di Giovanni Salmeri e Stefano Semplici

Al Governo e all’ANVUR: ora basta!
di Giovanni Salmeri e Stefano Semplici
L’interesse e il consenso suscitati dal nostro intervento sull’università che uccide se stessa ci hanno
veramente colpiti. È un’ulteriore prova del fatto che tanti professori, che come noi amano il loro
lavoro, davvero non ce la fanno più. Abbiamo così deciso, insieme ai nostri colleghi di Filosofia di
Roma Tor Vergata, un ulteriore passo, consegnando al nostro Rettore una lettera il cui contenuto
speriamo possa essere condiviso dal maggior numero possibile di corsi di studio, dipartimenti,
società scientifiche, che invitiamo ad assumere subito iniziative analoghe. Non è il momento di altri
appelli o manifesti sottoscritti a titolo personale. È il momento di una assunzione di responsabilità
istituzionale, fino al coraggio di concrete e forti forme di protesta se necessario, di fronte ad una
situazione che solo a chi nella vita si occupa di altro può non apparire insostenibile. E per questo è
importante che siano Consigli, Collegi dei docenti, Direttivi ad esprimersi, in modo da creare una
«evidenza» anche mediaticamente significativa e una pressione che costringa Governo e Parlamento
ad intervenire con la decisione finora solo promessa (e neppure sempre). Dobbiamo essere tanti e
non perdere tempo. Il clima politico potrebbe essere in fondo favorevole, visto che proprio il
Governo, a prescindere dalla valutazione che ognuno di noi può dare del suo operato, ha indicato
come una delle sue priorità la lotta al delirio burocratico.
Il primo e fondamentale punto sul quale intervenire, anche con lo strumento del decreto
legge se necessario, è il rapporto fra la responsabilità politica del Ministero e quella tecnica
dell’ANVUR. L’Agenzia era stata costituita nel 2006 con compiti di «valutazione esterna della
qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca» e di «indirizzo, coordinamento e
vigilanza delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interni degli atenei e degli
enti di ricerca». Con il Regolamento del 2010 che ne ha definito struttura e funzionamento e con i
provvedimenti attuativi della Legge 240/2010 (legge Gelmini) sono state poste le premesse
normative per la trasformazione dell’ANVUR in un soggetto che non si limita ad elaborare e
proporre, ma fissa e definisce «requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei
docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico-finanziaria». Il Direttivo
dell’ANVUR è diventato così il vero luogo nel quale si decidono le sorti dell’università italiana,
come lapidariamente stabilito, per quanto riguarda l’accreditamento di sedi e corsi, nel Decreto
Legislativo 27 gennaio 2012, n. 19: «L'ANVUR […] definisce gli indicatori per l'accreditamento
iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari e li comunica al Ministero. Gli
indicatori sono adottati con decreto del Ministro entro trenta giorni dal ricevimento della
comunicazione». Al Ministro, insomma, resta solo il compito di tradurre in decreti le scelte e gli
algoritmi dell’ANVUR, circonfusi dell’aura di una sacrale «oggettività». Tutti possono vedere in
che misura ciò abbia contribuito alla semplificazione, efficienza, efficacia e trasparenza annunciate
come obiettivo della legge Gelmini. È arrivato il momento, senza ulteriori indugi, di ricondurre
l’attività dell’ANVUR alla sua funzione ausiliaria – non decisionale – e di “servizio” (svolta in
modo eccellente, per esempio, con il Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca
2013), lasciando a chi governa gli onori e gli oneri del suo ruolo. Bisogna in ogni caso chiedersi
seriamente se non sia il caso di ispirarsi alla Raccomandazione del Parlamento europeo del 15
febbraio 2006, n. 4, che riconosce la possibilità di una pluralità di agenzie indipendenti e non
impone l’affidamento ad un’unica agenzia di nomina governativa di una concentrazione inaudita di
poteri di controllo e di indirizzo.
Questo intervento è indispensabile anche per restituire serenità al confronto sui criteri e le
procedure di valutazione dell’attività di ricerca, salvando il bambino e buttando la molta acqua
sporca della VQR. E una moratoria sulla nuova edizione per il quadriennio 2011-2015 sarebbe
probabilmente un gesto di saggezza, di fronte alla evidente necessità di mettere a punto una
macchina più agile, meno oppressiva e meno ossessivamente finalizzata alla distribuzione di premi
e punizioni, piuttosto che all’obiettivo di evidenziare e sanare ritardi e inefficienze. Per quanto
riguarda la didattica, dalla quale crediamo che si possa e debba partire subito, anche per rilanciarne
il ruolo insostituibile per la missione dell’università e dei suoi professori, siamo convinti che alcuni
interventi immediati, in buona parte realizzabili attraverso lo strumento di un nuovo decreto
ministeriale di modifica del decreto AVA (dopo quello firmato dal Ministro Carrozza alla fine del
2013), darebbero un segnale importante e contribuirebbero a restituire un minimo di fiducia a chi
oggi è schiacciato e umiliato dal peso di norme che si raddoppiano e triplicano senza per questo
riuscire ad acquistare un senso. Proviamo ad offrire alcuni esempi.
-Si deve tornare – e proprio con l’obiettivo di non consentire la sopravvivenza di Corsi di studio
privi dei presupposti indispensabili – ad una indicazione semplice e chiara dei requisiti necessari di
docenza e numerosità degli studenti. Per quanto riguarda in particolare i primi e la sostenibilità della
didattica, non sono necessari complicati algoritmi e sarebbe molto più efficace limitarsi ad
aggiungere a quella del numero totale dei docenti richiesti una inaggirabile indicazione della
percentuale minima di copertura con docenti di ruolo degli insegnamenti di base e caratterizzanti
per ogni corso di studio e una ugualmente inaggirabile indicazione del numero minimo e massimo
di ore di didattica frontale obbligatorie per ogni professore universitario, quali che siano i suoi
meriti sul piano della produzione scientifica. Ad ogni Ateneo spetterebbe ovviamente la
responsabilità di assicurare il reale rispetto dei doveri minimi, prevedendo sanzioni quando
necessario.
-I Requisiti di Assicurazione della Qualità, cosi come definiti nell’Allegato C al Decreto AVA,
obbligano ad un inaccettabile sacrificio di tempo e di serenità per la redazione di documenti in cui si
parla perlopiù di riunioni immaginarie con discussioni immaginarie su argomenti immaginari. La
loro pura e semplice eliminazione, contestuale a quella dei Presidi di Qualità (basta e avanza il
Nucleo di Valutazione) non sarà rimpianta da nessuno. Vale anche la pena di sottolineare che il
Decreto Ministeriale 22 settembre 2010, n. 17, richiamato nel Documento su Autovalutazione,
Valutazione e Accreditamento del Sistema universitario italiano approvato dal Direttivo
dell’ANVUR il 9 gennaio 2013 come il riferimento normativo che richiede l’attività di un Presidio
di Qualità, indica all’art. 4 proprio i Nuclei di Valutazione come gli organismi responsabili della
verifica della sussistenza dei livelli di qualità, inserendo solo nell’Allegato A l’indicazione di un
presidio d’Ateneo riconosciuto dall’ANVUR.
-La scheda SUA ha mostrato la sua inadeguatezza. Essa deve essere sostituita da un semplicissimo
modulo in cui poter inserire le informazioni fondamentali riguardanti il corso di studio. Le sue
dimensioni devono essere ridotte di almeno i 2/3 rispetto a quelle attuali. Ogni Dipartimento o
Consiglio di corso di studio deve essere tenuto ad approvare il proprio piano di studio, insieme con
una breve esposizione discorsiva dei criteri che lo ispirano, degli sbocchi professionali, dei
programmi delle discipline e di tutte le indicazioni utili per gli studenti. Ogni volta che il piano di
studio viene modificato deve essere assicurato il diritto a proseguire con l’ordinamento con cui si è
iniziato il corso ed eventuali norme di transizione devono essere chiaramente formulate: in questo
modo si sopprimono tutti i bizantinismi sulle «coorti» e sulla «didattica erogata» e «programmata».
Va soppresso, in quanto mostratosi fallimentare e controproducente, l’obbligo di specificare gli
sbocchi professionali tramite i codici ISTAT e di indicare le finalità dei corsi di laurea (o tanto
peggio dei singoli insegnamenti) facendo ricorso ai «descrittori di Dublino». Ogni corso di laurea
deve assicurare la pubblicizzazione di tutte le indicazioni utili per l’anno accademico successivo
entro tempi che consentano ai futuri studenti una scelta informata. L’Ateneo deve vigilare sul
rispetto di tale obbligo e il Ministero conserva gli usuali poteri di controllo e vigilanza.
-La scheda di riesame deve essere considerata “assorbita” nella relazione annuale sullo stato del
corso di studio, preparata dalla Commissione paritetica.
-Deve essere dato immediato seguito alla richiesta avanzata nella mozione approvata dal CUN il 9
aprile, risolvendo una volta per tutte il problema del coordinamento delle banche dati RAD e SUACdS e garantendo la possibilità di modificare gli ordinamenti didattici secondo tempi e modalità
ragionevoli.
L’elenco è ovviamente aperto. Si tratta però di chiedere al Governo, con tutta la forza necessaria, di
cambiare finalmente rotta. Non è sufficiente – come ha fatto il Ministro Giannini qualche settimana
fa rispondendo a chi gli domandava come intervenire contro la burocrazia nelle università – dire che
ci vorrebbe il machete. La verità, purtroppo, è che molto si è parlato e scritto e sono anche state
costituite commissioni ad hoc con autorevoli componenti di Crui e Cun, ma nulla è accaduto. Non è
dato neppure sapere se il lavoro di quelle commissioni sia mai stato letto o considerato nelle sedi
competenti. Anche per questo sarebbe bello se Rettori e Cun trovassero finalmente il coraggio e,
arrivati a questo punto, la dignità per annunciare che l’Università si fermerà se non sarà fermata
questa opera di devastazione. Forse hanno bisogno di una spinta dal basso, perché da soli non ce la
fanno. Cerchiamo allora di aiutarli, perché davvero ORA BASTA!
Roma, 30 aprile 2014.
Caro Rettore,
vogliamo esprimere con questa lettera tutto il nostro grave disagio di fronte alla situazione di
progressivo e inutile inasprimento del carico di lavoro per adempimenti, dichiarazioni, moduli e
altri oneri burocratici collegati al sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica,
Accreditamento). L’Università italiana è in un momento molto difficile, che esige l’impegno e la
collaborazione di tutti: in nessun modo vogliamo tirarci indietro.
Ciononostante, non possiamo tacere di fronte al sacrificio di una parte così importante del nostro
tempo, che ci viene imposto di sottrarre all’insegnamento, alla ricerca e al nostro rapporto con gli
studenti. Questo sacrificio non ci peserebbe se fosse realmente utile a migliorare l’efficienza e la
qualità del nostro lavoro. Purtroppo così non è. Riteniamo che alle parole pronunciate dal Ministro
Giannini il 1º aprile 2014 davanti alla VII Commissione Permanente del Senato non possano non
seguire in tempi rapidissimi provvedimenti coerenti, che finora sono sempre stati solo promessi.
Siamo costretti a dire, contro la nostra volontà, che in mancanza di tali interventi potremmo ritenere
doveroso passare a forme concrete di protesta, che ci consentano di tornare ad occuparci
pienamente delle attività proprie del docente universitario. Tra gli elementi essenziali di questo
impegno crediamo che vi sia anche la disponibilità a prendere posizione pubblicamente per il bene
comune e a non prestarsi a fare da schermo ad un indirizzo della vita accademica contrario ai nostri
valori. In tal senso — e per mostrare lo spirito costruttivo che ci guida — ci impegniamo a
formulare una proposta di alleggerimento e semplificazione del sistema AVA, nella speranza che gli
organi istituzionali possano ascoltare e prendere in considerazione il nostro disagio e portare a
compimento il cambiamento che auspichiamo.
Il nostro è un piccolo corso di laurea, abbiamo i nostri limiti e problemi e combattiamo come tutti
contro la riduzione delle risorse che sta strangolando l’Università italiana. Cerchiamo però di
lavorare con impegno, creatività e passione e non abbiamo alcun timore di essere valutati. Per quel
che valgono, i giudizi sia sul piano della didattica sia della ricerca ci hanno premiati al di là delle
nostre aspettative. Nei questionari compilati dagli studenti, il gradimento in praticamente tutte le
voci risulta superiore ai valori medi, già altissimi, dell’Area umanistica, che a sua volta è quella più
apprezzata nel nostro Ateneo (probabilmente i dati disaggregati direbbero dunque che il nostro
corso di laurea è quello meglio valutato nell’Ateneo). La VQR ci ha collocati nelle prime tre
posizioni in Italia nei settori scientifico-disciplinari in cui il numero dei docenti permetteva le stime
(Filosofia morale e Storia della filosofia). Questi risultati si sono ripercossi anche nei dati di
accreditamento del Dottorato di ricerca, da due anni in collaborazione con l’Università di Roma
Tre. Le statistiche di AlmaLaurea riguardo all’occupazione dei laureati mostrano dati doppi rispetto
alla media nazionale dei corsi di laurea analoghi.
Si tratta di un’attività enorme per le nostre forze, che ha bisogno di serenità, spazio di iniziativa,
fiducia: le Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio pubblicate il
26 aprile tolgono ogni dubbio sul fatto che non sono queste le condizioni che l’attuale governo
dell’Università vuole creare in Italia. E non basta a rimediare l’impegno delle singole sedi
universitarie — del quale siamo stati testimoni in questi mesi anche nel nostro Ateneo — ad
applicare in modo trasparente e rigoroso la normativa. L’unica possibilità per continuare
ragionevolmente e serenamente il lavoro per il quale siamo pagati con soldi pubblici è non
sottostare più a norme asfissianti che vìolano clamorosamente il principio di proporzionalità. Siamo
convinti che la normativa che è stata creata in questi anni sia l’espressione di un’idea inaccettabile
di Università: sottostarvi significherebbe dunque per noi rinnegare lo spirito stesso del nostro
lavoro. E siamo pronti a dare la nostra disponibilità perché gli stessi obiettivi possano essere
perseguiti in modo efficiente ed efficace con poche e chiare regole e più serenità.
Con i nostri più cordiali saluti
Il Consiglio di corso di studio triennale e magistrale in Filosofia
Anselmo Aportone
Francesco Aronadio
Emilio Baccarini
Claudia Colombati
Virgilio Costa
Domenico Ferraro
Gabriella Gambino
Gianna Gigliotti
Luigi Manfreda
Francesco Miano
Cecilia Panti
Giuseppe Patella
Lorenzo Perilli
Paolo Quintili
Giovanni Salmeri
Stefano Semplici
Daniela P. Taormina
Vega Scalera
Pietro Vereni
Angela Votrico