PRINCIPIO ATTIVO TEATRO (ROMA) presenta IL PROCESSO Spettacolo teatrale liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Franz Kafka Idea e progetto: Cristina Mileti Regia: Principio Attivo Teatro Collaborazione alla regia e riduzione del testo: Fabrizio Pugliese Coordinatrice: dott. ssa Francesca Manno Con: Silvia Lodi, Cristina Mileti, Dario Cadei, Otto Marco Mercante, Giuseppe Semeraro. NOTE DI REGIA «Joseph K. è emblema di una condizione non storica ma esistenziale. Le istituzioni che lo condannano restano indeterminate nello spazio e nel tempo, come a rendere universale ed eterna la trappola che attanaglia senza scampo l’individuo». (P. Levi). Il Processo è un romanzo che costringe il lettore a divenire spettatore di una rappresentazione densa di segni e di simboli visivi. L’intento è stato quello di misurarsi con Kafka ed il suo testo, con la volontà di essere fedeli alle intenzioni dell’autore. Kafka del resto prendeva tutte le precauzioni contro ogni possibile interpretazione dei propri testi. La ricostruzione di un ambiente quotidiano, una stanza da letto - stanza simbolica di uno spazio interiore - dove gli attori fanno passare attraverso il proprio corpo e i propri gesti il linguaggio “mimico” del testo kafkiano, un codice che sembra avere tutte le caratteristiche del sogno e dell’enigma. Sul fondo della scena due armadi rendono evidente il labile confine che separa Joseph dai suoi phantasmata. E’ a questa vita sotterranea cui la “stanza” costantemente rimanda. E’ infatti il tribunale che incombe sulla vita normale e non la vita normale che accoglie in sé il tribunale. Essere sottoposto al processo del tribunale corrisponde ad accedere a questa vita nascosta, pericolosa e sfuggente, dalla quale deriva ogni altra vita – e di cui ogni altra vita è solo una debole contraffazione. La ricerca è quella di un senso all’interno di un mondo in cui Joseph sprofonda e con lui lo “spettatore”. Una stanza che da luogo della quotidianità, diviene spazio dell’ accadimento scenico. La “stanza di Joseph”, subirà continue metamorfosi e continue invasioni da parte di quel mondo sotterraneo che vive dietro la scena, scivolando costantemente in quella dimensione di rappresentazione da cui non si potrà più uscire. Agli attori il compito di costruire attorno a Josef una struttura narrativa, o meglio, una gabbia narrativa, in cui il protagonista sarà costretto a dibattersi senza mai riuscire a venir fuori in un continuo cambiare di segno, da attore, a personaggio, a macchina di scena, ad altro personaggio. Dal suo risveglio sino alla fine, Josef K. sarà costantemente “agito” dalla scena, privo di ogni possibilità di fuga dalla scena stessa, senza mai poter riprendere in mano la propria vita, ormai popolata da quelle terrificanti e grottesche creature. “mandano a cercarmi dei vecchi guitti.…in che teatro lavorate?” fine) ( Josef K. Cap. X – la APPUNTI SULL’UNIVERSO KAFKIANO: IL PROCESSO Il Processo è scritto (ultimato nel 1914 e pubblicato postumo nel 1925) in un momento storico particolarmente significativo, quello che ha come scenario l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Nascono in questi anni le prime ideologie razziali. Il primo conflitto mondiale di fatto inaugura un “nuovo modo” di intendere la guerra (com’è noto dietro pretesti ideologici, si celano gli interessi del controllo politico-economico delle grandi potenze europee). Come le altre opere kafkiane, può essere considerato l’emblema di tutta una nuova epoca, quella della crisi dei valori (preannunciata dalla filosofia nietzscheana), quella della paralisi dell’individuo di fronte alla modernità e alle nuove dinamiche di controllo stabilite dalla “macchina del potere”. Questo denso ed enigmatico romanzo si presta, tuttavia ad innumerevoli letture (dall’interpretazione in chiave psicanalitica a quella esistenziale). L’opera di Kafka è stata di volta in volta avvicinata alla Nausea di Sartre, alla filosofia di Kierkegaard, alle costruzioni paradossali di Zenone, ai quadri di Escher, ad Aspettando Godot di Becket. Per quanto riguarda il panorama culturale italiano contemporaneo, abbiamo ritenuto importante tenere in particolare considerazione il punto di vista dello scrittore Primo Levi. Quello della “traduzione” si è rivelato un problema comune tanto per Levi, tanto per chi come noi si è misurato con la messa in scena del Processo. Nel caso di Levi è la traduzione dal tedesco (la lingua utilizzata da Kafka) all’italiano; nel caso di una regia si è trattato ovviamente di tradurre il testo letterario in testo scenico. Si è voluto porre l’accento sulla dimensione esistenziale dell’opera kafkiana. Scrive Levi: «Joseph K. è emblema di una condizione non storica ma esistenziale. Le istituzioni che lo condannano restano indeterminate nello spazio e nel tempo, come a rendere universale ed eterna la trappola che attanaglia senza scampo l’individuo». Il Processo, secondo lo scrittore è senz’altro un dramma esistenziale, ma in qualche modo è anche un dramma storico. Scrive Levi a questo proposito: «non è difficile non cedere alla tentazione di leggere in questo romanzo di autore ebreo una straordinaria premonizione dell’Olocausto. Il buio senza spiragli in cui precipita senza colpe il personaggio diventa così un’impressionante anticipazione del buio in cui una ventina di anni dopo sarebbe precipitata l’Europa».