Politecnico di Torino
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[Article] Costruzioni in piattaforma
Original Citation:
Bocco Guarneri A. (2007). Costruzioni in piattaforma. In: IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA,
vol. 47, p. 19. - ISSN 1721-5463
Availability:
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Allemandi
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Contiene
All’interno
Inchiesta
su Napoli
IL GIORNALE DELL’
ARCHITETTURA
www.ilgiornaledellarchitettura.com
EDILIZIA E MERCATO
TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK
MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA
PROGETTO
Tendenze dell’immobiliare Scuola di Biotecnologie
PAGINA
9
CONCORSI
PAGINE
21-23
CITTÀ
Piazza Augusto Imperatore Stimmann via da Berlino
PAGINA
16
PAGINA
28
ANNO
6 N. 47
PAESAGGIO
INFORMATICA
Muro Usa-Messico
ShoP Architects
PAGINA
31
PAGINA
LIBRI
DESIGN
Mitomacchina
33
PAGINA
EURO
43
Tradimenti
STRATEGIE URBANE, PROGETTI E LEGALITÀ
di Carlo Olmo
Piani per risanare Napoli
l medico di famiglia
si regalava, ancor
vent’anni fa, un libro d’arte,
ricco di disegni e fotografie
d’autore, perché l’arte era
componente essenziale dello
status sociale del professionista
liberale. Il testo di storia era
spesso il veicolo di un
messaggio implicito: attraverso
la narrazione di opere e maestri
illustri, convincere il giovane
a intraprendere un mestiere.
Il saggio d’autore arricchiva
gli scaffali dell’architetto
o dell’ingegnere che si voleva
colto e aggiornato. Il libro,
come molti doni, costruiva
tra chi donava e riceveva, un
legame, esplicito o involontario,
sottile quanto permanente.
Il libro ben rappresenta l’etica
della dissimulazione, che tanta
parte ha avuto nella società
moderna. Difficilmente
quei libri erano conosciuti
o venivano letti: costituivano
strumenti per confermare
rapporti o per iniziare
un dialogo.
CONTINUA A PAG. 2, II COL.
Secondo il Procuratore aggiunto di Napoli, nessuna idea di riscatto sociale può essere disgiunta
da soluzioni concrete sul territorio
A
2007
38
Brunelleschi
PAGINA
GENNAIO
3,50
TPV CITRÖEN (1939)
& C.
MANFREDI-MELEGATTI
UMBERTO ALLEMANDI
SPEDIZIONE IN A.P. - 45%
D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46)
ART. 1, COMMA 1, DCB TORINO
MENSILE N. 47 GENNAIO 2007
NAPOLI. Ricercare i nessi che in-
tercorrono tra illegalità da un lato
e degrado urbanistico, sottosviluppo economico e marginalità
sociale dall’altro è sicuramente
obiettivo ambizioso per la sua
complessità. Ma è oramai ineludibile per chiunque intenda affrontare la questione criminale (in
particolare se riferita all’altra
grande questione nazionale, quella meridionale) in termini di analisi scientifica volta a uno strategico intervento di risanamento.
Mentre è facile collegare, infatti, la
marginalità sociale in rapporto di
causa-effetto con il degrado urbanistico, non sono altrettanto ovvie
le relazioni che legano gli altri termini, e qualunque semplificazione rischia di essere gravemente
fuorviante.
L’evoluzione della città metropolitana di Napoli, da questo
punto di vista, può costituire un
caso da laboratorio per approfondire i termini del problema: do-
80 anni e non li dimostra
Segreti
di un
mestiere
po il sacco dell’amministrazione
laurina e democristiana degli anni sessanta e settanta, che hanno
segnato un incremento del tessuto edilizio fino al 376%, e una
densità abitativa fino a 130 ab/ha,
era iniziata la realizzazione, con
la Legge ponte del 1962, di quar-
tieri residenziali periferici, anch’essi fortemente conurbati. La
costruzione delle Vele nel quartiere di Scampia aveva costituito
un esempio di progettazione di livello sicuramente elevato, ma che
non è bastato a impedire che nel
2003 se ne avviasse la demolizio-
ne come esempio «mostruoso»
d’insediamento urbano demonizzandone la loro stessa progettazione («se ne incontrassi il progettista lo prenderei a fucilate», ha
detto il sindaco).
❑ PAOLO MANCUSO
CONTINUA A PAG. 5, V COL.
TRE MOSTRE A ROMA: LOOS, DEL DEBBIO, FUKSAS
Un triangolo trasgressivo
La pratica della professione attraverso un itinerario ideale
tra le esposizioni di tre protagonisti dell’architettura contemporanea
Il Bauhaus di Dessau,realizzato da Walter Gropius nel 1926,
celebra i suoi 80 anni e il completamento del decennale restauro che lo riporta alla configurazione originaria in una
veste policromatica ormai dimenticata. Articolo a pag. 24
ROMA. Quasi in contemporanea si sono aperte tre importanti
mostre di architettura. Importanti e allo stesso tempo difficili
e delicate: Adolf Loos, Enrico
Del Debbio e Massimiliano
Fuksas sono personaggi molto
lontani tra loro nel tempo, nei
modi di lavoro, nei linguaggi.
Cercare un nesso tra le tre esperienze è un’occasione per far
emergere i fili impercettibili che
collegano le cronache della storia, al di là delle classificazioni
canoniche care alla storiografia.
Questo è il problema: per ragioni differenti, il lavoro dei tre architetti non può essere omologato o etichettato all’interno di una
categoria.
Il primo elemento su cui riflettere è dunque quello della diversità, o meglio, della singolarità di
tre esperienze, ognuna delle qua-
li, a suo modo e alle sue condizioni, diventa significativa rispetto ad alcune delle grandi costanti che delimitano il lavoro
dell’architetto.
Tre esperienze che definiscono i
vertici di un triangolo, all’interno del quale è forse possibile
muoversi con libertà di osservazione e valutazione.
❑ ENRICO VALERIANI
CONTINUA A PAG. 36, I COL.
PUNTA NAVE (GENOVA), 18 dicembre 2006. Carlo Olmo in visita al primo Building Workshop
(1990-1991), l’ufficio in cima al
monte. Distante da qualsiasi idea
di salotto, l’atelier ultimamente
sceglie i suoi stagisti (3 o 4 ogni sei
mesi), selezionando prima i loro
professori, a Boston, Brasilia,
Tokyo: studenti bravi ma autenticamente appassionati al progetto di architettura e non ai curricula. Luogo in cui «accade» e raramente «si racconta», dove comunicazione e pragmatismo danno
esiti inattesi: le parole diventano
barriere da scavalcare, pause nella
strategia mediatica.
CARLO OLMO: Esiste un legame
tra te e la cultura cristiana, ma anche
con Ronchamp?
RENZO PIANO: Come fai a sapere degli elfi della foresta? È una
foresta da picchettare quella di
Notre-Dame du
Haut. Suor
Brigitte...
Renzo Piano (© Publifoto
Stefano Goldberg)
CONTINUA A PAG. 3, I COL.
2
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
SEGUE DA PAG. I, I COL.
`
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La scrittura, ma ancor più
la lettura, rappresentavano strade
essenziali della socialità,
dal salotto alla seduzione,
all’affermazione di una diversità.
Si leggeva per alimentare
o avviare relazioni, per apparire
in ambienti troppo spesso
anonimi, per segnalare
la propria differenza. La società,
soprattutto le libere professioni,
hanno fatto del libro
un elemento quasi essenziale
dei loro ambienti di vita
e lavoro.
Oggi lire et écrire sono in crisi,
perché quella funzione
e quei ceti hanno perso ruolo
e importanza. E il libro
di architettura ha seguito,
tra gli ultimi arrivati,
ancor più velocemente
quel destino. Dal libro pensato
come tale, le 180 pagine
d’einaudiana memoria
per la «Piccola Biblioteca»,
al collage di saggi, con
iconografie che supportavano
le singole narrazioni, si è arrivati
a libri dove, sempre più spesso,
è il testo ad accompagnare
immagini che non raccontano
più quasi nulla, che sono
sostanzialmente mute.
Tirar in ballo Internet, come
Tradimenti
sempre più spesso avviene,
l’accesso cioè a un universo di
materiali non elaborati, o di cui
non si conosce la chiave, è
sostanzialmente disonesto.
L’elaborazione è fase altra dal
a un mercato professionale,
quello della costruzione, dove
la tecnocrazia è sempre più
dominante, con tutte le sue
regole e i suoi prodotti, anche
scritti. Pier Luigi Nervi che
«Forse seguendo lo spirito del tempo,
il Comitato nazionale preposto a indicare
i criteri di valutazione della ricerca in Italia
ha concluso che hanno più valore
gli articoli firmati in molti che non i libri
di un unico autore»
lavoro sulle fonti, sui testi, sui
disegni. L’informazione può
facilitare l’illusione di accorciare
il tempo della conoscenza, ma
non sostituirla. Il libro oggi
declina perché le sue funzioni
sociali e la sua necessità
declinano.
È sotto gli occhi di tutti
che gli architetti scrivono sempre
di meno, testi sempre più brevi
e di occasione, quasi volontari
blob delle proprie poetiche.
In realtà quei testi rispondono
scrive libri è un’eccezione già
negli anni cinquanta.
Anche quei pochi libri hanno
la vita che editori e librai
concedono, quasi a ogni libro:
due mesi, poi lo si ritira dallo
scaffale e lo si può acquistare
solo se si sa che esiste. La libreria
è un luogo sociale che andrebbe
studiato oggi, molto più a lungo
dei caffè. Ambivalenza,
narcisismo, protagonismo sono
in realtà pratiche anche degli
architetti che richiedono
le loro legittimazioni.
Se la critica, la presa di distanza,
il giudizio non hanno più
l’appoggio dell’opinione
pubblica, di un’ideologia pur se
seduttiva e non argomentabile,
non è solo colpa di una
generazione di storici.
Il libro oggi appare come
il tradimento, un luogo
dell’asimmetria. L’asimmetria
tra le aspettative e la realtà,
tra la faticosa costruzione
di pratiche e parole e quello
che quelle pratiche e quelle
parole intendevano comunicare.
Come i tradimenti, i tempi
dei libri e della lettura sono
sempre meno sincronici.
La distanza anche temporale
tra chi scrive e chi legge
si è talmente dilatata che
la percezione del tempo dello
scrittore e del lettore sembrano
disseminati di gesti e significati
che diventano via via
sconosciuti.
È difficile allora che, al di là
di nicchie sempre esistenti,
quell’esercizio conservi un
rapporto, un valore condiviso,
tra chi scrive (con tutte le grandi
fatiche di una scrittura non
episodica) e chi legge.
Paradossalmente, o forse solo
seguendo lo spirito del tempo,
Maniglie
Accessori del mobile
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Impaginazione
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Direttore della comunicazione
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Direttore della produzione
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Mensile n. 47 gennaio 2007
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LE OPINIONI ESPRESSE NEGLI ARTICOLI
FIRMATI E LE DICHIARAZIONI RIFERITE
DAL GIORNALE IMPEGNANO ESCLUSIVAMENTE I RISPETTIVI AUTORI.
il Comitato nazionale preposto
a indicare i criteri di valutazione
della ricerca in Italia ha
concluso che hanno più valore
gli articoli firmati in molti che
non i libri di un unico autore,
sancendo, quasi come il Robert
di Harold Pinter, il più doloroso
dei tradimenti: quello di chi
costruisce le distanze da noi,
si nasconde, si sottrae.
Un paradigma valido in settori
dove la ricerca è possibile,
per la natura dell’oggetto
studiato, diventa regola di
comunità scientifiche dove
l’individualità del lavoro era
la condizione anche solo
di un’etica della responsabilità.
Lire et écrire diventa allora
il rifiuto ad autoingannarsi
e a rappresentarsi come leali,
a rifiutare d’introdurre
nel proprio lavoro le regole
per un uso che nega la stessa
sua genesi. Se ha perso forse
i generi, o forse li ha solo
dimenticati, il libro
di architettura rimane la sola
strada che consente
un’elaborazione del lutto,
della distanza che esiste
tra interpretazioni e realtà,
tra narrazione e costruzione,
tra progetto e opera.
❑ CARLO OLMO
Temi e autori
Collaboratori
Julian W. Adda,
Denis Bocquet (Parigi-Berlino),
Chiara Calderini, Alba Cappellieri,
Roberta Chionne, Daniela Ciaffi,
Davide Deriu (Londra),
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Enrico Fabrizio, Milena Farina,
Luca Gaeta, Francesco Gastaldi,
Caterina Pagliara, Ingrid Paoletti,
Federica Patti, Marco A. Perletti,
Maria Petinakis (Atene),
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47, GENNAIO 2007
Eero Aarnio
Ron Arad
Gae Aulenti
Mario Bellini
Cini Boeri
Achille Castiglioni
Cerri & Associati
David Chipperfield Architects
Antonio Citterio
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D’Urbino-Lomazzi
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Chi Wing Lo
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Richard Meier
Renzo Mongiardino
Jean Nouvel
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Alan Ritchie-Philip Johnson Architects
Aldo Rossi
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Taller Design Ricardo Bofill
Matteo Thun
Marco Zanuso
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Fax +39 0362 982235
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3
Intervista
Carlo Olmo dialoga
con Renzo Piano
4-7
Inchiesta
Trasformazioni urbane a Napoli
Pasquale Belfiore, Attilio Belli,
Diego Lama, Adriano Giannola,
Paolo Mancuso, Fabio Mangone,
Michelangelo Russo e Maurizio Zanardi
9
Edilizia e mercato
Nuove tendenze nel mercato
immobiliare
Paolo D’Alessandris
e Enrico Campanelli
10-11
Professioni
Opere a scomputo degli oneri
di urbanizzazione Francesco Marzari
12-13
Formazione
Workshop «Le Isole del tesoro»
Daria Ricchi
14-16
Concorsi
Il nuovo Tribunale di Parigi
Chiara Molinar
Piazza Augusto Imperatore
a Roma
Manfredo di Robilant
18-19Tecnologie e materiali
Polo per uffici pubblici a Ravenna
Ingrid Paoletti
21-23
Progetto del mese
Scuola di Biotecnologie
dell’Università di Torino
Pierre-Alain Croset
24-25
Restauro
Il Bauhaus di Gropius risplende
per i suoi 80 anni Andreas Sicklinger
Al via i lavori per la Villa del
Casale di Piazza Armerina
Fausto Carmelo Nigrelli
26-27 Musei e allestimenti
GoMA a Brisbane
Anna Somers Cocks
28-29
Città e territorio
Berlino: Hans Stimmann va
in pensione
Denis Bocquet
Portoghesi a Treviso Julian W. Adda
30
Infrastrutture
Metro linea C di Roma
Tommaso Strinati
31-32
Paesaggio
Il muro tra Stati Uniti e Messico
Andrew K. Woods
33-34
Libri
La monografia su Brunelleschi
Maria Beltramini
University Press negli Stati Uniti
Paolo Scrivano e Alexis Sornin
35
Riviste
Nasce «Architect» e muore
«Architecture»
Samantha Topol
36-37
Mostre
Loos, Del Debbio e Fuksas
a Roma
Enrico Valeriani
38
Informatica
I software nel processo
progettuale di ShoP Architects
Stefano Converso
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Intervista
47, GENNAIO 2007
WAITING FOR SEVENTY. L’ARCHITETTO FESTEGGERÀ IL COMPLEANNO A RONCHAMP?
L’arte dell’ologramma
Ascoltare e tollerare, passeggiare e annotare: i segreti di un mestiere costruito su un equilibrio di rapidità e lentezza.
Conversazione tra Carlo Olmo e Renzo Piano
SEGUE DA PAG. 1, VI COL.
... come il domenicano Marie-Alain
Couturier per Le Corbusier...
... donna agli onori del mondo fino a quarant’anni e poi francescana tra le Clarisse di Besançon,
mi ha commissionato, assieme all’associazione Amici di Ronchamp, un intervento nel convento per 12 suore: cellule di 8-9
mq (uno spazio non più grande
di questo mio angolo di raccoglimento nell’ufficio - tra gli appunti dei cantieri in corso e rotoli di
vele), un atelier e una chiesetta, in
realtà un oratorio. Vorrei che le
celle prendessero la luce dell’est
utilizzando dei camini come nell’High Museum of Art di Atlanta, posizionati a Ronchamp sopra
i letti. Cemento povero e tetto di
zinco. L’edificio non può occupare caparbiamente il terreno: il
progetto non sai mai che cosa diventerà. E poi l’architettura sostenibile nasce sostenibile.
L’architettura è nata sostenibile, e da
sempre ha in sé le premesse per diventare ecocompatibile.
È stato così soprattutto per gli arabi del passato, ma oggi le città sono vulnerabili, la terra fragile
(persino il cemento armato va a
pezzi: te lo dice un cultore di Pier
Luigi Nervi, che impara dal palazzetto dello sport al Flaminio).
L’architettura deve essere davvero corresponsabile, se anche la
massa dei solai può funzionare
come fattore di condizionamento
dell’aria.
Negli stessi termini, si trovano studi sui
sistemi di aerazione anche in progetti
degli anni venti-trenta del Novecento.
Il Movimento moderno ha scoperto l’etica, ma anche negli anni settanta la sostenibilità era una
chiave morale aggiunta, storicista. Oggi la spinta è la fragilità e
l’edificio racconta una storia perché è fatto come è fatto, non ha bisogno di veicoli simbolici, numeri d’oro, cabale.
La scoperta dell’acqua calda, quella
della vulnerabilità (forse più newyorkese di quanto si possa pensare); la
geotermia e la sostenibilità ti hanno
portato a cercare competenze, collaboratori, una nuova organizzazione dello studio?
Chi avrebbe detto che avrei costruito così tanto a New York…
ma per me sono tante città in una.
Ti sei accorto che persino noi abbiamo cambiato le lamelle del tetto del mio studio e la distanza tra
di loro? L’approccio dello studio
è sempre stato contaminante: con
Peter Rice, Tom Barker, Shunji
Ishida… non abbiamo fissato
confini al workshop.
È lo spirito di Arup?
Forse è un senso di colpa: mio padre si aspettava un’evoluzione diversa: «Un costruttore disegna,
costruisce, non hai bisogno di fare l’architetto». Il figlio di un costruttore avrebbe dovuto essere un
costruttore migliore. Ho cominciato ad assemblare blocchi di
porfido nello studio di Franco
Albini: sono passato dalla manualità di artigiano, che smontava anche i televisori, a valorizzare ciò che esiste in natura ed è «tecnicabile». Forse sono state le mie
origini ad allontanarmi dall’accademia.
Ma il tuo atelier è una formula di formazione permanente che ha anche sfatato il mito di un mestiere maschilista.
L’architettura è un avvicendarsi
di generazioni: oggi ci sono strumenti che ci consentono di correggere, aggiornare e far girare i
disegni rapidamente, ma il progetto è struggimento. Lo struggimento è insostituibile, inevitabile. I partner e gli associati sono
una trentina, la partecipazione
dei sessi non mi interessa contarla, ma è vera. La tolleranza sessuale, come quella razziale, parte
dalla mente e condiziona i comportamenti: «Mind, brain and
behaviour».
«L’architettura è un ologramma
dell’immaginazione: prova a chiudere gli occhi
e tracciare con la mente assi e diagonali
sull’immagine che hai impressa sulla retina.
La proporzione si ottiene dalla proiezione»
Nanotecnologie e neuroscienze sono i
confini della ricerca scientifica...
«Mind, brain and behaviour» è
un laboratorio di ricerca medica
che progetto alla Columbia University di New York con il Jerome Greene Science Center a
West Harlem e alcuni nobel come Richard Axel.
Il tuo rapporto con l’insegnamento allora esiste…
Avevo incominciato a insegnare
alla Penn University, quando nel
mondo di Louis Kahn (nel suo
archivio pare ci siano anche alcuni miei disegni) c’era Robert
Le Ricolais, con la cattedra di architettura intitolata a Paul Cret:
con le sue strutture spaziali resistenti e le prove sui tiranti mi sembrava che l’insegnamento significasse solo «stare lì a tirare». Ma
capivo anche che avrei potuto insegnare solo stando lì: come conciliare l’esserci e il fare?
I tuoi disegni sono concettuali. Qual è
la relazione tra Renzo Piano e la scrittura?
Credo di essere un po’ anomalo:
non scrivo e non disegno, o meglio, faccio contemporaneamente
le due cose. I miei sono quasi degli ideogrammi. Appunti. Passeggio con le mani in tasca e segno: sono schizzi, frasi, a volte angoli o particolari misurati. Il foglio ripiegato su se stesso diventa
un taccuino di appunti: non accendi nulla, non devi spegnere,
non aspetti. Poi mi ritrovo nei
miei appunti, ritrovo i miei cantieri e i loro avanzamenti: il foglio
aperto è un collage di momenti diversi, fasi progettuali successive.
Sono tutti archiviati come… casi aperti, là nell’angolo delle Clarisse dov’eravamo prima: la mia
memoria visiva, la rapidità e la
lentezza che si compenetrano nel
mestiere. Di questi «pizzini» ne
hanno scansiti 3.000 finora. Non
credo scriverò mai un libro. «Scri-
vere è come guardare nel buio ed
aspettare che venga»: è la Yourcenar. Io cito spesso Calvino, perché le Città invisibili sono una raccolta di appunti e una città in particolare, quella costruita dagli
idraulici (dove i muratori non arrivano mai), è la sua passeggiata
sul cantiere del Beabourg. A oggi sono stati scritti sette romanzi
su quella mia prima parodia, l’ultimo è la storia di una donna che
vi rimane prigioniera per un anno senza trovare l’uscita.
Il Centre Pompidou è il tuo labirinto,
dedalo, che proietta la sua ombra sul tuo
studio parigino in rue des Archives.
Mi piace di più oggi, un po’ arrugginito. Sai qual è il più grande errore, per un architetto? Il fuori scala: irrimediabile. Non commento fuoriscala recenti o romani. Il modello ingrandito è il rischio di dover dire tutto subito.
L’architettura è un ologramma
dell’immaginazione: prova a
guardare, a chiudere gli occhi e
tracciare con la mente assi e diagonali sull’immagine che hai impressa sulla retina. La proporzione si ottiene dalla proiezione. Il
progetto come proiezione mentale progressiva. Il committente che
vuol capire dall’inizio il progetto
ti mette in un grosso guaio. L’edificio si fa in itinere, passeggiando, appuntando, cambiando, togliendo e costruendo progressivamente: è il segreto della misura.
Ricordo Philip Johnson, membro della giuria nel concorso per
il Beaubourg: «Mi fate vedere la
pianta?». Gli tracciammo il perimetro rettangolare. A distanza di
un anno ci rifece la domanda e
tracciammo il medesimo rettangolo, con l’aggiunta dei moduli.
La terza volta, alla stessa richiesta
avevamo aggiunto i blocchi dei
bagni. L’unico che aveva capito
tutto era Jean Prouvé. Sai, la
Francia è la patria della «pièce
métallique moulée».
3
Ma chi e che cosa lascia a Renzo Piano l’avvicendarsi delle generazioni italiane?
Domanda difficile e facile nello
stesso tempo, perché io prendo
qualcosa da tutti: se l’arte è furto,
io sono un ottimo rappresentante, da piccolo ero un asino a scuola. Anche da una lettera d’insulti io conservo e ritaglio i passaggi
che mi sembrano interessanti. Il
segreto è prendere tutto a viso
aperto. E dalla natura è più che
mai legittimo (l’Academy of
Sciences, a San Francisco, ruba
alla geotermia del Golden Gate
Park: sarà un prato galleggiante
che vive di ventilazione).
Che cosa hai preso da Giancarlo De
Carlo? Anche Alessandro Pierangeli
dallo studio De Carlo passa da te, poi
da Ron Arad…
Da lui ho preso molto: anche
quando non dava - perché era arrabbiato - io riuscivo a prendere.
De Carlo architetto: i rapporti tra
masse e strutture, le ombre delle
scale sui muri. Il suo mestiere:
moralizzare l’architettura, ascoltare le voci che non parlano, guardare le facce delle persone (è forse ancora più importante di ascoltare il luogo), ascoltare per discutere non per ammaliare, ascoltare per prendere e dare, con l’edificio.
È quello che ricerca la Commission for
Architecture and Built Environment
a Londra o il Landmark Preservation
negli Stati Uniti?
Meglio il caso di Otranto: i progetti partecipativi, riparare le case senza spostare gli abitanti
(Quartiere dell’Unesco, 1979):
le prove di pressione su campioni di pietra e i visi delle persone.
Chi ha qualcosa da dire, non è
quasi mai chi parla. Ma non vorrei sembrare troppo sensibile.
Il pragmatismo sfida quasi tutte le etichette di una democrazia piena di contraddizioni: pop, high-tech, globalizzazione e new age. Parigi, Kansai,
Time Square, i musei, l’aereoporto, i
distretti finanziari, il tempio di Notre-Dame du Haut. Art as Experience, scrive John Dewey, tre anni
prima della nascita di Renzo Piano.
❑ A cura di MICHELA COMBA
In alto, disegno per l’Academy of Sciences di San
Francisco. A fianco, Renzo
Piano davanti all’Unitè d’habitation di Le Corbusier a
Marsiglia nel 1957; negli anni
sessanta;con Richard Rogers
al Centre Pompidou nel 1978
(tutte le foto sono © RPBW);
con Augusto Graziani, Umberto Eco, Federico Zeri e
Carlo Bertelli in occasione
della tavola rotonda per «Micromega» nel 1988 (foto di
Gianni Berengo Gardin)
4
Inchiesta
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Il disagio sociale e civile in cui
sembra ripiombata Napoli da alcuni anni va ben oltre le cronache
giornalistiche recenti. In un sistema fortemente in crisi, però, vi sono alcuni settori importanti dove
la città mostra vitalità ed energia.
L’architettura, l’urbanistica e i
trasporti, infatti, rappresentano
oggi a Napoli tre modelli di sviluppo che potrebbero diventare
un antidoto ai veleni (abusivismo,
speculazione, caos) che hanno afflitto il territorio campano negli ultimi cinquant’anni.
Sul fronte dell’urbanistica, nel-
che non agevolano il processo di
rinnovamento del tessuto urbano.
Ma la città è molto cambiata sul
piano della percezione (e dell’accettazione) dell’architettura. Solo
cinque anni fa parlare d’interventi contemporanei a Napoli significava scontrarsi contro un muro
di diffidenza: le ferite prodotte sul
territorio dalle speculazioni edilizie e dall’abusivismo avevano determinato forte sfiducia nei confronti dell’architettura. Oggi, invece, vengono organizzati grandi
eventi (come gli «Annali dell’Architettura»; vedi a p. 5), do-
NAPOLI: TRASFORMAZIONI URBANE
Oltre il limbo di una città
senza piani né futuro
Diego Lama illustra le strategie che puntano su architettura, urbanistica e trasporti
di settore (come quello per i trasporti), Piani per le aree di sviluppo industriale, Progetti integrati
territoriali e infine il Piano strategico per la città di Napoli. Col-
«La città ha acquisito una nuova capacità
di programmare il proprio destino
per meglio orientare lo sviluppo,
soprattutto verso aree periferiche
che presto diventeranno il centro d’importanti
riqualificazioni urbane»
l’arco di pochi anni, la Campania
è riuscita a dotarsi di strumenti come il PRG di Napoli (e di alcune
importanti città della regione), sviluppando inoltre rilevanti Piani
urbanistici esecutivi (come per Bagnoli o per il Centro direzionale),
ha adottato il Piano territoriale di
coordinamento provinciale per il
capoluogo e ha approvato il Piano territoriale regionale, sviluppando parallelamente molti Piani
mando in questo modo un vuoto
legislativo, ma soprattutto culturale, accumulato negli ultimi anni sotto lo sguardo indifferente dei
partenopei (per troppo tempo lasciati a galleggiare nel limbo di
una città senza piani e senza futuro). Napoli ha così acquisito una
nuova capacità di programmare il
proprio destino per meglio orientare lo sviluppo, soprattutto verso
aree periferiche che presto divente-
ranno il centro di importanti riqualificazioni urbane.
Sul fronte del trasporto su ferro la
Campania prevede un investimento di 22 miliardi, di cui quasi 5 spesi dal 2001 a oggi. All’interno di questo programma emergono due importanti progetti:
l’Alta velocità (che consentirà di
unirla a Roma in meno di un’ora
già nel 2008, trasportando circa
33.000 passeggeri al giorno) e la
Rete metropolitana regionale (che
rappresenta oggi la più grande
opera pubblica in costruzione in
Italia dopo l’Alta velocità). Il progetto, che sarà completato nel
2015, prevede lavori su linee già
esistenti e su nuove linee che determineranno in Campania 1.400
chilometri di ferrovia e 432 stazioni (92 in più rispetto al 2000).
Le opportunità fornite dagli interventi legati al trasporto regionale e offerti dalle grandi pianificazioni sul territorio periferico
avranno un effetto profondo sulla trasformazione della città, un
effetto che potrebbe determinare
una seconda opportunità per Napoli, una «rinascita» architettonica.
In sintesi sono in atto due processi di trasformazione del sistema urbano partenopeo. La principale
spinta è in corso sul contorno della città, all’interno del sistema di
aree dismesse che la delimita da est
a ovest.
Un secondo processo di trasformazione sta avvenendo soprattutto all’interno della città ed è direttamente legato alle opere connesse
al sistema dei trasporti su ferro. In
questo caso è in moto un’azione di
trasformazione puntuale che, partendo dalle realizzazioni delle
nuove stazioni della metropolitana regionale (ne sono state già avviate più di 30 negli ultimi tre anni), si espande con un effetto benefico sul quartiere dove sorgerà la
stazione, rivalutando l’area non
solo da un punto di vista economico o urbanistico, ma anche architettonico. I progetti delle sta-
47, GENNAIO 2007
zioni, infatti, sono stati affidati in
una prima fase ai principali nomi
dello star system internazionale,
ma la novità del modello napoletano è che le star dell’architettura
«Restano comunque molti problemi,
come l’incapacità di organizzare grandi concorsi
di architettura: quelli per Bagnoli e per il porto
di Napoli hanno generato critiche, ricorsi
e annullamenti che non agevolano il processo
di rinnovamento del tessuto urbano»
sono state utilizzate quasi come
apripista per dare poi spazio alle
competenze locali: gli incarichi
sono oggi affidati a progettisti, soprattutto giovani architetti (anche
non campani).
Restano comunque molti problemi, come l’incapacità di organizzare grandi concorsi di architettura: quelli per Bagnoli e per il
porto di Napoli hanno generato
critiche, ricorsi e annullamenti
ve si discute con sorprendente accettazione delle gigantesche labbra rosse pensate da Anish Kapoor per la stazione Monte Sant’Angelo o dei funghi di vetro di
Dominique Perrault per la stazione di piazza Garibaldi. I napoletani accolgono la modernità
con la stessa arrendevolezza con
cui hanno subito i terremoti o le
eruzioni.
❑ DIEGO LAMA
E1
C2
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C6
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E9
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C1
E3
C9
R20
R19
R2
R1
Riqualificazione delle aree ex industriali
e delle infrastrutture per lo sviluppo
R1 Parco di Bagnoli
R2 Piano di recupero della Mostra d’Oltremare
R3 Proposta di riqualificazione e valorizzazione
dell’area Q8
R4 Insediamento per la produzione di beni - ex Icmi
R5 Riconversione di un opificio industriale - zona est
ex Mecfond
R6 Parco produttivo - ambito 43 ex Magazzini
approvvigionamento
R7 PalaPonticelli per musica e grandi eventi e annesse
strutture di servizi
R8 Centro commerciale per la grande distribuzione
- via Argine
R9 Centro commerciale, albergo e attrezzature
pubbliche - area ex Feltrinelli
R10 Centro polifunzionale della Polizia di Stato
- area ex Manifattura Tabacchi
R11 Completamento del centro direzionale di Napoli
R12 Isole edificatorie 17 e 18 del centro direzionale
R14 Residenza universitaria e attrezzature
pubbliche - Poggioreale
R16 Recupero dell’ex fabbrica Redaelli a San Lorenzo
Vicaria
R17 Residenze e commercio spazi pubblici e aree
verdi - Ponti Rossi
R18 Centro di formazione e attrezzature pubbliche
all’Arenella
R19 Complesso monumentale di Castel dell’Ovo
R20 Realizzazione di un nuovo spazio espositivo
denominato “Parco dell’Auto”
R21 Riqualificazione dell’area monumentale del
Porto di Napoli
rione Traiano
E6 Programma di recupero urbano di Ponticelli
E7 Programma di recupero urbano di Poggioreale
- rione San Alfonso
E8 Contratti di quartiere II - ambito di Pianura
E9 Contratti di quartiere II - ambito di Barra
E10 Contratti di quartiere II - ambito di San Pietro
a Patierno
E11 Riqualificazione urbanistica e ambientale
di Parco della Villa Romana
E12 Riqualificazione rione San Gaetano
Riqualificazione degli insediamenti di edilizia
residenziale pubblica
E1 Riqualificazione Scampia
E2 Edilizia residenziale pubblica sostitutiva:
Pianura - Soccavo - Chiaiano - Piscinola
E3 Riqualificazione urbana del complesso
di edilizia residenziale pubblica, via Taverna del Ferro a
San Giovanni a Teduccio
E4 Programma di recupero urbano del centro
storico: ambito di Chiaiano
E5 Programma di recupero urbano di Soccavo -
Infrastrutture della conoscenza
C1 Insediamento universitario nell’area ex Cirio
C2 Nuova sede della facoltà di Medicina
e Chirurgia – Scampia
C3 Facoltà di Biotecnologie - Zona ospedaliera
C6 Complesso Monumentale di S.S. Trinità
Delle Monache
C7 La «Città dei giovani» del Real Albergo
dei Poveri
C9 Nuovo polo tecnologico CNR a Viale Marconi
C10 Ampliamento del CEINGE – Zona ospedaliera
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Inchiesta
47, GENNAIO 2007
NAPOLI: SCENARI FUTURI
La difficile condivisione
Secondo Michelangelo Russo la posta in gioco è il ridisegno delle grandi aree industriali
Napoli vive un momento cruciale nella sua storia urbanistica:
in questi mesi, infatti, stanno
prendendo forma scelte e progetti che potrebbero nel giro di pochi anni cambiare radicalmente
il volto della città, i suoi spazi, le
sue funzioni, trasformandone il
ruolo nello scacchiere euromediterraneo. La posta in gioco è il
ridisegno delle grandi aree industriali ai bordi del centro storico
che generano prospettive di lungo termine, non ultima la recente decisione dell’amministrazione di candidare Napoli come sede del prossimo Forum universale delle Culture del 2013.
Queste trasformazioni, che riguardano a ovest la grande enclave di Bagnoli (120 ettari di città
siderurgica, dismessa dal 1990)
e a est un mosaico di aree dalle
dimensioni ancora più ingenti e
intersecate con la periferia pubblica, sono rese possibili dalla
nuova pianificazione ripresa a
partire dai primi anni novanta
con la manovra urbanistica di
Vezio De Lucia, assessore all’Urbanistica nella prima giunta Bassolino (1993). Una manovra tecnicamente e politicamente difficile: marcare una profonda discontinuità con il passato s’incrociava, infatti, con l’esigenza di arginare i tempi lunghi
per il rinnovo di regole ormai obsolete, che l’emergere di nuovi
problemi urbani - la dismissione industriale e le bonifiche, la
tutela della città esistente, l’emergenza periferie - non consentiva più di procrastinare. Una
manovra che - attraverso varianti parziali e coordinate - ha condotto a un nuovo PRG approvato nel 2004, e a piani di settore
(in particolare nel campo dei trasporti) che hanno finalmente ridefinito il quadro entro cui attivare pratiche diversificate di trasformazione urbana: l’azione
più incisiva è stata senza dubbio
la realizzazione del metrò.
Il nuovo PRG affronta i grandi
temi delle aree dismesse e della
periferia urbana attraverso scelte
«unificanti»: la continuità della
rete dei trasporti, appunto, la ricomposizione del verde urbano
residuo con la green-belt collinare, il parco del Sebeto (nelle storiche paludi occupate dalle industrie a est), il parco di Bagnoli e la riqualificazione della Mostra d’Oltremare, la scelta di convertire le ex aree industriali in
parchi attrezzati con funzioni
miste.
In questa cornice si moltiplicano
iniziative ad alto contenuto «partenariale» pubblico-privato, in
particolare nell’area est: il ridisegno del waterfront, con la riqualificazione dell’area monumentale del porto tra il Molosiglio e
l’Immacolatella Vecchia (che
sarà realizzata su progetto del
In alto, insediamenti universitari nell’ex Cirio (progetto di
Ishimoto Architectural & Engineering Firm); sopra, mappa
della rete dei trasporti (le immagini di queste pagine sono
state gentilmente concesse dal Dipartimento Pianificazione
urbanistica Casa della Città, Comune di Napoli)
gruppo di Michel Euvè, confermato vincitore del concorso internazionale dopo la vicenda
giudiziaria; cfr. la lettera a fianco) e la realizzazione del nuovo
porto turistico di Vigliena a San
Giovanni a Teduccio, integrato
con l’ex Corradini e con i futuri
insediamenti universitari nell’ex
Cirio; il project financing per l’ampliamento del Centro direzionale (dove il Comune cede la sua
volumetria residua per un grande parco urbano) e per l’Ospedale del Mare a Ponticelli; le at-
I grandi progetti
Riqualificazione dell’area monumentale del porto: Michel Euvè; porto turistico di Vigliena a San Giovanni a Teduccio ed ex
Corradini: Uberto Siola; insediamenti universitari nell’ex Cirio:
Ishimoto Architectural & Engineering Firm; ampliamento del Centro direzionale e parco di Bagnoli: Francesco Cellini; ospedale
del Mare: RPBW; trasformazione dell’ambito 13 delle raffinerie: Carlo Gasparrini
trezzature commerciali e alberghiere, e la produzione di beni e
servizi nelle aree ex Mecfond e
Feltrinelli; la grande trasformazione dell’ambito delle raffinerie
(ben più esteso di Bagnoli) promossa dalla Q8 e dalla STU
«Napoli Orientale» nella zona
est, dove è prevista la realizzazione di un tessuto residenziale, produttivo-leggero e terziario, in cui
potrebbe collocarsi un avanzato
nodo per la logistica («Distripark»).
Il rigore del piano, tuttavia, non
restituisce una visione immediata e capace di condurre a convergenza soggetti e azioni in scenari
davvero condivisi, rendendo ancora incerta l’immagine del futuro prossimo venturo: questa sensazione assale chi osserva il lento
comporsi delle iniziative (in particolare a est), dove la prevalenza
di funzioni commerciali, legate
alla grande distribuzione, non
sembra ancora in grado di proporre un’organica ed equilibrata
idea di città, almeno alla percezione comune; obiettivo che altresì tenta di perseguire con forza
il Piano strategico in itinere.
Un’idea di città non rinchiusa
nei confini comunali ma estesa
alla sua area metropolitana, dove si moltiplicano le iniziative
che ne definiranno la «forma»: la
linea ad alta velocità con le stazioni di Afragola e di Striano
(per cui è previsto un concorso),
l’aeroporto internazionale di
Grazzanise, i nuovi innesti sulla grande viabilità su gomma, i
centri intermodali, gli interporti
per la logistica.
Questa è la città del futuro: un
sistema di centralità e di reti dove potrà trovare soluzione anche
il «rischio Vesuvio», quando ci
si renderà conto che solo una comunità che si riconosce nella dimensione metropolitana può ridisegnare la città di tutti gli abitanti, anche di quelli che dovranno allontanarsi da un vulcano attivo, pericolosissimo e altamente distruttivo.
❑ MICHELANGELO RUSSO
❑ Gli Annali dell’Architettura
Organizzati dalla Fondazione Annali dell’Architettura e delle
Città, nata il 15 marzo 2005 da un accordo fra enti istituzionali (Regione, Provincia, Comune, Università Federico II, Seconda Università
di Napoli, Ordine degli Architetti, Ordine degli Ingegneri e Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio), gli Annali dell’Architettura e delle città hanno proposto dal 14 novembre al 17
dicembre scorsi un ricco programma incentrato su tre grandi mostre e un calendario di appuntamenti collaterali. Sotto la presidenza
di Benedetto Gravagnuolo e la nuova direzione scientifica di Marco Casamonti, gli Annali hanno affrontato quest’anno il tema del
Mediterraneo inteso come centro di rinnovamento culturale e area
nodale di sviluppo di un’architettura attenta ai valori ambientali ed
edilizi.
5
Pianificare per risanare
SEGUE DA PAG. 1, V COL.
Con ciò rimuovendo il vero problema di quell’insediamento, la
mancata presa in carico da parte dell’amministrazione della sua
umanizzazione. La fallita soluzione di problemi quali la difficile
accessibilità, la dotazione gravemente insufficiente di servizi e
attrezzature pubbliche, l’esclusiva funzionalità a dormitorio, la
bassa qualità e uniformità dell’edilizia circostante, e il vertiginoso
aumento della pressione demografica (fino a 500 ab/ha) non può
certo essere fatta risalire alla concezione architettonica di quel
complesso, quanto invece soprattutto alle scelte, o alle mancate
scelte, della politica e dell’amministrazione.
A queste due fasi ne è seguita, con una traumatica soluzione di
continuità costituita dai due terremoti del 1980 e 1981, una terza,
con connotati assai diversi, e a essa si può far risalire il fenomeno
dell’omogeneizzazione sociale delle periferie (intese sia in senso
territoriale, ma in questo caso estese alla fascia dei Comuni
circostanti, sia in senso sociale, con riferimento cioè al cosiddetto
«ventre» di Napoli, geograficamente posto al centro della città,
ma sul versante edilizio e su quello sociale caratterizzato da tutti i
connotati della periferia). È avvenuto quel fenomeno assai ben
descritto da Isaia Sales in Le strade della violenza (L’ancora del
Mediterraneo, 2006), per il quale i quartieri abitati da diversi ceti
sociali (diversi sul piano delle risorse economiche, delle attività
lavorative, degli stili di vita) si sono progressivamente differenziati
fra loro e trasformati in insediamenti in cui ciascuno di tali ceti ha
stabilito la propria predominanza: determinando così il venir
meno di quell’effetto mitigatore della violenza e dell’illegalità che
fino ad allora la convivenza «interclassista» aveva assicurato. È
grave che quest’analisi venga compiuta solo in quest’ultimo
periodo, salvo, forse, che per l’ambizioso progetto di
sventramento del centro storico e ulteriore deportazione dei suoi
abitanti contenuto in «Il regno del possibile», elaborato dall’allora
ministro del Bilancio Cirino Pomicino e dai principali
imprenditori edili della regione. In esso erano riconoscibili chiari
intenti speculativi (ma questa è un’altra storia), quando alle
vecchie ma, per dir così, poco offensive specializzazioni criminali
di alcuni quartieri (San Giovanni a Teduccio e Santa Lucia con
il contrabbando, Forcella con la vendita di prodotti provenienti
da falsificazione o ricettazione, Duchesca con le truffe del pacco,
Vasto e Arenaccia con lo sfruttamento della prostituzione) se ne
sono sostituite altre, devastanti per la sicurezza collettiva, come lo
spaccio di stupefacenti; mentre i fenomeni delle estorsioni,
dell’usura e delle rapine colpiscono ormai l’intero contesto della
città e, forse ancor più, della provincia.
Finalmente la città ha approvato nel giugno 2004 sotto la regia
dell’allora vicesindaco Rocco Papa, il nuovo PRG. La Regione,
con il nuovo sistema regionale integrato dei trasporti e la stessa
Università Federico II sono impegnati a definire operativamente
un progetto di «riqualificazione sostenibile» dell’intero tessuto
metropolitano, secondo direttrici verso nord e verso est, senza la
realizzazione del quale ogni idea di risanamento sociale e di
contrasto all’illegalità paiono ipotesi prive di senso concreto.
❑ PAOLO MANCUSO, Procuratore aggiunto di Napoli
Lettera al Giornale
A proposito del concorso per il porto
Vorrei chiarire che lo stop all’attuazione del concorso è avvenuto nel
giugno del 2005 quando il gruppo Stipe/Saito ha fatto ricorso al TAR.
Da allora la società pubblica Nausicaa (Autorità Portuale, Comune,
Regione,Provincia) ha deciso di non procedere all’affidamento del progetto definitivo ed esecutivo al gruppo vincitore in attesa della sentenza. Il TAR, nel dicembre 2005, ha dato torto ai ricorrenti su tutti i
fronti della contesa. La Stipe ha fatto comunque ricorso al Consiglio
di Stato che, il 17 ottobre scorso, ha confermato il rigetto di tutti i
motivi tranne quello relativo alla mancata applicazione della formula
contenuta nell’allegato C al Dpr 554/1999 per il calcolo del parametro di valutazione relativo al «costo di realizzazione/fattibilità economico-finanziaria», uno dei cinque parametri di valutazione del progetto preliminare. Questa formula non era stata utilizzata dalla Commissione perché le modalità di presentazione della proposta economica
erano molto disomogenee fra i tre finalisti, rendendo difficile la sua
applicazione e suggerendo un diverso criterio di valutazione basato
sulla qualità dell’offerta economica e non sul massimo ribasso, peraltro improprio in un concorso di progettazione. Un criterio che, paradossalmente, finiva per attribuire un punteggio più favorevole, per quel
parametro di valutazione, proprio al gruppo Stipe/Saito senza però
consentirgli di vincere. Il Consiglio di Stato non ha annullato il concorso, ma ha richiesto di attenersi esclusivamente a quella formula
nonostante le sue difficoltà di applicazione. La commissione si è riunita
nuovamente il 16 novembre e ha rifatto la graduatoria comunicandola in seduta pubblica il 27 novembre: il progetto di Euvè si conferma
vincitore, mentre quello di Boeri diventa secondo facendo slittare al
terzo posto quello di Stipe/Saito.A questo punto la Nausicaa ha deciso e reso pubblico che, indipendentemente dalla possibilità di un ulteriore possibile ricorso anche su questo risultato (che risulterebbe
tuttavia, a questo punto, molto difficile contestare), procederà finalmente all’affidamento dell’incarico di progettazione al gruppo Euvè
dopo aver perso un anno e mezzo. Insomma, la «via giudiziaria» all’affermazione della qualità architettonica non paga, ma produce solo danni e rallentamenti all’attuazione delle opere.
❑ Carlo Gasparrini, membro della giuria e consigliere di amministrazione di Nausicaa Spa
6
Inchiesta
Aspettando da lungo tempo con
impazienza, curiosità (e un po’ di
apprensione) i grandi progetti per
Bagnoli e la zona orientale, la scena progettuale napoletana è animata da più d’un decennio dalle
stazioni della metropolitana, da
vicende concorsuali spesso travagliate (vedi Bagnoli e waterfront),
da qualche sporadica nuova architettura e con periodica scadenza dal «caso» delle Vele di Scampia. È proprio in quest’ultima vicenda che si può cogliere con icasticità uno dei caratteri dell’architettura contemporanea napoletana, talvolta coraggiosa, forse anche oltre misura (e lo furono i progetti di Franz Di Salvo negli anni settanta) talaltra molto dimessa, senza nerbo figurativo né invenzione tipologica, e lo sono le
palazzine che stanno progressivamente sostituendo le Vele.
Il centro storico invece non è al
primo posto nell’agenda urbanistica e può dunque attendere. Il
nuovo PRG vi spalma generosamente le rassicuranti categorie del
restauro e del risanamento conservativo, che appaiono però più
vincoli paralizzanti che speranze
di rinascita perché mancano progetti e risorse. Risorse che invece,
copiosamente, andranno a tonificare i litorali marini a oriente e occidente.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
LE STAZIONI METROPOLITANE, CUORE DELLA SCENA PROGETTUALE
Ancora cave di tufo
Secondo Pasquale Belfiore le cavità sotterranee risultano gli spazi meglio riusciti
per forma e cura dei materiali
Intanto emergono come protagoniste della scena le stazioni della
metropolitana, in città e fuori.
Tante quelle realizzate, tante
quelle ancora da realizzare. Si
progettano spazi ipogei e volumi
«Il centro storico invece
non è al primo posto nell’agenda urbanistica
e può dunque attendere»
L’ingresso della stazione della metropolitana di Monte Sant’Angelo (Anish Kapoor e Future Systems)
in emersione, si arredano le aree
urbane immediatamente contigue alle stazioni intese come nuclei di rigenerazione urbana. In
un’ideale graduatoria di merito,
le cavità sotterranee risultano gli
spazi meglio riusciti per forma e
cura dei materiali; la presenza in
esse di opere d’arte contemporanea è un valore aggiunto. È forse
solo un caso, ma va colta l’inevitabile relazione con la storia e il
carattere di questa città, nata e cresciuta per millenni cavando tufo
al di sotto e aggiungendolo al di
Non è facile, ma dobbiamo farcela
di Attilio Belli*
Non è così facile: è la
considerazione che viene da fare
pensando all’attuazione di una
moderna politica urbanistica in
città. Non è così facile. Politiche
urbane a Napoli a cavallo del secolo è
il titolo di una ricerca del locale
Dipartimento di Urbanistica,
di prossima pubblicazione, che
fa il punto sugli sforzi compiuti
dagli anni novanta a oggi nel
campo delle politiche urbane,
concentrandosi su alcuni temi
cruciali: le periferie, il riuso
dell’area di Bagnoli, la zona
orientale, l’attuazione del
programma d’infrastrutture per
la mobilità, le politiche della
cultura, l’immagine della città,
alcune insorgenze creative,
le micropolitiche partecipate
per la sostenibilità.
Emerge un quadro dove i
risultati sono inferiori alle
speranze nate con l’elezione
diretta del sindaco nel 1993.
Allora, le molte iniziative
intraprese, soprattutto a carattere
simbolico, e il vasto consenso
avevano fatto sperare che fosse
iniziata una fase, addirittura
rapida, di cambiamento
radicale. Ma così non è stato.
Tra le difficoltà incontrate, la
lentezza del cambiamento nel
governo urbano e della messa in
campo di una capacità
istituzionale sufficiente a
sperimentare la costruzione di
«attori collettivi» in processi di
contrattazione. Una capacità
«allargata», non solo come
coinvolgimento degli attori forti
e delle forze emergenti, ma anche
come messa in gioco di risorse
cognitive, relazionali, fiduciarie
e di cooperazione.
Ma evidentemente le difficoltà
dipendono anche dal contesto,
un mondo attraversato da forme
di violenza, incrocio perverso tra
lavoro nero, camorra ed effetti
della globalizzazione. Per avere
sopra, squadrato e murato. Più
controversi i giudizi su stazioni e
arredo urbano in aree storiche, da
piazza Dante a Museo, a Materdei e a Salvator Rosa. In nessun
caso, sembra, i progettisti sono ri-
consapevolezza della situazione,
serve non dimenticare mai la
dimensione eccezionalmente
vasta dello spazio periferico
metropolitano a Napoli, dove si
diffonde la violenza. Dove si
esalta la modernizzazione
incompiuta: Napoli rimane
«l’unica metropoli tra quelle che
hanno contribuito a formare la
storia e la cultura europee a
trascinarsi dietro il peso di una
criminalità di sottoproletariato»,
a differenza di Parigi e Londra,
dove «il riassorbimento del
sovraffollamento plebeo è una
delle peculiarità della [loro]
formazione all’interno delle
funzioni di grandi nazioni
industrializzate e di vasti imperi
coloniali», come dicono Isaia
Sales e Marcello Ravveduto in
Le strade della violenza. Malviventi
e bande di camorra a Napoli (2006).
In una situazione difficile ma
non disperata, alcuni percorsi
cercano d’intensificare il dialogo
tra istituzioni e città, come si sta
manifestando nei forum del
Piano strategico della città, che
seguono alle conferenze di
pianificazione svolte all’inizio
dell’anno per il Piano territoriale
regionale e a quelle del Piano
strategico operativo dell’area del
«rischio Vesuvio». Ci si muove
in tre direzioni: verso
l’accrescimento delle capacità
diffuse, nel convincimento che
l’azione delle istituzioni sia
comunque insufficiente a
fronteggiare i problemi e che
serve l’attivazione di tutte le
capacità per individuare la
qualità e la dimensione dei
problemi, prima ancora delle
risposte; per l’organizzazione di
progetti integrati, dove politiche
per l’occupazione, politiche
sociali e interventi urbanistici
siano ben intrecciati e visibili,
anche in rapporto all’avvio della
nuova programmazione 2007-
2013; e, infine, per ricercare il
contributo di grandi eventi come
catalizzatori di energie e risorse
in un intreccio complesso
di attività creative e di
trasformazioni urbane. Il Piano
strategico lavora intorno
all’immagine di una Napoli
«competente, ben connessa e
creativa». «Competente» esprime
l’idea di sviluppare competenze
di governo, per l’innovazione e
per la cura dei mali sociali. «Ben
connessa» sottolinea l’esigenza di
saper trasmettere velocemente i
suoi impulsi alla macroregione
di riferimento e di riceverne
risorse, stimoli e influssi, anche
in relazione ai grandi corridoi
europei. «Creativa» va nella
direzione di un territorio urbano
che accresce le sue infrastrutture
mentali, spirituali e fisiche, con
una catena interconnessa di
attività disposte a innescare
processi di rigenerazione
durevoli, diffusi, inclusivi e
innovativi.
Questa costruzione cerca di
accrescere il peso d’interventi ben
visibili, a partire dal tavolo per
Napoli organizzato dal governo.
È in questa sede che viene
sollecitato - all’interno
dell’azione prospettata dal Piano
strategico di promuovere la città
come «fuoco» euromediterraneo
della cultura - l’impegno del
governo a sostenere la
candidatura di Napoli come
sede del Forum universale delle
Culture (Unesco) per il 2013.
È forte l’ansia per l’avvio
d’interventi. In attesa che
cominci a diventare finalmente
visibile la lenta riqualificazione
di Bagnoli, viene finanziato il
progetto dell’Università a
Scampia, proponendosi
d’intervenire in uno dei quartieri
più dolenti, mentre si prospetta
l’intenzione di realizzare sempre
lì il nuovo stadio. Ma è
soprattutto nella zona orientale
che la costituzione della Società
di trasformazione urbana, anche
in rapporto alla delocalizzazione
sempre rinviata dei depositi
d’idrocarburi, indica
l’addensarsi di progetti privi di
un manifesto disegno. Questo si
affianca all’emergere della
controversa prospettiva delle
zone franche urbane. E, in attesa
di conoscere i criteri che
verranno adottati da CIPE e
Regioni, si anima un dibattito
un po’ disordinato per candidare
alcune aree (il centro storico,
Scampia, la zona orientale).
Sullo sfondo, la mostra
organizzata dagli «Annali
dell’Architettura», che cerca di
conquistare a Napoli un ruolo
nazionale nelle rassegne di
architettura, puntando in
particolare sul terreno non
semplice della riqualificazione,
esigenza primaria in un
territorio devastato com’è quello
partenopeo. Ma anche qui non è
facile. Può accadere, com’è
accaduto al milanese Italo Rota,
che, volendo misurarsi con la
riqualificazione del litorale
giuglianese, a nord di Napoli, e
avvertendo l’esigenza di
accedere ai luoghi, vada a
imbattersi nelle forti diffidenze
di alcuni abitanti dell’area. E di
scegliere così di proporre «La
tomba dell’architettura». «Ci
sono luoghi», denuncia
amareggiato il progettista, «dove
l’architettura è esclusa. A
Giugliano non è possibile fare
progetti fino a che la legalità
non è stata ristabilita». Dargli
torto? Certo è più facile fare
tombe che lottare per il
ripristino della legalità. Ma
questa lotta spetta combatterla
soprattutto a noi napoletani.
*Docente ordinario di Urbanistica
all’Università Federico II
usciti a cogliere i caratteri dei luoghi. L’ambientismo non c’entra
e tanto meno si auspica una soluzione storicista o, ancor peggio,
mimetica. Ma dire una parola
contemporanea, in continuità
storica con il racconto figurativo
del singolo luogo, questo sì che è
obbligatorio. Viceversa, troppo
47, GENNAIO 2007
chiassosi appaiono la stazione e
l’arredo urbano a Materdei, quartiere piccolo borghese d’epoca fascista con una sua sobria eleganza; troppo grande e per certi versi inutile appare la stazione al Museo Archeologico Nazionale,
laddove invece sarebbe stato utilissimo un parcheggio per i visitatori. Deludente, infine, una rinnovata piazza Dante che affida la
soluzione progettuale a due sole
pensiline per coprire gli ingressi
della stazione e a una nuova pavimentazione, ma con dubbi risultati: incerta la tecnologia in ferro e vetro delle prime, con errori
di disegno ed esecutivi la seconda
che, al cospetto di Vanvitelli, fa
strame di ritmo e moduli. Dubbi
risultati che hanno rinfocolato le
polemiche sull’ampio ricorso a
progettisti «forestieri». Polemiche
pretestuose, perché la qualità dell’architettura non passa tra architetti nativi e forestieri. È la committenza a governare il processo,
dalla designazione del progettista
all’accettazione del progetto, all’esecuzione.
❑ PASQUALE BELFIORE
Architetti e stazioni
Linea 1
IN REALIZZAZIONE:
Alvaro Siza Vieira e Eduardo Souto de Moura: piazza Municipio; Oscar Tusquets Blanca: Toledo; Karim Rashid e Sergio Cappelli: Università; Massimiliano Fuksas: Duomo;
Dominique Perrault: piazza Garibaldi; Miralles Tagliabue: Centro
direzionale; Mario Botta:Tribunale e Poggioreale; Richard Rogers:
Capodichino aeroporto. REALIZZATE: Michele Capobianco:Vanvitelli; Domenico Orlacchio: Quattro Giornate; Atelier Mendini: Salvator Rosa e Materdei; Gae Aulenti: Museo e piazza Dante; Giovanni Passaro e Antonio Nanu: Piscinola - Scampia.
Linea 6
IN REALIZZAZIONE: Vittorio Magnago Lampugnani: Mergellina;
Hans Kollhoff: Arco Mirelli; Boris Podrecca: San Pasquale; Uberto Siola: Chiaia. REALIZZATE: Uberto Siola: Mostra; Protec:Augusto
e Lala.
Linea Cumana-Circumflegrea
IN REALIZZAZIONE: Silvio d’Ascia: Montesanto; Anish Kapoor e Future Systems: Monte Sant’Angelo. REALIZZATE: Nicola Pagliara:
Traiano e La Trencia; Massimo Simeone: Fuorigrotta.
Linea Napoli-Giugliano-Aversa
IN REALIZZAZIONE: Sandro Raffone: Giugliano; Efisio Pitzalis: Aversa Ippodromo; Cherubino Gambardella: Aversa Centro. REALIZZATE: Riccardo Freda: Mugnano.
Linea circumvesuviana Napoli-Sorrento
IN REALIZZAZIONE: Peter Eisenman: Pompei santuario e Pompei scavi; Enrico Sicignano: Castellammare terme; Corvino + Multari:
Castellammare centro; Roberto Serino: via Nocera; Ferruccio Izzo: Pioppaino; Aldo Loris Rossi: Moregine; Salvatore Cozzolino:
Madonna dei flagelli.
Altre linee
IN REALIZZAZIONE: Zaha Hadid: Linea TAV, Napoli Afragola; ELT Architetti Associati: Linea Napoli-Poggiomarino, Boscoreale e Boscotrecase; Suburbia: Casapulla.
❑ L’Università va a Scampia
La Giunta comunale
ha approvato a fine
novembre il progetto esecutivo, redatto
dallo studio Gregotti Associati International, relativo alla realizzazione
nel rione Scampia
della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico
II (nelle immagini).
Nelle vicinanze del
parco di Secondigliano sorgerà un edificio di sei piani con 48 aule, su una superficie di
16.000 mq e per un investimento di 21.450.000 euro. L’opera dovrebbe servire circa 2.500 studenti, oltre a docenti e operatori, mentre il suo indotto potrebbe radicalmente cambiare una delle aree urbane più a rischio. Il bando di gara e per l’appalto dei lavori dovrà essere completato entro il 2008, come fissato dall’Unione europea
erogatrice dei fondi. L’Università a Scampia rientra nell’ambito delle
iniziative volte a rivalutare uno dei quartieri più degradati: tra queste, il Presidio del libro, l’apertura pomeridiana delle scuole, il completamento dell’anello della metropolitana e l’interconnessione con
la linea ferroviaria alifana. Previsti inoltre ingenti investimenti sia per
interventi formativi e d’inserimento nel mondo del lavoro (13 milioni), sia per la riqualificazione urbanistica (20 milioni).
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Inchiesta
47, GENNAIO 2007
MERCATO IMMOBILIARE
Molte imprese, pochi
clienti; molto pubblico,
poco privato
L’economista Adriano Giannola, presidente dell’Istituto Banco di Napoli-Fondazione,
traccia un panorama dell’attività edilizia pubblica e privata a Napoli e in Campania
Considerando le due grandi specializzazioni dell’edilizia, residenziale e non residenziale (pubblica
e privata), si evidenzia che la prima in Campania soffre una stagnazione endemica per carenza di
nuova edificazione e inadeguata
riqualificazione dello stock abitativo esistente.
In Campania vi è la minore percentuale (56,9%) di abitazioni di
proprietà e, di conseguenza, la più
elevata percentuale di abitazioni in
affitto (29,4%), contro medie nazionali del 71,1% e del 19,2%. La
debolezza è ben illustrata da molti indicatori (l’Osservatorio del
mercato immobiliare, nel 2003, riporta 5.733 compravendite a Napoli contro 40.000 a Roma,
37.000 a Milano, 7.000 a Bologna;
18.622 in Campania, contro
to probabile quanto costoso, e notevoli ritardi nella realizzazione
dei progetti. Questa atmosfera intensamente competitiva non è priva di conseguenze strutturali che,
in qualche misura, rappresentano
una reazione a tutela della capacità operativa delle imprese campane. Queste, infatti, risultano le più
propense in Italia a operare fuori
della regione, configurando per
necessità l’edilizia campana come
un rilevante settore esportatore. Secondo l’Autorità di vigilanza dei
Lavori pubblici, negli ultimi anni l’88% degli interventi nella regione sono stati eseguiti da imprese campane: il tasso di copertura
del mercato interno più elevato in
Italia. Al contempo, il 54% degli
interventi delle imprese campane
nel settore delle opere pubbliche è
«Sul mercato delle opere pubbliche si fa spazio
il project financing, anche se alla mole
imponente degli annunci di ricerca di promotore
fa seguito un numero di bandi pubblicati
estremamente limitato»
177.870 in Lombardia, 93.208 in
Piemonte, 69.980 nel Lazio). Dati, certo non positivi, che pur mettono in evidenza teoriche potenzialità di sviluppo se fossero messe
in atto appropriate politiche pubbliche (Bagnoli e Napoli Est sono
i riferimenti di rigore).
In carenza di adeguate opportunità nell’edilizia privata, quello delle opere pubbliche si conferma in
Campania un settore di vitale importanza, com’è testimoniato dalla grande concentrazione d’imprese in possesso dell’attestazione
SOA. Proprio questa presenza
massiccia rende tale segmento del
mercato eccessivamente competitivo, esasperando la pratica dei ribassi d’asta come patologico strumento di concorrenza; il che non
giova neanche alle amministrazioni appaltanti, che pagano i ribassi
eccessivi con un contenzioso tan-
realizzato in altre regioni; anche in
questo caso un primato.
Proprio sul mercato delle opere
pubbliche si sta facendo significativamente spazio anche in Campania la modalità della finanza di
progetto, anche se alla mole imponente degli annunci di ricerca
di promotore fa seguito poi un numero di bandi pubblicati estremamente limitato. Questo è certamente un importante terreno d’incontro tra imprese e operatore pubblico, a condizione che sia possibile trovare un’adeguata triangolazione con intermediari finanziari e aziende di credito, consentendo di realizzare un effetto leva, capace di ampliare l’impatto dei
contributi pubblici disponibili. Il
ricorso a questo strumento presuppone un mutamento di filosofia delle imprese e delle amministrazioni rispetto ai tradizionali
Gli interventi delle
Fondazioni bancarie
Istituto Banco di Napoli-Fondazione
Per riqualificare alcune aree di grande rilievo storico e commerciale,
nel 2000 sono state realizzate opere di arredo urbano, tra cui quella
dell’artista greco Jannis Kounellis per la piazzetta di via Ponte di Tappia. Costituita da una struttura in acciaio che simboleggia un’antica
torre eolica, l’opera riproduce un attrezzo utilizzato nelle campagne
per raccogliere l’acqua. Nell’ambito della riqualificazione di piazza Bellini, antistante l’antico Conservatorio di Musica San Pietro a Majella,
nel 2004 sono state realizzate opere di sistemazione delle pavimentazioni e dell’arredo: valorizzazione e restauro delle strutture archeologiche delle antiche mura di epoca greca; ripristino del monumento
a Vincenzo Bellini, con rifacimento dei busti muliebri asportati. Con
l’Associazione incontri napoletani - Arte, cultura e attualità, nel 2006
è stato completato il restauro della guglia seicentesca di San Domenico Maggiore, realizzata in segno di ringraziamento dopo l’epidemia
di peste del 1656.
❑ Aldo Pace, Direttore generale dell’Istituto Banco di Napoli-Fondazione
La Compagnia di San Paolo
La Compagnia di San Paolo di Torino del gruppo San Paolo Imi, che a
fine 2002 ha assorbito il Banco di Napoli, a gennaio 2005 ha finanziato un progetto finalizzato a rilanciare il centro storico (nell’ambito di
una convenzione con l’Amministrazione comunale), la riqualificazione
dell’asse urbano di Santa Caterina da Siena e di piazza Bellini (1 milione). Un’area nevralgica della città, cerniera fra la parte bassa (via
Chiaia) e quella alta (l’area collinare verso corso Vittorio Emanuele),
dotata di un tessuto edilizio, che comprende unità abitative eterogenee, esercizi commerciali e istituzioni culturali di prestigio. Il progetto prevede il restauro, il risanamento conservativo e la valorizzazione
integrata con l’introduzione di opere d’arte contemporanea. Nel 2003
aveva già finanziato il restauro della Chiesa di Santa Caterina da Siena
per il Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini e quello della Grotta
di Virgilio con la Soprintendenza. Nel 2006 ha finanziato il restauro,
avviato dalla Soprintendenza, del Teatro di Corte del Palazzo Reale (1,5
milioni).
(ancora dominanti) bandi di gara
(centrati sul meccanismo del ribasso d’asta). La finanza di progetto, infatti, configura la società
di progetto come un attore che, oltre a realizzare l’opera, assuma il
rischio della gestione; il che presuppone un’impresa capace di valutare la redditività dell’intervento
e, al contempo, un’amministrazione che sappia calibrare ex ante
il contributo a fondo perduto necessario a garantire l’equilibrio del
piano economico finanziario.
Le riviste e la critica di architettura
Nel corso degli ultimi cinquant’anni
Napoli ha visto alternarsi opposte
fasi di marginalità o di relativa centralità rispetto alla più generale cultura architettonica. E tuttavia ha
sempre sofferto, sin da inizio Novecento, della mancanza di riviste specializzate di levatura nazionale in
grado di esprimere quanto di meglio
poteva venire dalla cultura architettonica cittadina, e competere seriamente con quanto variamente prodotto a Torino, Milano, Roma. Mentre una rivista alternativa come
«Ventre» è riuscita a crearsi uno
spazio deliberatamente di nicchia, non sono mancati nei decenni, e ancora in tempi recenti, esperimenti di testate di notevole qualità e interesse - «Aura», «ArQ», «Ar2» - che tuttavia non hanno avuto
continuità, per mancanza di un’editoria in grado di
sostenerle. Ed è forse per questo che, a fronte di una
tradizione storiografica di grande respiro, particolarmente attenta al contemporaneo nella sua di-
mensione internazionale (e basti citare tra i capiscuola Renato De Fusco,Cesare de Seta,Maria Luisa Scalvini), è mancata e manca una tradizione di critica dell’architettura in
fieri. Un’eccessiva circolarità dei
ruoli (tra consulenti e ispiratori delle scelte, professionisti, critici, rappresentanti istituzionali) ha fatto sì
che, confinata sulle pagine locali dei
quotidiani, la critica diventasse non
di rado esegesi, o addirittura apologia, delle scelte politiche compiute.
Mai come in questi ultimi anni, in cui
Napoli - con i suoi cantieri e con la
neoinaugurata Scuola superiore europea di architettura urbana - recupera una propria centralità nel dibattito nazionale e internazionale, si sente
la necessità di una critica davvero militante, per un
verso in grado di vagliare con spiccato senso d’indipendenza le ipotesi, e per l’altro di esprimere gli elementi di continuità della solida e variegata cultura
architettonica della città. ❑ Fabio Mangone
In generale, i nuovi strumenti finanziari possono attenuare per le
imprese la proverbiale problematicità dell’accesso al credito, che in
Campania si accompagna a un
persistente maggior livello di rischio rispetto alle medie nazionali
del settore e agli altri settori d’impiego nella regione.
Al di là degli strumenti finanziari, è da sottolineare la complementarità tra diversi aspetti del
problema: a Napoli e in Campania il ruolo strategico delle opere
pubbliche va inserito in un disegno che non solo sia compatibile,
ma configuri effettivamente la possibilità di sblocco e rilancio dell’asfittico mercato privato. In tal modo si potrà favorire quell’articolazione e quella diversificazione produttiva del settore delle costruzioni oggi tanto necessaria quanto
realisticamente remota.
❑ ADRIANO GIANNOLA
❑ Mondonapoli
Il COPA (Cooperazione organismi professionali architetti) è un soggetto organizzativo che da qualche anno cerca
di «ri-fondare» un nuovo senso
comune sugli indirizzi strategici e programmatici della
categoria professionale dell’architetto, attraverso diverse
iniziative, conferenze e forum.
Promuove il progetto Mondonapoli, l’introduzione della cultura e delle pratiche partecipative nel territorio partenopeo.
7
Dalla città porosa
alla città addensata
di Maurizio Zanardi*
apoli appare oggi sulla scena pubblica, sul mercato
delle delle immagini, delle scritture e dei suoni, come una
città saturata dai poteri criminali o dai rifiuti, per nulla
spaziosa, tanto «occlusa» da aver perso quella «porosità» che
Walter Benjamin attribuì alla sua forma urbana. La città
sembra soffocare in un’assenza di poroi, ossia di passaggi, vie e
canali, che favoriscano quella scorrevolezza e «ibrida»
composizione di flussi, uomini, cose e forme, che Benjamin
considerava tipici della sua natura. E poiché poros significa
anche espediente e ricchezza, la crisi della «spazialità» a
Napoli fa tutt’uno con l’impoverimento della vita cittadina,
con il blocco dell’invenzione politica e intellettuale. Un tale
blocco ha preso vita in verità più di un decennio fa, ma solo
ora manifesta catastroficamente tutti i suoi effetti.
Il blocco - l’aporia - a Napoli si struttura dopo i primissimi
anni del cosiddetto «rinascimento». Il modo stesso di proporre
N
Una vista di Spaccanapoli
la città sul mercato internazionale del turismo, di rifarle il
look, gettando luce e splendore su alcune sue parti, quelle
presentabili e gradevoli, rimuovendo le parti «maledette» e
antiestetiche, ha di fatto costituito una spazialità urbana fatta
di brute esclusioni, che oggi manifestano tutto il loro
potenziale distruttivo. Vivendo solo delle proprie positività,
proteggendosi dal negativo, dai propri germi, bacilli e
parassiti, la città si è ammalata, come un corpo divorato e
paralizzato dagli anticorpi rimasti inutilizzati. La cosa si può
dire anche in un altro modo: in questi anni Napoli è entrata
nella globalizzazione secondo due modalità eterogenee, che
non si sono incontrate, depotenziandosi a vicenda. Da una
parte, il politico e i ceti intellettuali dominanti hanno puntato
sulla valorizzazione spettacolar-turistico-comunicativa del
presunto centro cittadino, la Napoli sede del G8; dall’altra,
anonime forze imprenditoriali, finanziarie, locali e
transnazionali, spesso - ma non sempre, giova ricordarlo colluse con i poteri criminali o addirittura catturate da essi,
hanno investito in processi altamente produttivi e pulviscolari,
localizzati in tutta l’estensione ormai sconfinata della città. In
questo modo, politica e produzione, città e metropoli non si
sono incontrate, portando anche urbanisticamente il segno di
questo mancato incontro. Alla visione delle bellezze di Napoli
i media, gli stessi che qualche anno fa glorificavano la città e il
suo politico, sostituiscono oggi la visione dell’orrore,
dell’ammasso urbano. Dalla città porosa alla città addensata,
opprimente, senza scampo o vuoto generativo.
Se l’architettura, come Benjamin stesso ricorda, è la più porosa
delle arti - non solo perché la più sensibile al cambiamento
proveniente dall’esterno, ma anche perché in grado di favorire
un uso multisensoriale e attivo dello spazio -, è di una ripresa
dell’architettura e di una sua esplicita alleanza con
l’urbanistica che c’è bisogno per la metropoli «porosa». Tocca
innanzitutto all’arte dello spazio diradare Napoli, sperimentare
forme che riaprano percorsi imprevisti ai flussi, che buchino
l’ammasso metropolitano, facendone saltare le divisioni reali o
immaginarie, senza nostalgie paralizzanti per la piccola e
armonica Napoli che fu, né sensi di colpa per l’intervento che
altera un profilo o una storia, che desacralizza gli spazi.
La misura al distruggere-costruire non verrà, neanche a
Napoli, dal blocco dell’operare ma solo dalla preoccupazione
comune per l’uso attivo dello spazio, per la sua
desacralizzazione. La porosità non si salva né con il proliferare
dei vincoli, con il blocco del costruire - anche perché la
metropoli non si ferma, prolifera, conducendo già ora Napoli
oltre Napoli - né con la logica del tutto va bene. Riprendere
con rigore e decisione la questione della porosità potrebbe
essere un buon programma sia per l’architettura e l’urbanistica,
sia per quell’intelletto metropolitano, fatto di studi, laboratori,
centri di assistenza, associazioni, reti, lavoro intellettuale
precario che pensa nella città e spesso anche la fa, senza avere
però potere sulla sua forma. Napoli laboratorio politicospaziale della porosità?
*Filosofo ed editore
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Edilizia e mercato
47, GENNAIO 2007
Disegnare scenari ragionevoli
NUOVE TENDENZE
Senza ombra di dubbio il boom immobiliare che abbiamo vissuto dal
1998 a oggi è stato il dato più rilevante per descrivere la fase economica attraversata dal nostro paese. In sostanza, tutti quelli che hanno
potuto, dalle famiglie agli imprenditori, hanno investito nel «mattone».
L’interrogativo su quando finirà questa fase espansiva (e con quali effetti) è alla base di una complessa riflessione che molti studiosi e operatori vanno elaborando. Gli ultimi dati relativi ai primi sei mesi del
2006 mostrano una dinamica delle compravendite ancora positiva, con
una situazione di crescita dei prezzi a valori costanti ma molto contenuta. Se il mercato non si è ancora fermato, ha certo ridotto la marcia: dalla quinta è passato alla prima, ed è in cerca di parcheggio.
Peraltro, l’analisi realizzata dal Cresme per la Borsa immobiliare di Roma, di cui l’articolo di De Alessandris dà conto, mostra come le compravendite interessino oggi molto più le nuove costruzioni rispetto al
passato (il 37% delle compravendite totali nel 2005, contro il 28% del
2000). Senza le nuove costruzioni le compravendite del patrimonio
usato nel periodo 2003-2006 sono sostanzialmente stagnanti. Inoltre,
la frenata del mercato appare più rilevante nei comuni capoluogo e
nelle grandi città, laddove il ciclo era partito, mentre più vivace è il
mercato della provincia. Insomma, segnali di frenata che con il 2007
dovrebbero accentuarsi, mentre l’offerta di nuovo si mostrerà in crescita (334.000 nuove abitazioni nel 2007 contro le 331.000 del 2006).
La sensazione di un mercato in rapido modificarsi si misura con molti indicatori: alcuni tipici delle analisi immobiliari (gli sconti sulle richieste, i tempi di vendita), altri più indiretti, come il fatto che le nuove costruzioni vengono sempre più trattate dalle agenzie immobiliari,
e quindi non collocate direttamente sul mercato.
Del resto, dal 1998 a oggi quasi il 30% dello stock abitativo italiano è
stato compravenduto. Una sorprendente operazione di scambio, di filtering si potrebbe dire, aggiungendo di filtering up per spiegare la corsa verso l’alto di una parte del mercato (venditori di case in proprietà di qualità minore rispetto a quelle cercate) che è stata alimentata,
dal basso, da una domanda primaria fatta di nuove famiglie con dimensioni da anni sessanta e settanta. Ma il processo vede anche una
dinamica di filtering down, di famiglie espulse dal ciclo ascendente e dalla speculazione immobiliare. Questa ondata di nuove famiglie italiane
e straniere, come dimostra una ricerca realizzata dal Cresme per
Ancab (Associazione nazionale cooperative di abitanti), di cui parla
Campanelli, è destinata nei prossimi anni a refluire su livelli più vicini
a quelli degli anni ottanta (ipotesi minima) o novanta (ipotesi massima), e comunque ben distanti dai picchi dei primi anni del 2000. Nel
futuro immediato la componente straniera sulla domanda primaria
crescerà sostanzialmente modificando in parte lo stesso mercato immobiliare, e questa domanda ammorbidirà una caduta che potrebbe
essere più brusca. ❑ Lorenzo Bellicini, direttore tecnico Cresme
Il mercato immobiliare
italiano rallenta
Negli ultimi anni si è rilevato un moderato incremento delle compravendite, ma è in atto
un netto spostamento dai capoluoghi ai comuni minori
I più recenti andamenti del mercato immobiliare italiano sono
improntati a un evidente rallentamento complessivo, dopo dieci anni di crescita delle compravendite e sette anni d’incrementi
dei valori. I segnali erano presenti
già a partire dal 2003, con un azzeramento della crescita delle
compravendite e una riduzione
nei tassi d’incremento dei prezzi.
I due anni successivi hanno visto
un nuovo incremento delle compravendite (+5,7% nel 2004 e
+3,7% nel 2005) e prezzi in crescita, ma con vigore decrescente
(in valori costanti +2,1% nel
2004, +1,9% nel 2005).
Nonostante tali segnali, il mercato immobiliare italiano, secondo le stime del Cresme, ha tenuto anche nel 2006, con un ulteriore incremento delle compravendite, salite a oltre 1.043.000
(+1,2%), e con un incremento
limitato dei valori immobiliari
pari a +1,6% in valori costanti
(+3,6% monetario).
Le variazioni a livello nazionale indicano dunque un moderato incremento delle compravendite, ma risulta in atto una modificazione strutturale del mercato dovuta sia al suo netto spostamento dai nuclei urbani alle
Indice dei prezzi in valori costanti per tipologia insediativa (1992=100)
1998
2000
2002
2004
2005
In Italia
91,3
94,4
106,0
111,5
113,6
Città metropolitane
75,0
81,2
92,7
100,8
101,3
Comuni delle corone
86,4
84,9
95,6
101,2
103,5
metropolitane
Capoluoghi di media
106,6
109,1
122,0
130,0
132,8
dimensione
Comuni medio-piccoli
99,7
102,4
113,7
116,3
118,8
Comuni turistici
98,3
98,9
110,9
117,0
122,4
Crescita media annua del numero di famiglie nel
decennio 2006-2016 secondo diverse ipotesi sui flussi
migratori con l’estero
Saldo migratorio annuo
150.000 stranieri
200.000 stranieri
250.000 stranieri
300.000 stranieri
Senza nuovi ingressi
Fonte: stima Cresme su dati Istat
n. famiglie
146.446
164.351
182.256
200.163
92.730
presenta un riferimento più stabile per la definizione di uno scenario di medio periodo. D’altra parte l’apporto di manodopera straniera costituisce un fattore sempre
più decisivo per lo sviluppo dell’economia nazionale e ne è prova
il bilancio dei flussi del 2005, con
oltre il 77% delle domande di assunzione di extracomunitari non
stagionali rimaste inevase per l’insufficienza delle quote assegnate.
L’apporto di popolazione straniera, prevalentemente costituito da
classi in età lavorativa, determina
un forte impatto sugli scenari demografici e, quindi, sulla dinamica delle nuove famiglie e sulla domanda primaria di abitazioni.
Nell’ipotesi di assenza di movimento migratorio, infatti, nel decennio 2006-2016 la crescita media del numero di famiglie sarebbe di sole 92.730 unità all’anno.
In base alle diverse ipotesi alternative sulla consistenza dei flussi migratori, invece, la crescita media
annua del numero di famiglie potrebbe oscillare tra un minimo di
121,4
126,3
* Stima. Fonte: elaborazione Cresme/Si su dati OMI - Agenzia del Territorio per Borsa immobiliare di Roma
cinture metropolitane e ai comuni più esterni, sia al peso esercitato dalle nuove costruzioni.
La crescita ha investito, tra il
1997 e il 2000, principalmente i
capoluoghi di provincia (+37%
le compravendite nel periodo),
mentre gli altri comuni delle
province italiane crescevano,
nello stesso periodo, del 21,9%.
Tra il 2001 e il 2003 si è invertita la tendenza, con i capoluoghi
Nello scenario futuro la componente straniera è destinata a svolgere un ruolo decisivo
nel mercato immobiliare
si sui flussi migratori. L’Istat, infatti, assume per tutto il periodo di
previsione un saldo netto con l’estero di 150.000 unità annue, un
valore decisamente inferiore ai livelli attuali. Nel 2003 il saldo migratorio con l’estero ha toccato le
408.000 unità, passando a
380.000 nel 2004 e a 261.000 nel
2005. Se è vero che il valore del
2003 e del 2004 risente dell’effetto
diretto della sanatoria delle presenze straniere irregolari (legge n.
189/2002 e legge n. 222/2002) e
pertanto costituisce un dato eccezionale, il valore del 2005 sperimenta l’effetto moltiplicatore delle regolarizzazioni sui ricongiungimenti familiari e pertanto rap-
135,3
Numero di compravendite di abitazioni di nuova costruzione e usate (1997-2006)
Compravendite
Compravendite
Compravendite
Quota di compravendite
rilevate
abitazioni nuove
abitazioni usate
di abitazioni nuove
2000
710.935
198.000
512.935
27,9%
2001
699.581
-1,6%
222.000
12,1%
477.581
-6,9%
31,7%
2002
783.379
12,0%
242.000
9,0%
541.379
13,4%
30,9%
2003
783.718
0,0%
252.000
4,1%
531.718
-1,8%
32,2%
2004
825.395
5,3%
278.000
10,3%
547.395
2,9%
33,7%
2005
856.018
3,7%
304.000
9,4%
552.018
0,8%
35,5%
2006*
890.286
4,0%
331.000
8,9%
559.286
1,3%
37,2%
Domanda abitativa e immigrazione
Sopra e a lato, progetto del complesso residenziale a Milano Santa Giulia di Norman
Foster, Paolo Caputo e Giovanni Carminati (in corso di realizzazione)
2006
115,4
101,0
106,7
Fonte: Cresme/Si
PREVISIONI 2006-2016
L’ultimo scenario demografico
elaborato dall’Istat su base 2004,
del quale sono stati diffusi i risultati provvisori a livello nazionale,
definisce un andamento della popolazione in crescita fino al 2014,
con un sensibile calo nel periodo
successivo. La popolazione italiana passerà dai 58,5 milioni di abitanti del 2004 a 59,2 milioni nel
2014, per poi scendere a 58,5 nel
2026. Già con la pubblicazione
del dato ufficiale sulla popolazione residente al 2005, si può però
constatare uno scarto tra previsione e rilevazione (il risultato dell’esercizio previsionale conta
157.438 abitanti in meno) che dipende essenzialmente dalle ipote-
9
146.000 e un massimo di 200.000
unità. Quindi, senza considerare
gli stranieri già residenti in Italia
(che al 2005 costituiscono circa il
4% della popolazione totale e
l’8% della classe 25-34 anni), il
contributo della popolazione straniera alla crescita delle famiglie
potrà oscillare tra un minimo del
37% e un massimo del 54%.
Negli anni settanta la crescita media annua delle famiglie era stata
di 265.000 unità, negli anni ottanta si scendeva a 128.000 unità,
per poi risalire a 190.000 unità negli anni novanta. Nel quinquennio 2001-2006 la media annua
delle nuove famiglie supera le
300.000 unità.
Nei prossimi dieci anni l’apporto
di popolazione straniera non sarà
sufficiente a recuperare il vuoto lasciato dal passaggio dell’onda del
baby boom, anche se potrà garantire un «atterraggio morbido del
mercato». Nella fase espansiva, infatti, la forte crescita della domanda primaria di giovani coppie e
stranieri, assicurando il rapido assorbimento dello stock edilizio di
qualità medio-bassa, sta esercitando un ruolo propulsivo del mercato. Nello scenario futuro, caratterizzato da un ridimensionamento della domanda autoctona, la
componente straniera è destinata a
svolgere un ruolo decisivo.
❑ ENRICO CAMPANELLI,
Cresme
in crescita del 2,0% e gli altri comuni in aumento del 14,4%.
Negli ultimi tre anni osservati
(compresa la stima per il 2006)
si rileva una ripresa della crescita dei capoluoghi (+6% tra 2004
e 2006), ma negli altri centri ciò
un elevato numero di abitazioni
di nuova costruzione. Dal confronto diretto delle compravendite rilevate dall’OMI - Agenzia
del Territorio (integrate della stima delle province mancanti)
con i dati sulla produzione di
«Sull’andamento delle compravendite
negli ultimi anni incide in misura notevole
l’ultimazione di un elevato numero
di abitazioni di nuova costruzione»
avviene a un ritmo quasi triplo
(+17%). Questo sostanziale
spostamento è evidenziato nelle
quote di mercato delle due aggregazioni territoriali: i capoluoghi scendono dal 33,6% del
2000 fino a una quota stimata
per il 2006 pari al 29,1% (–4,5%
in sei anni).
Anche i prezzi delle abitazioni,
cresciuti a ritmi superiori nelle
grandi città nel periodo 19992004, nel 2005 e nella stima per
il 2006 crescono in misura maggiore nei comuni di minori dimensioni.
Nel 2006, inoltre, nelle grandi
città si osserva una variazione negativa per la prima volta dopo
sette anni, con l’indice dei prezzi che segna una contrazione di
0,3 punti: una lieve riduzione
che rappresenta un chiaro segnale d’inversione del ciclo a
partire proprio dai luoghi in cui
le dinamiche recenti avevano
prodotto le tensioni maggiori.
Oltre a tale fenomeno, sull’andamento delle compravendite
negli ultimi anni incide in misura notevole l’ultimazione di
abitazioni dal 2000 in poi, si osserva che il numero di case nuove è cresciuto in misura molto superiore (spesso a tassi vicini o superiori al 9% annuo) rispetto all’incremento delle compravendite complessive, il cui tasso medio di crescita annuo supera di
poco il 4%.
Tale differenza nei tassi d’incremento si estrinseca in un forte aumento dell’incidenza delle nuove realizzazioni sulle compravendite complessive, che passa
dal 27,9% nel 2000 al 37,2% stimato per il 2006. Parallelamente si osserva una dinamica discontinua per le compravendite
di abitazioni usate con una forte
crescita nel 2002 (+13,4%) ma
con un’estrema stabilità negli
anni successivi, in cui si osservano tra le 532 e le 559.000 operazioni. Il mercato delle abitazioni usate è ormai stabile da qualche anno, mentre le nuove costruzioni che trainano il mercato nel complesso sono l’eco di un
boom del passato.
❑ PAOLO D’ALESSANDRIS,
Cresme
10
Professioni
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Rivelazioni postume
Con una spumeggiante cerimonia son et lumière, prova generale per il
congresso mondiale degli architetti del prossimo anno, l’Ordine degli
Architetti di Torino ha assegnato il 12 dicembre una serie di riconoscimenti. Due premi sono stati assegnati a «cultori» dell’architettura (Alberto Vanelli e Domenico Arcidiacono), mentre 11 edifici del Novecento costruiti a Torino e in provincia sono stati segnalati all’attenzione pubblica. Queste «Architetture rivelate» - dalla casa per dipendenti Michelin di Mario Passanti e Paolo Perona (1939) all’edificio per
campus delle Biotecnologie di Luciano Pia (vedi il «Progetto del mese», pp. 21-23) - verranno dotate di una targa che, se non corrisponde
a una forma ufficiale di tutela, costituisce un segnale di attenzione e un
freno a interventi di alterazione. Il presidente della giuria che ha selezionato le opere, Gian Pio Zuccotti, ha espresso soddisfazione, ma ha
fatto rilevare anche un dato preoccupante: 6 degli 11 edifici selezionati sono di architetti non più in vita. Se da un lato è lodevole che
un Ordine riconosca i propri «monumenti» del XX secolo, è triste che
non vi siano se non pochissime opere realizzate negli ultimi anni degne
di essere menzionate per qualità, funzionalità, significato. In vista della
prossima edizione la giuria, nel rilevare questo paradosso, invita pertanto in modo particolare i giovani progettisti a segnalare in modo sistematico all’Ordine le opere in cui, andando oltre la mera edilizia, «han-
no tentato di fare Architettura».
Con una scelta a sorpresa,
intanto, l’Ordine statunitense degli architetti (AIA)
ha premiato con una postuma Medaglia d’oro per il
2007 Edward Larrabee
Barnes (1915-2004): la
scuola di artigianato di Haystack Mountain a Deer Island (Maine, 1961) e il grattacielo della IBM a New York
(1975; nella foto, un interno) segnano i due poli, dell’indagine su forme e materiali della tradizione vernacolare nordamericana da un
lato, e del rigore moderno
dall’altro, intorno a cui si è
dipanata la sua carriera.
Restauro Beni Artistici e Storici,
Restauro Archeologico,
Restauro Conservativo e di
Consolidamento, Prodotti e
Materiali per il Restauro,
Attrezzature e Servizi di
Rilevamento, Servizi di
diagnostica, Strumentazioni e
Apparecchiature per il Restauro,
Disinfezione, Disinfestazione,
Sterilizzazione, Sicurezza,
Impiantistica, Illuminotecnica per
l'Arte e l'Architettura, Multimedia
e Software, Istituti ed Enti di
Formazione Professionale,
Associazioni, Enti Pubblici e
Privati, Istituti di Credito e
Fondazioni per l'Arte, Centri di
Ricerca e Catalogazione,
Ambiente, Tutela e Recupero,
Turismo Culturale, Musei,
Gallerie, Biblioteche, Archivi,
Sistemi Museali, Servizi, Editoria.
47, GENNAIO 2007
ELIO LUZI (1927-2006)
Un caleidoscopio
di abitazioni
Da qualche settimana ci manca Elio Luzi, l’architetto che
dal secondo dopoguerra a oggi ha esplorato il tema dell’abitazione in una serie infinita
di variazioni, dalla casa unifamiliare in collina, ai condomini per le imprese, suo principale committente, alle case popolari, riuscendo a coniugare
i vincoli dei costruttori con la
volontà di disegnare luoghi
per l’abitare personalizzati anche in grandi complessi, capaci di inserirsi con sottile ironia
nella rigida trama torinese, suo principale teatro d’azione. Per
questo, una scatola d’immagini per raccontare Elio Luzi dovrebbe contenere almeno le case torinesi per l’impresa Manolino (anni cinquanta e sessanta); dalla folie signorile di piazza Crimea,
con le facciate ondulate modellate da conchiglie in pietra artificiale, alle architetture che hanno movimentato gli allineamenti
urbani con lievi scarti, rotazioni, aggetti in pianta e alzato, sul filo d’equilibrio del regolamento edilizio: come le tre torri di piazza Pitagora, cemento martellinato e mattone paramano, foreste
di colonne per paesaggi inconsueti nei piani pilotis e alloggi tutti diversi, proiettati a guardare obliquamente la città. E poi le architetture giocose e ironiche: la casa-castello di Chieri con pannelli decorati in graniglia (1956); il recinto in mattone traforato
con il nome del costruttore in strada del Drosso (1974). E ancora, le sperimentazioni di colori e materiali: mattoni smaltati e colorati, tettucci in plastica, vernici fluorescenti, griglie metalliche,
dal Residence di via Ormea alla Torre Mirafiori (in tandem con
Sergio Jaretti, compagno di lavoro fino al 1974); la rivisitazione
del condominio montano, trasformato a Bardonecchia in villaggio di facciate colorate, fino alla sparizione della casa nel progetto di Marmottopoli a Monginevro (1976), residence ipogeo con
affacci da cupolini vetrati, come teste di marmotte dalle tane; i
progetti per grandi temi non residenziali mai realizzati; i lavori
recenti nel nuovo boom edilizio torinese, che cercano di dare un
significato e un’immagine individuale alle abitazioni collettive,
come in via Medici, o che giocano con l’esagerazione di colonnati, balconi, aggetti, da via Bava (1995) alla Spina 3 (2006).
Poi ci sarebbe tutto il resto: gli schizzi che tappezzano lo studio
con tracce a matita grassa d’infinite variazioni progettuali, i racconti fantasmagorici, lo sguardo capace di leggere sempre il lato
ironico delle situazioni. Ma la scatola non può contenere tutto,
solo fare intuire lo spirito luziano: soffio leggero dissacrante e pirotecnico come i pinnacoli delle sue architetture più divertite.
❑ LUCA BARELLO
In alto, una delle torri Pitagora (1963-1965); sopra, schizzo per le palazzine di via Medici (1980-1986), entrambe a
Torino
Roma, Musei Capitolini (foto museo, R. Lucignani)
❑ Luigi Spezzaferro (1942-2006)
22-25 Marzo 2007
XIV Edizione FerraraFiere
In collaborazione con:
Istituto per i Beni Artistici Culturali
e Naturali della Regione EmiliaRomagna
Con il patrocinio di:
Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Ministero degli
Affari Esteri
Segreteria Organizzativa
Acropoli srl
V.le Mercanzia , Blocco 2B, Gall. A n°70
40050 Centergross (Bologna) - Italy
T +39/051/6646832
F +39/051/864313
e-mail: [email protected]
www.salonedelrestauro.com
Ho conosciuto Spezzaferro prima ancora di conoscerlo, quando ancora dottorando facevo il pendolare tra Roma e Venezia e la sua fama
di studioso rigoroso, di brillante intrattenitore di colleghi, studenti e
semplici viaggiatori mi era già stata ampiamente delineata. I racconti
dei docenti dello IUAV,di Claudia Conforti,di Christoph Luitpold Frommel e di tutta la comunità tedesca della Bibliotheca Hertziana di Roma, ma anche dei suoi numerosi allievi, lo avevano infatti reso estremamente popolare. E la prima volta che parlai con lui delle maestranze lombarde che avevano contribuito a edificare alla fine del Cinquecento alcuni dei più significativi monumenti capitolini, mi sembrava di
parlare con un amico di vecchia data, vista la bonarietà e la schiettezza che animavano i sui discorsi. Eppure Spezzaferro era uno storico di
vaglia, costantemente invitato a seminari, dibattiti, convegni per la sua
serenità di giudizio e per l’acutezza critica che contraddistingueva i
suoi interventi. Ma restringere l’operato di Spezzaferro nella
sfera della storia dell’arte è riduttivo: appartengono alla sua produzione pubblicazioni di carattere prettamente architettonico, che
hanno lasciato un segno nella storia della critica. Si va dall’innovatore
volume Via Giulia (scritto nel 1975 con Manfredo Tafuri e Luigi Salerno), alla cura del volume sul Campidoglio e Sisto V (del 1991,
con Maria Elisa Tittoni) fino al significativo Fabbriche e architetti
ticinesi nella Roma barocca (1989, curato con Giovanna Curcio),
nella cui introduzione traccia le linee guida di una ricerca su committenza e imprenditoria edile mantenuta sino agli ultimi lavori della sua
vita. ❑ Giuseppe Bonaccorso
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Tra le novità introdotte del Codice De Lise (nuovo Codice degli appalti pubblici di lavori),
merita attenzione la disciplina
dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo, contenuta negli artt. 32, comma 1, lett.
g) e 122, comma 8.
In base alla prima di queste norme, relativamente alle opere sotto-soglia comunitaria (5.278.000
euro), il titolare del permesso di
costruire ha la facoltà di eseguire
direttamente le opere di urbanizzazione primaria correlate al singolo intervento assentito.
Per quanto concerne invece le
opere di urbanizzazione primaria
sopra-soglia e quelle secondarie
sia sopra che sotto-soglia, la netta presa di posizione prima della
giurisprudenza comunitaria e in
seguito anche della giurisprudenza costituzionale italiana hanno
orientato gli estensori del Codice
verso una soluzione che contemperasse la tutela della concorrenza con la possibilità del titolare
del permesso di costruire di eseguire direttamente le opere.
In tal senso l’art. 32 ha previsto
una procedura modellata sulla
falsariga del project financing, in base alla quale il titolare del permesso di costruire assume la veste di
promotore, elabora la progettazione preliminare delle opere di
urbanizzazione sulla quale viene
svolta una gara e successivamente ha la facoltà di esercitare il diritto di prelazione nei confronti
dell’aggiudicatario, corrispondendogli il valore del 3% dell’ammontare dell’appalto e assumendo, in tal modo, il diritto di
eseguire tali opere.
La genesi legislativa
L’art. 32 del nuovo codice sostituisce l’art. 2, comma 5, della legge n. 109/1994 (legge Merloni),
che era stato introdotto dopo la
sentenza della Corte CE del 12
luglio 2001 (la cosiddetta Scala
bis), con la quale si era affermato
il principio dell’affidamento
(mediante gara pubblica) dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo quando il valore delle stesse superi la soglia fissata dalla norma comunitaria.
Rispetto all’art. 2 della Merloni
vi sono alcune differenze di cui è
opportuno dar conto.
In primo luogo, è assente il riferimento alla locuzione «singole
Professioni
47, GENNAIO 2007
11
NUOVO CODICE APPALTI
Opere a scomputo degli oneri
d’urbanizzazione
Le opere di urbanizzazione primaria sotto-soglia (cioè sotto i 5,2 milioni) potranno essere affidate direttamente senza gara
al costruttore; per quelle sopra-soglia il titolare del permesso di costruire potrà proporsi come «promotore» del project financing
marie quali, ad esempio, la pubblica illuminazione, funzionalmente inscindibili dall’intervento edilizio cui accedono. Ragioni di opportunità, quindi, suggeriscono, in ordine alla loro esecuzione, unitarietà di tempi e
realizzazione.
La seconda novità riguarda le urbanizzazioni secondarie: per
queste opere, anche quando siano di importo inferiore alla soglia
comunitaria, sarà necessaria la
gara pubblica.
❑ FRANCESCO MARZARI,
avvocato
Opere di urbanizzazione
primaria e secondaria
Sono opere di urbanizzazione primaria:
pubblica illuminazione; spazi di verde attrezzato; strade; spazi di sosta
o di parcheggio; fognature e impianti di depurazione; rete idrica; rete
di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; impianti cimiteriali.
Sono opere di urbanizzazione secondaria:
asili nido e scuole materne; scuole dell’obbligo; mercati di quartiere
nonché strutture complesse per l’istruzione superiore all’obbligo; delegazioni comunali; chiese e altri edifici per servizi religiosi; impianti
sportivi di quartiere; centri sociali ed attrezzature culturali e sanitarie; aree verdi di quartiere.
Il teatro degli Arcimboldi e il quartiere della Bicocca a Milano, di Gregotti Associati International (foto di Donato di Bello da Progetto Bicocca. Il teatro degli Arcimboldi, Skira, Milano 2004)
opere d’importo superiore alla
soglia comunitaria». La logica
dell’art. 2 era quella di evitare che
le diverse urbanizzazioni previste da una convenzione potessero essere considerate, ai fini della
soglia comunitaria, una sola opera. Quindi, il privato doveva verificare (in relazione a ogni singola urbanizzazione) se questa
raggiungeva, o meno, la soglia.
In caso positivo, egli era tenuto
ad affidarne a terzi la realizzazione, mediante le procedure indicate dalla Direttiva. L’art. 32
non contiene una previsione analoga. La circostanza non è però
decisiva. Infatti, se la suddivisione delle urbanizzazioni non è fittizia (cioè tesa a evitare il raggiungimento della soglia) ma, al
contrario, riflette opere realmente autonome, allora è senz’altro
legittimo verificare l’importo di
ogni singola opera per accertare
l’obbligo, o meno, della gara
pubblica.
Una seconda differenza riguarda
il riferimento «a quanto agli interventi assimilabile» contenuto nell’art. 2. Come evidenziato, le disposizioni della Merloni non si applicavano agli interventi eseguiti
a scomputo dei contributi di urbanizzazione o conseguenti alla
stipula di una convenzione di lottizzazione e «a quanto agli interventi assimilabile». Con questa
formula il legislatore si riferiva a
quelle opere pubbliche che il privato si impegnava a eseguire, nell’ambito di piani attuativi anche
diversi dal piano di lottizzazione.
Anche in questo caso la differenza non risulta significativa. Il rinvio che l’art. 32 opera all’art. 28,
comma 5, della legge n.
1150/1942 non può essere interpretato restrittivamente come fosse riferito ai soli piani di lottizzazione. I contenuti della convenzione di lottizzazione, infatti, sono comuni a tutti i piani attuativi
(dai Programmi integrati d’in-
Urbanizzazioni a scomputo,
così ha deciso la Corte di Giustizia
La pronuncia della Corte del Lussemburgo ha tratto origine da un’ordinanza di remissione del TAR
Lombardia, con la quale il giudice nazionale ha chiesto alla Corte comunitaria di verificare la compatibilità tra la legislazione italiana, che consente la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione da
parte del proprietario del suolo, e la normativa europea in tema di appalti che, invece, ritiene necessario lo svolgimento di una gara pubblica.
La vicenda che ha dato origine al procedimento è
scaturita dall’approvazione del Piano di lottizzazione
per la riconversione dell’area ex industriale Pirelli a
Milano-Bicocca. L’Amministrazione comunale, infatti,aveva approvato,nel 1996,il «Progetto Scala 2001»,
che prevedeva il restauro e la sistemazione dell’edificio storico del Teatro alla Scala, la trasformazione
di alcuni stabili comunali dell’ex Ansaldo in zona Porta Genova e la costruzione di un nuovo teatro (degli Arcimboldi) alla Bicocca.
A tal fine, l’Amministrazione aveva approvato una
convenzione di lottizzazione con la società proprietaria dell’area ex Pirelli, con l’Ente autonomo Teatro
alla Scala e con Milano centrale servizi Spa (MCS) che
agiva quale mandataria dei soggetti promotori della
lottizzazione. Secondo tale convenzione, MCS si impegnava a realizzare un nuovo teatro e la relativa area
di parcheggio come opera di urbanizzazione secon-
daria a scomputo dei contributi previsti dalla normativa nazionale e regionale per la nuova edificazione.
Le delibere comunali sono state impugnate dall’Ordine degli Architetti di Milano-Lodi con ricorso al
TAR Lombardia e sono state contestate in quanto il
nuovo teatro avrebbe presentato le caratteristiche
di un’opera pubblica di carattere sovracomunale non
realizzabile come opera di urbanizzazione secondaria e in assenza di un affidamento nel rispetto delle
procedure di evidenza pubblica imposte dalla normativa comunitaria.
Il TAR Lombardia, considerando non manifestamente infondata la doglianza sollevata in relazione alla
violazione delle disposizioni sull’assegnazione di lavori pubblici, ha sospeso il giudizio e proposto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, al fine di accertare la normativa prevalente.
La Corte di Giustizia ha ritenuto che «la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione secondo le
condizioni e le modalità previste dalla normativa italiana in materia urbanistica costituisce appalto pubblico di lavori». Conseguentemente, «nel caso in cui
l’importo stimato di un’opera di questo tipo, Iva
esclusa, eguagli o superi la soglia fissata dalla direttiva», deve trovare applicazione la normativa comunitaria. ❑ F. M.
tervento ai Programmi di riqualificazione urbana). L’art. 32,
quindi, si applicherà a tutte le urbanizzazioni previste dagli strumenti attuativi.
La prelazione
La novità di maggiore rilievo è
rappresentata da una gara ispirata
al project financing. L’art. 32, infatti, dispone che la Pubblica amministrazione possa stabilire che, relativamente alle urbanizzazioni, il
titolare del permesso di costruire
assuma la veste di promotore. Entro 90 giorni dal rilascio del permesso, il promotore deve presentare all’Amministrazione la progettazione preliminare delle opere
di urbanizzazione ai fini dell’approvazione (anche se, sul punto,
la norma tace). Intervenuta l’approvazione, il promotore bandisce la gara per l’esecuzione delle
opere, all’esito della quale - purché previsto dal bando di gara può esercitare il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario. A titolo di compensazione, il
promotore deve corrispondere all’aggiudicatario il 3% del valore
dell’appalto aggiudicato.
La norma solleva qualche perplessità nella parte in cui ripropone la prelazione, già censurata dalla Commissione CE in relazione
alla disciplina del project financing.
La Commissione, infatti, aveva
espresso il timore che, riconoscendo la prelazione al promotore, si
potesse operare un’indebita restrizione della concorrenza.
Le urbanizzazioni
sotto soglia e le
urbanizzazioni
secondarie
Per quanto concerne le opere sotto-soglia, l’art. 122, comma 8,
prevede, limitatamente alle opere di urbanizzazione primaria,
che il titolare del permesso di costruire possa eseguirle direttamente, purché siano correlate al
singolo intervento edilizio assentito.
La norma ha una portata semplificatrice condivisibile. Si tratta, infatti, d’infrastrutture pri-
DOPO IL RICORSO DI CONFEDILIZIA
Fascicolo illegittimo
La sentenza del TAR Lazio sospende l’obbligo
per i proprietari di presentare la certificazione
sulla salute degli immobili
ROMA. Con la sentenza n. 12320
del 13 novembre, il TAR Lazio ha
dichiarato illegittimo il fascicolo
di fabbricato istituito dal Comune. Il documento è stato introdotto dalla legge regionale n. 31 del
12 settembre 2002, che consentiva
ai Comuni del Lazio d’istituire
un fascicolo per ogni fabbricato
esistente o di nuova costruzione,
per conoscere lo stato di conservazione del patrimonio edilizio e per
individuare le eventuali situazioni
di rischio.
Il Comune di Roma, con delibera n. 27 del 24 febbraio 2004 ha
istituito il fascicolo, richiedendo
anche i dati sulla situazione geologica, geotecnica e agroforestale
dell’area e prevedendo la possibilità che il tecnico incaricato, in caso di necessità, proponesse ulteriori approfondimenti conoscitivi
per eseguire interventi idonei a rimettere in sicurezza lo stabile. Secondo i giudici del TAR, il provvedimento comunale è «un inutile dispendio d’attività amministrativa» e una «vana duplicazione di adempimenti in capo ai proprietari», che «sono stati costretti a
fornire al Comune atti e notizie sui
loro edifici di per sé acquisiti o facilmente conoscibili da parte della P.A.».
Immediata la risposta del Comune di Roma, che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per
chiedere la sospensiva della pronuncia del TAR. «La sentenza»,
afferma il Comune, «è contraria
agli intendimenti e alla filosofia
dell’Amministrazione comunale». L’espressa finalità del fascicolo era quella di approfondire su
tutto il territorio le caratteristiche
sismiche, geologiche, geotecniche
di suolo e sottosuolo e di verificare le condizioni di reti fognarie,
impianti, presenza di edificazioni
abusive e quanto altro potesse pregiudicare, ove non adeguatamente monitorato, la sicurezza di un
edificio. Le condizioni statiche e
l’impiantistica dei singoli edifici
sarebbero state dunque analiticamente mappate permettendo, se
non conformi ai dettami di sicurezza, adeguati interventi di consolidamento e ripristino.
Il libretto è stato voluto «per prevenire altre situazioni di pericolo»
(si ricorda che la delibera del Comune di Roma fu varata dopo il
crollo di una palazzina in cui morirono 28 persone). «La salvaguardia del patrimonio cittadino
è una preoccupazione primaria
per il Campidoglio». In particolare, poi, il Comune contesta la
motivazione del TAR secondo cui
il fascicolo sarebbe il duplicato dei
dati già esistenti presso l’amministrazione pubblica. «Al contrario, non è il Campidoglio che
chiede il libretto casa per avere la
documentazione tecnica, ma è il
Comune che fornisce ai tecnici incaricati di redigere il fascicolo i
progetti e gli atti necessari a completare la documentazione e a effettuare la relazione finale. Il tecnico incaricato poi consegnerà la
documentazione ai proprietari e
non all’amministrazione, perchè
sono loro che li devono tenere e custodire».
Indipendentemente dall’esito del
ricorso, è comunque deludente il
primo bilancio della misura. Solo il 12% dei 100.000 immobili
più antichi (costruiti prima del
1940) hanno presentato il libretto
casa al Comune, anche se il regolamento regionale ne prevedeva la
messa in regola entro marzo 2005.
Tra i morosi anche il Campidoglio. ❑ M. S.
12
Formazione
❑ Per aggiornarsi sui giardini storici
Partirà il 16 gennaio l’ormai consueto corso di aggiornamento sul
giardino storico proposto dal Gruppo Giardino Storico di Padova in collaborazione con l’Università degli Studi. Il corso,
giunto alla sua diciassettesima edizione, si intitola «Paesaggi e patrimonio: natura, arte e società» e inizierà i lavori con la presentazione dell’ultimo volume del Gruppo Giardino Storico, «Per un giardino della Terra». Seguiranno una serie di incontri e numerose visite (tra cui quelle a Montagnana e agli orti di Venezia, previste rispettivamente il 31 marzo e il 19 maggio), che si concluderanno tra il 10 e
il 17 giugno con il viaggio di studio «Il patrimonio paesaggistico dei Pirenei: il massiccio del Mont Perdu e le politiche di conservazione del
patrimonio montano in Francia e Spagna». Per parteciparvi sono necessari l’iscrizione e il versamento di una quota di 85 euro (45 per gli
studenti) ([email protected]; http//dept.bio.unipd.it/giardino_
storico).
❑ Cercasi progetti per case sull’acqua
La società britannica Corus Construction (specializzata nella produzione e fornitura di manufatti metallici), in collaborazione con Steel
Construction Institute, British Constructional Steelwork Association
Limited, «The Architect’s Journal» e RIBA Education, ha bandito la diciannovesima edizione della Corus Architectural Student Competition, che si propone di raccogliere idee attorno al tema H2Ouse - Living on the Water. L’obiettivo è l’elaborazione di proposte
per case sull’acqua che facciano uso dell’acciaio, siano accessibili al
maggior numero di persone possibile e utilizzabili universalmente in
caso di disastri di ogni genere. La scadenza d’iscrizione (www.corusconstruction.com/casa) è il 23 febbraio, mentre gli elaborati progettuali dovranno essere inviati entro il 18 maggio. I vincitori, che si
divideranno un montepremi di 5.000 sterline, saranno proclamati il 27
giugno presso il RIBA. Sono ammessi alla partecipazione gli studenti di
tutte le scuole di architettura britanniche riconosciute dal RIBA e quelli iscritti, a ogni livello, alle scuole di tutta Europa.
❑ Insegnare l’architettura
La Topaz Medallion for Excellence in Architectural Education
è stata recentemente conferita a Lance Jay Brown. Il prestigioso riconoscimento viene consegnato annualmente dall’American Institute
of Architects (AIA) in collaborazione con l’Association of Collegiate
Schools of Architecture (ACSA) al docente che si è distinto nell’insegnamento dell’architettura negli Stati Uniti per un periodo di almeno
dieci anni. Brown, che ha compito i suoi studi alla Cooper Union e alla Graduate School of Design di Harvard, è architetto urban planner e ha a lungo insegnato presso la School of Architecture, Urban
Design, and Landscape Architecture del City College di New York
(CCNY), di cui è stato direttore per dieci anni. Fra i suoi scritti si ricordano il «Planning and design workbook for community participation» (1970) e i più recenti studi su Manhattan e New York dopo l’11
settembre, «Between expedience and deliberation: decision-making
for post 9-11 New York» (2002) e «Introduction and chapter 2 of learning from lower Manhattan» (2005).
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
WORKSHOP PROGETTUALI: LE «ISOLE DEL TESORO»
Gli studenti ripensano
il territorio
Sette laboratori di progettazione in otto Comuni toscani per sperimentare la pratica architettonica
con la guida di giovani professionisti affermati
FIRENZE. Le esperienze di lavo-
ro sul territorio si stanno affermando come strumento parallelo a un percorso di studi basato
su lezioni in aula e libri di testo.
Le «Isole del tesoro», organizzato da iMage, promosso dalla Regione Toscana, ha percorso questa strada: come «campus territoriale per la cultura contemporanea» ha puntato sull’intervento diretto in luoghi reali a fini didattici, per suggerire nuove modalità di apprendimento della
pratica architettonica, nei nostri
atenei spesso slegata dalla realtà.
Tra ottobre e novembre si sono
svolti, in otto Comuni toscani,
sette laboratori della durata di
una settimana (aperti a studenti
provenienti da tutta Italia e guidati da tutors affermati). L’individuazione delle peculiarità dei
territori interessati, tra loro assai
eterogenei, e delle tematiche più
urgenti ha permesso di scegliere
episodi sui quali riflettere e proporre soluzioni. L’identificazione di edifici in disuso, di carenze infrastrutturali o mancanza di
spazi ha portato all’ideazione di
nuove centralità e strutture.
A Capoliveri e Rio nell’Elba
(Livorno) la presenza di miniere per l’estrazione del ferro è stata l’occasione per proporne un
riuso come parco interattivo,
ideato con la supervisione di Idlab. Similmente è avvenuto a
Due delle sette proposte progettuali del workshop «Le Isole del tesoro»: quella per Peccioli (tutor Marco Navara - NOWA) e quella per San Giovanni Valdarno (tutor Ian+)
San Giovanni Valdarno (Arezzo), dove Ian+ e il suo gruppo
hanno riformulato un parco fluviale già potenzialmente presente sul territorio. A San Gimignano (Siena) dall’ex carcere di
San Domenico è nato un nuovo
spazio teatrale all’aperto, per il
quale 5+1AA offrivano tre differenti scenari. Gruppo A12 ha
invece guidato gli studenti nel ridisegno del centro di Poggio a
Caiano (Prato), puntando su
quattro nuove polarità. A Pra-
CONCORSI EUROPEI PER STUDENTI
Le President’s Medals parlano britannico
Una sede per gli archivi di Lord Kelvin, una casa sul Tamigi e uno studio sui CenterParcs
si aggiudicano i premi del RIBA, che lancia la Norman Foster Travelling Scholarship
Si è conclusa il 6 dicembre con una cerimonia nei locali del Royal Institute of British
Architects (RIBA) l’edizione
2006 del RIBA President’s Medals
Students Awards, uno degli storici (la prima edizione risale addirittura agli anni cinquanta dell’Ottocento) e più prestigiosi concorsi per studenti di architettura
organizzati in Europa.
Come ogni anno, i principali premi messi in palio erano tre per tre
distinte categorie di partecipazione: la Bronze e la Silver Medal per
progetti elaborati rispettivamente
da studenti dei primi tre anni di
corso e da quelli iscritti ai livelli
successivi di formazione universitaria (sono ammesse alla partecipazione le scuole accreditate dal
RIBA, che riconosce molte scuole
britanniche ma altrettante sparse
in giro per il mondo), e la Dissertation Medal per scritti di tema architettonico presentati da studenti
di tutti i livelli. A questi si affiancavano numerose segnalazioni e
premi messi a disposizione dagli
illustri sponsor del concorso: due
Serjeant Award for Excellence in
Drawing, due Skidmore Owings
& Merrill Travelling Fellowship
e un iGuzzini Travelling Award.
I premi principali sono andati a
LONDRA.
Sezione prospettica
degli archivi Kelvin
(Brian Macken), progetto vincitore della
Bronze Medal ai
President’s
R IBA
Medals Students
Awards
studenti di istituti britannici. Ad
aggiudicarsi la Bronze Medal è
stato Brian Macken (Mackintosh
School of Architecture dell’Università di Glasgow), che ha presentato «Kelvin Archive. Rare
Books Repository», il progetto di
una nuova sede per i grandi archivi del fisico Kelvin posseduti dall’ateneo nel suo campus di Gilmourhill. All’Università di
Westminster sono andati invece la
Silver Medal, che ha premiato la
proposta di Gillian Lambert, e la
Dissertation Medal, andata a Timothy O’Callaghan. Lambert,
alla quale sono stati conferiti anche un Serjeant Award e un SOM
Travelling Fellowship, ha proposto il particolare progetto di una
casa sperimentale alla foce del Tamigi, la «House at Gallion’s
Reach», in cui la luce e gli specchi giocano un ruolo di primaria
importanza nella definizione di
47, GENNAIO 2007
un ambiente dalle atmosfere rarefatte, quasi spettrali, ispirate al romanticismo britannico (al pittore
William Turner, ma anche all’architetto John Soane). O’Callaghan ha presentato invece «CenterParcs», lavoro in cui, all’interno di uno studio piuttosto originale a metà fra l’architettonico e il
sociologico incentrato sull’attività
di uno dei maggiori operatori turistici del Nord Europa (l’olandese CenterParcs), è analizzata, a
partire dalla realizzazione dei primi parchi in Olanda secondo le
indicazioni di Jaap Bakema, l’evoluzione della formula vacanziera e delle destinazioni proposte.
Premi e segnalazioni sono stati
conferiti a «From Bundling to
Beehive» di Max Wilhelm Kahlen (SOM Travelling Fellowship), «21st Century Symbiotic
Farm» di Kumiko Hirayama
(Serjeant Award), «This is the
Photographer’s Gallery London» di Xenia Adjoubei e «Women’s Refuge, Jagdamba South
Delhi» di Angela Hopcraft
(iGuzzini).
In concomitanza con la premiazione del President’s Medals, il
RIBA ha ufficialmente lanciato la
prima edizione del Norman Foster Travelling Scholarship, il
primo premio «di viaggio» dedicato agli studenti messo a disposizione dal prestigioso architetto
britannico. In palio 6.000 sterline, che consentiranno al vincitore, iscritto a una delle 98 scuole
accreditate dall’istituto britannico, di elaborare, compiendo un
viaggio nella prossima estate, il
progetto o il tema di ricerca presentato alla selezione (www.presidentsmedals.com; www.fosterandpartners.com).
❑ LAURA MILAN
to, con Carlini e Valle si è istituito un confronto con una singolare crescita demografica, in
una città che si relaziona quotidianamente con culture differenti: l’esito è un complesso scolastico con spazi per bambini e
d’incontro per gli adulti. Peccioli (Pisa) presentava contraddizioni territoriali dove episodi
di arte di Benozzo Gozzoli convivono con emergenze ambientali come la discarica di Legoli:
il gruppo di Marco Navarra
(NOWA) ha offerto un quadro
paesaggistico quale sintesi delle
diverse istanze territoriali. A Lastra a Signa (Firenze), Ma0 ha
ripensato il collegamento della
stazione appena inaugurata per
una sua migliore fruizione da
parte di pedoni e ciclisti.
Dal 5 al 21 dicembre gli esiti dei
7 laboratori erano in mostra a Firenze presso lo Spazio espositivo
di Santa Verdina (SESV). Un al-
lestimento insolito e minimale
prevedeva due sabbiere al piano
terreno, sulle quali scorrevano
immagini dei progetti. Su un tavolo, al piano superiore, sette brochures riassumevano le proposte
progettuali, ognuna corredata di
segnalibro digitale. Secondo una
consuetudine negli allestimenti
di iMage, una mappa delle «Isole del tesoro» ricopriva il tavolo:
sfiorando con l’apposito segnalibro una croce, uno schermo
proiettava le immagini del relativo progetto. Anche in Toscana
il ruolo attivo dei Comuni, la
partecipazione dei cittadini, la
supervisione da parte di professionisti esperti e consulenti con
conoscenza personale dei territori hanno portato in primo piano
la necessità di rivedere il ruolo
dell’architettura e del suo insegnamento, al di fuori delle sedi
usuali (www.leisoledeltesoro.it).
❑ DARIA RICCHI
❑ Come l’università trasforma la città
Il progetto del nuovo Polo delle Facoltà umanistiche di Norman Foster, la nuova Scuola per le Biotecnologie in via Nizza, la Cittadella Politecnica, le prime ipotesi per il nuovo centro del design di Mirafiori. A questi e altri progetti è dedicata la mostra che l’Urban
Center Metropolitano di Torino presenta in occasione della
XXIII Universiade Invernale Torino 2007 (17-27 gennaio).Allestito nella nuova manica del Politecnico, il percorso della mostra si
snoda attraverso il racconto dei diversi progetti e una campagna fotografica di Michele D’Ottavio. Una sezione più circoscritta della mostra sarà replicata anche nell’atrio di Palazzo Nuovo, in via Sant’Ottavio. Progettata da Urban Center Metropolitano, in collaborazione
con il Gruppo A12, la mostra anticipa il futuro allestimento dello spazio espositivo permanente dell’Urban Center che sarà in
funzione a partire da marzo. Sempre nell’ambito del vasto programma di eventi legati all’Universiade, Urban Center Metropolitano organizza visite guidate nei nuovi poli universitari e un ciclo di conferenze dedicate ai nuovi progetti di edilizia universitaria in Europa
e nel mondo. Inaugurazione il 12 gennaio alle ore 18.
www.urbancenter.to.it
❑ L’estimo guida Architettura 2 a Torino
Rocco Curto, professore ordinario di Estimo, è stato recentemente
eletto nuovo preside della II facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. L’elezione si era resa necessaria a causa della prematura scomparsa di Vera Comoli Mandracci, avvenuta nel luglio
scorso. Prolifica autrice e curatrice di numerosi saggi di storia dell’architettura,Vera Comoli Mandracci era docente di Storia dell’urbanistica, direttrice della Scuola di specializzazione in Storia, analisi e valutazione dei beni architettonici e ambientali e coordinatrice del dottorato di ricerca in Storia e critica dei beni architettonici e ambientali (ora confluito all’interno del dottorato in Storia e valorizzazione del
patrimonio architettonico, urbanistico e ambientale).
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
❑ Un edificio universitario menzionato
all’Equerre d’argent 2006
L’ampliamento del
campus di Jussieu dell’Università parigina
Pierre e Marie Curie,
che propone diverse lauree a carattere prettamente scientifico (tra cui
vari corsi in Ingegneria),
è stato recentemente insignito della menzione
speciale dal prestigioso
premio di architettura
francese Equerre d’argent (edizione 2006).L’edificio, esito di un concorso bandito nell’ottobre 2002 e terminato nel
giugno scorso, è stato
realizzato in cemento
armato, metallo e vetro secondo il progetto
di Périphériques Architectes (formato da Emmanuelle Marin, David Trottin e Anne-Françoise Jumeau), e amplia l’università rendendo disponibili ulteriori
17.000 mq che ospitano una biblioteca, diverse aule, spazi per lo studio e uffici.L’esterno è caratterizzato da un involucro pressoché continuo di pannelli forati in alluminio anodizzato, e da una particolare soluzione cromatica che connota le vetrate delle grandi finestre che stanno dietro la griglia metallica (nella foto in alto, © Luc
Boegly). Il colore contraddistingue anche l’interno, organizzato attorno a un atrio a tutt’altezza attraversato da passerelle (nella foto sopra, © Luc Boegly), sul quale si aprono i diversi spazi didattici, ciascuno individuato da uno specifico colore.
❑ Messina amplia il campus con la nuova
sede di Ingegneria
L’Università di Messina
ha aggiunto un nuovo
edificio alle sue strutture: una nuova sede per
la facoltà di Ingegneria.
Realizzato appena fuori il centro abitato,l’ampliamento è stato progettato da Marcello
Rebecchini in collaborazione con Antonello Di Stefano e si
compone di tre corpi
principali collegati da
passerelle sopraelevate, la cui disposizione e
planimetria seguono
l’altimetria irregolare
del terreno (nelle foto). I tre edifici ospitano: una struttura
dipartimentale, che
distribuisce laboratori
didattici e di ricerca,aule, biblioteche, uffici del
personale docente e aule studio; una struttura didattica che ospita aule multimediali, la biblioteca generale e l’aula magna; una residenza universitaria che mette a disposizione degli studenti camere singole e spazi comuni. L’aspetto esterno e le finiture sono essenziali, con predominanza di tinte chiare (bianco e grigio) interrotte solo dalle aperture vetrate e dal rosso mattone dei muri che, alla base
del complesso, cingono alcuni dei percorsi. Gli elementi oscuranti delle aperture sono costituiti da frangisole in alluminio, materiale utilizzato anche nei rivestimenti delle pareti.
❑ Mendrisio presenta Mosca
L’Accademia di Architettura di Mendrisio prosegue la serie
di mostre, realizzate
con il sostegno dalla
Commissione svizzera per l’Unesco,
aventi per soggetto
alcune metropoli del
mondo emergente.
Nello spazio espositivo inaugurato da
circa un anno,fino al
25 gennaio è di scena «Mosca ieri oggi e domani», mostra curata dalla direttrice del
Centro di Architettura contemporanea di Mosca Irina Korobina che,
presentando il recente fenomeno «New Moscow 4», descrive la crescita della capitale post-socialista negli ultimi 15 anni e dedica, all’interno di un apposito spazio, una sezione ai risultati del workshop internazionale di progettazione urbana «Arch-Descent», organizzato dal
Centro di Architettura contemporanea di Mosca nell’estate 2006
(www.arch.unisi.ch; nella foto, la Cattedrale del Redentore, realizzata
su progetto dell’architetto Konstantin Ton nel 1912, ricostruita dall’architetto Mihail Posokhin nel 2000).
Formazione
13
Al Politecnico di Milano l’impresa entra in università
Inaugurato il 15 novembre
scorso, all’interno del
campus Bovisa, l’atelier
Avantgarde, una tecnologica torre che ospita spazi al servizio soprattutto
degli studenti di Architettura: un punto informativo, aule studio, uffici e una
sala riunioni multimediale.
La costruzione, alta 15
metri e suddivisa internamente in quattro piani, è
stata realizzata su progetto dello studio Archea,che
si è ispirato alla «torre di
Milano» ideata da Ignazio
Gardella nel 1934.
L’edificio è il primo elemento tangibile di un programma più ampio, l’ate-
lier Avantgarde, che vede
impegnati il Politecnico di
Milano e una serie d’imprese attive nel campo dell’edilizia e delle costruzioni
(tra cui il Gruppo Archés,
la Fisher, Euroholz e
Tecnoimage, che hanno
consentito la costruzione
della torre fornendo consulenza e materiali per
la sua realizzazione) con
l’obiettivo di avvicinare attraverso collaborazioni,
corsi, borse di dottorato e
offerte di tirocinio e stages
destinate agli studenti
del Politecnico, il mondo
accademico e il mondo
produttivo.
(www.atelieravantgarde.it)
14
Concorsi
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
Lettera al giornale
L’ESITO DEL CONCORSO D’IDEE PER IL NUOVO TRIBUNALE DI PARIGI
Sul concorso per il nuovo Tribunale di Trento
Un palagiustizia
che rimarrà sulla carta?
Pubblichiamo la lettera aperta inviata da Guido Masè al Presidente della Giunta provinciale di Trento e alla stampa
Ho partecipato al concorso per il nuovo Polo giudiziario di Trento,
quale «esperto locale e referente operativo» in un gruppo di progettazione romano. In quell’ambito, studiando gli aspetti edili e urbani dell’area a concorso, ho avuto modo, tra l’altro, di visitare il complesso
carcerario e di scoprirne la straordinaria bellezza, nascosta ai più, per
evidenti ragioni. Purtroppo, il bando non prevedeva la conservazione
dei manufatti di pena, ma soltanto del Tribunale.Anzi, nei materiali allegati si è addirittura omesso di rappresentare, negli appositi rilievi della situazione esistente, la stessa configurazione fisica del Carcere. Ho
potuto superare questa carenza ricostruendo «a memoria», dopo la
visita, un rilievo qualitativo riferito dimensionalmente alla planimetria
Una sezione delle carceri di Trento e un disegno del progetto vincitore, nel gennaio scorso, per il nuovo Tribunale (gruppo guidato da Pierluigi Nicolin)
dei tetti, allegata al bando. Avendo verificato la qualità edilizia e architettonica del complesso carcerario, la sua straordinaria essenzialità e la sorprendente adattabilità e permeabilità, ho proposto al gruppo di lavoro di prendere in considerazione l’istanza di conservazione
fisica e di riuso degli edifici del Carcere: a tal fine, abbiamo formulato
una prima ipotesi di recupero. La giuria non ci ha classificato tra i primi dieci e perciò non abbiamo potuto approfondire e sostanziare l’istanza di conservazione e reinterpretazione degli straordinari edifici.
D’altro canto, visto che nessun altro progetto, nemmeno quello vincitore,ne ha proposto la conservazione (secondo il bando),mi permetto
di proporre al professor Pierluigi Nicolin (al quale suggerisco di visitare il complesso), all’ente banditore e alla cultura e sensibilità di tutti i cittadini, prima che sia troppo tardi, l’ipotesi di non abbattere, ma
di recuperare gli edifici carcerari. Credo si debba evitare la tabula rasa, che sarebbe - se possibile - ancora più grave di quella della distruzione totale dell’ex Michelin, sempre a Trento. Credo si sarebbe dovuto lasciare ai progettisti la facoltà di studiare il patrimonio, per vedere, preliminarmente, ciò che esso «suggeriva» e regolarsi di conseguenza, ottemperando alle richieste del bando.
Coevo e organicamente connesso al Palazzo di giustizia, interamente
costruito in pietra di Trento, con volte a botte e pavimenti in lastroni
identici a quelli dei corridoi del Tribunale, il Carcere denota un deciso impianto tripartito a «E», con il corpo centrale a classica «navata»
carceraria a tutt’altezza e «cappelle» (celle) ai due lati su più livelli,
servite da ballatoi in lastroni su mensoloni in pietra.Tre grandi lucernari illuminano dall’alto lo spazio centrale e un finestrone in vetro policromo sull’intera parete di fondo del lato occidentale filtra la luce
pomeridiana. L’impianto assiale del complesso è concluso a oriente
dalla chiesa su due livelli, sottopassata a piano terra dall’atrio storico
di accesso. Devo dire che a me rimane inspiegabile l’idea di cancellare totalmente questo manufatto, che - se evidentemente non risponde alle attuali modalità di detenzione e ai criteri di localizzazione sembra agevolmente ed efficacemente convertibile ad altre destinazioni, all’interno del nuovo Polo.
Il Carcere è stato inaugurato nel 1880 dal Kaiser Francesco Giuseppe, come ricordano le foto d’epoca e documentano i disegni originali. Era progettato secondo un caratteristico modello asburgico, che ha
visto altre realizzazioni analoghe, a Bolzano e a Rovereto.
Salvare le Carceri è possibile soddisfacendo pienamente le esigenze
del nuovo Polo giudiziario, come esposte nel bando, è opportuno per
la qualità architettonica degli spazi realizzabili ed è doveroso, a mio avviso, per il rispetto che non può venir meno verso manufatti che, mentre testimoniano la storia dei luoghi, consentono, qualora interpretati con l’amore e la competenza che meritano, le migliori soluzioni per
il futuro.
Spero veramente, signor Presidente, che Lei riesca a far conservare
questo manufatto, bello di suo, documento che rappresenta e testimonia la storia di Trento e che può diventare un’interessantissima «rocca» nel cuore della Cittadella, un «nocciolo» centrale di memoria, di
incontro e di dialogo. Curiosamente, questo luogo di reclusione e di
pena potrebbe diventare - conservando le strutture portanti, modificando le strutture chiudenti ed eliminando le superfetazioni senza valore - un insieme di volumi ariosi e permeabili, quanto solidi e spazialmente ricchi, che consentiranno soluzioni architettoniche valide,
moderne e rispettose delle strutture antiche.
❑ Guido Masè, Dipartimento di Pianificazione - Università IUAV
La conclusione del procedimento non placa le polemiche sull’idoneità del sito prescelto
PARIGI. Sono 275 i gruppi che
hanno partecipato al concorso d’idee per il nuovo Palazzo di giustizia, lanciato nello scorso luglio
dall’Etablissement public du Palais de justice de Paris (EPPJP). La
giuria, presieduta da Massimiliano Fuksas e composta, tra gli altri,
da Dominique Perrault, Rudy
Ricciotti, Benedetta Tagliabue e
Bernard Tschumi, ha assegnato a
fine novembre tre premi da 40.000
euro per la categoria professionisti
(allo spagnolo Josep Fosep, ai
francesi 3 Box e agli olandesi Fernando Donis e Katrin Betschinger), oltre a cinque premi da
10.000 euro per la categoria studenti. Tra i numerosi gruppi di
progettazione italiani che hanno
partecipato alla consultazione,
quello guidato da Paolo Mezzalama ha ricevuto una delle sette menzioni speciali della giuria. Una selezione dei progetti giudicati migliori è esposta fino al 7 gennaio alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine, presso il Palais de Chaillot, e sarà oggetto di una pubblicazione, con l’obiettivo di ripercorrere la complessa vicenda del
futuro Tribunale, di cui si è cominciato a parlare ben prima del
lancio dello stesso concorso d’idee.
Risale al 2003, infatti, la costituzione dell’EPPJP, con la missione
d’individuare una sede più adeguata al Tribunale delle Grandi
Istanze, troppo allo stretto nell’attuale edificio sull’Ile de la Cité.
Inizialmente si pensò di riutilizzare due siti ospedalieri: il centralissimo Hôtel Dieu e il Saint Vincent de Paul. Entrambe le opzioni furono scartate dalla municipalità parigina che suggerì d’insediare il Tribunale nel quartiere
Paris Rive Gauche, zona a sudest in piena mutazione urbana.
Cominciarono gli studi di fattibilità su diverse aree ancora disponibili, tra cui quelle di Tolbiac-
In senso orario, i tre vincitori del concorso
per la categoria professionisti: lo spagnolo
Josep Fosep, i francesi 3 Box e gli olandesi
Fernando Donis e Katrin Betschinger
Freyssinet e Masséna - Rives de
Seine. A fine 2005 restavano in
gioco solo questi due siti: il primo
prediletto dallo Stato, il secondo
caldeggiato dalle autorità locali.
Secondo l’EPPJP, portavoce dello Stato, il sito di Tolbiac sarebbe più adatto perché disponibile
in tempi brevi, facilmente accessibile e adiacente alla prestigiosa
Bibliothèque Nationale realizzata nel 1996 da Dominique Perrault. Installare il Tribunale su
questo sito potrebbe anche essere
l’occasione per valorizzare la
Halle Freyssinet, interessante
esempio di architettura industriale realizzato nel 1927 dall’omonimo ingegnere. Il sindaco Delanoë ha però altri progetti per questo settore e non intende rimetterli
in questione. Nel 2004, infatti, ha
incaricato l’architetto Pierre Gangnet di realizzare 90.000 mq di
abitazioni e 100.000 mq di uffici
intorno a un parco di 15.000 mq.
Per questo la municipalità spinge
L’opinione di Fuksas,
presidente della giuria
Il lavoro della giuria è stato intenso: in tre giornate avete visionato 275 progetti. Quali sono stati i criteri di scelta?
Grande attenzione è stata data al trattamento della Halle Freyssinet
per il suo ruolo urbano, anche di memoria storica. A Parigi restano
pochissimi esempi di architettura industriale e questo è eccezionale,
visto il suo perfetto stato di conservazione. Il bando lasciava ai progettisti piena libertà in merito al trattamento della Halle. Le risposte
dei progetti selezionati sono molto diverse, ma nessuno ha proposto
di demolirla: il progetto spagnolo vi aggiunge una quarta navata, quello degli olandesi, più radicale, la mantiene affiancandole un volume decisamente contemporaneo. Credo che ciò dimostri una nuova presa
di coscienza rispetto al patrimonio del passato: una forma di rispetto
che non impedisce di sperimentare. Una questione importante era anche il nuovo ruolo dato alla Halle: alcuni progetti vi hanno integrato
una parte del Tribunale; altri, come il premiato 3Box, hanno proposto
di utilizzarla come spazio pubblico.
Il sito di Tolbiac-Freyssinet è situato tra il nuovo quartiere di
Paris Rive Gauche, dominato dalla Grande Bibliothèque, e la
parte storica del XIII arrondissement, con il quartiere di edilizia popolare Les Olympiades, degli anni sessanta. La presenza del tracciato ferroviario crea una differenza di livelli
che contribuisce alla loro separazione. Che attenzione hanno dato i progettisti alle questioni urbane?
Le soluzioni proposte sono molto più urbane che architettoniche. I
progetti selezionati hanno dimostrato di avere una visione urbana che
va oltre l’oggetto in sé. Oggi l’architetto deve saper gestire la grande
dimensione: una metropoli come Parigi esige una risposta a grande
scala. Questo concorso è stato molto interessante da questo punto
di vista, perché ha mostrato come le nuove generazioni prestino grande attenzione alle questioni urbane. ❑ C.M.
per il sito di
Masséna, situato al confine con il comune di Ivry:
l’insediamento del Palazzo
di giustizia sarebbe un’occasione da non perdere per dare il via a un’importante
operazione di riqualificazione urbana, che potrebbe diventare
l’emblema del riavvicinamento
tra la capitale e uno dei suoi comuni limitrofi.
Questa proposta non ha però incontrato grande successo. I magistrati si sono detti scandalizzati alla sola ipotesi di abbandonare la
prestigiosa sede attuale a pochi
passi da Notre Dame per un’ex
area industriale ai margini della
città. L’EPPJP ha ugualmente
espresso parere negativo, additando ragioni di accessibilità, di sicurezza e d’immagine.
Nel tentativo di porre fine a un
estenuante braccio di ferro e con
l’obiettivo di allargare il consenso
intorno al sito Tolbiac-Freyssinet,
l’EPPJP ha poi lanciato il concorso d’idee, sostenuto dai ministeri
della Giustizia e della Cultura. Il
successo mediatico dell’operazione non sembra però aver fatto cambiare idea al sindaco. In un lapidario comunicato stampa diffuso
poco prima dell’annuncio dei risultati del concorso, affermava che
lo Stato non avrebbe potuto imporre la sua decisione senza l’accordo della città di Parigi e che la
municipalità avrebbe portato
avanti i propri progetti sul sito di
Tolbiac lanciando una nuova
consultazione di architetti.Il concorso non sembra quindi aver
sbloccato la situazione e il 2012,
data prevista per il trasferimento
dei magistrati nella nuova sede,
sembra sempre più vicino.
❑ CHIARA MOLINAR
❑ Intanto, Mayne sbarca alla Défense
Una giuria internazionale ha designato lo
studio americano Morphosis (fondato dal
vincitore del premio Pritzker 2005 Thom
Mayne) vincitore del concorso per la
realizzazione della «Tour phare»,
grattacielo alto 300 m che sarà il simbolo del rinnovamento del quartiere
d’affari parigino. Il 25 luglio scorso l’Etablissement Public d’aménagement de la Défense aveva promosso un piano di rilancio
che prevede, oltre a numerose demolizioni
e ricostruzioni, la realizzazione di 450.000
mq di nuovi uffici entro il 2013. Prima realizzazione di Mayne in Francia, il grattacielo
(nel disegno) si vuole esemplare in termini
di sostenibilità ambientale: la forma dell’edificio e il trattamento delle
facciate sono state studiate per meglio intercettare la traiettoria del
sole, mentre sul coronamento dell’edificio saranno posizionate delle
turbine eoliche necessarie ad attivare un sistema di ventilazione naturale che permetterà un notevole risparmio energetico. La realizzazione è prevista per il 2012 e il costo stimato sfiora i 900 milioni, per
un totale di 130.000 mq di superficie utile. Alla consultazione, lanciata dal promotore immobiliare Unibail, hanno partecipato anche
nove noti architetti europei: Jacques Ferrier, Norman Foster, Massimiliano Fuksas, Manuelle Gautrand, Herzog & de Meuron, Rem Koolhaas, Nicolas Michelin, Jean Nouvel, Dominique Perrault. Tutti i progetti saranno esposti dal 15 gennaio al 3 febbraio alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine (Palais de Chaillot). ❑ C. M.
❑ 396 metri di altezza per 600 milioni di
dollari a San Pietroburgo
Si è concluso il concorso a inviti per la costruzione della nuova sede della Gazprom a San Pietroburgo, sulla sponda della Neva opposta al centro storico. Gli inglesi RMJM hanno sbaragliato la concorrenza degli studi di Koolhaas, Nouvel, Fuksas, Herzog & de Meuron, Libeskind. Fortemente osteggiata dall’intellighenzia locale, dall’opinione pubblica e dagli organi rappresentativi degli architetti russi, che hanno boicottato la competizione temendo una nuova
Dubai, la realizzazione del progetto vincitore è prevista entro il 2012.
Nella fase finale, Kisho Kurokawa ha abbandonato la giuria, in
dissenso con i progetti in gara, accomunati dalla ricerca di altezze fuoriscala rispetto allo skyline urbano.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
BARCELLONA. È stata recentemente inaugurata nel quartiere di
Barceloneta, che ospitava nell’Ottocento la prima industria di gas
spagnola, la nuova sede del Grupo Gas Natural, realizzata da
EMBT Arquitectes Associats in
seguito a un concorso dell’ottobre
1999. In occasione del Marmomacc, svoltosi alla Fiera di Verona, abbiamo incontrato Benedetta Tagliabue, titolare dello studio
dopo la scomparsa del marito Enric Miralles.
Come avete pensato la nuova sede del
Gas Natural e come si pone nel contesto di Barcellona?
È un edificio dai volumi complessi, che consente punti d’osservazione differenti. Il problema era
come renderlo unitario: siamo ricorsi a una «pelle» costituita da
cinque tipi di vetro tra cui alcuni
deformanti, che permettono all’edificio di «vibrare» con la luce, accentuando l’effetto di metamorfosi urbana. Per quanto l’edificio
non sia altissimo, il cliente voleva
un segno urbano distintivo, che
abbiamo espresso attraverso una
torre molto snella, di venti piani,
con funzione di landmark. Un volume in aggetto orizzontale, collocato tra il quinto e il decimo piano, accentua la relazione con il
contesto. Per un effetto ottico, già
intuito costruendo il modello, le
proporzioni della torre e la frammentazione dei volumi fanno
sembrare l’edificio molto più alto, in certi casi addirittura più dei
grattacieli della Città Olimpica.
Che significato riveste l’attività legata
ai concorsi e com’è organizzato a riguardo lo studio?
Abbiamo sempre partecipato a
moltissimi concorsi, tanto che
Concorsi
47, GENNAIO 2007
INTERVISTA A BENEDETTA TAGLIABUE
Progetti al femminile
A partire da una recente realizzazione a Barcellona, l’architetto riflette sul proprio ruolo
di concorrente e giurata in molte competizioni internazionali
quasi tutti gli edifici da noi realizzati derivano da gare vinte.
Abbiamo partecipato a molti
concorsi in Italia (Napoli, Brescia, Rapallo) con risultati negativi, tranne che per la facoltà di
Architettura di Venezia, a cui
stavamo lavorando quando è
morto mio marito, che tuttavia
non è stata realizzata. Di recente
abbiamo partecipato al concorso
per il padiglione Arcelor a Lussemburgo e a quello per la riqualificazione dell’area portuale di
Amburgo. Nel mio studio non
esiste un settore destinato ai concorsi, perché credo di più nel coinvolgimento organico di tutti coloro che lavorano con me nell’intero spettro di tematiche che affrontiamo. In questo modo, i capi-progetto diventano anche capi-concorso, e questa è un’opportunità di crescita molto importante, dato che un progetto di concorso è il vero momento dell’innovazione e della sperimentazione. Per questo partecipo a molte
giurie, di cui le due più recenti a
Parigi. Nel primo caso si trattava
del concorso per una torre alla Défense, vinto da Morphosis. Far
parte di una giuria non solo consente di capire in modo estremamente diretto come lavorano gli
altri architetti, ma anche di venire a contatto con persone esterne
al nostro mondo, fondamentali
per la realizzazione di opere che
l’opportunità di confrontarmi
con giuristi, politici, immobiliaristi, in una grande interdisciplinarità. E questo dimostra, anche,
come l’architettura non sia un fatto «interno» ma sociale e politico.
Benedetta Tagliabue sullo sfondo della nuova sede del Grupo Gas Natural a Barcellona (foto di Felipe Alonso)
coinvolgono l’intera città. Per
questo, il risultato di un concorso
è sempre un compromesso tra varie esigenze, che ti costringe a spiegare il tuo punto di vista e nello
stesso tempo a modificarlo, cosa
che trovo molto positiva. Ad
esempio, grazie all’altra giuria parigina, quella del concorso d’idee
per il nuovo Tribunale, ho avuto
In questo contesto, verso quali prospettive si sta indirizzando l’architettura,
anche grazie alla diffusione mediatica
che ha conosciuto negli ultimi anni?
Credo che l’architettura abbia
sempre seguito i passi della società: noi architetti non siamo molto
liberi in questo senso, dobbiamo
offrire quello che chiedono i tempi. Per l’architettura, diventare
mediatica era una necessità, perché era molto importante riaffermarne il ruolo rappresentativo,
soprattutto in un momento in cui
le grandi compagnie, diventando
sempre più gigantesche e sempre
meno identificabili, devono ricorrere all’architettura come strumento di valorizzazione. La
Biennale di quest’anno, del resto,
ha raccontato abbastanza bene
quale è, oggi, il tema centrale:
quello sociale, delle città. Se la
Biennale di Kurt Forster è stata
una successione di architetture
pensate come pezzi unici, quella
di Burdett ha posto il problema
opposto: con la sua visione della
città «dall’alto» ci si domanda se
le città si facciano da sole. E questa è stata un po’ la bugia della sua
Biennale, o forse la sua incapaci-
15
tà di raccontare il mondo attuale,
in cui tutto è voluto e progettato a
livello politico. Io non so quanto
possa fare l’architettura per rispondere a tali quesiti e, dunque,
verso quali prospettive si dirigerà,
ma sicuramente deve essere cosciente di questa difficoltà riscontrabile a livello mondiale, delle
città che si pongono sempre più
come luogo di enormi povertà.
Il Padiglione spagnolo della Biennale
era dedicato alla presenza femminile in
architettura. Le donne cominciano ad
assumere anche ruoli di primo piano nella realtà professionale.
Credo che dovremmo cercarne le
radici nella consapevolezza che il
ruolo sociale della donna è sempre
stato fortissimo. Nella società patriarcale le donne gestivano famiglie più numerose di un’intera impresa, anche se il loro ruolo non era
socialmente riconosciuto. Credo
che la donna, oggi, introduca nel
mondo del lavoro la sua capacità
millenaria di smussare gli angoli,
di creare un’atmosfera «familiare».
Forse questo avviene anche a livello progettuale. Si tratta, più che
altro, di un desiderio di accettare
le contraddizioni del contesto integrandole. Quando è morto mio
marito, perfino i miei collaboratori in studio mi chiedevano: «E
adesso che cosa facciamo?». «Andiamo avanti», rispondevo io. Se,
però, qualcosa nella mia progettazione sta veramente cambiando,
saranno i progetti a dirlo, non si
tratterà certo di una decisione presa a priori. Si vedrà, dunque, solo
tra un certo numero di anni dato
che, soprattutto in architettura, le
dinamiche del mutamento sono
lente, graduali e continue.
❑ Intervista di
ELENA FRANZOIA
16
Concorsi
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Gli altri 9 progetti finalisti
47, GENNAIO 2007
IL CONCORSO PER PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA
Nuova scena urbana
per il Mausoleo rivisitato
Il gruppo di Francesco Cellini riplasmerà lo spazio intorno alla tomba di Augusto
Dall’alto in basso (nomi dei
capigruppo): Jose Ignacio
Linazasoro, Marco Navarra,
Salvador Perez Arroyo,
Francis Soler, Paolo Rocchi,
Franco Purini, Paolo Desideri, Donatella Fiorani e
Marco Dezzi Bardeschi
ROMA. Si è concluso con l’assegnazione del primo premio al
gruppo guidato da Francesco
Cellini il concorso internazionale per la riqualificazione di
piazza Augusto Imperatore. Indetta nell’ambito delle politiche
d’intervento nel centro storico
capitolino promosse dalla giunta Veltroni, con leit motiv individuato nella creazione di sistemi
pedonali all’interno delle mura
Aureliane, la gara ha visto la
partecipazione di 48 proposte
nella prima fase, tra cui sono stati selezionati nel luglio scorso
dieci raggruppamenti per quella
conclusiva.
Nella rosa dei finalisti figurano,
oltre al vincitore, i gruppi guidati rispettivamente da Paolo
Desideri, Marco Dezzi Bardeschi, Donatella Fiorani, Jose
Ignacio Linazasoro, Marco Navarra, Salvador Perez Arroyo,
Franco Purini, Paolo Rocchi e
Francis Soler. Una prevalenza
italiana, e romana in particolare, per un tema che interseca archeologia, restauro e progetto urbano, in un luogo in cui il rapporto tra memoria, architettura e
forma della città è singolarmente contrastato. A partire dall’intervento di Vittorio Ballio Morpurgo, che in pieno regime fascista isolò il Mausoleo, con demolizioni e ricostruzioni da cui
risultano gli attuali due lati porticati, piazza Augusto Imperatore è rimasta un luogo frammentario e marginale a dispetto
della centralità, fisica e simbolica. E in tempi recenti, sulla risistemazione della piazza si è concentrata l’attenzione con dibattiti e proposte.
Il carattere composito dei gruppi
partecipanti, in cui figurano progettisti (un presumibilmente
spaesato Peter Cook compare in
quello di Perez Arroyo), esperti
di restauro, storici dell’arte e archeologi, non sorprende a fronte
di un bando centrato non solo
sulla rivisitazione dell’invaso
della piazza e degli spazi attigui,
dal Tevere a via del Corso, dall’Accademia di Belle Arti a via
Tomacelli, ma anche sulla riqualificazione del Mausoleo e
della tomba di Augusto, monumento giudicato dallo stesso
bando «privo di dignità, identità e carica simbolica» nella sua
configurazione attuale. La restituzione di questi caratteri «almeno in parte e per via evocativa» è
stata la prima richiesta rivolta ai
concorrenti, in un programma
su cui pesa l’incognita di ulteriori scavi in previsione. Gli altri
due temi chiamati in causa, la riqualificazione del contesto storico del monumento e quella dello spazio pubblico circostante,
hanno aggiunto ulteriore complessità a un tema in sé difficile.
Senza omettere la presenza ingombrante della quinta della
piazza rivolta verso il Tevere, coincidente con il Museo dell’Ara
Pacis recentemente portato a termine su progetto di Richard
Meier, con una coda di discussioni rara nella storia dell’architettura contemporanea in Italia,
Pianta e schizzo prospettico
del progetto vincitore
per estensione e carica polemica.
Con il motto «Urbs et civitas» il
progetto vincitore propone la
creazione di un continuum - definito piazza teatro - tra la via di
Ripetta e l’abside della chiesa di
San Carlo al Corso, mediando
i dislivelli attraverso una doppia
pendenza cordonata, convergente alla quota più bassa sull’ingresso monumentale al Mausoleo, attorno a cui viene lasciato un anello libero. All’interno
di quest’ultimo è previsto un labirinto di siepi in vasche, a evocare le strutture murarie, oltre all’eliminazione della copertura
della cripta, inserita alla fine degli anni venti del Novecento. Il
costo previsto per la realizzazione si aggira sui 20 milioni, cui se
ne aggiungono 2 per gli interventi archeologici.
Nel folto gruppo di firmatari,
con una forte componente accademica ma curricula diversificati, compaiono tra gli altri, oltre a
Cellini, preside della facoltà di
Architettura di Roma Tre, Mario Manieri Elia, già ordinario
nella stessa e consulente del Comune di Roma per il PR, Carlo
Gasparrini, ordinario a Napoli,
Renato Nicolini, assessore alla
Cultura a Roma tra fine anni settanta e inizio ottanta e ordinario
a Reggio Calabria. Innovazione rispetto allo spazio pubblico
e conservazione rispetto al monumento sono state le parole
d’ordine su cui si basa il progetto, intercettando piani altrimenti difficili da trattare unitariamente.
Proprio riconoscendone la migliore capacità di rispondere alla molteplicità di tematiche in
gioco, la giuria presieduta da
Francesco Venezia e comprendente, tra gli altri, Manuel de Solà Morales, Philippe Daverio e
Francesco Garofalo, ha decretato il successo del raggruppamento, a conclusione di un
percorso che ha visto quest’estate una polemica, suscitata dall’esclusione dalla seconda fase
concorsuale del gruppo di Carlo Aymonino, Leonardo Benevolo, Paolo Marconi e Paolo
Portoghesi, la cui proposta di ricostruzione del porto di Ripetta
è stata ritenuta estranea al bando.
Fino al 7 gennaio i progetti finalisti sono in mostra presso il Museo dell’Ara Pacis.
❑ MANFREDO DI ROBILANT
❑ Piazze rinnovate per Catania
È stato pubblicato il 23 novembre l’esito del concorso «Piazze Botaniche», bloccato per problemi procedurali di ordine burocratico
(cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 45, novembre 2006, p. 16). La
chiusura della seconda e ultima fase ha visto assegnare (fra 359 partecipanti iniziali) i primi premi ai progetti preliminari redatti rispettivamente da Giovanni Fiamingo per piazza Montessori, da Massimo Mortelliti per piazza Santo Spirito, Luigi Pellegrino per
Piazza Santa Maria di Gesù da Giancarlo Leone e Luta Bettonica per piazza Michelangelo (nel disegno) e dal gruppo guidato da Roberto Forte per piazza San Leone.
18
Tecnologie e materiali
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
SECONDA EDIZIONE DEL FORUM CONSTRUCTA
Pareti ad acqua per il comfort
ambientale
Martin Haas, dello studio Behnisch und Partners, parla del nuovo polo per Uffici comunali e sede dell’ARPA in progetto a Ravenna
RAVENNA.
Gli studi Behnisch
und Partners di Stoccarda e Politecnica ingegneria e architettura di Modena, riuniti in un’Associazione temporanea di imprese, firmeranno la realizzazione
del nuovo polo che ospiterà gli
Uffici comunali e la sede dell’ARPA (Agenzia regionale per
la protezione ambientale), su
una superficie utile totale di
10.450 mq. Il cantiere partirà nei
prossimi mesi, per un importo di
16,5 milioni. Il progetto parte
dall’idea d’integrazione con il
territorio collinare circostante attraverso la realizzazione di un
complesso organizzato in edifici
dalle forme decostruite.
Gli studi progettuali sono partiti dall’analisi dei dati climatici
(temperatura e umidità relativa
nelle diverse stagioni) per valutare le potenzialità di sistemi di
climatizzazione passiva, attraverso le simulazioni svolte da
Transsolar, studio di progettazione e consulenze energetiche
con sedi a Stoccarda, Monaco e
New York.
Tali indagini si sono tradotte
nell’impiego di diversi sistemi in
sinergia tra loro. Gli edifici presentano uno spazio destinato ad
atrio in cui è previsto un sistema
Vista prospettica e sezione del nuovo polo per uffici, progettato da Behnisch und Partners e da Politecnica ingegneria e architettura
«Water Wall», una parete all’interno della quale scorre costantemente dell’acqua a una
temperatura di 16°C in estate e
di 28°C in inverno, che contribuirà al raffrescamento degli
ambienti mediante un effetto radiante e convettivo (da 30 a 90
W/mq). Si avranno così sempre
NUOVI GRATTACIELI SOSTENIBILI
Da Miami a Dubai, il segreto
è nell’involucro
Nei progetti, le facciate incorporano turbine eoliche per la produzione di energia elettrica
o si fanno struttura e membrana per il controllo energetico
I progetti per il grattacielo Cor a Miami (studio Oppenheim Architecture + Design con Buro Happold e Ysreal Seinu) e la Torre O14 a Dubai (Reiser + Umemoto Rur Architecture P.C.)
Nell’apparentemente inarrestabile corsa internazionale alle costruzioni in altezza, si segnalano
due progetti per grattacieli, in
luoghi tra loro assai distanti, che
si distinguono per l’attenzione ai
temi dell’architettura sostenibile.
È stato recentemente approvato
dalla commissione edilizia della
Municipalità di Miami il progetto per un nuovo grattacielo sostenibile, progettato dallo studio
Oppenheim Architecture +
Design con la consulenza energetica di Buro Happold (studio
che nel 2006 ha celebrato i trent’anni di attività) e quella strutturale di Ysreal Seinu. Il grattacielo Cor, la cui posa della prima pietra è fissata a giugno, mentre la data di ultimazione dei lavori è prevista nel 2009, costerà
circa 40 milioni di dollari e si eleverà per 120 m, ospitando 113
unità residenziali, 21.100 mq di
spazi per uffici e 5.400 mq di aree
commerciali. L’esoscheletro dell’edificio è stato pensato come
una struttura tecnologicamente
avanzata, dotato di una massa
sufficiente a garantire un adeguato potere fonoisolante di facciata e in grado di ospitare aperture che alloggiano turbine eoliche per la produzione di energia
elettrica. Saranno utilizzati anche pannelli solari termici e fotovoltaici. Gli appartamenti e gli
spazi commerciali avranno un
valore commerciale variabile tra
i 400.000 e i 2 milioni di dollari;
ogni appartamento sarà dotato di
elettrodomestici a ridotto consumo energetico, certificati dal
marchio EnergyStar, pavimentazioni in vetro riciclato e corridoi con rivestimenti in bambù.
Lo studio Oppenheim architecture + design, fondato a Miami
nel 1999 da Chad Oppenheim,
è specializzato nella progettazione di edifici residenziali di media e grande altezza, caratterizzati da una forte attenzione ai temi della sostenibilità. Ha ricevuto diversi riconoscimenti, la
Kume Fellowship ottenuta nel
1994 in Giappone, il Chicago
Athenaeum’s American Architecture Award, vinto due volte e
l’AIA Miami’s 2001 Young Architect of the Year Award.
A Dubai inizierà a breve la costruzione della Torre O14 progettata dallo studio newyorkese
Reiser + Umemoto Rur Archi-
tecture P.C., che sorgerà nel
cuore di Business Bay, la futura
città d’affari degli Emirati Arabi che occuperà una superficie
complessiva di 6,4 milioni di mq
e ospiterà edifici commerciali e
residenziali, alberghi, centri
commerciali, giardini panoramici. La torre, alta 22 piani,
poggerà su un podio di due piani, con una superficie complessiva di circa 28.000 mq. La pelle dell’edificio ne costituisce la
struttura in quanto è formata da
uno strato in calcestruzzo spesso
40 cm, sul quale sono state immaginate oltre mille aperture che
riproducono l’effetto di un pizzo
avvolto attorno al volume, consentendo la vista sulla città e il
passaggio, ma allo stesso tempo
schermando per forma la radiazione solare nei periodi caldi. La
distribuzione delle aperture nell’involucro, infatti, è stata studiata in accordo con le esigenze
strutturali, e anche con quelle dei
differenti livelli di luminosità ed
esposizione solare ai diversi piani. L’intercapedine profonda un
metro tra la struttura in calcestruzzo e la facciata continua
produce l’effetto camino, necessario per richiamare l’aria esterna utilizzata per la ventilazione
naturale e il raffrescamento passivo.
❑ FRANCESCO CAUSONE
e CARLO MICONO
ottime condizioni di comfort per
gli utenti, grazie anche alla presenza costante di velocità dell’aria molto basse. Le facciate trasparenti saranno dotate di un’intercapedine che contribuirà al
controllo degli apporti solari in
estate e diminuirà le dispersioni
termiche in inverno. Questo sistema d’involucro sarà integrato
a sistemi di climatizzazione radiante che garantiranno bassi
consumi energetici e alti livelli di
comfort termico.
La qualità dell’aria interna sarà
garantita da sistemi di ricambio
con recuperatori termici, ponendo particolare attenzione al ricircolo della stessa nelle zone destinate ai laboratori.
Questi spazi saranno mantenuti
in depressione rispetto agli ambienti circostanti, adibiti a uffici, in cui avverrà la sola immissione dell’aria. Poiché nei laboratori potranno essere svolte operazioni particolari che vedranno
l’attivazione di cappe di aspirazione, quando queste saranno
accese l’aria estratta proverrà non
solo dagli uffici ma anche dall’atrio, dove la portata sarà aumentata in modo tale da compensarne la quantità estratta delle cappe stesse.
L’impianto di climatizzazione è
stato progettato per garantire ottime condizioni di comfort acustico all’interno dei locali, anche
quando sia necessario movimentare ingenti portate d’aria.
Il progetto di Ravenna è stato
presentato da Martin Haas, partner dello studio Behnisch und
Partners, durante la seconda edizione del forum Constructa, organizzato a Bologna da Fischer
in collaborazione con grandi
aziende. Haas ha inoltre presentato altre importanti realizzazioni recenti dello studio tedesco,
quali il Genzyme Center a
Cambridge (Massachusetts),
premiato nel 2005 dall’US
Green Building Council nella
categoria più alta «LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) Platinum», e il
Senscity Paradise Universe, in
corso di realizzazione nel deserto del Nevada.
Attraverso la descrizione di questi progetti, Haas ha illustrato il
concetto di sostenibilità applicato alla progettazione, così come viene inteso dallo studio Behnisch und Partners, nelle applicazioni sperimentate da tempo
in collaborazione con specialisti
del settore nell’ottica di sviluppare nuove soluzioni su misura
per ogni caso.
Spiega Haas: «Il processo progettuale ha inizio tenendo in
considerazione le esigenze della
committenza in termini non solo di spazi, ma soprattutto di livello qualitativo e di risparmio
energetico. È da questo presupposto che ci si muove per capire
quali possano essere le tecnologie più interessanti e di elevato livello qualitativo.
Non si applica un concetto di sostenibilità in termini generici e
predefiniti, così come non si cerca a tutti i costi di utilizzare una
tecnologia facendone un uso fine a se stesso». La valutazione
del reale livello di sostenibilità di
ciascuna realizzazione viene effettuata attraverso un approfondito bilancio energetico del progetto, nelle diverse fasi, considerando l’energia necessaria per il
funzionamento degli edifici.
Per realizzare architetture che
possano essere considerate veramente sostenibili, lo studio Behnisch und Partners utilizza un
approccio che vede l’integrazione di diverse competenze specifiche, provenienti da differenti
tipi di formazione e pratiche professionali (progettisti, consulenti, mondo dell’industria), in un
gioco di squadra che è il valore
aggiunto stesso alla propria attività.
❑ INGRID PAOLETTI
1m
sfioro del bacino superiore
film di acqua
ambiente interno a 27° C
60% U.R.
finitura superficiale
6 m2/h
bacino di raccolta
serbatoio di accumulo
pompa
di circolazione
scambiatore di calore
acqua
a 10° C
quota radiativa 60-90 W/mq
quota convettiva 40-60 W/mq
quota latente 30-50 W/mq
serbatoio di accumulo
potenza frigorifera fornita:
150-200W/mq
Schema di funzionamento della parete ad acqua
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Tecnologie e materiali
47, GENNAIO 2007
19
❑ Efficienti e intelligenti a Bolzano...
FRONTIERE DELLA RICERCA
Costruzioni in piattaforma
Gli esiti dell’assemblea generale della Piattaforma europea della Tecnologia delle costruzioni:
industria e ricerca condividono l’impegno per la sostenibilità, ma i fondi comunitari sono insufficenti
VERSAILLES (FRANCIA). Il 21 e
22 novembre si è svolta l’assemblea generale della Piattaforma europea della Tecnologia delle costruzioni (ECTP), una delle trentadue «piattaforme tecnologiche»
in cui si struttura la ricerca comunitaria (vedi box). Incontro particolarmente significativo in quanto segue l’Agenda per la Ricerca
strategica (SRA), approvata dall’ECTP nel 2005, e precede il varo
del settimo programma quadro
per la ricerca scientifica e tecnologica (FP7).
Il Fp7 si articolerà in quattro assi.
Per l’asse Cooperazione, che finanzia consorzi transnazionali
composti da industrie e altri soggetti, sono previsti dieci temi di ricerca, sei dei quali riguarderanno
il settore delle costruzioni. Tali temi sono coerenti con le priorità individuate nell’Agenda. Purtroppo l’impegno finanziario dell’Unione europea non corrisponderà
alla qualità dell’elaborazione e allo sforzo di classificare i concetti
che sia l’ECTP, sia le Direzioni generali Ricerca e Trasporti & Energia hanno dimostrato di avere. Le
risorse in campo non solo renderanno ridicola la possibilità di attuare gli impegni di Lisbona per
la crescita e la competitività dell’Europa, ma mostreranno che le
linee di ricerca predisposte sono
troppo ambiziose e articolate rispetto alle possibilità di sostenerle.
Si svolge a Fierabolzano (nella foto) dal 25 al 28 gennaio Klimahouse 07, la seconda edizione della Fiera internazionale dedicata all’efficienza energetica e all’edilizia sostenibile, che suggerisce soluzioni tecniche ed economiche alternative per l’edilizia residenziale e pubblica,
realizzata ex novo o per ristrutturazioni. Saranno in mostra i settori
inerenti alla costruzione degli edifici (finestre termoisolanti, porte e portoni, isolanti termici, elementi prefabbricati, coperture, strutture verticali e orizzontali) e alle relative tecnologie
energetiche (riscaldamento, ventilazione, raffrescamento,
energie rinnovabili, sistemi di regolazione e contabilizzazione). Due i convegni principali: sulle nuove regole in materia di efficienza energetica degli edifici, e sulle problematiche dell’isolamento
termico negli edifici esistenti. Il 26 si segnala una giornata d’intermediazione tecnologica transnazionale dedicata alle tecnologie innovative nei settori della bioedilizia, delle energie rinnovabili, del monitoraggio e della salvaguardia dell’ambiente.
❑ … e a Monaco di Baviera
Cantiere di edilizia residenziale bioclimatica a Bressanone
Per giunta manca una valutazione dei risultati raggiunti con i programmi precedenti: ne sono un
esempio i cosiddetti edifici ecologici, connotati da carenze nella
qualità dei progetti, assenza di
monitoraggio e d’informazioni
sui risultati, ritardi, difficoltà di
diffusione e di replicabilità.
Nei prossimi sette anni l’obiettivo primario della ricerca e dei
programmi di sussidio sarà l’efficienza energetica degli edifici, integrata con l’impiego di fonti rin-
Autoportante e trasparente
novabili (RES), il tutto finalizzato alla riduzione fra il 25 e il 70%
dei consumi e a una copertura dei
fabbisogni energetici con RES fra
il 50 e il 75%. Per conseguire tali risultati l’impegno sarà a tutto
campo: involucri e impianti più
efficienti, tecnologie innovative
per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, analisi dei costi estese all’intero ciclo di vita dei manufatti, cambiamento dei comportamenti dell’utenza. Non saranno
tanto le nuove costruzioni ma i
manufatti esistenti a costituire il
più esteso campo di attività: tutto il costruito, infrastrutture comprese, sarà oggetto d’interventi
per migliorarne la durabilità. Si
prevede un boom di programmi
anche ambiziosi per ridurre drasticamente i consumi, con tempi
di rientro dell’investimento contenuti.
A supportare tali processi, si rimarca il ruolo centrale dell’industria nell’offerta non solo di prodotti ma anche di servizi innovativi. Parallelamente si rende necessario che il settore delle costru-
zioni si orienti a soddisfare i bisogni dell’utenza, piuttosto che essere semplicemente trainato dal
progresso tecnologico. Molti interventi e programmi misurano
già oggi il loro successo di mercato sul soddisfacimento della domanda: ma ancor più si raccomanda la partecipazione degli
utenti, al fine di progettare edifici
flessibili e adattabili, e costruire
ambienti salubri, sicuri, accessibili e stimolanti.
Numerose, inoltre, le aree di ricerca a cavallo tra tecnologia della costruzione e tecnologia della
produzione, che coinvolgono altre piattaforme, tra cui ESTEP (acciaio), SUSCHEM (chimica),
FTP (foreste). Ne costituiscono
alcuni esempi l’integrazione delle
strutture con sistemi stratificati a
secco, l’irrobustimento di strutture esistenti anche in aree sismiche,
lo sviluppo di tecniche per l’impiego, la conservazione e l’immagazzinamento di energia derivata
da RES e la costruzione di case autonome.
❑ ANDREA BOCCO
Piattaforme: dall’Europa
all’Italia
La più grande scalinata autoportante al mondo realizzata interamente in vetro è uno dei tre vincitori dell’Innovation Award
Architecture and Glass alla fiera Glasstec 2006 di Düsseldorf
(nella foto, © Seele). Il produttore, Seele Gmbh & Co.Kg, azienda tedesca specializzata in strutture in acciaio, alluminio e vetro, è stato premiato per l’uso innovativo delle connessioni dei
gradini stratificati, diversamente da quelle usuali in bulloni. Notevole la lunghezza dei parapetti laterali, pari a 8,5 m, almeno
2,5 m in più rispetto alle scalinate consimili. Si tratta di un progetto all’avanguardia, reso possibile dall’uso d’interstrati a elevata resistenza DuPont™ SentryGlas® Plus, utilizzati sia nella
fabbricazione dei gradini e dei parapetti laterali in vetro sia per
i supporti stratificati in acciaio inossidabile. Seele ha realizzato
il progetto in collaborazione con l’Istituto di progettazione architettonica e l’Istituto di progettazione strutturale dell’Università di Stoccarda, responsabili della validazione delle prestazioni del manufatto in condizioni di carico statico e dinamico.
Entrambi i parapetti laterali della scalinata sono costituiti da tre
strati da 15 mm di vetro float Optiwhite prodotti da Pilkington,
con interstrati a elevate prestazioni DuPont™ SentryGlas® Plus
da 1,52 mm. Ogni gradino, largo 1,4 m e profondo 30 cm, è composto da quattro strati di vetro float dello stesso tipo, stratificati con interstrati SentryGlas® Plus per garantirne l’elevata rigidità a flessione. Ogni supporto in acciaio inossidabile è collegato con il parapetto in vetro tramite un foglio di SentryGlas®
Plus di 40 x 100 mm.
Le piattaforme europee hanno lo scopo d’indirizzare i fondi comunitari per la ricerca e lo sviluppo verso temi d’interesse industriale.Tra
le piattaforme attive, si è particolarmente sviluppata quella dedicata
al settore delle costruzioni (European Construction Technology Platform, ECTP), con lo scopo di migliorare il settore delle costruzioni e
dei beni culturali in termini di competitività e prestazioni. A partire
dall’ECTP si sono venute a creare, su iniziativa dell’industria locale e
con il supporto dei rispettivi governi, una serie di piattaforme nazionali per le costruzioni (attualmente 20 su 25 paesi europei). A due
anni circa dalla nascita dell’ECTP, il 26 maggio scorso è partita l’iniziativa, coordinata da Autostrade per l’Italia Spa e Università Politecnica delle Marche, di attivare la Piattaforma tecnologica italiana delle
Costruzioni (PTIC). Fra gli obiettivi principali: industrializzare il processo costruttivo per ridurre i costi di costruzione e aumentare la
qualità; contribuire alla definizione di una legislazione condivisa a livello europeo per generare un mercato comune delle costruzioni e
dei servizi; ridurre il consumo di energia, materiali, e altre risorse nel
settore; aumentare la competitività dell’ambito europeo rispetto agli
Stati Uniti e alle economie emergenti. La PTIC ha pertanto attivato alcune aree tematiche su cui far convergere le professionalità del settore, cui spetta il compito di definire gli obiettivi prioritari d’innovazione per le aziende e la realtà nazionale. Tali aree riguardano nello
specifico: la salvaguardia del patrimonio culturale; la ricerca di nuovi
materiali a elevate prestazioni; la realizzazione di una rete integrata
d’infrastrutture e servizi; il miglioramento dello standard abitativo
delle città e degli edifici; la qualità dell’ambiente costruito e il coordinamento dell’attività delle Pmi (www.ectp.org e www.ptic.it).
❑ Cinzia Maga
Si svolge dal 15 al 20
gennaio presso il nuovo
Centro fieristico della
città tedesca B AU
2007, salone dei materiali da costruzione per
l’edilizia tra i maggiori eventi settoriali dell’industria europea delle costruzioni. Circa 2.000 espositori provenienti da 40 paesi sono attesi
anche quest’anno al salone, i cui temi chiave sono le facciate intelligenti, la relazione tra funzione e design, l’efficienza energetica degli edifici nuovi ed esistenti.Tra le numerose manifestazioni
che accompagnano l’evento si segnalano il congresso europeo «Efficienza energetica degli edifici», organizzato dal Ministero
del Lavori pubblici tedesco, e numerosi premi, tra cui il 13° Oscar
del mercato dei materiali da costruzione organizzato dalla casa editrice Wohlfarth, il Premio Facciata 2007, il Premio Estetica e Costruzione, in collaborazione con la rivista «Detail» (associato al relativo
simposio) e il Premio per l’Innovazione di prodotto, la cui partecipazione è riservata agli espositori al BAU.
❑ La Confindustria delle ceramiche
È nata Confindustria Ceramica dall’allargamento di Assopiastrelle
alle rappresentanze dei settori della ceramica sanitaria, delle porcellane e ceramiche per uso domestico e ornamentale, delle
porcellane e ceramiche per usi industriali e del grès ceramico. Dal 1° gennaio infatti Assopiastrelle ha cambiato la propria denominazione in Confindustria Ceramica.Tutti i recapiti e gli identificativi, per il momento, rimangono inalterati. La fusione è stata approvata all’unanimità dall’assemblea di Assopiastrelle,anche grazie alla collaborazione con Federchimica, nella seduta del 12 dicembre scorso.
❑ Il condominio passivo, anzi
autosufficiente
Ha ricevuto il Premio
Vespucci «Progetto
imprenditoriale più innovativo» (giunto alla
terza edizione e promosso da Consiglio Regionale della Toscana,
Confindustria Toscana
e Cavalieri del Lavoro)
il progetto residenziale Sesto Ricasoli a
Sesto
Fiorentino
promosso dal Gruppo
Margheri Costruzioni
(nel disegno). Sono previsti 184 appartamenti a bassissimo consumo energetico (classe energetica A) e 8 appartamenti a consumo energetico zero, che risultano perciò autosufficienti (classe
A Free). Le tecnologie edilizie adottate per raggiungere tale risultato
sono l’aumento dello spessore delle murature esterne (per accrescere l’inerzia termica utile a smorzare le variazioni di temperatura cui è
soggetto l’ambiente interno in estate a causa dei carichi endogeni e
solari), l’utilizzo di doppi vetri con intercapedine in argon e infissi in
legno a spessore maggiorato, l’eliminazione dei ponti termici grazie al
rivestimento esterno «a cappotto» dell’involucro, l’utilizzo di avvolgibili integrati nello spessore del muro. Quanto alle tecnologie impiantistiche, sono stati adottati un sistema di ventilazione meccanica con
recupero di calore, il teleriscaldamento del complesso, un sistema domotico dell’impianto elettrico di ogni alloggio, comprensivo di monitoraggio consumi e, per gli alloggi A Free, un impianto di riscaldamento e raffrescamento a pompe di calore geotermiche alimentate da
energia elettrica prodotta attraverso pannelli solari fotovoltaici in copertura. Alla progettazione, curata da Giampaolo Della Rosa, Duccio
Cimenti e Marco Margheri, ha partecipato, come consulente per l’energetica edilizia e l’impiantistica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Tecnologia dell’architettura «Pierluigi Spadolini» della facoltà di Firenze.
20
Le segnalazioni del mese
Biblioteca universitaria a Le Havre
La nuova biblioteca fa parte di una serie d’interventi di riqualificazione urbana realizzati in prossimità dell’Università centrale, nell’ambito di un progetto generale di trasformazione del quartiere della stazione. L’edificio, situato su un lotto di forma
quadrata di circa 50 m di lato, si apre alla strada con un
porticato scandito da elementi verticali in mattoni che si
prolungano e schermano ampie vetrate: questa struttura
ritmata da elementi portanti tende a massimizzare le visuali dall’esterno in modo da rendere leggibili giorno e notte le attività della biblioteca. L’atrio si configura come un
grande vuoto centrale a tutt’altezza, caratterizzato da forme organiche, e si contrappone al rigore geometrico dell’involucro esterno, portando la luce nel cuore dell’edificio e distribuendo gli spazi destinati alla lettura.
Committente: Ministero dell’Istruzione pubblica Progetto: René Dottelonde e Phine Weeke Dottelonde (Parigi)
Localizzazione: Le Havre (Francia) Superficie: 8.100
mq Cronologia: concorso 2002; realizzazione 2005 Costo: 10.300.000 euro Foto: Benôit Fougeirol
Universität Schanzeneck (UniS) a Berna
La nuova sede della facoltà di Giurisprudenza si colloca nel lotto precedentemente occupato da un
edificio della vecchia Maternità di Berna, risalente al 1870. Il progetto prevede il recupero e l’adeguamento impiantistico dell’edificio originale e l’inserimento nella parcella di una nuova manica di
quattro piani fuori terra che segue il filo stradale. I due distinti edifici sono collegati attraverso una
piazza coperta da una struttura in acciaio e vetro che ospita l’ingresso principale, la caffetteria e gli
spazi di distribuzione. L’ampliamento, che contiene uffici e dipartimenti, è realizzato in intonaco
bianco con serramenti metallici a filo muro ed è caratterizzato da piccole variazioni di piani dei prospetti che movimentano la facciata senza sminuirne l’aspetto rigoroso e controllato.
Committente: Cantone di Berna Progetto: Häfliger von Allmen Architekten /
Matti Ragaz Hitz Architekten Localizzazione: Berna (Svizzera) Superficie:
17.520 mq Cronologia: concorso 2000;
progetto 2001-2002; realizzazione 20032005 Web: www.hva-arch.ch/ www.mrh.ch
Foto: Christine Blaser
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
Ampliamento facoltà di Medicina a Madrid
L’idea generatrice per l’ampliamento nasce dalle considerazioni sulla conformazione articolata della parcella, caratterizzata dall’adiacenza delle facoltà di Medicina e Farmacia e dalla vicinanza del
giardino botanico. Il nuovo volume, appoggiato sopra un «bosco» di pilastri di acciaio galvanizzato, cerca così di minimizzare la propria presenza e di massimizzare la superficie libera del lotto
sottostante trattato a verde e, attraverso la facciata nord realizzata in vetro riflettente, di mimetizzarsi con il giardino interno e il paesaggio circostante. I laboratori e i dipartimenti occupano i volumi seminterrati che prendono la luce dal giardino inferiore, mentre le aule si trovano nei due livelli sopraterra all’interno di una manica di 13 m, dove è possibile modificare
gli spazi in funzione degli usi.
Committente: Universidad Complutense de Madrid Progetto: MTM Arquitectos J. Fresneda, J Sanjuan Localizzazione: Madrid Ciudad Universitaria Superficie: 7.835 mq Cronologia: concorso 2001; progetto 2002; realizzazione
2005 Web: www.mtmarquitesctos.com
Foto: Luis Asín, Alberto Nevado, MTM
Arquitectos
Centro di ricerche a Woods Hole (Mass.)
Il centro di ricerche biogeochimiche è uno degli edifici realizzati a Woods Hole all’interno di un
ampio programma che ha compreso la progettazione di un centro di ricerche marine e il masterplan di un campus. Il BGC ospita nello stesso fabbricato un’attività interdisciplinare che riunisce
laboratori di Biologia, Chimica marina e Geochimica. L’edificio è costituito da tre aree principali: un blocco rettangolare che contiene i laboratori e spazi di servizio, un fabbricato leggermente incurvato destinato a uffici e un volume separato a due piani contenente gli alloggi e gli ambienti comuni per i ricercatori. La distribuzione è stata studiata in modo da permettere la vicinanza e l’interscambio fra le diverse attività di laboratorio. Il complesso è stato progettato con attenzione ai consumi energetici e al controllo degli apporti solari. Il rivestimento esterno in cedro chiaro rievoca i materiali tradizionali della vicina cittadina di Cape Cod.
Committente: Woods Hole Oceanographic
Institution Progetto: Ellenzweig Associates,
Inc. (Cambridge, Mass.) Localizzazione:
Woods Hole (Massachusetts) Superficie:
3.112 mq Cronologia: completamento 2006
Costo: 10.500.000 dollari Web: www.ellenzweig.com
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Committenti
e città
di Michele Bonino
Quali capacità dimostrano
le nuove strutture universitarie,
in relazione alle politiche che le
generano, d’incidere sul tessuto
della città? Che riverbero hanno
le loro scelte localizzative sulle
funzioni urbane? Su quali fattori
puntano per affrancarsi dalla
posizione di «torri d’avorio»
della ricerca e farsi partecipi
di processi di riqualificazione?
L’idea di presentare la nuova
Scuola di Biotecnologie
dell’Università di Torino
è legata, oltre che alla qualità del
progetto, a questi interrogativi.
La posizione in un quartiere
in attesa di rilancio e nuova
identità, pur strategico rispetto
al centro e a luoghi topici della
città, suscita forti aspettative
rispetto al ruolo che va
assumendo l’edificio a partire
dalla recente inaugurazione.
Come anche per i casi stranieri
selezionati, non sembra scontato
mettere in luce il ruolo giocato
dalla committenza. Nel caso
torinese, la scelta è stata quella di
localizzare più funzioni insieme.
«Ci siamo posti l’obiettivo
di concentrare la didattica,
la ricerca e l’opportunità di
sperimentare alcuni temi di
potenziale sviluppo industriale»,
spiega Fiorella Altruda,
presidente della Scuola. Questa
impostazione è il fondamento
del progetto di un edificio che
funziona come un piccolo
sistema urbano, attraverso corti,
piazze e passaggi di
collegamento: articolazione che
riflette i suoi effetti sul quartiere
circostante, attraendo un’utenza
mista e favorendo un uso non
banale di servizi, spazi pubblici,
accessibilità.
Anche l’intervento di Berna
nasce dalla scelta di collegare
l’edificio esistente e la nuova
manica attraverso un’ampia
corte coperta: forse
sovradimensionata in
proporzione alle esigenze
didattiche, ma rappresentativa di
un desiderio di spazi di relazione
con la città e il pubblico.
E neppure la biblioteca
di Le Havre rinuncia a un ruolo
chiave nel panorama urbano
in cui si colloca, attraverso il
generoso porticato e la chiarezza
con cui la facciata rivela
le funzioni al proprio interno.
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Il progetto del mese
47, GENNAIO 2007
21
Espressività del calcestruzzo
e chiarezza insediativa
Pierre-Alain Croset visita la Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino, di Luciano Pia
L’architettura della Scuola di
biotecnologie dell’Università di
Torino spicca in primo luogo per
il suo carattere di rigore e precisione, che ben rappresenta l’eccellenza e l’innovazione della ricerca scientifica. I corpi di fabbrica che delimitano la grande
piazza alberata lungo via Nizza
appaiono, grazie all’uso sapiente
del calcestruzzo a vista, come
massicci volumi stereometrici
scavati per far emergere la tipica
sezione degradante degli auditori. Il programma funzionale della Scuola è così chiaramente annunciato, fin dalla prima visione. Anche la grande vetrata che
chiude, su tutta altezza, il fronte
della piazza alberata lungo la
strada, concorre a costruire il valore di rappresentanza pubblica
dell’architettura. Il vetro assicura
una continuità visiva tra spazio
della strada e spazio «interno»
della piazza, ma nello stesso tempo stabilisce una barriera fisica con risultati ottimi anche in termini d’isolamento acustico - che
garantisce una necessaria aura di
riservatezza attorno al centro di
ricerca.
La chiarezza con la quale l’edificio s’inserisce nel contesto urbano nasce dal rispetto rigoroso dell’impianto originario delle due
cascine, che aprivano le loro corti sul fronte di via Nizza. Il nuovo edificio stabilisce un interessante dialogo con la cascina ri-
Veduta della corte pubblica d’ingresso dal ballatoio di collegamento delle aule; sotto, veduta del complesso da via Nizza (foto di Manfredi-Melegatti)
strutturata, malgrado il forte contrasto nei materiali e nell’espressione volumetrica. Anzi, è proprio il contrasto materico, cromatico e volumetrico tra nuovo e
preesistente che costruisce il significato complessivo dell’intervento come «ricostruzione critica» di un frammento di architettura peri-urbana. Di fronte a que-
sta chiarezza non solo negli intenti programmatici, ma anche e
soprattutto nelle scelte insediative, costruttive e distributive, viene inevitabilmente in mente l’etica progettuale della migliore tradizione razionalista italiana (in
particolare Adalberto Libera e
Giuseppe Terragni), anche se
appare quasi del tutto assente
l’aura di metafisica astrazione che
caratterizzava le opere di quei
maestri.
L’architettura della Scuola di
Biotecnologie esalta la concretezza dei materiali. In primo luogo
il particolare calcestruzzo autocompattante (già sperimentato
dal progettista in precedenti cantieri in Francia) è messo in opera
in modo da formare una massa
straordinariamente monolitica,
grazie all’assenza di giunti, alla
perfezione degli angoli privi di
smussature e alla quasi invisibile
impronta dei casseri: il risultato è
una straordinaria qualità espressiva del calcestruzzo a vista, rarissima in Italia, a livello delle migliori realizzazioni in Svizzera,
Francia e Germania. Anche la
particolare pavimentazione in
pietra e terra rossa concorre a suscitare forti sensazioni «tattili» nel
percorrere gli spazi aperti della
Scuola, accompagnando il visitatore in tutti gli spazi di connessione, indipendentemente dal fatto che si trovino all’aperto o al coperto. L’impianto insediativo,
nell’evocare l’antica struttura delle due cascine, moltiplica e differenzia questi spazi aperti e di connessione, che vengono vissuti come necessari alla socializzazione.
L’edificio risolve così brillantemente l’esigenza di una chiara separazione funzionale tra ambienti per la didattica e per la ricerca,
pur mantenendo ampie trasparenze tra le due parti funzionali.
Mentre la prima corte, attorno alla quale sono organizzate le funzioni didattiche, assume un’identità di «piazza mediterranea»
qualificata dalla presenza degli
alti pini marittimi, la seconda
corte, specificamente dedicata alle funzioni di ricerca e coperta
con una leggera ed elegante struttura in ferro e vetro, sorprende il
visitatore per il suo carattere di
spazio ibrido: in parte giardino
lussureggiante che ricorda atmosfere di spazi conventuali, in parte «salotto all’aperto» arredato
con panche e tavoli, si rivela un
luogo di grande fascino sul quale affacciano due soli piani di laboratori, ampiamente vetrati. È
uno spazio ben proporzionato e
curato nei particolari (dal disegno dell’elegante passerella in acciaio e vetro alla scelta delle essenze vegetali e dell’impianto
d’illuminazione), che costituisce
probabilmente il vero «cuore»
della Scuola: un luogo di silenzio e sorprendente serenità, lontano dal rumore e dall’agitazione
urbana, pensato anche per favorire incontri «informali» tra i ricercatori e incentivare il dialogo
e la comunicazione tra i diversi
gruppi di ricerca.
Un’ultima osservazione deve essere dedicata al costo dell’opera:
malgrado i rincari determinati
dall’uso di una tecnologia innovativa come il calcestruzzo autocompattante, ma anche dalla necessità di garantire elevate prestazioni degli impianti di climatizzazione, l’intervento è stato contenuto nei limiti di una spesa media di circa 1.200 euro/mq, quindi inferiore rispetto ad altre realizzazioni consimili in Italia. E
questo dimostra ulteriormente
che nel nostro paese non vi sono
in realtà ostacoli di natura economica che impediscono la promozione di una buona architettura universitaria: se esistesse il
coraggio di selezionare i migliori
architetti e i migliori progetti,
l’architettura di qualità potrebbe
contribuire a riqualificare il sistema della ricerca e dell’alta formazione.
22
Il progetto del mese
NUOVI SPAZI PER LA RICERCA E LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA A TORINO: UN PROGETTO DI LUCIANO PIA
Quando la qualità dell’architettu
Dall’alto, in senso orario: il cortile della Scuola su cui si affacciano le aule e gli spazi di relazione. Il rapporto visivo con l’esterno è risolto attraverso ampie vetrate sulla corte pubblica. Uno degli spazi per la didattica, alcuni dei quali sono collocati anche sul tetto, con vedute sul quartiere. Di seguito, il sistema di passerelle e rampe in acciaio e vetro che collegano i
livelli del cortile, uno dei grandi vani flessibili della manica destinata ai laboratori e il cortile intorno a cui si articolano gli
spazi di ricerca. Nella pagina a fianco, in alto a destra il cortile ottocentesco, preservato e restaurato; in basso a destra il
cortile retrostante, edificato solo su tre lati e aperto verso i fabbricati adiacenti. Nella fascia qui in basso, sulle due pagine,
foto della preesistenza ottocentesca (scomparsa nella seconda guerra mondiale) e studio preliminare del progettista; un’assonometria di progetto; la pianta del piano primo da cui si rileva la posizione dei laboratori, delle aule e delle sale conferenza rispetto ai cortili; due sezioni significative dell’edificio. Fotografie di Manfredi-Melegatti
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
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ra favorisce la ricerca scientifica
Nel 2002 l’Università degli Studi
di Torino sceglie di localizzare la
nuova Scuola di Biotecnologie
(MBC, Molecular Biotechnology
Center) lungo l’asse di via Nizza,
in un’area semicentrale in attesa di
riqualificazione urbana. Per la
mobilitazione delle risorse, la realizzazione e la gestione delle opere,
la Facoltà si avvale della procedura del project financing, individuandone il promotore nella figura di
un raggruppamento (Finpiemonte, Sinloc, AEM e DE-GA),
costituitosi nella forma di Società
di progetto. L’area, occupata nell’Ottocento da fabbricati rurali,
rappresenta oggi una localizzazione strategica, per la posizione centrale e la vicinanza con le altre facoltà scientifiche, per la natura stessa di via Nizza, importante asse di
collegamento con la stazione di
Porta Nuova. La Scuola è dimensionata per accogliere circa
800 studenti e 200 tra docenti e personale di supporto. Le funzioni sono organizzate all’interno di edifici di nuova costruzione e di fabbricati ottocenteschi preesistenti,
conservati e restaurati; gli spazi delle differenti attività interagiscono
mediante passerelle, terrazze e patii. La superficie di circa 15.000
mq è distribuita su due piani fuori terra e un piano interrato, ed è organizzata intorno a quattro cortili,
mantenendo l’impianto planimetrico dei preesistenti fabbricati rurali. L’accesso principale al complesso è su via Nizza. Attraverso
uno degli ampi cortili, si accede all’atrio che funziona da filtro tra la
zona destinata alla didattica e i laboratori di ricerca. La didattica ha
a disposizione tre grandi aule da
220 posti, tre da 108 posti, oltre ai
laboratori per studenti, attrezzati
per esercitazioni di biologia, chimica e informatica. I laboratori per
ricercatori, organizzati intorno a
un giardino coperto da una struttura vetrata, sono strutturati in nuclei che comprendono spazi di sperimentazione, di studio e locali per
attività specialistiche (camere per
colture, camere oscure, incubatore). Al piano interrato sono localizzati i parcheggi, i vani tecnici e
di servizio. Nei fabbricati ottocenteschi recuperati sono previsti uffici amministrativi, sale di lettura,
punti di incontro e informazione.
(dalla relazione di progetto)
Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino
Localizzazione: via Nizza
52,Torino
Destinazioni d’uso: piano
terra: laboratori per la ricerca;
piano primo e secondo: aule, laboratori per la didattica, uffici di
amministrazione
Cronologia: 2002, individuazione dei promotori del project financing: raggruppamento costituito da DE-GA, Sinloc, Finpiemonte e AEM; 2004, inizio cantiere; 2006, completamento lavori
Crediti: progetto e direzio-
ne lavori: Luciano Pia, Torino;
strutture in calcestruzzo armato: ICIS srl,Torino; strutture
metalliche: Gianni Vercelli,Torino; impianti: Sandro Perrone,
Torino; impresa esecutrice:
DE-GA Spa,Torino; illuminazione: Luceper, Torino; copertura
vetrata: Pedro srl, Torino; opere in ferro: Fratelli Zunino, Alba; pavimenti in resina: Rezina
srl,Torino; decorazione e trattamenti del calcestruzzo:
Spada e Spada,Torino.
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Restauro
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
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BAUHAUS DI DESSAU
Ottant’anni e non li dimostra
Una mostra e un convegno celebrano la conclusione dei restauri di una delle icone del Movimento moderno, progettata da Walter Gropius
DESSAU. Il 2 dicembre, con una
festa per il suo ottantesimo compleanno, sono stati presentati i risultati del restauro, durato più di
dieci anni, dell’edificio del Bauhaus. Nella stessa occasione è stata inaugurata la mostra sulla sua
storia, «Icon of Modernism», visitabile fino a marzo.
Fondata nel 1919 a Weimar e
ospitata negli edifici di Henry van
de Velde, la scuola si sposta nel
1926 negli spazi costruiti dal suo
direttore Walter Gropius a Dessau, città industriale sassone alla
ricerca di nuovi poli d’attrazione.
La nomina d’importanti artisti
come Muche e Schlemmer, Klee
e Kandinskij, e la possibilità di
poter costruire per loro le cosiddette Meisterhäuser (case dei maestri) ne accresce ulteriormente la
funzione di centro del Movimento moderno, mentre Dessau accoglie realizzazioni all’avanguardia, come la Siedlung DessauTörten (1925-1926) e l’Arbeitsamt (1927-1929), progettati da
Gropius, o la Trinkhaus di Mies
van der Rohe (1931).
L’edificio del Bauhaus, costruito
con una struttura mista, scheletro
in calcestruzzo armato e tamponamenti in muratura, si divide in
tre blocchi articolati in base alle
diverse funzioni: l’ala dei laboratori con la facciata vetrata, l’edificio degli atelier a cinque piani,
in cui vivevano studenti e giovani maestri, e l’ala nord a tre piani, dov’era collocata una scuola
professionale. Le coperture piane
e la terrazza sul tetto poggiano su
travi di sostegno in calcestruzzo
che consentono la realizzazione
di grandi vetrate a struttura metallica. Pareti e soffitti sono intonacati e colorati, i pavimenti so-
Vista dell’ala nord (© Martin Brück 2005,
Bauhaus Dessau); veduta interna (© Doreen
Ritzau 2006, Bauhaus di Dessau); vista dalla
mensa verso l’aula magna (© Martin Brück
2004, Bauhaus Dessau)
no in ceramica terrazzo, vernice o
triolin, un materiale sintetico sperimentale. Colori, illuminazione
e arredamenti sono stati sviluppati nei laboratori del Bauhaus.
La scuola viene definitivamente
chiusa nel 1932 dai nazionalsocialisti dopo appena quattordici
anni di vita. Sarà però il bombardamento di fine guerra a causare i danni maggiori sia alla par-
te anteriore che alla vetrata, che cede sotto la pressione e il calore.
Tamponato con muratura e finestre semplici, l’edificio riprende le
attività scolastiche nell’immediato dopoguerra. Lentamente rinasce l’interesse verso l’edificio che
nel 1964 viene vincolato dalla Soprintendenza locale e nel 1974 da
quella nazionale della RDT. Trascorreranno ancora due anni pri-
ma di un intervento di restauro
complessivo che ricostruisce la
grande facciata di vetro. L’edificio riprende la fisionomia attuale
e nel 1976 inaugura il Wissenschaftlich-kulturelle Zentrum
(WKZ), il centro scientifico culturale che ospiterà anche l’archivio del Bauhaus.
Le distruzioni belliche, il cambio
di funzione e uso, ma anche la so-
MAESTRI DEL BAUHAUS
La rinascita di un ideale moderno
L’architettura ritrovata della scuola di Bernau, progettata da Hannes Meyer
BERLINO. Uscendo dalla città
verso nord con la S-Bahn e scesi
alla stazione di Bernau, con un
autobus si arriva alla vecchia
Bundesschule des ADGB (la
scuola della Confederazione generale dei sindacati tedeschi), oggi finalmente restaurata dopo cinque anni di cantiere. Nel 1930,
durante l’inaugurazione dell’edificio, non c’erano autobus. I
membri del sindacato che vi si recavano per corsi di aggiornamento, per documentarsi sulle ultime
teorie politiche e fare sport, vi arrivavano a piedi, raggiungevano
una bella radura, con uno stagno
e una piscina.
Costruita durante gli ultimi anni
in cui Hannes Meyer (1889-1954)
dirigeva il Bauhaus di Dessau
(1928-1930), è un incredibile prodotto o risultato di quella scuola,
come lo sono le sedie di Marcel
Breuer o il posacenere di Marianne Brandt. Un oggetto allo stesso
tempo teorico e pratico, la messa
in opera delle teorie della scuola,
ma anche delle teorie politiche dell’architetto svizzero. Meyer, associato a Hans Wittwer e a una decina di studenti del Bauhaus, co-
Lo Bundesschule des ADGB oggi (© Thomas Bruns)
struì uno strano edificio dall’impianto e dal programma ancora
non noto, associando laterizi gialli, calcestruzzo a vista e acciaio.
Seguendo il declino del terreno, si
accedeva dapprima a una sala
conferenze, agli spazi di riunione
e a una caffetteria. Poi un lungo
corridoio vetrato serviva cinque
piccoli volumi di tre piani che
ospitavano le camere dei 120 studenti. Questo spazio, spina dorsale e strada coperta, portava alla biblioteca, alla palestra e alle aule.
Un capolavoro degli anni trenta
che servirà da modello a Max Bill
per la costruzione della Hochschule für Gestaltung di Ulm, e
un riferimento per numerosi architetti minimalisti contemporanei. Un gioco di volumi semplici
che si disgiungono e si snodano,
componendo un’architettura straordinariamente elegante che organizza le diverse funzioni in modo
originale. Questo edificio, per riprendere le parole di Claude
Schnaidt, «organizza la vita», costruisce in tre dimensioni il concetto di comunismo di Meyer.
Di tutto questo, l’architetto incaricato del restauro, Winfried
Brenne, già autore di numerosi restauri di edifici del Novecento tedesco, è riuscito a ritrovare perfettamente lo spirito. Solo il volume
d’ingresso, con i suoi tre grandi camini cubici, è sparito al tempo in
cui l’ex Germania Est trasformò
la scuola e i suoi dintorni per farne un campus. Per il resto, anche
se numerosi dettagli - come gli apparecchi d’illuminazione - hanno
dovuto essere ristudiati per adattarsi alla normativa attuale e non
sono stati ricostruiti à l’identique,
Brenne ha saputo ricreare l’atmosfera, la policromia originale e la
chiarezza, non solo della luce ma
anche della concezione, volute
dalla squadra di Meyer. Brenne ha
avuto la fortuna, che non tutti gli
architetti che lavorano sul restauro del contemporaneo hanno, che
durante gli anni la funzione non è
quasi mai cambiata. Così i giovani allievi che presto usufruiranno di questa splendida architettura sperimenteranno una struttura
programmatica e architettonica
immutata. Qui risiedono, senza
dubbio, la bellezza e il merito di
questo recupero.
❑ THIBAUT DE RUYTER
la manutenzione approssimativa,
hanno causato al Bauhaus come
in molti edifici degli anni trenta
tedeschi la perdita di materiali e
finiture originali. Materiali e tecnologie, ancora in via di sperimentazione e poi risultati inidonei col trascorrere del tempo,
strutture esili e sottodimensionate
e la mancanza totale d’isolamento hanno ulteriormente aggravato
il deterioramento strutturale di
questi edifici.
Appena vent’anni dopo il primo
importante intervento, i problemi
strutturali e d’isolamento termico
costringono a un nuovo restauro,
con attenzione ancora maggiore
agli aspetti scientifici e di metodo.
Nel 1996, anno dell’iscrizione
dell’edificio nell’elenco dell’Unesco, iniziano gli studi sulle superfici e sulle tecnologie costruttive
originarie, che riporteranno alla
luce le complesse relazioni tra elementi decorativi, superfici colorate e strutturate, sviluppate da Hinnerk Scheper come sistema di
orientamento interno all’edificio:
«[…] l’impressione spaziale del
colore viene esaltata con l’impiego
di materiali diversi: liscio, lucido,
granulato e superfici intonacate
ruvide, vernici opache e lucide,
vetro e metallo» (Scheper, 1925).
Proprio quest’accurata ricerca di
diversificazione ha reso difficile e
delicato il restauro: «un solo trattamento diverso può disturbare e
falsificare l’insieme della Raumfolge (concatenazione degli spazi)»,
dice Monika Markgraf, direttrice
del Bauhaus.
È stata realizzata una mappatura
dei componenti, individuando le
diverse epoche, 1926, 1976 e infine, per i componenti nuovi, 1999.
Con gli ultimi restauri si era perso l’unico elemento originale rimasto della facciata. Fortunatamente in una serra sono stati ritrovati elementi originali degli infissi, che sono stati recuperati e riutilizzati. È stato poi dimostrato che
i montanti delle vetrate del Bauhaus non sono mai stati dipinti di
nero, ma esternamente di grigio e
internamente di bianco.
Per quanto riguarda i materiali
sintetici sperimentali dei pavimenti come il triolin, che già dopo
poco il suo utilizzo è stato superato da altri prodotti industriali più
resistenti, è stata sviluppata una
pasta di restauro e contemporaneamente un detergente per la futura manutenzione. Il restauro ha
riportato l’edificio al suo stato originario, testimoniando che l’architettura del Movimento moderno non è quella asettica, bianca
monocromatica, ma un raffinato
risultato di policromie e giochi di
luce. ❑ ANDREAS SICKLINGER
❑ Appello per la Cité di Candilis,
Josic & Woods
La Cité artisanale de Meudon, nei dintorni di Parigi, concepita dagli architetti Candilis, Josic & Woods, rischia di essere totalmente
demolita (nella foto di François Lefevre i pannelli del complesso immobiliare che dovrebbe sostituirla). Realizzata nel 1964-1965 e ampliata nel 1974 da Josic, è internazionalmente riconosciuta come una
delle prime espressioni dell’architettura proliferante, la cui qualità architettonica è attestata dal buono stato di conservazione nonostante l’evidente mancanza di manutenzione. Largamente pubblicata, è il frutto del lavoro degli ATBAT (Ateliers des bâtisseurs) e
dei primi lavori dei seguaci di Le Corbusier. Ha avuto un’influenza certa nell’evoluzione dell’architettura moderna: in particolare, nei lavori dell’Atelier 5, nella ville nouvelle di Evry o nella città
olimpica di Montréal. Le adesioni all’appello sono da inviare a:
[email protected].
❑ Scavando il parcheggio spuntano
i bastioni
Chi conosce la storia del Castello Sforzesco se l’aspettava, ma è comunque una «scoperta» degna di nota. Durante scavi preliminari per
la realizzazione di un parcheggio in via Paleocapa (area piazzale Cadorna) è venuta alla luce parte della cinta bastionata che ha racchiuso il castello dal 1560 al 1801: a quattro metri di profondità
un tratto di muraglia, forse la controscarpa e tre contrafforti del baluardo don Pedro, del 1590-1592. Una testimonianza rilevante che restituisce un tassello dell’edificio, frutto di stratificazioni dalla fine del
XV alla fine del XVIII secolo. A metà XVII secolo la fortezza «raggiunge
la planimetria a dodici punte e l’estensione su un’area sei volte più ampia dell’attuale», ha scritto nei suoi saggi Marino Viganò, che da anni
raccoglie in mezza Europa documenti e ha pubblicato dettagliati contributi. È Napoleone a decretare il 23 giugno 1800 l’abbattimento dei baluardi, anche per realizzare il Foro Bonaparte.
Per ragioni viabilistiche è improbabile che il ritrovamento sia lasciato
a vista, ma «la sua storia - precisa la Soprintendenza - sarà ricostruita nei dettagli attraverso uno studio specifico». Gli scavi, affidati alla
Società lombarda di archeologia e alla Cooperativa archeologica di Firenze (con direzione scientifica della Soprintendenza),proseguono con
la suggestione che «se per assurdo si potesse scavare in tutta l’area
circostante il Castello, si potrebbe riportare allo scoperto l’intero perimetro dell’antica cittadella», afferma Dominic Salsarola, responsabile della Società lombarda di archeologia. ❑ Michela Fior
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
(ENNA).
Con l’inizio dell’anno partono
gli interventi di risanamento dei
mosaici e quelli, tanto discussi, di
rifacimento della copertura della
villa romana del Casale. Il Consorzio stabile Aedars Scarl di Roma si è aggiudicato l’appalto da
13 milioni e 755.000 euro per il recupero della Villa romana del
Casale. Al secondo posto della
graduatoria, stilata dall’UREGA
(Ufficio regionale per le gare
d’appalto), sezione di Enna, il
Consorzio stabile Operatore Beni culturali di Firenze. Il Consorzio Aedars ha prevalso con un
ribasso del 38,8%, più di 5 milioni. La gara era stata sospesa in
seguito ai ribassi, considerati anomali, proposti dalle due imprese,
oscillanti tra il 34 e il 39%.
Nota fin dal Seicento, scavata a
partire dalla fine dell’Ottocento e
portata in luce a partire dagli anni cinquanta da Vinicio Gentili
scomparso ad agosto, la Villa romana del Casale, a Piazza Armerina, sta ora attraversando uno
dei momenti più difficili della sua
nuova, breve, vita.
Il progetto di musealizzazione,
per cui fu determinante il contributo di Cesare Brandi e di Luigi
Bernabò Brea, allora Soprintendente archeologico di Siracusa,
risale alla fine degli anni cinquanta. I mosaici furono lasciati
in situ per comprendere il rapporto tra edificio e contesto ambientale. Dopo una provvisoria soluzione attribuita a Piero Gazzola,
allora Soprintendente ai monumenti della Sicilia orientale, con
tettoie in legno su pilastri di mattoni e manto in tegole, si procedette, attraverso un concorso, al
vaglio di altre ipotesi, tra cui cupole e vele in calcestruzzo. Nel
1957 l’incarico viene affidato a
Franco Minissi, la cui struttura
intendeva riformare (non ricostruire) i vari spazi; consentire la
visita del complesso eliminando il
passaggio del pubblico sopra i
mosaici e isolarli dagli agenti atmosferici garantendo la massima
illuminazione, utilizzando il ferro e il perspex, materiale plastico
allora appena immesso sul mercato, per scostarsi dalle strutture
murarie antiche.
Nei suoi cinquant’anni di vita, la
struttura è stata ampiamente manomessa: eliminati i controsoffitti opalini (che schermavano la luce diretta) e gran parte delle persiane laterali in perspex, sostituiti i pannelli plastici con vetri, e
quasi mai manutenute le parti
metalliche. Per le modifiche subite, ma anche per le caratteristiche
intrinseche dei materiali scelti, la
struttura di Minissi, considerata
un momento di svolta nella protezione di monumenti archeologici in situ, ha dato esiti controversi: se l’immagine della Villa è
ormai legata ai volumi trasparenti, il disagio ambientale è anch’esso proverbiale.
A partire dall’inizio degli anni
novanta inizia un lento progressivo degrado che vede anche il
compimento di atti vandalici
mai chiariti del tutto (dal ricoprimento di alcuni mosaici con
vernice nera, al danneggiamento
con colpi di martello) che hanno
PIAZZA ARMERINA
Restauro
47, GENNAIO 2007
VILLA DEL CASALE DI PIAZZA ARMERINA
Restauro al ribasso
Con un ribasso del 38,8%, aggiudicati il restauro dei mosaici e il discusso rifacimento della copertura
del sito archeologico romano in Sicilia
emana delle linee-guida che prevedono, tra l’altro, istruzioni specifiche sulla copertura. Pur riconoscendo il valore della copertura Minissi, Sgarbi ritiene che essa, oltre che essere in grave stato
di degrado, non rende chiaramente leggibile la volumetria
evocata e dà origine a una luminosità innaturale per ambienti
che erano interni. Stabilisce di
mantenere l’impostazione minissiana per quanto riguarda la riproposizione dei volumi e i percorsi su passerella, ma di sostituire la struttura con una nuova,
opaca, con elementi laterali che
«alludano alla massa e alla geometria della struttura architettonica originaria» e consentano una
luce da «penombra». Successivamente indica il legno lamellare
come materiale da utilizzare per
25
la struttura del tetto. Il progetto
esecutivo destina più di metà delle somme ai restauri dei mosaici e
degli affreschi. Approvato da
tutti gli organismi competenti
tecnici e amministrativi, consente di bandire la gara, che ha visto
la partecipazione di cinque associazioni temporanee d’imprese. Il
bando, contestato da alcuni, è stato dichiarato perfettamente legittimo con la delibera n. 80 del 15
novembre dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture.
Il progetto di Meli è l’esito di un
lungo confronto che ha avuto, tra
il 2004 e il 2006, momenti di accesa polemica che hanno condotto all’abbandono della follia rappresentata dalla cupola e a una soluzione che si ispira ad alcune intuizioni di Brandi e Minissi, pur
sostituendone i materiali. Sarebbe stato ben più significativo lasciare la testimonianza del progetto di Minissi restaurandone, ad
esempio, una parte più significativa rispetto a quanto previsto, ma
non è detto che su questo punto
non si possa ritornare anche durante l’esecuzione dei lavori.
❑ FAUSTO CARMELO NIGRELLI
Il sistema più brutale
Dall’alto in basso, plastico di
progetto, vista della copertura di Franco Minissi e dell’attacco delle strutture sulla muratura esistente
(www.piazza-grande.it)
condotto l’Assessorato regionale
a insediare un’unità di crisi presieduta dal generale Bruno Conforti. Nel 1997 il monumento
viene inserito nella World Heritage List; nel 1999 la gestione viene sottratta alla Soprintendenza
di Enna e viene istituito il Museo
regionale della Villa romana del
Casale, ma senza nuovi investimenti.
Alla fine del 2003, la svolta: l’assessore regionale ai Beni culturali, anche in seguito alle pressioni
della cittadinanza che costituisce
un Comitato per la difesa e la valorizzazione del monumento,
stanzia 18 milioni per lavori di restauro e musealizzazione, ai qua-
Sulla Certosa di Ferrara
Sul numero 46 del Giornale nell’articolo di Giuseppe Vestrucci sul restauro del Tempio di San Cristoforo alla Certosa non sono stati nominati i responsabili del progetto di completamento del restauro architettonico: responsabile del procedimento Clara Coppini,
gruppo di progettazione Andrea Malacarne (capogruppo). Ci
scusiamo con gli interessati.
li si aggiungono altri 6 milioni,
nell’ambito del Progetto integrato territoriale 11 gestito dalla provincia regionale di Enna, relativi
a interventi di recupero, tutela, restauro e miglioramento della fruibilità. Le somme a titolarità regionale, 18 milioni, vengono destinate in parte al restauro dei pavimenti musivi e degli affreschi
parietali, in parte a interventi, non
meglio precisati, sulla copertura e
sui percorsi. Il progetto viene affidato al Centro Regionale per la
Progettazione e il Restauro diretto da Guido Meli che, nella primavera 2004, presenta un preliminare in cui ipotizza una reinterpretazione della struttura di
Minissi e la sostituzione del perspex con vetri intelligenti in grado di filtrare in maniera selettiva
la luce.
Nel giugno 2004, un’ulteriore,
definitiva svolta: giunto a Piazza
Armerina per sostenere un candidato sindaco del suo partito,
Vittorio Sgarbi viene cooptato
dall’assessore regionale per sostituire il generale Conforti, nel frattempo dimessosi, e a fine anno
viene istituito l’Alto commissariato per la valorizzazione della
Villa romana del Casale, affidato al critico ferrarese.
Il progetto Meli si arena poiché
Sgarbi, pur privo di ogni reale potere, con l’avallo dell’assessorato
regionale e l’appoggio dell’amministrazione comunale, propone di sostituire la copertura con
una cupola in acciaio e vetro alta
50 m e larga 160. L’ipotesi, scelta scartandone un’altra richiesta a
Guido Canali, cancella in un sol
colpo l’intera impostazione museografica Brandi-Minissi e va in
conflitto con la realtà archeologica di un’area ancora in parte da
scavare, come avrebbe dimostrato da lì a poco la missione della
Sapienza di Roma che ha messo
alla luce la città medievale (Platia) realizzata sulle rovine della
Villa che era stata rasa al suolo da
Guglielmo I il Malo attorno alla
metà del XII secolo.
Abbandonata l’idea della cupola, viene nuovamente affidato a
Meli l’incarico. Il suo progetto
preliminare, tuttavia, viene profondamente modificato perché
l’Alto commissario, in qualità di
committente (egli riassume in sé
tutti i poteri del Direttore generale dell’Assessorato, limitatamente agli interventi sulla Villa),
[…] Il sistema di aggiudicazione [della gara di appalto per la Villa del
Casale di Piazza Armerina, ndr] è il più brutale immaginabile: massimo
ribasso sui prezzi. […] I ribassi si avvicinano al 40% (38% circa il primo, 35% circa il secondo), più di quanto fosse mai accaduto in Sicilia
nel restauro specialistico [...]. È più di un terzo dell’importo preventivato. Più di un’offerta 3x2. È così che stanno affidando il restauro dei
più importanti mosaici antichi esistenti, il quinto monumento più visitato d’Italia [...]. La risposta è un’altra: le imprese già sanno che riusciranno, tra riserve e varianti, a far lievitare i costi. Grazie ai bravi
avvocati, grazie alle connivenze tra chi dovrebbe controllare e chi dovrebbe essere controllato, rientreranno di quel ribasso spropositato
[...]. La logica dell’affidamento al massimo ribasso costituisce un fattore di rischio altissimo e intrinseco: una sorta di selezione al negativo che individua l’impresa che lavora peggio [...]. Stanziare i fondi, per
poi affidare i lavori in questo modo, è peggio che non stanziarli proprio. Senza garanzie sulla qualità dei lavori e senza reali possibilità di
controllo il restauro è un danno certo; un danno irreparabile poiché
avviene su beni unici e irriproducibili. Negli ultimi anni è troppo aumentato il divario tra ciò di cui si discute nei convegni [...] e il mondo reale dei restauri [...] dove ormai imperversano logiche da imprenditoria selvaggia [...] Prevarrà il dovere della tutela,o la logica d’impresa? Prevarrà il buon senso o la svendita al 3x2?
❑ Fabiano Ferrucci, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», Facoltà di Lettere, Laboratorio di Restauro
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Musei e allestimenti
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
GOMA A BRISBANE
Una splendida «beach house»
La nuova Galleria d’Arte Moderna ha aperto il 1° dicembre in occasione della quinta Triennale dell’Asia e del Pacifico
Due immagini del GoMA di Brisbane, progettato dallo studio Architectus
BRISBANE (AUSTRALIA). Nella nuova Galleria d’Arte Moderna (GoMA) il pubblico,
giovane o più anziano, può costruire grattacieli bianchi di Lego, guardando fuori dalle finestre il Brisbane River e il cluster
di torri piuttosto mediocri, realizzate sulla riva opposta a partire dagli anni settanta. Questo
esercizio interattivo pensato dall’artista danese Olafur Eliasson
valorizza gli esiti in realtà pessimi dell’architettura pubblica
australiana, che non è stata in
grado di raggiungere i livelli sofisticati conquistati da gastronomia, produzione cinematografica, letteratura e arte. Sydney ha
vissuto la costruzione della sua
Opera House (1959-1973), poi
più nulla di paragonabile fino a
tempi molto recenti, fino agli interventi di Norman Foster e
Renzo Piano.
Ora Brisbane rimonta: il 1° dicembre è stato inaugurato il
GoMA, con un party per 4.000
invitati. Nel corso degli ultimi
dieci anni l’aria è cambiata e i
progetti culturali non sono più
accusati di essere elitari e stravaganti: il primo ministro del
Queensland, Peter Beattie, ha
sottolineato in questa occasione
l’importanza dell’investimento
pubblico sull’arte e sull’educazione attraverso una nuova galleria d’arte (100 milioni di dollari australiani, circa 60 milioni
di euro): «Un edificio per la gente del Queensland, un’immagine identitaria per la nostra società: vogliamo che le persone vengano qui e rimangano senza parole».
In realtà, però, questo non è un
edificio che ammutolisce come i
musei di Gehry, Libeskind o
Hadid. Un giornalista locale ha
descritto il GoMA come «una
beach house su uno steroide», e
difatti è essenzialmente un padiglione con il tetto a lastra, le ve-
Pallets per la sala Samonà
Un dialogo a contrasto tra la massiccia mole del portico a volte ribassate, in calcestruzzo verniciato grigio, e una struttura
espositiva ispirata all’essenzialità: pallets in legno grezzo verniciato bianco,disposti in due file longitudinali ad andamento spezzato. Una scatola dentro la scatola dove, dalle vetrate che chiudono il portico, la luce filtra attraverso i moduli in legno donando allo spazio permeabilità luminosa e riservatezza, in un continuo alternarsi di aperture e chiusure. È il nuovo allestimento
(di Studio Azimut05 con Gabriele Cappellato, finanziato dal Collegio dei costruttori di Padova) della sala Samonà, spazio espositivo ricavato a metà anni novanta dal portico della sede padovana della Banca d’Italia (Giuseppe e Alberto Samonà, 19681974). L’allestimento è stato inaugurato in occasione della mostra (aperta fino al 30 gennaio) organizzata per anticipare al pubblico il concorso internazionale per l’auditorium della città attualmente in svolgimento. Lo spazio espositivo gestito dal Comune, ospiterà una programmazione volta a raccontare trasformazioni e sviluppi urbani contemporanei. Foto di Giorgio
Grazian
rande aperte e i brise-soleil lignei.
L’edificio è ben collocato sull’ansa del fiume e nasconde uno spazio considerevole: 26.000 metri quadrati. Nel
progetto, gli architetti Kerry e
Lindsay Clare (dello studio Architectus, che opera in Australia, Nuova Zelanda e nel SudEst Asiatico) individuano in
un’architettura sub-tropicale,
con un pizzico di sud-asiatico,
l’immagine adeguata di un museo che fa della collezione d’arte
regionale il fondamento della
propria politica culturale.
L’atrio a pianta cruciforme distribuisce la luce e orienta il flusso del pubblico: da una parte le
gallerie più piccole e le black boxes (due sale cinematografiche
che il museo ha voluto per la sua
collezione di film), percepibili
dall’esterno attraverso rivestimenti di alluminio anodizzato;
dall’altra, a destra dell’ingresso,
le grandi gallerie, le white boxes,
rivestite da vetro opaco. Le fini-
ture sono di alta qualità, con un
ampio utilizzo di legno per pavimenti e pannelli. L’effetto è
elegante e imponente, nonostante l’ingresso al museo sia abbastanza insignificante.
Il GoMA mette in completa
ombra la vecchia Queensland
Art Gallery, un edificio brutalista degli anni settanta, progettato a 150 m di distanza da un architetto locale, Robin Gibson,
che ha perfino invocato il diritto
d’autore per impedire che fosse
realizzato un nuovo ingresso per
collegare il suo edificio con il
GoMA.
Le regioni dell’Australia vivono una forte rivalità tra loro, ma
è il Queensland lo stato che ha
avuto la crescita più rapida (nel
2004, il Pil è aumentato del
4,8%), con una mobilità interna
annua di 31.000 persone. Ancora una volta la crescita è legata a un monumento culturale di
grande effetto.
❑ ANNA SOMERS COCKS
NUOVA SEDE DEI SERVIZI D’ACCOGLIENZA DELL’AUTORITÀ PORTUALE
L’ultima di Vittorio De Feo a Venezia
L’allestimento postumo (con Vincenzo Casali) per la chiesa sconsacrata di Santa Marta vince
l’European Union Prize for Cultural Heritage 2006
VENEZIA. La trasformazione
dell’ex chiesa di Santa Marta a
nuova sede dei servizi d’accoglienza per grandi imbarcazioni
da diporto, intervento promosso
dall’Autorità portuale, è l’ultima opera di Vittorio De Feo.
L’intervento, progettato nel 2000
in collaborazione con l’architetto Vincenzo Casali, iniziato nel
febbraio 2002 e concluso a settembre 2006, quattro anni dopo
la morte di De Feo, punta a riutilizzare i 480 mq della chiesa
sconsacrata (del XIV secolo, restaurata dagli architetti Giovanna Dell’Aquila e Michela Temolo). È pensato come un «giocattolo di legno a grande scala, su
cui si può salire, ci si può sedere;
in cui si può entrare, e che si può
percorrere», connotato da una
torre angolare a sbalzo e una cavea gradonata.
Al piano terra sono ospitati un
negozio, una caffetteria e i locali
di servizio; mentre la cavea e la
terrazza superiore sono pensate
per un uso anche congressuale ed
espositivo.
La nuova architettura, separata e
indipendente dalla preesistenza,
consta di una struttura metallica
rivestita di soli pannelli lignei: larice per i piani orizzontali e pero
per gli alzati. La tensione tra la
nuova architettura e la preesistenza (le capriate lignee tardogotiche, il particolare campanile
interno romanico-bizantino e
Scorcio della nuova sede dei servizi d’accoglienza dell’Autorità portuale per grandi imbarcazioni da diporto nell’ex
chiesa di Santa Marta a Venezia
l’involucro murario in mattoni,
che recano i segni delle trasformazioni stratificatesi) ha indotto
a ridurre al minimo le presenze
impiantistiche sfruttando allo
scopo l’interno del campanile,
parte del sottocavea, la nuova torre, nonché un ambiente aperto
raggiungibile dalla terrazza sommitale.
Vincenzo Casali ha seguito fedelmente il progetto elaborato da
De Feo. Di Casali è anche il disegno delle adiacenze esterne, a
completamento della principale
destinazione d’uso. A est, una linea continua di blocchi di trachite è pensata come seduta a delimitazione dell’area di progetto,
mentre nella parte opposta, a separazione dell’edilizia limitrofa,
una parete nera continua di 50 m
è utilizzabile come supporto per
esposizioni. Infine, uno schermo
in rame lucente (che contiene il
sistema di trattamento dell’aria)
di fronte all’ingresso principale
verso la cavea convoglia all’interno la luce e i riflessi dell’ambiente circostante. Questi diversi episodi risultano unificati dalla predisposizione di una piastra
in trachite innalzata alla stessa
quota del pavimento interno in
marmo di Verona, che pare dispiegarsi anche al di sotto della
chiesa, rendendola oggetto tra gli
oggetti.
Il progetto ha vinto l’European
Union Prize for Cultural Heritage 2006 ed è stato segnalato alla X edizione del Premio di Architettura Città di Oderzo.
❑ DEBORA ANTONINI
❑ Palcoscenico per la Tosse
Una struttura in legno e metallo da 20 tonnellate che
sviluppa un percorso a rampe e scale di 450 m (nel disegno).Questo l’allestimento scenico, progettato
dallo studio Cappellini &
Licheri nella Chiesa di
Sant’Agostino a Genova,per uno spettacolo in tre
parti della stagione 20062007 del Teatro della Tosse, dal titolo La mia scena è Genova: un omaggio alla città della lanterna e allo scenografo Emanuele Luzzati, che vi
ha tratto ispirazione. Conclusa la prima il 16 dicembre scorso, le altre
due parti sono programmate dal 27 febbraio al 17 marzo (Poeti versus
Cantautori) e dal 25 maggio al 2 giugno (Nel mare dell’Odissea).www.teatrodellatosse.it.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Musei e allestimenti
47, GENNAIO 2007
COMACCHIO LIDO DI SPINA
Un museo abitabile
Nanda Vigo racconta il progetto per la casa-museo di Remo Brindisi, che solo oggi è visitabile integralmente
In occasione dei suoi settant’anni, festeggiati con una mostra alla Fondazione Mudima di Milano, Nanda Vigo, architetto e artista, ripercorre per «Il Giornale
dell’Architettura» il progetto della casa-museo Remo Brindisi a
Comacchio Lido di Spina (Ferrara). La casa-museo, inaugura-
re appieno il senso che l’«integrazione delle arti» assume nell’opera di Vigo. L’allestimento delle
opere d’arte in uno spazio domestico, già affrontato da Vigo negli interni per collezionisti progettati negli anni sessanta e settanta, è qui rapportato alla dimensione pubblica del museo. Il
continuo. Le aperture interrompono la superficie esterna solo a
tratti, come le feritoie di una blockhouse, in modo da esaltare la
geometria dell’impianto, mentre
lo spazio interno è disegnato dal
reticolo delle piastrelle di klinker
bianche che avvolgono pareti e
pavimento, dov’è inserito l’arredo fisso, ridotto all’essenziale.
Fughe prospettiche, amplificate
dal riflesso di pannelli specchianti e dagli effetti cangianti
della luce sulle superfici metalliche e sui vetri stampati, riproducono visioni spaziali inattese e il-
lusorie, che si ripetono all’infinito.
«A differenza di altri ambienti acromi progettati in quegli anni, come “Interno Bianco” e casa Meneguzzo, la
percezione dello spazio interno - prosegue Vigo - è qui caratterizzata dal
contrasto tra la superficie ruvida delle
piastrelle, leggermente zigrinate per
poter resistere nel corso del tempo all’usura prodotta dalla fruizione del
pubblico, con gli inserti lucidi e riflettenti degli spigoli in acciaio cromato».
L’acciaio è usato per rifrangere la
luce ma anche per marcare nello
spazio evanescente del vano sca-
la il percorso museale, sottolineato dal corrimano, un tubo industriale di 20 cm di diametro che
delimita al contempo l’area espositiva. I dipinti sono appesi al di
sotto del mancorrente per essere
osservati durante la salita a una
distanza adeguata, senza interferire nella percezione unitaria dello spazio. Dalla rampa-quadreria, voluta da Remo Brindisi, la
rassegna si dipana in ambienti
più raccolti che affacciano sull’invaso, dal quale assorbono la
luce naturale e artificiale proveniente dalle finestre che corona-
27
no il cilindro. Di notte l’illuminazione dei neon sfuma il raccordo tra parete e soffitto. Spazi,
questi, definiti dall’integrazione
tra arte, architettura e design «in
modo che le opere tutte - conclude
Vigo - non solo siano integrate all’occhio del fruitore, ma che ciascuna
sia protagonista».
Di qui le installazioni si propagano nei luoghi di relazione, fino
a invadere i locali più conviviali
della sala da pranzo, attrezzati
con pochissimi arredi d’autore:
oltre a Vigo, Joe Colombo e Vico Magistretti. La casa-museo
Remo Brindisi è un episodio museografico emblematico in quanto opera d’arte totale: condivisa da
committente e architetto, entrambi artisti e promotori dell’arte
contemporanea (www.comune.
comacchio.fe.it).
❑ CRISTINA FIORDIMELA
Libri di qualità: da conoscitori a conoscitori
Ronconi
Ventotto spettacoli memorabili
A cura di Ave Fontana e Alessandro Allemandi
208 pp., 21 x 34 cm, 60 col., 100 b/n
Rilegato, € 50,00
ISBN 88-422-1419-1
Pier Luigi Pizzi
Inventore di teatro
Lorenzo Arruga e Franca Cella
432 pp., 24 x 34 cm, 176 col., 310 b/n
Rilegato, € 75,00
ISBN 88-422-1321-7
Capire l’arte contemporanea
Angela Vettese
328 pp., 12,1 x 19,4 cm, 83 col.
Brossura, € 20,00
ISBN 88-422-0849-3
Il valore dei dipinti dell’Ottocento
e del primo Novecento
xxiv edizione, 2006-2007
Giuseppe Luigi Marini
920 pp., 21 x 30,5 cm, 80 col., 1.476 b/n
Rilegato, € 140,00
ISBN 88-422-1440-x
Gaudenzio Ferrari e la Crocefissione
del Sacro Monte di Varallo
A cura di Elena De Filippis
264 pp., 21 x 30,5 cm, 103 col., 100 b/n
Brossura, € 30,00
ISBN 88-422-1367-5
Poltrobabbo e Poltromamma
«I miei genitori» di Alberto Savinio
Charles Sala e Sandro Dorna
56 pp., 24 x 33,5 cm, 30 col., 20 b/n
Brossura, € 30,00
ISBN 88-422-1461-2
In alto, un’immagine dell’ingresso con il grande graffito su
intonaco di Lucio Fontana, composto per una tipografia milanese e acquistato da Remo Brindisi a un’asta giudiziaria,
prima che fosse smantellato. L’apertura verticale, resa necessaria per introdurre l’opera all’interno del museo è anche sorgente di luce naturale (foto Aldo Ballo); sopra, «Il
vuoto dinamico del cilindro» visto dall’alto. Al centro, il segno nero dei divani delimita la zona di conversazione circondata dalla scultura mobile di Cappello e dagli alberi di
Marotta (foto Aldo Ballo)
ta nel 1972 e abitata dal pittore e
collezionista fino alla sua scomparsa nel 1996, è oggi integralmente aperta al pubblico.
«Museo abitabile, alternativo,
operante» ove presentare «la pittura, la scultura, l’architettura, il
design in un unico progetto culturale, in un insieme che ne dimostri l’interdipendenza e l’integrazione», dichiara Brindisi nel
suo libro La Passione (1990). Passione per l’arte. È questo il criterio con cui Brindisi assembla in
venticinque anni la sua collezione di circa 1.800 opere, promuove la costruzione del museo, e li
dona generosamente allo Stato
italiano. La sua è una raccolta eterogenea, dove si possono trovare
alcune opere di fine Ottocento,
ma soprattutto dei grandi maestri
del secolo scorso, tra i quali Modigliani, Picasso, Boccioni, Balla, Pollock, Wols, Giacometti,
De Kooning, Spazzapan, De
Chirico, Gentilini, Appel, Cavaliere, Cascella, Mascherini,
Moore, Boriani, Castellani e
Fontana. Non manca l’apporto
delle ultime generazioni alle quali Brindisi dedica un nucleo consistente della sua collezione.
Pensata insieme all’amico pittore
tra il 1967 e il 1971, la casa-museo a Lido di Spina è un passaggio determinante per comprende-
progetto assolve contemporaneamente tre funzioni: abitazione,
atelier d’artista, museo d’arte.
«Rispetto alle altre case per collezionisti - spiega Vigo - l’esigenza prioritaria della casa-museo Remo Brindisi è stata quella d’integrare lo spazio
museale a quello residenziale, mantenendoli tra loro autonomi. La visita alla collezione si svolge in senso ascendente lungo il percorso individuato dalla scala elicoidale che parte dal seminterrato, con le opere degli artisti più giovani, prosegue ai piani superiori e culmina alla ‘sala regia’, dove sono allestiti alcuni tra i capolavori più rappresentativi della raccolta. Gli abitanti
possono accedere ai vari livelli con un
ascensore che sbarca in corrispondenza delle stanze a uso privato».
La distinzione tra casa e museo,
leggibile anche all’esterno, determina la composizione volumetrica dell’edificio, definita dall’intersezione tra il cilindro che
contiene la scala-quadreria e il
corpo progettato per le funzioni
residenziali. L’innesto dei volumi si traduce sui quattro fronti
con altrettante diverse configurazioni, movimentando il carattere
monumentale dell’architettura.
Gli ambiti della casa e del museo
sono unificati dai rivestimenti,
scelti in modo da esprimere, con
linguaggi diversi nei prospetti e
negli interni, l’idea di uno spazio
Arte e meraviglia
Scritti sparsi 1974-1995
Adalgisa Lugli
848 pp., 15,5 x 23 cm, 1 b/n
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Il bambino prodigio di Lubecca
Guido Guerzoni
150 pp., 9,5 x 16,5 cm
Brossura, € 15,00
ISBN 88-422-1434-5
I monaci guerrieri
Gli ordini cavallereschi militari
Desmond Seward
256 pp., 15 x 23 cm, 16 col.
Rilegato, € 25,00, ISBN 88-422-1328-4
Carlo Mollino. Polaroid
80 pp., 24 x 34 cm, 46 col., 80 b/n
Brossura, € 19,00
ISBN 88-422-0932-5
L’età di Rembrandt
I disegni olandesi
della Biblioteca Reale di Torino
A cura di Anna Bozena Kowalczyk e Jer Luijten
192 pp., 21 x 30,5 cm, 55 col., 87 bn
Brossura, € 35,00, isbn 88-422-1447-7
Luigi Anton Laura
La vita, la casa
Racconti di un antiquario,
collezionista e viaggiatore
152 pp., 21 x 30,5 cm, 57 col., 46 b/n
Rilegato, € 35,00
ISBN 88-422-1445-0
Domenico e Gerolamo Induno
A cura di Giuliano Matteucci
236 pp., 21 x 30,5 cm, 68 col., 33bn
Rilegato, € 35, 00, ISBN 88-422-1460-4
Case antiche della nobiltà in Piemonte
A cura di Adele Re Rebaudengo
260 pp., 24 x 34 cm, 128 col.
Rilegato, € 75,00
ISBN 88-422-1327-6
Il fascino delle case all’antica
Testi di Eugenio Busmanti e Domenico Papa
Fotografie di Massimo Listri
144 pp., 24 x 34 cm, 176 col.
Rilegato, € 45,00, ISBN 88-422-1329-2
Theatrum Rosarum
Le rose antiche e le rose moderne
A cura di Elena Accati ed Elena Costa
336 pp., 24 x 34 cm, 428 col.nel volume,
4.885 col. nel Dvd
Rilegato in cofanetto, € 150,00
isbn 88-422-1199-0
L’identità perduta
I musei rurali della provincia di Imperia
A cura di Giorgia Cassini
Fotografie di Massimo Listri
120 pp., 21 x 30,5 cm, 43 col., 26 bn
Rilegato € 35,00, ISBN 88-422-1452-3
Architettura e disegno urbano
a Siena nell’Ottocento
A cura di Margherita Anselmi Zondadari
410 pp., 23 x 28,5 cm, 265 col., 34 bn
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Dizionario del gioiello italiano
A cura di Maria Cristina Bergesio e Lia Lenti
384 pp., 21 x 30,5 cm, 420 col.
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investimenti in cultura durevole
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Città e territorio
BERLINO. Col finire del 2006 e il
pensionamento di Hans Stimmann, all’età di 65 anni, si è conclusa a Berlino una pagina importante dell’urbanistica recente.
Il personaggio ha, in effetti, dominato la scena berlinese per più di
15 anni e le sue scelte, sia architettoniche che di pianificazione,
hanno dato alla capitale tedesca il
suo nuovo volto, da Potsdamer
Platz alla riqualificazione del centro storico e delle periferie.
Nato nel 1941 a Lubecca, Stimmann aveva inizialmente ricevuto una formazione da muratore.
Nel 1965 ottiene un diploma
d’ingegnere-architetto, completato con una prima specializzazione a Francoforte. Nel 1970 si
trasferisce a Berlino e completa la
propria formazione professionale. Nel 1975 s’iscrive al dottorato
di Pianificazione urbana e regionale dell’Università tecnica.
Questo primo periodo berlinese è
per lui occasione di un precoce
inserimento nei dibattiti urbani,
che si conclude con il conferimento del titolo di dottore di ricerca nel 1977.
Già dal 1969 Stimmann è membro del partito socialdemocratico
(SPD), e ne diventa presto uno dei
massimi esperti in materia urbana. Nonostante il suo trasferimento ad Amburgo, dove ottiene nel 1980 un posto di ricercatore presso l’Istituto di pianificazione urbana e regionale della locale
Università tecnica, resta per tutta
la prima metà degli anni ottanta
molto attivo nel campo della riflessione sull’avvenire di Berlino.
In un’epoca in cui la città diventa il terreno di una ricca sperimentazione architettonica e urbana per una nuova generazione di
architetti e urbanisti, una stagione che culmina con l’Internationale Bauausstellung (IBA) del 1987,
Stimmann riesce ad affermarsi come punto di riferimento per l’ala
dell’SPD e l’ambito degli architetti che si pronunciano a favore
di un dialogo con i colleghi comunisti di Berlino Est.
Si deve dire che a Est era in atto,
sin dal 1979, un cambiamento rilevante nella concezione teorica
delle trasformazioni urbane, in
netta rottura con i principi attuati
dal 1953 e che, sia politicamente
che concretamente, il momento
poteva sembrare favorevole a
scambi di esperienze nella sistemazione di una città dove ancora
i ruderi segnavano il paesaggio urbano. Al periodo di distruzione
massiccia dei resti della città bom-
47, GENNAIO 2007
HANS STIMMANN È ANDATO IN PENSIONE
Il muratore che ha dominato
la scena di Berlino per 15 anni
Gli esordi, i precedenti e un bilancio della sua attività di direttore del servizio di pianificazione urbana della città-stato
partecipare ai dibattiti del suo
tempo con numerose pubblicazioni, riprende alcuni dei principi prioritari dell’IBA e li inserisce
nella sua visione di una città meno «duale» di quanto spesso si af-
critiche, Stimmann è comunque
riuscito a portare avanti la costruzione del progetto di Potsdamer Platz e la riqualificazione
della maggior parte del centro storico (Mitte). In un contesto eco-
«Per Stimmann, la nuova fase
di Berlino capitale è occasione di prendere
le distanze dall’eredità della Carta di Atene
e dalla sua influenza sull’urbanistica
sia comunista che capitalista.
L’importante, per lui, è trovare una soluzione
alla perdita di sostanza del tessuto urbano
e di sviluppare la città in relazione
con il suo passato. L’idea di città di Stimmann
dialoga così con i piani di Schinkel
e di Hobrecht, più che con le teorie moderniste,
da cui si distacca nettamente»
casione per avviare contatti con i
colleghi al di là del muro. Da ricercatore conduce così dal 1980 al
1985 un importante progetto di
studio sulle prime esperienze di riqualificazione urbana a Berlino
Est, che diventa pretesto di incontri sia formali (a livello di scambi
«In netta contrapposizione rispetto
all’eredità di una pianificazione di rifondazione,
sia a Est che a Ovest, e di trasposizione,
su uno spazio urbano considerato come neutro,
di un’idea di città più o meno rigida,
Stimmann cerca di promuovere
una nuova cultura del piano e dell’architettura,
dalla quale spunta il concetto di “ricostruzione
critica” per i quartieri da rinnovare e di “città
europea” per le vaste aree distrutte nel 1945
e lasciate vuote dal percorso del muro»
bardata nel 1945 e d’imposizione
della nuova trama dell’urbanistica socialista, ispirata a principi di
separazione delle funzioni e di disegno ex novo di una matrice urbana, era succeduta una seconda
era attorno al concetto di «ricostruzione».
Per Stimmann, in linea con le direttive del suo partito, questa è l’oc-
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
tra il partito comunista della Germania Democratica e l’SPD) sia
informali con l’ambiente urbanistico di Berlino Est. Stimmann lavora in particolare con Roland
Korn, uno dei massimi responsabili della svolta urbanistica in atto oltre il muro. Visita a più riprese
i cantieri delle prime sei zone d’intervento di riqualificazione a Mit-
te, Prenzlauer Berg, Friedrichshain e lungo la Frankfurter Allee.
Ma questo metodo non piace: né
a Est, dove la costruzione teorica
di una nuova politica urbana non
deve portare a negare i principi
stessi di Berlino Est capitale autoreferenziata della Repubblica Democratica, che si sviluppa su se
stessa senza pensare all’Ovest, né
a Ovest, dove Stimmann non riesce a convincere gli ambienti organizzativi dell’IBA dell’importanza dell’attuazione di una riflessione urbana che possa includere
Berlino Est. L’IBA di Josef Paul
Kleihues resterà orientata su una
prospettiva più strettamente occidentale e non risponderà alle speranze di Stimmann o di Hämer di
vedere inseriti nelle riflessioni sulla città da ricostruire con nuovi
principi urbanistici, come la partecipazione o la ricostruzione critica, gli insegnamenti della ricerca sull’Est, né le prospettive politiche e urbane che ne derivano.
Nel 1986, dopo questa intensa ma
alla fine poco soddisfacente esperienza (anche se cruciale per la seconda parte della sua carriera),
Stimmann torna sul Baltico e diventa responsabile dell’urbanistica nella sua città natale, Lubecca.
Quando alla fine del 1989 cade il
muro, tutto cambia. Quando nel
fermi. Per lui, il compito principale dell’urbanista non è solo ricucire un tessuto urbano sviluppatosi secondo direzioni diverse,
ma anche passare a una dimensione che faccia i conti con le ideologie urbane del XX secolo.
Per Stimmann, la nuova fase di
Berlino capitale è quindi occasione di prendere le distanze dall’eredità della Carta di Atene (1933) e dalla sua influenza sull’urbanistica sia comunista
che capitalista.
L’importante,
per lui, è trovare
una soluzione
alla perdita di
sostanza del tesIn alto, edificio per abitazioni nei pressi di suto urbano e di
Checkpoint Charlie (Peter Eisenman e Ja- sviluppare la
quelin Robertson, 1981-1986); a fianco, masterplan di Berlino per le aree IBA di Frie- città in relaziodrichstadt Sud e Tiergarten Sud, 1984; so- ne con il suo
passato. L’idea
pra, Hans Stimmann
di città di Stimgiugno 1990 l’SPD ottiene il 34% mann dialoga così con i piani di
dei consensi alle elezioni ammini- Schinkel e di Hobrecht, più che
strative di Berlino Est, contro il con le teorie moderniste, da cui si
30% dell’ex partito unico (l’O- distacca nettamente.
vest aveva votato nel 1989 e dato il Già nel 1991-1992 impone un in38% all’SPD), diventa chiaro che sieme di regole per la riqualificaper Stimmann si stanno schiu- zione urbana e la costruzione nel
dendo nuove prospettive. Sarà centro storico che contribuisce a
chiamato dall’assessore Wolf- dare il volto alla Berlino d’oggi:
gang Nagel ad assumere le fun- l’innovazione architettonica dozioni di direttore del servizio di vrà esprimersi senza mettere in
pianificazione urbana della città- discussione la trama ereditata e le
stato (Senatsbaudirektor nella Senat- linee generali del paesaggio urbasverwaltung für Bau- und Wohnung- no che ne derivano (altezza masswesen, poi Stadtentwicklung, dal sima da 22 a 30 metri, allinea1991 al 2006, senza interruzione, menti, facciate). Per Potsdamer
salvo una parentesi come Senats- Platz, egli impone una visione
che non rompe con la trama delsekretär dal 1996 al 1999).
In netta contrapposizione rispetto la Berlino ottocentesca e costrinall’eredità di una pianificazione ge gli architetti ad accettare un
di rifondazione, sia a Est che a quadro molto rigido. Chi non
Ovest, e di trasposizione, su uno accetta, come Koolhaas, viene
spazio urbano considerato come emarginato. Dal 1996 al 1999 laneutro, di un’idea di città più o vora prima alla redazione, poi almeno rigida, Stimmann cerca, a la promozione politica, del suo
partire dal suo arrivo alla testa dei grande piano per Berlino. Il moservizi di pianificazione della ca- mento chiave di questa politica è
pitale, di promuovere una nuova il voto da parte del Senato di Bercultura del piano e dell’architet- lino, nel 1999, di quel che viene
tura, dalla quale spunta il concet- chiamato il Planwerk Innenstadt.
to di «ricostruzione critica» per i Si tratta in sostanza di un’estenquartieri da rinnovare e di «città sione del principio applicato fieuropea» per le vaste aree distrut- nora nel centro storico: il concette nel 1945 e lasciate vuote dal per- to di «città europea» impone recorso del muro. Stimmann, in- gole ancorate all’Ottocento.
somma, che non smette mai di In quindici anni, nonostante le
nomico che non ha mai corrisposto alle aspettative e alle speranze del 1989-1990, quando si
pensava che Berlino stesse per conoscere una nuova fase di espansione demografica ed economica,
Stimmann è riuscito a trovare appoggi in ambienti sia politici, federali e locali, che economici.
Sebbene alcuni gruppi d’investitori abbiano rinunciato a grandi
progetti, dal World Trade Center di Hilde Léon e Konrad
Wohlhage al progetto di Kleihues per Oranienburgerstrasse, si
può dire (perché è stato anche suo
lavoro, fatto spesso in salita) che
Stimmann sia riuscito a convincere molti investitori che questa
Berlino aveva un futuro.
Egli è anche riuscito a fare sì che
Berlino resti un capitolo a parte
nel panorama professionale mondiale, una città in cui lavora il Gotha degli architetti (o almeno
quelli che accettano le sue regole),
come ai tempi dell’IBA. Gran
parte dei quartieri di Plattenbau,
l’edilizia popolare di Berlino Est,
sono inoltre stati rinnovati, e le
esperienze di partecipazione cittadina, malgrado i limiti dell’esercizio, sono andate avanti. Ma non
sono mancate le critiche sul ruolo
di Stimmann nel fare di Berlino
una città conservatrice in materia
architettonica. Perché lo spazio
tra referenza al passato (conservazione) e visione retrograda (reazione) è sottile, e perché non si può
dire che Stimmann sia sempre riuscito a restare dalla parte giusta.
Si può anche discutere la sua difficoltà a inventare nuovi spazi
pubblici. Anche Potsdamer
Platz, in fin dei conti, deve più il
suo spazio pubblico al commercio che alla pianificazione pubblica. Quanto al trattamento dei
quartieri di edilizia pubblica, da
Märkisches Viertel (Ovest) a
Marzahn (Est), si è affidato più
all’efficienza della politica sociale
che alle soluzioni architettoniche.
Affinché Berlino continui a fare
sognare gli architetti di tutto il
mondo resta, insomma, per il suo
successore, il compito di riuscire
a reintrodurre una dose di maggiore creatività in un quadro ormai consolidato.
❑ DENIS BOCQUET
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Città e territorio
47, GENNAIO 2007
29
PAOLO PORTOGHESI A TREVISO
Un Quartiere Latino sul Sile
Completato il recupero, commissionato da Fondazione Cassamarca, dell’ex ospedale di Santa Maria dei Battuti, e destinato a Università,
residenze e commercio
Progetti in corso a Treviso e dintorni
Sopra, la nuova piazza dell’Università vista dal ponte pedonale sul fiume Sile: sulla sinistra, l’angolo del palazzo dell’Umanesimo Latino; sulla destra, il corpo laterale dell’Università. In alto, lo spazio pedonale interno: sulla destra i corpi
residenziali, sullo sfondo l’ex Ospedale medievale, attraversato dall’ingresso nord al complesso (fotografie di Lorenzo
Capellini). A destra, planimetria dell’intervento
TREVISO. Con la presentazione al
X Salone dei Beni Culturali di
Venezia (1°-3 dicembre) del volume Paolo Portoghesi. L’università e
il Quartiere Latino nel centro storico di
Treviso (a cura di Mario Anton
Orefice, edito da Marsilio), che segue l’inaugurazione dello scorso 2
ottobre, si è conclusa formalmente la consegna alla città del recupero del comparto edilizio dell’ex
ospedale di Santa Maria dei Battuti, su progetto dello stesso Portoghesi. Denominato ora Quartiere Latino per via della sua destinazione universitaria, il programma prevede anche una congrua quota residenziale e com-
merciale, prolungando così il tessuto funzionale urbano del centro
storico.
Localizzato nel suo settore meridionale e aperto sulle sponde del
fiume Sile, il comparto comprende sia gli edifici storici dedicati all’assistenza sanitaria, risalenti al
XIV secolo (affacciati verso il nucleo urbano più antico), sia quelli destinati a servizi, come il Palazzo della Dogana Vecchia, risalente al XVII secolo e rivolto sul
porto fluviale. Nel tempo, l’attività ospedaliera si è ampliata a tutti
gli stabili dell’area, dando origine
a numerose modifiche edilizie perdurate fino al secondo dopoguer-
❑ News dal Kilometro rosso
Il 6 dicembre è stata posata la prima pietra del polo Innovation
and Technology Central Laboratory (ITCLab), il nuovo centro di
ricerca e innovazione del Gruppo Italcementi. Progettato da Richard Meier su una superficie di 11.000 mq di cui 7.500 adibiti a laboratori di ricerca,dovrebbe essere inaugurato nei primi mesi del 2009
(cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 40, maggio 2006, p. 24). L’ITCLab
è un tassello importante del Parco scientifico del Kilometro rosso
(392.000 mq., con 90.000 mq. di superficie coperta) nato, su masterplan di Jean Nouvel, alle porte di Bergamo lungo l’autostrada
A4 Milano-Venezia, al cui interno troveranno spazio iniziative multidisciplinari di ricerca, promosse da società private ed enti pubblici,
che dovrebbero occupare entro i prossimi 10 anni circa 3.000 persone. Il Parco, ora in fase di realizzazione, è caratterizzato da una quinta architettonica in alluminio estruso di colore «rosso corsa Ferrari»
che, con un’altezza di 10 m, corre lungo l’autostrada e raggiungerà, a
lavori ultimati, un chilometro di lunghezza, su cui si attesteranno tutti gli edifici del complesso.Ai primi di novembre era stato presentato
alla Triennale di Milano il Centro delle Professioni, situato nel cuore del Parco e progettato dal milanese studio Blast (Luca Bombassei, Simona Traversa e Franz Siccardi), attento alla sostenibilità energetica. L’edificio, dotato di una superficie di 9.000 mq e il cui completamento è previsto per fine anno, è destinato ad accogliere una serie
di servizi: formazione, consulenza aziendale, societaria e organizzativa, contrattualistica internazionale, tutela della proprietà intellettuale
e brevettazione, servizi di assistenza per la promozione e il finanziamento della ricerca, il trasferimento tecnologico, la progettazione, l’ingegneria e il design.
ra quando, con il trasferimento dei
primi reparti, l’ospedale è stato via
via abbandonato, con una progressiva esclusione dell’area alla
vita cittadina. Con l’avvio, nel
1999, dei lavori di recupero, successivi alla chiusura delle ultime
attività sanitarie (1998), il processo s’inverte. La decisione di riportare in città una struttura universitaria (presente per un breve periodo in epoca medievale), destinando a sede dei corsi di Giurisprudenza, Statistica e Lingue, il Palazzo della Dogana Vecchia, operativo dal settembre 2001 (a cui si
abbina, sulla sponda meridionale
del Sile, la sede provvisoria di
Economia e Commercio presso
alcuni corpi della ex caserma Pietro Micca), ha ricollocato l’area al
centro dei flussi cittadini. Con la
riapertura di alcuni percorsi pedonali interni e l’abbattimento di
alcuni edifici non significativi, si
è predisposta una ragnatela di attraversamenti focalizzati sulla
grande piazza aperta sul Sile, affiancata dal ramo stombinato del
fiume Cagnan e prospiciente il
ponte pedonale (progettato sempre da Portoghesi, ad arcata unica in legno, segnata da quattro
obelischi alle estremità) che collega le due strutture universitarie.
Il disegno architettonico rispecchia un atteggiamento rassicurante nei confronti delle aspettative
formali. In stretto accordo con la
Soprintendenza, il progetto di restauro segue «una metodologia
analitica, differenziata secondo il
valore delle singole parti del complesso edilizio». Così Portoghesi
in parte strizza l’occhio alla storia
cittadina (la lavorazione del ferro
battuto delle ringhiere delle scale
dei blocchi residenziali dei controsoffitti dei passaggi pubblici
che riprendono i disegni degli affreschi del XIV secolo; la scansione delle aperture verticali che, «come note sul pentagramma», citano lo Scamozzi; gli arredi delle sale universitarie di sicura adesione:
Frank Lloyd Wright, Alvar
Aalto, Giovanni Michelucci) e in
parte dà maggior vigore al proprio
disegno organico, come nei collegamenti verticali interni ispirati
alle scale ad albero di Mario Ridolfi. La precisa cura progettuale
dei restauri e dei nuovi volumi non
salva però la facciata settentrionale di Palazzo Bortolan (ora Palazzo dell’Umanesimo Latino, sede
del Centro internazionale di Studi Universitari di Alta Cultura
dell’Umanesimo Latino, voluto
dalla committenza) dalla superposizione di tre canne fumarie in
alluminio, che spiccano incongruamente.
❑ JULIAN W. ADDA
Se alcuni edifici vengono recuperati, altri sono demoliti e sostituiti. La periferia si allarga e sviluppa
nuove forme residenziali. Ecco una serie non esaustiva di progetti, che tenta tuttavia di restituire uno
spaccato dello stato di fatto.
Mentre il Centro polifunzionale Dal Negro (oggetto di un Programma integrato di riqualificazione urbana) rappresenta un intervento minuto a ridosso delle mura (cfr. il numero scorso, p. 18),
il Programma integrato di riqualificazione urbanistica,edilizia e ambientale ex Appiani opera a una scala ben più vasta (7 ettari), prevedendo
l’insediamento di numerose strutture legate ai servizi (trattative sono in corso con Unindustria, Camera di commercio locale, Confartigianato, Questura, Università), dalle notevoli volumetrie.Avviato nel
2004, sono previste varie fasi di consegna, tra il 2008
e il 2010. Il progetto di recupero dell’ex Ospedale psichiatrico Sant’Artemio copre un’area di
70 ettari destinati a parco urbano e prevede, oltre
agli uffici provinciali e relativi servizi, un teatro, una
chiesa, una nursery, un ostello, un museo e una fermata del servizio ferroviario metropolitano regionale. La conclusione del cantiere, aperto il 20 novembre, è prevista nel 2009. Il progetto di riqualificazione della centralissima Isola della Pescheria,
cuore della vita comunitaria, riprende l’originaria organizzazione degli spazi, cura il rifacimento della pa-
vimentazione in trachite e definisce le struttura fissa che copre i banchi del mercato, in acciaio, vetro e
legno; la sagoma ricorda la forma delle chiatte, tipiche barche da trasporto in laguna veneta. A pochi
chilometri dal centro, si lavora all’ampliamento
dell’aeroporto Antonio Canova. I primi studi risalgono al 1996, l’inaugurazione è prevista nei primi
mesi dell’anno.
In periferia, a Dosson di Casier, un Piano attuativo, successivo a un concorso indetto dal Comune nel
1998, si oppone alla frammentazione degli edifici isolati in lotti, proponendo isole in cui i volumi edilizi
sono progettati insieme agli spazi aperti di pertinenza
al fine sia di costituire insiemi unitari e riconoscibili,sia di gerarchizzare i sistemi della viabilità e del verde. Ogni isola viene progettata da progettisti diversi, che partono dalla base comune del concorso. A
Ponzano, altro comune della cintura, l’ampliamento della scuola elementare (inaugurata il 16 dicembre), con annessa una nuova palestra e un percorso
pedonale pubblico riconfigurano lo spazio pubblico
del paese, confuso da un’espansione frammentaria e
irregolare. Il progetto per l’ampliamento dell’asilo nido (in periferia cittadina, lungo la statale che porta a
Padova) attua lo stesso concetto protettivo: il volume volta le spalle al fronte stradale e invita i bimbi
verso il giardino interno. ❑ J. W. A. con la collaborazione di Paolo Panetto
❑ Piruea ex Appiani, Treviso
❑ Riqualificazione dell’Isola
della pescheria a Treviso
Studio Botta, Lugano; committente: Fondazione
Cassamarca; 236.000 mc (146.000 a destinazione
pubblica direzionale, 90.000 a destinazione privata direzionale,commerciale,residenziale);impresa:
consorzio d’imprese Treviso Maggiore (Carron,
Biasuzzi, De Eccher); 2004 - in corso.
❑ Nuova sede Amministrazione
provinciale, ex Ospedale
Psichiatrico Sant’Artemio a Treviso
Toni Follina, Treviso; committente: Provincia;
128.500 mc; impresa: Setten Genesio (capogruppo ATI); 2006 - in corso.
❑ Ampliamento e ristrutturazione
aeroporto Antonio Canova
(San Giuseppe) a Treviso
Toni Follina, Treviso; committente: Comune; 1.350
mq; 1999-2002.
❑ Residenze a patio (nella foto) e PEEP
a Dosson di Casier
Amaca architetti associati, Treviso; committente:
GMT srl., Treviso; 5.000 mc e 13.000 mc; impresa:
Sartor costruzioni sas; 2003-2005 e 2000-2004.
❑ Ampliamento scuola elementare
e nuova palestra a Paderno
di Ponzano Veneto
Studio Mar, Venezia; committente: AerTre spa;
13.950 mq; 1996 - in corso.
❑ Residenze convenzionate
a Dosson di Casier
Made associati, Treviso; committente: Comune;
1.020 mq; impresa: Clea sc, Campolongo Maggiore; 2004-2006.
❑ Ampliamento Asilo nido integrato
«G. Appiani» a Treviso
Marta Baretti, Sara Carbonera, Elena Olivo,Treviso; impresa: F.lli Paccagnan Spa; 2001-2004; foto:
Francesco Castagna.
Made associati, Treviso; committente: IPAB «G. Appiani»; 1.620 mc; impresa: Edilnord srl; 1999-2003;
foto:Alessandra Chemollo.
30
Infrastrutture
ROMA. Fra dieci anni la città avrà
una metropolitana tutta nuova, la
linea C, o, come la definisce spesso il sindaco Walter Veltroni, la
«metro-archeologica». La linea
C passerà, infatti, sotto il centro
di Roma, e il fatto in sé non è nuovo. Nella capitale esistono già due
linee, la A e la B, che corrono sotto monumenti e piazze celebri,
dal Colosseo al Circo Massimo,
da piazza di Spagna a piazza Barberini.
La linea B è del 1939 e per realizzarla si scavò una trincea larga
quanto un campo di calcio che
sconvolse l’intero centro storico
distruggendo qualsiasi reperto archeologico. Con la linea A le cose cambiarono: lo scavo dei tunnel della metro partì in un primo
momento con le tradizionali trincee a cielo aperto ma ben presto,
per le proteste dei cittadini, si de-
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
LA NUOVA LINEA C
Roma scava
per la «metro-archeologica»
Il sindaco Veltroni ha assicurato che nessun reperto archeologico di pregio sarà toccato per far posto alla metro;
semmai, sarà questa a spostarsi
cise di utilizzare la tecnica del «foro cieco»: uno scudo meccanico,
la cosiddetta «talpa», perforò il
terreno nel sottosuolo, a livello
delle argille.
La metro C, che conterà su un finanziamento misto tra Stato, Regione e Comune, costerà 3 miliardi. Sarà lunga 25,5 km (17,6
in sotterraneo, 8,9 in superficie),
avrà 30 nuove stazioni e colleghe-
rà entro il 2015 piazzale Clodio,
dove sorge la città giudiziaria, alla borgata Pantano, all’estrema
periferia sud-est della capitale. Sarà senza macchinisti, guidata da
un grande cervellone centrale. A
occuparsi della costruzione della
nuova tratta è Roma Metropolitane, società controllata dal Comune e guidata da Chicco Testa.
La città storica è ampiamente at-
traversata dalla linea. Dalla basilica di San Giovanni in Laterano il tunnel piegherà verso il Colosseo, passando sotto via dei Fori Imperiali, piazza Venezia, corso Vittorio Emanuele, incrociando i quartieri sei e settecenteschi
del centro storico e monumenti
come la Chiesa Nuova, Sant’Andrea della Valle, la Cancelleria apostolica. Una talpa, quin-
Sezione su via dei Fori Imperiali con l’ipotesi di museo archeologico ipogeo che raccoglie i materiali ritrovati durante gli scavi
E SE…
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Città
di, perforerà di nuovo il sottosuolo storico, come per la metro A,
ma non distruggerà le ville romane affrescate come racconta Fellini in Roma; da Roma Metropolitane dicono che passerà talmente
sotto terra (30 m), che le interferenze con gli strati archeologici saranno minime, tranne, ovviamente, in corrispondenza delle
stazioni, ma ciò che preoccupa di
più sono i possibili cedimenti degli edifici che si troveranno sopra
le gallerie: anche a trenta metri, infatti, il sottosuolo di Roma è argilloso e inconsistente.
All’insegna del politically correct,
nell’estate scorsa sono stati aperti
in varie zone del centro e della periferia una serie di cantieri archeologici preliminari col compito di verificare, proprio nei luoghi
prescelti per le stazioni e i servizi,
la consistenza dei resti archeologici. Si tratta di zone «ad alto rischio», e infatti i reperti non si sono fatti attendere, anche alle quote che gli archeologi definiscono
più «alte», ovvero gli strati medievali e rinascimentali.
Per tranquillizzare gli animi il
sindaco Veltroni ha organizzato
una visita-lampo ai canteri di scavo il 27 ottobre scorso, illustrando a un piccolo drappello di giornalisti l’andamento delle ricerche
e assicurando che nessun reperto
archeologico di pregio, si trattasse di una domus o di una statua imperiale, sarà toccato per far posto
alla metro. Semmai si sposterà la
metro, anzi: sotto via dei Fori Imperiali si pensa a un museo ipogeo
che accolga i materiali ritrovati
durante i lavori.
«I cantieri archeologici aperti», ha
spiegato Veltroni, «sono quelli che
riguardano la tratta piazza Veneziapiazzale Clodio; siamo arrivati a quota cinque metri a piazza Venezia e si
dovrà arrivare a undici per avere risultati chiari. Ci muoviamo rispettando
Roma e siamo fortunati perché veniamo da una cultura diffusa della tutela
del patrimonio. Chi fa la metropolitana a Roma sa che c’è l’archeologia, chi
fa tutela sa che Roma deve svilupparsi perché è una grande capitale. Un appesantimento del traffico è fisiologico,
ma il lavoro va avanti con velocità.
L’accelerazione che Roma Metropolitane aveva annunciato essere possibile, si è ora contrattualizzata: nel febbraio 2011 apriremo 21 stazioni, tutta
la tratta da Pantano a San Giovanni;
è una rivoluzione per Roma e la sua
periferia».
Guardando le mappe della metro, compresi i prolungamenti
previsti per le linee A e B, oltre alla nuova tratta D (quest’ultima
allo stadio di progettazione iniziale), ci si accorge che interi ambiti resteranno ancora tagliati fuori dai progetti di Roma Metropolitane: vale per le vastissime aree,
densamente popolate, tra le vie
consolari maggiori, come la Cassia e la Flaminia, ma anche per le
aree più a sud della capitale, come i quartieri periferici limitrofi
alla via Pontina o l’intero agglomerato di Ostia, vera città satellite della capitale. La linea C collegherà comunque aree importanti come la Borghesiana, Centocelle, Finocchio, Alessandrino
e i quartieri rasenti la via Casilina al centro storico della città.
❑ TOMMASO STRINATI
❑ Quasi pronto a Perugia il minimetrò
automatico
Dopo circa dieci anni
dalle prime ipotesi di
realizzazione, trascorsi
quattro dall’avvio dei lavori, a breve, con un leggero ritardo, comincerà il preesercizio dell’innovativo Minimetrò
automatico di Perugia,
realizzato con la direzione artistica dello studio di Jean Nouvel. È la prima realizzazione
d’un interessante impianto derivato da tecnologie funiviarie. Si
sta ora riflettendo sull’apparato grafico e la segnaletica: una buona proposta, completa di nuovo carattere ad hoc, è stata abbozzata recentemente durante un apposito workshop alla locale Università per Stranieri.Terminato l’arredo delle stazioni, i convogli in servizio inizieranno ad animare il lungo serpente rosso (nella foto) trasportando gli
utenti probabilmente a partire dalla seconda metà del 2007. ❑ G.T.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
WASHINGTON. Sugli aerei diretti negli Stati Uniti i passeggeri sono oggi accolti da un saluto registrato del Dipartimento per la Sicurezza interna che presenta il programma Us Visit, iniziativa rivolta ai visitatori da parte di un esecutivo che «si fida, ma verifica».
All’arrivo, i cittadini stranieri sono condotti presso un’apposita
postazione dove le loro retine e le
impronte digitali sono sottoposte a
scansione, e dove poi un ufficiale
augura loro «una felice permanenza». Il programma di raccolta
dei dati biometrici, combinato alla sorveglianza e a norme più severe per il visto di protezione, è
un’iniziativa del nuovo Dipartimento per la Sicurezza interna (il
solo nome evoca sfiducia nell’altro, la nostra patria contro la vostra), ed è noto tra gli Ufficiali di
Frontiera come un muro virtuale.
Ma la nuova proposta è quella di
costruire un muro reale. Il 29 settembre scorso il Senato degli Stati Uniti ha varato il Secure Fence
Act, quindi già firmato dal presidente, che autorizza, e in parte finanzia, la costruzione di una recinzione (un muro, una barriera)
di 700 miglia (circa 1.130 km)
lungo le 2.000 miglia del confine
Usa-Messico, al fine di tenere fuori gli emigranti clandestini.
Non è noto quanti messicani tentino di attraversare il confine illegalmente, ma si stima che siano
circa un milione all’anno. Si tratta del confine più sanguinoso al
mondo. Nel 2005, 472 persone sono morte cercando di entrare negli Stati Uniti (nei 28 anni di storia del Muro di Berlino i morti segnalati sono stati 239). A partire
dal 1994, quando fu approvato il
programma NAFTA per aumentare lo scambio di persone e beni
tra Usa e Messico, e quando il governo americano rafforzò significativamente le pattuglie di confine costringendo i migranti a scegliere vie più pericolose per entrare nel paese, si sono registrate più
di 3.000 morti. Queste morti avvengono nel deserto, dove il muro
non arriva, dove oggi i clandestini sono costretti a viaggiare.
USA-MESSICO: UN CONFINE SEMPRE PIÙ CONCRETO
Contro il muro
delle polemiche
Una struttura che porta con sé implicazioni politiche, simboliche, paesistiche
Due immagini della recinzione già esistente lungo il confine Usa-Messico, che arriva
fino al mare
primi anni novanta, le morti degli
immigrati crebbero significativamente. Oggi i migranti viaggiano
attraverso i tunnel, nelle zone pericolose del deserto, via mare, garantendo così un ricco mercato nero per i trafficanti professionisti
che conoscono i percorsi da seguire. Se il confine diventa militarizzato, lo stesso avviene per i trafficanti. I sindacati del crimine, che
per definizione raggiungono le
popolazioni dei clandestini al di
qua e al di là del confine, stanno
diventando veicoli per il trasporto
di droghe illegali. I migranti creano la domanda per il tunnel, per
la nave giornaliera, e improvvisamente il termine «immigrazione»
indica molto di più che una famiglia che attraversa la linea di confine sulla sabbia.
Le proteste dal Messico sono state
pressoché immediate. Il presidente Vicente Fox ha definito il muro «vergognoso». E i due candidati
«I muri lungo i confini non arrestano
il flusso migratorio: semplicemente lo deviano
su vie più pericolose. Nel 2005, 472 persone
sono morte cercando di entrare illegalmente
negli Stati Uniti; nei 28 anni di storia
del Muro di Berlino i morti segnalati
sono stati 239»
I muri lungo i confini non arrestano il flusso migratorio: semplicemente lo deviano su vie più pericolose. Quando il governo americano ha elevato recinzioni nelle
maggiori aree metropolitane nei
Paesaggio
47, GENNAIO 2007
in lizza per le prossime elezioni
sembrano essere concordi almeno
su un punto: il muro è un abominio, un insulto da parte dello Zio
Sam ai suoi vicini di casa meridionali. Per dimostrare che fa sul
❑ Parma, un giardino per imparare
È stata presentata alla stampa e agli addetti ai lavori l’edizione 2007
dell’innovativo progetto didattico «Il Giardino Ducale: un laboratorio per le scuole», ideato e curato dal Centro Documentale
Parchi e Giardini Storici del Comune di Parma in collaborazione con
il Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Parma, il Liceo d’arte Toschi, il Liceo scientifico Chiappi e rivolto alla scuola primaria e secondaria. Nato dalla volontà dell’amministrazione comunale di valorizzare i parchi storici urbani anche attraverso azioni educative e didattiche, il progetto si è ampliato nel corso degli anni: gli spazi individuati - in particolare il Giardino Ducale, che si
presenta al termine del recente restauro - rappresentano una ricca
sintesi tra artifici progettati dall’uomo ed ecosistemi naturali. Queste
caratteristiche sostengono l’articolazione del progetto su un arco disciplinare molto ampio, che si estende dalle scienze matematiche
e naturali, alle materie storico-letterarie, fino alle tecniche
artistiche.
Per informazioni: 0521.207447-539493; centroparchi@comune.
parma.it.
serio, il mese scorso il ministro degli Esteri messicano ha annunciato che sta lavorando per presentare una domanda giudiziale contro
gli Stati Uniti presso la Corte internazionale di Giustizia (ICJ).
Tutto inutile. La legge internazionale non proibisce la costruzione di un muro lungo il proprio
confine, o appena all’interno. Il
celebre caso di denuncia dell’ICJ
contro il muro di Israele, salutata
da tutti come una condanna dell’operazione stessa, in realtà giudicava illegale il muro solo perché
eretto in territori occupati. La sentenza era basata sul principio di sovranità territoriale, non sui diritti
umani.
Ma il punto sono proprio i diritti
umani. Il muro incrementerà la
violenza e la disumanità di un luogo dove i diritti umani sono aridi,
privi di vita. Come ha dichiarato
dal Vaticano un alto prelato, si
tratta di un «programma inumano». Senza contare l’enorme ricaduta ambientale: l’impatto visivo
e la minaccia alla mobilità delle
numerose specie animali che vivono nella regione. E per quale ragione poi? Il muro coprirà solo un
terzo delle 2.000 miglia di confine; tutto ciò quando la maggior
parte degli immigrati clandestini
arriva con visti falsi, resta nel paese anche dopo la scadenza del permesso di soggiorno e si sposta in
aereo o via mare.
I muri sono giochi politici. Questo, nato poco prima delle elezioni in occasione di un congresso dei
conservatori, ha lo scopo di se-
durre gli elettori repubblicani.
Speriamo che muoia anche come
gioco politico. Il muro è un incubo diplomatico. È una spesa esagerata (stimata tra i 2 e i 7 miliardi di dollari). E non è nemmeno
appoggiato dall’opinione pubblica: un sondaggio effettuato della
CNN appena prima che il presidente firmasse il disegno di legge
ha mostrato che la maggior parte
degli americani preferisce scelte alternative alla sua costruzione.
I muri sono sintomo di una società malata che chiude a chiave le
persone dentro e fuori, o che si
vuole fare una chiassosa pubblicità. Più che opere di costruzione, i
muri sono proposte che i demagoghi sventolano come bandiere.
Una volta eretti, portano alla decadenza degli imperi, com’è stato
per la Cina, l’Impero Romano e
Berlino Est, oppure si accompagnano a violente guerre come
quelle tra il Nord e il Sud Corea,
i conflitti nell’Irlanda del Nord,
tra India e Pakistan, Israele e Palestina, Israele e Libano, Israele e
Giordania, Israele ed Egitto. I
muri dividono. Uccidono. E, come la fotografia di una coppia che
si bacia attraverso una recinzione
metallica, i muri restano impressi
nella coscienza. Esiste un’espressione tedesca della Germania dell’Est per indicare questo effetto che
perseguiterà gli Stati Uniti per anni se il muro sarà davvero costruito: Mauer Im Kopf, «il muro nella
testa».
❑ ANDREW K. WOODS,
Università di Harvard
31
Vertigini d’alta quota
di Luca Gibello
empre più in alto!», esclamava anni fa in uno spot
televisivo d’un noto marchio di grappa Mike Bongiorno,
calato da un elicottero sui 4.478 m.s.l.m. della vetta del Monte
Cervino. E a noi, poveri alpinisti della domenica, che
per raggiungere la fatidica «quota 4.000» sudiamo le proverbiali
sette camicie, con tanto di emicranie e tachicardie, montava
una sensazione di rabbia mista a invidia.
Ora, a poca distanza dal Matterhorn (nome svizzero
del Cervino), sul versante elvetico del gruppo del Monte Rosa,
veniamo a conoscenza d’un progetto, tutt’altro che ipotetico, per
erigere una «piramide in vetro e acciaio» che sopraelevi il Piccolo
Cervino (3.883 m) a quota 4.000, al servizio di turisti e sciatori
che salgono in funivia dal paese di Zermatt alla base (3.820 m)
della cuspide rocciosa del Klein Matterhorn. Il progetto
è promosso dalla società che gestisce l’impianto (Zermatt
Bergbahnen), in seguito a un concorso del 2004 per riqualificare
e potenziare l’attuale struttura, in funzione da circa 25 anni. Sono
previsti ristoranti, spazi multimedia, servizi e un hotel nella roccia
(in ambiente pressurizzato come se ci si trovasse a 2.200 m),
ma soprattutto un ascensore che condurrà i visitatori in cima
alla «torre» di 117 m, dove toccheranno quota 4.000 e godranno,
in vitro, d’un impareggiabile panorama sull’arco alpino.
Anche senza avallare i «fondamentalismi» del movimento
Mountain Wilderness, fondato da Reinhold Messner nel 1987,
che propugna il «grado zero» della fruizione dell’ambiente
montano auspicando lo smantellamento dei mezzi meccanici
di risalita, il progetto dell’artista Heinz Julen e dell’architetto
Ueli Lehmann è insensato per almeno tre ordini di motivi.
In primo luogo, quelli di natura storico-culturale. La proposta
appare inesorabilmente datata, richiamando da un lato
le visionarie concrezioni tettoniche dell’Alpine Architektur
di Bruno Taut (1919), ma soprattutto l’epopea tardo-romantica
della «lotta con l’Alpe», che nella declinazione positivista di fine
Ottocento assume le sembianze della scienza e dell’ingegneria
in grado di dominare la natura, con buona pace dell’ecologia.
Emblematico fu quanto successe nell’Oberland Bernese.
Qui, nel 1889, l’ingegner Maurice Koechlin, stretto collaboratore
di Gustave Eiffel, propose una copia esatta della torre conclusa
quello stesso anno per l’Esposizione Universale di Parigi, alta
tuttavia 2.100 m e con i piloni poggiati sugli opposti versanti
dell’incantevole valle di Lauterbrunnen, celebrata da Goethe
per le sue cascate. Dalla sua sommità una fune tesa
orizzontalmente avrebbe consentito a una navetta di trasportare
i turisti sulla Jungfrau (4.158 m). Se questa proposta non fu così
lontana dal concretizzarsi, nel 1893 s’avviò il progetto per
la celeberrima ferrovia a cremagliera che avrebbe dovuto
condurre, interamente in galleria, in vetta alla Jungfrau.
Fortunatamente, dopo 16 anni di lavori l’impresa s’arrestò
- non certo per problemi tecnici - al Jungfraujoch (3.454 m).
Il secondo ordine di motivi è di natura economico-ambientale.
Al momento non esiste in Europa la possibilità di raggiungere
i 4.000 m con l’ausilio d’impianti meccanici. Una simile boutade
promozionale scalzerebbe il primato che spetta alla funivia
francese dell’Aiguille du Midi sul Monte Bianco (3.842 m),
in una gara ad accaparrarsi numeri crescenti di turisti.
Le aspirazioni del progetto («anche la Svizzera avrà la sua
Tour Eiffel!», si legge nel sito http://bergbahnen.zermatt.ch)
paiono degne non d’un paese come Zermatt (già meta
del grand tour europeo delle comitive giapponesi richiamate
dal Matterhorn e luogo bandito alle auto), bensì delle mire
d’un sindaco nostrano di qualche sperduto comune valligiano
che, per fare cassa, escogiti una trovata di richiamo mediatico.
Per più banali ragioni campanilistiche, a inizio Novecento
gli abitanti di Saas Balen (non lontano da Zermatt), gelosi
dei dirimpettai di Saas Grund e Saas Almagell i quali vantavano
nella propria giurisdizione comunale il Lagginhorn (4.010 m)
e la Weissmies (4.027 m), meditavano di sopraelevare
il Fletschhorn (3.996 m); ma l’idea (una bazzecola, al confronto;
sarebbe bastato accatastare quattro sassi!) rimase lettera morta.
E se sono ormai sedate le pulsioni tardo ottocentesche dettate
dall’ottimismo del progresso tecnologico, la proposta rivela
la «cattiva coscienza» della Svizzera, Paese apparentemente
modello di sviluppo sostenibile per la valorizzazione territoriale
attraverso la tutela.
Infine, le questioni di natura fisico-tecnica. Da un lato, occorre
valutare i rischi cui si espone il corpo umano non avvezzo all’alta
quota, raggiunta inoltre senza acclimatazione. Dall’altro,
in tempi di surriscaldamento globale, occorre considerare
la progressiva riduzione del permafrost (lo strato di terreno
perennemente ghiacciato). Ciò implica un’alterazione meccanica
del suolo e delle aggregazioni rocciose, con possibili conseguenze
sulla resistenza alle opere fondazionali. Gli alpinisti sanno che
negli ultimi anni i rischi di scariche di pietre sono assai cresciuti:
nella torrida estate 2003 molti itinerari di salita al Monte Bianco
sono stati vietati dalle autorità; peggio dicasi per la via italiana
al Cervino, ormai «chiusa» nel mese di agosto, e per un tratto
crollata improvvisamente nottetempo proprio nel 2003.
Dopo le isole artificiali sull’oceano, gli hotel subacquei, i tunnel
e i ponti chilometrici, non vorremmo farci cronisti di nuovi
record: quelli delle sopraelevazioni dei monti. A uso di turisti
distratti che esclamerebbero tronfi: «sono stato sul Cervino!»
S
32
Paesaggio
Congestionate dal traffico, inquinate e sommerse dai rifiuti:
questo è il ritratto delle città italiane che emerge da «Ecosistema
Urbano 2007», il rapporto sull’ambiente delle città realizzato
da Legambiente.
Giunto alla tredicesima edizione,
lo studio analizza i dati forniti dai
103 Comuni capoluogo di provincia su 125 parametri ambientali. Le informazioni confluiscono in 26 diversi indicatori della
qualità ambientale relativi a tre
aspetti: la pressione sull’ambiente
delle attività umane (consumi di
acqua potabile, carburante, elettricità, produzione di rifiuti solidi urbani, tasso di motorizzazione), la qualità dell’ambiente fisico (smog, inquinamento idrico),
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
ECOSISTEMA URBANO 2007
Le città tra emergenza
e immobilismo
Secondo il rapporto di Legambiente sono ancora insufficienti le politiche messe in atto per migliorare
la vivibilità urbana. La «meno insostenibile» è Bolzano, L’Aquila ultima in classifica
tà centro-meridionali. Tra queste
la maglia nera tocca all’Aquila,
ultima in classifica.
Le città italiane, nel complesso,
risultano immobili. Non in declino, ma neanche tese a un deciso rilancio, a migliorare la qualità della vita dei propri abitanti, a
Veduta panoramica di Bolzano, città italiana che primeggia
nel rapporto «Ecosistema Urbano 2007» di Legambiente
le politiche attuate dalle amministrazioni (abusivismo edilizio,
raccolta differenziata, trasporto
pubblico, isole pedonali e zone a
traffico limitato, piste ciclabili,
aree verdi, politiche energetiche).
Al vertice della classifica si colloca Bolzano, che primeggia in
un paio di parametri (monitoraggio della qualità dell’aria e politiche energetiche). «Più che la
migliore», si legge nel rapporto «è
la meno insostenibile». Gli ultimi dieci posti, ma in genere gran
parte della seconda metà della
classifica, sono occupati da real-
puntare sulla sostenibilità dell’ambiente del proprio territorio.
Prendiamo l’esempio dell’aria. I
valori di biossido di azoto sono
oggi superiori ai limiti di legge in
43 Comuni rispetto ai 38 dello
scorso anno, mentre per le polveri
sottili il livello dell’allarme sanitario è stato superato in 24 città (solo due in meno rispetto all’esame
del precedente «Ecosistema Urbano»). Evidentemente il grande
bricolage di misure tampone (targhe alterne, blocchi estemporanei
della circolazione, stop limitati alle auto non catalizzate e ai vecchi
diesel) non hanno migliorato la
situazione.
Altri sintomi di stallo arrivano
dal ciclo delle acque: la depurazione degli scarichi civili è ferma
all’80%, come lo scorso anno, e
sono ancora 9 le città dove il numero di abitanti allacciati alla rete fognaria è inferiore al 50% della popolazione.
Pressoché invariate, e dunque
elevatissime, le perdite della rete
idrica, che passano da un anno
all’altro dal 30% al 31%. Un
problema, quest’ultimo, che riguarda buona parte delle città italiane: il 44% dei Comuni capoluogo per cui è stato possibile fare una stima perde più del 30%
dell’acqua che immette in rete.
I rifiuti prodotti continuano a salire in maniera continua e preoccupante: quasi il 2% rispetto al dato dello scorso anno della produzione complessiva (614 kg/abitante/anno contro gli attuali 625).
Migliora di pochissimo il dato relativo alla raccolta differenziata,
che si attesta al 21,7%, rispetto al
20% precedente. Questa rimane
peraltro una prerogativa del Centro-Nord: sono infatti solo 3 (Macerata, Brindisi e Nuoro) i Comuni del Sud e delle Isole che riescono a raggiungere almeno il
15% di raccolta differenziata. In
questa edizione di «Ecosistema
Urbano» le città che hanno superato l’obiettivo del 35% sono 28 e
solo 3 (Asti, Lecco e Verbania)
superano il 50%.
Irrisolta è la questione dell’abusivismo edilizio. L’ultimo censimento realizzato da Legambiente ha stimato la realizzazione di
oltre 40.000 costruzioni abusive,
con una concentrazione (55%)
nelle quattro regioni a tradizio-
nale presenza mafiosa (Calabria,
Campania, Sicilia e Puglia). Il
dato migliore è quello della Val
d’Aosta, immune al cemento
fuorilegge.
Qualcosa, fortunatamente, risulta migliorato. La crescita delle
isole pedonali: 0,31 mq per abitante (erano 0,28 lo scorso anno).
Tra le grandi città, oltre al caso
eccezionale di Venezia, spicca
Roma che dichiara circa 364.000
mq di spazio per i pedoni; male
invece Milano, con appena
120.000 mq. L’estensione media
complessiva delle zone a traffico
limitato oltrepassa i 4 mq per abitante. Undici capoluoghi hanno
ZTL che si estendono per più di
100 ettari. Tra questi spiccano
47, GENNAIO 2007
Roma, prima tra le grandi città,
e Bergamo, che mette a disposizione oltre 46 mq pro capite.
Trentadue i Comuni che rimangono al di sotto di un mq per abitante.
I chilometri di piste ciclabili sono
quasi 1.700 (1.133 in sede propria
e 558 in corsia riservata), mentre
sono 797 quelli di percorsi misti
pedonali e ciclabili; invece la presenza di zone con moderazione di
velocità a 30 km/h è segnalata in
18 città, 5 in più dell’anno scorso, con un’estensione complessiva di 222 km. Il verde urbano
fruibile fa registrare un leggero aumento nelle superfici disponibili
per abitante: nella media italiana,
infatti, si passa dai quasi 10 mq
(9,8) dello scorso anno agli attuali 10,6 mq per abitante.
❑ MANUELA SALCE
Classifica delle città in base ai 25 parametri monitorati da Legambiente
Posto
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
Città
Bolzano
Mantova
La Spezia
Parma
Trento
Pisa
Ferrara
Verbania
Livorno
Cremona
Udine
Lecco
Belluno
Perugia
Terni
Brescia
Ravenna
Venezia
Bologna
Siena
Salerno
Bergamo
Pavia
Reggio Emilia
Biella
Prato
Genova
Rimini
Cuneo
Varese
Savona
Cosenza
Piacenza
Avellino
Macerata
Punti
69,43%
69,19%
68,54%
67,75%
65,63%
64,81%
64,77%
64,65%
64,29%
64,25%
64,14%
63,94%
63,71%
63,67%
63,47%
63,17%
63,08%
62,35%
62,02%
61,88%
61,47%
61,36%
61,13%
60,51%
59,94%
59,71%
59,66%
59,48%
59,16%
58,98%
58,87%
58,57%
58,49%
58,27%
57,91%
Posto
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
Città
Sondrio
Massa
Lucca
Novara
Firenze
Modena
Vicenza
Matera
Pordenone
Forlì
Grosseto
Treviso
Rovigo
Asti
Ancona
Chieti
Gorizia
Trieste
Pescara
Foggia
Rieti
Arezzo
Verona
Ascoli Piceno
Roma
Lodi
Milano
Como
Pesaro
Potenza
Aosta
Napoli
Bari
Torino
Padova
Punti
57,90%
57,84%
57,84%
56,98%
56,97%
56,72%
56,27%
56,21%
56,10%
56,06%
55,79%
55,73%
55,59%
55,28%
55,28%
55,00%
54,88%
54,82%
54,79%
54,77%
54,38%
54,36%
54,34%
54,30%
54,17%
53,81%
53,62%
53,50%
53,17%
53,02%
52,93%
52,55%
52,46%
51,98%
51,74%
Posto
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
Città
Caserta
Lecce
Vercelli
Pistoia
Brindisi
Campobasso
Cagliari
Viterbo
Nuoro
Enna
Crotone
Vibo Valentia
Alessandria
Teramo
Palermo
Reggio C.
Benevento
Frosinone
Caltanissetta
Sassari
Messina
Imperia
Latina
Agrigento
Catanzaro
Isernia
Siracusa
Oristano
Trapani
Ragusa
Catania
Taranto
L’Aquila
Media italiana
54,19%
Fonte: Legambiente, Ecosistema Urbano 2007 (Comuni, dati 2005). Elaborazione: Istituto di Ricerche Ambiente Italia.
L’Ottocento a Siena: una città tutta da riscoprire
M
olto si conosce dell’antica città senese, ma nell’Ottocento
la città visse un momento particolare ed eccezionale.
Lo spartiacque fu il terremoto del 1798, che diede luogo a restauri,
ricostruzioni e ammodernamenti. Le conseguenze furono una rilettura
del linguaggio neorinascimentale, la trasformazione edilizia,
il revival gotico, nuovi regolamenti edilizi.
Dall’edilizia religiosa alle rappresentazioni a stampa,
dall’estetica del ferro battuto ai parchi e ai giardini, questo libro
studia ogni aspetto della città ottocentesca ed il suo confronto
con le forti eredità lasciate. Il cambio d’uso e di proprietà
di alcuni edifici nobiliari rappresenta un significativo indicatore
della trasformazione della società senese nell’Ottocento.
Documenti, relazioni, istruzioni e repertori arricchiscono di appendici
questo volume del tutto nuovo nel suo taglio e nel disegnare
i confini della città moderna. Una città e una natura per la prima
volta pensate e progettate.
ARCHITETTURA E DISEGNO URBANO
A SIENA NELL’OTTOCENTO
A cura di Margherita Anselmi Zondadari
410 pp., 23 x 28,5 cm, 265 col., 34 bn
Rilegato, € 45,00
ISBN 88-422-1472-8
Punti
51,73%
51,52%
51,38%
51,24%
50,80%
50,51%
50,26%
50,14%
49,91%
49,33%
48,84%
48,26%
47,68%
46,79%
46,19%
45,53%
45,36%
45,09%
44,96%
44,14%
43,28%
41,89%
41,18%
40,93%
40,70%
40,37%
38,70%
38,17%
37,35%
37,15%
37,02%
34,85%
31,37%
UMBERTO ALLEMANDI & C.
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Per ricevere i libri a domicilio:
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Libri Allemandi: investimenti in cultura durevole
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Libri
47, GENNAIO 2007
❑ Inventari di architettura catalana
Il COAC (Collegio degli Architetti della
Catalogna) dedica ad Alfons Soldevila il
nuovo volume della collana «Inventaris
d’Arquitectura», che inaugura una nuova
tappa caratterizzata da una grafica rinnovata, ma che resta saldamente ancorata ai suoi intenti: potenziare e promuovere l’architettura catalana
contemporanea.La collana era nata,infatti, nel 2001 dalla volontà del Collegio
di Girona di diffondere l’architettura locale per mezzo di una pubblicazione che
di volta in volta illustrasse il percorso professionale di uno o più architetti membri. Dal 2004 la collana si è estesa all’intero territorio catalano, coinvolgendo progettisti che si distinguono per il percorso professionale. Da allora sono state pubblicate dodici monografie. La
tredicesima, dedicata a Ramon Artigues e Ramon Sanàbria, sarà in circolazione da febbraio. Curato da Anna Puigjaner, il libro, in edizione
trilingue, si apre con una prefazione di Josep Maria Montaner e Enric
Massip-Bosch, cui fa seguito un compendio delle opere di Soldevila:
agli incisivi testi dello stesso progettista si affianca un interessante apparato iconografico costituito da fotografie, disegni tecnici e schizzi di
studio, che sottolineano la forte componente investigativa che permea
l’intera opera dell’architetto catalano, senza distinzione di scala. Soldevila (1938), professore di progettazione all’ETSAB e professionista
dall’attitudine creativa, è da sempre alla costante ricerca di nuovi materiali, strutture e sistemi costruttivi da sperimentare. Nell’età dell’oro della Spagna che costruisce, Soldevila non cavalca l’onda della «bolla immobiliare», ma rifugge volutamente i grandi incarichi (e di conseguenza il palcoscenico mediatico dell’architettura),
prediligendo quelli che gli consentono di operare in piena libertà. I suoi
temi ricorrenti delle architetture in cemento, le tensostrutture, le
strutture translucide e le invenzioni a piccola scala vengono nel titolo del volume sintetizzati sotto l’espressione di «geometrie adattabili». Scrive Montaner nel saggio introduttivo: «L’opera di Soldevila è quella di un inventore nato e infaticabile, una sorta di Antoni Gaudí dell’epoca postmoderna, nella tradizione della ricerca di Le Corbusier e degli esperimenti poetici di John Hejduk».
❑ Francesca Comotti
Anna Puigjaner (a cura di), Alfons Soldevila. Geometria Adaptable, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Barcellona 2006, pp. 181,
euro 25.
PETER BLAKE (1920-2006)
Form follows fiasco
Una biografia di teorico e architetto, a cavallo tra Movimento moderno e post-modernismo, quella di Peter Blake, il critico dell’architettura moderna statunitense scomparso il 5 dicembre in una casa di riposo di Bradford (Connecticut), per le complicazioni di
un’infezione polmonare. Si era ritirato a vivere in Connecticut già
dal 1991 quando, abbandonato l’ambiente accademico che l’aveva
visto direttore del Dipartimento di architettura e urbanistica della
Catholic University tra il 1979 e il 1986, aveva scelto di dedicarsi
esclusivamente a una prolifica attività di critico e scrittore.
Peter Jost Blach, divenuto Peter Blake nel 1944 con l’acquisizione
della cittadinanza americana, era nato nel 1920 a Berlino da una benestante famiglia ebrea, emigrata a Londra nel 1933 in fuga dalla
Germania nazista. Dopo gli studi in matematica alla Univertity of
London e una laurea in architettura conseguita nel 1939 alla Regent
Street Polytechnic School of Architecture, Blake aveva proseguito
gli studi in architettura negli Stati Uniti dove, grazie anche al fortunato incontro e all’esperienza formativa con Louis Kahn, diventato suo riferimento, aveva ottenuto il titolo dell’University of
Pennsylvania nel 1941, e del Pratt Institute nel 1949.
Alla guida, tra il 1950 e il 1972, di «Architectural Forum», per cui
era stato autore, fondatore e direttore di «Architectural Plus» fino al
1975, curatore delle sezioni architettura e design del MoMA di New
York tra il 1948 e il 1950, Blake era strettamente legato ad alcuni dei
protagonisti delle élite artistiche newyorkesi come Robert Motherwell, Willem De Kooning e Jackson Pollock.
Autore di circa venti libri e d’innumerevoli articoli, ha celebrato le
icone del Movimento moderno attraverso numerose monografie, cui
seguì nel 1960 la pubblicazione di The Master Builders: Le Corbusier,
Mies Van Der Rohe, Frank Lloyd Wright, diventato opera di riferimento per lo studio dei maestri. Da cronista entusiasta del Movimento moderno, definizione che di gran lunga preferiva a quella di
modernismo, ma insofferente di fronte ad alcune delle sue più evidenti manifestazioni, ne è diventato uno dei più accaniti oppositori. A lui va il merito di aver coniato, parodiando la fortunata formula alla base del credo modernista, slogan fortunati come quello
del testo Form follows fiasco: why modern architecture hasn’t worked(1977),
in cui si riconosce un’intera generazione di post-modernitsti di cui
è diventato portavoce. Gold Own Junkard: the Planned Deterioration of
America’s Landscape (1964) e No Place Like Utopia: Modern Architecture and the Company We Kept (1993) sono alcuni tra i suoi scritti più
noti. La carriera di Blake architetto vede oltre 50 progetti realizzati,
di cui quelli per l’area degli Hamptons meritano particolare attenzione, come la Russel House (1956), la Blake House, pensata per la
sua famiglia nel 1960, la Armstong House (1961), la sua Pin Wheel
House a Long Island (1954), o i disegni del 1949 per il progetto mai
costruito dell’Ideal Museum, pensato per Pollock nell’East Hampton. ❑ GAIA CARAMELLINO
33
MONOGRAFIE
Brunelleschi
in una nuova veste
Il testo di Arnaldo Bruschi apre questioni inedite legate alla biografia dell’architetto fiorentino
Esattamente trent’anni dopo l’uscita, nel 1976, del Brunelleschi di
Eugenio Battisti, Electa dedica a
questo padre nobile del Rinascimento una nuova monografia affidata ad Arnaldo Bruschi, tra i
massimi specialisti a livello internazionale, che sull’architetto e sull’invenzione del nuovo stile all’antica nella Firenze del XV secolo ha scritto negli ultimi decenni
fondamentali contributi, e di recente il capitolo che ha inaugurato il volume Il Quattrocento della
Storia dell’architettura italiana (a cura di Francesco Paolo Fiore, Electa, Milano 1998, pp. 38-113).
Dev’essere stato proprio lo sforzo
notevole compiuto per condensare - nelle pagine necessariamente
limitate di un’opera a più voci - lo
svolgersi e il senso d’una vicenda
artistica epocale, a dare lo slancio
a Bruschi d’affrontare nuovamente l’argomento, approfittando di
spazi più ampi e d’una veste editoriale arricchita d’un apparato illustrativo imponente, al quale
conferisce particolare lustro l’impiego di molti scatti «storici» di
Paolo Monti, che tanto hanno
contribuito al successo e alla riconoscibilità delle monografie architettoniche Electa negli anni settanta del Novecento.
Con tipico understatement, nella
prefazione Bruschi afferma che il
libro ha i suoi «ideali interlocutori» «negli studenti e gli architetti,
prima degli esperti»: da questi ultimi l’autore momentaneamente
quasi si dissocia, rivendicando la
propria formazione di progettista
e svelando, con delicatezza e ironia, le ragioni autobiografiche del
suo interesse storico per lo smontaggio e la ricostruzione dei meccanismi mentali che stanno alla
base delle fabbriche brunelleschiane. Alle esigenze di quel
pubblico il volume viene incontro con il suo tradizionale impianto biografico e la strutturazione in cinque capitoli. I primi quattro, dopo brevi cenni al contesto
sociale e culturale, seguono cronologicamente l’evoluzione professionale e la maturazione stilistica di Brunelleschi attraverso l’analisi ravvicinata delle opere. Il
quinto verifica le ricadute del lin-
1993) il volume di Bruschi è arricchito dalla ricostruzione dell’attività scultorea dell’architetto
sulla base delle novità emerse dagli studi di Luciano Bellosi anche
in merito alla sua partecipazione
alla rinascita della tecnica antica
della terracotta. Manca, invece,
un regesto documentario e (meno
comprensibilmente considerando
gli scopi didattici del volume) un
medaglione biografico.
❑ MARIA BELTRAMINI
Arnaldo Bruschi, Filippo Brunelleschi, Electa, Milano 2006, pp. 200,
euro 76,50.
In vetrina
Il Duomo di Santa Maria del
Fiore a Firenze, con la cupola brunelleschiana e la piazza della SS. Annunziata con
lo Spedale degli innocenti
guaggio di Filippo - razionale e
uniforme - sulle scelte espressive
degli artisti della sua generazione
e il cui rinnovamento, pur reso
possibile dalle sue invenzioni formali e percettive, segue percorsi e
approda a soluzioni spesso polemiche o apertamente divergenti.
A un testo scorrevole anche nei
punti concettualmente più densi
(una delle maggiori qualità del
Bruschi scrittore, è quella della
limpidezza linguistica, fin dal
maestoso Bramante, edito da Laterza nel 1969) corrispondono le
note a fine capitolo, che danno
conto in forma sintetica ma puntuale degli sviluppi più recenti del
dibattito critico. Anche gli
«esperti», comunque, troveranno
pane per i loro denti, perché molti sono i nodi della biografia artistica dell’architetto fiorentino che
restano da sciogliere e a cui Bruschi non rinuncia a fornire nuove
precisazioni e riflessioni: si pensi
ad esempio alla questione della
pertinenza brunelleschiana - ultimamente revocata in dubbio - dell’invenzione del tempio a pianta
centrale rappresentato in quell’oggetto enigmatico e affascinante che
è la placchetta argentea con la
«Guarigione dell’indemoniata»
oggi al Louvre.
Rispetto a un volume di riferimento scientifico come quello per
molti versi insuperato di Howard
Saalman (Filippo Brunelleschi. The
Buildings, Zwemmer, Londra
Nuove uscite per la collana «Print»
Fanno entrambi parte della collana «Print», nata
all’interno del Dipartimento di Architettura dell’Università degli studi di Roma La Sapienza e diretta da
Antonino Terranova: gli atti del convegno dedicato nel 2004 alla figura di Ludovico Quaroni,
e uno dei primi esiti del laboratorio Housing
Lab, struttura di ricerca sull’abitazione nata all’interno del DIAR. Una raccolta di 46 contributi, oltre
alla premessa e ai saggi introduttivi, formano Mo-
dernocontemporaneo, luogo di confronto in cui
con sguardi e strumenti differenti gli autori segnano
il passaggio dalla stagione del Movimento moderno
a quella del contemporaneo, tentando di individuare principi di continuità e discontinuità ma fornendo una risposta parziale e non univoca. Indaga invece i problemi urbani, sociali, architettonici e ambientali del nuovo secolo Abitare in città: l’autrice, con
il contributo di diversi studiosi, insiste sull’importanza del tema residenziale ai fini della rigenerazione urbana, presentando linee di ricerca possibili per
contribuire al rinnovamento delle soluzioni abitative, con il coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, progettisti, cittadini e imprese.
Orazio Carpenzano e Fabrizio Toppetti (a cura di),
Modernocontemporaneo. Scritti in onore di
Ludovico Quaroni, Gangemi Editore, Roma 2006,
pp. 461, euro 38.
Marta Calzolaretti,Abitare in città.Questioni architettoniche sociali ambientali, Gangemi Editore, Roma 2006, pp. 272, euro 24.
Giampiero Sanguigni, Undutchable,
Meltemi, Roma, pp. 231, euro 19,50. Maturato nel corso di un viaggio in Olanda,il libro (della collana «Babele») si presenta come una piccola guida fra i repertori dell’architettura olandese nella
generazione after party.In 10 capitoli,dedicati alle diverse inclinazioni progettuali, sono presentate alcune opere di
circa 20 giovani studi di architettura:
24H-Architecture, Onix, NL Architects,
SeArch, tra gli altri. Le tendenze di una
generazione che avverte sempre più sia
il peso di quella che
l’ha preceduta, sia
quello di una profonda crisi economica, che è anche e
soprattutto una crisi disciplinare.
Angela Pini Legobbe e Verio Pini (a cura
di), Progetto Castelgrande. Il divenire di un restauro,Skira,Milano 2006,
pp.286,euro 55.Il libro ripercorre le tappe più significative della vicenda progettuale di Castelgrande a Bellinzona (Canton Ticino): dai primi interventi degli anni venti-cinquanta, ai progetti mancati
degli anni sessanta-settanta, fino al mandato esecutivo del 1981 che ha portato
a fine anni ottanta al restauro definitivo,
firmato da Aurelio Galfetti. Una raccolta di saggi restituisce il dialogo interdisciplinare che si instaura tra storici dell’arte e architetti come Carlo Bertelli,
Mario Botta,
Andrea Bruno,
Alberto Camenzind,André
Corboz, Livio
Vacchini e lo
stesso Galfetti.
Fischer Italia, Building Envelope. Costruire la qualità, Federico Motta Editore, Milano 2006, pp. 64, gratuito. Dedicato interamente alle facciate continue,
il volume pone l’involucro edilizio al centro della riflessione sull’architettura
compatibile del futuro e costituisce la risposta del mondo della produzione all’esigenza di approfondire temi legati alla trasformazione della facciata continua
da semplice rivestimento a complesso
sistema di mediazione intelligente tra interno ed esterno. Raccontato attraverso casi selezionati per la loro capacità di
rappresentare un
preciso tema edilizio, indaga aspetti legati alla facciata ventilata,all’isolamento, all’utilizzo del vetro, affrontati in chiave
progettuale.
34
Libri
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
ORNAMENTI IN ARCHITETTURA
UNIVERSITY PRESS
Yale, Princeton e
Mit messe in crisi
dai nuovi arrivati?
Association of American University Presses (A
)
L’ definisce
come «universitari» quegli editori che affidano
AUP
la selezione dei testi da pubblicare a specifici comitati scientifici,
i quali certificano la qualità degli scritti attraverso un processo di
peer reviewing, ossia di valutazione da parte di studiosi di provato
valore nello stesso campo disciplinare dell’autore. Le case editrici
aderenti all’associazione sono 125 (per un elenco completo,
cfr. http://aaupnet.org/membership/directory.html#list): benché
siano inclusi anche alcuni editori con sede al di fuori degli Stati
Uniti o del Canada (nove, per la precisione), il numero
di aderenti all’AAUP fornisce un dato sufficientemente eloquente
circa l’importanza che questo universo editoriale riveste in Nord
America.
Le University Press vantano una lunga tradizione nella
pubblicistica architettonica, disciplina spesso inclusa nell’alveo
più ampio delle arti figurative.
Fra i nomi più noti figurano case editrici come Yale University
Press, al primo posto per numero di titoli nel campo della storia
dell’architettura e dell’arte (oltre 300 l’anno), grazie anche alle
numerose collaborazioni con musei e istituzioni, Princeton
University Press e The MIT Press, editore quest’ultimo i cui
interessi si estendono a settori paralleli come il graphic design
o la storia della tecnologia.
Negli ultimi anni, accanto a questi protagonisti già consolidati,
si è affacciata sul mercato delle pubblicazioni universitarie una
nuova leva di editori, spesso con proposte innovative in termini
di contenuti e approcci metodologici. Ad esempio, University
of Washington Press ha inaugurato collane dedicate ai paesi
emergenti (come la serie «Studies in Modernity and National
Identity»); Penn State University Press e University
of Minnesota Press hanno dato alle stampe testi in cui
l’architettura è vista attraverso la lente della storia culturale
o della cultura materiale; University of British Columbia Press
si è segnalata per l’attenzione alla pianificazione, agli studi
urbani e all’ecologia urbana e regionale.
Queste nuove realtà hanno probabilmente contribuito a marcare
con maggior precisione la linea di separazione tra editori legati
alle università (e agli istituti di ricerca) ed editori con
orientamenti più commerciali, un confine che si è fatto sempre
più labile dal momento che University Press come The MIT
Press si sono messe a competere con case editrici come Princeton
Architectural Press, Monacelli, Rizzoli, o Phaidon nel settore
delle pubblicazioni «per architetti», mentre editori
«commerciali» come Ashgate o Routledge contendono agli
editori universitari spazi nel settore delle pubblicazioni derivate
da ricerche sviluppate in ambito accademico.
Se il settore soffre di qualche crisi d’identità, nonostante le
precise indicazioni fornite dall’AAUP, ciò è dovuto però anche
ad alcuni caratteri peculiari dell’industria dei libri. Infatti,
similmente a ciò che accade nell’editoria commerciale, in Nord
America come altrove, scelte o orientamenti culturali
delle University Press sono spesso legate ad alcune figure
di responsabili redazionali la cui presenza può influenzare
i programmi editoriali e determinare talvolta le fortune di autori
e argomenti. È il caso, ad esempio, di Roger Conover (da oltre
trent’anni alla guida della sezione architettura di MIT Press),
di Patricia Fidler (trasferitasi negli anni novanta da Princeton
a Yale University Press) o di Gloria Kury (recentemente
passata da Penn State a Pittsburgh University Press).
Ma non sono questi i veri problemi che affliggono oggi le case
editrici universitarie nordamericane. Se l’accesso al vasto
mercato accademico e all’ancora più vasto bacino di lettori
in lingua inglese contribuisce a fare delle University Press
un fenomeno sufficientemente solido da sopportare le crisi che
con periodicità sempre più crescente colpiscono l’industria
editoriale, altre incognite sembrano prospettarsi all’orizzonte.
Un rapporto, compilato a settembre da Hilary Ballon e Mariët
Westermann per la Andrew W. Mellon Foundation,
sull’attuale stato delle pubblicazioni nel campo della storia
dell’arte (Art History and Its Publications in the Electronic Age),
rivela quali siano le questioni che le case editrici universitarie
dovranno affrontare nel prossimo futuro: la concorrenza
di pubblicazioni elettroniche e altri media, l’aumento
esponenziale dei costi di riproduzione delle immagini (sempre
più a carico degli autori), le incertezze legate alle legislazioni
correnti in materia di copyright, una preoccupante forbice
tra numero di giovani studiosi - in aumento - e possibilità
di pubblicazione - in diminuzione (il rapporto è disponibile
on-line al sito: http://cnx.org/content/col10376/1.1/).
Visto da una prospettiva europea, quello delle University Press
può sembrare un mondo lontano, distante anni luce dalla realtà
culturale italiana. Ma i problemi che le case editrici universitarie
nordamericane si trovano ad affrontare, così come le tematiche
o gli approcci metodologici che esse spesso propongono,
possono offrire spunti di interesse per editori, autori e lettori
anche da questo lato dell’Atlantico.
❑ PAOLO SCRIVANO e ALEXIS SORNIN
Pago, dunque sono
Dal modello alla copia, dalla produzione artigianale a quella in serie, storia di un simbolo
del successo sociale
La storia dell’ornamento, dei
modi, delle tecniche e dei canali
di circolazione della decorazione architettonica nella contemporaneità è ancora tutta da costruire. Le sperimentazioni compiute in questo settore tra Sette e
Ottocento costituiscono, tuttavia, frammenti essenziali anche
per la comprensione dei processi
più ampi che descrivono le trasformazioni dell’architettura.
Lo dimostra il testo di Valerie
Nègre, L’Ornement en serie, che
ha in primo luogo il merito di
suggerire un punto di osservazione diverso per comprendere
come l’ornamento perda il legame di necessità e dipendenza dall’architettura, ed esaurisca progressivamente le proprie potenzialità simboliche e rappresentative, fino a divenire superfluo e
ostracizzato in seguito, come noto, dagli architetti del Movimento moderno.
Per molto tempo l’ornamento ha
incarnato il simbolo della ricchezza e del successo sociale, metafora di un «paradigma esistenziale» che Pol Abraham traduce
nell’espressione «Je paie, donc je
suis» (dal testo del 1946 Architecture prefabriqué), non a caso riportata come incipit nell’introduzione di questo libro. Di qui intende partire l’autrice che, se sceglie
un campo d’indagine molto ridotto (un materiale, il laterizio, e
una zona geografica, il centro della Francia, con particolare riferimento all’area di Tolosa) intende tuttavia suggerire temi e ipotesi interpretative di largo respiro.
Lo dimostrano i titoli delle tre
parti che, attenti a non rivelare i
limiti, specialmente geografici,
della ricerca, delineano un percorso che conduce dall’ornamento artigianale, all’ornamento in
serie, alla standardizzazione della costruzione.
L’indagine sullo sviluppo dell’ornamentazione in serie nella
regione va d’altra parte a toccare
alcuni nuclei centrali della riflessione teorica ottocentesca, e in
primo luogo la distinzione, cara
tra gli altri a Quatrèmere de
Quincy, tra copia e modello, solo quest’ultimo ammesso nell’empireo dell’architettura e reinterpretato attraverso lo strumento
intellettuale del disegno nell’elaborazione di ornamenti unici.
Studiando le piccole imprese che
lavorano sul territorio di Tolosa,
Nègre dimostra come l’implementazione del sistema di produzione delle decorazioni a
stampo passi attraverso l’elaborazione di tecniche, sempre più
sofisticate, di riproduzione e
contraffazione dei materiali «nobili»: uno per tutti, la pietra, la
cui diffusione è veicolata anche
dall’affermazione del gusto neoclassico. Se la tecnica dello stampo rinasce progressivamente con
l’adattamento e la modifica di
procedimenti antichi a fini artistici e commerciali, essa è d’altra
parte riscoperta, tra Settecento e
Ottocento, come strumento essenziale a scopo documentario e
pedagogico. Le fonti utilizzate
dalla studiosa (che rivelano le radici profonde della ricerca nella
Pannelli con motivi gotici,
dal catalogo della manifattura fratelli Virebent, 1836
circa
sua tesi di dottorato del 2002)
spaziano così dalle raccolte di ornamenti (Recueils), alle collezioni di frammenti architettonici, ai
brevetti e ai cataloghi commerciali. Apprendiamo che molti
architetti hanno un ruolo attivo
nel processo di serializzazione
dell’ornamento, fabbricano e
vendono modelli, anche se a vol-
te preferiscono occultare, come
nel caso di Jacques Ignace Hittorf, le loro attività commerciali.
Ciò che emerge con più forza, in
special modo attraverso l’analisi
delle pubblicazioni delle imprese, sono tuttavia le ipotesi sul ruolo giocato dall’ornamento nella
trasformazione dell’edilizia privata e, di conseguenza, sull’ar-
chitettura in senso lato. Quanto
incide la diffusione dell’ornamento in serie sulla trasformazione dei modi di concepire e costruire gli edifici? Quanto sulla
perdita del suo ruolo di marcatore sociale? E quanto, infine,
sulla distinzione formale tra architetture pubbliche e private,
tra monumentale e banale?
Se il pregio di molte ricerche sta
nel porre buoni interrogativi, la
lettura di questo testo potrà risultare interessante.
❑ FRANCESCA B. FILIPPI
Valerie Nègre, L’Ornement en
serie. Architecture, terre cuite et carton pierre, Pierre Mardaga Editeur, Liegi 2006, pp. 247,
euro 35.
PALERMO
Un centenario villino modernista
A due anni di distanza, ecco gli esiti del convegno e della mostra dedicati
alla casa-studio di Ernesto Basile
Le manifestazioni svoltesi a dicembre 2004 per celebrare il centenario della casa-studio realizzata da Ernesto Basile a Palermo
(un convegno e una mostra dal titolo «Dispar et unum, 19042004. I cento anni del Villino Basile»), forse non hanno sciolto i
dubbi sull’enigmatico motto latino che campeggia sulla soglia
della bianca dimora, ma hanno
fatto luce su uno dei più significativi capitoli dell’architettura
italiana d’età contemporanea valutandone, finalmente senza pregiudizi, il contesto internazionale d’appartenenza. Oggi di proprietà della Regione, il Villino
Basile, progettato nel 1903 e ultimato nel 1904, oltre a essere una
delle poche architetture residenziali di Basile conservatesi, costituisce un documento significativo del complesso fenomeno di riforma della cultura dell’abitare
registrato dalla società europea in
età modernista, quale declinazione mediterranea di un più vasto
movimento incentrato sul principio della «progettazione integrale», che proprio nella sperimentazione delle residenze per architetti e artisti (risultato di auto-committenze e quindi investite del
ruolo di manifesti culturali) conseguì gli esiti più felici. Il catalogo della mostra, allestita nel Vil-
Ernesto Basile, studio prospettico per il Villino
lino Vincenzo Florio all’Olivuzza (altra opera di Basile) attraverso un percorso articolato in
sei sezioni (la più nutrita delle
quali, monografica, sul Villino
Basile, costituita dai disegni originali e da riproduzioni di disegni e fotografie d’epoca), e gli atti del convegno, articolato in
quattro sezioni incentrate sul significato del Villino Basile nell’esperienza progettuale del suo
autore/committente e sul ruolo
delle case degli architetti e degli
artisti in Italia e in Europa nel periodo modernista, sono riuniti nel
corposo volume curato da Eliana
Mauro ed Ettore Sessa e pubblicato dalla casa editrice Grafill di
Palermo. Oltre ai saggi degli stessi ideatori e curatori della manifestazione, il volume raccoglie,
tra gli altri, gli interventi di Ni-
cola Giuliano Leone, Giuliana
Ricci (presidente della sessione
«Case di architetti e di artisti in
Europa»), Ezio Godoli (con un
documentato resoconto delle case-atelier di alcuni protagonisti
dell’Art Nouveau in Belgio e
Francia), Rosario De Simone
(con l’analisi d’una fase meno indagata dell’attività del giovane
Charles-Edouard Jeanneret,
quella delle prime architetture
domestiche), Gennaro Postiglione e Filippo Alison (con un affascinante itinerario attraverso i
disegni di Charles Rennie Mackintosh) e di Marco Pozzetto.
Eliana Mauro ed Ettore Sessa (a cura di), Dispar et unum, 19042004. I cento anni del Villino
Basile, Grafill, Palermo 2006, pp.
498, euro 40.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
NEW YORK.
Nel primo numero
di «Architect», uscito nelle edicole americane a ottobre, il caporedattore Ned Cramer propone
un metro di paragone editoriale
inaspettatamente antico: le tre
qualità essenziali dell’architettura tornano a essere quelle stabilite da Marco Vitruvio Pollione
nel De Architectura, ovvero utilitas, firmitas, e venustas. Sebbene
l’umanità sia stata testimone di
cambiamenti «titanici» nei 2000
anni che ci separano da Vitruvio,
per Cramer nessuno è mai arrivato a una sintesi migliore della
definizione di architettura e delle
responsabilità dell’architetto; il
suo obiettivo è quindi quello di
trasferirle nero su bianco su «Architect».
Il lancio della rivista non è stato
privo di emozioni per Cramer. Il
29 settembre «Architecture», dove nel corso degli ultimi otto anni Cramer aveva occupato varie
posizioni redazionali, e «Architectural Lighting» (entrambe
Riviste
47, GENNAIO 2007
COMPRAVENDITA DI RIVISTE NEGLI STATI UNITI
Largo ad «Architect»!
«Architecture», con «Architectural Record» l’ultima delle grandi riviste a tiratura nazionale,
chiude e viene assorbita nella nuova «Architect»
pubblicate da VNU Business
Media) sono state acquistate da
Hanley Wood, una media company che opera nel mercato business
to business dell’edilizia e delle imprese di costruzione. Pare che
«Architectural Lighting» abbia
mantenuto tre dei suoi redattori
originari e continuerà a essere
pubblicata; invece l’intero staff di
«Architecture» è stato licenziato,
e la rivista è confluita in «Architect», il cui lancio era già in programma qualche mese prima che
Hanley Wood completasse l’acquisizione delle due testate. «Architect» si rivolgerà ai 23.000 studi di architettura che progettano
più del 90% dei fabbricati totali
Copertina del primo numero di «Architect» con Ross Wimer, socio dello studio SOM e le
pagine disegnate dal grafico Abbott Miller di Pentagram
costruiti negli Stati Uniti. La rivista potrà contare su una tiratu-
In Usa moria di riviste
Fondata nel 1913, «Architecture» fu inizialmente
pubblicata sotto il nome di «Journal of the American
Institute of Architects» come rivista ufficiale dell’American Institute of Architects (AIA). Nel 1983
sotto la direzione di Donald Canty, prende il nome
attuale. Nel 1989, l’AIA vende i diritti alla BPI Communications, ma «Architecture» continua a essere
distribuita ai 60.000 associati. In quelli che saranno i
suoi ultimi dieci anni di esistenza,«Architecture» sperimenta numerose trasformazioni, mentre dal 1996
«Architectural Record» diventa la rivista ufficiale dell’AIA. Nel 1997, dopo alcuni cambiamenti nella direzione editoriale, «Architecture» si sposta da Washington, dove era insediata sin dal suo esordio, a
New York. Nonostante nel 2001 fosse stata eletta
miglior rivista da un’inchiesta della Columbia University, l’anno seguente VNU, associata olandese del-
la BPI, annuncia un piano per ripensare la rivista in
un’ottica più orientata al mercato, dal momento che
stava perdendo abbonati e inserzionisti pubblicitari.
«Architect» mantiene solo i prestigiosi P/A Awards
(pubblicati sul numero di gennaio), istituiti da «Progressive Architecture» e confluiti, con la sua chiusura nel 1996 (comprata per 1 milione di dollari dal
gruppo VNU Business Media), in «Architecture». Con
la sua scomparsa, «Architectural Record», fondata nel 1891, rimane la sola grande rivista mensile a
tiratura nazionale negli Stati Uniti, non considerando quelle universitarie. Delle altre storiche riviste,
«Architectural Forum» ha chiuso nel 1974, mentre «Interiors», sempre pubblicata da VNU Media,
ha chiuso nel 2001 dopo cento anni. I diritti di «Progressive Architecture» e «Interiors» sono oggi nelle
mani di Hanley Wood. ❑ S.T.
ra di 60.000 copie (molti abbonati provengono da «Architecture») e il suo obiettivo sarà fornire informazioni pratiche nello
stile delle altre pubblicazioni
Hanley Wood, come «Residential Architect» e «Concrete Construction».
L’interpretazione iniziale di
Cramer dei tre principi vitruviani pone l’accento sull’aspetto
pratico della professione: dai grafici che tracciano la mappa regione per regione delle aree edificabili negli Stati Uniti indicando come cambieranno nei prossimi vent’anni, alla sezione «Process» che, impiegando un software per il modeling 3D, analizza
ogni passaggio concettuale nella
serie di progetti di un dato architetto. Anche la grafica della rivista (a cura di Abbott Miller,
partner di Pentagram) è semplice e lineare.
Sebbene il titolo della rivista sembri indicare che l’attenzione sarà
rivolta esclusivamente agli architetti (in copertina il primo piano
di un giovane collaboratore dello studio SOM), Cramer sottolinea come l’obiettivo sia guardare
35
alla professione nella sua interezza, includendo gli appaltatori e i
consulenti. «La speranza è di ridefinire la professione e di stimolare la cooperazione», dichiara
Cramer. Il primo numero presenta un articolo su come Bruce
Mau Design abbia collaborato
con SOM nel ridisegnarne il sito
web.
Il fallimento di «Architecture»
ha suscitato non poca preoccupazione. Una rivista in meno sul
mercato rappresenta un’opportunità in meno per la critica, soprattutto tenendo conto del target
delle pubblicazioni di Hanley
Wood, incentrate principalmente sui dettagli pratici della professione. Cramer la pensa diversamente: «Il nostro desiderio è rientrare nella categoria delle riviste
d’opinione. Per noi i giornalisti
di una rivista come “Architectural Record” sono dei colleghi e
dei concorrenti. È difficile giudicare una rivista da un numero soltanto, ma sono lieto che stia attirando così tanta attenzione. Sono
certo che la rivista sarà in grado
di evolvere. Il nostro punto di vista è molto chiaro: lavoreremo affinché la versione che diamo alle
stampe sia in grado di rifletterlo».
❑ SAMANTHA TOPOL
❑ Cambio di rotta per «Domus»
Cambio della guardia a «Domus», rivista che, più di altre in Italia, ha
prediletto direzioni mai troppo longeve. Da maggio Flavio Albanese prenderà il posto di Stefano Boeri, da tre anni in carica.Albanese, architetto vicentino, è a capo di una società che opera in campo progettuale con tre studi: Milano, Vicenza, Palermo. Collezionista
d’arte, si è dedicato anche alla progettazione di gallerie d’arte e allestimenti di mostre, e svolge attività nel design e interni. L’affidamento
ad Albanese sembra imporre un radicale cambio di rotta a «Domus»
che, nella direzione Boeri, eliminando quasi totalmente la presentazione di progetti di architettura, ha affermato con forza una linea editoriale autonoma improntata sulla provocazione politica e sull’indagine visuale ispirata alle ricerche di Rem Koolhaas.
36
Mostre
SEGUE DA PAG. 1, V COL.
Cerchiamo per un momento di
azzerare le distanze temporali e le
differenze, partendo da quello che
può essere un giudizio a priori, così come si è costruito nel tempo. Si
diceva che ci troviamo di fronte a
tre personaggi difficili: difficile
Loos (1870-1933), per quell’aura
di durezza e rigore che la storiografia gli ha cucito addosso, fin
dagli esordi, quando il rifiuto dell’ornamento lo descriveva come il
nemico giurato della dolce Secessione viennese. Durezza e rigore
che in tempi anch’essi ormai lontani hanno raggiunto una sfera di
assoluta algidità quando negli anni settanta la Tendenza guardò
proprio a Loos come a uno dei
suoi santi protettori, facendo di
Parole nel vuoto un testo di mistica
liturgia.
Questa mostra ci insegna che
Loos è stato un architetto duro,
quasi sanguigno, combattivo, ma
di minoranza: in minoranza
quando la Vienna felix si consumava nelle morbidezze secessioniste; di minoranza nel pretendere
ancora negli anni precedenti la
prima guerra mondiale una riduzione del processo compositivo
che, prima che formale, era concettuale e metodologica; in minoranza nella sua ammirazione per
le capacità tecniche e operative
della società statunitense, con la
quale aveva avuto lunga familiarità. Di minoranza come tutti i
profeti che non cantano nel coro,
ma che non vivono nel deserto, anzi cercano sempre nuovi approdi,
come poteva essere la Parigi degli
anni venti, dove costruì la casa per
Tristan Tzara e dove fu testimone
del nascente confronto tra razionalisti e tradizionalisti, il cui successo fu segnato dall’Exposition
des arts decoratifs del 1925. È soprattutto nel metodo che il rigore
di Loos trova il suo terreno fertile:
l’ossessione della forma pura non
ha nulla a che fare con il Purismo,
ma è una sorta di radicalizzazione
dell’idea che lo spazio funzionale
sia non modificabile. Una durezza che trova però svolgimenti imprevedibili nella sintesi che l’architetto individua per dare corpo
alle proprie opere. Se la pianta libera è il primo punto della regola
razionalista, Loos era già oltre
questa schematizzazione, perché
il suo è un pensare e procedere per
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
TRE MOSTRE A ROMA: LOOS, DEL DEBBIO, FUKSAS
Un triangolo trasgressivo
Enrico Valeriani riflette sulle diversità di tre protagonisti dell’architettura contemporanea
A fianco, Adolf Loos, casa per Tristan Tzara a Parigi (1925);
sopra, Enrico Del Debbio, Accademia di Educazione fisica e
Stadio dei marmi del Foro Italico, Roma (1928-1932)
Babylon di Nizza raccontano di
un Loos che rilegge le forme storiche come costanti e come tali suscettibili di operazioni di decontestualizzazione o di stravolgimento di scala. In altre occasioni, invece, l’architetto è capace di trovare nella stessa architettura una
«decorazione non decorativa», come nel progetto per la casa di Josephine Baker.
Dalla complessità vitale dell’opera di Loos, dal suo antiaccademismo, il percorso errante all’interno
del triangolo ci offre un altro modo d’interpretare le regole accademiche. La lunga attività di Enrico Del Debbio (1891-1973) attraversa l’architettura italiana in
modo leggero, muovendosi con
autonomia all’interno di un sistema dato, quello accademico, che
in Italia più che altrove imponeva
grossolane e pesanti pastoie, aggravate nel corso degli anni dal
crescente mito della romanità.
Una vita difficile in anni difficili.
Massimiliano Fuksas, disegno per il nuovo centro degli Archivi
Nazionali di Francia a Pierrefitte-sur-Seine (2005-2010)
cellule spaziali, un ragionare in
3D che fa del Raumplan uno strumento per risolvere traiettorie funzionali, ma anche un modo di
pensare in prospettiva spaziale.
La mostra ci restituisce un Loos
convinto assertore di profezie, come quella simbolicamente materializzata dal granito nero del grattacielo del «Chicago Tribune»,
mentre altri progetti ugualmente
non realizzati come il Municipio
di Città del Messico o l’Hotel
In un’Italia sempre in ritardo nell’accorgersi di quello che succedeva nell’architettura internazionale, perché arroccata con compiacimento alle sue glorie storiche e
artistiche, Del Debbio ha soprattutto un merito: quello di interpretare con innegabile garbo gli
spostamenti del linguaggio dell’architettura.
Percorriamo il suo iter professionale e scopriamo una puntuale registrazione dei cambiamenti e del-
le novità, che ancorché rilette e utilizzate in senso sostanzialmente
formale, così come la sua formazione del resto gli imponeva, riescono a evitare la trappola dello
«stile», trovando nella dimensione
di un fare artistico la propria garanzia. Guardiamo gli acquarelli
di architetture fantastiche datati tra
il 1916 e il 1920 e vi ritroveremo le
tracce, neanche troppo celate, della Secessione - per inciso, sono gli
anni in cui essere filoaustriaci non
era troppo di moda. E poi negli anni venti, il progetto per i villini della Cooperativa Ars, i cui membri
erano artisti più o meno famosi:
progetti in cui viene declinato il tema di un’architettura della quotidianità, un’architettura in prosa
come avrebbe detto qualcuno,
un’architettura che riesce a essere
raffinata anche nell’apparente casualità del riferimento neomedievale. Un tocco leggero, si diceva:
è quello che riesce a spezzare senza che venga meno l’equilibrio, il
timpano delle finestre della casa di
via Brofferio o dell’Accademia di
Educazione fisica al Foro Italico.
Il Foro Italico: l’Opus di Del Debbio si potrebbe dire, nel bene e nel
male. È qui infatti che a un originale impianto di raro equilibrio
ambientale (1928 e seguenti) l’Accademia di Educazione fisica, lo Stadio dei marmi, lo Stadio
dei pini, poi trasformato in Olimpico - si aggiungono la foresteria
sud e poi, sul crinale che domina
il Foro, la Colonia elioterapica.
Tra il progetto primigenio e le successive addizioni, nel giro di pochissimi anni Del Debbio modifica in modo radicale il proprio
linguaggio, fa propria la sintassi
del razionalismo che trova la sua
massima espressione nella Casa
madre del Balilla (1932-1933),
progettata per un’area vicina. Sono note le vicende che hanno portato poi allo stravolgimento dell’iniziale equilibrio del Foro: il volgare raddoppio dell’edificio dell’Accademia destinato a ospitare
la piscina coperta, l’inserzione
monumentale del Viale dell’Impero e del Monolite, l’altra foresteria che chiude l’area verso ovest.
Erano i tempi che cambiavano e
lo stesso Del Debbio ha pagato il
pedaggio di questo cambiamento
quando con Arnaldo Foschini e
Vittorio Ballio Morpurgo ha realizzato il controverso progetto del
Palazzo del Littorio, oggi ministero degli Affari esteri. Pedaggio
pesante, che non ha troncato però
la capacità di rapportarsi ai nuovi
tempi, dopo la drammatica cesura bellica. Anche se rallentata, la
sua attività continua con la stessa
attenzione alle trasformazioni delle forme: sono di questi anni gli
edifici per la Casa internazionale
dello studente (con Piero Maria
Lugli) che, ispirati alle libere for-
res) e che arricchiva la propria didattica con le esercitazioni di visual
design del Bauhaus, qui coordinate da Achille Perilli e Gastone
Novelli. Era anche il periodo dell’ostracismo alla professione («palazzinaro» era un insulto, anche se
di palazzine in quegli anni non se
ne facevano più).
Esiste dunque una prima vita, ora
molto lontana, in cui Fuksas dimostrò già la sua diversità: cominciò a fare la professione, progettando una serie di opere pubbliche per piccoli centri del Lazio
che un’attenta regia di gestione
dell’immagine rese già note in
«Sono tre personaggi molto lontani tra loro
nel tempo, nei modi di lavoro, nei linguaggi.
Cercare un nesso tra le loro esperienze
è un’occasione per far emergere
i fili impercettibili che collegano le cronache
della storia, al di là delle classificazioni
canoniche care alla storiografia»
me dell’empirismo inglese e nordico, formano per contrappunto
una sorta di propilei per lo stesso
ministero.
Se l’itinerario seguito da Del Debbio riassume in sé molte delle contraddizioni dell’architettura italiana del XX secolo, a cominciare da
quella fondamentale di far propria
la lezione del Movimento moderno che pone l’uomo e la società, e
non la forma, al centro del progetto, le opere di Fuksas rappresentano le contraddizioni del nostro recente passato e probabilmente del prossimo futuro.
La vicenda dell’architetto nato a
Roma nel 1944 e qui formatosi - e
questo dato non è secondario - è
esemplare per raccontare quelle
che sono state le pulsioni e le illusioni di un paio di generazioni ancora vive e vegete. Essere architetti romani intorno alla sessantina
vuol dire aver vissuto sulla propria
pelle le «grandi trasformazioni»: il
boom e la crisi economica (la prima di una serie), l’illusione sessantottina, gli anni di piombo, insomma la storia italiana degli ultimi quarant’anni. Una storia che
a Roma offre per l’architettura
scorci particolari: studiare architettura negli anni sessanta a Roma
voleva dire trovarsi lo stesso giorno di fronte come professori Bruno Zevi, Ludovico Quaroni e
Luigi Piccinato, ma anche subire
il fascino irripetibile di Maurizio
Sacripanti (quello che stava progettando il Teatro di Cagliari e il
grattacielo Peugeot a Buenos Ai-
quegli anni. Poi il silenzio, con un
ambiente e una critica che storcevano il naso a quel suo essere troppo legato alla professione.
Fuksas era virtualmente scomparso dalle cronache e dal panorama
dell’architettura italiana, quel panorama artificiale messo in piedi
dalle riviste come un fondale teatrale davanti al quale si recita il
«Grande dibattito». Scomparso al
punto che ancora pochi anni fa
qualcuno si chiese chi fosse mai
47, GENNAIO 2007
quell’architetto dal cognome strano, certamente uno straniero, che
si stava radicando a Roma.
Come sappiamo, il discorso è un
po’ diverso: semplicemente l’architetto aveva trovato altri luoghi
in cui sperimentare la sua architettura fatta di aggressività e di poesia, di nuvole e lamiere arrugginite, di teli trasparenti, ma rigidi e
lunghi un chilometro. Dalla
Francia, il suo è stato un ritorno
alle origini, imbevute dal sapore
della trasgressività così cara a Zevi, di cui per uno di quei disegni
che sembrano voluti dal destino
ha ereditato la storica rubrica
sull’«Espresso».
La diversità di Fuksas, e non soltanto sua - vogliamo qui dare il
giusto risalto al ruolo della moglie
Doriana Mandrelli - è nell’aver
guardato le cose da un punto di vista «altro», di aver capito che l’architettura è una piccola nave che
ha potenti armatori e che richiede
navigatori capaci di condurla in
qualunque mare.
Il vertice del triangolo occupato da
Fukas è il simbolo del paradosso
nel quale viviamo oggi, nel momento in cui con il suo indubbio
talento, riesce a mantenere saldamente il rapporto tra poteri forti e
opposizione, di fatto smascherando quello che alla fine è solo un
gioco delle parti, per realizzare la
«sua» architettura. È anche il posto di chi dopo aver curato una
Mostra alla Biennale di Venezia
che trasportava l’architettura in
luoghi lontani anni-luce dai problemi disciplinari per invadere i
territori della comunicazione di
massa o delle arti di ogni ordine e
grado, se n’è andato subito dopo
sbattendo la porta. È così che si
crea il personaggio: probabilmente Fuksas è ora l’unico architetto
italiano del XXI secolo, insieme a
Renzo Piano, noto al grande pubblico e alle grandi committenze.
❑ ENRICO VALERIANI
«Adolf Loos.Architettura. Utilità e decoro», a cura di Richard
Bösel e Vitale Zanchettin
«Enrico Del Debbio. La misura
della modernità», a cura di Gigliola Del Debbio e Maria Luisa Neri con Erilde Terenzoni e Alessandro Vittorini
Roma, Galleria Nazionale d’Arte
Moderna, fino al 4 febbraio.
«M FUKSAS D unsessantesimodisecondo», a cura di Massimiliano Fuksas e Doriana O. Mandrelli
Roma, Museo nazionale delle arti
del XXI secolo, fino al 28 febbraio.
Carnet di viaggio
1. Losanna, Ecole polytechnique fédérale: «Dialogue entre constructeurs», dal 10
al 26 gennaio.Uno sguardo su
alcuni edifici di fama internazionale,per indagarne le tracce lasciate dagli ingegneri.
2. New York, Storefront for
Art and Architecture:«Clip/Stamp/Fold. The Radical
Architecture of Little
Magazines, 196x - 197x»,
fino al 31 gennaio. Un’indagine sul fenomeno della proliferazione, tra anni sessanta e
settanta del Novecento, delle piccole pubblicazioni di architettura. Non si tratta soltanto dei più noti giornalini
radical di breve vita, ma della
grande quantità di pamphlets,
manuali di costruzione e periodici professionali influenzati dalla grafica e dalle esperienze dei contemporanei.
3. Madrid, Las Arquerías del
Nuevos Ministerios: «L’Esplosione della città», fino
al 4 febbraio. Una riedizione
della mostra presentata al
Forum universale delle culture di Barcellona (2004).
Nuovi materiali e un nuovo
catalogo per continuare l’indagine sui processi di diffusione insediativi di 13 realtà metropolitane del Sud Europa.
4. New York,Austrian Cultural
Forum: «Coop Himmelb(l)au. Vertical City, the
New Premises of the European Central Bank», fino al 10 febbraio. Il progetto
per i nuovi edifici della Banca centrale europea è al centro di un’esposizione più
ampia, dedicata agli ultimi
trent’anni di attività dello
studio.
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Mostre
47, GENNAIO 2007
37
ALLE CANARIE
Un’altra Biennale, tra le isole
L’arcipelago accoglie la prima Biennale di architettura, arte e paesaggio. Tra i temi: ecologia, immigrazione, turismo e crescita urbana
TENERIFE. 7 isole, 40 spazi, 70 ar-
tisti e 50 architetti danno vita alla
prima «Bienal de Canarias. Arquitectura, Arte y Paisaje», un
evento che aspira a diventare piattaforma di analisi e riflessione sul
paesaggio come punto d’incontro
tra arte e architettura. La condizione insulare, a cavallo tra Europa e Africa, la pressione migratoria, la crescita della popolazione,
la diversità ecologica e climatica e
gli anni di sviluppo urbanistico
selvaggio fanno delle Canarie un
laboratorio d’eccezione per la
comprensione dell’importanza
del paesaggio e della necessità di
trovare soluzioni architettoniche e
urbanistiche innovatrici e sensibili alle esigenze degli ecosistemi.Il
70% dei progetti sono site-specific
e, secondo la direttrice della Biennale, Rosina Gómez-Baeza, «offrono nuove prospettive alle contraddizioni che vivono le Canarie, strette tra l’immigrazione subsahariana e il turismo nordeuropeo». L’evento, che non occupa
solo centri espositivi, ma anche
antichi conventi, castelli, torri di
guardia, scavi archeologici, ecomusei e parchi vulcanici, è servito da pretesto per riabilitare alcuni spazi storici. È il caso della Casa de los Coroneles, una fortezza
A sinistra, progetto di Elias Torres per l’installazione
di un «guardiano del paesaggio»; sopra e a fianco, due
sedi della Biennale: la Casa de los Coroneles e il Tanque, ex deposito di combustibile (esterno e interno)
del Seicento sull’isola di Fuerteventura; della Casa de la Polvora, un curioso magazzino di polvere da sparo del Settecento situato a Santa Cruz de Tenerife; del
Castello Nero, memoria del passato difensivo dell’isola, così come il Tanque, un gigantesco deposito di combustibile, spettacolare esempio di archeologia industriale, che forma un curioso triangolo con l’«arrogante» auditorium di Santiago Calatrava.
A partire da gennaio l’architettu-
ra entra in scena con un programma che comprende mostre, seminari, workshops, interventi sul
paesaggio e un «Osservatorio dell’energia», che l’architetto Iñaki
Ábalos ha installato nella Riserva
della biosfera della piccolissima
isola di Las Palmas. Molto attesa
l’inaugurazione, il 19 gennaio,
della mostra «Scenari della crescita», nella sala d’arte La Regenta
dell’isola di Gran Canaria. Il progetto, che esamina le problematiche della colonizzazione del terri-
GRANDI VEDUTE DI ROMA
Piranesi nel suo mondo
In mostra sul Corso il cantiere dell’immagine più importante del Settecento
ROMA. È un Piranesi inarrestabile e poliforme, quello che emerge
dalla mostra al Museo del Corso
(di proprietà della Fondazione
Cassa di Risparmio di Roma).
L’esposizione ha voluto arricchire con testimonianze pittoriche e
grafiche di vario tipo un nucleo
consistente d’incisioni, dedicato
alle vedute di Roma e dintorni.
Disegni a matita, schizzi, medaglie, rami originali provenienti
dall’Istituto nazionale per la Grafica, dipinti di illustri contemporanei di Piranesi, e persino ricostruzioni virtuali dei suoi progetti
architettonici fanno ben più che
da cornice alle acqueforti: insieme,
contribuiscono a dare un’idea della complessità di tecniche e modi
di rappresentazione che ha fatto di
questo «cantiere grafico» forse il
più importante singolo evento nella costruzione degli immaginari
architettonici e urbani del XVIII
secolo. Ad esempio, un taccuino
di appunti e schizzi proveniente
dalla Biblioteca Estense di Modena è emblematico di come l’artista
veneziano lavorasse sul campo, alternando matita, sanguigna, pen-
torio e della crescita urbana in diversi paesi del mondo, presenta le
varie alternative proposte da architetti come Rem Koolhaas,
Zhupei Studio, Arquitectura 911sc+F304, Manel
Gausa, MVRDV e Rex
Architecs.
I nuovi modelli di mobilità per i territori insulari saranno oggetto dell’incontro «Isole Mobili», in cui
partecipano, tra gli altri,
Dominique Perrault, Jacques Herzog e Salvador
Rueda. Inoltre, riuniti sotto il titolo «Costruire lo
sguardo», si presenteranno
tre interventi effimeri: due a
Lanzarote realizzati da
Carme Pinós e da Diller &
Scofidio, che utilizzeranno
la tecnologia per ridurre la
frattura tra natura e cultura, e uno
nell’isola de El Hierro, dove Elias
Torres installerà un «guardiano
del paesaggio», un curioso simu-
lacro di satellite capace d’individuare e denunciare infrazioni ecologiche e atti vandalici.
Molti degli artisti e architetti che
partecipano alla Biennale hanno
manifestato la loro solidarietà con
le organizzazioni ecologiste locali, che protestano contro l’impatto distruttore irreversibile dell’autostrada dell’Aldea sul parco naturale di Tamadaba e contro la costruzione del nuovo porto di Granadilla, in una zona ancora vergine di Tenerife, nonostante il parere contrario dell’Unione Europea. ❑ ROBERTA BOSCO
«Bienal de Canarias.Arquitectura, Arte y Paisaje», a cura di
Rosina Gomez-Baeza,
Isole Canarie, sedi varie, fino al 10
febbraio.
www.bienaldecanarias.org
>Àœ -V>À«>
i ˆ Vœ“«iÃÜ “œ˜Õ“i˜Ì>i
Àˆœ˜
Giovanni Battista Piranesi, «Veduta del Pantheon d’Agrippa», acquaforte, 40,64 x 54,29 cm, 1761
na, a seconda dell’occasione e con
la massima libertà.
Ben più che un «precursore», e tutt’altro che incompreso, Piranesi
ha dedicato gran parte della propria vita a rappresentare, trasfigurandola, la città di Roma. Con il
procedere della sua carriera, proprio la grande fortuna commerciale delle sue incisioni - acquistate a scatola chiusa da grandi fami-
❑ Nuova direzione al NAI
Dal 6 dicembre Ole Bouman (Amsterdam, 1960), direttore della rivista «Archis/Volume», è il nuovo direttore del Netherlands Architecture Institute (NAI), dopo la partenza del suo predecessore Aaron Betsky per il Cincinnati Art Museum nell’Ohio a inizio novembre. Sorprende non poco la scelta di Bouman, figura controversa del
panorama architettonico olandese, in passato spesso in forte contrasto con il NAI e lo stesso Betsky. Nelle motivazioni del consiglio
direttivo di legge: «Bouman è diventato una voce prominente del panorama internazionale. È uno dei più flessibili critici di architettura in questo momento e sicuramente una risorsa per il NAI. Per
noi, Bouman era il migliore candidato per connettere il NAI al dibattito pubblico». ❑ M. M.
glie e corti di mezza Europa - gli
ha consentito d’impostare vedute
ora fantastiche, ora addirittura
monumentali, che nessun altro artista del suo tempo avrebbe potuto permettersi di lanciare sul mercato. La grande pianta di Villa
Adriana (cm 92 x 370!), in mostra insieme a un disegno preparatorio, è in questo senso ancor più
stupefacente del già noto Campo
Marzio, che tanto aveva entusiasmato Manfredo Tafuri. Ricco e
ben scritto, il catalogo (Editoriale
Artemide) lamenta tuttavia una
stampa non sempre efficace proprio delle incisioni in bianco e nero. ❑ E. P.
«La Roma di Piranesi. La città
del Settecento nelle Grandi
Vedute», a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli,
Roma, Museo del Corso, fino al 25
febbraio.
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38
Informatica
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
I SOFTWARE NEL PROCESSO PROGETTUALE DI SHOP ARCHITECTS
Modellare la fabbricazione
Nel nuovo intervento residenziale a Manhattan i componenti della facciata in mattoni sono realizzati a partire da uno stampo
progettato in collaborazione da architetti e produttori
NEW YORK. La scelta dei componenti costruttivi di un progetto è spesso demandata alla scelta
dai vastissimi cataloghi delle
aziende ma, nel caso di ShoP
Architects, la ricerca è rivolta a
individuare un’azienda con cui
collaborare piuttosto che un
«fornitore». Lo studio newyorkese infatti dichiara esplicitamente di fondare la propria attività sul processo, rifiutando di
concentrarsi su una propria cifra
stilistica e affrontare di conseguenza i problemi realizzativi
solo quando la definizione della
forma è compiuta. A ogni progetto si lavora fin dal principio
dai punti di vista estetico, costruttivo ed economico, forti della formazione eterogenea dei cinque soci dello studio, che provengono da settori diversissimi:
dall’attività bancaria al graphic
design all’ingegneria, dialogando
e scontrandosi continuamente
con clienti e appaltatori.
Nel perseguire questo obiettivo,
la «modellazione» e il software
3D hanno un ruolo chiave: fino
a 10 anni fa lo studio usava realizzare plastici a scala molto bassa, nei quali simulava i passaggi
della realizzazione, mentre oggi
basa la propria attività produttiva sulla ricerca informatica. Nel
modo di lavoro di ShoP non esiste la figura del «caddista», dedito alla sola compilazione dei
Questo mese
in
«Il Giornale
dell’Arte»
❑ Il meglio e il
peggio del 2006
❑ Il calendario
del 2007
❑ Il restauro nelle
aule dell’Università
❑ Gli stranieri
comprano
gli italiani
disegni. Per essere assunti è richiesta preparazione su software
3D, che non serve alla visualizzazione ma allo sviluppo vero e
proprio dell’idea progettuale:
caratteristica, questa, che spiega
l’alleanza stabilita con il programma di ricerca dello Stevens
Institute of Technology (cfr. il
numero scorso di questo giornale, p. 34).
I giovanissimi (da ventiquattro
anni in su) «modellatori» sono
da subito immersi nel vivo del la-
voro, producendo indifferentemente plastici, disegni e rendering, senza apparenti gerarchie
tra loro. Un’organizzazione che
trova naturale conseguenza nell’adozione di un software collaborativo basato sul modello 3D
integrato dell’edificio, di cui il
progetto residenziale per Houston Street a Manhattan (l’apertura del cantiere è prevista questo mese) rappresenta la prima
applicazione completa.
L’edificio residenziale di otto
Mappe storiche in Google Earth
❑ Intervista esclusiva
all’archeologo
iracheno costretto
a lasciare il paese
❑ ArteFiera:
l’Associazione
si dissocia
❑ 100 milioni di euro
per il nuovo polo
museale sabaudo
❑ Fiere: debutta Mint
❑ Anche il Barocco
nella Galleria
Nazionale
dell’Umbria
Nelle edicole, 230 articoli,
136 pagine
Aggiunta da poco alla dotazione di «livelli» disponibili in Google Earth, la fruizione di 16 mappe storiche tratte dalla collezione David Rumsey. Le mappe disponibili passano dalla scala
territoriale a quella urbana e includono l’intero globo terrestre
nel 1790, oltre a una mappa per ogni continente - l’America del
Nord nel 1733 e gli Stati Uniti in due mappe parziali di inizio Ottocento, l’Asia (1710), l’Africa (1787), il Medio Oriente (1861) e
l’Australia sudorientale - ma anche le città di San Francisco
(1853), New York (1836), Buenos Aires (1892),Tokyo (1680), Londra (1843) e Parigi (1716). Per attivare il livello è necessario aggiornare il software all’ultima versione e le mappe, una volta visualizzate, possono anche essere rese semi-trasparenti. Il sito di
riferimento, che aderisce alla Creative Common License e consente quindi il libero riutilizzo della cartografia per uso non commerciale, contiene oltre 14.000 mappe visualizzabili in linea con
diversi metodi ma anche scaricabili, ed è raggiungibile all’indirizzo: www.davidrumsey.com
In alto, vedute nel contesto urbano dell’edificio residenziale
di ShoP Architects al 41 di Houston Street a Manhattan; dettaglio dell’articolazione del paramento di mattoni della facciata. A lato, schema che identifica in verde il perimetro dei
diversi pannelli ricavati dallo stampo costruito «ad hoc» per
il progetto
piani sorge nella zona nord di
Little Italy, dove il regolamento
edilizio vincola all’utilizzo del
mattone per gli esterni e permette un avanzamento della facciata oltre il limite del lotto, in genere sfruttato per disegnare le
cornici alla sommità. I vincoli
diventano elementi progettuali e
gli architetti, dopo una lunga serie di contatti, hanno individuato come partner per la sperimentazione Architectural Polymers,
società della Pennsylvania produttrice di pannelli di facciata.
La collaborazione è stata mirata
all’individuazione della «variazione» più economica al sistema
produttivo dell’azienda, che ha
permesso di disegnare un’ondulazione della facciata senza far
lievitare i costi, in gran parte legati alla produzione a controllo
numerico dello stampo «positivo» in polietilene. La scelta è stata quella di produrne uno ampio
da cui ricavare tutti i diversi elementi della facciata, lasciando
invariato il resto del sistema produttivo rispetto agli standard
aziendali.
Dal punto di vista del software
«Nel modo di lavoro di ShoP
non esiste la figura del “caddista”,
dedito alla sola compilazione dei disegni»
il progetto della facciata si è integrato al modello generale integrato costruito in Revit è avvenuto con Rhinoceros (principale strumento di lavoro dello studio per la facilità di produrre plastici di studio e disegni), mentre
i «test» precisi avvenivano nei
software parametrici: Generative Components per la sovrapposizione dei mattoni fiamminghi, Digital Project per l’assemblaggio generale dei pannelli.
L’azienda ne utilizzava di di-
versi, e il dialogo è avvenuto mediante la continua traduzione
del «modello» in dati condivisibili, in questo caso punti e coordinate salvati in formato Dxf,
«demistificando» di fatto il piacere della modellazione grafica
artigianale e solitaria di fronte allo schermo, e rapportandola con
la complessità e la durezza, ma
anche la vitalità, che il contatto
con i processi realizzativi comporta.
❑ STEFANO CONVERSO
❑ SOM acquista Digital Project
Lo studio SOM ha annunciato l’acquisto di 100 workstation con il
software Digital Project, distribuito da Gehry Technologies e basato sulla tecnologia PLM (Project Lifecycle Management), con un contratto che comprende anche la consulenza e l’assistenza per tre anni,
incluso lo svolgimento di parti del lavoro particolarmente complesse.
Il software sarà introdotto in modo graduale in tutte le sedi dello studio per diversi progetti, andando a incrementare la quota di lavoro
svolto su modelli tridimensionali integrati che già include Revit, attualmente in uso nel gruppo che lavora alla Freedom Tower (cfr. «Il
Giornale dell’Architettura» n. 34, novembre 2005).
Design
IL GIORNALE DEL
Intervista
Paolo Fantoni
sulla ricerca
nell’azienda
di Osoppo
Mostre
Mitomacchina
al MART
di Rovereto
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA
Tutela
del design
«Panton Chair»:
dal tribunale
stop alla copia
Aste
Puppylove
a Miami
per beneficienza
TUTELA DEL DESIGN
«OBSERVEUR DU DESIGN 07»
«Panton Chair»:
stop alla copia
Vota il design!
Un monito a creativi e imprese:
non solo pezzi unici
Il Tribunale di Milano riconosce il diritto d’autore su una sedia «griffata»
MILANO. Con un provvedimento che non ha precedenti, il 28 novembre il Tribunale di Milano ha
riconosciuto la piena tutela d’autore al mobile di design. Una decisione che, se confermata, aprirà
la strada alla protezione degli oggetti d’arredo di alto profilo. Il giudice, in seguito al ricorso della Vitra Patente A.G., società svizzero-tedesca titolare dei diritti di utilizzazione economica della «Panton Chair», disegnata da Verner
Panton nel 1960, ha disposto il sequestro di 110 sedie commissionate da un noto negozio milanese
e fatte produrre in Cina. Le sedie,
battezzate «Loft» dallo store, che le
vende dal 2004, riproducono infatti esattamente la «Panton
Chair» della Vitra (circostanza
peraltro non negata dalla stessa so-
cietà milanese che le ha commissionate per i suoi negozi).
Come numerosi mobili e oggetti
di design, la «Panton Chair» è
esposta nei musei d’arte e di design
di tutto il mondo, a dimostrazione del valore attribuito al suo ideatore e al pezzo in sé: il Vitra Design Museum di Weil am Rhein,
ovviamente, ne conserva esemplari originali, ma anche il MoMA
di New York, per citare solo un
esempio, ne vanta un modello nella sua collezione permanente di design. Il Tribunale di Milano, nel formulare la propria decisione,
ha preso in considerazione
proprio quest’aspetto. Nella
motivazione, ha infatti osservato che «la circostanza che
molti musei d’arte contempora-
«Panton Chair», disegno
di Verner Panton (1960),
produzione Miller-Vitra
(1967)
nea comprendano tale opera di
design nelle loro collezioni,
costituisce elemento di conferma obiettiva dell’attribuzione, all’opera di design in
questione, di un significa-
Ma quando è nata
la «Panton Chair»?
Nel 1960 Verner Panton
(1926-1998) disegnava il primo
modello di sedia monolitica in
plastica realizzata mediante
stampaggio a iniezione. Celebrato pezzo della produzione
del designer di origine danese,
la seduta impilabile a «S» rappresenta un esempio di quell’arte fluida e futuribile che introduce l’estetica Pop negli oggetti d’arredo e negli interni, di
cui in Italia Joe Colombo è un
altrettanto riconosciuto maestro. Sovvertendo i canoni tradizionali del design danese - Pøul Henningsen è suo insegnante alla Royal Academy of Art di Copenaghen;
nel 1950 Arne Jacobsen lo accoglie appena laureato nel suo studio;
con Hans Wegner stringe una solida amicizia - Panton inizia una sperimentazione con la plastica e altri materiali innovativi per realizzare
opere ispirate alle geometrie della Pop Art, come la «Living Tower»
del 1969 (ritratta nella foto con Panton) e l’installazione «Visiona»
del 1970. Stabilitosi a Basilea nel 1963, collabora con Vitra, la licenzataria europea dell’azienda americana Herman Miller,che nel 1967 mette in produzione la «Panton Chair». Dal 1990 l’azienda svizzero-tesesca produce una riedizione della stessa sedia.
to e di un valore che trascende la
mera caratterizzazione di un modello di sedia». Al di là della qualità estetica che cattura l’apprezzamento di pubblico e consumatori, il giudice ritiene rilevante l’interesse che l’oggetto suscita in soggetti ed enti che non hanno motivazioni di natura economica: in
pratica, ritiene di applicare la tutela del diritto d’autore esaltando
il valore artistico del pezzo. Viene
riconosciuto il pregio che il designer apporta all’aspetto esteriore,
contribuendo a quel valore aggiunto che fa di un mero oggetto
d’arredo un’opera di valore artistico. Al di là dei giudizi personali, al fine di stabilire se una determinata creazione di design me-
riti o meno
tutela d’autore è, pertanto, opportuno rilevare
nella maniera
più oggettiva possibile la percezione
che della stessa si è
consolidata nella
collettività, in particolare negli ambienti culturali in
senso lato.
«La documentazione prodotta», continua la sentenza, «conferma la tutelabilità della Panton
Chair in base al diritto d’autore.
Invero da essa si evince in maniera significativa che detta opera ha
assunto nel tempo un proprio valore di raffigurazione estetica di
concezioni artistiche più
generali, di fatto ormai trascendenti la
semplice natura
di oggetto di arredamento cui la sua
funzione originaria la
relegava, in quanto anticipatrice
dei temi e delle modalità espressive della Pop Art e capace di riassumere in sé le tendenze di rottura degli anni sessanta in uno stile
fortemente individuale del suo
autore».
«Se questa decisione sarà confermata nella successiva fase del giudizio», afferma l’avvocato Cuonzo, dello studio Trevisan &
Cuonzo, difensiore della Vitra,
«la tutela basata sul copyright al
mobile di design d’autore diventerà una certezza e una garanzia
per chi opera nel settore». L’industria del mobile di design potrà
quindi contare su uno strumento
efficace per contrastare i contraffattori e le copie dei propri prodotti
in circolazione sul mercato.
❑ MANUELA SALCE
PARIGI. Come si è impegnata
quest’anno Anne-Marie Boutin,
presidente dell’APCI (Agence
pour la Création Industrielle),
per la sesta edizione dell’«Observeur du Design»! Nata dalla volontà di far progredire la causa
della produzione industriale,
l’«Observeur du Design» è una
commissione giudicatrice indipendente, composta da professionisti ed esperti, che ogni anno premia con una «stella» le migliori
creazioni nate dalla collaborazione tra imprese e designer. La manifestazione è riconosciuta a livello internazionale e intende
rappresentare uno stimolo per le
realtà produttive (soprattutto le
imprese francesi) nell’identificare
il mondo del design come un
«creatore di valore». Il premio
consente di rivalutare le abilità e
i materiali tradizionali e di aprire
mercati ai settori in crisi: proponendo nuovi processi di fabbricazione, il design genera prodotti che portano a una differenziazione delle industrie sul mercato,
fino a rivelarsi lo strumento strategico per emergere come leader
in un settore specifico, com’è avvenuto, ad esempio, per Decathlon, Renault, Veuve Clicquot
Ponsardin e SEB.
Martedì 10 ottobre la militante
Boutin ha dato il benvenuto alla
stampa e ha presentato l’esposizione dei 163 prodotti, spazi e servizi proposti dai più svariati settori dell’industria, dai trasporti
alle arti della tavola, dal campo
medico a quello sportivo. Approfittando dell’anno elettorale,
si è affidata allo slogan «Vota il
design!» per convincere i futuri
dirigenti a ricorrere al design e
promuoverlo (e ormai è tempo
che anche loro se ne interessino).
E proprio per sostenere la creatività a servizio delle aziende, l’organizzatrice incita il pubblico a
eleggere a plebiscito la realizzazione più stimolante. Con il
«Prix du Public» il design si
schiera a tutti gli effetti col «partito del consumatore»; ma questo
in fondo non stupisce, perché nel
concepire un prodotto l’autore si
affida a un approccio basato sull’osservazione degli stili di vita e
sull’analisi delle evoluzioni socioculturali, con l’obiettivo di garantire una migliore accessibilità
e un migliore uso quotidiano.
L’allestimento, a cura dell’agenzia 2.26 Architecture et Communication, ha il merito di evi❑ SANDRA BIAGGI
CONTINUA A PAG. 42, III COL.
Calzature da barca a vela «SL700 Race Tribord», design e
produzione Decathlon
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Design
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
47, GENNAIO 2007
INTERVISTA A PAOLO FANTONI
Siamo una fucina di sperimentazione
L’architettura come biglietto da visita; il rapporto tra innovazione, ricerca e sostenibilità: queste le linee guida dell’azienda
Dottor Fantoni, qual è il rapporto che
la vostra azienda intrattiene con il mondo dei progettisti e con l’architettura?
La nostra azienda oggi opera in
diversi settori industriali, ma è nata con la produzione del mobile.
A mio nonno va ascritto un grande merito: già nel 1920, infatti, decise di lavorare in sinergia con i designer e gli architetti, per dare valore aggiunto e maggiore riconoscibilità ai prodotti. Fu uno dei
primi inserzionisti su «Domus»
con Gio Ponti, e da questa esperienza nacque l’idea di avere un art
director che guardasse con occhio
critico che cosa facessero l’azienda
e i suoi concorrenti. Sono quelli
gli anni in cui inizia a collaborare con Barazzutti, Scoccimarro,
Midena, e in cui partecipa alle
Biennali e poi Triennali milanesi,
intuendo la necessità di abbandonare i vecchi stilemi. Noi oggi
continuiamo questa tradizione
che ci vede collaborare con il mondo degli architetti e dei designer,
non solo nella definizione dei prodotti, ma anche nella progettazione delle architetture. Con Gino
Valle nel 1973 è nata una collaborazione che ha portato alla realizzazione della nostra sede di
Osoppo, dove si è cercato di produrre un’architettura di qualità.
Da qui l’idea di chiamarci noi
stessi blue industry, per sottolineare
la concezione di un colore che richiamasse quello che pervade le
montagne circostanti, conferendo
all’intervento un equilibrio tanto
ecologico quanto cromatico.
Tentare di tradurre nelle proprie
strutture una certa qualità progettuale è il primo investimento e il
primo biglietto da visita di cui un
imprenditore dovrebbe preoccuparsi. Mi sembra che in Italia questa sia stata un’occasione persa da
troppi imprenditori.
Sul fronte interno del vostro lavoro, la
ricerca sui materiali, sui singoli prodotti, sugli agenti chimici, è un tema imprescindibile di fronte alla sempre crescente competitività?
Impossibile negarlo, ed è fin banale affermare che solo attraverso
l’innovazione e la ricerca si va
avanti. Negli ultimi dieci anni abbiamo costituito il nostro Centro
Ricerche Fantoni dove, al di là dei
contributi esterni (il Politecnico,
alcuni premi Nobel, e adesso la
Biennale di Venezia), si è puntato sull’innovazione come struttura portante dell’intera azienda. Il
nostro Centro Ricerche è diventato la piattaforma in cui diversi settori possono esercitare tutte quelle
sperimentazioni in grado di apportare in ogni parte dell’azienda
le motivazioni per migliorarsi e
crescere. Al suo interno abbiamo
anche effettuato una serie di ricerche tecniche in parte rese pubbliche, come l’estensione dell’uso e
della tecnologia della verniciatura
a polveri, tipica del metallo, legata alla logica dei pannelli in MDF,
o altre ricerche nel mondo dell’acustica, del mobile, della capacità
delle superfici e dei materiali di
esprimere valenze diverse in un
mercato che si sta orientando verso un uso di materiali sempre più
sintetici e innovativi nel loro processo, ma che continuano ad avere i valori della cultura del passato. Tra le nostre ricerche migliori,
A sinistra, uno scorcio dell’impianto produttivo principale a
Osoppo (Udine),progettato da GinoValle;scrivania «Stripes»
prevista in differenti variazioni di colore, progetto di Marco
Viola. Sopra, la collana di pubblicazioni «Blueindustry»
Un’altra sfida che tutti cercano di praticare, ma che spesso si riduce a vuota
retorica, è la sostenibilità, che dichiarate essere uno dei vostri cavalli di battaglia: nelle azioni concrete che cosa significa?
Cinque anni fa abbiamo investito circa 60 milioni di euro in una
linea di produzione di pannelli
truciolari utilizzando legno destinato al macero. L’Italia in questo
senso è fra le prime ad aver progettato la produzione del pannello truciolare attraverso l’uso di legno di riciclo. Il nostro impianto
funge da collettore degli scarti di
lavorazione di segherie, falegnamerie, mobilifici: siamo gli «spazzini» di mezzo Nord-Est, ma tali
approvvigionamenti non bastano, per cui dobbiamo importare
legname dall’estero. La stessa tecnologia della verniciatura a polveri non usa più solventi, migliorando qualitativamente le condizioni di lavoro e di vita.
ricordo la scrivania multicolore
«Stripes», nata in modo sperimentale e pubblicata nei libri della nostra collana «Blueindustry».
Il successo di questa iniziativa editoriale ne ha resa necessaria la produzione.
Chi fa ricerca all’interno della vostra
azienda? Qual è il ruolo del designer
nella produzione?
Negli ultimi anni stiamo lasciando maggior spazio a logiche creative diverse e a giovani designer locali, essenzialmente per due motivi: perché riteniamo che i giovani
siano dotati di sensibilità in grado
di cogliere i cambiamenti dei gusti, e perché riteniamo che il territorio abbia una sua valenza in termini di eredità più o meno conscia di forme e stilemi; così il valore e la storia della nostra azienda
possono essere maggiormente promossi da chi condivide con noi un
radicamento geografico.
Con chi dialogano i vostri designer?
Direttamente con me e con il responsabile dell’ufficio tecnico,
che è il capo progettista al quale rispondono circa dieci persone all’interno della struttura di sviluppo tecnico-commerciale, ovvero
coloro che si occupano dei disegni
tecnici e di prototipizzazione, industrializzazione, codifica. Il no-
stro capo ufficio tecnico è un perito, che è in azienda dal 1978. Ha
un’ottima sensibilità tecnica nel
filtrare le idee in materiali, a livello sia tecnologico che di utilità
commerciali. A me spetta la scelta finale, se puntare su un’idea
piuttosto che su un’altra.
Quali sono i vostri rapporti con l’università?
Con il Politecnico di Milano abbiamo realizzato sette workshop
(non solo con studenti neolaureati, ma anche con giovani designer, con agenti e commercianti), strutturati in cinque giornate
di seminario su un tema d’interesse dell’azienda e tre di formazione teorica; gli studenti erano
dunque chiamati a dare risposte
a un obiettivo aziendale, un’aspettativa forse eccessivamente
pretenziosa. Spetta all’azienda
predisporre con tempi molto più
lunghi un avvicinamento dei
propri collaboratori, in modo da
far conoscere più a fondo non tanto le tecnologie quanto il suo posizionamento sul mercato, come
si è rapportata in passato con i
propri clienti, che cosa potrebbe
essere coerente o meno rispetto all’uscita di nuovi prodotti. Non
escludiamo anche la logica di organizzare concorsi e premi, che
abbiamo utilizzato una decina
d’anni fa. Trovo coerenti questo
tipo d’iniziative nel momento in
cui si vuole divulgare una nuova
soluzione, un nuovo materiale,
per cui si dà spazio al mondo del
progetto, associando le diverse
esperienze a qualcosa che si potrebbe annunciare dirompente
sul mercato.
Ci troviamo nel Nord-Est italiano,
una delle zone italiane dalla maggiore
floridezza economica ma anche dal costo del lavoro altissimo. Come giocate
la scommessa del radicamento nel locale rispetto alla concorrenza e ai nuovi
mercati?
Abbiamo una visione di fondo
duplice: di fronte a una sfida
competitiva condizionata da un
basso costo del lavoro, crediamo
esistano due forme di risposta efficaci su cui il sistema industriale italiano deve confrontarsi e costruire un suo percorso: o ci si
concentra su prodotti nei quali il
costo del lavoro assume un ruolo
secondario o riusciamo a esasperare l’automazione industriale
nella sua capacità di produzione
seriale. Quest’ultima è la sfida su
cui ci stiamo orientando, sulla capacità di rendere flessibile il prodotto, al fine di personalizzarlo.
E questo ci porta a essere considerati a tutti gli effetti fornitori di
servizi piuttosto che di prodotti.
Come materia prima, quale percentuale arriva da materiali di recupero e quale invece da materiali vergini?
Il legno di riciclo, per un limite
tecnologico, attualmente si può
reimpiegare solo nella produzione del pannello truciolare, costituito per l’80% da legno riciclato, mentre per quel che concerne
la produzione di MDF la necessità di omogeneità della composizione del pannello nel suo spessore è tale che dobbiamo ancora
realizzarlo integralmente con legno vergine. Il mercato che un
tempo aveva un raggio di azione
di circa 1.500 km, oggi non esiste più, per cui noi compriamo legno ovunque, lo trasformiamo e
successivamente mandiamo in
tutto il mondo il 30% del suo output. Siamo ancora abituati a ragionare in termini di trasporto via
gomma, mentre in quello via mare il costo non conteggia la distanza, bensì la stazza. Tutto ciò
apre prospettive diverse, dobbiamo costruirci un mappamondo
virtuale che è dato dalle distanze
economiche.
Come tutelate i vostri marchi e brevetti dalla contraffazione?
Due anni fa ci siamo confrontati
con un’azienda cinese che aveva
copiato un’intera gamma di nostri
prodotti direzionali: questa esperienza ci porta con maggiore serietà e determinazione a far sì che
tutti i nostri disegni e prodotti vengano registrati. Credo che questo
rappresenti un terreno in cui l’offerta italiana stia affinando le proprie difese.
❑ Intervista di LUCA GIBELLO
Il Gruppo Fantoni
Verticalizzazione dei processi, total design,ricerca e tecnologia sono alla base dell’attività imprenditoriale del
Gruppo Fantoni, una delle più importanti aziende di pannelli in MDF e
truciolare, arredamento per l’ufficio,
pavimenti prefiniti e pannelli fonoassorbenti. Le aziende Novolegno, Lesonit, La-con, Flooring, Patt e Xilopack, con più di 1.100 addetti,
affiancano la stessa Fantoni
nella costituzione di un sistema autonomo di produzione che accompagna il legno dallo stadio di materia
prima a quello di prodotto
finito. In questa particolare filosofia aziendale s’inserisce l’attività promossa dal Centro Ricerche Fantoni, concepito e coordinato da
Paolo Fantoni a partire dal 1996. Lo stesso Fantoni (nella foto), dopo una laurea in Economia Aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dal 1980 si occupa della commercializzazione dei prodotti del
Gruppo con frequenti visite ai mercati esteri e partecipazione alle Fiere di settore. Il Centro Ricerche affronta tematiche economiche, ecologiche, ambientali e sociologiche lungo un itinerario di esplorazione
e di arricchimento formativo. L’attenzione per la cultura del progetto
viene riconosciuta alla Fantoni nel 1974, quando la «Serie 45°», disegnata dagli architetti Gino Valle e Herbert Ohl, viene esposta alla
mostra permanente del MoMA di New York e nel 1998 con il Compasso d’Oro alla carriera.
42
Design
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
❑ La Lego cambia casa
Il management della Lego ha indicato, come unica via per salvare il
gruppo dai crescenti costi di produzione,l’intenzione di spostare progressivamente tutte le attività produttive dalla cittadina danese di Billund verso la Repubblica Ceca e il Messico. Ma l’azienda chiuderà la produzione anche nello stabilimento di Ensfield
(Usa), per trasferirla alla fabbrica della Flextronics in Messico. L’operazione avverrà nel primo trimestre del 2007, con una perdita di almeno 300 posti di lavoro. Il trasferimento nei paesi dell’Est avverrà invece fra 2007 e 2010; uno smantellamento progressivo per attutire le
ripercussioni sulla cittadina dove, cinque anni fa, 4.000 persone
(su un totale di 30.000 abitanti) lavoravano nella fabbrica di
giocattoli. Lego apre così la seconda fase di una profonda ristrutturazione dovuta alla grave crisi dei mattoncini da costruzione, che da
qualche anno deve fronteggiare la perdita di quote di mercato a favore dei produttori di giochi elettronici.
❑ Oasi in giardino
Si apre all’insegna del «portare la natura nella vita delle persone» il
concorso «Oasi in giardino», nato su iniziativa di Pircher, azienda
di prodotti in legno, e rivolto a designer, architetti, studenti e creativi di qualsiasi età e nazionalità, chiamati a interpretare in chiave innovativa il legno e le sue svariate possibilità di utilizzo per prodotti
di design dedicati all’arredo esterno. Scadenza 15 marzo. Montepremi totale 10.000 euro, assegnato a due categorie: professionisti
e studenti.
❑ Italian Renaissance
A partire dal volume «Italian Renaissance», selezione di lavori di
graphic designer italiani, nasce
l’idea di realizzare un progetto espositivo: i lavori pubblicati su carta troveranno spazio presso l’ex Fonderia Lombardini di Reggio Emilia a partire dal 3 febbraio. L’intento è quello di promuovere la contaminazione tra media e linguaggi artistici per dare maggiore visibilità e,
in un certo senso, istituzionalizzare,
la figura del graphic design italiano.
La mostra si presenterà attraverso diversi strumenti di lettura: da un
lato l’allestimento prevede la realizzazione dei lavori stampati su teloni di grandi dimensioni, dall’altro videoproiezioni e installazioni faranno da cornice all’intero evento. Il progetto si propone come internazionale e itinerante, partendo dalla città emiliana per arrivare a
Bologna, Milano,Verona, Roma, Firenze, Berlino, Atlanta, Francoforte,
Birmingham e Seattle.
Vota il design!
SEGUE DA PAG.
39, V COL.
tarci una messa in scena che in
passato è apparsa un po’ forzata e
ci propone invece un «cammino»
lungo un intreccio di cavi attraverso le sfide del design, dove le
realizzazioni sembrano «mobilitarsi attorno ai vari slogan dell’esposizione». Per il primo motto,
«Per il comfort e il piacere», è il
settore dello sport e tempo libero
a distinguersi maggiormente. I
prodotti di Decathlon, distributore e creatore, eccellono per prezzi contenuti, ingegnosità e prestazioni: la calzatura da barca a
vela «SL700 Race Tribord», ad
esempio, è dotata di perforazioni
microscopiche sui lati per eliminare l’acqua, mentre la suola piatta e fine è realizzata in gomma
striata per evitare di scivolare e di
lasciare impronte sul ponte. Nel
settore dell’innovazione dei materiali e dei processi un vero progresso è quello rappresentato dal
«Lens Case», il contenitore per
lenti oftalmiche di Essilor. Parlando invece della nuova sfida
per integrare lo sviluppo sostenibile, Lafuma propone lo zaino da
escursione «ECO 40»: venduto
allo stesso prezzo della concorrenza, questo zaino in canapa e
polietilene riciclato è stato pensato per ridurre al minimo l’impatto ambientale, dalla produzione
al riciclaggio; una strategia che ha
portato a scegliere tecniche meno
inquinanti per la sua impermeabilizzazione. Citiamo anche, per
la qualità delle prestazioni, la
stampante portatile «Photo Easy
110» di Sagem che, utilizzando
Vista d’insieme dell’esposizione «Observeur du Design 07»;
chaise-longue «Olympia» di Jean-Marc Gellée
la tecnica della sublimazione, fa
a meno dei cavi e persino della
cartuccia.
Mentre visitiamo l’esposizione,
la commissione giudicatrice sta
deliberando; ma l’anteprima del
palmarès si fa attendere. Tra i giudici ci sono alcuni designer, una
ASTA ECCEZIONALE DI CHRISTIE’S A MIAMI
Design solidale: il Puppylove
Marcel Wanders, Piero Lissoni, Herzog & De Meuron: ecco il podio dei creativi più graditi
MIAMI.
Il dottor Donald Woods Winnicott è colui che ha dato rigore scientifico alla coperta di Linus e a
tutti quegli oggetti
(pelouche, orsacchiotti,
brandelli di giocattoli) che appartengono all’infanzia; anzi, sono l’infanzia. Li ha chiamati
«oggetti transizionali» e ci ha
spiegato che non sono né feticci, né patologie, bensì gli
oggetti che ci traghettano dal
mondo materno al mondo
esterno, il morbido amico dei primi momenti di solitudine e insicurezza. Ebbene, nel 1973 Eero
Arnio ha interpretato l’oggetto
transizionale in chiave di design,
dando a un cavallo di pezza la
forma di una seduta. Era il
«Pony», poi restituito alle
primigenie forme e dimensioni di oggetto
transizionale da Magis,
che nel 2005 ha prodotto il cucciolo del designer
finlandese in polietilene stampato, affettuosamente ribattezzato
«Puppy». Il successo è stato immediato: per la sua essenza ludica, per essere indirizzato a un consumatore (il bambino) e a una
merceologia (il giocattolo) fino a
quel momento pressoché ignorati
dal design, per l’assenza di una
vocazione funzionale, tecnologica, innovativa, e così via. Quando Nasir e Nargis Kassamali, i
Puppy di Marcel Wanders,
Piero Lissoni, Giulio Cappellini
e Herzog & de Meuron
fondatori di «Luminaire», hanno
deciso di supportare la ricerca sul
cancro con una sponsorizzazione
allo University of Miami Sylvester
Comprehensive Cancer Center,
non hanno avuto esitazioni nello
scegliere il Puppy come emblema
della loro lotta. A inizio 2006 è nato il progetto «Puppylove»: è stato
chiesto ad artisti e designer internazionali di contribuire alla causa
disegnando i loro Puppy, poi mes-
si all’asta da Christie’s a Miami il
10 dicembre, in occasione dell’Art Basel Miami Beach. L’evento è significativo per ciò che
rappresenta, più che per i risultati
formali: sottintende valori profondamente diversi da quelli solitamente praticati dal design, anche
se nell’ultimo convegno londinese
del RIBA, «Making the Difference: Design Practice as Research»,
le frontiere della beneficenza erano state timidamente introdotte
tra i nuovi scenari della ricerca design driven. Ma, al di là del lato etico, che cosa succede quando 36
tra i più rinomati designer, architetti, artisti e stilisti si trovano di fronte un Puppy
tridimensionale di plastica per aiutare la ricerca sul cancro? La natura dell’oggetto ha fatto sì
che si esprimessero, liberi
dai soliti lacci della forma o della
funzione. Sono emersi linguaggi
diversi, connessi da categorie antinomiche: bene/male, superficie/
contenuto, leggerezza/gravezza,
colore/non colore.
Il martelletto della casa d’aste londinese è stato battuto per gli otto
Puppy selezionati da una giuria
composta da Craig Robins, Rosa de la Cruz, Gilda Bojardi,
George Lindemann e Terence
Riley: prezzo di partenza 5.000
dollari, ticket d’ingresso all’evento 200 dollari. La graduatoria di
gradimento ha fatto primeggiare
l’opera di Marcel Wanders
(42.000 dollari), seguito da Piero
Lissoni (30.000) e da Herzog &
de Meuron (23.000). Il Puppy di
Giulio Cappellini è stato venduto per 22.000 dollari, 16.000 per il
lavoro dei giovani fratelli Bouroullec e Campana; 10.000 per il
Puppy di Ingo Maurer e Konstantin Grcic.
❑ ALBA CAPPELLIERI
filosofa, i responsabili di diverse
istituzioni, il Patrimoine e infine
vari giornalisti di riviste specializzate. La loro scelta si basa su
una decina di criteri tra cui l’innovazione, l’aumento del comfort, la riduzione dei costi, la
qualità e l’originalità dell’approccio e l’attivazione di una
strategia globale d’impresa. Poco prima del generoso rinfresco,
dove designer e industriali si congratulano l’un l’altro, 33 nuove
«stelle» dell’«Observeur du De-
47, GENNAIO 2007
sign 07» brillano attorno alla
Boutin sul podio della Cité des
Sciences et de l’Industrie. Tra i
vincitori ricordiamo: la bombola del gas di «Butagaz» (menzione INPI), gli occhiali da vista e il
casco da sci di «Cebe», le scarpe
da vela e lo zaino di Decathlon,
il servizio lavabile e poi gettabile
«Lux by Starck» di IPI, lo zaino
«ECO 40» di Lafuma (menzione ADEME), «B Free Lounge» di
Steelcase, ovvero la soluzione per
gestire lo spazio nell’ambiente di
lavoro, lo showroom «RendezVous Toyota» di Ora-Ito per
Toyota e ancora la mensola-rubinetto di «Axor Hansgrohe»,
disegnata da Jean-Marie Massaud.
L’aspetto interessante di questo
percorso, oltre al fatto di attirare
l’attenzione del visitatore su questo o quel valore, è soprattutto che
mostra, al contrario di molte
esposizioni di design, come gli
oggetti non siano prodotti per il
futuro, bensì articoli per il presente, realizzati industrialmente e
disponibili per tutti. Si tratta di
una manifestazione che, al momento, ha il merito di ricollocare
il termine «design» nel contesto
della concezione industriale e
non in quello del puro delirio formale dedito essenzialmente all’arredamento. Nonostante questo, tuttavia, sin dall’inaugurazione i media - siano essi i canali
televisivi o le rubriche culturali
delle riviste - tra tutti i prodotti si
ricordano soltanto di «Olympia», la chaise-longue firmata da
Jean-Marc Gellée, un giovane
designer in cerca di editore. Fatta di baguette in PVC bicolore, più
che per la comodità si distingue
per il notevole effetto visivo, e per
non essere disponibile da Ikea!
No, il design non si limita ai pezzi unici d’arredo. E ricordarlo è
una battaglia da combattere ogni
giorno.
❑ SANDRA BIAGGI
❑ Il made in Italy si compra online
S’inaugura «The Sign of Design», il luogo virtuale nato dalla collaborazione tra yoox.com e Design-Italia, dove la tradizione del design italiano s’incontra con il nuovo canale tecnologico per acquistare in oltre cinquanta paesi del mondo, secondo un accesso semplice,
diretto e sicuro ai prodotti. The Sign of design si avvale della collaborazione di alcune importanti aziende tra cui Danese, Kartell, Luceplan, Magis, Nava e Olivetti, proponendosi come la prima «boutique online» del design italiano. Dopo il primo mese emerge una risposta omogenea tra Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna e Belgio, oltre agli Stati Uniti.Anche l’Italia, inaspettatamente, sembra gradire l’iniziativa.
❑ A Parigi il «Salon du Mueble» 2007
Exposium, filiale del gruppo Unibail, ha acquisito il 65% della società
organizzatrice del «Salon du Mueble», mettendo a disposizione la
propria esperienza per l’edizione 2007 (20-25 gennaio), suddivisa
nei settori «Classico», «Contemporaneo», «Sedute e letti» e «Offerta generale». Novità di quest’anno il «Futur Intérieur», concepito
come uno showroom dedicato all’arredamento di alta gamma.
❑ Jugendstil e Art Déco all’asta
Il 27 novembre, nella sede viennese della casa d’aste Dorotheum
il martelletto è stato battuto per oltre 400 oggetti e mobili Jugendstil
e Art Déco.A farla da padrone un mobiletto di Jacques-Émile Ruhlmann, decorato con intarsi romboidali (la cui stima variava da 100 a
120.000 euro), è stato venduto a 90.000 euro. Anche due armadi di
Josef Hoffmann costituivano oggetti di punta offerti dalla casa d’aste. I due mobili del 1912, costruiti per la stanza al primo piano del
Poldihütte di Vienna, sono stati venduti per 25.000 euro (prezzo di
partenza 10-12.000 euro). Fortunato anche un pezzo di Otto Wagner, disegnato nel 1906 per la Postsparkasse di Vienna (stimato 2025.000 euro e aggiudicato a 30.000 euro), e cinque attaccapanni di
Koloman Moser dei primi del Novecento e prodotti dalle Wiener
Werkstätte (stimati 15-20.000 e venduti a 24.000 euro).
❑ Braun Prize 2007
Braun GmbH invita studenti di design e giovani professionisti a partecipare al concorso «Design a Real Future». L’intento dell’edizione 2007 del premio internazionale è di stimolare competenza e creatività per soluzioni tecniche e progettuali in grado di migliorare la qualità di vita. Scadenza 31 gennaio. Montepremi totale 36.000 euro
(www.braunprize.com).
IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N.
Design
47, GENNAIO 2007
CECI N’EST PAS UNE EXPOSITION
Autosalone Mart
«Mitomacchina» celebra le automobili come prodotti di contemplazione estetica a discapito della comprensione critica del fenomeno
ROVERETO (TRENTO). Il «pianeta Mart» si appresta a narrare
l’epopea di un altro mito. Dopo
aver celebrato quello dedicato alla Montagna (102.000 visitatori
nel 2003-2004) ora è la volta dell’automobile, rivoluzionario prodotto industriale del Novecento e
incontrastato oggetto del desiderio dal forte richiamo estetico.
Accattivante nel titolo e nel tema, l’esposizione sembra rivolgersi al grande pubblico e, nei dichiarati intenti, dovrebbe accostare la scientificità di un progetto di ricerca alla contaminazione
di ambiti diversi. Tuttavia, invece d’indagare nel dettaglio le implicazioni tecniche, sociali, economiche, ambientali legate al
microcosmo dell’auto, i curatori
(tra cui studiosi come Maldonado e designer direttamente «interessati» come Pininfarina e Giugiaro) di fatto sembrano puntare
all’estetizzazione degli oggetti selezionati, esaltandone il valore
iconico e privilegiando la mera
contemplazione estatica rispetto
alla comprensione.
L’allestimento di Pierluigi Cerri distribuisce in modo privo di
gerarchie quanto d’originalità
circa settanta vetture all’interno
delle sale, con soluzioni non sempre felici nella disposizione spaziale: il semplice parcheggio di
più esemplari sulla stessa inarrivabile pedana o il loro accostamento alle pareti ne impedisce in
svariati casi l’indispensabile vi-
sione a tutto tondo. La suddivisione preferisce ai criteri cronologici quelli tipologici (la berlina,
la spider, l’utilitaria, la monovolume, la gran turismo) e tematici (l’aerodinamicità, le prestazioni, i prototipi, l’ecologia). Sui
muri l’indispensabile apparato
grafico esplicativo spesso difetta
anche in qualità tecnica di riproduzione e trascura la storia dell’automobile, dei modelli, l’evoluzione di parti meccaniche, carrozzerie, accessori, linee di montaggio, stabilimenti, case produttrici. Restano escluse le implicazioni sociali, la vicenda d’infrastrutture e servizi e dell’evoluzione dell’auto in rapporto agli altri
mezzi di trasporto. E, ancor più
inspiegabilmente, è assente la relazione con l’arte, non fosse altro
che col futurismo e le avanguardie del Novecento, di cui il
MART è vestale. I disegni, a
grande e piccola scala, sono generalmente muti e orfani di convincenti descrizioni: come fa un
visitatore non specialista, a districarsi in una sequela di rappresentazioni proiettive? Sovente si
tratta di grafi sintetici iterati, di
certo potenzialmente molto interessanti ma bisognosi d’una decodifica, pena l’inutilità (o il mero effetto di tappezzeria decorativa). Pure gli audiovisivi, pescando in un contesto infinitamente ricco, al di là di spezzoni
di film da citare doverosamente,
non brillano per originalità. Più
Alfa Romeo 40-60 Hp Ricotti, 1914 (© Foto Automobilismo storico Alfa Romeo,
Centro di documentazione
storica di Arese); catena di
produzione dellaVolkswagen
Käfer (Maggiolino), 1949
(collezione Ralf J. F. Kieselbach, © Verlag Dr. Franz Burda, Offenburg, Baden, foto
Alfred Tritschler)
grave, nelle ultime sale, la presenza d’un video simil-promozionale recentissimo, destinato
molto probabilmente a una delle tante trasmissioni televisive che
spacciano pseudonovità.
Non di pubblicità sfacciata e di
trailers aziendali abbisognano un
museo e una mostra, soprattutto
se sono presentati acriticamente.
A questo proposito, va detto che
ogni marchio blasonato dispone
d’un patrimonio archivistico notevole, e mostrarlo è un fatto in sé
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positivo: ma non come s’è fatto
qui per un celebrato sponsor,
contrabbandando alcune riproduzioni di qualche suo manifesto, appiccicate alla bell’e meglio
fuor di mostra e prive di didascalie, come contributo all’insieme. E neppure il lavoro di certe
scuole (o di certi studenti) meritava di essere esposto nell’interrato attraverso un tristo defilé di
pannelli arrangiati: se non era ritenuto all’altezza, allora non doveva esserci. Così come molto altro in mostra, che sembra inserito a forza e a onta dello spazio e
della sua reale rappresentatività.
Neppure il ricorso al corposo e
patinatissimo catalogo (ricolmo
di foto adatte alle riviste di settore) fuga le molte perplessità sulla
scientificità dell’operazione.
L’impressione generale è di trovarsi innanzi a un’ibridazione fra
museo e salone dell’automobile
che, a tratti, rammenta non un’esposizione ma un autosalone
concessionario. Ciò detto, è quasi certo che la mostra non mancherà di attirare un pubblico più
soggiogato dalla concupiscenza
dello sguardo che non disposto a
porsi troppi interrogativi. Questo
probabilmente, e a torto, è ritenuto un pedaggio da pagare sulla strada dei grandi numeri.
❑ LUCA GIBELLO
e GABRIELE TONEGUZZI
«Mitomacchina. Storia, tecnologia e futuro del design dell’automobile», a cura di Gian Piero Brunetta, Pierluigi Cerri, Emilio
Deleidi, Giampaolo Fabris, Giorgetto Giugiaro, Tomás Maldonado,
Giuliano Molineri, Adolfo Orsi,Sergio Pininfarina, Mauro Tedeschini e
la rivista «Quattroruote»,
Rovereto, MART, fino al 1° maggio.