuola
143 Capitolo IV
L’e-learning nell’istruzione terziaria
174 Capitolo V
La gestione del sapere digitale e la digitalizzazione del sapere
nelle aziende
217 Post-fazione di Andrea Pitasi
219 Appendice e Bibliografia
Risorse digitali per la co-costruzione della conoscenza
Prefazione di
Fernando Sarracino1
Affrontare il tema dell’e-learning pone sempre, in avvio, non poche difficoltà in quanto può capitare che, nell’istante in cui si è terminata la propria riflessione/discussione, ci si possa accorgere che ciò
che si è detto appaia già “datato”: la velocità con la quale in questi anni, infatti, l’innovazione tecnologica (anzi spesso si tratta di innovazioni talmente radicali e che hanno cambiato così tanto il nostro approccio con la realtà che ci circonda da poter essere considerate delle
vere e proprie “rivoluzioni” tecnologiche) ha prodotto strumenti sempre nuovi (basti pensare anche solamente alle “generazioni” di telefonini, prima sempre più piccoli, poi sempre più grandi e accessoriati da
essere dei veri e propri computer portatili) fa sì che ci si trovi spesso a
discutere di tematiche che al lettore potrebbero apparire già superate,
o su cui si è già “letto tanto”, o ancora che – a seguito di interventi di
“implementazione” (basti pensare alla velocità con la quale ci si trova
ad incontrare le nuove “versioni” degli stessi prodotti che spesso, per
distinguersi dalle precedenti, fanno ricorso al gergo informatico: v1.2,
v1.3, v3.5, etc.) – non presentano più la struttura originaria. I nuovi
scenari possono assumere, infatti, problematiche sostanzialmente diverse da quelle immediatamente precedenti, problematiche che spesso
meritano riflessioni e interpretazioni sempre nuove e diverse.
A fianco di questa prima premessa occorre però farne subito
un’altra a chiarimento/integrazione della prima: quali che siano le innovazioni tecnologiche che intervengono, compito delle scienze umane in generale, e di quelle dell’educazione in particolare, è quello di
1
Fernando Sarracino è ricercatore di “Didattica e pedagogia speciale” presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
di Napoli. Insegna “Teledidattica per le scienze umane” e “Tecnologie didattiche”.
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Prefazione di Fernando Sarracino
ricondurre la discussione sull’utilizzo di tali strumenti e sui modelli
teorico-metodologici di analisi di tale utilizzo2.
Partendo da tali premesse, tentiamo, però, di realizzare una schematizzazione di quali sono oggi le tematiche fondamentali connesse a
tale risorsa/strumento, l’e-learning per l’appunto, ricordando che il nostro approccio non sarà mai di tipo “tecnologico” (proprio per non incorrere nei pericoli di cui in premessa), ma di natura pedagogicodidattica3.
Se è vero che l’uomo tecnologico del terzo millennio impara alla stessa maniera
di come hanno imparato i suoi antenati, è anche vero che i processi di apprendimento web-based introducono nuove possibilità4.
Anche l’analisi delle modalità di erogazione/comunicazione che intervengono attraverso la rete, di conseguenza, non può prescindere
dalle competenze nuove dei soggetti coinvolti. Le trasformazioni tecnologiche mutano, come si è già accennato, soggetti e contesti e,
quindi, modi di vivere e di essere sul piano economico, politico e so2
In tal senso occorre pensare che la nostra vita di relazione interpersonale e sociale
è, da sempre, immersa in una rete tecnologica di comunicazioni. Nell’ambito delle
trasformazioni delle modalità del comunicare sta maturando la mutazione di quella
che era la società di massa nella network society, una società nella quale le interazioni,
le relazioni collaborative, diventano sempre più importanti: è su questo tipo di analisi
che le scienze umane devono affrontare la loro riflessione non cadendo nella tentazione di “rincorrere” le sempre nuove invenzioni. La “virtualizzazione” delle interazioni
e l’introduzione della “rete”, infatti, hanno mutato il sociale negli stili di pensiero e
nei modi del comunicare, del formare i soggetti, e di come i soggetti impegnati nel
processo formativo interagiscono tra di loro. Dal punto di vista pedagogico-didattico,
sono cambiati il ruolo del discente, da un lato, e quello dell’educatore/formatore,
dall’altro.
3
«Il ‘900 è stato definito contemporaneamente “il secolo della scuola” e “il secolo
dei media”. I due grandi sistemi, formale l’uno e informale l’altro, di educazione e di
socializzazione, dopo un secolo di conflitto sono approdati, allo schiudersi del terzo
millennio, ad una nuova alleanza. […] Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sfruttando le grandi potenzialità della rappresentazione audiovisiva,
dell’elaborazione informatica, della trasmissione a distanza, hanno contribuito a costruire un contesto comunicativo e culturale che ha profondamente innovato i modi di
codificazione, simbolizzazione, espressione della realtà e dell’esperienza che conduciamo nel mondo e sul mondo, e di conseguenza anche i sistemi educativi, lavorativi e
sociali, da un lato, e le nostre stesse identità soggettive, dall’altro». Galliani L., “Metamorfosi tecnologico-comunicative e nuovi paradigmi pedagogici”, Pedagogia Oggi,
2, 2004.
4
Paparella N., Pedagogia e tecnologia. Due questioni, per indicare alcuni percorsi
possibili, Pedagogia Oggi, 2, 2004.
Risorse digitali per la co-costruzione della conoscenza
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ciale: l’intera storia dell’uomo può essere vista, d’altro canto, come
storia delle innovazioni tecnologiche e delle trasformazioni che esse
hanno prodotto5.
Lo sviluppo e la diffusione di Internet, quindi di un “libero mercato
globale dell’informazione”, ha mutato per tutti le modalità di accesso
alla conoscenza, sia dal punto di vista del reperimento delle informazioni, che da quello della loro “costruzione” e condivisione sulla rete.
5
Lo storico statunitense Lynn White jr., per esempio, ha analizzato quale effetto ha
determinato nella società feudale un’innovazione quale quella dell’introduzione della
staffa: «Quale fu l’effetto dell’introduzione della staffa in Europa? […]. La staffa […]
rese possibile il combattimento d’urto a cavallo, una nuova e rivoluzionaria maniera
di combattere. La terra era la forma fondamentale di ricchezza. Quando Carlo Magno
ed i suoi eredi decisero che era indispensabile assicurarsi una cavalleria in grado di
combattere secondo la nuova e costosa tecnica, presero l’unica via possibile: confiscarono le terre della Chiesa e le distribuirono ai vassalli, a condizione che costoro servissero come cavalieri nell’esercito franco. Ma combattere secondo la nuova tecnica
richiedeva forti spese. […] Chi non poteva economicamente permettersi di combattere
a cavallo soffriva di un’inferiorità sociale, che in breve divenne inferiorità giuridica.
[…] Quando verso la fine del IX secolo, l’autorità centrale del sovrano svanì, la subinfeudazione permise che il concetto di lealtà rimanesse vitale. I possessi feudali divennero ereditari ma potevano essere ereditati soltanto da chi fosse in grado di adempiere al dovere del servizio di cavaliere».White L. jr., Tecnica e società nel Medioevo,
Il Saggiatore, Milano, 1967. Lynn White sostiene che l’innovazione tecnica agì sul
piano militare e politico e contribuì in modo decisivo all’origine e al consolidamento
della gerarchia feudale: la nuova maniera di combattere, che comportava alte spese e
un alto livello di bravura professionale, determinò la formazione di un corpo di guerrieri specializzati nel combattimento a cavallo; in cambio di questo servizio, che era il
loro obbligo specifico verso il sovrano, e a garanzia della loro fedeltà, i cavalieri ottennero privilegi economici e una posizione di superiorità sociale che presto ricevette
anche una sanzione giuridica. Si costituì in questo modo un’aristocrazia separata dalla
massa dei contadini, una classe sociale, che White chiama la “classe feudale”, definita
dal potere militare e politico, dalla proprietà fondiaria, e anche da una sua ideologia.
D’altro avviso il massmediologo Manuel Castells secondo il quale “la tecnologia non
determina la società ma la incarna”: «Alla base della rivoluzione tecnologica vi è
l’emergere di quella che io chiamo Network society: una società, cioè, che si sposta
dall’impostazione sostanzialmente verticale delle burocrazie che hanno governato
l’umanità per millenni – eserciti, stati, grandi aziende – per andare invece verso
un’organizzazione a rete. Anche le grandi aziende, ad esempio, o l’esercito, si stanno
trasformando in reti, che sono più flessibili, si adattano con maggiore facilità. Questo,
però, non vuol dire che diventano necessariamente “buone”: se gli obiettivi di una società sono negativi, un’azienda organizzata in reti produrrà in modo più efficiente
questi obiettivi negativi. Quello che cambia, insomma, è la forma di produzione» (Castells
M.,
Rivoluzione
tecnologica
e
identità,
on-line:
http://www.mediamente.rai.it/articoli/20020530b.asp).
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Prefazione di Fernando Sarracino
E anche le risorse disponibili nell’ambito dei processi formativi richiedono, quindi, una necessaria revisione6. Scrive Paolo Orefice:
La nuova scrittura che viaggia attraverso l’ICT sta modificando radicalmente
nel mondo contemporaneo sia l’accesso alla conoscenza sia i contenuti di conoscenza e, per tale via, sta influenzando anche gli stili mentali di costruzione della
conoscenza e, in tal modo, anche le forme e le dinamiche della comunicazione
umana attraverso i saperi dei soggetti implicati7.
Questo è ancor più vero alla luce della considerazione che le tecnologie digitali stanno cambiando (e ancor di più cambieranno) le modalità di approccio al “lavoro cognitivo” in quanto:
cambiano il tessuto connettivo su cui è costruita l’attuale organizzazione del
sapere sociale e individuale (soprattutto dei saperi che vengono impiegati nella
produzione e nella relazione tra persone e istituzioni)8.
Tali profonde trasformazioni socio-tecnologiche e culturali incidono ed incideranno sempre più profondamente anche nell’ambito dei
processi formativi, che sono in evidente stretta correlazione con una
nuova costruzione cognitiva, più adeguata al contemporaneo sistema
di sviluppo globale della informazione interattiva e, quindi, a nuove
6
«Tra i numerosi effetti che le nuove tecnologie di informazione e comunicazione
stanno producendo in questi anni in diversi settori della nostra società, vi è anche una
sostanziale trasformazione delle modalità di erogazione della formazione, soprattutto
per quanto riguarda i livelli più elevati e professionalizzanti del percorso di apprendimento. In riferimento a questo tipo di fenomeni, alcuni hanno parlato di una vera e
propria “e-learning revolution” (M. Sloman, The E-Learning Revolution: How Technology is Driving a New Training Paradigm, Amacom Books, New York 2002).
Per parafrasare una famosa dichiarazione di Larry Eleison, fondatore di Oracle, sembra proprio che con l’arrivo di Internet tutto, formazione inclusa, sia destinato a cambiare» Pozzali A., Introduzione, in A. Pozzali (a cura di), Conoscenza senza distanze.
Scenari ed esperienze per l’e-learning, Guerini e Associati, Milano, 2006.
7
Orefice P., La rivoluzione della conoscenza in rete: una sfida per la formazione
senza confini, in Frauenfelder E., Santoianni F., E-learning. Teorie
dell’apprendimento e modelli della conoscenza, Guerini e Associati, Milano, 2006.
8
Margiotta U., “Educazione e formazione nella società della conoscenza”, TD Tecnologie Didattiche, 36, 2005. «Bisogna rendersi conto», continua Margiotta, «del fatto
che il sapere di cui disponiamo ha assunto una certa organizzazione in funzione dei
mezzi (di traslazione, di trasferimento, di scambio) di cui abbiamo potuto finora disporre. Ma la rivoluzione digitale sta cambiando rapidamente l'insieme di questi mezzi, rendendo dunque necessarie, non solo più convenienti, nuove forme di divisione
del lavoro cognitivo».
Risorse digitali per la co-costruzione della conoscenza
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modalità di costruzione della conoscenza9. E, associata a tale trasformazione, si sta realizzando quella che potremmo definire una “rivoluzione dei curricoli” che, come si diceva, sta mutando pian piano i luoghi e i contesti dell’agire formativo nell’ottica di una formazione che
non può essere più relegata ai soli contesti formali dell’istruzione e
dell’apprendimento, ma che deve essere estesa anche a quelli non
formali (il mondo del sociale, dell’associazionismo, del volontariato,
del no-profit, del cosiddetto terzo settore).
Ne consegue che un punto fondamentale fra i tanti mutamenti non
può che essere quello relativo, come si diceva in precedenza, alla costruzione di curricoli culturali ed educativi adeguati e “al passo” con il
tempo storico e con le sue caratteristiche: non più soltanto, quindi, un
ripensamento dei tempi, dei luoghi e dei processi di scolarizzazione, o
il mero allungamento dei tempi della formazione o la definizione di
centralità – per esempio all’interno del curricolo stesso – degli aspetti
cognitivi, ma il necessario cambiamento di atteggiamento e la necessaria “riforma del pensiero” così espressa:
La riforma di pensiero è una necessità democratica chiave: formare cittadini
capaci di affrontare i problemi del loro tempo; frenare il deperimento democratico, che è suscitato in tutti i campi della politica dall’espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi, che limita progressivamente la competenza dei cittadini. […] Lo sviluppo di una democrazia cognitiva è possibile solo
all’interno di una riorganizzazione del sapere, che richiede una riforma di pen9
Si veda a tale proposito, Lévy P., L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del
cyberspazio, Feltrinelli Milano, 1996; Levy P., Il virtuale, Raffaello Cortina Editore,
Milano 1997; Lévy P., Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano 1999. Scrive il filosofo francese: «La messa in sinergia delle competenze,
delle risorse e dei progetti, la costituzione e la conservazione dinamica di memorie
comuni, l’attivazione di modi di cooperazione flessibili e trasversali, la distribuzione
coordinata di centri decisionali si oppongono alla separazione netta delle attività, agli
steccati, all’opacità dell’organizzazione sociale. [...] Ora, il cyberspazio, dispositivo di
comunicazione interattivo e comunitario, si presenta proprio come uno degli strumenti
privilegiati dell’intelligenza collettiva. È grazie a esso che, per fare un esempio, gli
organismi di formazione professionale o di insegnamento a distanza sviluppano sistemi di apprendimento cooperativo in rete. Le grandi imprese creano dispositivi informatizzati di supporto alla collaborazione e al coordinamento decentrato (i groupwares o software collettivi). I ricercatori e gli studenti di tutto il mondo si scambiano
idee, articoli, immagini, esperienze e osservazioni nell’ambito di newsgroup organizzati da diversi centri d’interesse. Gli informatici dispersi sul pianeta si vengono reciprocamente in aiuto per risolvere problemi di programmazione. Lo specialista di una
data tecnologia aiuta il neofita, mentre un altro specialista a sua vota lo inizia a un
ambito in cui è meno esperto...». Levy P., Cybercultura, op. cit..
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Prefazione di Fernando Sarracino
siero volta non solo a separare per conoscere, ma anche a interconnettere ciò che
è separato e nella quale rinascerebbero in modo nuovo le nozioni frantumate dal
frazionamento disciplinare: l’essere umano, la natura, il cosmo, la realtà.10
La riforma del pensiero, dunque, attua un’esplicita “sfida educativa” per la ri-progettazione dell’intero iter formativo. Alcuni definiscono questa sfida di “conoscenza diffusa” lifelong learning, altri con
l’espressione di educazione permanente11. Si tratta di un modello che,
nel corso dell’ultimo trentennio, ha tentato di “restituire” ad ogni soggetto il suo naturale istinto alla dantesca canoscenza, che non può essere relegata alla sola occupazione (negotium) di studenti/formandi,
ma che deve ritornare ad essere protagonista dell’otium della vita di
tutti i giorni12.
Si tratta allora, a nostro parere, di ampliare il concetto di educazione permanente da semplice sottolineatura cronologica e/o spaziale, ad
una sottolineatura di tipo sistemico, anzi ecosistemico, considerando
cioè l’integrazione dell’apprendimento e della formazione a tutti i livelli e in tutti i luoghi: integrazione, quindi, per classi di età, per luoghi dell’apprendimento, per curricoli espliciti e curricoli impliciti, per
esperienze formative formali e saperi della quotidianità, etc:
10
Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.
11
«L’educazione permanente è un concetto, una politica, una pratica, un obiettivo,
un metodo: è l’educazione formale o non formale, l’autoformazione e
l’apprendimento istituzionale, l’educazione in presenza o a distanza. L’educazione
permanente è presente in tutte le età della vita, e in una molteplicità di luoghi, durante
i tempi di lavoro e quelli di non lavoro». Gelpi E., “L’éducation permanente: principe
révolutionnaire et pratiques conservatrices”, in Adultità, II, 1995.
12
«L’educazione permanente nasceva come teorizzazione della capacità, restituita
(o restituenda) ad ogni uomo di organizzare l’esperienza umana e l’educazione degli
adulti come la strategia per pervenire a tale restituzione attraverso il recupero di quella
cultura condivisa che fornisce gli strumenti dell’interpretazione e del raccontare, sì da
consentire ad ogni uomo la negoziazione e la rinegoziazione dei significati e la possibilità di prendersi cura di sé, cioè di dedicarsi a quell’otium che nasce non dal tempo
libero frutto della disoccupazione [...] bensì dal ridimensionamento delle pretese mercantilistiche della società contemporanea, per uno “spazio-tempo” in cui sia possibile
attribuire e condividere il senso della vita in una modalità sia privata che pubblica. È
tale condivisione che dà luogo ad una situazione didattica autenticamente formatrice
perché pone i soggetti in una situazione di sincronia delle esperienze apprenditive».
Schettini B., Comunità locale, educazione permanente, educazione degli adulti, in
Orefice P., Sarracino V. (a cura di), Nuove questioni di pedagogia sociale, Franco
Angeli, Milano 2004.