44. Bioculture: Esser tutt'orecchi
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44. Bioculture:
Esser tutt'orecchi
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Il dispiegarsi quotidiano delle attività ad opera degli animali che popolano la Terra alimenta
un'inesauribile molteplicità di suoni: un branco di zebre al galoppo, una colonia di api alla
ricerca di nettare, uno stormo di anatre tra sbuffi d'acqua, un aspide che striscia tra il fogliame
del bosco, un gruppo di gorilla che si fa strada nel fitto della foresta, una colonna d'auto in
una nube di smog, tutto provoca la formazione di onde acustiche per il semplice fatto di
muoversi in un mezzo come l'aria, l'acqua o il suolo. Ogni vibrazione sonora ha un'altezza,
un'intensità e un timbro idonei ad attivare in chi li riceve, recettori specifici che gli
permettono di acquisire utili informazioni sull'origine e sulla natura del segnale percepito. Per
una preda, captare in maniera adeguata un rumore può fare la differenza tra la vita e la morte,
per un potenziale partner spesso significa cogliere o perdere la possibilità di riprodursi, per gli
uomini in genere rappresenta l'opportunità di riempire in maniera adeguata alcuni tasselli nel
labirinto dei loro mondi simbolici. Dal momento che, a differenza della luce, le onde acustiche
superano più facilmente le barriere ambientali, l'udito è stato ampiamente utilizzato fin dai più
lontani progenitori per sentire il mondo. Essendosi la vita originata nei mari, sono stati favoriti
dalla selezione naturale quegli assemblaggi di strutture biologiche, connessi alla percezione
uditiva, che sfruttavano meglio le variazioni di pressione provocate nell'acqua dalla
vibrazione acustica. Già agli albori della vita animale ciglia, setole o vibrisse, appartenenti a
cellule connesse a esili terminazioni nervose, flettendosi sotto l'effetto della vibrazione
acustica, riuscivano a trasmettere tale segnale alle zone del corpo in grado di elaborarlo come
suono. La necessità di distinguere i suoni prodotti dal proprio spostamento rispetto a quelli del
mondo circostante avvantaggiò, negli animali non sessili, l'allocazione delle cellule acustiche
in aree specifiche, protette entro particolari cavità piene di liquido, delimitate da sottili lamine
o da membrane, comunque capaci di trasmettere la vibrazione sonora dal liquido esterno a
quello interno.
L'udito si è realizzato negli animali secondo vari percorsi evolutivi. Negli insetti sono presenti
una varietà di organi detti cordotonali, specializzati sia per sentire sia per ricevere
informazioni ambientali come l'avvicinarsi di potenziali predatori o la presenza di eventuali
partner sessuali. Essi non hanno nulla in comune con l'orecchio dei vertebrati ma condividono
con i lontani progenitori di quest'ultimi la caratteristica di essere provvisti di peli sensoriali,
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adeguatamente innervati e di lunghezza commisurata alla possibilità di percepire in maniera
specifica le differenti frequenze sonore. Un particolare organo cordotonale, detto di Johnston,
collocato nel secondo segmento delle antenne degli insetti, è in grado di registrarne i
movimenti rispetto al corpo, di determinare la velocità di volo e di funzionare come organo
uditivo; apparati simili possono anche trovarsi nelle zampe, in particolare nella parte
prossimale delle tibie. Sulle antenne che fungono da organo uditivo nelle zanzare, sono
presenti circa quindicimila recettori sensoriali; essi costituiscono una sorta di finestra uditiva,
in cui vengono generate attivamente proprie vibrazioni che amplificano i suoni in arrivo. Di
particolare complessità risultano alcune strutture di ricezione chiamate timpani, localizzate in
varie parti del corpo come il torace, l'addome, il prosterno, la base delle ali, capaci di
percepire fonti sonore lontane. Esse sono dotati di membrane associate a sacchi ripieni di
aria, costituiti da modificazioni delle trachee, in grado di migliorare la ricezione dei suoni; così
le membrane che formano l'apparato uditivo delle cavallette possono percepire esili rumori di
fondo, di ampiezza di pochi nanometri.
Il senso dell'udito nei vertebrati si è evoluto seguendo i cambiamenti che dal primo
Cambriano, più di cinquecento milioni di anni fa, hanno visto alcune linee filetiche di
prevertebrati filtratori e in grado di nuotare, caratterizzarsi per un aumento delle dimensioni
corporee, per lo sviluppo di organi sensoriali cefalici e per lo sviluppo di un cervello anteriore.
Nei pesci senza mascelle che popolavano i mari del Siluriano (Ostracodermi), circa
quattrocentotrenta milioni di anni fa, erano già presenti ai due lati del capo due capsule
otiche. L'organizzazione di tale aree rimanda, con diverse specificità, a quello che oggi è
l'orecchio interno dei vertebrati. Si tratta di un labirinto osseo, scavato nell'osso temporale a
guisa di una grotta carsica, delimitato all'esterno da una finestra ovale; esso si presenta colmo
di un liquido acquoso in cui è immerso un sacco membranoso, anch'esso pieno di liquido, con
pareti interne tutte rivestite da epitelio sensoriale. Il labirinto si snoda, partendo da una cavità
centrale, il vestibolo, in alcune gallerie semicircolari, in cui trovano alloggio i recettori statocinetici dell'equilibrio; dal vestibolo si diparte inoltre un canale avvolto a spirale, la lagena,
ovvero nei mammiferi la coclea detta anche chiocciola perché ricorda il guscio di una lumaca,
il cui interno è attraversato da un complesso sistema di lamine, rampe e membrane che
contengono i recettori dell'udito. Tale complesso sistema converte le vibrazioni acustiche in
percezioni uditive attraverso le variazioni di pressione che vengono esercitate dall'onda
sonora sulla finestra ovale e da questa trasmesse al liquido interno.
Recenti ricerche hanno individuato una proteina, la TRPA1, prodotta e localizzata su cellule
specializzate dell'orecchio interno; esse formano dei pori che, aprendosi e chiudendosi in
coincidenza con le onde acustiche, permettono agli ioni di penetrare nelle cellule e di
trasformare le vibrazioni in segnali elettrici trasmessi alle aree del cervello in grado di
elaborarle in suoni.
L'occupazione degli habitat terrestri da parte di artropodi e invertebrati in genere, iniziata nel
Devoniano ed esplosa nel Carbonifero, tra i quattrocento e i trecentocinquanta milioni di anni
fa, ha reso vantaggiose tutte quelle trasformazioni strutturali che hanno permesso ad alcuni
gruppi di pesci, gli Osteolepiformi, di potere accedere ad un tale nuova fonte di cibo. Nei
primi pesci terrestri, progenitori di tutti i Tetrapodi, risultarono vantaggiose tutte quelle
variazioni dell'apparato uditivo in grado di amplificare il segnale acustico che giungeva sulla
finestra ovale dell'orecchio interno, determinandone un graduale adattamento ai nuovi habitat
fuori dall'acqua. Tali trasformazioni resero più fruibile la percezione uditiva in quanto le onde
sonore trasmesse nell'aria, a differenza di quelle veicolate da un mezzo acquoso, non hanno
un'energia sufficiente per produrre vibrazioni sensibili nell'endolinfa dell'orecchio interno. A
partire dal Carbonifero venne selezionata in tutti i Tetrapodi una nuova struttura, l'orecchio
medio, in grado di rispondere positivamente a tale problema. Particolarmente interessante è la
riorganizzazione della funzione uditiva nei mammiferi; essa si andò realizzando utilizzando le
opportunità offerte da un processo parallelo di ristrutturazione che stava coinvolgendo in quei
lontani periodi l'apparato masticatorio. Ancor prima della radiazione dei dinosauri del
Mesozoico, Pelicosauri e Terapsidi, rettili amniotici e antichi progenitori dei mammiferi,
dominavano gli habitat terrestri; l'articolazione delle loro mascelle al capo era svolta da due
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robuste ossa, l'articolare ed il quadrato, che gli permettevano di esercitare notevoli forze di
compressione durante la masticazione, assicurando una efficace attività predatoria. In seguito
alla diffusione dei dinosauri, tali rettili ebbero una notevole contrazione e si avviò
un'evoluzione di un particolare gruppo di Terapsidi, costituito dai Cinodonti, molto simili ai
mammiferi a cui dettero origine, dalle dimensioni in genere prossime ai dieci centimetri e
dalle abitudini notturne. In tali animali, anche grazie alla riorganizzazione dei muscoli
mascellari, si ebbe un progressiva tendenza dell'osso dentale ad articolarsi direttamente al
cranio, permettendo alle ossa articolare e quadrato di assumere una conformazione più snella,
dislocandosi dietro l'articolazione mascellare e iniziando a svolgere una nuova funzione,
quella di trasmettere le vibrazioni sonore all'orecchio interno. Tale caratteristica si è
ulteriormente sviluppata nella linea evolutiva dei mammiferi, insieme a un corrispondente
aumento della capacità cranica, connessa alla opportunità di elaborare un maggior numero di
informazioni sensoriali. L'osso quadrato del cranio e l'osso articolare della mandibola sono
così divenuti l'incudine e il martello dell'orecchio medio dei mammiferi; i due ossicini
trasmettono la vibrazione sonora dalla membrana timpanica che ricopre la prima fessura
faringea, alla finestra ovale dell'orecchio interno attraverso l'intermediazione di un altro osso
che ha fatto la storia dell'orecchio, la staffa. Essa deriva dalla trasformazione, pilotata dai
processi selettivi, dell'iomandibolare, un osso che ancora oggi serve da supporto per le
mandibole dei pesci ma che, per la sua originaria collocazione nei pesci tra la prima fessura
branchiale e la capsula otica, si è particolarmente reso adatto alla trasmissione di onde sonore.
Anche in questo caso si assiste dunque alla reinvenzione di una nuova funzione per una
struttura che si è resa libera e obsoleta in seguito alla riorganizzazione dell'apparato
masticatorio nei Tetrapodi del Terziario.
Nei coccodrilli, nelle lucertole, nelle tartarughe e negli ultimi dinosauri, gli uccelli, si ha
un'architettura leggermente diversa dell'orecchio medio con la columella, analoga alla staffa
dei mammiferi, che da sola assume il compito di trasmettere direttamente il suono dalla
membrana timpanica alla finestra ovale dell'orecchio interno. Negli anfibi, che rimandano ad
un'altra linea evolutiva avviatasi nel tardo paleozoico, più di duecentottanta milioni di anni fa,
vi sono due ossa coinvolte nella trasmissione del suono all'orecchio interno, la columella e
l'opercolo.
In questo quadro generale negli ultimi quaranta milioni di anni alcune variazioni strutturali
sono state avvantaggiate dai processi selettivi naturali, come quelle osservate nei roditori del
deserto, i topi canguro del Nord America e i topi delle piramidi, sia africani sia asiatici, in cui
dilatazioni dell'orecchio medio hanno costituito bolle timpaniche estese fino ad un terzo della
lunghezza della testa, con un volume superiore a quello della stessa scatola cranica; ciò li ha
resi particolarmente sensibili ai suoni di bassa frequenza prodotti dai loro predatori naturali
che si appropinquano in volo come i gufi o strisciando come i serpenti, in una corsa agli
armamenti di modificazioni strutturali parallele in cui prede e predatori raggiungono alte vette
di specializzazione. Negli storni un muscolo inserito sulla columella aumenta l'effetto filtro
dell'orecchio medio per suoni di bassa frequenza emessi dai loro predatori. Nelle civette,
d'altronde, la localizzazione della vibrazione sonora, prodotta dalle loro prede, è favorita
dall'asimmetria delle aperture acustiche esterne, dai timpani molto ampi e dalla presenza di
cavità aeree del cranio pneumatico che permettono ai suoni di ripercuotersi lungo il passaggio
esistente tra i due orecchi medi contro laterali.
I pipistrelli posseggono straordinari adattamenti all'esigenza di doversi cibare di insetti che
volano nell'oscurità: essi, emettendo vibrazioni sonore ultrasoniche, possono determinare,
attraverso gli echi di ritorno, la posizione di insetti distanti fino a quattro metri; per evoluzione
parallela alcune falene sono in grado di produrre ultrasuoni riuscendo a percepire quelli
prodotti dai pipistrelli. Alcuni scoiattoli del Nord America lanciano segnali d'allarme, ricchi di
ultrasuoni, non udibili da potenziali predatori.
Esistono anche specializzazione che permettono di percepire solo i suoni vantaggiosi
annullando quelli, infiniti, che impedirebbero l'elaborazione di segnali importanti. Nella rana
volante i maschi sprigionano un caratteristico "co-qui" a cui gli altri maschi risultano sensibili
per la parte "co" mentre le femmine percepiscono solo la nota "qui". Analogamente la
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capacità di ignorare suoni superflui o fastidiosi permette di non sentire, dopo qualche tempo,
il frastuono del traffico o il più seducente scorrere delle acque di un ruscello.
Il ritorno di alcuni mammiferi come i Cetacei alla vita nei mari, probabilmente realizzato da
sub ungulati del Paleocene, circa quaranta milioni di anni fa, ha reso vantaggiosi nuovi
cambiamenti strutturali dell'orecchio medio in grado di potenziare la capacità di percepire i
suoni in tali habitat; la maggior parte dell'energia sonora trasmessa attraverso il movimento
meccanico dei tre ossicini, non funziona sott'acqua dove è riflessa all'indietro, dal timpano
verso l'acqua stessa. In una situazione in cui la funzione di rafforzamento della percezione
uditiva da parte dell'orecchio medio si era resa scarsamente utile e obsoleta nei mammiferi
ritornati al mare, i processi selettivi naturali hanno favorito quelle variazioni strutturali che,
accumulandosi gradualmente nel corso di qualche milione di anni, hanno determinato nei
cetacei l'abbandono dell'orecchio medio come organo di amplificazione dei suoni, sostituito
da uno speciale corpo grasso che, estendendosi dalla mascella inferiore alla bolla acustica,
permette la conduzione della vibrazione sonora direttamente sull'orecchio interno. Quindi un
cetaceo cattura i suoni non più attraverso l'orecchio medio ma tramite la mascella inferiore.
In generale va sottolineato come, al di là delle varie soluzioni strutturali, esiste una forte
analogia dei geni che controllano la funzione uditiva nel regno animale. La mutazione di un
gene che altera l'udito nel moscerino della frutta, la Drosophila melanogaster, produce danni
al sistema limbico del suo cervello e all'apparato genitale simili a quelle indotte nell'uomo
dalla mutazione di un analogo gene.
A differenza degli altri vertebrati i mammiferi presentano, in maniera del tutto specifica,
padiglioni auricolari e condotti uditivi che costituiscono l'orecchio esterno e che
simboleggiano più delle altre strutture l'organo dell'udito. La loro funzione è quella di
incanalare l'onda sonora verso la sottile membrana timpanica. Ma proprio perché esposte alla
vista dei consimili esse sono stato oggetto di attenzione da parte dei processi connessi non
solo alla selezione naturale ma anche a quella sessuale. Ciò ha loro conferito una grande
variabilità in funzione delle differenti nicchie ecologiche dei loro portatori. Per quelle specie
che sono abituali a vivere negli anfratti del suolo come furetti, faine o donnole, le orecchie
appaiono piccole e fortemente accostate al capo, coperte in genere da una fitta peluria che li
protegge dai granelli di sabbia; ben diversa è la forma che assumono negli erbivori e in genere
nei mammiferi soggetti a predazione in cui normalmente svettano fin sopra il capo e sembrano
captare ogni fruscio che attraversa l'aria. Nei mammiferi che la selezione ha riadattato alla
vita acquatica come i delfini o le balene le orecchie sono ridotte al lumicino, mentre nei
pipistrelli, mammiferi adattati al volo, a differenza degli uccelli, esse sono presenti con larghi
padiglioni, funzionali alla cattura degli ultrasuoni. Tra i carnivori si possono ricordare le
orecchie particolarmente grandi del caracal e della volpe del deserto. Ma le orecchie che
colpiscono maggiormente per la loro estensione sono quelle dell'elefante africano tanto che
Walt Disney li ha fatti utilizzare da un suo personaggio, Dumbo, per volare!
I padiglioni auricolari sembrano dunque essersi modellati sotto la spinta della selezione
naturale, conferendo ai loro portatori dei vantaggi in termini di sopravvivenza per la migliore
possibilità di catturare le vibrazioni sonore. Ma la forma che assumono i padiglioni auricolari
sembrano veicolare anche storie di scelte pilotate dalla selezione sessuale. Su questo terreno
le orecchie di una gazzella che, vigile, le orienta all'aria, si stagliano sul capo con un'eleganza
raffinata frutto di scelte di buon gusto fatte da partner affabili lungo innumerevoli stagioni;
esse acquistano anche una valenza sul piano della manifestazione della fitness, denotando
prestanza e buona salute.
Nella linea filogenetica che porta all'uomo le orecchie non sembrano assumere un ruolo
importante; l'antico progenitore dei primati le possedeva in virtù dei vantaggi conferitigli dalla
selezione naturale ma già da allora non sembra che esse veicolassero particolari messaggi sul
piano delle attrazioni sessuali. In molte scimmie le orecchie sono poco visibili, in genere
nascoste da una fitta peluria. Nell'uomo le orecchie assumono spesso un aspetto grottesco e in
genere non conferiscono particolari suggestioni sul piano estetico. Le donne in genere le
hanno nascoste dai capelli, le sottraggono alla vista sotto sciarpe, le mimetizzano con le falde
di cappelli. Non ci si dovrebbe dunque stupire se la selezione sessuale le riducesse nel tempo
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futuro a piccole escrescenze della pelle, come i moncherini che nelle balene ricordano l'antica
presenza degli arti.
Potremmo anche pensare che negli umani le orecchie servano a fare da supporto agli
orecchini che, pendendo dai lobi come grappoli d'uva, danno luminosità al viso; oppure
svolgano una funzione importante perché aiutano a sorreggere le aste degli occhiali, ma già
con le lenti a contatto questa funzione sembra essersi svalutata; o ancora impediscano ai
cappelli di sprofondare sul viso ma anche in questo caso passamontagna e orpelli simili si
sono resi ampiamente autosufficienti. Un adattamentista a oltranza potrebbe suggerire che
una mente previdente, o la stessa selezione naturale, proiettata su una dimensione progettuale
e futuristica, abbia predisposto tutto ciò ma è ampiamente accertato che i meccanismi
selettivi operano al presente e che si realizzano sul piano delle disponibilità effettive e delle
contingenze. In una visione storica dei processi biologici realizzati è talora possibile
individuare degli exattamenti, cioè l'affermazione di nuove funzionalità svolte da strutture
prima indirizzate ad altre funzioni, resesi obsolete o reimpostate come ad esempio può essere
successo con gli arti anteriori degli uccelli che probabilmente si sono infittiti di piume in
funzione di termoregolazione o di abbellimento e che poi sono stata exattati a svolgere una
funzione di sostegno al volo. Per le orecchie umane non pare che ci siano destini così radiosi,
soprattutto perché la selezione sessuale sembra averle soppiantate. Se si pensa a delle
raffigurazioni di angeli e cherubini, mentre le ali fittizie fanno bella mostra di sé, delle
orecchie non traspare granché mentre nelle rappresentazioni di orchi e diavolacci, le orecchie,
in genere appuntite, svettano orripilanti sul capo. Esse dovrebbero indicare l'animalità
dell'uomo che emerge ogni qual volta egli si allontana dalla spiritualità e dalla sua essenza che
si vorrebbe a immagine di entità metafisiche. Eppure, proprio per questo le orecchie
continuano a svolgere un ruolo importante. Ogni qual volta si riuniscono a consesso banchieri,
uomini d'affari, manager, quando da una cattedra blasonata esordiscono o predicano le alte
dirigenze, le orecchie sono lì a ritagliare per loro quell'elemento di animalità che vorrebbero
tanto sopprimere: buffe, talora accartocciate, spesso con qualche peluria che li accompagna,
incapaci di una propria dignità estetica che minimamente ricordi le raffinate orecchie di un
impala o quelle a vessilli di un elefante, tutt'al più simili ai risicati padiglioni di una puzzola,
esse contribuiscono a ridicolizzare i potenti mentre ben si integrano con chi li accetta per
quello che sono, raffazzonate strutture che rendendoci un poco buffoni ci dovrebbero
spingere all'autoironia e a non prenderci troppo sul serio.
Sul tema affrontato in questo articolo si può fare riferimento ai seguenti
suggerimenti di lettura
Liem, Bemis, Walker, Grande, Anatomia Comparata dei vertebrati, Napoli, EDISES,
2002, pp. 820
H. Pough, J. M. Heiser, J. B. Mc Farland, Zoologia dei vertebrati, Milano, Casa Editrice
Ambrosiana, 2001, pp. 768
Wikipedia: l'orecchio
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