Politecnico di Torino Porto Institutional Repository [Article] Costruzioni in piattaforma Original Citation: Bocco Guarneri A. (2007). Costruzioni in piattaforma. In: IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, vol. 47, p. 19. - ISSN 1721-5463 Availability: This version is available at : http://porto.polito.it/2295199/ since: December 2009 Publisher: Allemandi Terms of use: This article is made available under terms and conditions applicable to Open Access Policy Article ("Public - All rights reserved") , as described at http://porto.polito.it/terms_and_conditions. html Porto, the institutional repository of the Politecnico di Torino, is provided by the University Library and the IT-Services. The aim is to enable open access to all the world. Please share with us how this access benefits you. Your story matters. (Article begins on next page) Contiene All’interno Inchiesta su Napoli IL GIORNALE DELL’ ARCHITETTURA www.ilgiornaledellarchitettura.com EDILIZIA E MERCATO TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA PROGETTO Tendenze dell’immobiliare Scuola di Biotecnologie PAGINA 9 CONCORSI PAGINE 21-23 CITTÀ Piazza Augusto Imperatore Stimmann via da Berlino PAGINA 16 PAGINA 28 ANNO 6 N. 47 PAESAGGIO INFORMATICA Muro Usa-Messico ShoP Architects PAGINA 31 PAGINA LIBRI DESIGN Mitomacchina 33 PAGINA EURO 43 Tradimenti STRATEGIE URBANE, PROGETTI E LEGALITÀ di Carlo Olmo Piani per risanare Napoli l medico di famiglia si regalava, ancor vent’anni fa, un libro d’arte, ricco di disegni e fotografie d’autore, perché l’arte era componente essenziale dello status sociale del professionista liberale. Il testo di storia era spesso il veicolo di un messaggio implicito: attraverso la narrazione di opere e maestri illustri, convincere il giovane a intraprendere un mestiere. Il saggio d’autore arricchiva gli scaffali dell’architetto o dell’ingegnere che si voleva colto e aggiornato. Il libro, come molti doni, costruiva tra chi donava e riceveva, un legame, esplicito o involontario, sottile quanto permanente. Il libro ben rappresenta l’etica della dissimulazione, che tanta parte ha avuto nella società moderna. Difficilmente quei libri erano conosciuti o venivano letti: costituivano strumenti per confermare rapporti o per iniziare un dialogo. CONTINUA A PAG. 2, II COL. Secondo il Procuratore aggiunto di Napoli, nessuna idea di riscatto sociale può essere disgiunta da soluzioni concrete sul territorio A 2007 38 Brunelleschi PAGINA GENNAIO 3,50 TPV CITRÖEN (1939) & C. MANFREDI-MELEGATTI UMBERTO ALLEMANDI SPEDIZIONE IN A.P. - 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, DCB TORINO MENSILE N. 47 GENNAIO 2007 NAPOLI. Ricercare i nessi che in- tercorrono tra illegalità da un lato e degrado urbanistico, sottosviluppo economico e marginalità sociale dall’altro è sicuramente obiettivo ambizioso per la sua complessità. Ma è oramai ineludibile per chiunque intenda affrontare la questione criminale (in particolare se riferita all’altra grande questione nazionale, quella meridionale) in termini di analisi scientifica volta a uno strategico intervento di risanamento. Mentre è facile collegare, infatti, la marginalità sociale in rapporto di causa-effetto con il degrado urbanistico, non sono altrettanto ovvie le relazioni che legano gli altri termini, e qualunque semplificazione rischia di essere gravemente fuorviante. L’evoluzione della città metropolitana di Napoli, da questo punto di vista, può costituire un caso da laboratorio per approfondire i termini del problema: do- 80 anni e non li dimostra Segreti di un mestiere po il sacco dell’amministrazione laurina e democristiana degli anni sessanta e settanta, che hanno segnato un incremento del tessuto edilizio fino al 376%, e una densità abitativa fino a 130 ab/ha, era iniziata la realizzazione, con la Legge ponte del 1962, di quar- tieri residenziali periferici, anch’essi fortemente conurbati. La costruzione delle Vele nel quartiere di Scampia aveva costituito un esempio di progettazione di livello sicuramente elevato, ma che non è bastato a impedire che nel 2003 se ne avviasse la demolizio- ne come esempio «mostruoso» d’insediamento urbano demonizzandone la loro stessa progettazione («se ne incontrassi il progettista lo prenderei a fucilate», ha detto il sindaco). ❑ PAOLO MANCUSO CONTINUA A PAG. 5, V COL. TRE MOSTRE A ROMA: LOOS, DEL DEBBIO, FUKSAS Un triangolo trasgressivo La pratica della professione attraverso un itinerario ideale tra le esposizioni di tre protagonisti dell’architettura contemporanea Il Bauhaus di Dessau,realizzato da Walter Gropius nel 1926, celebra i suoi 80 anni e il completamento del decennale restauro che lo riporta alla configurazione originaria in una veste policromatica ormai dimenticata. Articolo a pag. 24 ROMA. Quasi in contemporanea si sono aperte tre importanti mostre di architettura. Importanti e allo stesso tempo difficili e delicate: Adolf Loos, Enrico Del Debbio e Massimiliano Fuksas sono personaggi molto lontani tra loro nel tempo, nei modi di lavoro, nei linguaggi. Cercare un nesso tra le tre esperienze è un’occasione per far emergere i fili impercettibili che collegano le cronache della storia, al di là delle classificazioni canoniche care alla storiografia. Questo è il problema: per ragioni differenti, il lavoro dei tre architetti non può essere omologato o etichettato all’interno di una categoria. Il primo elemento su cui riflettere è dunque quello della diversità, o meglio, della singolarità di tre esperienze, ognuna delle qua- li, a suo modo e alle sue condizioni, diventa significativa rispetto ad alcune delle grandi costanti che delimitano il lavoro dell’architetto. Tre esperienze che definiscono i vertici di un triangolo, all’interno del quale è forse possibile muoversi con libertà di osservazione e valutazione. ❑ ENRICO VALERIANI CONTINUA A PAG. 36, I COL. PUNTA NAVE (GENOVA), 18 dicembre 2006. Carlo Olmo in visita al primo Building Workshop (1990-1991), l’ufficio in cima al monte. Distante da qualsiasi idea di salotto, l’atelier ultimamente sceglie i suoi stagisti (3 o 4 ogni sei mesi), selezionando prima i loro professori, a Boston, Brasilia, Tokyo: studenti bravi ma autenticamente appassionati al progetto di architettura e non ai curricula. Luogo in cui «accade» e raramente «si racconta», dove comunicazione e pragmatismo danno esiti inattesi: le parole diventano barriere da scavalcare, pause nella strategia mediatica. CARLO OLMO: Esiste un legame tra te e la cultura cristiana, ma anche con Ronchamp? RENZO PIANO: Come fai a sapere degli elfi della foresta? È una foresta da picchettare quella di Notre-Dame du Haut. Suor Brigitte... Renzo Piano (© Publifoto Stefano Goldberg) CONTINUA A PAG. 3, I COL. 2 IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. SEGUE DA PAG. I, I COL. ` www.allemandi.com Società editrice Umberto Allemandi & C. spa, 8 via Mancini, 10131 Torino, tel. 011.81 99 111 - fax 011.81 93 090 e-mail: [email protected] Presidente del Consiglio di amministrazione Umberto Allemandi Vicepresidente Giuliano Segre Consiglieri Cesare Annibaldi, Walter Bruno, Paolo Emilio Ferreri, Mario Geymonat e Anna Somers Cocks Sindaci Lionello Jona Celesia (presidente del Collegio sindacale), Luigi Menegatti e Tancredi Ceresa Direttore generale periodici Anna Somers Cocks Editore delegato del «Giornale dell’Architettura» Pier Paolo Peruccio Direttore del «Giornale dell’Architettura» CARLO OLMO Assistenti del direttore Bruno Pedretti Edoardo Piccoli Direttore responsabile Umberto Allemandi Redazione Luca Gibello (caporedattore) Cristiana Chiorino, Manuela Salce Referenti redazionali Isabella Vergnano, Michele Bonino (progetto del mese), Fabio Guida, Rachele Michinelli (segnalazioni del mese), Cristiana Chiorino (inchieste, restauro, riviste), Michela Comba (musei), Stefano Converso (informatica), Filippo De Pieri, Giulietta Fassino (città, infrastrutture), Manfredo di Robilant (concorsi), Francesca B. Filippi (mostre), Elena Formia, Rita D’Attorre (Il Giornale del Design), Cinzia Maga, Carlo Micono (tecnologie), Laura Milan (formazione), Sergio Pace, Carlo Spinelli (paesaggio), Edoardo Piccoli, Manuela Salce (professioni), Michela Rosso, Gaia Caramellino (libri) mail: [email protected] tel. 011.81 99 164 fax 011.81 99 158 La scrittura, ma ancor più la lettura, rappresentavano strade essenziali della socialità, dal salotto alla seduzione, all’affermazione di una diversità. Si leggeva per alimentare o avviare relazioni, per apparire in ambienti troppo spesso anonimi, per segnalare la propria differenza. La società, soprattutto le libere professioni, hanno fatto del libro un elemento quasi essenziale dei loro ambienti di vita e lavoro. Oggi lire et écrire sono in crisi, perché quella funzione e quei ceti hanno perso ruolo e importanza. E il libro di architettura ha seguito, tra gli ultimi arrivati, ancor più velocemente quel destino. Dal libro pensato come tale, le 180 pagine d’einaudiana memoria per la «Piccola Biblioteca», al collage di saggi, con iconografie che supportavano le singole narrazioni, si è arrivati a libri dove, sempre più spesso, è il testo ad accompagnare immagini che non raccontano più quasi nulla, che sono sostanzialmente mute. Tirar in ballo Internet, come Tradimenti sempre più spesso avviene, l’accesso cioè a un universo di materiali non elaborati, o di cui non si conosce la chiave, è sostanzialmente disonesto. L’elaborazione è fase altra dal a un mercato professionale, quello della costruzione, dove la tecnocrazia è sempre più dominante, con tutte le sue regole e i suoi prodotti, anche scritti. Pier Luigi Nervi che «Forse seguendo lo spirito del tempo, il Comitato nazionale preposto a indicare i criteri di valutazione della ricerca in Italia ha concluso che hanno più valore gli articoli firmati in molti che non i libri di un unico autore» lavoro sulle fonti, sui testi, sui disegni. L’informazione può facilitare l’illusione di accorciare il tempo della conoscenza, ma non sostituirla. Il libro oggi declina perché le sue funzioni sociali e la sua necessità declinano. È sotto gli occhi di tutti che gli architetti scrivono sempre di meno, testi sempre più brevi e di occasione, quasi volontari blob delle proprie poetiche. In realtà quei testi rispondono scrive libri è un’eccezione già negli anni cinquanta. Anche quei pochi libri hanno la vita che editori e librai concedono, quasi a ogni libro: due mesi, poi lo si ritira dallo scaffale e lo si può acquistare solo se si sa che esiste. La libreria è un luogo sociale che andrebbe studiato oggi, molto più a lungo dei caffè. Ambivalenza, narcisismo, protagonismo sono in realtà pratiche anche degli architetti che richiedono le loro legittimazioni. Se la critica, la presa di distanza, il giudizio non hanno più l’appoggio dell’opinione pubblica, di un’ideologia pur se seduttiva e non argomentabile, non è solo colpa di una generazione di storici. Il libro oggi appare come il tradimento, un luogo dell’asimmetria. L’asimmetria tra le aspettative e la realtà, tra la faticosa costruzione di pratiche e parole e quello che quelle pratiche e quelle parole intendevano comunicare. Come i tradimenti, i tempi dei libri e della lettura sono sempre meno sincronici. La distanza anche temporale tra chi scrive e chi legge si è talmente dilatata che la percezione del tempo dello scrittore e del lettore sembrano disseminati di gesti e significati che diventano via via sconosciuti. È difficile allora che, al di là di nicchie sempre esistenti, quell’esercizio conservi un rapporto, un valore condiviso, tra chi scrive (con tutte le grandi fatiche di una scrittura non episodica) e chi legge. Paradossalmente, o forse solo seguendo lo spirito del tempo, Maniglie Accessori del mobile Arredobagno Impaginazione Elisa Bussi mail: [email protected] Direttore della comunicazione Alessandro Allemandi Direttore della produzione Angelo Moranelli Direttore dell’amministrazione Antonella Romagnolo Fornitori e collaboratori Patrizia Penasso Direttore della contabilità industriale Eraldo Sartoris www.vallievalli.com Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C. Spa Roma - Via Vitorchiano, 81 - tel. 06.334 551 Milano - V.le Forlanini, 23 - tel. 02.75 417.1 Maniglie d’autore Fotolito e impianti di prestampa Fotomec, Torino Stampa Diffusioni grafiche spa, Villanova Monferrato (AL) Registrazione del Tribunale di Torino n. 5409 del 5 luglio 2000 Spedizione Spedizione in AP-45% D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Torino Mensile n. 47 gennaio 2007 Odile Decq-Benoît Cornette Abbonamenti e diffusione Daniela Ballario, 0118199157 Lilly Salvaggio, 0118199111 Umberto Allemandi & C. spa via Mancini, 8 - 10131 Torino tel. 011.8199111 - fax 011. 8193090 e-mail: [email protected] Conto corrente postale n. 19082106 intestato a: Umberto Allemandi & C. Un numero € 3,50 - arretrati € 7,00 Abb. annuale (11 numeri): € 35,00 Abb. estero (11 numeri): CE € 51,00 - Extra CE € 60,00 Antonio Citterio Concept. Studio Sighinofi - MI - www. sighinolfi.com LE OPINIONI ESPRESSE NEGLI ARTICOLI FIRMATI E LE DICHIARAZIONI RIFERITE DAL GIORNALE IMPEGNANO ESCLUSIVAMENTE I RISPETTIVI AUTORI. il Comitato nazionale preposto a indicare i criteri di valutazione della ricerca in Italia ha concluso che hanno più valore gli articoli firmati in molti che non i libri di un unico autore, sancendo, quasi come il Robert di Harold Pinter, il più doloroso dei tradimenti: quello di chi costruisce le distanze da noi, si nasconde, si sottrae. Un paradigma valido in settori dove la ricerca è possibile, per la natura dell’oggetto studiato, diventa regola di comunità scientifiche dove l’individualità del lavoro era la condizione anche solo di un’etica della responsabilità. Lire et écrire diventa allora il rifiuto ad autoingannarsi e a rappresentarsi come leali, a rifiutare d’introdurre nel proprio lavoro le regole per un uso che nega la stessa sua genesi. Se ha perso forse i generi, o forse li ha solo dimenticati, il libro di architettura rimane la sola strada che consente un’elaborazione del lutto, della distanza che esiste tra interpretazioni e realtà, tra narrazione e costruzione, tra progetto e opera. ❑ CARLO OLMO Temi e autori Collaboratori Julian W. Adda, Denis Bocquet (Parigi-Berlino), Chiara Calderini, Alba Cappellieri, Roberta Chionne, Daniela Ciaffi, Davide Deriu (Londra), Sonja Dümpelmann (Washington), Enrico Fabrizio, Milena Farina, Luca Gaeta, Francesco Gastaldi, Caterina Pagliara, Ingrid Paoletti, Federica Patti, Marco A. Perletti, Maria Petinakis (Atene), Gabriele Toneguzzi. Pubblicità mail: [email protected] Antonio Marra (capo servizio) 011.8199153 Luigi Rolli (Lombardia, Liguria, Piemonte) 339.3085871 Renato Facciuto (Lombardia sett. edilizia) 335.6857293 Giuseppe Del Prete (Triveneto) 045.59 10 73 CRR (Emilia Romagna) 335.6390119 Marco Venturoli (Toscana-Umbria-Marche) 055.577030 Domenico Maddaloni (Campania-Abruzzo-Lazio-Sud e isole) 339.4939595 47, GENNAIO 2007 Eero Aarnio Ron Arad Gae Aulenti Mario Bellini Cini Boeri Achille Castiglioni Cerri & Associati David Chipperfield Architects Antonio Citterio Odile Decq-Benoît Cornette Droog Design-Ronald Lewerissa D’Urbino-Lomazzi Foster and Partners Massimiliano e Doriana Fuksas Frank O. Gehry Michael Graves Gregotti Associati Hans Kollhoff Yoshimi Kono Leon Krier Chi Wing Lo Vico Magistretti Angelo Mangiarotti Richard Meier Renzo Mongiardino Jean Nouvel John Pawson Gustav Peichl Piano Design Workshop Andrée Putman Alan Ritchie-Philip Johnson Architects Aldo Rossi Sottsass Associati Taller Design Ricardo Bofill Matteo Thun Marco Zanuso Alan Ritchie-Philip Johnson Architects Valli&Valli spa 20055 Renate (Mi) Italy Tel. +39 0362 982271 Fax +39 0362 982235 [email protected] 3 Intervista Carlo Olmo dialoga con Renzo Piano 4-7 Inchiesta Trasformazioni urbane a Napoli Pasquale Belfiore, Attilio Belli, Diego Lama, Adriano Giannola, Paolo Mancuso, Fabio Mangone, Michelangelo Russo e Maurizio Zanardi 9 Edilizia e mercato Nuove tendenze nel mercato immobiliare Paolo D’Alessandris e Enrico Campanelli 10-11 Professioni Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione Francesco Marzari 12-13 Formazione Workshop «Le Isole del tesoro» Daria Ricchi 14-16 Concorsi Il nuovo Tribunale di Parigi Chiara Molinar Piazza Augusto Imperatore a Roma Manfredo di Robilant 18-19Tecnologie e materiali Polo per uffici pubblici a Ravenna Ingrid Paoletti 21-23 Progetto del mese Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino Pierre-Alain Croset 24-25 Restauro Il Bauhaus di Gropius risplende per i suoi 80 anni Andreas Sicklinger Al via i lavori per la Villa del Casale di Piazza Armerina Fausto Carmelo Nigrelli 26-27 Musei e allestimenti GoMA a Brisbane Anna Somers Cocks 28-29 Città e territorio Berlino: Hans Stimmann va in pensione Denis Bocquet Portoghesi a Treviso Julian W. Adda 30 Infrastrutture Metro linea C di Roma Tommaso Strinati 31-32 Paesaggio Il muro tra Stati Uniti e Messico Andrew K. Woods 33-34 Libri La monografia su Brunelleschi Maria Beltramini University Press negli Stati Uniti Paolo Scrivano e Alexis Sornin 35 Riviste Nasce «Architect» e muore «Architecture» Samantha Topol 36-37 Mostre Loos, Del Debbio e Fuksas a Roma Enrico Valeriani 38 Informatica I software nel processo progettuale di ShoP Architects Stefano Converso IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Intervista 47, GENNAIO 2007 WAITING FOR SEVENTY. L’ARCHITETTO FESTEGGERÀ IL COMPLEANNO A RONCHAMP? L’arte dell’ologramma Ascoltare e tollerare, passeggiare e annotare: i segreti di un mestiere costruito su un equilibrio di rapidità e lentezza. Conversazione tra Carlo Olmo e Renzo Piano SEGUE DA PAG. 1, VI COL. ... come il domenicano Marie-Alain Couturier per Le Corbusier... ... donna agli onori del mondo fino a quarant’anni e poi francescana tra le Clarisse di Besançon, mi ha commissionato, assieme all’associazione Amici di Ronchamp, un intervento nel convento per 12 suore: cellule di 8-9 mq (uno spazio non più grande di questo mio angolo di raccoglimento nell’ufficio - tra gli appunti dei cantieri in corso e rotoli di vele), un atelier e una chiesetta, in realtà un oratorio. Vorrei che le celle prendessero la luce dell’est utilizzando dei camini come nell’High Museum of Art di Atlanta, posizionati a Ronchamp sopra i letti. Cemento povero e tetto di zinco. L’edificio non può occupare caparbiamente il terreno: il progetto non sai mai che cosa diventerà. E poi l’architettura sostenibile nasce sostenibile. L’architettura è nata sostenibile, e da sempre ha in sé le premesse per diventare ecocompatibile. È stato così soprattutto per gli arabi del passato, ma oggi le città sono vulnerabili, la terra fragile (persino il cemento armato va a pezzi: te lo dice un cultore di Pier Luigi Nervi, che impara dal palazzetto dello sport al Flaminio). L’architettura deve essere davvero corresponsabile, se anche la massa dei solai può funzionare come fattore di condizionamento dell’aria. Negli stessi termini, si trovano studi sui sistemi di aerazione anche in progetti degli anni venti-trenta del Novecento. Il Movimento moderno ha scoperto l’etica, ma anche negli anni settanta la sostenibilità era una chiave morale aggiunta, storicista. Oggi la spinta è la fragilità e l’edificio racconta una storia perché è fatto come è fatto, non ha bisogno di veicoli simbolici, numeri d’oro, cabale. La scoperta dell’acqua calda, quella della vulnerabilità (forse più newyorkese di quanto si possa pensare); la geotermia e la sostenibilità ti hanno portato a cercare competenze, collaboratori, una nuova organizzazione dello studio? Chi avrebbe detto che avrei costruito così tanto a New York… ma per me sono tante città in una. Ti sei accorto che persino noi abbiamo cambiato le lamelle del tetto del mio studio e la distanza tra di loro? L’approccio dello studio è sempre stato contaminante: con Peter Rice, Tom Barker, Shunji Ishida… non abbiamo fissato confini al workshop. È lo spirito di Arup? Forse è un senso di colpa: mio padre si aspettava un’evoluzione diversa: «Un costruttore disegna, costruisce, non hai bisogno di fare l’architetto». Il figlio di un costruttore avrebbe dovuto essere un costruttore migliore. Ho cominciato ad assemblare blocchi di porfido nello studio di Franco Albini: sono passato dalla manualità di artigiano, che smontava anche i televisori, a valorizzare ciò che esiste in natura ed è «tecnicabile». Forse sono state le mie origini ad allontanarmi dall’accademia. Ma il tuo atelier è una formula di formazione permanente che ha anche sfatato il mito di un mestiere maschilista. L’architettura è un avvicendarsi di generazioni: oggi ci sono strumenti che ci consentono di correggere, aggiornare e far girare i disegni rapidamente, ma il progetto è struggimento. Lo struggimento è insostituibile, inevitabile. I partner e gli associati sono una trentina, la partecipazione dei sessi non mi interessa contarla, ma è vera. La tolleranza sessuale, come quella razziale, parte dalla mente e condiziona i comportamenti: «Mind, brain and behaviour». «L’architettura è un ologramma dell’immaginazione: prova a chiudere gli occhi e tracciare con la mente assi e diagonali sull’immagine che hai impressa sulla retina. La proporzione si ottiene dalla proiezione» Nanotecnologie e neuroscienze sono i confini della ricerca scientifica... «Mind, brain and behaviour» è un laboratorio di ricerca medica che progetto alla Columbia University di New York con il Jerome Greene Science Center a West Harlem e alcuni nobel come Richard Axel. Il tuo rapporto con l’insegnamento allora esiste… Avevo incominciato a insegnare alla Penn University, quando nel mondo di Louis Kahn (nel suo archivio pare ci siano anche alcuni miei disegni) c’era Robert Le Ricolais, con la cattedra di architettura intitolata a Paul Cret: con le sue strutture spaziali resistenti e le prove sui tiranti mi sembrava che l’insegnamento significasse solo «stare lì a tirare». Ma capivo anche che avrei potuto insegnare solo stando lì: come conciliare l’esserci e il fare? I tuoi disegni sono concettuali. Qual è la relazione tra Renzo Piano e la scrittura? Credo di essere un po’ anomalo: non scrivo e non disegno, o meglio, faccio contemporaneamente le due cose. I miei sono quasi degli ideogrammi. Appunti. Passeggio con le mani in tasca e segno: sono schizzi, frasi, a volte angoli o particolari misurati. Il foglio ripiegato su se stesso diventa un taccuino di appunti: non accendi nulla, non devi spegnere, non aspetti. Poi mi ritrovo nei miei appunti, ritrovo i miei cantieri e i loro avanzamenti: il foglio aperto è un collage di momenti diversi, fasi progettuali successive. Sono tutti archiviati come… casi aperti, là nell’angolo delle Clarisse dov’eravamo prima: la mia memoria visiva, la rapidità e la lentezza che si compenetrano nel mestiere. Di questi «pizzini» ne hanno scansiti 3.000 finora. Non credo scriverò mai un libro. «Scri- vere è come guardare nel buio ed aspettare che venga»: è la Yourcenar. Io cito spesso Calvino, perché le Città invisibili sono una raccolta di appunti e una città in particolare, quella costruita dagli idraulici (dove i muratori non arrivano mai), è la sua passeggiata sul cantiere del Beabourg. A oggi sono stati scritti sette romanzi su quella mia prima parodia, l’ultimo è la storia di una donna che vi rimane prigioniera per un anno senza trovare l’uscita. Il Centre Pompidou è il tuo labirinto, dedalo, che proietta la sua ombra sul tuo studio parigino in rue des Archives. Mi piace di più oggi, un po’ arrugginito. Sai qual è il più grande errore, per un architetto? Il fuori scala: irrimediabile. Non commento fuoriscala recenti o romani. Il modello ingrandito è il rischio di dover dire tutto subito. L’architettura è un ologramma dell’immaginazione: prova a guardare, a chiudere gli occhi e tracciare con la mente assi e diagonali sull’immagine che hai impressa sulla retina. La proporzione si ottiene dalla proiezione. Il progetto come proiezione mentale progressiva. Il committente che vuol capire dall’inizio il progetto ti mette in un grosso guaio. L’edificio si fa in itinere, passeggiando, appuntando, cambiando, togliendo e costruendo progressivamente: è il segreto della misura. Ricordo Philip Johnson, membro della giuria nel concorso per il Beaubourg: «Mi fate vedere la pianta?». Gli tracciammo il perimetro rettangolare. A distanza di un anno ci rifece la domanda e tracciammo il medesimo rettangolo, con l’aggiunta dei moduli. La terza volta, alla stessa richiesta avevamo aggiunto i blocchi dei bagni. L’unico che aveva capito tutto era Jean Prouvé. Sai, la Francia è la patria della «pièce métallique moulée». 3 Ma chi e che cosa lascia a Renzo Piano l’avvicendarsi delle generazioni italiane? Domanda difficile e facile nello stesso tempo, perché io prendo qualcosa da tutti: se l’arte è furto, io sono un ottimo rappresentante, da piccolo ero un asino a scuola. Anche da una lettera d’insulti io conservo e ritaglio i passaggi che mi sembrano interessanti. Il segreto è prendere tutto a viso aperto. E dalla natura è più che mai legittimo (l’Academy of Sciences, a San Francisco, ruba alla geotermia del Golden Gate Park: sarà un prato galleggiante che vive di ventilazione). Che cosa hai preso da Giancarlo De Carlo? Anche Alessandro Pierangeli dallo studio De Carlo passa da te, poi da Ron Arad… Da lui ho preso molto: anche quando non dava - perché era arrabbiato - io riuscivo a prendere. De Carlo architetto: i rapporti tra masse e strutture, le ombre delle scale sui muri. Il suo mestiere: moralizzare l’architettura, ascoltare le voci che non parlano, guardare le facce delle persone (è forse ancora più importante di ascoltare il luogo), ascoltare per discutere non per ammaliare, ascoltare per prendere e dare, con l’edificio. È quello che ricerca la Commission for Architecture and Built Environment a Londra o il Landmark Preservation negli Stati Uniti? Meglio il caso di Otranto: i progetti partecipativi, riparare le case senza spostare gli abitanti (Quartiere dell’Unesco, 1979): le prove di pressione su campioni di pietra e i visi delle persone. Chi ha qualcosa da dire, non è quasi mai chi parla. Ma non vorrei sembrare troppo sensibile. Il pragmatismo sfida quasi tutte le etichette di una democrazia piena di contraddizioni: pop, high-tech, globalizzazione e new age. Parigi, Kansai, Time Square, i musei, l’aereoporto, i distretti finanziari, il tempio di Notre-Dame du Haut. Art as Experience, scrive John Dewey, tre anni prima della nascita di Renzo Piano. ❑ A cura di MICHELA COMBA In alto, disegno per l’Academy of Sciences di San Francisco. A fianco, Renzo Piano davanti all’Unitè d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia nel 1957; negli anni sessanta;con Richard Rogers al Centre Pompidou nel 1978 (tutte le foto sono © RPBW); con Augusto Graziani, Umberto Eco, Federico Zeri e Carlo Bertelli in occasione della tavola rotonda per «Micromega» nel 1988 (foto di Gianni Berengo Gardin) 4 Inchiesta IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Il disagio sociale e civile in cui sembra ripiombata Napoli da alcuni anni va ben oltre le cronache giornalistiche recenti. In un sistema fortemente in crisi, però, vi sono alcuni settori importanti dove la città mostra vitalità ed energia. L’architettura, l’urbanistica e i trasporti, infatti, rappresentano oggi a Napoli tre modelli di sviluppo che potrebbero diventare un antidoto ai veleni (abusivismo, speculazione, caos) che hanno afflitto il territorio campano negli ultimi cinquant’anni. Sul fronte dell’urbanistica, nel- che non agevolano il processo di rinnovamento del tessuto urbano. Ma la città è molto cambiata sul piano della percezione (e dell’accettazione) dell’architettura. Solo cinque anni fa parlare d’interventi contemporanei a Napoli significava scontrarsi contro un muro di diffidenza: le ferite prodotte sul territorio dalle speculazioni edilizie e dall’abusivismo avevano determinato forte sfiducia nei confronti dell’architettura. Oggi, invece, vengono organizzati grandi eventi (come gli «Annali dell’Architettura»; vedi a p. 5), do- NAPOLI: TRASFORMAZIONI URBANE Oltre il limbo di una città senza piani né futuro Diego Lama illustra le strategie che puntano su architettura, urbanistica e trasporti di settore (come quello per i trasporti), Piani per le aree di sviluppo industriale, Progetti integrati territoriali e infine il Piano strategico per la città di Napoli. Col- «La città ha acquisito una nuova capacità di programmare il proprio destino per meglio orientare lo sviluppo, soprattutto verso aree periferiche che presto diventeranno il centro d’importanti riqualificazioni urbane» l’arco di pochi anni, la Campania è riuscita a dotarsi di strumenti come il PRG di Napoli (e di alcune importanti città della regione), sviluppando inoltre rilevanti Piani urbanistici esecutivi (come per Bagnoli o per il Centro direzionale), ha adottato il Piano territoriale di coordinamento provinciale per il capoluogo e ha approvato il Piano territoriale regionale, sviluppando parallelamente molti Piani mando in questo modo un vuoto legislativo, ma soprattutto culturale, accumulato negli ultimi anni sotto lo sguardo indifferente dei partenopei (per troppo tempo lasciati a galleggiare nel limbo di una città senza piani e senza futuro). Napoli ha così acquisito una nuova capacità di programmare il proprio destino per meglio orientare lo sviluppo, soprattutto verso aree periferiche che presto divente- ranno il centro di importanti riqualificazioni urbane. Sul fronte del trasporto su ferro la Campania prevede un investimento di 22 miliardi, di cui quasi 5 spesi dal 2001 a oggi. All’interno di questo programma emergono due importanti progetti: l’Alta velocità (che consentirà di unirla a Roma in meno di un’ora già nel 2008, trasportando circa 33.000 passeggeri al giorno) e la Rete metropolitana regionale (che rappresenta oggi la più grande opera pubblica in costruzione in Italia dopo l’Alta velocità). Il progetto, che sarà completato nel 2015, prevede lavori su linee già esistenti e su nuove linee che determineranno in Campania 1.400 chilometri di ferrovia e 432 stazioni (92 in più rispetto al 2000). Le opportunità fornite dagli interventi legati al trasporto regionale e offerti dalle grandi pianificazioni sul territorio periferico avranno un effetto profondo sulla trasformazione della città, un effetto che potrebbe determinare una seconda opportunità per Napoli, una «rinascita» architettonica. In sintesi sono in atto due processi di trasformazione del sistema urbano partenopeo. La principale spinta è in corso sul contorno della città, all’interno del sistema di aree dismesse che la delimita da est a ovest. Un secondo processo di trasformazione sta avvenendo soprattutto all’interno della città ed è direttamente legato alle opere connesse al sistema dei trasporti su ferro. In questo caso è in moto un’azione di trasformazione puntuale che, partendo dalle realizzazioni delle nuove stazioni della metropolitana regionale (ne sono state già avviate più di 30 negli ultimi tre anni), si espande con un effetto benefico sul quartiere dove sorgerà la stazione, rivalutando l’area non solo da un punto di vista economico o urbanistico, ma anche architettonico. I progetti delle sta- 47, GENNAIO 2007 zioni, infatti, sono stati affidati in una prima fase ai principali nomi dello star system internazionale, ma la novità del modello napoletano è che le star dell’architettura «Restano comunque molti problemi, come l’incapacità di organizzare grandi concorsi di architettura: quelli per Bagnoli e per il porto di Napoli hanno generato critiche, ricorsi e annullamenti che non agevolano il processo di rinnovamento del tessuto urbano» sono state utilizzate quasi come apripista per dare poi spazio alle competenze locali: gli incarichi sono oggi affidati a progettisti, soprattutto giovani architetti (anche non campani). Restano comunque molti problemi, come l’incapacità di organizzare grandi concorsi di architettura: quelli per Bagnoli e per il porto di Napoli hanno generato critiche, ricorsi e annullamenti ve si discute con sorprendente accettazione delle gigantesche labbra rosse pensate da Anish Kapoor per la stazione Monte Sant’Angelo o dei funghi di vetro di Dominique Perrault per la stazione di piazza Garibaldi. I napoletani accolgono la modernità con la stessa arrendevolezza con cui hanno subito i terremoti o le eruzioni. ❑ DIEGO LAMA E1 C2 E10 E12 E4 R6 C10 R17 C3 R18 E2 R16 E8 E7 R14 R7 C7 R12 R11 R4 E6 R3 C6 R8 R10 E2 E11 R5 C6 R9 E9 E5 R21 C1 E3 C9 R20 R19 R2 R1 Riqualificazione delle aree ex industriali e delle infrastrutture per lo sviluppo R1 Parco di Bagnoli R2 Piano di recupero della Mostra d’Oltremare R3 Proposta di riqualificazione e valorizzazione dell’area Q8 R4 Insediamento per la produzione di beni - ex Icmi R5 Riconversione di un opificio industriale - zona est ex Mecfond R6 Parco produttivo - ambito 43 ex Magazzini approvvigionamento R7 PalaPonticelli per musica e grandi eventi e annesse strutture di servizi R8 Centro commerciale per la grande distribuzione - via Argine R9 Centro commerciale, albergo e attrezzature pubbliche - area ex Feltrinelli R10 Centro polifunzionale della Polizia di Stato - area ex Manifattura Tabacchi R11 Completamento del centro direzionale di Napoli R12 Isole edificatorie 17 e 18 del centro direzionale R14 Residenza universitaria e attrezzature pubbliche - Poggioreale R16 Recupero dell’ex fabbrica Redaelli a San Lorenzo Vicaria R17 Residenze e commercio spazi pubblici e aree verdi - Ponti Rossi R18 Centro di formazione e attrezzature pubbliche all’Arenella R19 Complesso monumentale di Castel dell’Ovo R20 Realizzazione di un nuovo spazio espositivo denominato “Parco dell’Auto” R21 Riqualificazione dell’area monumentale del Porto di Napoli rione Traiano E6 Programma di recupero urbano di Ponticelli E7 Programma di recupero urbano di Poggioreale - rione San Alfonso E8 Contratti di quartiere II - ambito di Pianura E9 Contratti di quartiere II - ambito di Barra E10 Contratti di quartiere II - ambito di San Pietro a Patierno E11 Riqualificazione urbanistica e ambientale di Parco della Villa Romana E12 Riqualificazione rione San Gaetano Riqualificazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica E1 Riqualificazione Scampia E2 Edilizia residenziale pubblica sostitutiva: Pianura - Soccavo - Chiaiano - Piscinola E3 Riqualificazione urbana del complesso di edilizia residenziale pubblica, via Taverna del Ferro a San Giovanni a Teduccio E4 Programma di recupero urbano del centro storico: ambito di Chiaiano E5 Programma di recupero urbano di Soccavo - Infrastrutture della conoscenza C1 Insediamento universitario nell’area ex Cirio C2 Nuova sede della facoltà di Medicina e Chirurgia – Scampia C3 Facoltà di Biotecnologie - Zona ospedaliera C6 Complesso Monumentale di S.S. Trinità Delle Monache C7 La «Città dei giovani» del Real Albergo dei Poveri C9 Nuovo polo tecnologico CNR a Viale Marconi C10 Ampliamento del CEINGE – Zona ospedaliera IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Inchiesta 47, GENNAIO 2007 NAPOLI: SCENARI FUTURI La difficile condivisione Secondo Michelangelo Russo la posta in gioco è il ridisegno delle grandi aree industriali Napoli vive un momento cruciale nella sua storia urbanistica: in questi mesi, infatti, stanno prendendo forma scelte e progetti che potrebbero nel giro di pochi anni cambiare radicalmente il volto della città, i suoi spazi, le sue funzioni, trasformandone il ruolo nello scacchiere euromediterraneo. La posta in gioco è il ridisegno delle grandi aree industriali ai bordi del centro storico che generano prospettive di lungo termine, non ultima la recente decisione dell’amministrazione di candidare Napoli come sede del prossimo Forum universale delle Culture del 2013. Queste trasformazioni, che riguardano a ovest la grande enclave di Bagnoli (120 ettari di città siderurgica, dismessa dal 1990) e a est un mosaico di aree dalle dimensioni ancora più ingenti e intersecate con la periferia pubblica, sono rese possibili dalla nuova pianificazione ripresa a partire dai primi anni novanta con la manovra urbanistica di Vezio De Lucia, assessore all’Urbanistica nella prima giunta Bassolino (1993). Una manovra tecnicamente e politicamente difficile: marcare una profonda discontinuità con il passato s’incrociava, infatti, con l’esigenza di arginare i tempi lunghi per il rinnovo di regole ormai obsolete, che l’emergere di nuovi problemi urbani - la dismissione industriale e le bonifiche, la tutela della città esistente, l’emergenza periferie - non consentiva più di procrastinare. Una manovra che - attraverso varianti parziali e coordinate - ha condotto a un nuovo PRG approvato nel 2004, e a piani di settore (in particolare nel campo dei trasporti) che hanno finalmente ridefinito il quadro entro cui attivare pratiche diversificate di trasformazione urbana: l’azione più incisiva è stata senza dubbio la realizzazione del metrò. Il nuovo PRG affronta i grandi temi delle aree dismesse e della periferia urbana attraverso scelte «unificanti»: la continuità della rete dei trasporti, appunto, la ricomposizione del verde urbano residuo con la green-belt collinare, il parco del Sebeto (nelle storiche paludi occupate dalle industrie a est), il parco di Bagnoli e la riqualificazione della Mostra d’Oltremare, la scelta di convertire le ex aree industriali in parchi attrezzati con funzioni miste. In questa cornice si moltiplicano iniziative ad alto contenuto «partenariale» pubblico-privato, in particolare nell’area est: il ridisegno del waterfront, con la riqualificazione dell’area monumentale del porto tra il Molosiglio e l’Immacolatella Vecchia (che sarà realizzata su progetto del In alto, insediamenti universitari nell’ex Cirio (progetto di Ishimoto Architectural & Engineering Firm); sopra, mappa della rete dei trasporti (le immagini di queste pagine sono state gentilmente concesse dal Dipartimento Pianificazione urbanistica Casa della Città, Comune di Napoli) gruppo di Michel Euvè, confermato vincitore del concorso internazionale dopo la vicenda giudiziaria; cfr. la lettera a fianco) e la realizzazione del nuovo porto turistico di Vigliena a San Giovanni a Teduccio, integrato con l’ex Corradini e con i futuri insediamenti universitari nell’ex Cirio; il project financing per l’ampliamento del Centro direzionale (dove il Comune cede la sua volumetria residua per un grande parco urbano) e per l’Ospedale del Mare a Ponticelli; le at- I grandi progetti Riqualificazione dell’area monumentale del porto: Michel Euvè; porto turistico di Vigliena a San Giovanni a Teduccio ed ex Corradini: Uberto Siola; insediamenti universitari nell’ex Cirio: Ishimoto Architectural & Engineering Firm; ampliamento del Centro direzionale e parco di Bagnoli: Francesco Cellini; ospedale del Mare: RPBW; trasformazione dell’ambito 13 delle raffinerie: Carlo Gasparrini trezzature commerciali e alberghiere, e la produzione di beni e servizi nelle aree ex Mecfond e Feltrinelli; la grande trasformazione dell’ambito delle raffinerie (ben più esteso di Bagnoli) promossa dalla Q8 e dalla STU «Napoli Orientale» nella zona est, dove è prevista la realizzazione di un tessuto residenziale, produttivo-leggero e terziario, in cui potrebbe collocarsi un avanzato nodo per la logistica («Distripark»). Il rigore del piano, tuttavia, non restituisce una visione immediata e capace di condurre a convergenza soggetti e azioni in scenari davvero condivisi, rendendo ancora incerta l’immagine del futuro prossimo venturo: questa sensazione assale chi osserva il lento comporsi delle iniziative (in particolare a est), dove la prevalenza di funzioni commerciali, legate alla grande distribuzione, non sembra ancora in grado di proporre un’organica ed equilibrata idea di città, almeno alla percezione comune; obiettivo che altresì tenta di perseguire con forza il Piano strategico in itinere. Un’idea di città non rinchiusa nei confini comunali ma estesa alla sua area metropolitana, dove si moltiplicano le iniziative che ne definiranno la «forma»: la linea ad alta velocità con le stazioni di Afragola e di Striano (per cui è previsto un concorso), l’aeroporto internazionale di Grazzanise, i nuovi innesti sulla grande viabilità su gomma, i centri intermodali, gli interporti per la logistica. Questa è la città del futuro: un sistema di centralità e di reti dove potrà trovare soluzione anche il «rischio Vesuvio», quando ci si renderà conto che solo una comunità che si riconosce nella dimensione metropolitana può ridisegnare la città di tutti gli abitanti, anche di quelli che dovranno allontanarsi da un vulcano attivo, pericolosissimo e altamente distruttivo. ❑ MICHELANGELO RUSSO ❑ Gli Annali dell’Architettura Organizzati dalla Fondazione Annali dell’Architettura e delle Città, nata il 15 marzo 2005 da un accordo fra enti istituzionali (Regione, Provincia, Comune, Università Federico II, Seconda Università di Napoli, Ordine degli Architetti, Ordine degli Ingegneri e Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio), gli Annali dell’Architettura e delle città hanno proposto dal 14 novembre al 17 dicembre scorsi un ricco programma incentrato su tre grandi mostre e un calendario di appuntamenti collaterali. Sotto la presidenza di Benedetto Gravagnuolo e la nuova direzione scientifica di Marco Casamonti, gli Annali hanno affrontato quest’anno il tema del Mediterraneo inteso come centro di rinnovamento culturale e area nodale di sviluppo di un’architettura attenta ai valori ambientali ed edilizi. 5 Pianificare per risanare SEGUE DA PAG. 1, V COL. Con ciò rimuovendo il vero problema di quell’insediamento, la mancata presa in carico da parte dell’amministrazione della sua umanizzazione. La fallita soluzione di problemi quali la difficile accessibilità, la dotazione gravemente insufficiente di servizi e attrezzature pubbliche, l’esclusiva funzionalità a dormitorio, la bassa qualità e uniformità dell’edilizia circostante, e il vertiginoso aumento della pressione demografica (fino a 500 ab/ha) non può certo essere fatta risalire alla concezione architettonica di quel complesso, quanto invece soprattutto alle scelte, o alle mancate scelte, della politica e dell’amministrazione. A queste due fasi ne è seguita, con una traumatica soluzione di continuità costituita dai due terremoti del 1980 e 1981, una terza, con connotati assai diversi, e a essa si può far risalire il fenomeno dell’omogeneizzazione sociale delle periferie (intese sia in senso territoriale, ma in questo caso estese alla fascia dei Comuni circostanti, sia in senso sociale, con riferimento cioè al cosiddetto «ventre» di Napoli, geograficamente posto al centro della città, ma sul versante edilizio e su quello sociale caratterizzato da tutti i connotati della periferia). È avvenuto quel fenomeno assai ben descritto da Isaia Sales in Le strade della violenza (L’ancora del Mediterraneo, 2006), per il quale i quartieri abitati da diversi ceti sociali (diversi sul piano delle risorse economiche, delle attività lavorative, degli stili di vita) si sono progressivamente differenziati fra loro e trasformati in insediamenti in cui ciascuno di tali ceti ha stabilito la propria predominanza: determinando così il venir meno di quell’effetto mitigatore della violenza e dell’illegalità che fino ad allora la convivenza «interclassista» aveva assicurato. È grave che quest’analisi venga compiuta solo in quest’ultimo periodo, salvo, forse, che per l’ambizioso progetto di sventramento del centro storico e ulteriore deportazione dei suoi abitanti contenuto in «Il regno del possibile», elaborato dall’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino e dai principali imprenditori edili della regione. In esso erano riconoscibili chiari intenti speculativi (ma questa è un’altra storia), quando alle vecchie ma, per dir così, poco offensive specializzazioni criminali di alcuni quartieri (San Giovanni a Teduccio e Santa Lucia con il contrabbando, Forcella con la vendita di prodotti provenienti da falsificazione o ricettazione, Duchesca con le truffe del pacco, Vasto e Arenaccia con lo sfruttamento della prostituzione) se ne sono sostituite altre, devastanti per la sicurezza collettiva, come lo spaccio di stupefacenti; mentre i fenomeni delle estorsioni, dell’usura e delle rapine colpiscono ormai l’intero contesto della città e, forse ancor più, della provincia. Finalmente la città ha approvato nel giugno 2004 sotto la regia dell’allora vicesindaco Rocco Papa, il nuovo PRG. La Regione, con il nuovo sistema regionale integrato dei trasporti e la stessa Università Federico II sono impegnati a definire operativamente un progetto di «riqualificazione sostenibile» dell’intero tessuto metropolitano, secondo direttrici verso nord e verso est, senza la realizzazione del quale ogni idea di risanamento sociale e di contrasto all’illegalità paiono ipotesi prive di senso concreto. ❑ PAOLO MANCUSO, Procuratore aggiunto di Napoli Lettera al Giornale A proposito del concorso per il porto Vorrei chiarire che lo stop all’attuazione del concorso è avvenuto nel giugno del 2005 quando il gruppo Stipe/Saito ha fatto ricorso al TAR. Da allora la società pubblica Nausicaa (Autorità Portuale, Comune, Regione,Provincia) ha deciso di non procedere all’affidamento del progetto definitivo ed esecutivo al gruppo vincitore in attesa della sentenza. Il TAR, nel dicembre 2005, ha dato torto ai ricorrenti su tutti i fronti della contesa. La Stipe ha fatto comunque ricorso al Consiglio di Stato che, il 17 ottobre scorso, ha confermato il rigetto di tutti i motivi tranne quello relativo alla mancata applicazione della formula contenuta nell’allegato C al Dpr 554/1999 per il calcolo del parametro di valutazione relativo al «costo di realizzazione/fattibilità economico-finanziaria», uno dei cinque parametri di valutazione del progetto preliminare. Questa formula non era stata utilizzata dalla Commissione perché le modalità di presentazione della proposta economica erano molto disomogenee fra i tre finalisti, rendendo difficile la sua applicazione e suggerendo un diverso criterio di valutazione basato sulla qualità dell’offerta economica e non sul massimo ribasso, peraltro improprio in un concorso di progettazione. Un criterio che, paradossalmente, finiva per attribuire un punteggio più favorevole, per quel parametro di valutazione, proprio al gruppo Stipe/Saito senza però consentirgli di vincere. Il Consiglio di Stato non ha annullato il concorso, ma ha richiesto di attenersi esclusivamente a quella formula nonostante le sue difficoltà di applicazione. La commissione si è riunita nuovamente il 16 novembre e ha rifatto la graduatoria comunicandola in seduta pubblica il 27 novembre: il progetto di Euvè si conferma vincitore, mentre quello di Boeri diventa secondo facendo slittare al terzo posto quello di Stipe/Saito.A questo punto la Nausicaa ha deciso e reso pubblico che, indipendentemente dalla possibilità di un ulteriore possibile ricorso anche su questo risultato (che risulterebbe tuttavia, a questo punto, molto difficile contestare), procederà finalmente all’affidamento dell’incarico di progettazione al gruppo Euvè dopo aver perso un anno e mezzo. Insomma, la «via giudiziaria» all’affermazione della qualità architettonica non paga, ma produce solo danni e rallentamenti all’attuazione delle opere. ❑ Carlo Gasparrini, membro della giuria e consigliere di amministrazione di Nausicaa Spa 6 Inchiesta Aspettando da lungo tempo con impazienza, curiosità (e un po’ di apprensione) i grandi progetti per Bagnoli e la zona orientale, la scena progettuale napoletana è animata da più d’un decennio dalle stazioni della metropolitana, da vicende concorsuali spesso travagliate (vedi Bagnoli e waterfront), da qualche sporadica nuova architettura e con periodica scadenza dal «caso» delle Vele di Scampia. È proprio in quest’ultima vicenda che si può cogliere con icasticità uno dei caratteri dell’architettura contemporanea napoletana, talvolta coraggiosa, forse anche oltre misura (e lo furono i progetti di Franz Di Salvo negli anni settanta) talaltra molto dimessa, senza nerbo figurativo né invenzione tipologica, e lo sono le palazzine che stanno progressivamente sostituendo le Vele. Il centro storico invece non è al primo posto nell’agenda urbanistica e può dunque attendere. Il nuovo PRG vi spalma generosamente le rassicuranti categorie del restauro e del risanamento conservativo, che appaiono però più vincoli paralizzanti che speranze di rinascita perché mancano progetti e risorse. Risorse che invece, copiosamente, andranno a tonificare i litorali marini a oriente e occidente. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. LE STAZIONI METROPOLITANE, CUORE DELLA SCENA PROGETTUALE Ancora cave di tufo Secondo Pasquale Belfiore le cavità sotterranee risultano gli spazi meglio riusciti per forma e cura dei materiali Intanto emergono come protagoniste della scena le stazioni della metropolitana, in città e fuori. Tante quelle realizzate, tante quelle ancora da realizzare. Si progettano spazi ipogei e volumi «Il centro storico invece non è al primo posto nell’agenda urbanistica e può dunque attendere» L’ingresso della stazione della metropolitana di Monte Sant’Angelo (Anish Kapoor e Future Systems) in emersione, si arredano le aree urbane immediatamente contigue alle stazioni intese come nuclei di rigenerazione urbana. In un’ideale graduatoria di merito, le cavità sotterranee risultano gli spazi meglio riusciti per forma e cura dei materiali; la presenza in esse di opere d’arte contemporanea è un valore aggiunto. È forse solo un caso, ma va colta l’inevitabile relazione con la storia e il carattere di questa città, nata e cresciuta per millenni cavando tufo al di sotto e aggiungendolo al di Non è facile, ma dobbiamo farcela di Attilio Belli* Non è così facile: è la considerazione che viene da fare pensando all’attuazione di una moderna politica urbanistica in città. Non è così facile. Politiche urbane a Napoli a cavallo del secolo è il titolo di una ricerca del locale Dipartimento di Urbanistica, di prossima pubblicazione, che fa il punto sugli sforzi compiuti dagli anni novanta a oggi nel campo delle politiche urbane, concentrandosi su alcuni temi cruciali: le periferie, il riuso dell’area di Bagnoli, la zona orientale, l’attuazione del programma d’infrastrutture per la mobilità, le politiche della cultura, l’immagine della città, alcune insorgenze creative, le micropolitiche partecipate per la sostenibilità. Emerge un quadro dove i risultati sono inferiori alle speranze nate con l’elezione diretta del sindaco nel 1993. Allora, le molte iniziative intraprese, soprattutto a carattere simbolico, e il vasto consenso avevano fatto sperare che fosse iniziata una fase, addirittura rapida, di cambiamento radicale. Ma così non è stato. Tra le difficoltà incontrate, la lentezza del cambiamento nel governo urbano e della messa in campo di una capacità istituzionale sufficiente a sperimentare la costruzione di «attori collettivi» in processi di contrattazione. Una capacità «allargata», non solo come coinvolgimento degli attori forti e delle forze emergenti, ma anche come messa in gioco di risorse cognitive, relazionali, fiduciarie e di cooperazione. Ma evidentemente le difficoltà dipendono anche dal contesto, un mondo attraversato da forme di violenza, incrocio perverso tra lavoro nero, camorra ed effetti della globalizzazione. Per avere sopra, squadrato e murato. Più controversi i giudizi su stazioni e arredo urbano in aree storiche, da piazza Dante a Museo, a Materdei e a Salvator Rosa. In nessun caso, sembra, i progettisti sono ri- consapevolezza della situazione, serve non dimenticare mai la dimensione eccezionalmente vasta dello spazio periferico metropolitano a Napoli, dove si diffonde la violenza. Dove si esalta la modernizzazione incompiuta: Napoli rimane «l’unica metropoli tra quelle che hanno contribuito a formare la storia e la cultura europee a trascinarsi dietro il peso di una criminalità di sottoproletariato», a differenza di Parigi e Londra, dove «il riassorbimento del sovraffollamento plebeo è una delle peculiarità della [loro] formazione all’interno delle funzioni di grandi nazioni industrializzate e di vasti imperi coloniali», come dicono Isaia Sales e Marcello Ravveduto in Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli (2006). In una situazione difficile ma non disperata, alcuni percorsi cercano d’intensificare il dialogo tra istituzioni e città, come si sta manifestando nei forum del Piano strategico della città, che seguono alle conferenze di pianificazione svolte all’inizio dell’anno per il Piano territoriale regionale e a quelle del Piano strategico operativo dell’area del «rischio Vesuvio». Ci si muove in tre direzioni: verso l’accrescimento delle capacità diffuse, nel convincimento che l’azione delle istituzioni sia comunque insufficiente a fronteggiare i problemi e che serve l’attivazione di tutte le capacità per individuare la qualità e la dimensione dei problemi, prima ancora delle risposte; per l’organizzazione di progetti integrati, dove politiche per l’occupazione, politiche sociali e interventi urbanistici siano ben intrecciati e visibili, anche in rapporto all’avvio della nuova programmazione 2007- 2013; e, infine, per ricercare il contributo di grandi eventi come catalizzatori di energie e risorse in un intreccio complesso di attività creative e di trasformazioni urbane. Il Piano strategico lavora intorno all’immagine di una Napoli «competente, ben connessa e creativa». «Competente» esprime l’idea di sviluppare competenze di governo, per l’innovazione e per la cura dei mali sociali. «Ben connessa» sottolinea l’esigenza di saper trasmettere velocemente i suoi impulsi alla macroregione di riferimento e di riceverne risorse, stimoli e influssi, anche in relazione ai grandi corridoi europei. «Creativa» va nella direzione di un territorio urbano che accresce le sue infrastrutture mentali, spirituali e fisiche, con una catena interconnessa di attività disposte a innescare processi di rigenerazione durevoli, diffusi, inclusivi e innovativi. Questa costruzione cerca di accrescere il peso d’interventi ben visibili, a partire dal tavolo per Napoli organizzato dal governo. È in questa sede che viene sollecitato - all’interno dell’azione prospettata dal Piano strategico di promuovere la città come «fuoco» euromediterraneo della cultura - l’impegno del governo a sostenere la candidatura di Napoli come sede del Forum universale delle Culture (Unesco) per il 2013. È forte l’ansia per l’avvio d’interventi. In attesa che cominci a diventare finalmente visibile la lenta riqualificazione di Bagnoli, viene finanziato il progetto dell’Università a Scampia, proponendosi d’intervenire in uno dei quartieri più dolenti, mentre si prospetta l’intenzione di realizzare sempre lì il nuovo stadio. Ma è soprattutto nella zona orientale che la costituzione della Società di trasformazione urbana, anche in rapporto alla delocalizzazione sempre rinviata dei depositi d’idrocarburi, indica l’addensarsi di progetti privi di un manifesto disegno. Questo si affianca all’emergere della controversa prospettiva delle zone franche urbane. E, in attesa di conoscere i criteri che verranno adottati da CIPE e Regioni, si anima un dibattito un po’ disordinato per candidare alcune aree (il centro storico, Scampia, la zona orientale). Sullo sfondo, la mostra organizzata dagli «Annali dell’Architettura», che cerca di conquistare a Napoli un ruolo nazionale nelle rassegne di architettura, puntando in particolare sul terreno non semplice della riqualificazione, esigenza primaria in un territorio devastato com’è quello partenopeo. Ma anche qui non è facile. Può accadere, com’è accaduto al milanese Italo Rota, che, volendo misurarsi con la riqualificazione del litorale giuglianese, a nord di Napoli, e avvertendo l’esigenza di accedere ai luoghi, vada a imbattersi nelle forti diffidenze di alcuni abitanti dell’area. E di scegliere così di proporre «La tomba dell’architettura». «Ci sono luoghi», denuncia amareggiato il progettista, «dove l’architettura è esclusa. A Giugliano non è possibile fare progetti fino a che la legalità non è stata ristabilita». Dargli torto? Certo è più facile fare tombe che lottare per il ripristino della legalità. Ma questa lotta spetta combatterla soprattutto a noi napoletani. *Docente ordinario di Urbanistica all’Università Federico II usciti a cogliere i caratteri dei luoghi. L’ambientismo non c’entra e tanto meno si auspica una soluzione storicista o, ancor peggio, mimetica. Ma dire una parola contemporanea, in continuità storica con il racconto figurativo del singolo luogo, questo sì che è obbligatorio. Viceversa, troppo 47, GENNAIO 2007 chiassosi appaiono la stazione e l’arredo urbano a Materdei, quartiere piccolo borghese d’epoca fascista con una sua sobria eleganza; troppo grande e per certi versi inutile appare la stazione al Museo Archeologico Nazionale, laddove invece sarebbe stato utilissimo un parcheggio per i visitatori. Deludente, infine, una rinnovata piazza Dante che affida la soluzione progettuale a due sole pensiline per coprire gli ingressi della stazione e a una nuova pavimentazione, ma con dubbi risultati: incerta la tecnologia in ferro e vetro delle prime, con errori di disegno ed esecutivi la seconda che, al cospetto di Vanvitelli, fa strame di ritmo e moduli. Dubbi risultati che hanno rinfocolato le polemiche sull’ampio ricorso a progettisti «forestieri». Polemiche pretestuose, perché la qualità dell’architettura non passa tra architetti nativi e forestieri. È la committenza a governare il processo, dalla designazione del progettista all’accettazione del progetto, all’esecuzione. ❑ PASQUALE BELFIORE Architetti e stazioni Linea 1 IN REALIZZAZIONE: Alvaro Siza Vieira e Eduardo Souto de Moura: piazza Municipio; Oscar Tusquets Blanca: Toledo; Karim Rashid e Sergio Cappelli: Università; Massimiliano Fuksas: Duomo; Dominique Perrault: piazza Garibaldi; Miralles Tagliabue: Centro direzionale; Mario Botta:Tribunale e Poggioreale; Richard Rogers: Capodichino aeroporto. REALIZZATE: Michele Capobianco:Vanvitelli; Domenico Orlacchio: Quattro Giornate; Atelier Mendini: Salvator Rosa e Materdei; Gae Aulenti: Museo e piazza Dante; Giovanni Passaro e Antonio Nanu: Piscinola - Scampia. Linea 6 IN REALIZZAZIONE: Vittorio Magnago Lampugnani: Mergellina; Hans Kollhoff: Arco Mirelli; Boris Podrecca: San Pasquale; Uberto Siola: Chiaia. REALIZZATE: Uberto Siola: Mostra; Protec:Augusto e Lala. Linea Cumana-Circumflegrea IN REALIZZAZIONE: Silvio d’Ascia: Montesanto; Anish Kapoor e Future Systems: Monte Sant’Angelo. REALIZZATE: Nicola Pagliara: Traiano e La Trencia; Massimo Simeone: Fuorigrotta. Linea Napoli-Giugliano-Aversa IN REALIZZAZIONE: Sandro Raffone: Giugliano; Efisio Pitzalis: Aversa Ippodromo; Cherubino Gambardella: Aversa Centro. REALIZZATE: Riccardo Freda: Mugnano. Linea circumvesuviana Napoli-Sorrento IN REALIZZAZIONE: Peter Eisenman: Pompei santuario e Pompei scavi; Enrico Sicignano: Castellammare terme; Corvino + Multari: Castellammare centro; Roberto Serino: via Nocera; Ferruccio Izzo: Pioppaino; Aldo Loris Rossi: Moregine; Salvatore Cozzolino: Madonna dei flagelli. Altre linee IN REALIZZAZIONE: Zaha Hadid: Linea TAV, Napoli Afragola; ELT Architetti Associati: Linea Napoli-Poggiomarino, Boscoreale e Boscotrecase; Suburbia: Casapulla. ❑ L’Università va a Scampia La Giunta comunale ha approvato a fine novembre il progetto esecutivo, redatto dallo studio Gregotti Associati International, relativo alla realizzazione nel rione Scampia della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II (nelle immagini). Nelle vicinanze del parco di Secondigliano sorgerà un edificio di sei piani con 48 aule, su una superficie di 16.000 mq e per un investimento di 21.450.000 euro. L’opera dovrebbe servire circa 2.500 studenti, oltre a docenti e operatori, mentre il suo indotto potrebbe radicalmente cambiare una delle aree urbane più a rischio. Il bando di gara e per l’appalto dei lavori dovrà essere completato entro il 2008, come fissato dall’Unione europea erogatrice dei fondi. L’Università a Scampia rientra nell’ambito delle iniziative volte a rivalutare uno dei quartieri più degradati: tra queste, il Presidio del libro, l’apertura pomeridiana delle scuole, il completamento dell’anello della metropolitana e l’interconnessione con la linea ferroviaria alifana. Previsti inoltre ingenti investimenti sia per interventi formativi e d’inserimento nel mondo del lavoro (13 milioni), sia per la riqualificazione urbanistica (20 milioni). IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Inchiesta 47, GENNAIO 2007 MERCATO IMMOBILIARE Molte imprese, pochi clienti; molto pubblico, poco privato L’economista Adriano Giannola, presidente dell’Istituto Banco di Napoli-Fondazione, traccia un panorama dell’attività edilizia pubblica e privata a Napoli e in Campania Considerando le due grandi specializzazioni dell’edilizia, residenziale e non residenziale (pubblica e privata), si evidenzia che la prima in Campania soffre una stagnazione endemica per carenza di nuova edificazione e inadeguata riqualificazione dello stock abitativo esistente. In Campania vi è la minore percentuale (56,9%) di abitazioni di proprietà e, di conseguenza, la più elevata percentuale di abitazioni in affitto (29,4%), contro medie nazionali del 71,1% e del 19,2%. La debolezza è ben illustrata da molti indicatori (l’Osservatorio del mercato immobiliare, nel 2003, riporta 5.733 compravendite a Napoli contro 40.000 a Roma, 37.000 a Milano, 7.000 a Bologna; 18.622 in Campania, contro to probabile quanto costoso, e notevoli ritardi nella realizzazione dei progetti. Questa atmosfera intensamente competitiva non è priva di conseguenze strutturali che, in qualche misura, rappresentano una reazione a tutela della capacità operativa delle imprese campane. Queste, infatti, risultano le più propense in Italia a operare fuori della regione, configurando per necessità l’edilizia campana come un rilevante settore esportatore. Secondo l’Autorità di vigilanza dei Lavori pubblici, negli ultimi anni l’88% degli interventi nella regione sono stati eseguiti da imprese campane: il tasso di copertura del mercato interno più elevato in Italia. Al contempo, il 54% degli interventi delle imprese campane nel settore delle opere pubbliche è «Sul mercato delle opere pubbliche si fa spazio il project financing, anche se alla mole imponente degli annunci di ricerca di promotore fa seguito un numero di bandi pubblicati estremamente limitato» 177.870 in Lombardia, 93.208 in Piemonte, 69.980 nel Lazio). Dati, certo non positivi, che pur mettono in evidenza teoriche potenzialità di sviluppo se fossero messe in atto appropriate politiche pubbliche (Bagnoli e Napoli Est sono i riferimenti di rigore). In carenza di adeguate opportunità nell’edilizia privata, quello delle opere pubbliche si conferma in Campania un settore di vitale importanza, com’è testimoniato dalla grande concentrazione d’imprese in possesso dell’attestazione SOA. Proprio questa presenza massiccia rende tale segmento del mercato eccessivamente competitivo, esasperando la pratica dei ribassi d’asta come patologico strumento di concorrenza; il che non giova neanche alle amministrazioni appaltanti, che pagano i ribassi eccessivi con un contenzioso tan- realizzato in altre regioni; anche in questo caso un primato. Proprio sul mercato delle opere pubbliche si sta facendo significativamente spazio anche in Campania la modalità della finanza di progetto, anche se alla mole imponente degli annunci di ricerca di promotore fa seguito poi un numero di bandi pubblicati estremamente limitato. Questo è certamente un importante terreno d’incontro tra imprese e operatore pubblico, a condizione che sia possibile trovare un’adeguata triangolazione con intermediari finanziari e aziende di credito, consentendo di realizzare un effetto leva, capace di ampliare l’impatto dei contributi pubblici disponibili. Il ricorso a questo strumento presuppone un mutamento di filosofia delle imprese e delle amministrazioni rispetto ai tradizionali Gli interventi delle Fondazioni bancarie Istituto Banco di Napoli-Fondazione Per riqualificare alcune aree di grande rilievo storico e commerciale, nel 2000 sono state realizzate opere di arredo urbano, tra cui quella dell’artista greco Jannis Kounellis per la piazzetta di via Ponte di Tappia. Costituita da una struttura in acciaio che simboleggia un’antica torre eolica, l’opera riproduce un attrezzo utilizzato nelle campagne per raccogliere l’acqua. Nell’ambito della riqualificazione di piazza Bellini, antistante l’antico Conservatorio di Musica San Pietro a Majella, nel 2004 sono state realizzate opere di sistemazione delle pavimentazioni e dell’arredo: valorizzazione e restauro delle strutture archeologiche delle antiche mura di epoca greca; ripristino del monumento a Vincenzo Bellini, con rifacimento dei busti muliebri asportati. Con l’Associazione incontri napoletani - Arte, cultura e attualità, nel 2006 è stato completato il restauro della guglia seicentesca di San Domenico Maggiore, realizzata in segno di ringraziamento dopo l’epidemia di peste del 1656. ❑ Aldo Pace, Direttore generale dell’Istituto Banco di Napoli-Fondazione La Compagnia di San Paolo La Compagnia di San Paolo di Torino del gruppo San Paolo Imi, che a fine 2002 ha assorbito il Banco di Napoli, a gennaio 2005 ha finanziato un progetto finalizzato a rilanciare il centro storico (nell’ambito di una convenzione con l’Amministrazione comunale), la riqualificazione dell’asse urbano di Santa Caterina da Siena e di piazza Bellini (1 milione). Un’area nevralgica della città, cerniera fra la parte bassa (via Chiaia) e quella alta (l’area collinare verso corso Vittorio Emanuele), dotata di un tessuto edilizio, che comprende unità abitative eterogenee, esercizi commerciali e istituzioni culturali di prestigio. Il progetto prevede il restauro, il risanamento conservativo e la valorizzazione integrata con l’introduzione di opere d’arte contemporanea. Nel 2003 aveva già finanziato il restauro della Chiesa di Santa Caterina da Siena per il Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini e quello della Grotta di Virgilio con la Soprintendenza. Nel 2006 ha finanziato il restauro, avviato dalla Soprintendenza, del Teatro di Corte del Palazzo Reale (1,5 milioni). (ancora dominanti) bandi di gara (centrati sul meccanismo del ribasso d’asta). La finanza di progetto, infatti, configura la società di progetto come un attore che, oltre a realizzare l’opera, assuma il rischio della gestione; il che presuppone un’impresa capace di valutare la redditività dell’intervento e, al contempo, un’amministrazione che sappia calibrare ex ante il contributo a fondo perduto necessario a garantire l’equilibrio del piano economico finanziario. Le riviste e la critica di architettura Nel corso degli ultimi cinquant’anni Napoli ha visto alternarsi opposte fasi di marginalità o di relativa centralità rispetto alla più generale cultura architettonica. E tuttavia ha sempre sofferto, sin da inizio Novecento, della mancanza di riviste specializzate di levatura nazionale in grado di esprimere quanto di meglio poteva venire dalla cultura architettonica cittadina, e competere seriamente con quanto variamente prodotto a Torino, Milano, Roma. Mentre una rivista alternativa come «Ventre» è riuscita a crearsi uno spazio deliberatamente di nicchia, non sono mancati nei decenni, e ancora in tempi recenti, esperimenti di testate di notevole qualità e interesse - «Aura», «ArQ», «Ar2» - che tuttavia non hanno avuto continuità, per mancanza di un’editoria in grado di sostenerle. Ed è forse per questo che, a fronte di una tradizione storiografica di grande respiro, particolarmente attenta al contemporaneo nella sua di- mensione internazionale (e basti citare tra i capiscuola Renato De Fusco,Cesare de Seta,Maria Luisa Scalvini), è mancata e manca una tradizione di critica dell’architettura in fieri. Un’eccessiva circolarità dei ruoli (tra consulenti e ispiratori delle scelte, professionisti, critici, rappresentanti istituzionali) ha fatto sì che, confinata sulle pagine locali dei quotidiani, la critica diventasse non di rado esegesi, o addirittura apologia, delle scelte politiche compiute. Mai come in questi ultimi anni, in cui Napoli - con i suoi cantieri e con la neoinaugurata Scuola superiore europea di architettura urbana - recupera una propria centralità nel dibattito nazionale e internazionale, si sente la necessità di una critica davvero militante, per un verso in grado di vagliare con spiccato senso d’indipendenza le ipotesi, e per l’altro di esprimere gli elementi di continuità della solida e variegata cultura architettonica della città. ❑ Fabio Mangone In generale, i nuovi strumenti finanziari possono attenuare per le imprese la proverbiale problematicità dell’accesso al credito, che in Campania si accompagna a un persistente maggior livello di rischio rispetto alle medie nazionali del settore e agli altri settori d’impiego nella regione. Al di là degli strumenti finanziari, è da sottolineare la complementarità tra diversi aspetti del problema: a Napoli e in Campania il ruolo strategico delle opere pubbliche va inserito in un disegno che non solo sia compatibile, ma configuri effettivamente la possibilità di sblocco e rilancio dell’asfittico mercato privato. In tal modo si potrà favorire quell’articolazione e quella diversificazione produttiva del settore delle costruzioni oggi tanto necessaria quanto realisticamente remota. ❑ ADRIANO GIANNOLA ❑ Mondonapoli Il COPA (Cooperazione organismi professionali architetti) è un soggetto organizzativo che da qualche anno cerca di «ri-fondare» un nuovo senso comune sugli indirizzi strategici e programmatici della categoria professionale dell’architetto, attraverso diverse iniziative, conferenze e forum. Promuove il progetto Mondonapoli, l’introduzione della cultura e delle pratiche partecipative nel territorio partenopeo. 7 Dalla città porosa alla città addensata di Maurizio Zanardi* apoli appare oggi sulla scena pubblica, sul mercato delle delle immagini, delle scritture e dei suoni, come una città saturata dai poteri criminali o dai rifiuti, per nulla spaziosa, tanto «occlusa» da aver perso quella «porosità» che Walter Benjamin attribuì alla sua forma urbana. La città sembra soffocare in un’assenza di poroi, ossia di passaggi, vie e canali, che favoriscano quella scorrevolezza e «ibrida» composizione di flussi, uomini, cose e forme, che Benjamin considerava tipici della sua natura. E poiché poros significa anche espediente e ricchezza, la crisi della «spazialità» a Napoli fa tutt’uno con l’impoverimento della vita cittadina, con il blocco dell’invenzione politica e intellettuale. Un tale blocco ha preso vita in verità più di un decennio fa, ma solo ora manifesta catastroficamente tutti i suoi effetti. Il blocco - l’aporia - a Napoli si struttura dopo i primissimi anni del cosiddetto «rinascimento». Il modo stesso di proporre N Una vista di Spaccanapoli la città sul mercato internazionale del turismo, di rifarle il look, gettando luce e splendore su alcune sue parti, quelle presentabili e gradevoli, rimuovendo le parti «maledette» e antiestetiche, ha di fatto costituito una spazialità urbana fatta di brute esclusioni, che oggi manifestano tutto il loro potenziale distruttivo. Vivendo solo delle proprie positività, proteggendosi dal negativo, dai propri germi, bacilli e parassiti, la città si è ammalata, come un corpo divorato e paralizzato dagli anticorpi rimasti inutilizzati. La cosa si può dire anche in un altro modo: in questi anni Napoli è entrata nella globalizzazione secondo due modalità eterogenee, che non si sono incontrate, depotenziandosi a vicenda. Da una parte, il politico e i ceti intellettuali dominanti hanno puntato sulla valorizzazione spettacolar-turistico-comunicativa del presunto centro cittadino, la Napoli sede del G8; dall’altra, anonime forze imprenditoriali, finanziarie, locali e transnazionali, spesso - ma non sempre, giova ricordarlo colluse con i poteri criminali o addirittura catturate da essi, hanno investito in processi altamente produttivi e pulviscolari, localizzati in tutta l’estensione ormai sconfinata della città. In questo modo, politica e produzione, città e metropoli non si sono incontrate, portando anche urbanisticamente il segno di questo mancato incontro. Alla visione delle bellezze di Napoli i media, gli stessi che qualche anno fa glorificavano la città e il suo politico, sostituiscono oggi la visione dell’orrore, dell’ammasso urbano. Dalla città porosa alla città addensata, opprimente, senza scampo o vuoto generativo. Se l’architettura, come Benjamin stesso ricorda, è la più porosa delle arti - non solo perché la più sensibile al cambiamento proveniente dall’esterno, ma anche perché in grado di favorire un uso multisensoriale e attivo dello spazio -, è di una ripresa dell’architettura e di una sua esplicita alleanza con l’urbanistica che c’è bisogno per la metropoli «porosa». Tocca innanzitutto all’arte dello spazio diradare Napoli, sperimentare forme che riaprano percorsi imprevisti ai flussi, che buchino l’ammasso metropolitano, facendone saltare le divisioni reali o immaginarie, senza nostalgie paralizzanti per la piccola e armonica Napoli che fu, né sensi di colpa per l’intervento che altera un profilo o una storia, che desacralizza gli spazi. La misura al distruggere-costruire non verrà, neanche a Napoli, dal blocco dell’operare ma solo dalla preoccupazione comune per l’uso attivo dello spazio, per la sua desacralizzazione. La porosità non si salva né con il proliferare dei vincoli, con il blocco del costruire - anche perché la metropoli non si ferma, prolifera, conducendo già ora Napoli oltre Napoli - né con la logica del tutto va bene. Riprendere con rigore e decisione la questione della porosità potrebbe essere un buon programma sia per l’architettura e l’urbanistica, sia per quell’intelletto metropolitano, fatto di studi, laboratori, centri di assistenza, associazioni, reti, lavoro intellettuale precario che pensa nella città e spesso anche la fa, senza avere però potere sulla sua forma. Napoli laboratorio politicospaziale della porosità? *Filosofo ed editore IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Edilizia e mercato 47, GENNAIO 2007 Disegnare scenari ragionevoli NUOVE TENDENZE Senza ombra di dubbio il boom immobiliare che abbiamo vissuto dal 1998 a oggi è stato il dato più rilevante per descrivere la fase economica attraversata dal nostro paese. In sostanza, tutti quelli che hanno potuto, dalle famiglie agli imprenditori, hanno investito nel «mattone». L’interrogativo su quando finirà questa fase espansiva (e con quali effetti) è alla base di una complessa riflessione che molti studiosi e operatori vanno elaborando. Gli ultimi dati relativi ai primi sei mesi del 2006 mostrano una dinamica delle compravendite ancora positiva, con una situazione di crescita dei prezzi a valori costanti ma molto contenuta. Se il mercato non si è ancora fermato, ha certo ridotto la marcia: dalla quinta è passato alla prima, ed è in cerca di parcheggio. Peraltro, l’analisi realizzata dal Cresme per la Borsa immobiliare di Roma, di cui l’articolo di De Alessandris dà conto, mostra come le compravendite interessino oggi molto più le nuove costruzioni rispetto al passato (il 37% delle compravendite totali nel 2005, contro il 28% del 2000). Senza le nuove costruzioni le compravendite del patrimonio usato nel periodo 2003-2006 sono sostanzialmente stagnanti. Inoltre, la frenata del mercato appare più rilevante nei comuni capoluogo e nelle grandi città, laddove il ciclo era partito, mentre più vivace è il mercato della provincia. Insomma, segnali di frenata che con il 2007 dovrebbero accentuarsi, mentre l’offerta di nuovo si mostrerà in crescita (334.000 nuove abitazioni nel 2007 contro le 331.000 del 2006). La sensazione di un mercato in rapido modificarsi si misura con molti indicatori: alcuni tipici delle analisi immobiliari (gli sconti sulle richieste, i tempi di vendita), altri più indiretti, come il fatto che le nuove costruzioni vengono sempre più trattate dalle agenzie immobiliari, e quindi non collocate direttamente sul mercato. Del resto, dal 1998 a oggi quasi il 30% dello stock abitativo italiano è stato compravenduto. Una sorprendente operazione di scambio, di filtering si potrebbe dire, aggiungendo di filtering up per spiegare la corsa verso l’alto di una parte del mercato (venditori di case in proprietà di qualità minore rispetto a quelle cercate) che è stata alimentata, dal basso, da una domanda primaria fatta di nuove famiglie con dimensioni da anni sessanta e settanta. Ma il processo vede anche una dinamica di filtering down, di famiglie espulse dal ciclo ascendente e dalla speculazione immobiliare. Questa ondata di nuove famiglie italiane e straniere, come dimostra una ricerca realizzata dal Cresme per Ancab (Associazione nazionale cooperative di abitanti), di cui parla Campanelli, è destinata nei prossimi anni a refluire su livelli più vicini a quelli degli anni ottanta (ipotesi minima) o novanta (ipotesi massima), e comunque ben distanti dai picchi dei primi anni del 2000. Nel futuro immediato la componente straniera sulla domanda primaria crescerà sostanzialmente modificando in parte lo stesso mercato immobiliare, e questa domanda ammorbidirà una caduta che potrebbe essere più brusca. ❑ Lorenzo Bellicini, direttore tecnico Cresme Il mercato immobiliare italiano rallenta Negli ultimi anni si è rilevato un moderato incremento delle compravendite, ma è in atto un netto spostamento dai capoluoghi ai comuni minori I più recenti andamenti del mercato immobiliare italiano sono improntati a un evidente rallentamento complessivo, dopo dieci anni di crescita delle compravendite e sette anni d’incrementi dei valori. I segnali erano presenti già a partire dal 2003, con un azzeramento della crescita delle compravendite e una riduzione nei tassi d’incremento dei prezzi. I due anni successivi hanno visto un nuovo incremento delle compravendite (+5,7% nel 2004 e +3,7% nel 2005) e prezzi in crescita, ma con vigore decrescente (in valori costanti +2,1% nel 2004, +1,9% nel 2005). Nonostante tali segnali, il mercato immobiliare italiano, secondo le stime del Cresme, ha tenuto anche nel 2006, con un ulteriore incremento delle compravendite, salite a oltre 1.043.000 (+1,2%), e con un incremento limitato dei valori immobiliari pari a +1,6% in valori costanti (+3,6% monetario). Le variazioni a livello nazionale indicano dunque un moderato incremento delle compravendite, ma risulta in atto una modificazione strutturale del mercato dovuta sia al suo netto spostamento dai nuclei urbani alle Indice dei prezzi in valori costanti per tipologia insediativa (1992=100) 1998 2000 2002 2004 2005 In Italia 91,3 94,4 106,0 111,5 113,6 Città metropolitane 75,0 81,2 92,7 100,8 101,3 Comuni delle corone 86,4 84,9 95,6 101,2 103,5 metropolitane Capoluoghi di media 106,6 109,1 122,0 130,0 132,8 dimensione Comuni medio-piccoli 99,7 102,4 113,7 116,3 118,8 Comuni turistici 98,3 98,9 110,9 117,0 122,4 Crescita media annua del numero di famiglie nel decennio 2006-2016 secondo diverse ipotesi sui flussi migratori con l’estero Saldo migratorio annuo 150.000 stranieri 200.000 stranieri 250.000 stranieri 300.000 stranieri Senza nuovi ingressi Fonte: stima Cresme su dati Istat n. famiglie 146.446 164.351 182.256 200.163 92.730 presenta un riferimento più stabile per la definizione di uno scenario di medio periodo. D’altra parte l’apporto di manodopera straniera costituisce un fattore sempre più decisivo per lo sviluppo dell’economia nazionale e ne è prova il bilancio dei flussi del 2005, con oltre il 77% delle domande di assunzione di extracomunitari non stagionali rimaste inevase per l’insufficienza delle quote assegnate. L’apporto di popolazione straniera, prevalentemente costituito da classi in età lavorativa, determina un forte impatto sugli scenari demografici e, quindi, sulla dinamica delle nuove famiglie e sulla domanda primaria di abitazioni. Nell’ipotesi di assenza di movimento migratorio, infatti, nel decennio 2006-2016 la crescita media del numero di famiglie sarebbe di sole 92.730 unità all’anno. In base alle diverse ipotesi alternative sulla consistenza dei flussi migratori, invece, la crescita media annua del numero di famiglie potrebbe oscillare tra un minimo di 121,4 126,3 * Stima. Fonte: elaborazione Cresme/Si su dati OMI - Agenzia del Territorio per Borsa immobiliare di Roma cinture metropolitane e ai comuni più esterni, sia al peso esercitato dalle nuove costruzioni. La crescita ha investito, tra il 1997 e il 2000, principalmente i capoluoghi di provincia (+37% le compravendite nel periodo), mentre gli altri comuni delle province italiane crescevano, nello stesso periodo, del 21,9%. Tra il 2001 e il 2003 si è invertita la tendenza, con i capoluoghi Nello scenario futuro la componente straniera è destinata a svolgere un ruolo decisivo nel mercato immobiliare si sui flussi migratori. L’Istat, infatti, assume per tutto il periodo di previsione un saldo netto con l’estero di 150.000 unità annue, un valore decisamente inferiore ai livelli attuali. Nel 2003 il saldo migratorio con l’estero ha toccato le 408.000 unità, passando a 380.000 nel 2004 e a 261.000 nel 2005. Se è vero che il valore del 2003 e del 2004 risente dell’effetto diretto della sanatoria delle presenze straniere irregolari (legge n. 189/2002 e legge n. 222/2002) e pertanto costituisce un dato eccezionale, il valore del 2005 sperimenta l’effetto moltiplicatore delle regolarizzazioni sui ricongiungimenti familiari e pertanto rap- 135,3 Numero di compravendite di abitazioni di nuova costruzione e usate (1997-2006) Compravendite Compravendite Compravendite Quota di compravendite rilevate abitazioni nuove abitazioni usate di abitazioni nuove 2000 710.935 198.000 512.935 27,9% 2001 699.581 -1,6% 222.000 12,1% 477.581 -6,9% 31,7% 2002 783.379 12,0% 242.000 9,0% 541.379 13,4% 30,9% 2003 783.718 0,0% 252.000 4,1% 531.718 -1,8% 32,2% 2004 825.395 5,3% 278.000 10,3% 547.395 2,9% 33,7% 2005 856.018 3,7% 304.000 9,4% 552.018 0,8% 35,5% 2006* 890.286 4,0% 331.000 8,9% 559.286 1,3% 37,2% Domanda abitativa e immigrazione Sopra e a lato, progetto del complesso residenziale a Milano Santa Giulia di Norman Foster, Paolo Caputo e Giovanni Carminati (in corso di realizzazione) 2006 115,4 101,0 106,7 Fonte: Cresme/Si PREVISIONI 2006-2016 L’ultimo scenario demografico elaborato dall’Istat su base 2004, del quale sono stati diffusi i risultati provvisori a livello nazionale, definisce un andamento della popolazione in crescita fino al 2014, con un sensibile calo nel periodo successivo. La popolazione italiana passerà dai 58,5 milioni di abitanti del 2004 a 59,2 milioni nel 2014, per poi scendere a 58,5 nel 2026. Già con la pubblicazione del dato ufficiale sulla popolazione residente al 2005, si può però constatare uno scarto tra previsione e rilevazione (il risultato dell’esercizio previsionale conta 157.438 abitanti in meno) che dipende essenzialmente dalle ipote- 9 146.000 e un massimo di 200.000 unità. Quindi, senza considerare gli stranieri già residenti in Italia (che al 2005 costituiscono circa il 4% della popolazione totale e l’8% della classe 25-34 anni), il contributo della popolazione straniera alla crescita delle famiglie potrà oscillare tra un minimo del 37% e un massimo del 54%. Negli anni settanta la crescita media annua delle famiglie era stata di 265.000 unità, negli anni ottanta si scendeva a 128.000 unità, per poi risalire a 190.000 unità negli anni novanta. Nel quinquennio 2001-2006 la media annua delle nuove famiglie supera le 300.000 unità. Nei prossimi dieci anni l’apporto di popolazione straniera non sarà sufficiente a recuperare il vuoto lasciato dal passaggio dell’onda del baby boom, anche se potrà garantire un «atterraggio morbido del mercato». Nella fase espansiva, infatti, la forte crescita della domanda primaria di giovani coppie e stranieri, assicurando il rapido assorbimento dello stock edilizio di qualità medio-bassa, sta esercitando un ruolo propulsivo del mercato. Nello scenario futuro, caratterizzato da un ridimensionamento della domanda autoctona, la componente straniera è destinata a svolgere un ruolo decisivo. ❑ ENRICO CAMPANELLI, Cresme in crescita del 2,0% e gli altri comuni in aumento del 14,4%. Negli ultimi tre anni osservati (compresa la stima per il 2006) si rileva una ripresa della crescita dei capoluoghi (+6% tra 2004 e 2006), ma negli altri centri ciò un elevato numero di abitazioni di nuova costruzione. Dal confronto diretto delle compravendite rilevate dall’OMI - Agenzia del Territorio (integrate della stima delle province mancanti) con i dati sulla produzione di «Sull’andamento delle compravendite negli ultimi anni incide in misura notevole l’ultimazione di un elevato numero di abitazioni di nuova costruzione» avviene a un ritmo quasi triplo (+17%). Questo sostanziale spostamento è evidenziato nelle quote di mercato delle due aggregazioni territoriali: i capoluoghi scendono dal 33,6% del 2000 fino a una quota stimata per il 2006 pari al 29,1% (–4,5% in sei anni). Anche i prezzi delle abitazioni, cresciuti a ritmi superiori nelle grandi città nel periodo 19992004, nel 2005 e nella stima per il 2006 crescono in misura maggiore nei comuni di minori dimensioni. Nel 2006, inoltre, nelle grandi città si osserva una variazione negativa per la prima volta dopo sette anni, con l’indice dei prezzi che segna una contrazione di 0,3 punti: una lieve riduzione che rappresenta un chiaro segnale d’inversione del ciclo a partire proprio dai luoghi in cui le dinamiche recenti avevano prodotto le tensioni maggiori. Oltre a tale fenomeno, sull’andamento delle compravendite negli ultimi anni incide in misura notevole l’ultimazione di abitazioni dal 2000 in poi, si osserva che il numero di case nuove è cresciuto in misura molto superiore (spesso a tassi vicini o superiori al 9% annuo) rispetto all’incremento delle compravendite complessive, il cui tasso medio di crescita annuo supera di poco il 4%. Tale differenza nei tassi d’incremento si estrinseca in un forte aumento dell’incidenza delle nuove realizzazioni sulle compravendite complessive, che passa dal 27,9% nel 2000 al 37,2% stimato per il 2006. Parallelamente si osserva una dinamica discontinua per le compravendite di abitazioni usate con una forte crescita nel 2002 (+13,4%) ma con un’estrema stabilità negli anni successivi, in cui si osservano tra le 532 e le 559.000 operazioni. Il mercato delle abitazioni usate è ormai stabile da qualche anno, mentre le nuove costruzioni che trainano il mercato nel complesso sono l’eco di un boom del passato. ❑ PAOLO D’ALESSANDRIS, Cresme 10 Professioni IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Rivelazioni postume Con una spumeggiante cerimonia son et lumière, prova generale per il congresso mondiale degli architetti del prossimo anno, l’Ordine degli Architetti di Torino ha assegnato il 12 dicembre una serie di riconoscimenti. Due premi sono stati assegnati a «cultori» dell’architettura (Alberto Vanelli e Domenico Arcidiacono), mentre 11 edifici del Novecento costruiti a Torino e in provincia sono stati segnalati all’attenzione pubblica. Queste «Architetture rivelate» - dalla casa per dipendenti Michelin di Mario Passanti e Paolo Perona (1939) all’edificio per campus delle Biotecnologie di Luciano Pia (vedi il «Progetto del mese», pp. 21-23) - verranno dotate di una targa che, se non corrisponde a una forma ufficiale di tutela, costituisce un segnale di attenzione e un freno a interventi di alterazione. Il presidente della giuria che ha selezionato le opere, Gian Pio Zuccotti, ha espresso soddisfazione, ma ha fatto rilevare anche un dato preoccupante: 6 degli 11 edifici selezionati sono di architetti non più in vita. Se da un lato è lodevole che un Ordine riconosca i propri «monumenti» del XX secolo, è triste che non vi siano se non pochissime opere realizzate negli ultimi anni degne di essere menzionate per qualità, funzionalità, significato. In vista della prossima edizione la giuria, nel rilevare questo paradosso, invita pertanto in modo particolare i giovani progettisti a segnalare in modo sistematico all’Ordine le opere in cui, andando oltre la mera edilizia, «han- no tentato di fare Architettura». Con una scelta a sorpresa, intanto, l’Ordine statunitense degli architetti (AIA) ha premiato con una postuma Medaglia d’oro per il 2007 Edward Larrabee Barnes (1915-2004): la scuola di artigianato di Haystack Mountain a Deer Island (Maine, 1961) e il grattacielo della IBM a New York (1975; nella foto, un interno) segnano i due poli, dell’indagine su forme e materiali della tradizione vernacolare nordamericana da un lato, e del rigore moderno dall’altro, intorno a cui si è dipanata la sua carriera. Restauro Beni Artistici e Storici, Restauro Archeologico, Restauro Conservativo e di Consolidamento, Prodotti e Materiali per il Restauro, Attrezzature e Servizi di Rilevamento, Servizi di diagnostica, Strumentazioni e Apparecchiature per il Restauro, Disinfezione, Disinfestazione, Sterilizzazione, Sicurezza, Impiantistica, Illuminotecnica per l'Arte e l'Architettura, Multimedia e Software, Istituti ed Enti di Formazione Professionale, Associazioni, Enti Pubblici e Privati, Istituti di Credito e Fondazioni per l'Arte, Centri di Ricerca e Catalogazione, Ambiente, Tutela e Recupero, Turismo Culturale, Musei, Gallerie, Biblioteche, Archivi, Sistemi Museali, Servizi, Editoria. 47, GENNAIO 2007 ELIO LUZI (1927-2006) Un caleidoscopio di abitazioni Da qualche settimana ci manca Elio Luzi, l’architetto che dal secondo dopoguerra a oggi ha esplorato il tema dell’abitazione in una serie infinita di variazioni, dalla casa unifamiliare in collina, ai condomini per le imprese, suo principale committente, alle case popolari, riuscendo a coniugare i vincoli dei costruttori con la volontà di disegnare luoghi per l’abitare personalizzati anche in grandi complessi, capaci di inserirsi con sottile ironia nella rigida trama torinese, suo principale teatro d’azione. Per questo, una scatola d’immagini per raccontare Elio Luzi dovrebbe contenere almeno le case torinesi per l’impresa Manolino (anni cinquanta e sessanta); dalla folie signorile di piazza Crimea, con le facciate ondulate modellate da conchiglie in pietra artificiale, alle architetture che hanno movimentato gli allineamenti urbani con lievi scarti, rotazioni, aggetti in pianta e alzato, sul filo d’equilibrio del regolamento edilizio: come le tre torri di piazza Pitagora, cemento martellinato e mattone paramano, foreste di colonne per paesaggi inconsueti nei piani pilotis e alloggi tutti diversi, proiettati a guardare obliquamente la città. E poi le architetture giocose e ironiche: la casa-castello di Chieri con pannelli decorati in graniglia (1956); il recinto in mattone traforato con il nome del costruttore in strada del Drosso (1974). E ancora, le sperimentazioni di colori e materiali: mattoni smaltati e colorati, tettucci in plastica, vernici fluorescenti, griglie metalliche, dal Residence di via Ormea alla Torre Mirafiori (in tandem con Sergio Jaretti, compagno di lavoro fino al 1974); la rivisitazione del condominio montano, trasformato a Bardonecchia in villaggio di facciate colorate, fino alla sparizione della casa nel progetto di Marmottopoli a Monginevro (1976), residence ipogeo con affacci da cupolini vetrati, come teste di marmotte dalle tane; i progetti per grandi temi non residenziali mai realizzati; i lavori recenti nel nuovo boom edilizio torinese, che cercano di dare un significato e un’immagine individuale alle abitazioni collettive, come in via Medici, o che giocano con l’esagerazione di colonnati, balconi, aggetti, da via Bava (1995) alla Spina 3 (2006). Poi ci sarebbe tutto il resto: gli schizzi che tappezzano lo studio con tracce a matita grassa d’infinite variazioni progettuali, i racconti fantasmagorici, lo sguardo capace di leggere sempre il lato ironico delle situazioni. Ma la scatola non può contenere tutto, solo fare intuire lo spirito luziano: soffio leggero dissacrante e pirotecnico come i pinnacoli delle sue architetture più divertite. ❑ LUCA BARELLO In alto, una delle torri Pitagora (1963-1965); sopra, schizzo per le palazzine di via Medici (1980-1986), entrambe a Torino Roma, Musei Capitolini (foto museo, R. Lucignani) ❑ Luigi Spezzaferro (1942-2006) 22-25 Marzo 2007 XIV Edizione FerraraFiere In collaborazione con: Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione EmiliaRomagna Con il patrocinio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Ministero degli Affari Esteri Segreteria Organizzativa Acropoli srl V.le Mercanzia , Blocco 2B, Gall. A n°70 40050 Centergross (Bologna) - Italy T +39/051/6646832 F +39/051/864313 e-mail: [email protected] www.salonedelrestauro.com Ho conosciuto Spezzaferro prima ancora di conoscerlo, quando ancora dottorando facevo il pendolare tra Roma e Venezia e la sua fama di studioso rigoroso, di brillante intrattenitore di colleghi, studenti e semplici viaggiatori mi era già stata ampiamente delineata. I racconti dei docenti dello IUAV,di Claudia Conforti,di Christoph Luitpold Frommel e di tutta la comunità tedesca della Bibliotheca Hertziana di Roma, ma anche dei suoi numerosi allievi, lo avevano infatti reso estremamente popolare. E la prima volta che parlai con lui delle maestranze lombarde che avevano contribuito a edificare alla fine del Cinquecento alcuni dei più significativi monumenti capitolini, mi sembrava di parlare con un amico di vecchia data, vista la bonarietà e la schiettezza che animavano i sui discorsi. Eppure Spezzaferro era uno storico di vaglia, costantemente invitato a seminari, dibattiti, convegni per la sua serenità di giudizio e per l’acutezza critica che contraddistingueva i suoi interventi. Ma restringere l’operato di Spezzaferro nella sfera della storia dell’arte è riduttivo: appartengono alla sua produzione pubblicazioni di carattere prettamente architettonico, che hanno lasciato un segno nella storia della critica. Si va dall’innovatore volume Via Giulia (scritto nel 1975 con Manfredo Tafuri e Luigi Salerno), alla cura del volume sul Campidoglio e Sisto V (del 1991, con Maria Elisa Tittoni) fino al significativo Fabbriche e architetti ticinesi nella Roma barocca (1989, curato con Giovanna Curcio), nella cui introduzione traccia le linee guida di una ricerca su committenza e imprenditoria edile mantenuta sino agli ultimi lavori della sua vita. ❑ Giuseppe Bonaccorso IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Tra le novità introdotte del Codice De Lise (nuovo Codice degli appalti pubblici di lavori), merita attenzione la disciplina dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo, contenuta negli artt. 32, comma 1, lett. g) e 122, comma 8. In base alla prima di queste norme, relativamente alle opere sotto-soglia comunitaria (5.278.000 euro), il titolare del permesso di costruire ha la facoltà di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione primaria correlate al singolo intervento assentito. Per quanto concerne invece le opere di urbanizzazione primaria sopra-soglia e quelle secondarie sia sopra che sotto-soglia, la netta presa di posizione prima della giurisprudenza comunitaria e in seguito anche della giurisprudenza costituzionale italiana hanno orientato gli estensori del Codice verso una soluzione che contemperasse la tutela della concorrenza con la possibilità del titolare del permesso di costruire di eseguire direttamente le opere. In tal senso l’art. 32 ha previsto una procedura modellata sulla falsariga del project financing, in base alla quale il titolare del permesso di costruire assume la veste di promotore, elabora la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione sulla quale viene svolta una gara e successivamente ha la facoltà di esercitare il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario, corrispondendogli il valore del 3% dell’ammontare dell’appalto e assumendo, in tal modo, il diritto di eseguire tali opere. La genesi legislativa L’art. 32 del nuovo codice sostituisce l’art. 2, comma 5, della legge n. 109/1994 (legge Merloni), che era stato introdotto dopo la sentenza della Corte CE del 12 luglio 2001 (la cosiddetta Scala bis), con la quale si era affermato il principio dell’affidamento (mediante gara pubblica) dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo quando il valore delle stesse superi la soglia fissata dalla norma comunitaria. Rispetto all’art. 2 della Merloni vi sono alcune differenze di cui è opportuno dar conto. In primo luogo, è assente il riferimento alla locuzione «singole Professioni 47, GENNAIO 2007 11 NUOVO CODICE APPALTI Opere a scomputo degli oneri d’urbanizzazione Le opere di urbanizzazione primaria sotto-soglia (cioè sotto i 5,2 milioni) potranno essere affidate direttamente senza gara al costruttore; per quelle sopra-soglia il titolare del permesso di costruire potrà proporsi come «promotore» del project financing marie quali, ad esempio, la pubblica illuminazione, funzionalmente inscindibili dall’intervento edilizio cui accedono. Ragioni di opportunità, quindi, suggeriscono, in ordine alla loro esecuzione, unitarietà di tempi e realizzazione. La seconda novità riguarda le urbanizzazioni secondarie: per queste opere, anche quando siano di importo inferiore alla soglia comunitaria, sarà necessaria la gara pubblica. ❑ FRANCESCO MARZARI, avvocato Opere di urbanizzazione primaria e secondaria Sono opere di urbanizzazione primaria: pubblica illuminazione; spazi di verde attrezzato; strade; spazi di sosta o di parcheggio; fognature e impianti di depurazione; rete idrica; rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; impianti cimiteriali. Sono opere di urbanizzazione secondaria: asili nido e scuole materne; scuole dell’obbligo; mercati di quartiere nonché strutture complesse per l’istruzione superiore all’obbligo; delegazioni comunali; chiese e altri edifici per servizi religiosi; impianti sportivi di quartiere; centri sociali ed attrezzature culturali e sanitarie; aree verdi di quartiere. Il teatro degli Arcimboldi e il quartiere della Bicocca a Milano, di Gregotti Associati International (foto di Donato di Bello da Progetto Bicocca. Il teatro degli Arcimboldi, Skira, Milano 2004) opere d’importo superiore alla soglia comunitaria». La logica dell’art. 2 era quella di evitare che le diverse urbanizzazioni previste da una convenzione potessero essere considerate, ai fini della soglia comunitaria, una sola opera. Quindi, il privato doveva verificare (in relazione a ogni singola urbanizzazione) se questa raggiungeva, o meno, la soglia. In caso positivo, egli era tenuto ad affidarne a terzi la realizzazione, mediante le procedure indicate dalla Direttiva. L’art. 32 non contiene una previsione analoga. La circostanza non è però decisiva. Infatti, se la suddivisione delle urbanizzazioni non è fittizia (cioè tesa a evitare il raggiungimento della soglia) ma, al contrario, riflette opere realmente autonome, allora è senz’altro legittimo verificare l’importo di ogni singola opera per accertare l’obbligo, o meno, della gara pubblica. Una seconda differenza riguarda il riferimento «a quanto agli interventi assimilabile» contenuto nell’art. 2. Come evidenziato, le disposizioni della Merloni non si applicavano agli interventi eseguiti a scomputo dei contributi di urbanizzazione o conseguenti alla stipula di una convenzione di lottizzazione e «a quanto agli interventi assimilabile». Con questa formula il legislatore si riferiva a quelle opere pubbliche che il privato si impegnava a eseguire, nell’ambito di piani attuativi anche diversi dal piano di lottizzazione. Anche in questo caso la differenza non risulta significativa. Il rinvio che l’art. 32 opera all’art. 28, comma 5, della legge n. 1150/1942 non può essere interpretato restrittivamente come fosse riferito ai soli piani di lottizzazione. I contenuti della convenzione di lottizzazione, infatti, sono comuni a tutti i piani attuativi (dai Programmi integrati d’in- Urbanizzazioni a scomputo, così ha deciso la Corte di Giustizia La pronuncia della Corte del Lussemburgo ha tratto origine da un’ordinanza di remissione del TAR Lombardia, con la quale il giudice nazionale ha chiesto alla Corte comunitaria di verificare la compatibilità tra la legislazione italiana, che consente la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione da parte del proprietario del suolo, e la normativa europea in tema di appalti che, invece, ritiene necessario lo svolgimento di una gara pubblica. La vicenda che ha dato origine al procedimento è scaturita dall’approvazione del Piano di lottizzazione per la riconversione dell’area ex industriale Pirelli a Milano-Bicocca. L’Amministrazione comunale, infatti,aveva approvato,nel 1996,il «Progetto Scala 2001», che prevedeva il restauro e la sistemazione dell’edificio storico del Teatro alla Scala, la trasformazione di alcuni stabili comunali dell’ex Ansaldo in zona Porta Genova e la costruzione di un nuovo teatro (degli Arcimboldi) alla Bicocca. A tal fine, l’Amministrazione aveva approvato una convenzione di lottizzazione con la società proprietaria dell’area ex Pirelli, con l’Ente autonomo Teatro alla Scala e con Milano centrale servizi Spa (MCS) che agiva quale mandataria dei soggetti promotori della lottizzazione. Secondo tale convenzione, MCS si impegnava a realizzare un nuovo teatro e la relativa area di parcheggio come opera di urbanizzazione secon- daria a scomputo dei contributi previsti dalla normativa nazionale e regionale per la nuova edificazione. Le delibere comunali sono state impugnate dall’Ordine degli Architetti di Milano-Lodi con ricorso al TAR Lombardia e sono state contestate in quanto il nuovo teatro avrebbe presentato le caratteristiche di un’opera pubblica di carattere sovracomunale non realizzabile come opera di urbanizzazione secondaria e in assenza di un affidamento nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte dalla normativa comunitaria. Il TAR Lombardia, considerando non manifestamente infondata la doglianza sollevata in relazione alla violazione delle disposizioni sull’assegnazione di lavori pubblici, ha sospeso il giudizio e proposto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, al fine di accertare la normativa prevalente. La Corte di Giustizia ha ritenuto che «la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione secondo le condizioni e le modalità previste dalla normativa italiana in materia urbanistica costituisce appalto pubblico di lavori». Conseguentemente, «nel caso in cui l’importo stimato di un’opera di questo tipo, Iva esclusa, eguagli o superi la soglia fissata dalla direttiva», deve trovare applicazione la normativa comunitaria. ❑ F. M. tervento ai Programmi di riqualificazione urbana). L’art. 32, quindi, si applicherà a tutte le urbanizzazioni previste dagli strumenti attuativi. La prelazione La novità di maggiore rilievo è rappresentata da una gara ispirata al project financing. L’art. 32, infatti, dispone che la Pubblica amministrazione possa stabilire che, relativamente alle urbanizzazioni, il titolare del permesso di costruire assuma la veste di promotore. Entro 90 giorni dal rilascio del permesso, il promotore deve presentare all’Amministrazione la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione ai fini dell’approvazione (anche se, sul punto, la norma tace). Intervenuta l’approvazione, il promotore bandisce la gara per l’esecuzione delle opere, all’esito della quale - purché previsto dal bando di gara può esercitare il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario. A titolo di compensazione, il promotore deve corrispondere all’aggiudicatario il 3% del valore dell’appalto aggiudicato. La norma solleva qualche perplessità nella parte in cui ripropone la prelazione, già censurata dalla Commissione CE in relazione alla disciplina del project financing. La Commissione, infatti, aveva espresso il timore che, riconoscendo la prelazione al promotore, si potesse operare un’indebita restrizione della concorrenza. Le urbanizzazioni sotto soglia e le urbanizzazioni secondarie Per quanto concerne le opere sotto-soglia, l’art. 122, comma 8, prevede, limitatamente alle opere di urbanizzazione primaria, che il titolare del permesso di costruire possa eseguirle direttamente, purché siano correlate al singolo intervento edilizio assentito. La norma ha una portata semplificatrice condivisibile. Si tratta, infatti, d’infrastrutture pri- DOPO IL RICORSO DI CONFEDILIZIA Fascicolo illegittimo La sentenza del TAR Lazio sospende l’obbligo per i proprietari di presentare la certificazione sulla salute degli immobili ROMA. Con la sentenza n. 12320 del 13 novembre, il TAR Lazio ha dichiarato illegittimo il fascicolo di fabbricato istituito dal Comune. Il documento è stato introdotto dalla legge regionale n. 31 del 12 settembre 2002, che consentiva ai Comuni del Lazio d’istituire un fascicolo per ogni fabbricato esistente o di nuova costruzione, per conoscere lo stato di conservazione del patrimonio edilizio e per individuare le eventuali situazioni di rischio. Il Comune di Roma, con delibera n. 27 del 24 febbraio 2004 ha istituito il fascicolo, richiedendo anche i dati sulla situazione geologica, geotecnica e agroforestale dell’area e prevedendo la possibilità che il tecnico incaricato, in caso di necessità, proponesse ulteriori approfondimenti conoscitivi per eseguire interventi idonei a rimettere in sicurezza lo stabile. Secondo i giudici del TAR, il provvedimento comunale è «un inutile dispendio d’attività amministrativa» e una «vana duplicazione di adempimenti in capo ai proprietari», che «sono stati costretti a fornire al Comune atti e notizie sui loro edifici di per sé acquisiti o facilmente conoscibili da parte della P.A.». Immediata la risposta del Comune di Roma, che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per chiedere la sospensiva della pronuncia del TAR. «La sentenza», afferma il Comune, «è contraria agli intendimenti e alla filosofia dell’Amministrazione comunale». L’espressa finalità del fascicolo era quella di approfondire su tutto il territorio le caratteristiche sismiche, geologiche, geotecniche di suolo e sottosuolo e di verificare le condizioni di reti fognarie, impianti, presenza di edificazioni abusive e quanto altro potesse pregiudicare, ove non adeguatamente monitorato, la sicurezza di un edificio. Le condizioni statiche e l’impiantistica dei singoli edifici sarebbero state dunque analiticamente mappate permettendo, se non conformi ai dettami di sicurezza, adeguati interventi di consolidamento e ripristino. Il libretto è stato voluto «per prevenire altre situazioni di pericolo» (si ricorda che la delibera del Comune di Roma fu varata dopo il crollo di una palazzina in cui morirono 28 persone). «La salvaguardia del patrimonio cittadino è una preoccupazione primaria per il Campidoglio». In particolare, poi, il Comune contesta la motivazione del TAR secondo cui il fascicolo sarebbe il duplicato dei dati già esistenti presso l’amministrazione pubblica. «Al contrario, non è il Campidoglio che chiede il libretto casa per avere la documentazione tecnica, ma è il Comune che fornisce ai tecnici incaricati di redigere il fascicolo i progetti e gli atti necessari a completare la documentazione e a effettuare la relazione finale. Il tecnico incaricato poi consegnerà la documentazione ai proprietari e non all’amministrazione, perchè sono loro che li devono tenere e custodire». Indipendentemente dall’esito del ricorso, è comunque deludente il primo bilancio della misura. Solo il 12% dei 100.000 immobili più antichi (costruiti prima del 1940) hanno presentato il libretto casa al Comune, anche se il regolamento regionale ne prevedeva la messa in regola entro marzo 2005. Tra i morosi anche il Campidoglio. ❑ M. S. 12 Formazione ❑ Per aggiornarsi sui giardini storici Partirà il 16 gennaio l’ormai consueto corso di aggiornamento sul giardino storico proposto dal Gruppo Giardino Storico di Padova in collaborazione con l’Università degli Studi. Il corso, giunto alla sua diciassettesima edizione, si intitola «Paesaggi e patrimonio: natura, arte e società» e inizierà i lavori con la presentazione dell’ultimo volume del Gruppo Giardino Storico, «Per un giardino della Terra». Seguiranno una serie di incontri e numerose visite (tra cui quelle a Montagnana e agli orti di Venezia, previste rispettivamente il 31 marzo e il 19 maggio), che si concluderanno tra il 10 e il 17 giugno con il viaggio di studio «Il patrimonio paesaggistico dei Pirenei: il massiccio del Mont Perdu e le politiche di conservazione del patrimonio montano in Francia e Spagna». Per parteciparvi sono necessari l’iscrizione e il versamento di una quota di 85 euro (45 per gli studenti) ([email protected]; http//dept.bio.unipd.it/giardino_ storico). ❑ Cercasi progetti per case sull’acqua La società britannica Corus Construction (specializzata nella produzione e fornitura di manufatti metallici), in collaborazione con Steel Construction Institute, British Constructional Steelwork Association Limited, «The Architect’s Journal» e RIBA Education, ha bandito la diciannovesima edizione della Corus Architectural Student Competition, che si propone di raccogliere idee attorno al tema H2Ouse - Living on the Water. L’obiettivo è l’elaborazione di proposte per case sull’acqua che facciano uso dell’acciaio, siano accessibili al maggior numero di persone possibile e utilizzabili universalmente in caso di disastri di ogni genere. La scadenza d’iscrizione (www.corusconstruction.com/casa) è il 23 febbraio, mentre gli elaborati progettuali dovranno essere inviati entro il 18 maggio. I vincitori, che si divideranno un montepremi di 5.000 sterline, saranno proclamati il 27 giugno presso il RIBA. Sono ammessi alla partecipazione gli studenti di tutte le scuole di architettura britanniche riconosciute dal RIBA e quelli iscritti, a ogni livello, alle scuole di tutta Europa. ❑ Insegnare l’architettura La Topaz Medallion for Excellence in Architectural Education è stata recentemente conferita a Lance Jay Brown. Il prestigioso riconoscimento viene consegnato annualmente dall’American Institute of Architects (AIA) in collaborazione con l’Association of Collegiate Schools of Architecture (ACSA) al docente che si è distinto nell’insegnamento dell’architettura negli Stati Uniti per un periodo di almeno dieci anni. Brown, che ha compito i suoi studi alla Cooper Union e alla Graduate School of Design di Harvard, è architetto urban planner e ha a lungo insegnato presso la School of Architecture, Urban Design, and Landscape Architecture del City College di New York (CCNY), di cui è stato direttore per dieci anni. Fra i suoi scritti si ricordano il «Planning and design workbook for community participation» (1970) e i più recenti studi su Manhattan e New York dopo l’11 settembre, «Between expedience and deliberation: decision-making for post 9-11 New York» (2002) e «Introduction and chapter 2 of learning from lower Manhattan» (2005). IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. WORKSHOP PROGETTUALI: LE «ISOLE DEL TESORO» Gli studenti ripensano il territorio Sette laboratori di progettazione in otto Comuni toscani per sperimentare la pratica architettonica con la guida di giovani professionisti affermati FIRENZE. Le esperienze di lavo- ro sul territorio si stanno affermando come strumento parallelo a un percorso di studi basato su lezioni in aula e libri di testo. Le «Isole del tesoro», organizzato da iMage, promosso dalla Regione Toscana, ha percorso questa strada: come «campus territoriale per la cultura contemporanea» ha puntato sull’intervento diretto in luoghi reali a fini didattici, per suggerire nuove modalità di apprendimento della pratica architettonica, nei nostri atenei spesso slegata dalla realtà. Tra ottobre e novembre si sono svolti, in otto Comuni toscani, sette laboratori della durata di una settimana (aperti a studenti provenienti da tutta Italia e guidati da tutors affermati). L’individuazione delle peculiarità dei territori interessati, tra loro assai eterogenei, e delle tematiche più urgenti ha permesso di scegliere episodi sui quali riflettere e proporre soluzioni. L’identificazione di edifici in disuso, di carenze infrastrutturali o mancanza di spazi ha portato all’ideazione di nuove centralità e strutture. A Capoliveri e Rio nell’Elba (Livorno) la presenza di miniere per l’estrazione del ferro è stata l’occasione per proporne un riuso come parco interattivo, ideato con la supervisione di Idlab. Similmente è avvenuto a Due delle sette proposte progettuali del workshop «Le Isole del tesoro»: quella per Peccioli (tutor Marco Navara - NOWA) e quella per San Giovanni Valdarno (tutor Ian+) San Giovanni Valdarno (Arezzo), dove Ian+ e il suo gruppo hanno riformulato un parco fluviale già potenzialmente presente sul territorio. A San Gimignano (Siena) dall’ex carcere di San Domenico è nato un nuovo spazio teatrale all’aperto, per il quale 5+1AA offrivano tre differenti scenari. Gruppo A12 ha invece guidato gli studenti nel ridisegno del centro di Poggio a Caiano (Prato), puntando su quattro nuove polarità. A Pra- CONCORSI EUROPEI PER STUDENTI Le President’s Medals parlano britannico Una sede per gli archivi di Lord Kelvin, una casa sul Tamigi e uno studio sui CenterParcs si aggiudicano i premi del RIBA, che lancia la Norman Foster Travelling Scholarship Si è conclusa il 6 dicembre con una cerimonia nei locali del Royal Institute of British Architects (RIBA) l’edizione 2006 del RIBA President’s Medals Students Awards, uno degli storici (la prima edizione risale addirittura agli anni cinquanta dell’Ottocento) e più prestigiosi concorsi per studenti di architettura organizzati in Europa. Come ogni anno, i principali premi messi in palio erano tre per tre distinte categorie di partecipazione: la Bronze e la Silver Medal per progetti elaborati rispettivamente da studenti dei primi tre anni di corso e da quelli iscritti ai livelli successivi di formazione universitaria (sono ammesse alla partecipazione le scuole accreditate dal RIBA, che riconosce molte scuole britanniche ma altrettante sparse in giro per il mondo), e la Dissertation Medal per scritti di tema architettonico presentati da studenti di tutti i livelli. A questi si affiancavano numerose segnalazioni e premi messi a disposizione dagli illustri sponsor del concorso: due Serjeant Award for Excellence in Drawing, due Skidmore Owings & Merrill Travelling Fellowship e un iGuzzini Travelling Award. I premi principali sono andati a LONDRA. Sezione prospettica degli archivi Kelvin (Brian Macken), progetto vincitore della Bronze Medal ai President’s R IBA Medals Students Awards studenti di istituti britannici. Ad aggiudicarsi la Bronze Medal è stato Brian Macken (Mackintosh School of Architecture dell’Università di Glasgow), che ha presentato «Kelvin Archive. Rare Books Repository», il progetto di una nuova sede per i grandi archivi del fisico Kelvin posseduti dall’ateneo nel suo campus di Gilmourhill. All’Università di Westminster sono andati invece la Silver Medal, che ha premiato la proposta di Gillian Lambert, e la Dissertation Medal, andata a Timothy O’Callaghan. Lambert, alla quale sono stati conferiti anche un Serjeant Award e un SOM Travelling Fellowship, ha proposto il particolare progetto di una casa sperimentale alla foce del Tamigi, la «House at Gallion’s Reach», in cui la luce e gli specchi giocano un ruolo di primaria importanza nella definizione di 47, GENNAIO 2007 un ambiente dalle atmosfere rarefatte, quasi spettrali, ispirate al romanticismo britannico (al pittore William Turner, ma anche all’architetto John Soane). O’Callaghan ha presentato invece «CenterParcs», lavoro in cui, all’interno di uno studio piuttosto originale a metà fra l’architettonico e il sociologico incentrato sull’attività di uno dei maggiori operatori turistici del Nord Europa (l’olandese CenterParcs), è analizzata, a partire dalla realizzazione dei primi parchi in Olanda secondo le indicazioni di Jaap Bakema, l’evoluzione della formula vacanziera e delle destinazioni proposte. Premi e segnalazioni sono stati conferiti a «From Bundling to Beehive» di Max Wilhelm Kahlen (SOM Travelling Fellowship), «21st Century Symbiotic Farm» di Kumiko Hirayama (Serjeant Award), «This is the Photographer’s Gallery London» di Xenia Adjoubei e «Women’s Refuge, Jagdamba South Delhi» di Angela Hopcraft (iGuzzini). In concomitanza con la premiazione del President’s Medals, il RIBA ha ufficialmente lanciato la prima edizione del Norman Foster Travelling Scholarship, il primo premio «di viaggio» dedicato agli studenti messo a disposizione dal prestigioso architetto britannico. In palio 6.000 sterline, che consentiranno al vincitore, iscritto a una delle 98 scuole accreditate dall’istituto britannico, di elaborare, compiendo un viaggio nella prossima estate, il progetto o il tema di ricerca presentato alla selezione (www.presidentsmedals.com; www.fosterandpartners.com). ❑ LAURA MILAN to, con Carlini e Valle si è istituito un confronto con una singolare crescita demografica, in una città che si relaziona quotidianamente con culture differenti: l’esito è un complesso scolastico con spazi per bambini e d’incontro per gli adulti. Peccioli (Pisa) presentava contraddizioni territoriali dove episodi di arte di Benozzo Gozzoli convivono con emergenze ambientali come la discarica di Legoli: il gruppo di Marco Navarra (NOWA) ha offerto un quadro paesaggistico quale sintesi delle diverse istanze territoriali. A Lastra a Signa (Firenze), Ma0 ha ripensato il collegamento della stazione appena inaugurata per una sua migliore fruizione da parte di pedoni e ciclisti. Dal 5 al 21 dicembre gli esiti dei 7 laboratori erano in mostra a Firenze presso lo Spazio espositivo di Santa Verdina (SESV). Un al- lestimento insolito e minimale prevedeva due sabbiere al piano terreno, sulle quali scorrevano immagini dei progetti. Su un tavolo, al piano superiore, sette brochures riassumevano le proposte progettuali, ognuna corredata di segnalibro digitale. Secondo una consuetudine negli allestimenti di iMage, una mappa delle «Isole del tesoro» ricopriva il tavolo: sfiorando con l’apposito segnalibro una croce, uno schermo proiettava le immagini del relativo progetto. Anche in Toscana il ruolo attivo dei Comuni, la partecipazione dei cittadini, la supervisione da parte di professionisti esperti e consulenti con conoscenza personale dei territori hanno portato in primo piano la necessità di rivedere il ruolo dell’architettura e del suo insegnamento, al di fuori delle sedi usuali (www.leisoledeltesoro.it). ❑ DARIA RICCHI ❑ Come l’università trasforma la città Il progetto del nuovo Polo delle Facoltà umanistiche di Norman Foster, la nuova Scuola per le Biotecnologie in via Nizza, la Cittadella Politecnica, le prime ipotesi per il nuovo centro del design di Mirafiori. A questi e altri progetti è dedicata la mostra che l’Urban Center Metropolitano di Torino presenta in occasione della XXIII Universiade Invernale Torino 2007 (17-27 gennaio).Allestito nella nuova manica del Politecnico, il percorso della mostra si snoda attraverso il racconto dei diversi progetti e una campagna fotografica di Michele D’Ottavio. Una sezione più circoscritta della mostra sarà replicata anche nell’atrio di Palazzo Nuovo, in via Sant’Ottavio. Progettata da Urban Center Metropolitano, in collaborazione con il Gruppo A12, la mostra anticipa il futuro allestimento dello spazio espositivo permanente dell’Urban Center che sarà in funzione a partire da marzo. Sempre nell’ambito del vasto programma di eventi legati all’Universiade, Urban Center Metropolitano organizza visite guidate nei nuovi poli universitari e un ciclo di conferenze dedicate ai nuovi progetti di edilizia universitaria in Europa e nel mondo. Inaugurazione il 12 gennaio alle ore 18. www.urbancenter.to.it ❑ L’estimo guida Architettura 2 a Torino Rocco Curto, professore ordinario di Estimo, è stato recentemente eletto nuovo preside della II facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. L’elezione si era resa necessaria a causa della prematura scomparsa di Vera Comoli Mandracci, avvenuta nel luglio scorso. Prolifica autrice e curatrice di numerosi saggi di storia dell’architettura,Vera Comoli Mandracci era docente di Storia dell’urbanistica, direttrice della Scuola di specializzazione in Storia, analisi e valutazione dei beni architettonici e ambientali e coordinatrice del dottorato di ricerca in Storia e critica dei beni architettonici e ambientali (ora confluito all’interno del dottorato in Storia e valorizzazione del patrimonio architettonico, urbanistico e ambientale). IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 ❑ Un edificio universitario menzionato all’Equerre d’argent 2006 L’ampliamento del campus di Jussieu dell’Università parigina Pierre e Marie Curie, che propone diverse lauree a carattere prettamente scientifico (tra cui vari corsi in Ingegneria), è stato recentemente insignito della menzione speciale dal prestigioso premio di architettura francese Equerre d’argent (edizione 2006).L’edificio, esito di un concorso bandito nell’ottobre 2002 e terminato nel giugno scorso, è stato realizzato in cemento armato, metallo e vetro secondo il progetto di Périphériques Architectes (formato da Emmanuelle Marin, David Trottin e Anne-Françoise Jumeau), e amplia l’università rendendo disponibili ulteriori 17.000 mq che ospitano una biblioteca, diverse aule, spazi per lo studio e uffici.L’esterno è caratterizzato da un involucro pressoché continuo di pannelli forati in alluminio anodizzato, e da una particolare soluzione cromatica che connota le vetrate delle grandi finestre che stanno dietro la griglia metallica (nella foto in alto, © Luc Boegly). Il colore contraddistingue anche l’interno, organizzato attorno a un atrio a tutt’altezza attraversato da passerelle (nella foto sopra, © Luc Boegly), sul quale si aprono i diversi spazi didattici, ciascuno individuato da uno specifico colore. ❑ Messina amplia il campus con la nuova sede di Ingegneria L’Università di Messina ha aggiunto un nuovo edificio alle sue strutture: una nuova sede per la facoltà di Ingegneria. Realizzato appena fuori il centro abitato,l’ampliamento è stato progettato da Marcello Rebecchini in collaborazione con Antonello Di Stefano e si compone di tre corpi principali collegati da passerelle sopraelevate, la cui disposizione e planimetria seguono l’altimetria irregolare del terreno (nelle foto). I tre edifici ospitano: una struttura dipartimentale, che distribuisce laboratori didattici e di ricerca,aule, biblioteche, uffici del personale docente e aule studio; una struttura didattica che ospita aule multimediali, la biblioteca generale e l’aula magna; una residenza universitaria che mette a disposizione degli studenti camere singole e spazi comuni. L’aspetto esterno e le finiture sono essenziali, con predominanza di tinte chiare (bianco e grigio) interrotte solo dalle aperture vetrate e dal rosso mattone dei muri che, alla base del complesso, cingono alcuni dei percorsi. Gli elementi oscuranti delle aperture sono costituiti da frangisole in alluminio, materiale utilizzato anche nei rivestimenti delle pareti. ❑ Mendrisio presenta Mosca L’Accademia di Architettura di Mendrisio prosegue la serie di mostre, realizzate con il sostegno dalla Commissione svizzera per l’Unesco, aventi per soggetto alcune metropoli del mondo emergente. Nello spazio espositivo inaugurato da circa un anno,fino al 25 gennaio è di scena «Mosca ieri oggi e domani», mostra curata dalla direttrice del Centro di Architettura contemporanea di Mosca Irina Korobina che, presentando il recente fenomeno «New Moscow 4», descrive la crescita della capitale post-socialista negli ultimi 15 anni e dedica, all’interno di un apposito spazio, una sezione ai risultati del workshop internazionale di progettazione urbana «Arch-Descent», organizzato dal Centro di Architettura contemporanea di Mosca nell’estate 2006 (www.arch.unisi.ch; nella foto, la Cattedrale del Redentore, realizzata su progetto dell’architetto Konstantin Ton nel 1912, ricostruita dall’architetto Mihail Posokhin nel 2000). Formazione 13 Al Politecnico di Milano l’impresa entra in università Inaugurato il 15 novembre scorso, all’interno del campus Bovisa, l’atelier Avantgarde, una tecnologica torre che ospita spazi al servizio soprattutto degli studenti di Architettura: un punto informativo, aule studio, uffici e una sala riunioni multimediale. La costruzione, alta 15 metri e suddivisa internamente in quattro piani, è stata realizzata su progetto dello studio Archea,che si è ispirato alla «torre di Milano» ideata da Ignazio Gardella nel 1934. L’edificio è il primo elemento tangibile di un programma più ampio, l’ate- lier Avantgarde, che vede impegnati il Politecnico di Milano e una serie d’imprese attive nel campo dell’edilizia e delle costruzioni (tra cui il Gruppo Archés, la Fisher, Euroholz e Tecnoimage, che hanno consentito la costruzione della torre fornendo consulenza e materiali per la sua realizzazione) con l’obiettivo di avvicinare attraverso collaborazioni, corsi, borse di dottorato e offerte di tirocinio e stages destinate agli studenti del Politecnico, il mondo accademico e il mondo produttivo. (www.atelieravantgarde.it) 14 Concorsi IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 Lettera al giornale L’ESITO DEL CONCORSO D’IDEE PER IL NUOVO TRIBUNALE DI PARIGI Sul concorso per il nuovo Tribunale di Trento Un palagiustizia che rimarrà sulla carta? Pubblichiamo la lettera aperta inviata da Guido Masè al Presidente della Giunta provinciale di Trento e alla stampa Ho partecipato al concorso per il nuovo Polo giudiziario di Trento, quale «esperto locale e referente operativo» in un gruppo di progettazione romano. In quell’ambito, studiando gli aspetti edili e urbani dell’area a concorso, ho avuto modo, tra l’altro, di visitare il complesso carcerario e di scoprirne la straordinaria bellezza, nascosta ai più, per evidenti ragioni. Purtroppo, il bando non prevedeva la conservazione dei manufatti di pena, ma soltanto del Tribunale.Anzi, nei materiali allegati si è addirittura omesso di rappresentare, negli appositi rilievi della situazione esistente, la stessa configurazione fisica del Carcere. Ho potuto superare questa carenza ricostruendo «a memoria», dopo la visita, un rilievo qualitativo riferito dimensionalmente alla planimetria Una sezione delle carceri di Trento e un disegno del progetto vincitore, nel gennaio scorso, per il nuovo Tribunale (gruppo guidato da Pierluigi Nicolin) dei tetti, allegata al bando. Avendo verificato la qualità edilizia e architettonica del complesso carcerario, la sua straordinaria essenzialità e la sorprendente adattabilità e permeabilità, ho proposto al gruppo di lavoro di prendere in considerazione l’istanza di conservazione fisica e di riuso degli edifici del Carcere: a tal fine, abbiamo formulato una prima ipotesi di recupero. La giuria non ci ha classificato tra i primi dieci e perciò non abbiamo potuto approfondire e sostanziare l’istanza di conservazione e reinterpretazione degli straordinari edifici. D’altro canto, visto che nessun altro progetto, nemmeno quello vincitore,ne ha proposto la conservazione (secondo il bando),mi permetto di proporre al professor Pierluigi Nicolin (al quale suggerisco di visitare il complesso), all’ente banditore e alla cultura e sensibilità di tutti i cittadini, prima che sia troppo tardi, l’ipotesi di non abbattere, ma di recuperare gli edifici carcerari. Credo si debba evitare la tabula rasa, che sarebbe - se possibile - ancora più grave di quella della distruzione totale dell’ex Michelin, sempre a Trento. Credo si sarebbe dovuto lasciare ai progettisti la facoltà di studiare il patrimonio, per vedere, preliminarmente, ciò che esso «suggeriva» e regolarsi di conseguenza, ottemperando alle richieste del bando. Coevo e organicamente connesso al Palazzo di giustizia, interamente costruito in pietra di Trento, con volte a botte e pavimenti in lastroni identici a quelli dei corridoi del Tribunale, il Carcere denota un deciso impianto tripartito a «E», con il corpo centrale a classica «navata» carceraria a tutt’altezza e «cappelle» (celle) ai due lati su più livelli, servite da ballatoi in lastroni su mensoloni in pietra.Tre grandi lucernari illuminano dall’alto lo spazio centrale e un finestrone in vetro policromo sull’intera parete di fondo del lato occidentale filtra la luce pomeridiana. L’impianto assiale del complesso è concluso a oriente dalla chiesa su due livelli, sottopassata a piano terra dall’atrio storico di accesso. Devo dire che a me rimane inspiegabile l’idea di cancellare totalmente questo manufatto, che - se evidentemente non risponde alle attuali modalità di detenzione e ai criteri di localizzazione sembra agevolmente ed efficacemente convertibile ad altre destinazioni, all’interno del nuovo Polo. Il Carcere è stato inaugurato nel 1880 dal Kaiser Francesco Giuseppe, come ricordano le foto d’epoca e documentano i disegni originali. Era progettato secondo un caratteristico modello asburgico, che ha visto altre realizzazioni analoghe, a Bolzano e a Rovereto. Salvare le Carceri è possibile soddisfacendo pienamente le esigenze del nuovo Polo giudiziario, come esposte nel bando, è opportuno per la qualità architettonica degli spazi realizzabili ed è doveroso, a mio avviso, per il rispetto che non può venir meno verso manufatti che, mentre testimoniano la storia dei luoghi, consentono, qualora interpretati con l’amore e la competenza che meritano, le migliori soluzioni per il futuro. Spero veramente, signor Presidente, che Lei riesca a far conservare questo manufatto, bello di suo, documento che rappresenta e testimonia la storia di Trento e che può diventare un’interessantissima «rocca» nel cuore della Cittadella, un «nocciolo» centrale di memoria, di incontro e di dialogo. Curiosamente, questo luogo di reclusione e di pena potrebbe diventare - conservando le strutture portanti, modificando le strutture chiudenti ed eliminando le superfetazioni senza valore - un insieme di volumi ariosi e permeabili, quanto solidi e spazialmente ricchi, che consentiranno soluzioni architettoniche valide, moderne e rispettose delle strutture antiche. ❑ Guido Masè, Dipartimento di Pianificazione - Università IUAV La conclusione del procedimento non placa le polemiche sull’idoneità del sito prescelto PARIGI. Sono 275 i gruppi che hanno partecipato al concorso d’idee per il nuovo Palazzo di giustizia, lanciato nello scorso luglio dall’Etablissement public du Palais de justice de Paris (EPPJP). La giuria, presieduta da Massimiliano Fuksas e composta, tra gli altri, da Dominique Perrault, Rudy Ricciotti, Benedetta Tagliabue e Bernard Tschumi, ha assegnato a fine novembre tre premi da 40.000 euro per la categoria professionisti (allo spagnolo Josep Fosep, ai francesi 3 Box e agli olandesi Fernando Donis e Katrin Betschinger), oltre a cinque premi da 10.000 euro per la categoria studenti. Tra i numerosi gruppi di progettazione italiani che hanno partecipato alla consultazione, quello guidato da Paolo Mezzalama ha ricevuto una delle sette menzioni speciali della giuria. Una selezione dei progetti giudicati migliori è esposta fino al 7 gennaio alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine, presso il Palais de Chaillot, e sarà oggetto di una pubblicazione, con l’obiettivo di ripercorrere la complessa vicenda del futuro Tribunale, di cui si è cominciato a parlare ben prima del lancio dello stesso concorso d’idee. Risale al 2003, infatti, la costituzione dell’EPPJP, con la missione d’individuare una sede più adeguata al Tribunale delle Grandi Istanze, troppo allo stretto nell’attuale edificio sull’Ile de la Cité. Inizialmente si pensò di riutilizzare due siti ospedalieri: il centralissimo Hôtel Dieu e il Saint Vincent de Paul. Entrambe le opzioni furono scartate dalla municipalità parigina che suggerì d’insediare il Tribunale nel quartiere Paris Rive Gauche, zona a sudest in piena mutazione urbana. Cominciarono gli studi di fattibilità su diverse aree ancora disponibili, tra cui quelle di Tolbiac- In senso orario, i tre vincitori del concorso per la categoria professionisti: lo spagnolo Josep Fosep, i francesi 3 Box e gli olandesi Fernando Donis e Katrin Betschinger Freyssinet e Masséna - Rives de Seine. A fine 2005 restavano in gioco solo questi due siti: il primo prediletto dallo Stato, il secondo caldeggiato dalle autorità locali. Secondo l’EPPJP, portavoce dello Stato, il sito di Tolbiac sarebbe più adatto perché disponibile in tempi brevi, facilmente accessibile e adiacente alla prestigiosa Bibliothèque Nationale realizzata nel 1996 da Dominique Perrault. Installare il Tribunale su questo sito potrebbe anche essere l’occasione per valorizzare la Halle Freyssinet, interessante esempio di architettura industriale realizzato nel 1927 dall’omonimo ingegnere. Il sindaco Delanoë ha però altri progetti per questo settore e non intende rimetterli in questione. Nel 2004, infatti, ha incaricato l’architetto Pierre Gangnet di realizzare 90.000 mq di abitazioni e 100.000 mq di uffici intorno a un parco di 15.000 mq. Per questo la municipalità spinge L’opinione di Fuksas, presidente della giuria Il lavoro della giuria è stato intenso: in tre giornate avete visionato 275 progetti. Quali sono stati i criteri di scelta? Grande attenzione è stata data al trattamento della Halle Freyssinet per il suo ruolo urbano, anche di memoria storica. A Parigi restano pochissimi esempi di architettura industriale e questo è eccezionale, visto il suo perfetto stato di conservazione. Il bando lasciava ai progettisti piena libertà in merito al trattamento della Halle. Le risposte dei progetti selezionati sono molto diverse, ma nessuno ha proposto di demolirla: il progetto spagnolo vi aggiunge una quarta navata, quello degli olandesi, più radicale, la mantiene affiancandole un volume decisamente contemporaneo. Credo che ciò dimostri una nuova presa di coscienza rispetto al patrimonio del passato: una forma di rispetto che non impedisce di sperimentare. Una questione importante era anche il nuovo ruolo dato alla Halle: alcuni progetti vi hanno integrato una parte del Tribunale; altri, come il premiato 3Box, hanno proposto di utilizzarla come spazio pubblico. Il sito di Tolbiac-Freyssinet è situato tra il nuovo quartiere di Paris Rive Gauche, dominato dalla Grande Bibliothèque, e la parte storica del XIII arrondissement, con il quartiere di edilizia popolare Les Olympiades, degli anni sessanta. La presenza del tracciato ferroviario crea una differenza di livelli che contribuisce alla loro separazione. Che attenzione hanno dato i progettisti alle questioni urbane? Le soluzioni proposte sono molto più urbane che architettoniche. I progetti selezionati hanno dimostrato di avere una visione urbana che va oltre l’oggetto in sé. Oggi l’architetto deve saper gestire la grande dimensione: una metropoli come Parigi esige una risposta a grande scala. Questo concorso è stato molto interessante da questo punto di vista, perché ha mostrato come le nuove generazioni prestino grande attenzione alle questioni urbane. ❑ C.M. per il sito di Masséna, situato al confine con il comune di Ivry: l’insediamento del Palazzo di giustizia sarebbe un’occasione da non perdere per dare il via a un’importante operazione di riqualificazione urbana, che potrebbe diventare l’emblema del riavvicinamento tra la capitale e uno dei suoi comuni limitrofi. Questa proposta non ha però incontrato grande successo. I magistrati si sono detti scandalizzati alla sola ipotesi di abbandonare la prestigiosa sede attuale a pochi passi da Notre Dame per un’ex area industriale ai margini della città. L’EPPJP ha ugualmente espresso parere negativo, additando ragioni di accessibilità, di sicurezza e d’immagine. Nel tentativo di porre fine a un estenuante braccio di ferro e con l’obiettivo di allargare il consenso intorno al sito Tolbiac-Freyssinet, l’EPPJP ha poi lanciato il concorso d’idee, sostenuto dai ministeri della Giustizia e della Cultura. Il successo mediatico dell’operazione non sembra però aver fatto cambiare idea al sindaco. In un lapidario comunicato stampa diffuso poco prima dell’annuncio dei risultati del concorso, affermava che lo Stato non avrebbe potuto imporre la sua decisione senza l’accordo della città di Parigi e che la municipalità avrebbe portato avanti i propri progetti sul sito di Tolbiac lanciando una nuova consultazione di architetti.Il concorso non sembra quindi aver sbloccato la situazione e il 2012, data prevista per il trasferimento dei magistrati nella nuova sede, sembra sempre più vicino. ❑ CHIARA MOLINAR ❑ Intanto, Mayne sbarca alla Défense Una giuria internazionale ha designato lo studio americano Morphosis (fondato dal vincitore del premio Pritzker 2005 Thom Mayne) vincitore del concorso per la realizzazione della «Tour phare», grattacielo alto 300 m che sarà il simbolo del rinnovamento del quartiere d’affari parigino. Il 25 luglio scorso l’Etablissement Public d’aménagement de la Défense aveva promosso un piano di rilancio che prevede, oltre a numerose demolizioni e ricostruzioni, la realizzazione di 450.000 mq di nuovi uffici entro il 2013. Prima realizzazione di Mayne in Francia, il grattacielo (nel disegno) si vuole esemplare in termini di sostenibilità ambientale: la forma dell’edificio e il trattamento delle facciate sono state studiate per meglio intercettare la traiettoria del sole, mentre sul coronamento dell’edificio saranno posizionate delle turbine eoliche necessarie ad attivare un sistema di ventilazione naturale che permetterà un notevole risparmio energetico. La realizzazione è prevista per il 2012 e il costo stimato sfiora i 900 milioni, per un totale di 130.000 mq di superficie utile. Alla consultazione, lanciata dal promotore immobiliare Unibail, hanno partecipato anche nove noti architetti europei: Jacques Ferrier, Norman Foster, Massimiliano Fuksas, Manuelle Gautrand, Herzog & de Meuron, Rem Koolhaas, Nicolas Michelin, Jean Nouvel, Dominique Perrault. Tutti i progetti saranno esposti dal 15 gennaio al 3 febbraio alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine (Palais de Chaillot). ❑ C. M. ❑ 396 metri di altezza per 600 milioni di dollari a San Pietroburgo Si è concluso il concorso a inviti per la costruzione della nuova sede della Gazprom a San Pietroburgo, sulla sponda della Neva opposta al centro storico. Gli inglesi RMJM hanno sbaragliato la concorrenza degli studi di Koolhaas, Nouvel, Fuksas, Herzog & de Meuron, Libeskind. Fortemente osteggiata dall’intellighenzia locale, dall’opinione pubblica e dagli organi rappresentativi degli architetti russi, che hanno boicottato la competizione temendo una nuova Dubai, la realizzazione del progetto vincitore è prevista entro il 2012. Nella fase finale, Kisho Kurokawa ha abbandonato la giuria, in dissenso con i progetti in gara, accomunati dalla ricerca di altezze fuoriscala rispetto allo skyline urbano. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. BARCELLONA. È stata recentemente inaugurata nel quartiere di Barceloneta, che ospitava nell’Ottocento la prima industria di gas spagnola, la nuova sede del Grupo Gas Natural, realizzata da EMBT Arquitectes Associats in seguito a un concorso dell’ottobre 1999. In occasione del Marmomacc, svoltosi alla Fiera di Verona, abbiamo incontrato Benedetta Tagliabue, titolare dello studio dopo la scomparsa del marito Enric Miralles. Come avete pensato la nuova sede del Gas Natural e come si pone nel contesto di Barcellona? È un edificio dai volumi complessi, che consente punti d’osservazione differenti. Il problema era come renderlo unitario: siamo ricorsi a una «pelle» costituita da cinque tipi di vetro tra cui alcuni deformanti, che permettono all’edificio di «vibrare» con la luce, accentuando l’effetto di metamorfosi urbana. Per quanto l’edificio non sia altissimo, il cliente voleva un segno urbano distintivo, che abbiamo espresso attraverso una torre molto snella, di venti piani, con funzione di landmark. Un volume in aggetto orizzontale, collocato tra il quinto e il decimo piano, accentua la relazione con il contesto. Per un effetto ottico, già intuito costruendo il modello, le proporzioni della torre e la frammentazione dei volumi fanno sembrare l’edificio molto più alto, in certi casi addirittura più dei grattacieli della Città Olimpica. Che significato riveste l’attività legata ai concorsi e com’è organizzato a riguardo lo studio? Abbiamo sempre partecipato a moltissimi concorsi, tanto che Concorsi 47, GENNAIO 2007 INTERVISTA A BENEDETTA TAGLIABUE Progetti al femminile A partire da una recente realizzazione a Barcellona, l’architetto riflette sul proprio ruolo di concorrente e giurata in molte competizioni internazionali quasi tutti gli edifici da noi realizzati derivano da gare vinte. Abbiamo partecipato a molti concorsi in Italia (Napoli, Brescia, Rapallo) con risultati negativi, tranne che per la facoltà di Architettura di Venezia, a cui stavamo lavorando quando è morto mio marito, che tuttavia non è stata realizzata. Di recente abbiamo partecipato al concorso per il padiglione Arcelor a Lussemburgo e a quello per la riqualificazione dell’area portuale di Amburgo. Nel mio studio non esiste un settore destinato ai concorsi, perché credo di più nel coinvolgimento organico di tutti coloro che lavorano con me nell’intero spettro di tematiche che affrontiamo. In questo modo, i capi-progetto diventano anche capi-concorso, e questa è un’opportunità di crescita molto importante, dato che un progetto di concorso è il vero momento dell’innovazione e della sperimentazione. Per questo partecipo a molte giurie, di cui le due più recenti a Parigi. Nel primo caso si trattava del concorso per una torre alla Défense, vinto da Morphosis. Far parte di una giuria non solo consente di capire in modo estremamente diretto come lavorano gli altri architetti, ma anche di venire a contatto con persone esterne al nostro mondo, fondamentali per la realizzazione di opere che l’opportunità di confrontarmi con giuristi, politici, immobiliaristi, in una grande interdisciplinarità. E questo dimostra, anche, come l’architettura non sia un fatto «interno» ma sociale e politico. Benedetta Tagliabue sullo sfondo della nuova sede del Grupo Gas Natural a Barcellona (foto di Felipe Alonso) coinvolgono l’intera città. Per questo, il risultato di un concorso è sempre un compromesso tra varie esigenze, che ti costringe a spiegare il tuo punto di vista e nello stesso tempo a modificarlo, cosa che trovo molto positiva. Ad esempio, grazie all’altra giuria parigina, quella del concorso d’idee per il nuovo Tribunale, ho avuto In questo contesto, verso quali prospettive si sta indirizzando l’architettura, anche grazie alla diffusione mediatica che ha conosciuto negli ultimi anni? Credo che l’architettura abbia sempre seguito i passi della società: noi architetti non siamo molto liberi in questo senso, dobbiamo offrire quello che chiedono i tempi. Per l’architettura, diventare mediatica era una necessità, perché era molto importante riaffermarne il ruolo rappresentativo, soprattutto in un momento in cui le grandi compagnie, diventando sempre più gigantesche e sempre meno identificabili, devono ricorrere all’architettura come strumento di valorizzazione. La Biennale di quest’anno, del resto, ha raccontato abbastanza bene quale è, oggi, il tema centrale: quello sociale, delle città. Se la Biennale di Kurt Forster è stata una successione di architetture pensate come pezzi unici, quella di Burdett ha posto il problema opposto: con la sua visione della città «dall’alto» ci si domanda se le città si facciano da sole. E questa è stata un po’ la bugia della sua Biennale, o forse la sua incapaci- 15 tà di raccontare il mondo attuale, in cui tutto è voluto e progettato a livello politico. Io non so quanto possa fare l’architettura per rispondere a tali quesiti e, dunque, verso quali prospettive si dirigerà, ma sicuramente deve essere cosciente di questa difficoltà riscontrabile a livello mondiale, delle città che si pongono sempre più come luogo di enormi povertà. Il Padiglione spagnolo della Biennale era dedicato alla presenza femminile in architettura. Le donne cominciano ad assumere anche ruoli di primo piano nella realtà professionale. Credo che dovremmo cercarne le radici nella consapevolezza che il ruolo sociale della donna è sempre stato fortissimo. Nella società patriarcale le donne gestivano famiglie più numerose di un’intera impresa, anche se il loro ruolo non era socialmente riconosciuto. Credo che la donna, oggi, introduca nel mondo del lavoro la sua capacità millenaria di smussare gli angoli, di creare un’atmosfera «familiare». Forse questo avviene anche a livello progettuale. Si tratta, più che altro, di un desiderio di accettare le contraddizioni del contesto integrandole. Quando è morto mio marito, perfino i miei collaboratori in studio mi chiedevano: «E adesso che cosa facciamo?». «Andiamo avanti», rispondevo io. Se, però, qualcosa nella mia progettazione sta veramente cambiando, saranno i progetti a dirlo, non si tratterà certo di una decisione presa a priori. Si vedrà, dunque, solo tra un certo numero di anni dato che, soprattutto in architettura, le dinamiche del mutamento sono lente, graduali e continue. ❑ Intervista di ELENA FRANZOIA 16 Concorsi IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Gli altri 9 progetti finalisti 47, GENNAIO 2007 IL CONCORSO PER PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA Nuova scena urbana per il Mausoleo rivisitato Il gruppo di Francesco Cellini riplasmerà lo spazio intorno alla tomba di Augusto Dall’alto in basso (nomi dei capigruppo): Jose Ignacio Linazasoro, Marco Navarra, Salvador Perez Arroyo, Francis Soler, Paolo Rocchi, Franco Purini, Paolo Desideri, Donatella Fiorani e Marco Dezzi Bardeschi ROMA. Si è concluso con l’assegnazione del primo premio al gruppo guidato da Francesco Cellini il concorso internazionale per la riqualificazione di piazza Augusto Imperatore. Indetta nell’ambito delle politiche d’intervento nel centro storico capitolino promosse dalla giunta Veltroni, con leit motiv individuato nella creazione di sistemi pedonali all’interno delle mura Aureliane, la gara ha visto la partecipazione di 48 proposte nella prima fase, tra cui sono stati selezionati nel luglio scorso dieci raggruppamenti per quella conclusiva. Nella rosa dei finalisti figurano, oltre al vincitore, i gruppi guidati rispettivamente da Paolo Desideri, Marco Dezzi Bardeschi, Donatella Fiorani, Jose Ignacio Linazasoro, Marco Navarra, Salvador Perez Arroyo, Franco Purini, Paolo Rocchi e Francis Soler. Una prevalenza italiana, e romana in particolare, per un tema che interseca archeologia, restauro e progetto urbano, in un luogo in cui il rapporto tra memoria, architettura e forma della città è singolarmente contrastato. A partire dall’intervento di Vittorio Ballio Morpurgo, che in pieno regime fascista isolò il Mausoleo, con demolizioni e ricostruzioni da cui risultano gli attuali due lati porticati, piazza Augusto Imperatore è rimasta un luogo frammentario e marginale a dispetto della centralità, fisica e simbolica. E in tempi recenti, sulla risistemazione della piazza si è concentrata l’attenzione con dibattiti e proposte. Il carattere composito dei gruppi partecipanti, in cui figurano progettisti (un presumibilmente spaesato Peter Cook compare in quello di Perez Arroyo), esperti di restauro, storici dell’arte e archeologi, non sorprende a fronte di un bando centrato non solo sulla rivisitazione dell’invaso della piazza e degli spazi attigui, dal Tevere a via del Corso, dall’Accademia di Belle Arti a via Tomacelli, ma anche sulla riqualificazione del Mausoleo e della tomba di Augusto, monumento giudicato dallo stesso bando «privo di dignità, identità e carica simbolica» nella sua configurazione attuale. La restituzione di questi caratteri «almeno in parte e per via evocativa» è stata la prima richiesta rivolta ai concorrenti, in un programma su cui pesa l’incognita di ulteriori scavi in previsione. Gli altri due temi chiamati in causa, la riqualificazione del contesto storico del monumento e quella dello spazio pubblico circostante, hanno aggiunto ulteriore complessità a un tema in sé difficile. Senza omettere la presenza ingombrante della quinta della piazza rivolta verso il Tevere, coincidente con il Museo dell’Ara Pacis recentemente portato a termine su progetto di Richard Meier, con una coda di discussioni rara nella storia dell’architettura contemporanea in Italia, Pianta e schizzo prospettico del progetto vincitore per estensione e carica polemica. Con il motto «Urbs et civitas» il progetto vincitore propone la creazione di un continuum - definito piazza teatro - tra la via di Ripetta e l’abside della chiesa di San Carlo al Corso, mediando i dislivelli attraverso una doppia pendenza cordonata, convergente alla quota più bassa sull’ingresso monumentale al Mausoleo, attorno a cui viene lasciato un anello libero. All’interno di quest’ultimo è previsto un labirinto di siepi in vasche, a evocare le strutture murarie, oltre all’eliminazione della copertura della cripta, inserita alla fine degli anni venti del Novecento. Il costo previsto per la realizzazione si aggira sui 20 milioni, cui se ne aggiungono 2 per gli interventi archeologici. Nel folto gruppo di firmatari, con una forte componente accademica ma curricula diversificati, compaiono tra gli altri, oltre a Cellini, preside della facoltà di Architettura di Roma Tre, Mario Manieri Elia, già ordinario nella stessa e consulente del Comune di Roma per il PR, Carlo Gasparrini, ordinario a Napoli, Renato Nicolini, assessore alla Cultura a Roma tra fine anni settanta e inizio ottanta e ordinario a Reggio Calabria. Innovazione rispetto allo spazio pubblico e conservazione rispetto al monumento sono state le parole d’ordine su cui si basa il progetto, intercettando piani altrimenti difficili da trattare unitariamente. Proprio riconoscendone la migliore capacità di rispondere alla molteplicità di tematiche in gioco, la giuria presieduta da Francesco Venezia e comprendente, tra gli altri, Manuel de Solà Morales, Philippe Daverio e Francesco Garofalo, ha decretato il successo del raggruppamento, a conclusione di un percorso che ha visto quest’estate una polemica, suscitata dall’esclusione dalla seconda fase concorsuale del gruppo di Carlo Aymonino, Leonardo Benevolo, Paolo Marconi e Paolo Portoghesi, la cui proposta di ricostruzione del porto di Ripetta è stata ritenuta estranea al bando. Fino al 7 gennaio i progetti finalisti sono in mostra presso il Museo dell’Ara Pacis. ❑ MANFREDO DI ROBILANT ❑ Piazze rinnovate per Catania È stato pubblicato il 23 novembre l’esito del concorso «Piazze Botaniche», bloccato per problemi procedurali di ordine burocratico (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 45, novembre 2006, p. 16). La chiusura della seconda e ultima fase ha visto assegnare (fra 359 partecipanti iniziali) i primi premi ai progetti preliminari redatti rispettivamente da Giovanni Fiamingo per piazza Montessori, da Massimo Mortelliti per piazza Santo Spirito, Luigi Pellegrino per Piazza Santa Maria di Gesù da Giancarlo Leone e Luta Bettonica per piazza Michelangelo (nel disegno) e dal gruppo guidato da Roberto Forte per piazza San Leone. 18 Tecnologie e materiali IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 SECONDA EDIZIONE DEL FORUM CONSTRUCTA Pareti ad acqua per il comfort ambientale Martin Haas, dello studio Behnisch und Partners, parla del nuovo polo per Uffici comunali e sede dell’ARPA in progetto a Ravenna RAVENNA. Gli studi Behnisch und Partners di Stoccarda e Politecnica ingegneria e architettura di Modena, riuniti in un’Associazione temporanea di imprese, firmeranno la realizzazione del nuovo polo che ospiterà gli Uffici comunali e la sede dell’ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale), su una superficie utile totale di 10.450 mq. Il cantiere partirà nei prossimi mesi, per un importo di 16,5 milioni. Il progetto parte dall’idea d’integrazione con il territorio collinare circostante attraverso la realizzazione di un complesso organizzato in edifici dalle forme decostruite. Gli studi progettuali sono partiti dall’analisi dei dati climatici (temperatura e umidità relativa nelle diverse stagioni) per valutare le potenzialità di sistemi di climatizzazione passiva, attraverso le simulazioni svolte da Transsolar, studio di progettazione e consulenze energetiche con sedi a Stoccarda, Monaco e New York. Tali indagini si sono tradotte nell’impiego di diversi sistemi in sinergia tra loro. Gli edifici presentano uno spazio destinato ad atrio in cui è previsto un sistema Vista prospettica e sezione del nuovo polo per uffici, progettato da Behnisch und Partners e da Politecnica ingegneria e architettura «Water Wall», una parete all’interno della quale scorre costantemente dell’acqua a una temperatura di 16°C in estate e di 28°C in inverno, che contribuirà al raffrescamento degli ambienti mediante un effetto radiante e convettivo (da 30 a 90 W/mq). Si avranno così sempre NUOVI GRATTACIELI SOSTENIBILI Da Miami a Dubai, il segreto è nell’involucro Nei progetti, le facciate incorporano turbine eoliche per la produzione di energia elettrica o si fanno struttura e membrana per il controllo energetico I progetti per il grattacielo Cor a Miami (studio Oppenheim Architecture + Design con Buro Happold e Ysreal Seinu) e la Torre O14 a Dubai (Reiser + Umemoto Rur Architecture P.C.) Nell’apparentemente inarrestabile corsa internazionale alle costruzioni in altezza, si segnalano due progetti per grattacieli, in luoghi tra loro assai distanti, che si distinguono per l’attenzione ai temi dell’architettura sostenibile. È stato recentemente approvato dalla commissione edilizia della Municipalità di Miami il progetto per un nuovo grattacielo sostenibile, progettato dallo studio Oppenheim Architecture + Design con la consulenza energetica di Buro Happold (studio che nel 2006 ha celebrato i trent’anni di attività) e quella strutturale di Ysreal Seinu. Il grattacielo Cor, la cui posa della prima pietra è fissata a giugno, mentre la data di ultimazione dei lavori è prevista nel 2009, costerà circa 40 milioni di dollari e si eleverà per 120 m, ospitando 113 unità residenziali, 21.100 mq di spazi per uffici e 5.400 mq di aree commerciali. L’esoscheletro dell’edificio è stato pensato come una struttura tecnologicamente avanzata, dotato di una massa sufficiente a garantire un adeguato potere fonoisolante di facciata e in grado di ospitare aperture che alloggiano turbine eoliche per la produzione di energia elettrica. Saranno utilizzati anche pannelli solari termici e fotovoltaici. Gli appartamenti e gli spazi commerciali avranno un valore commerciale variabile tra i 400.000 e i 2 milioni di dollari; ogni appartamento sarà dotato di elettrodomestici a ridotto consumo energetico, certificati dal marchio EnergyStar, pavimentazioni in vetro riciclato e corridoi con rivestimenti in bambù. Lo studio Oppenheim architecture + design, fondato a Miami nel 1999 da Chad Oppenheim, è specializzato nella progettazione di edifici residenziali di media e grande altezza, caratterizzati da una forte attenzione ai temi della sostenibilità. Ha ricevuto diversi riconoscimenti, la Kume Fellowship ottenuta nel 1994 in Giappone, il Chicago Athenaeum’s American Architecture Award, vinto due volte e l’AIA Miami’s 2001 Young Architect of the Year Award. A Dubai inizierà a breve la costruzione della Torre O14 progettata dallo studio newyorkese Reiser + Umemoto Rur Archi- tecture P.C., che sorgerà nel cuore di Business Bay, la futura città d’affari degli Emirati Arabi che occuperà una superficie complessiva di 6,4 milioni di mq e ospiterà edifici commerciali e residenziali, alberghi, centri commerciali, giardini panoramici. La torre, alta 22 piani, poggerà su un podio di due piani, con una superficie complessiva di circa 28.000 mq. La pelle dell’edificio ne costituisce la struttura in quanto è formata da uno strato in calcestruzzo spesso 40 cm, sul quale sono state immaginate oltre mille aperture che riproducono l’effetto di un pizzo avvolto attorno al volume, consentendo la vista sulla città e il passaggio, ma allo stesso tempo schermando per forma la radiazione solare nei periodi caldi. La distribuzione delle aperture nell’involucro, infatti, è stata studiata in accordo con le esigenze strutturali, e anche con quelle dei differenti livelli di luminosità ed esposizione solare ai diversi piani. L’intercapedine profonda un metro tra la struttura in calcestruzzo e la facciata continua produce l’effetto camino, necessario per richiamare l’aria esterna utilizzata per la ventilazione naturale e il raffrescamento passivo. ❑ FRANCESCO CAUSONE e CARLO MICONO ottime condizioni di comfort per gli utenti, grazie anche alla presenza costante di velocità dell’aria molto basse. Le facciate trasparenti saranno dotate di un’intercapedine che contribuirà al controllo degli apporti solari in estate e diminuirà le dispersioni termiche in inverno. Questo sistema d’involucro sarà integrato a sistemi di climatizzazione radiante che garantiranno bassi consumi energetici e alti livelli di comfort termico. La qualità dell’aria interna sarà garantita da sistemi di ricambio con recuperatori termici, ponendo particolare attenzione al ricircolo della stessa nelle zone destinate ai laboratori. Questi spazi saranno mantenuti in depressione rispetto agli ambienti circostanti, adibiti a uffici, in cui avverrà la sola immissione dell’aria. Poiché nei laboratori potranno essere svolte operazioni particolari che vedranno l’attivazione di cappe di aspirazione, quando queste saranno accese l’aria estratta proverrà non solo dagli uffici ma anche dall’atrio, dove la portata sarà aumentata in modo tale da compensarne la quantità estratta delle cappe stesse. L’impianto di climatizzazione è stato progettato per garantire ottime condizioni di comfort acustico all’interno dei locali, anche quando sia necessario movimentare ingenti portate d’aria. Il progetto di Ravenna è stato presentato da Martin Haas, partner dello studio Behnisch und Partners, durante la seconda edizione del forum Constructa, organizzato a Bologna da Fischer in collaborazione con grandi aziende. Haas ha inoltre presentato altre importanti realizzazioni recenti dello studio tedesco, quali il Genzyme Center a Cambridge (Massachusetts), premiato nel 2005 dall’US Green Building Council nella categoria più alta «LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) Platinum», e il Senscity Paradise Universe, in corso di realizzazione nel deserto del Nevada. Attraverso la descrizione di questi progetti, Haas ha illustrato il concetto di sostenibilità applicato alla progettazione, così come viene inteso dallo studio Behnisch und Partners, nelle applicazioni sperimentate da tempo in collaborazione con specialisti del settore nell’ottica di sviluppare nuove soluzioni su misura per ogni caso. Spiega Haas: «Il processo progettuale ha inizio tenendo in considerazione le esigenze della committenza in termini non solo di spazi, ma soprattutto di livello qualitativo e di risparmio energetico. È da questo presupposto che ci si muove per capire quali possano essere le tecnologie più interessanti e di elevato livello qualitativo. Non si applica un concetto di sostenibilità in termini generici e predefiniti, così come non si cerca a tutti i costi di utilizzare una tecnologia facendone un uso fine a se stesso». La valutazione del reale livello di sostenibilità di ciascuna realizzazione viene effettuata attraverso un approfondito bilancio energetico del progetto, nelle diverse fasi, considerando l’energia necessaria per il funzionamento degli edifici. Per realizzare architetture che possano essere considerate veramente sostenibili, lo studio Behnisch und Partners utilizza un approccio che vede l’integrazione di diverse competenze specifiche, provenienti da differenti tipi di formazione e pratiche professionali (progettisti, consulenti, mondo dell’industria), in un gioco di squadra che è il valore aggiunto stesso alla propria attività. ❑ INGRID PAOLETTI 1m sfioro del bacino superiore film di acqua ambiente interno a 27° C 60% U.R. finitura superficiale 6 m2/h bacino di raccolta serbatoio di accumulo pompa di circolazione scambiatore di calore acqua a 10° C quota radiativa 60-90 W/mq quota convettiva 40-60 W/mq quota latente 30-50 W/mq serbatoio di accumulo potenza frigorifera fornita: 150-200W/mq Schema di funzionamento della parete ad acqua IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Tecnologie e materiali 47, GENNAIO 2007 19 ❑ Efficienti e intelligenti a Bolzano... FRONTIERE DELLA RICERCA Costruzioni in piattaforma Gli esiti dell’assemblea generale della Piattaforma europea della Tecnologia delle costruzioni: industria e ricerca condividono l’impegno per la sostenibilità, ma i fondi comunitari sono insufficenti VERSAILLES (FRANCIA). Il 21 e 22 novembre si è svolta l’assemblea generale della Piattaforma europea della Tecnologia delle costruzioni (ECTP), una delle trentadue «piattaforme tecnologiche» in cui si struttura la ricerca comunitaria (vedi box). Incontro particolarmente significativo in quanto segue l’Agenda per la Ricerca strategica (SRA), approvata dall’ECTP nel 2005, e precede il varo del settimo programma quadro per la ricerca scientifica e tecnologica (FP7). Il Fp7 si articolerà in quattro assi. Per l’asse Cooperazione, che finanzia consorzi transnazionali composti da industrie e altri soggetti, sono previsti dieci temi di ricerca, sei dei quali riguarderanno il settore delle costruzioni. Tali temi sono coerenti con le priorità individuate nell’Agenda. Purtroppo l’impegno finanziario dell’Unione europea non corrisponderà alla qualità dell’elaborazione e allo sforzo di classificare i concetti che sia l’ECTP, sia le Direzioni generali Ricerca e Trasporti & Energia hanno dimostrato di avere. Le risorse in campo non solo renderanno ridicola la possibilità di attuare gli impegni di Lisbona per la crescita e la competitività dell’Europa, ma mostreranno che le linee di ricerca predisposte sono troppo ambiziose e articolate rispetto alle possibilità di sostenerle. Si svolge a Fierabolzano (nella foto) dal 25 al 28 gennaio Klimahouse 07, la seconda edizione della Fiera internazionale dedicata all’efficienza energetica e all’edilizia sostenibile, che suggerisce soluzioni tecniche ed economiche alternative per l’edilizia residenziale e pubblica, realizzata ex novo o per ristrutturazioni. Saranno in mostra i settori inerenti alla costruzione degli edifici (finestre termoisolanti, porte e portoni, isolanti termici, elementi prefabbricati, coperture, strutture verticali e orizzontali) e alle relative tecnologie energetiche (riscaldamento, ventilazione, raffrescamento, energie rinnovabili, sistemi di regolazione e contabilizzazione). Due i convegni principali: sulle nuove regole in materia di efficienza energetica degli edifici, e sulle problematiche dell’isolamento termico negli edifici esistenti. Il 26 si segnala una giornata d’intermediazione tecnologica transnazionale dedicata alle tecnologie innovative nei settori della bioedilizia, delle energie rinnovabili, del monitoraggio e della salvaguardia dell’ambiente. ❑ … e a Monaco di Baviera Cantiere di edilizia residenziale bioclimatica a Bressanone Per giunta manca una valutazione dei risultati raggiunti con i programmi precedenti: ne sono un esempio i cosiddetti edifici ecologici, connotati da carenze nella qualità dei progetti, assenza di monitoraggio e d’informazioni sui risultati, ritardi, difficoltà di diffusione e di replicabilità. Nei prossimi sette anni l’obiettivo primario della ricerca e dei programmi di sussidio sarà l’efficienza energetica degli edifici, integrata con l’impiego di fonti rin- Autoportante e trasparente novabili (RES), il tutto finalizzato alla riduzione fra il 25 e il 70% dei consumi e a una copertura dei fabbisogni energetici con RES fra il 50 e il 75%. Per conseguire tali risultati l’impegno sarà a tutto campo: involucri e impianti più efficienti, tecnologie innovative per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, analisi dei costi estese all’intero ciclo di vita dei manufatti, cambiamento dei comportamenti dell’utenza. Non saranno tanto le nuove costruzioni ma i manufatti esistenti a costituire il più esteso campo di attività: tutto il costruito, infrastrutture comprese, sarà oggetto d’interventi per migliorarne la durabilità. Si prevede un boom di programmi anche ambiziosi per ridurre drasticamente i consumi, con tempi di rientro dell’investimento contenuti. A supportare tali processi, si rimarca il ruolo centrale dell’industria nell’offerta non solo di prodotti ma anche di servizi innovativi. Parallelamente si rende necessario che il settore delle costru- zioni si orienti a soddisfare i bisogni dell’utenza, piuttosto che essere semplicemente trainato dal progresso tecnologico. Molti interventi e programmi misurano già oggi il loro successo di mercato sul soddisfacimento della domanda: ma ancor più si raccomanda la partecipazione degli utenti, al fine di progettare edifici flessibili e adattabili, e costruire ambienti salubri, sicuri, accessibili e stimolanti. Numerose, inoltre, le aree di ricerca a cavallo tra tecnologia della costruzione e tecnologia della produzione, che coinvolgono altre piattaforme, tra cui ESTEP (acciaio), SUSCHEM (chimica), FTP (foreste). Ne costituiscono alcuni esempi l’integrazione delle strutture con sistemi stratificati a secco, l’irrobustimento di strutture esistenti anche in aree sismiche, lo sviluppo di tecniche per l’impiego, la conservazione e l’immagazzinamento di energia derivata da RES e la costruzione di case autonome. ❑ ANDREA BOCCO Piattaforme: dall’Europa all’Italia La più grande scalinata autoportante al mondo realizzata interamente in vetro è uno dei tre vincitori dell’Innovation Award Architecture and Glass alla fiera Glasstec 2006 di Düsseldorf (nella foto, © Seele). Il produttore, Seele Gmbh & Co.Kg, azienda tedesca specializzata in strutture in acciaio, alluminio e vetro, è stato premiato per l’uso innovativo delle connessioni dei gradini stratificati, diversamente da quelle usuali in bulloni. Notevole la lunghezza dei parapetti laterali, pari a 8,5 m, almeno 2,5 m in più rispetto alle scalinate consimili. Si tratta di un progetto all’avanguardia, reso possibile dall’uso d’interstrati a elevata resistenza DuPont™ SentryGlas® Plus, utilizzati sia nella fabbricazione dei gradini e dei parapetti laterali in vetro sia per i supporti stratificati in acciaio inossidabile. Seele ha realizzato il progetto in collaborazione con l’Istituto di progettazione architettonica e l’Istituto di progettazione strutturale dell’Università di Stoccarda, responsabili della validazione delle prestazioni del manufatto in condizioni di carico statico e dinamico. Entrambi i parapetti laterali della scalinata sono costituiti da tre strati da 15 mm di vetro float Optiwhite prodotti da Pilkington, con interstrati a elevate prestazioni DuPont™ SentryGlas® Plus da 1,52 mm. Ogni gradino, largo 1,4 m e profondo 30 cm, è composto da quattro strati di vetro float dello stesso tipo, stratificati con interstrati SentryGlas® Plus per garantirne l’elevata rigidità a flessione. Ogni supporto in acciaio inossidabile è collegato con il parapetto in vetro tramite un foglio di SentryGlas® Plus di 40 x 100 mm. Le piattaforme europee hanno lo scopo d’indirizzare i fondi comunitari per la ricerca e lo sviluppo verso temi d’interesse industriale.Tra le piattaforme attive, si è particolarmente sviluppata quella dedicata al settore delle costruzioni (European Construction Technology Platform, ECTP), con lo scopo di migliorare il settore delle costruzioni e dei beni culturali in termini di competitività e prestazioni. A partire dall’ECTP si sono venute a creare, su iniziativa dell’industria locale e con il supporto dei rispettivi governi, una serie di piattaforme nazionali per le costruzioni (attualmente 20 su 25 paesi europei). A due anni circa dalla nascita dell’ECTP, il 26 maggio scorso è partita l’iniziativa, coordinata da Autostrade per l’Italia Spa e Università Politecnica delle Marche, di attivare la Piattaforma tecnologica italiana delle Costruzioni (PTIC). Fra gli obiettivi principali: industrializzare il processo costruttivo per ridurre i costi di costruzione e aumentare la qualità; contribuire alla definizione di una legislazione condivisa a livello europeo per generare un mercato comune delle costruzioni e dei servizi; ridurre il consumo di energia, materiali, e altre risorse nel settore; aumentare la competitività dell’ambito europeo rispetto agli Stati Uniti e alle economie emergenti. La PTIC ha pertanto attivato alcune aree tematiche su cui far convergere le professionalità del settore, cui spetta il compito di definire gli obiettivi prioritari d’innovazione per le aziende e la realtà nazionale. Tali aree riguardano nello specifico: la salvaguardia del patrimonio culturale; la ricerca di nuovi materiali a elevate prestazioni; la realizzazione di una rete integrata d’infrastrutture e servizi; il miglioramento dello standard abitativo delle città e degli edifici; la qualità dell’ambiente costruito e il coordinamento dell’attività delle Pmi (www.ectp.org e www.ptic.it). ❑ Cinzia Maga Si svolge dal 15 al 20 gennaio presso il nuovo Centro fieristico della città tedesca B AU 2007, salone dei materiali da costruzione per l’edilizia tra i maggiori eventi settoriali dell’industria europea delle costruzioni. Circa 2.000 espositori provenienti da 40 paesi sono attesi anche quest’anno al salone, i cui temi chiave sono le facciate intelligenti, la relazione tra funzione e design, l’efficienza energetica degli edifici nuovi ed esistenti.Tra le numerose manifestazioni che accompagnano l’evento si segnalano il congresso europeo «Efficienza energetica degli edifici», organizzato dal Ministero del Lavori pubblici tedesco, e numerosi premi, tra cui il 13° Oscar del mercato dei materiali da costruzione organizzato dalla casa editrice Wohlfarth, il Premio Facciata 2007, il Premio Estetica e Costruzione, in collaborazione con la rivista «Detail» (associato al relativo simposio) e il Premio per l’Innovazione di prodotto, la cui partecipazione è riservata agli espositori al BAU. ❑ La Confindustria delle ceramiche È nata Confindustria Ceramica dall’allargamento di Assopiastrelle alle rappresentanze dei settori della ceramica sanitaria, delle porcellane e ceramiche per uso domestico e ornamentale, delle porcellane e ceramiche per usi industriali e del grès ceramico. Dal 1° gennaio infatti Assopiastrelle ha cambiato la propria denominazione in Confindustria Ceramica.Tutti i recapiti e gli identificativi, per il momento, rimangono inalterati. La fusione è stata approvata all’unanimità dall’assemblea di Assopiastrelle,anche grazie alla collaborazione con Federchimica, nella seduta del 12 dicembre scorso. ❑ Il condominio passivo, anzi autosufficiente Ha ricevuto il Premio Vespucci «Progetto imprenditoriale più innovativo» (giunto alla terza edizione e promosso da Consiglio Regionale della Toscana, Confindustria Toscana e Cavalieri del Lavoro) il progetto residenziale Sesto Ricasoli a Sesto Fiorentino promosso dal Gruppo Margheri Costruzioni (nel disegno). Sono previsti 184 appartamenti a bassissimo consumo energetico (classe energetica A) e 8 appartamenti a consumo energetico zero, che risultano perciò autosufficienti (classe A Free). Le tecnologie edilizie adottate per raggiungere tale risultato sono l’aumento dello spessore delle murature esterne (per accrescere l’inerzia termica utile a smorzare le variazioni di temperatura cui è soggetto l’ambiente interno in estate a causa dei carichi endogeni e solari), l’utilizzo di doppi vetri con intercapedine in argon e infissi in legno a spessore maggiorato, l’eliminazione dei ponti termici grazie al rivestimento esterno «a cappotto» dell’involucro, l’utilizzo di avvolgibili integrati nello spessore del muro. Quanto alle tecnologie impiantistiche, sono stati adottati un sistema di ventilazione meccanica con recupero di calore, il teleriscaldamento del complesso, un sistema domotico dell’impianto elettrico di ogni alloggio, comprensivo di monitoraggio consumi e, per gli alloggi A Free, un impianto di riscaldamento e raffrescamento a pompe di calore geotermiche alimentate da energia elettrica prodotta attraverso pannelli solari fotovoltaici in copertura. Alla progettazione, curata da Giampaolo Della Rosa, Duccio Cimenti e Marco Margheri, ha partecipato, come consulente per l’energetica edilizia e l’impiantistica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Tecnologia dell’architettura «Pierluigi Spadolini» della facoltà di Firenze. 20 Le segnalazioni del mese Biblioteca universitaria a Le Havre La nuova biblioteca fa parte di una serie d’interventi di riqualificazione urbana realizzati in prossimità dell’Università centrale, nell’ambito di un progetto generale di trasformazione del quartiere della stazione. L’edificio, situato su un lotto di forma quadrata di circa 50 m di lato, si apre alla strada con un porticato scandito da elementi verticali in mattoni che si prolungano e schermano ampie vetrate: questa struttura ritmata da elementi portanti tende a massimizzare le visuali dall’esterno in modo da rendere leggibili giorno e notte le attività della biblioteca. L’atrio si configura come un grande vuoto centrale a tutt’altezza, caratterizzato da forme organiche, e si contrappone al rigore geometrico dell’involucro esterno, portando la luce nel cuore dell’edificio e distribuendo gli spazi destinati alla lettura. Committente: Ministero dell’Istruzione pubblica Progetto: René Dottelonde e Phine Weeke Dottelonde (Parigi) Localizzazione: Le Havre (Francia) Superficie: 8.100 mq Cronologia: concorso 2002; realizzazione 2005 Costo: 10.300.000 euro Foto: Benôit Fougeirol Universität Schanzeneck (UniS) a Berna La nuova sede della facoltà di Giurisprudenza si colloca nel lotto precedentemente occupato da un edificio della vecchia Maternità di Berna, risalente al 1870. Il progetto prevede il recupero e l’adeguamento impiantistico dell’edificio originale e l’inserimento nella parcella di una nuova manica di quattro piani fuori terra che segue il filo stradale. I due distinti edifici sono collegati attraverso una piazza coperta da una struttura in acciaio e vetro che ospita l’ingresso principale, la caffetteria e gli spazi di distribuzione. L’ampliamento, che contiene uffici e dipartimenti, è realizzato in intonaco bianco con serramenti metallici a filo muro ed è caratterizzato da piccole variazioni di piani dei prospetti che movimentano la facciata senza sminuirne l’aspetto rigoroso e controllato. Committente: Cantone di Berna Progetto: Häfliger von Allmen Architekten / Matti Ragaz Hitz Architekten Localizzazione: Berna (Svizzera) Superficie: 17.520 mq Cronologia: concorso 2000; progetto 2001-2002; realizzazione 20032005 Web: www.hva-arch.ch/ www.mrh.ch Foto: Christine Blaser IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 Ampliamento facoltà di Medicina a Madrid L’idea generatrice per l’ampliamento nasce dalle considerazioni sulla conformazione articolata della parcella, caratterizzata dall’adiacenza delle facoltà di Medicina e Farmacia e dalla vicinanza del giardino botanico. Il nuovo volume, appoggiato sopra un «bosco» di pilastri di acciaio galvanizzato, cerca così di minimizzare la propria presenza e di massimizzare la superficie libera del lotto sottostante trattato a verde e, attraverso la facciata nord realizzata in vetro riflettente, di mimetizzarsi con il giardino interno e il paesaggio circostante. I laboratori e i dipartimenti occupano i volumi seminterrati che prendono la luce dal giardino inferiore, mentre le aule si trovano nei due livelli sopraterra all’interno di una manica di 13 m, dove è possibile modificare gli spazi in funzione degli usi. Committente: Universidad Complutense de Madrid Progetto: MTM Arquitectos J. Fresneda, J Sanjuan Localizzazione: Madrid Ciudad Universitaria Superficie: 7.835 mq Cronologia: concorso 2001; progetto 2002; realizzazione 2005 Web: www.mtmarquitesctos.com Foto: Luis Asín, Alberto Nevado, MTM Arquitectos Centro di ricerche a Woods Hole (Mass.) Il centro di ricerche biogeochimiche è uno degli edifici realizzati a Woods Hole all’interno di un ampio programma che ha compreso la progettazione di un centro di ricerche marine e il masterplan di un campus. Il BGC ospita nello stesso fabbricato un’attività interdisciplinare che riunisce laboratori di Biologia, Chimica marina e Geochimica. L’edificio è costituito da tre aree principali: un blocco rettangolare che contiene i laboratori e spazi di servizio, un fabbricato leggermente incurvato destinato a uffici e un volume separato a due piani contenente gli alloggi e gli ambienti comuni per i ricercatori. La distribuzione è stata studiata in modo da permettere la vicinanza e l’interscambio fra le diverse attività di laboratorio. Il complesso è stato progettato con attenzione ai consumi energetici e al controllo degli apporti solari. Il rivestimento esterno in cedro chiaro rievoca i materiali tradizionali della vicina cittadina di Cape Cod. Committente: Woods Hole Oceanographic Institution Progetto: Ellenzweig Associates, Inc. (Cambridge, Mass.) Localizzazione: Woods Hole (Massachusetts) Superficie: 3.112 mq Cronologia: completamento 2006 Costo: 10.500.000 dollari Web: www.ellenzweig.com IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Committenti e città di Michele Bonino Quali capacità dimostrano le nuove strutture universitarie, in relazione alle politiche che le generano, d’incidere sul tessuto della città? Che riverbero hanno le loro scelte localizzative sulle funzioni urbane? Su quali fattori puntano per affrancarsi dalla posizione di «torri d’avorio» della ricerca e farsi partecipi di processi di riqualificazione? L’idea di presentare la nuova Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino è legata, oltre che alla qualità del progetto, a questi interrogativi. La posizione in un quartiere in attesa di rilancio e nuova identità, pur strategico rispetto al centro e a luoghi topici della città, suscita forti aspettative rispetto al ruolo che va assumendo l’edificio a partire dalla recente inaugurazione. Come anche per i casi stranieri selezionati, non sembra scontato mettere in luce il ruolo giocato dalla committenza. Nel caso torinese, la scelta è stata quella di localizzare più funzioni insieme. «Ci siamo posti l’obiettivo di concentrare la didattica, la ricerca e l’opportunità di sperimentare alcuni temi di potenziale sviluppo industriale», spiega Fiorella Altruda, presidente della Scuola. Questa impostazione è il fondamento del progetto di un edificio che funziona come un piccolo sistema urbano, attraverso corti, piazze e passaggi di collegamento: articolazione che riflette i suoi effetti sul quartiere circostante, attraendo un’utenza mista e favorendo un uso non banale di servizi, spazi pubblici, accessibilità. Anche l’intervento di Berna nasce dalla scelta di collegare l’edificio esistente e la nuova manica attraverso un’ampia corte coperta: forse sovradimensionata in proporzione alle esigenze didattiche, ma rappresentativa di un desiderio di spazi di relazione con la città e il pubblico. E neppure la biblioteca di Le Havre rinuncia a un ruolo chiave nel panorama urbano in cui si colloca, attraverso il generoso porticato e la chiarezza con cui la facciata rivela le funzioni al proprio interno. [email protected] Il progetto del mese 47, GENNAIO 2007 21 Espressività del calcestruzzo e chiarezza insediativa Pierre-Alain Croset visita la Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino, di Luciano Pia L’architettura della Scuola di biotecnologie dell’Università di Torino spicca in primo luogo per il suo carattere di rigore e precisione, che ben rappresenta l’eccellenza e l’innovazione della ricerca scientifica. I corpi di fabbrica che delimitano la grande piazza alberata lungo via Nizza appaiono, grazie all’uso sapiente del calcestruzzo a vista, come massicci volumi stereometrici scavati per far emergere la tipica sezione degradante degli auditori. Il programma funzionale della Scuola è così chiaramente annunciato, fin dalla prima visione. Anche la grande vetrata che chiude, su tutta altezza, il fronte della piazza alberata lungo la strada, concorre a costruire il valore di rappresentanza pubblica dell’architettura. Il vetro assicura una continuità visiva tra spazio della strada e spazio «interno» della piazza, ma nello stesso tempo stabilisce una barriera fisica con risultati ottimi anche in termini d’isolamento acustico - che garantisce una necessaria aura di riservatezza attorno al centro di ricerca. La chiarezza con la quale l’edificio s’inserisce nel contesto urbano nasce dal rispetto rigoroso dell’impianto originario delle due cascine, che aprivano le loro corti sul fronte di via Nizza. Il nuovo edificio stabilisce un interessante dialogo con la cascina ri- Veduta della corte pubblica d’ingresso dal ballatoio di collegamento delle aule; sotto, veduta del complesso da via Nizza (foto di Manfredi-Melegatti) strutturata, malgrado il forte contrasto nei materiali e nell’espressione volumetrica. Anzi, è proprio il contrasto materico, cromatico e volumetrico tra nuovo e preesistente che costruisce il significato complessivo dell’intervento come «ricostruzione critica» di un frammento di architettura peri-urbana. Di fronte a que- sta chiarezza non solo negli intenti programmatici, ma anche e soprattutto nelle scelte insediative, costruttive e distributive, viene inevitabilmente in mente l’etica progettuale della migliore tradizione razionalista italiana (in particolare Adalberto Libera e Giuseppe Terragni), anche se appare quasi del tutto assente l’aura di metafisica astrazione che caratterizzava le opere di quei maestri. L’architettura della Scuola di Biotecnologie esalta la concretezza dei materiali. In primo luogo il particolare calcestruzzo autocompattante (già sperimentato dal progettista in precedenti cantieri in Francia) è messo in opera in modo da formare una massa straordinariamente monolitica, grazie all’assenza di giunti, alla perfezione degli angoli privi di smussature e alla quasi invisibile impronta dei casseri: il risultato è una straordinaria qualità espressiva del calcestruzzo a vista, rarissima in Italia, a livello delle migliori realizzazioni in Svizzera, Francia e Germania. Anche la particolare pavimentazione in pietra e terra rossa concorre a suscitare forti sensazioni «tattili» nel percorrere gli spazi aperti della Scuola, accompagnando il visitatore in tutti gli spazi di connessione, indipendentemente dal fatto che si trovino all’aperto o al coperto. L’impianto insediativo, nell’evocare l’antica struttura delle due cascine, moltiplica e differenzia questi spazi aperti e di connessione, che vengono vissuti come necessari alla socializzazione. L’edificio risolve così brillantemente l’esigenza di una chiara separazione funzionale tra ambienti per la didattica e per la ricerca, pur mantenendo ampie trasparenze tra le due parti funzionali. Mentre la prima corte, attorno alla quale sono organizzate le funzioni didattiche, assume un’identità di «piazza mediterranea» qualificata dalla presenza degli alti pini marittimi, la seconda corte, specificamente dedicata alle funzioni di ricerca e coperta con una leggera ed elegante struttura in ferro e vetro, sorprende il visitatore per il suo carattere di spazio ibrido: in parte giardino lussureggiante che ricorda atmosfere di spazi conventuali, in parte «salotto all’aperto» arredato con panche e tavoli, si rivela un luogo di grande fascino sul quale affacciano due soli piani di laboratori, ampiamente vetrati. È uno spazio ben proporzionato e curato nei particolari (dal disegno dell’elegante passerella in acciaio e vetro alla scelta delle essenze vegetali e dell’impianto d’illuminazione), che costituisce probabilmente il vero «cuore» della Scuola: un luogo di silenzio e sorprendente serenità, lontano dal rumore e dall’agitazione urbana, pensato anche per favorire incontri «informali» tra i ricercatori e incentivare il dialogo e la comunicazione tra i diversi gruppi di ricerca. Un’ultima osservazione deve essere dedicata al costo dell’opera: malgrado i rincari determinati dall’uso di una tecnologia innovativa come il calcestruzzo autocompattante, ma anche dalla necessità di garantire elevate prestazioni degli impianti di climatizzazione, l’intervento è stato contenuto nei limiti di una spesa media di circa 1.200 euro/mq, quindi inferiore rispetto ad altre realizzazioni consimili in Italia. E questo dimostra ulteriormente che nel nostro paese non vi sono in realtà ostacoli di natura economica che impediscono la promozione di una buona architettura universitaria: se esistesse il coraggio di selezionare i migliori architetti e i migliori progetti, l’architettura di qualità potrebbe contribuire a riqualificare il sistema della ricerca e dell’alta formazione. 22 Il progetto del mese NUOVI SPAZI PER LA RICERCA E LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA A TORINO: UN PROGETTO DI LUCIANO PIA Quando la qualità dell’architettu Dall’alto, in senso orario: il cortile della Scuola su cui si affacciano le aule e gli spazi di relazione. Il rapporto visivo con l’esterno è risolto attraverso ampie vetrate sulla corte pubblica. Uno degli spazi per la didattica, alcuni dei quali sono collocati anche sul tetto, con vedute sul quartiere. Di seguito, il sistema di passerelle e rampe in acciaio e vetro che collegano i livelli del cortile, uno dei grandi vani flessibili della manica destinata ai laboratori e il cortile intorno a cui si articolano gli spazi di ricerca. Nella pagina a fianco, in alto a destra il cortile ottocentesco, preservato e restaurato; in basso a destra il cortile retrostante, edificato solo su tre lati e aperto verso i fabbricati adiacenti. Nella fascia qui in basso, sulle due pagine, foto della preesistenza ottocentesca (scomparsa nella seconda guerra mondiale) e studio preliminare del progettista; un’assonometria di progetto; la pianta del piano primo da cui si rileva la posizione dei laboratori, delle aule e delle sale conferenza rispetto ai cortili; due sezioni significative dell’edificio. Fotografie di Manfredi-Melegatti IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 23 ra favorisce la ricerca scientifica Nel 2002 l’Università degli Studi di Torino sceglie di localizzare la nuova Scuola di Biotecnologie (MBC, Molecular Biotechnology Center) lungo l’asse di via Nizza, in un’area semicentrale in attesa di riqualificazione urbana. Per la mobilitazione delle risorse, la realizzazione e la gestione delle opere, la Facoltà si avvale della procedura del project financing, individuandone il promotore nella figura di un raggruppamento (Finpiemonte, Sinloc, AEM e DE-GA), costituitosi nella forma di Società di progetto. L’area, occupata nell’Ottocento da fabbricati rurali, rappresenta oggi una localizzazione strategica, per la posizione centrale e la vicinanza con le altre facoltà scientifiche, per la natura stessa di via Nizza, importante asse di collegamento con la stazione di Porta Nuova. La Scuola è dimensionata per accogliere circa 800 studenti e 200 tra docenti e personale di supporto. Le funzioni sono organizzate all’interno di edifici di nuova costruzione e di fabbricati ottocenteschi preesistenti, conservati e restaurati; gli spazi delle differenti attività interagiscono mediante passerelle, terrazze e patii. La superficie di circa 15.000 mq è distribuita su due piani fuori terra e un piano interrato, ed è organizzata intorno a quattro cortili, mantenendo l’impianto planimetrico dei preesistenti fabbricati rurali. L’accesso principale al complesso è su via Nizza. Attraverso uno degli ampi cortili, si accede all’atrio che funziona da filtro tra la zona destinata alla didattica e i laboratori di ricerca. La didattica ha a disposizione tre grandi aule da 220 posti, tre da 108 posti, oltre ai laboratori per studenti, attrezzati per esercitazioni di biologia, chimica e informatica. I laboratori per ricercatori, organizzati intorno a un giardino coperto da una struttura vetrata, sono strutturati in nuclei che comprendono spazi di sperimentazione, di studio e locali per attività specialistiche (camere per colture, camere oscure, incubatore). Al piano interrato sono localizzati i parcheggi, i vani tecnici e di servizio. Nei fabbricati ottocenteschi recuperati sono previsti uffici amministrativi, sale di lettura, punti di incontro e informazione. (dalla relazione di progetto) Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino Localizzazione: via Nizza 52,Torino Destinazioni d’uso: piano terra: laboratori per la ricerca; piano primo e secondo: aule, laboratori per la didattica, uffici di amministrazione Cronologia: 2002, individuazione dei promotori del project financing: raggruppamento costituito da DE-GA, Sinloc, Finpiemonte e AEM; 2004, inizio cantiere; 2006, completamento lavori Crediti: progetto e direzio- ne lavori: Luciano Pia, Torino; strutture in calcestruzzo armato: ICIS srl,Torino; strutture metalliche: Gianni Vercelli,Torino; impianti: Sandro Perrone, Torino; impresa esecutrice: DE-GA Spa,Torino; illuminazione: Luceper, Torino; copertura vetrata: Pedro srl, Torino; opere in ferro: Fratelli Zunino, Alba; pavimenti in resina: Rezina srl,Torino; decorazione e trattamenti del calcestruzzo: Spada e Spada,Torino. 24 Restauro IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 BAUHAUS DI DESSAU Ottant’anni e non li dimostra Una mostra e un convegno celebrano la conclusione dei restauri di una delle icone del Movimento moderno, progettata da Walter Gropius DESSAU. Il 2 dicembre, con una festa per il suo ottantesimo compleanno, sono stati presentati i risultati del restauro, durato più di dieci anni, dell’edificio del Bauhaus. Nella stessa occasione è stata inaugurata la mostra sulla sua storia, «Icon of Modernism», visitabile fino a marzo. Fondata nel 1919 a Weimar e ospitata negli edifici di Henry van de Velde, la scuola si sposta nel 1926 negli spazi costruiti dal suo direttore Walter Gropius a Dessau, città industriale sassone alla ricerca di nuovi poli d’attrazione. La nomina d’importanti artisti come Muche e Schlemmer, Klee e Kandinskij, e la possibilità di poter costruire per loro le cosiddette Meisterhäuser (case dei maestri) ne accresce ulteriormente la funzione di centro del Movimento moderno, mentre Dessau accoglie realizzazioni all’avanguardia, come la Siedlung DessauTörten (1925-1926) e l’Arbeitsamt (1927-1929), progettati da Gropius, o la Trinkhaus di Mies van der Rohe (1931). L’edificio del Bauhaus, costruito con una struttura mista, scheletro in calcestruzzo armato e tamponamenti in muratura, si divide in tre blocchi articolati in base alle diverse funzioni: l’ala dei laboratori con la facciata vetrata, l’edificio degli atelier a cinque piani, in cui vivevano studenti e giovani maestri, e l’ala nord a tre piani, dov’era collocata una scuola professionale. Le coperture piane e la terrazza sul tetto poggiano su travi di sostegno in calcestruzzo che consentono la realizzazione di grandi vetrate a struttura metallica. Pareti e soffitti sono intonacati e colorati, i pavimenti so- Vista dell’ala nord (© Martin Brück 2005, Bauhaus Dessau); veduta interna (© Doreen Ritzau 2006, Bauhaus di Dessau); vista dalla mensa verso l’aula magna (© Martin Brück 2004, Bauhaus Dessau) no in ceramica terrazzo, vernice o triolin, un materiale sintetico sperimentale. Colori, illuminazione e arredamenti sono stati sviluppati nei laboratori del Bauhaus. La scuola viene definitivamente chiusa nel 1932 dai nazionalsocialisti dopo appena quattordici anni di vita. Sarà però il bombardamento di fine guerra a causare i danni maggiori sia alla par- te anteriore che alla vetrata, che cede sotto la pressione e il calore. Tamponato con muratura e finestre semplici, l’edificio riprende le attività scolastiche nell’immediato dopoguerra. Lentamente rinasce l’interesse verso l’edificio che nel 1964 viene vincolato dalla Soprintendenza locale e nel 1974 da quella nazionale della RDT. Trascorreranno ancora due anni pri- ma di un intervento di restauro complessivo che ricostruisce la grande facciata di vetro. L’edificio riprende la fisionomia attuale e nel 1976 inaugura il Wissenschaftlich-kulturelle Zentrum (WKZ), il centro scientifico culturale che ospiterà anche l’archivio del Bauhaus. Le distruzioni belliche, il cambio di funzione e uso, ma anche la so- MAESTRI DEL BAUHAUS La rinascita di un ideale moderno L’architettura ritrovata della scuola di Bernau, progettata da Hannes Meyer BERLINO. Uscendo dalla città verso nord con la S-Bahn e scesi alla stazione di Bernau, con un autobus si arriva alla vecchia Bundesschule des ADGB (la scuola della Confederazione generale dei sindacati tedeschi), oggi finalmente restaurata dopo cinque anni di cantiere. Nel 1930, durante l’inaugurazione dell’edificio, non c’erano autobus. I membri del sindacato che vi si recavano per corsi di aggiornamento, per documentarsi sulle ultime teorie politiche e fare sport, vi arrivavano a piedi, raggiungevano una bella radura, con uno stagno e una piscina. Costruita durante gli ultimi anni in cui Hannes Meyer (1889-1954) dirigeva il Bauhaus di Dessau (1928-1930), è un incredibile prodotto o risultato di quella scuola, come lo sono le sedie di Marcel Breuer o il posacenere di Marianne Brandt. Un oggetto allo stesso tempo teorico e pratico, la messa in opera delle teorie della scuola, ma anche delle teorie politiche dell’architetto svizzero. Meyer, associato a Hans Wittwer e a una decina di studenti del Bauhaus, co- Lo Bundesschule des ADGB oggi (© Thomas Bruns) struì uno strano edificio dall’impianto e dal programma ancora non noto, associando laterizi gialli, calcestruzzo a vista e acciaio. Seguendo il declino del terreno, si accedeva dapprima a una sala conferenze, agli spazi di riunione e a una caffetteria. Poi un lungo corridoio vetrato serviva cinque piccoli volumi di tre piani che ospitavano le camere dei 120 studenti. Questo spazio, spina dorsale e strada coperta, portava alla biblioteca, alla palestra e alle aule. Un capolavoro degli anni trenta che servirà da modello a Max Bill per la costruzione della Hochschule für Gestaltung di Ulm, e un riferimento per numerosi architetti minimalisti contemporanei. Un gioco di volumi semplici che si disgiungono e si snodano, componendo un’architettura straordinariamente elegante che organizza le diverse funzioni in modo originale. Questo edificio, per riprendere le parole di Claude Schnaidt, «organizza la vita», costruisce in tre dimensioni il concetto di comunismo di Meyer. Di tutto questo, l’architetto incaricato del restauro, Winfried Brenne, già autore di numerosi restauri di edifici del Novecento tedesco, è riuscito a ritrovare perfettamente lo spirito. Solo il volume d’ingresso, con i suoi tre grandi camini cubici, è sparito al tempo in cui l’ex Germania Est trasformò la scuola e i suoi dintorni per farne un campus. Per il resto, anche se numerosi dettagli - come gli apparecchi d’illuminazione - hanno dovuto essere ristudiati per adattarsi alla normativa attuale e non sono stati ricostruiti à l’identique, Brenne ha saputo ricreare l’atmosfera, la policromia originale e la chiarezza, non solo della luce ma anche della concezione, volute dalla squadra di Meyer. Brenne ha avuto la fortuna, che non tutti gli architetti che lavorano sul restauro del contemporaneo hanno, che durante gli anni la funzione non è quasi mai cambiata. Così i giovani allievi che presto usufruiranno di questa splendida architettura sperimenteranno una struttura programmatica e architettonica immutata. Qui risiedono, senza dubbio, la bellezza e il merito di questo recupero. ❑ THIBAUT DE RUYTER la manutenzione approssimativa, hanno causato al Bauhaus come in molti edifici degli anni trenta tedeschi la perdita di materiali e finiture originali. Materiali e tecnologie, ancora in via di sperimentazione e poi risultati inidonei col trascorrere del tempo, strutture esili e sottodimensionate e la mancanza totale d’isolamento hanno ulteriormente aggravato il deterioramento strutturale di questi edifici. Appena vent’anni dopo il primo importante intervento, i problemi strutturali e d’isolamento termico costringono a un nuovo restauro, con attenzione ancora maggiore agli aspetti scientifici e di metodo. Nel 1996, anno dell’iscrizione dell’edificio nell’elenco dell’Unesco, iniziano gli studi sulle superfici e sulle tecnologie costruttive originarie, che riporteranno alla luce le complesse relazioni tra elementi decorativi, superfici colorate e strutturate, sviluppate da Hinnerk Scheper come sistema di orientamento interno all’edificio: «[…] l’impressione spaziale del colore viene esaltata con l’impiego di materiali diversi: liscio, lucido, granulato e superfici intonacate ruvide, vernici opache e lucide, vetro e metallo» (Scheper, 1925). Proprio quest’accurata ricerca di diversificazione ha reso difficile e delicato il restauro: «un solo trattamento diverso può disturbare e falsificare l’insieme della Raumfolge (concatenazione degli spazi)», dice Monika Markgraf, direttrice del Bauhaus. È stata realizzata una mappatura dei componenti, individuando le diverse epoche, 1926, 1976 e infine, per i componenti nuovi, 1999. Con gli ultimi restauri si era perso l’unico elemento originale rimasto della facciata. Fortunatamente in una serra sono stati ritrovati elementi originali degli infissi, che sono stati recuperati e riutilizzati. È stato poi dimostrato che i montanti delle vetrate del Bauhaus non sono mai stati dipinti di nero, ma esternamente di grigio e internamente di bianco. Per quanto riguarda i materiali sintetici sperimentali dei pavimenti come il triolin, che già dopo poco il suo utilizzo è stato superato da altri prodotti industriali più resistenti, è stata sviluppata una pasta di restauro e contemporaneamente un detergente per la futura manutenzione. Il restauro ha riportato l’edificio al suo stato originario, testimoniando che l’architettura del Movimento moderno non è quella asettica, bianca monocromatica, ma un raffinato risultato di policromie e giochi di luce. ❑ ANDREAS SICKLINGER ❑ Appello per la Cité di Candilis, Josic & Woods La Cité artisanale de Meudon, nei dintorni di Parigi, concepita dagli architetti Candilis, Josic & Woods, rischia di essere totalmente demolita (nella foto di François Lefevre i pannelli del complesso immobiliare che dovrebbe sostituirla). Realizzata nel 1964-1965 e ampliata nel 1974 da Josic, è internazionalmente riconosciuta come una delle prime espressioni dell’architettura proliferante, la cui qualità architettonica è attestata dal buono stato di conservazione nonostante l’evidente mancanza di manutenzione. Largamente pubblicata, è il frutto del lavoro degli ATBAT (Ateliers des bâtisseurs) e dei primi lavori dei seguaci di Le Corbusier. Ha avuto un’influenza certa nell’evoluzione dell’architettura moderna: in particolare, nei lavori dell’Atelier 5, nella ville nouvelle di Evry o nella città olimpica di Montréal. Le adesioni all’appello sono da inviare a: [email protected]. ❑ Scavando il parcheggio spuntano i bastioni Chi conosce la storia del Castello Sforzesco se l’aspettava, ma è comunque una «scoperta» degna di nota. Durante scavi preliminari per la realizzazione di un parcheggio in via Paleocapa (area piazzale Cadorna) è venuta alla luce parte della cinta bastionata che ha racchiuso il castello dal 1560 al 1801: a quattro metri di profondità un tratto di muraglia, forse la controscarpa e tre contrafforti del baluardo don Pedro, del 1590-1592. Una testimonianza rilevante che restituisce un tassello dell’edificio, frutto di stratificazioni dalla fine del XV alla fine del XVIII secolo. A metà XVII secolo la fortezza «raggiunge la planimetria a dodici punte e l’estensione su un’area sei volte più ampia dell’attuale», ha scritto nei suoi saggi Marino Viganò, che da anni raccoglie in mezza Europa documenti e ha pubblicato dettagliati contributi. È Napoleone a decretare il 23 giugno 1800 l’abbattimento dei baluardi, anche per realizzare il Foro Bonaparte. Per ragioni viabilistiche è improbabile che il ritrovamento sia lasciato a vista, ma «la sua storia - precisa la Soprintendenza - sarà ricostruita nei dettagli attraverso uno studio specifico». Gli scavi, affidati alla Società lombarda di archeologia e alla Cooperativa archeologica di Firenze (con direzione scientifica della Soprintendenza),proseguono con la suggestione che «se per assurdo si potesse scavare in tutta l’area circostante il Castello, si potrebbe riportare allo scoperto l’intero perimetro dell’antica cittadella», afferma Dominic Salsarola, responsabile della Società lombarda di archeologia. ❑ Michela Fior IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. (ENNA). Con l’inizio dell’anno partono gli interventi di risanamento dei mosaici e quelli, tanto discussi, di rifacimento della copertura della villa romana del Casale. Il Consorzio stabile Aedars Scarl di Roma si è aggiudicato l’appalto da 13 milioni e 755.000 euro per il recupero della Villa romana del Casale. Al secondo posto della graduatoria, stilata dall’UREGA (Ufficio regionale per le gare d’appalto), sezione di Enna, il Consorzio stabile Operatore Beni culturali di Firenze. Il Consorzio Aedars ha prevalso con un ribasso del 38,8%, più di 5 milioni. La gara era stata sospesa in seguito ai ribassi, considerati anomali, proposti dalle due imprese, oscillanti tra il 34 e il 39%. Nota fin dal Seicento, scavata a partire dalla fine dell’Ottocento e portata in luce a partire dagli anni cinquanta da Vinicio Gentili scomparso ad agosto, la Villa romana del Casale, a Piazza Armerina, sta ora attraversando uno dei momenti più difficili della sua nuova, breve, vita. Il progetto di musealizzazione, per cui fu determinante il contributo di Cesare Brandi e di Luigi Bernabò Brea, allora Soprintendente archeologico di Siracusa, risale alla fine degli anni cinquanta. I mosaici furono lasciati in situ per comprendere il rapporto tra edificio e contesto ambientale. Dopo una provvisoria soluzione attribuita a Piero Gazzola, allora Soprintendente ai monumenti della Sicilia orientale, con tettoie in legno su pilastri di mattoni e manto in tegole, si procedette, attraverso un concorso, al vaglio di altre ipotesi, tra cui cupole e vele in calcestruzzo. Nel 1957 l’incarico viene affidato a Franco Minissi, la cui struttura intendeva riformare (non ricostruire) i vari spazi; consentire la visita del complesso eliminando il passaggio del pubblico sopra i mosaici e isolarli dagli agenti atmosferici garantendo la massima illuminazione, utilizzando il ferro e il perspex, materiale plastico allora appena immesso sul mercato, per scostarsi dalle strutture murarie antiche. Nei suoi cinquant’anni di vita, la struttura è stata ampiamente manomessa: eliminati i controsoffitti opalini (che schermavano la luce diretta) e gran parte delle persiane laterali in perspex, sostituiti i pannelli plastici con vetri, e quasi mai manutenute le parti metalliche. Per le modifiche subite, ma anche per le caratteristiche intrinseche dei materiali scelti, la struttura di Minissi, considerata un momento di svolta nella protezione di monumenti archeologici in situ, ha dato esiti controversi: se l’immagine della Villa è ormai legata ai volumi trasparenti, il disagio ambientale è anch’esso proverbiale. A partire dall’inizio degli anni novanta inizia un lento progressivo degrado che vede anche il compimento di atti vandalici mai chiariti del tutto (dal ricoprimento di alcuni mosaici con vernice nera, al danneggiamento con colpi di martello) che hanno PIAZZA ARMERINA Restauro 47, GENNAIO 2007 VILLA DEL CASALE DI PIAZZA ARMERINA Restauro al ribasso Con un ribasso del 38,8%, aggiudicati il restauro dei mosaici e il discusso rifacimento della copertura del sito archeologico romano in Sicilia emana delle linee-guida che prevedono, tra l’altro, istruzioni specifiche sulla copertura. Pur riconoscendo il valore della copertura Minissi, Sgarbi ritiene che essa, oltre che essere in grave stato di degrado, non rende chiaramente leggibile la volumetria evocata e dà origine a una luminosità innaturale per ambienti che erano interni. Stabilisce di mantenere l’impostazione minissiana per quanto riguarda la riproposizione dei volumi e i percorsi su passerella, ma di sostituire la struttura con una nuova, opaca, con elementi laterali che «alludano alla massa e alla geometria della struttura architettonica originaria» e consentano una luce da «penombra». Successivamente indica il legno lamellare come materiale da utilizzare per 25 la struttura del tetto. Il progetto esecutivo destina più di metà delle somme ai restauri dei mosaici e degli affreschi. Approvato da tutti gli organismi competenti tecnici e amministrativi, consente di bandire la gara, che ha visto la partecipazione di cinque associazioni temporanee d’imprese. Il bando, contestato da alcuni, è stato dichiarato perfettamente legittimo con la delibera n. 80 del 15 novembre dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il progetto di Meli è l’esito di un lungo confronto che ha avuto, tra il 2004 e il 2006, momenti di accesa polemica che hanno condotto all’abbandono della follia rappresentata dalla cupola e a una soluzione che si ispira ad alcune intuizioni di Brandi e Minissi, pur sostituendone i materiali. Sarebbe stato ben più significativo lasciare la testimonianza del progetto di Minissi restaurandone, ad esempio, una parte più significativa rispetto a quanto previsto, ma non è detto che su questo punto non si possa ritornare anche durante l’esecuzione dei lavori. ❑ FAUSTO CARMELO NIGRELLI Il sistema più brutale Dall’alto in basso, plastico di progetto, vista della copertura di Franco Minissi e dell’attacco delle strutture sulla muratura esistente (www.piazza-grande.it) condotto l’Assessorato regionale a insediare un’unità di crisi presieduta dal generale Bruno Conforti. Nel 1997 il monumento viene inserito nella World Heritage List; nel 1999 la gestione viene sottratta alla Soprintendenza di Enna e viene istituito il Museo regionale della Villa romana del Casale, ma senza nuovi investimenti. Alla fine del 2003, la svolta: l’assessore regionale ai Beni culturali, anche in seguito alle pressioni della cittadinanza che costituisce un Comitato per la difesa e la valorizzazione del monumento, stanzia 18 milioni per lavori di restauro e musealizzazione, ai qua- Sulla Certosa di Ferrara Sul numero 46 del Giornale nell’articolo di Giuseppe Vestrucci sul restauro del Tempio di San Cristoforo alla Certosa non sono stati nominati i responsabili del progetto di completamento del restauro architettonico: responsabile del procedimento Clara Coppini, gruppo di progettazione Andrea Malacarne (capogruppo). Ci scusiamo con gli interessati. li si aggiungono altri 6 milioni, nell’ambito del Progetto integrato territoriale 11 gestito dalla provincia regionale di Enna, relativi a interventi di recupero, tutela, restauro e miglioramento della fruibilità. Le somme a titolarità regionale, 18 milioni, vengono destinate in parte al restauro dei pavimenti musivi e degli affreschi parietali, in parte a interventi, non meglio precisati, sulla copertura e sui percorsi. Il progetto viene affidato al Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro diretto da Guido Meli che, nella primavera 2004, presenta un preliminare in cui ipotizza una reinterpretazione della struttura di Minissi e la sostituzione del perspex con vetri intelligenti in grado di filtrare in maniera selettiva la luce. Nel giugno 2004, un’ulteriore, definitiva svolta: giunto a Piazza Armerina per sostenere un candidato sindaco del suo partito, Vittorio Sgarbi viene cooptato dall’assessore regionale per sostituire il generale Conforti, nel frattempo dimessosi, e a fine anno viene istituito l’Alto commissariato per la valorizzazione della Villa romana del Casale, affidato al critico ferrarese. Il progetto Meli si arena poiché Sgarbi, pur privo di ogni reale potere, con l’avallo dell’assessorato regionale e l’appoggio dell’amministrazione comunale, propone di sostituire la copertura con una cupola in acciaio e vetro alta 50 m e larga 160. L’ipotesi, scelta scartandone un’altra richiesta a Guido Canali, cancella in un sol colpo l’intera impostazione museografica Brandi-Minissi e va in conflitto con la realtà archeologica di un’area ancora in parte da scavare, come avrebbe dimostrato da lì a poco la missione della Sapienza di Roma che ha messo alla luce la città medievale (Platia) realizzata sulle rovine della Villa che era stata rasa al suolo da Guglielmo I il Malo attorno alla metà del XII secolo. Abbandonata l’idea della cupola, viene nuovamente affidato a Meli l’incarico. Il suo progetto preliminare, tuttavia, viene profondamente modificato perché l’Alto commissario, in qualità di committente (egli riassume in sé tutti i poteri del Direttore generale dell’Assessorato, limitatamente agli interventi sulla Villa), […] Il sistema di aggiudicazione [della gara di appalto per la Villa del Casale di Piazza Armerina, ndr] è il più brutale immaginabile: massimo ribasso sui prezzi. […] I ribassi si avvicinano al 40% (38% circa il primo, 35% circa il secondo), più di quanto fosse mai accaduto in Sicilia nel restauro specialistico [...]. È più di un terzo dell’importo preventivato. Più di un’offerta 3x2. È così che stanno affidando il restauro dei più importanti mosaici antichi esistenti, il quinto monumento più visitato d’Italia [...]. La risposta è un’altra: le imprese già sanno che riusciranno, tra riserve e varianti, a far lievitare i costi. Grazie ai bravi avvocati, grazie alle connivenze tra chi dovrebbe controllare e chi dovrebbe essere controllato, rientreranno di quel ribasso spropositato [...]. La logica dell’affidamento al massimo ribasso costituisce un fattore di rischio altissimo e intrinseco: una sorta di selezione al negativo che individua l’impresa che lavora peggio [...]. Stanziare i fondi, per poi affidare i lavori in questo modo, è peggio che non stanziarli proprio. Senza garanzie sulla qualità dei lavori e senza reali possibilità di controllo il restauro è un danno certo; un danno irreparabile poiché avviene su beni unici e irriproducibili. Negli ultimi anni è troppo aumentato il divario tra ciò di cui si discute nei convegni [...] e il mondo reale dei restauri [...] dove ormai imperversano logiche da imprenditoria selvaggia [...] Prevarrà il dovere della tutela,o la logica d’impresa? Prevarrà il buon senso o la svendita al 3x2? ❑ Fabiano Ferrucci, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», Facoltà di Lettere, Laboratorio di Restauro 26 Musei e allestimenti IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 GOMA A BRISBANE Una splendida «beach house» La nuova Galleria d’Arte Moderna ha aperto il 1° dicembre in occasione della quinta Triennale dell’Asia e del Pacifico Due immagini del GoMA di Brisbane, progettato dallo studio Architectus BRISBANE (AUSTRALIA). Nella nuova Galleria d’Arte Moderna (GoMA) il pubblico, giovane o più anziano, può costruire grattacieli bianchi di Lego, guardando fuori dalle finestre il Brisbane River e il cluster di torri piuttosto mediocri, realizzate sulla riva opposta a partire dagli anni settanta. Questo esercizio interattivo pensato dall’artista danese Olafur Eliasson valorizza gli esiti in realtà pessimi dell’architettura pubblica australiana, che non è stata in grado di raggiungere i livelli sofisticati conquistati da gastronomia, produzione cinematografica, letteratura e arte. Sydney ha vissuto la costruzione della sua Opera House (1959-1973), poi più nulla di paragonabile fino a tempi molto recenti, fino agli interventi di Norman Foster e Renzo Piano. Ora Brisbane rimonta: il 1° dicembre è stato inaugurato il GoMA, con un party per 4.000 invitati. Nel corso degli ultimi dieci anni l’aria è cambiata e i progetti culturali non sono più accusati di essere elitari e stravaganti: il primo ministro del Queensland, Peter Beattie, ha sottolineato in questa occasione l’importanza dell’investimento pubblico sull’arte e sull’educazione attraverso una nuova galleria d’arte (100 milioni di dollari australiani, circa 60 milioni di euro): «Un edificio per la gente del Queensland, un’immagine identitaria per la nostra società: vogliamo che le persone vengano qui e rimangano senza parole». In realtà, però, questo non è un edificio che ammutolisce come i musei di Gehry, Libeskind o Hadid. Un giornalista locale ha descritto il GoMA come «una beach house su uno steroide», e difatti è essenzialmente un padiglione con il tetto a lastra, le ve- Pallets per la sala Samonà Un dialogo a contrasto tra la massiccia mole del portico a volte ribassate, in calcestruzzo verniciato grigio, e una struttura espositiva ispirata all’essenzialità: pallets in legno grezzo verniciato bianco,disposti in due file longitudinali ad andamento spezzato. Una scatola dentro la scatola dove, dalle vetrate che chiudono il portico, la luce filtra attraverso i moduli in legno donando allo spazio permeabilità luminosa e riservatezza, in un continuo alternarsi di aperture e chiusure. È il nuovo allestimento (di Studio Azimut05 con Gabriele Cappellato, finanziato dal Collegio dei costruttori di Padova) della sala Samonà, spazio espositivo ricavato a metà anni novanta dal portico della sede padovana della Banca d’Italia (Giuseppe e Alberto Samonà, 19681974). L’allestimento è stato inaugurato in occasione della mostra (aperta fino al 30 gennaio) organizzata per anticipare al pubblico il concorso internazionale per l’auditorium della città attualmente in svolgimento. Lo spazio espositivo gestito dal Comune, ospiterà una programmazione volta a raccontare trasformazioni e sviluppi urbani contemporanei. Foto di Giorgio Grazian rande aperte e i brise-soleil lignei. L’edificio è ben collocato sull’ansa del fiume e nasconde uno spazio considerevole: 26.000 metri quadrati. Nel progetto, gli architetti Kerry e Lindsay Clare (dello studio Architectus, che opera in Australia, Nuova Zelanda e nel SudEst Asiatico) individuano in un’architettura sub-tropicale, con un pizzico di sud-asiatico, l’immagine adeguata di un museo che fa della collezione d’arte regionale il fondamento della propria politica culturale. L’atrio a pianta cruciforme distribuisce la luce e orienta il flusso del pubblico: da una parte le gallerie più piccole e le black boxes (due sale cinematografiche che il museo ha voluto per la sua collezione di film), percepibili dall’esterno attraverso rivestimenti di alluminio anodizzato; dall’altra, a destra dell’ingresso, le grandi gallerie, le white boxes, rivestite da vetro opaco. Le fini- ture sono di alta qualità, con un ampio utilizzo di legno per pavimenti e pannelli. L’effetto è elegante e imponente, nonostante l’ingresso al museo sia abbastanza insignificante. Il GoMA mette in completa ombra la vecchia Queensland Art Gallery, un edificio brutalista degli anni settanta, progettato a 150 m di distanza da un architetto locale, Robin Gibson, che ha perfino invocato il diritto d’autore per impedire che fosse realizzato un nuovo ingresso per collegare il suo edificio con il GoMA. Le regioni dell’Australia vivono una forte rivalità tra loro, ma è il Queensland lo stato che ha avuto la crescita più rapida (nel 2004, il Pil è aumentato del 4,8%), con una mobilità interna annua di 31.000 persone. Ancora una volta la crescita è legata a un monumento culturale di grande effetto. ❑ ANNA SOMERS COCKS NUOVA SEDE DEI SERVIZI D’ACCOGLIENZA DELL’AUTORITÀ PORTUALE L’ultima di Vittorio De Feo a Venezia L’allestimento postumo (con Vincenzo Casali) per la chiesa sconsacrata di Santa Marta vince l’European Union Prize for Cultural Heritage 2006 VENEZIA. La trasformazione dell’ex chiesa di Santa Marta a nuova sede dei servizi d’accoglienza per grandi imbarcazioni da diporto, intervento promosso dall’Autorità portuale, è l’ultima opera di Vittorio De Feo. L’intervento, progettato nel 2000 in collaborazione con l’architetto Vincenzo Casali, iniziato nel febbraio 2002 e concluso a settembre 2006, quattro anni dopo la morte di De Feo, punta a riutilizzare i 480 mq della chiesa sconsacrata (del XIV secolo, restaurata dagli architetti Giovanna Dell’Aquila e Michela Temolo). È pensato come un «giocattolo di legno a grande scala, su cui si può salire, ci si può sedere; in cui si può entrare, e che si può percorrere», connotato da una torre angolare a sbalzo e una cavea gradonata. Al piano terra sono ospitati un negozio, una caffetteria e i locali di servizio; mentre la cavea e la terrazza superiore sono pensate per un uso anche congressuale ed espositivo. La nuova architettura, separata e indipendente dalla preesistenza, consta di una struttura metallica rivestita di soli pannelli lignei: larice per i piani orizzontali e pero per gli alzati. La tensione tra la nuova architettura e la preesistenza (le capriate lignee tardogotiche, il particolare campanile interno romanico-bizantino e Scorcio della nuova sede dei servizi d’accoglienza dell’Autorità portuale per grandi imbarcazioni da diporto nell’ex chiesa di Santa Marta a Venezia l’involucro murario in mattoni, che recano i segni delle trasformazioni stratificatesi) ha indotto a ridurre al minimo le presenze impiantistiche sfruttando allo scopo l’interno del campanile, parte del sottocavea, la nuova torre, nonché un ambiente aperto raggiungibile dalla terrazza sommitale. Vincenzo Casali ha seguito fedelmente il progetto elaborato da De Feo. Di Casali è anche il disegno delle adiacenze esterne, a completamento della principale destinazione d’uso. A est, una linea continua di blocchi di trachite è pensata come seduta a delimitazione dell’area di progetto, mentre nella parte opposta, a separazione dell’edilizia limitrofa, una parete nera continua di 50 m è utilizzabile come supporto per esposizioni. Infine, uno schermo in rame lucente (che contiene il sistema di trattamento dell’aria) di fronte all’ingresso principale verso la cavea convoglia all’interno la luce e i riflessi dell’ambiente circostante. Questi diversi episodi risultano unificati dalla predisposizione di una piastra in trachite innalzata alla stessa quota del pavimento interno in marmo di Verona, che pare dispiegarsi anche al di sotto della chiesa, rendendola oggetto tra gli oggetti. Il progetto ha vinto l’European Union Prize for Cultural Heritage 2006 ed è stato segnalato alla X edizione del Premio di Architettura Città di Oderzo. ❑ DEBORA ANTONINI ❑ Palcoscenico per la Tosse Una struttura in legno e metallo da 20 tonnellate che sviluppa un percorso a rampe e scale di 450 m (nel disegno).Questo l’allestimento scenico, progettato dallo studio Cappellini & Licheri nella Chiesa di Sant’Agostino a Genova,per uno spettacolo in tre parti della stagione 20062007 del Teatro della Tosse, dal titolo La mia scena è Genova: un omaggio alla città della lanterna e allo scenografo Emanuele Luzzati, che vi ha tratto ispirazione. Conclusa la prima il 16 dicembre scorso, le altre due parti sono programmate dal 27 febbraio al 17 marzo (Poeti versus Cantautori) e dal 25 maggio al 2 giugno (Nel mare dell’Odissea).www.teatrodellatosse.it. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Musei e allestimenti 47, GENNAIO 2007 COMACCHIO LIDO DI SPINA Un museo abitabile Nanda Vigo racconta il progetto per la casa-museo di Remo Brindisi, che solo oggi è visitabile integralmente In occasione dei suoi settant’anni, festeggiati con una mostra alla Fondazione Mudima di Milano, Nanda Vigo, architetto e artista, ripercorre per «Il Giornale dell’Architettura» il progetto della casa-museo Remo Brindisi a Comacchio Lido di Spina (Ferrara). La casa-museo, inaugura- re appieno il senso che l’«integrazione delle arti» assume nell’opera di Vigo. L’allestimento delle opere d’arte in uno spazio domestico, già affrontato da Vigo negli interni per collezionisti progettati negli anni sessanta e settanta, è qui rapportato alla dimensione pubblica del museo. Il continuo. Le aperture interrompono la superficie esterna solo a tratti, come le feritoie di una blockhouse, in modo da esaltare la geometria dell’impianto, mentre lo spazio interno è disegnato dal reticolo delle piastrelle di klinker bianche che avvolgono pareti e pavimento, dov’è inserito l’arredo fisso, ridotto all’essenziale. Fughe prospettiche, amplificate dal riflesso di pannelli specchianti e dagli effetti cangianti della luce sulle superfici metalliche e sui vetri stampati, riproducono visioni spaziali inattese e il- lusorie, che si ripetono all’infinito. «A differenza di altri ambienti acromi progettati in quegli anni, come “Interno Bianco” e casa Meneguzzo, la percezione dello spazio interno - prosegue Vigo - è qui caratterizzata dal contrasto tra la superficie ruvida delle piastrelle, leggermente zigrinate per poter resistere nel corso del tempo all’usura prodotta dalla fruizione del pubblico, con gli inserti lucidi e riflettenti degli spigoli in acciaio cromato». L’acciaio è usato per rifrangere la luce ma anche per marcare nello spazio evanescente del vano sca- la il percorso museale, sottolineato dal corrimano, un tubo industriale di 20 cm di diametro che delimita al contempo l’area espositiva. I dipinti sono appesi al di sotto del mancorrente per essere osservati durante la salita a una distanza adeguata, senza interferire nella percezione unitaria dello spazio. Dalla rampa-quadreria, voluta da Remo Brindisi, la rassegna si dipana in ambienti più raccolti che affacciano sull’invaso, dal quale assorbono la luce naturale e artificiale proveniente dalle finestre che corona- 27 no il cilindro. Di notte l’illuminazione dei neon sfuma il raccordo tra parete e soffitto. Spazi, questi, definiti dall’integrazione tra arte, architettura e design «in modo che le opere tutte - conclude Vigo - non solo siano integrate all’occhio del fruitore, ma che ciascuna sia protagonista». Di qui le installazioni si propagano nei luoghi di relazione, fino a invadere i locali più conviviali della sala da pranzo, attrezzati con pochissimi arredi d’autore: oltre a Vigo, Joe Colombo e Vico Magistretti. La casa-museo Remo Brindisi è un episodio museografico emblematico in quanto opera d’arte totale: condivisa da committente e architetto, entrambi artisti e promotori dell’arte contemporanea (www.comune. comacchio.fe.it). ❑ CRISTINA FIORDIMELA Libri di qualità: da conoscitori a conoscitori Ronconi Ventotto spettacoli memorabili A cura di Ave Fontana e Alessandro Allemandi 208 pp., 21 x 34 cm, 60 col., 100 b/n Rilegato, € 50,00 ISBN 88-422-1419-1 Pier Luigi Pizzi Inventore di teatro Lorenzo Arruga e Franca Cella 432 pp., 24 x 34 cm, 176 col., 310 b/n Rilegato, € 75,00 ISBN 88-422-1321-7 Capire l’arte contemporanea Angela Vettese 328 pp., 12,1 x 19,4 cm, 83 col. Brossura, € 20,00 ISBN 88-422-0849-3 Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento xxiv edizione, 2006-2007 Giuseppe Luigi Marini 920 pp., 21 x 30,5 cm, 80 col., 1.476 b/n Rilegato, € 140,00 ISBN 88-422-1440-x Gaudenzio Ferrari e la Crocefissione del Sacro Monte di Varallo A cura di Elena De Filippis 264 pp., 21 x 30,5 cm, 103 col., 100 b/n Brossura, € 30,00 ISBN 88-422-1367-5 Poltrobabbo e Poltromamma «I miei genitori» di Alberto Savinio Charles Sala e Sandro Dorna 56 pp., 24 x 33,5 cm, 30 col., 20 b/n Brossura, € 30,00 ISBN 88-422-1461-2 In alto, un’immagine dell’ingresso con il grande graffito su intonaco di Lucio Fontana, composto per una tipografia milanese e acquistato da Remo Brindisi a un’asta giudiziaria, prima che fosse smantellato. L’apertura verticale, resa necessaria per introdurre l’opera all’interno del museo è anche sorgente di luce naturale (foto Aldo Ballo); sopra, «Il vuoto dinamico del cilindro» visto dall’alto. Al centro, il segno nero dei divani delimita la zona di conversazione circondata dalla scultura mobile di Cappello e dagli alberi di Marotta (foto Aldo Ballo) ta nel 1972 e abitata dal pittore e collezionista fino alla sua scomparsa nel 1996, è oggi integralmente aperta al pubblico. «Museo abitabile, alternativo, operante» ove presentare «la pittura, la scultura, l’architettura, il design in un unico progetto culturale, in un insieme che ne dimostri l’interdipendenza e l’integrazione», dichiara Brindisi nel suo libro La Passione (1990). Passione per l’arte. È questo il criterio con cui Brindisi assembla in venticinque anni la sua collezione di circa 1.800 opere, promuove la costruzione del museo, e li dona generosamente allo Stato italiano. La sua è una raccolta eterogenea, dove si possono trovare alcune opere di fine Ottocento, ma soprattutto dei grandi maestri del secolo scorso, tra i quali Modigliani, Picasso, Boccioni, Balla, Pollock, Wols, Giacometti, De Kooning, Spazzapan, De Chirico, Gentilini, Appel, Cavaliere, Cascella, Mascherini, Moore, Boriani, Castellani e Fontana. Non manca l’apporto delle ultime generazioni alle quali Brindisi dedica un nucleo consistente della sua collezione. Pensata insieme all’amico pittore tra il 1967 e il 1971, la casa-museo a Lido di Spina è un passaggio determinante per comprende- progetto assolve contemporaneamente tre funzioni: abitazione, atelier d’artista, museo d’arte. «Rispetto alle altre case per collezionisti - spiega Vigo - l’esigenza prioritaria della casa-museo Remo Brindisi è stata quella d’integrare lo spazio museale a quello residenziale, mantenendoli tra loro autonomi. La visita alla collezione si svolge in senso ascendente lungo il percorso individuato dalla scala elicoidale che parte dal seminterrato, con le opere degli artisti più giovani, prosegue ai piani superiori e culmina alla ‘sala regia’, dove sono allestiti alcuni tra i capolavori più rappresentativi della raccolta. Gli abitanti possono accedere ai vari livelli con un ascensore che sbarca in corrispondenza delle stanze a uso privato». La distinzione tra casa e museo, leggibile anche all’esterno, determina la composizione volumetrica dell’edificio, definita dall’intersezione tra il cilindro che contiene la scala-quadreria e il corpo progettato per le funzioni residenziali. L’innesto dei volumi si traduce sui quattro fronti con altrettante diverse configurazioni, movimentando il carattere monumentale dell’architettura. Gli ambiti della casa e del museo sono unificati dai rivestimenti, scelti in modo da esprimere, con linguaggi diversi nei prospetti e negli interni, l’idea di uno spazio Arte e meraviglia Scritti sparsi 1974-1995 Adalgisa Lugli 848 pp., 15,5 x 23 cm, 1 b/n Rilegato in cofanetto, € 45,00 ISBN 88-422-1374-8 Il bambino prodigio di Lubecca Guido Guerzoni 150 pp., 9,5 x 16,5 cm Brossura, € 15,00 ISBN 88-422-1434-5 I monaci guerrieri Gli ordini cavallereschi militari Desmond Seward 256 pp., 15 x 23 cm, 16 col. Rilegato, € 25,00, ISBN 88-422-1328-4 Carlo Mollino. Polaroid 80 pp., 24 x 34 cm, 46 col., 80 b/n Brossura, € 19,00 ISBN 88-422-0932-5 L’età di Rembrandt I disegni olandesi della Biblioteca Reale di Torino A cura di Anna Bozena Kowalczyk e Jer Luijten 192 pp., 21 x 30,5 cm, 55 col., 87 bn Brossura, € 35,00, isbn 88-422-1447-7 Luigi Anton Laura La vita, la casa Racconti di un antiquario, collezionista e viaggiatore 152 pp., 21 x 30,5 cm, 57 col., 46 b/n Rilegato, € 35,00 ISBN 88-422-1445-0 Domenico e Gerolamo Induno A cura di Giuliano Matteucci 236 pp., 21 x 30,5 cm, 68 col., 33bn Rilegato, € 35, 00, ISBN 88-422-1460-4 Case antiche della nobiltà in Piemonte A cura di Adele Re Rebaudengo 260 pp., 24 x 34 cm, 128 col. Rilegato, € 75,00 ISBN 88-422-1327-6 Il fascino delle case all’antica Testi di Eugenio Busmanti e Domenico Papa Fotografie di Massimo Listri 144 pp., 24 x 34 cm, 176 col. Rilegato, € 45,00, ISBN 88-422-1329-2 Theatrum Rosarum Le rose antiche e le rose moderne A cura di Elena Accati ed Elena Costa 336 pp., 24 x 34 cm, 428 col.nel volume, 4.885 col. nel Dvd Rilegato in cofanetto, € 150,00 isbn 88-422-1199-0 L’identità perduta I musei rurali della provincia di Imperia A cura di Giorgia Cassini Fotografie di Massimo Listri 120 pp., 21 x 30,5 cm, 43 col., 26 bn Rilegato € 35,00, ISBN 88-422-1452-3 Architettura e disegno urbano a Siena nell’Ottocento A cura di Margherita Anselmi Zondadari 410 pp., 23 x 28,5 cm, 265 col., 34 bn Rilegato, € 45,00, ISBN 88-422-1472-8 Dizionario del gioiello italiano A cura di Maria Cristina Bergesio e Lia Lenti 384 pp., 21 x 30,5 cm, 420 col. Rilegato in cofanetto, € 135,00 ISBN 88-422-1200-8 UMBERTO ALLEMANDI & C. TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK www.allemandi.com ❏ ❏ ❏ ❏ Per ricevere i libri a domicilio: Spedire la cedola riprodotta in questo numero del giornale a Umberto Allemandi & C., via Mancini 8, 10131 Torino Oppure inviare un fax al n. 011 8199138 Oppure inviare una e-mail a: [email protected] Oppure telefonare al n. 011 8199155 Libri Allemandi: investimenti in cultura durevole 28 Città e territorio BERLINO. Col finire del 2006 e il pensionamento di Hans Stimmann, all’età di 65 anni, si è conclusa a Berlino una pagina importante dell’urbanistica recente. Il personaggio ha, in effetti, dominato la scena berlinese per più di 15 anni e le sue scelte, sia architettoniche che di pianificazione, hanno dato alla capitale tedesca il suo nuovo volto, da Potsdamer Platz alla riqualificazione del centro storico e delle periferie. Nato nel 1941 a Lubecca, Stimmann aveva inizialmente ricevuto una formazione da muratore. Nel 1965 ottiene un diploma d’ingegnere-architetto, completato con una prima specializzazione a Francoforte. Nel 1970 si trasferisce a Berlino e completa la propria formazione professionale. Nel 1975 s’iscrive al dottorato di Pianificazione urbana e regionale dell’Università tecnica. Questo primo periodo berlinese è per lui occasione di un precoce inserimento nei dibattiti urbani, che si conclude con il conferimento del titolo di dottore di ricerca nel 1977. Già dal 1969 Stimmann è membro del partito socialdemocratico (SPD), e ne diventa presto uno dei massimi esperti in materia urbana. Nonostante il suo trasferimento ad Amburgo, dove ottiene nel 1980 un posto di ricercatore presso l’Istituto di pianificazione urbana e regionale della locale Università tecnica, resta per tutta la prima metà degli anni ottanta molto attivo nel campo della riflessione sull’avvenire di Berlino. In un’epoca in cui la città diventa il terreno di una ricca sperimentazione architettonica e urbana per una nuova generazione di architetti e urbanisti, una stagione che culmina con l’Internationale Bauausstellung (IBA) del 1987, Stimmann riesce ad affermarsi come punto di riferimento per l’ala dell’SPD e l’ambito degli architetti che si pronunciano a favore di un dialogo con i colleghi comunisti di Berlino Est. Si deve dire che a Est era in atto, sin dal 1979, un cambiamento rilevante nella concezione teorica delle trasformazioni urbane, in netta rottura con i principi attuati dal 1953 e che, sia politicamente che concretamente, il momento poteva sembrare favorevole a scambi di esperienze nella sistemazione di una città dove ancora i ruderi segnavano il paesaggio urbano. Al periodo di distruzione massiccia dei resti della città bom- 47, GENNAIO 2007 HANS STIMMANN È ANDATO IN PENSIONE Il muratore che ha dominato la scena di Berlino per 15 anni Gli esordi, i precedenti e un bilancio della sua attività di direttore del servizio di pianificazione urbana della città-stato partecipare ai dibattiti del suo tempo con numerose pubblicazioni, riprende alcuni dei principi prioritari dell’IBA e li inserisce nella sua visione di una città meno «duale» di quanto spesso si af- critiche, Stimmann è comunque riuscito a portare avanti la costruzione del progetto di Potsdamer Platz e la riqualificazione della maggior parte del centro storico (Mitte). In un contesto eco- «Per Stimmann, la nuova fase di Berlino capitale è occasione di prendere le distanze dall’eredità della Carta di Atene e dalla sua influenza sull’urbanistica sia comunista che capitalista. L’importante, per lui, è trovare una soluzione alla perdita di sostanza del tessuto urbano e di sviluppare la città in relazione con il suo passato. L’idea di città di Stimmann dialoga così con i piani di Schinkel e di Hobrecht, più che con le teorie moderniste, da cui si distacca nettamente» casione per avviare contatti con i colleghi al di là del muro. Da ricercatore conduce così dal 1980 al 1985 un importante progetto di studio sulle prime esperienze di riqualificazione urbana a Berlino Est, che diventa pretesto di incontri sia formali (a livello di scambi «In netta contrapposizione rispetto all’eredità di una pianificazione di rifondazione, sia a Est che a Ovest, e di trasposizione, su uno spazio urbano considerato come neutro, di un’idea di città più o meno rigida, Stimmann cerca di promuovere una nuova cultura del piano e dell’architettura, dalla quale spunta il concetto di “ricostruzione critica” per i quartieri da rinnovare e di “città europea” per le vaste aree distrutte nel 1945 e lasciate vuote dal percorso del muro» bardata nel 1945 e d’imposizione della nuova trama dell’urbanistica socialista, ispirata a principi di separazione delle funzioni e di disegno ex novo di una matrice urbana, era succeduta una seconda era attorno al concetto di «ricostruzione». Per Stimmann, in linea con le direttive del suo partito, questa è l’oc- IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. tra il partito comunista della Germania Democratica e l’SPD) sia informali con l’ambiente urbanistico di Berlino Est. Stimmann lavora in particolare con Roland Korn, uno dei massimi responsabili della svolta urbanistica in atto oltre il muro. Visita a più riprese i cantieri delle prime sei zone d’intervento di riqualificazione a Mit- te, Prenzlauer Berg, Friedrichshain e lungo la Frankfurter Allee. Ma questo metodo non piace: né a Est, dove la costruzione teorica di una nuova politica urbana non deve portare a negare i principi stessi di Berlino Est capitale autoreferenziata della Repubblica Democratica, che si sviluppa su se stessa senza pensare all’Ovest, né a Ovest, dove Stimmann non riesce a convincere gli ambienti organizzativi dell’IBA dell’importanza dell’attuazione di una riflessione urbana che possa includere Berlino Est. L’IBA di Josef Paul Kleihues resterà orientata su una prospettiva più strettamente occidentale e non risponderà alle speranze di Stimmann o di Hämer di vedere inseriti nelle riflessioni sulla città da ricostruire con nuovi principi urbanistici, come la partecipazione o la ricostruzione critica, gli insegnamenti della ricerca sull’Est, né le prospettive politiche e urbane che ne derivano. Nel 1986, dopo questa intensa ma alla fine poco soddisfacente esperienza (anche se cruciale per la seconda parte della sua carriera), Stimmann torna sul Baltico e diventa responsabile dell’urbanistica nella sua città natale, Lubecca. Quando alla fine del 1989 cade il muro, tutto cambia. Quando nel fermi. Per lui, il compito principale dell’urbanista non è solo ricucire un tessuto urbano sviluppatosi secondo direzioni diverse, ma anche passare a una dimensione che faccia i conti con le ideologie urbane del XX secolo. Per Stimmann, la nuova fase di Berlino capitale è quindi occasione di prendere le distanze dall’eredità della Carta di Atene (1933) e dalla sua influenza sull’urbanistica sia comunista che capitalista. L’importante, per lui, è trovare una soluzione alla perdita di sostanza del tesIn alto, edificio per abitazioni nei pressi di suto urbano e di Checkpoint Charlie (Peter Eisenman e Ja- sviluppare la quelin Robertson, 1981-1986); a fianco, masterplan di Berlino per le aree IBA di Frie- città in relaziodrichstadt Sud e Tiergarten Sud, 1984; so- ne con il suo passato. L’idea pra, Hans Stimmann di città di Stimgiugno 1990 l’SPD ottiene il 34% mann dialoga così con i piani di dei consensi alle elezioni ammini- Schinkel e di Hobrecht, più che strative di Berlino Est, contro il con le teorie moderniste, da cui si 30% dell’ex partito unico (l’O- distacca nettamente. vest aveva votato nel 1989 e dato il Già nel 1991-1992 impone un in38% all’SPD), diventa chiaro che sieme di regole per la riqualificaper Stimmann si stanno schiu- zione urbana e la costruzione nel dendo nuove prospettive. Sarà centro storico che contribuisce a chiamato dall’assessore Wolf- dare il volto alla Berlino d’oggi: gang Nagel ad assumere le fun- l’innovazione architettonica dozioni di direttore del servizio di vrà esprimersi senza mettere in pianificazione urbana della città- discussione la trama ereditata e le stato (Senatsbaudirektor nella Senat- linee generali del paesaggio urbasverwaltung für Bau- und Wohnung- no che ne derivano (altezza masswesen, poi Stadtentwicklung, dal sima da 22 a 30 metri, allinea1991 al 2006, senza interruzione, menti, facciate). Per Potsdamer salvo una parentesi come Senats- Platz, egli impone una visione che non rompe con la trama delsekretär dal 1996 al 1999). In netta contrapposizione rispetto la Berlino ottocentesca e costrinall’eredità di una pianificazione ge gli architetti ad accettare un di rifondazione, sia a Est che a quadro molto rigido. Chi non Ovest, e di trasposizione, su uno accetta, come Koolhaas, viene spazio urbano considerato come emarginato. Dal 1996 al 1999 laneutro, di un’idea di città più o vora prima alla redazione, poi almeno rigida, Stimmann cerca, a la promozione politica, del suo partire dal suo arrivo alla testa dei grande piano per Berlino. Il moservizi di pianificazione della ca- mento chiave di questa politica è pitale, di promuovere una nuova il voto da parte del Senato di Bercultura del piano e dell’architet- lino, nel 1999, di quel che viene tura, dalla quale spunta il concet- chiamato il Planwerk Innenstadt. to di «ricostruzione critica» per i Si tratta in sostanza di un’estenquartieri da rinnovare e di «città sione del principio applicato fieuropea» per le vaste aree distrut- nora nel centro storico: il concette nel 1945 e lasciate vuote dal per- to di «città europea» impone recorso del muro. Stimmann, in- gole ancorate all’Ottocento. somma, che non smette mai di In quindici anni, nonostante le nomico che non ha mai corrisposto alle aspettative e alle speranze del 1989-1990, quando si pensava che Berlino stesse per conoscere una nuova fase di espansione demografica ed economica, Stimmann è riuscito a trovare appoggi in ambienti sia politici, federali e locali, che economici. Sebbene alcuni gruppi d’investitori abbiano rinunciato a grandi progetti, dal World Trade Center di Hilde Léon e Konrad Wohlhage al progetto di Kleihues per Oranienburgerstrasse, si può dire (perché è stato anche suo lavoro, fatto spesso in salita) che Stimmann sia riuscito a convincere molti investitori che questa Berlino aveva un futuro. Egli è anche riuscito a fare sì che Berlino resti un capitolo a parte nel panorama professionale mondiale, una città in cui lavora il Gotha degli architetti (o almeno quelli che accettano le sue regole), come ai tempi dell’IBA. Gran parte dei quartieri di Plattenbau, l’edilizia popolare di Berlino Est, sono inoltre stati rinnovati, e le esperienze di partecipazione cittadina, malgrado i limiti dell’esercizio, sono andate avanti. Ma non sono mancate le critiche sul ruolo di Stimmann nel fare di Berlino una città conservatrice in materia architettonica. Perché lo spazio tra referenza al passato (conservazione) e visione retrograda (reazione) è sottile, e perché non si può dire che Stimmann sia sempre riuscito a restare dalla parte giusta. Si può anche discutere la sua difficoltà a inventare nuovi spazi pubblici. Anche Potsdamer Platz, in fin dei conti, deve più il suo spazio pubblico al commercio che alla pianificazione pubblica. Quanto al trattamento dei quartieri di edilizia pubblica, da Märkisches Viertel (Ovest) a Marzahn (Est), si è affidato più all’efficienza della politica sociale che alle soluzioni architettoniche. Affinché Berlino continui a fare sognare gli architetti di tutto il mondo resta, insomma, per il suo successore, il compito di riuscire a reintrodurre una dose di maggiore creatività in un quadro ormai consolidato. ❑ DENIS BOCQUET IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Città e territorio 47, GENNAIO 2007 29 PAOLO PORTOGHESI A TREVISO Un Quartiere Latino sul Sile Completato il recupero, commissionato da Fondazione Cassamarca, dell’ex ospedale di Santa Maria dei Battuti, e destinato a Università, residenze e commercio Progetti in corso a Treviso e dintorni Sopra, la nuova piazza dell’Università vista dal ponte pedonale sul fiume Sile: sulla sinistra, l’angolo del palazzo dell’Umanesimo Latino; sulla destra, il corpo laterale dell’Università. In alto, lo spazio pedonale interno: sulla destra i corpi residenziali, sullo sfondo l’ex Ospedale medievale, attraversato dall’ingresso nord al complesso (fotografie di Lorenzo Capellini). A destra, planimetria dell’intervento TREVISO. Con la presentazione al X Salone dei Beni Culturali di Venezia (1°-3 dicembre) del volume Paolo Portoghesi. L’università e il Quartiere Latino nel centro storico di Treviso (a cura di Mario Anton Orefice, edito da Marsilio), che segue l’inaugurazione dello scorso 2 ottobre, si è conclusa formalmente la consegna alla città del recupero del comparto edilizio dell’ex ospedale di Santa Maria dei Battuti, su progetto dello stesso Portoghesi. Denominato ora Quartiere Latino per via della sua destinazione universitaria, il programma prevede anche una congrua quota residenziale e com- merciale, prolungando così il tessuto funzionale urbano del centro storico. Localizzato nel suo settore meridionale e aperto sulle sponde del fiume Sile, il comparto comprende sia gli edifici storici dedicati all’assistenza sanitaria, risalenti al XIV secolo (affacciati verso il nucleo urbano più antico), sia quelli destinati a servizi, come il Palazzo della Dogana Vecchia, risalente al XVII secolo e rivolto sul porto fluviale. Nel tempo, l’attività ospedaliera si è ampliata a tutti gli stabili dell’area, dando origine a numerose modifiche edilizie perdurate fino al secondo dopoguer- ❑ News dal Kilometro rosso Il 6 dicembre è stata posata la prima pietra del polo Innovation and Technology Central Laboratory (ITCLab), il nuovo centro di ricerca e innovazione del Gruppo Italcementi. Progettato da Richard Meier su una superficie di 11.000 mq di cui 7.500 adibiti a laboratori di ricerca,dovrebbe essere inaugurato nei primi mesi del 2009 (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 40, maggio 2006, p. 24). L’ITCLab è un tassello importante del Parco scientifico del Kilometro rosso (392.000 mq., con 90.000 mq. di superficie coperta) nato, su masterplan di Jean Nouvel, alle porte di Bergamo lungo l’autostrada A4 Milano-Venezia, al cui interno troveranno spazio iniziative multidisciplinari di ricerca, promosse da società private ed enti pubblici, che dovrebbero occupare entro i prossimi 10 anni circa 3.000 persone. Il Parco, ora in fase di realizzazione, è caratterizzato da una quinta architettonica in alluminio estruso di colore «rosso corsa Ferrari» che, con un’altezza di 10 m, corre lungo l’autostrada e raggiungerà, a lavori ultimati, un chilometro di lunghezza, su cui si attesteranno tutti gli edifici del complesso.Ai primi di novembre era stato presentato alla Triennale di Milano il Centro delle Professioni, situato nel cuore del Parco e progettato dal milanese studio Blast (Luca Bombassei, Simona Traversa e Franz Siccardi), attento alla sostenibilità energetica. L’edificio, dotato di una superficie di 9.000 mq e il cui completamento è previsto per fine anno, è destinato ad accogliere una serie di servizi: formazione, consulenza aziendale, societaria e organizzativa, contrattualistica internazionale, tutela della proprietà intellettuale e brevettazione, servizi di assistenza per la promozione e il finanziamento della ricerca, il trasferimento tecnologico, la progettazione, l’ingegneria e il design. ra quando, con il trasferimento dei primi reparti, l’ospedale è stato via via abbandonato, con una progressiva esclusione dell’area alla vita cittadina. Con l’avvio, nel 1999, dei lavori di recupero, successivi alla chiusura delle ultime attività sanitarie (1998), il processo s’inverte. La decisione di riportare in città una struttura universitaria (presente per un breve periodo in epoca medievale), destinando a sede dei corsi di Giurisprudenza, Statistica e Lingue, il Palazzo della Dogana Vecchia, operativo dal settembre 2001 (a cui si abbina, sulla sponda meridionale del Sile, la sede provvisoria di Economia e Commercio presso alcuni corpi della ex caserma Pietro Micca), ha ricollocato l’area al centro dei flussi cittadini. Con la riapertura di alcuni percorsi pedonali interni e l’abbattimento di alcuni edifici non significativi, si è predisposta una ragnatela di attraversamenti focalizzati sulla grande piazza aperta sul Sile, affiancata dal ramo stombinato del fiume Cagnan e prospiciente il ponte pedonale (progettato sempre da Portoghesi, ad arcata unica in legno, segnata da quattro obelischi alle estremità) che collega le due strutture universitarie. Il disegno architettonico rispecchia un atteggiamento rassicurante nei confronti delle aspettative formali. In stretto accordo con la Soprintendenza, il progetto di restauro segue «una metodologia analitica, differenziata secondo il valore delle singole parti del complesso edilizio». Così Portoghesi in parte strizza l’occhio alla storia cittadina (la lavorazione del ferro battuto delle ringhiere delle scale dei blocchi residenziali dei controsoffitti dei passaggi pubblici che riprendono i disegni degli affreschi del XIV secolo; la scansione delle aperture verticali che, «come note sul pentagramma», citano lo Scamozzi; gli arredi delle sale universitarie di sicura adesione: Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, Giovanni Michelucci) e in parte dà maggior vigore al proprio disegno organico, come nei collegamenti verticali interni ispirati alle scale ad albero di Mario Ridolfi. La precisa cura progettuale dei restauri e dei nuovi volumi non salva però la facciata settentrionale di Palazzo Bortolan (ora Palazzo dell’Umanesimo Latino, sede del Centro internazionale di Studi Universitari di Alta Cultura dell’Umanesimo Latino, voluto dalla committenza) dalla superposizione di tre canne fumarie in alluminio, che spiccano incongruamente. ❑ JULIAN W. ADDA Se alcuni edifici vengono recuperati, altri sono demoliti e sostituiti. La periferia si allarga e sviluppa nuove forme residenziali. Ecco una serie non esaustiva di progetti, che tenta tuttavia di restituire uno spaccato dello stato di fatto. Mentre il Centro polifunzionale Dal Negro (oggetto di un Programma integrato di riqualificazione urbana) rappresenta un intervento minuto a ridosso delle mura (cfr. il numero scorso, p. 18), il Programma integrato di riqualificazione urbanistica,edilizia e ambientale ex Appiani opera a una scala ben più vasta (7 ettari), prevedendo l’insediamento di numerose strutture legate ai servizi (trattative sono in corso con Unindustria, Camera di commercio locale, Confartigianato, Questura, Università), dalle notevoli volumetrie.Avviato nel 2004, sono previste varie fasi di consegna, tra il 2008 e il 2010. Il progetto di recupero dell’ex Ospedale psichiatrico Sant’Artemio copre un’area di 70 ettari destinati a parco urbano e prevede, oltre agli uffici provinciali e relativi servizi, un teatro, una chiesa, una nursery, un ostello, un museo e una fermata del servizio ferroviario metropolitano regionale. La conclusione del cantiere, aperto il 20 novembre, è prevista nel 2009. Il progetto di riqualificazione della centralissima Isola della Pescheria, cuore della vita comunitaria, riprende l’originaria organizzazione degli spazi, cura il rifacimento della pa- vimentazione in trachite e definisce le struttura fissa che copre i banchi del mercato, in acciaio, vetro e legno; la sagoma ricorda la forma delle chiatte, tipiche barche da trasporto in laguna veneta. A pochi chilometri dal centro, si lavora all’ampliamento dell’aeroporto Antonio Canova. I primi studi risalgono al 1996, l’inaugurazione è prevista nei primi mesi dell’anno. In periferia, a Dosson di Casier, un Piano attuativo, successivo a un concorso indetto dal Comune nel 1998, si oppone alla frammentazione degli edifici isolati in lotti, proponendo isole in cui i volumi edilizi sono progettati insieme agli spazi aperti di pertinenza al fine sia di costituire insiemi unitari e riconoscibili,sia di gerarchizzare i sistemi della viabilità e del verde. Ogni isola viene progettata da progettisti diversi, che partono dalla base comune del concorso. A Ponzano, altro comune della cintura, l’ampliamento della scuola elementare (inaugurata il 16 dicembre), con annessa una nuova palestra e un percorso pedonale pubblico riconfigurano lo spazio pubblico del paese, confuso da un’espansione frammentaria e irregolare. Il progetto per l’ampliamento dell’asilo nido (in periferia cittadina, lungo la statale che porta a Padova) attua lo stesso concetto protettivo: il volume volta le spalle al fronte stradale e invita i bimbi verso il giardino interno. ❑ J. W. A. con la collaborazione di Paolo Panetto ❑ Piruea ex Appiani, Treviso ❑ Riqualificazione dell’Isola della pescheria a Treviso Studio Botta, Lugano; committente: Fondazione Cassamarca; 236.000 mc (146.000 a destinazione pubblica direzionale, 90.000 a destinazione privata direzionale,commerciale,residenziale);impresa: consorzio d’imprese Treviso Maggiore (Carron, Biasuzzi, De Eccher); 2004 - in corso. ❑ Nuova sede Amministrazione provinciale, ex Ospedale Psichiatrico Sant’Artemio a Treviso Toni Follina, Treviso; committente: Provincia; 128.500 mc; impresa: Setten Genesio (capogruppo ATI); 2006 - in corso. ❑ Ampliamento e ristrutturazione aeroporto Antonio Canova (San Giuseppe) a Treviso Toni Follina, Treviso; committente: Comune; 1.350 mq; 1999-2002. ❑ Residenze a patio (nella foto) e PEEP a Dosson di Casier Amaca architetti associati, Treviso; committente: GMT srl., Treviso; 5.000 mc e 13.000 mc; impresa: Sartor costruzioni sas; 2003-2005 e 2000-2004. ❑ Ampliamento scuola elementare e nuova palestra a Paderno di Ponzano Veneto Studio Mar, Venezia; committente: AerTre spa; 13.950 mq; 1996 - in corso. ❑ Residenze convenzionate a Dosson di Casier Made associati, Treviso; committente: Comune; 1.020 mq; impresa: Clea sc, Campolongo Maggiore; 2004-2006. ❑ Ampliamento Asilo nido integrato «G. Appiani» a Treviso Marta Baretti, Sara Carbonera, Elena Olivo,Treviso; impresa: F.lli Paccagnan Spa; 2001-2004; foto: Francesco Castagna. Made associati, Treviso; committente: IPAB «G. Appiani»; 1.620 mc; impresa: Edilnord srl; 1999-2003; foto:Alessandra Chemollo. 30 Infrastrutture ROMA. Fra dieci anni la città avrà una metropolitana tutta nuova, la linea C, o, come la definisce spesso il sindaco Walter Veltroni, la «metro-archeologica». La linea C passerà, infatti, sotto il centro di Roma, e il fatto in sé non è nuovo. Nella capitale esistono già due linee, la A e la B, che corrono sotto monumenti e piazze celebri, dal Colosseo al Circo Massimo, da piazza di Spagna a piazza Barberini. La linea B è del 1939 e per realizzarla si scavò una trincea larga quanto un campo di calcio che sconvolse l’intero centro storico distruggendo qualsiasi reperto archeologico. Con la linea A le cose cambiarono: lo scavo dei tunnel della metro partì in un primo momento con le tradizionali trincee a cielo aperto ma ben presto, per le proteste dei cittadini, si de- IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 LA NUOVA LINEA C Roma scava per la «metro-archeologica» Il sindaco Veltroni ha assicurato che nessun reperto archeologico di pregio sarà toccato per far posto alla metro; semmai, sarà questa a spostarsi cise di utilizzare la tecnica del «foro cieco»: uno scudo meccanico, la cosiddetta «talpa», perforò il terreno nel sottosuolo, a livello delle argille. La metro C, che conterà su un finanziamento misto tra Stato, Regione e Comune, costerà 3 miliardi. Sarà lunga 25,5 km (17,6 in sotterraneo, 8,9 in superficie), avrà 30 nuove stazioni e colleghe- rà entro il 2015 piazzale Clodio, dove sorge la città giudiziaria, alla borgata Pantano, all’estrema periferia sud-est della capitale. Sarà senza macchinisti, guidata da un grande cervellone centrale. A occuparsi della costruzione della nuova tratta è Roma Metropolitane, società controllata dal Comune e guidata da Chicco Testa. La città storica è ampiamente at- traversata dalla linea. Dalla basilica di San Giovanni in Laterano il tunnel piegherà verso il Colosseo, passando sotto via dei Fori Imperiali, piazza Venezia, corso Vittorio Emanuele, incrociando i quartieri sei e settecenteschi del centro storico e monumenti come la Chiesa Nuova, Sant’Andrea della Valle, la Cancelleria apostolica. Una talpa, quin- Sezione su via dei Fori Imperiali con l’ipotesi di museo archeologico ipogeo che raccoglie i materiali ritrovati durante gli scavi E SE… potessi modellare e creare forme con una libertà mai provata prima, con la possibilità di modificare gli elementi da qualsiasi vista tu desideri? ArchiCAD introducesse un’intuitiva navigazione 3D simile ad un videogame ed un sistema di esplorazione del progetto in grado di renderlo “vivo”? potessi disporre automaticamente di disegni tecnici accurati, anche per le soluzioni formali più complesse? tutti i dati importanti, sia grafici che numerici, fossero sempre a portata di mano per esserti d’appoggio quando ne hai bisogno o per fornirti dei riscontri concreti? un nuovo e completamente sistema integrato di impaginazione e di pubblicazione rendesse il tuo lavoro fluido in tutto il ciclo di vita del progetto? estesi elementi di controllo integrati - come un Navigatore, un Organizzatore e degli Indici- ti consentissero una costante supervisione del tuo progetto? nuovi metodi intuitivi per la selezione e l’interazione semplificassero il tuo carico di lavoro quotidiano, aggiungendo una maggior funzionalità e maggior controllo? E SE magari cominciassi adesso? Sì, inviatemi il CD-Rom gratuito di ArchiCAD 10. Cigraph Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento dei miei dati personali per l’invio di informazioni tecniche e commerciali sui prodotti Cigraph dal vostro rivenditore di fiducia. www.cigraph.com Distributore: Cigraph S.r.l. Via Orsato, 38 30175 VE/Marghera Tel. 041 932 388 Fax 041 920 031 www.cigraph.com G.A. 06 Nome e Cognome Ditta/Studio Professione Via Cap. Tel. e-mail Città di, perforerà di nuovo il sottosuolo storico, come per la metro A, ma non distruggerà le ville romane affrescate come racconta Fellini in Roma; da Roma Metropolitane dicono che passerà talmente sotto terra (30 m), che le interferenze con gli strati archeologici saranno minime, tranne, ovviamente, in corrispondenza delle stazioni, ma ciò che preoccupa di più sono i possibili cedimenti degli edifici che si troveranno sopra le gallerie: anche a trenta metri, infatti, il sottosuolo di Roma è argilloso e inconsistente. All’insegna del politically correct, nell’estate scorsa sono stati aperti in varie zone del centro e della periferia una serie di cantieri archeologici preliminari col compito di verificare, proprio nei luoghi prescelti per le stazioni e i servizi, la consistenza dei resti archeologici. Si tratta di zone «ad alto rischio», e infatti i reperti non si sono fatti attendere, anche alle quote che gli archeologi definiscono più «alte», ovvero gli strati medievali e rinascimentali. Per tranquillizzare gli animi il sindaco Veltroni ha organizzato una visita-lampo ai canteri di scavo il 27 ottobre scorso, illustrando a un piccolo drappello di giornalisti l’andamento delle ricerche e assicurando che nessun reperto archeologico di pregio, si trattasse di una domus o di una statua imperiale, sarà toccato per far posto alla metro. Semmai si sposterà la metro, anzi: sotto via dei Fori Imperiali si pensa a un museo ipogeo che accolga i materiali ritrovati durante i lavori. «I cantieri archeologici aperti», ha spiegato Veltroni, «sono quelli che riguardano la tratta piazza Veneziapiazzale Clodio; siamo arrivati a quota cinque metri a piazza Venezia e si dovrà arrivare a undici per avere risultati chiari. Ci muoviamo rispettando Roma e siamo fortunati perché veniamo da una cultura diffusa della tutela del patrimonio. Chi fa la metropolitana a Roma sa che c’è l’archeologia, chi fa tutela sa che Roma deve svilupparsi perché è una grande capitale. Un appesantimento del traffico è fisiologico, ma il lavoro va avanti con velocità. L’accelerazione che Roma Metropolitane aveva annunciato essere possibile, si è ora contrattualizzata: nel febbraio 2011 apriremo 21 stazioni, tutta la tratta da Pantano a San Giovanni; è una rivoluzione per Roma e la sua periferia». Guardando le mappe della metro, compresi i prolungamenti previsti per le linee A e B, oltre alla nuova tratta D (quest’ultima allo stadio di progettazione iniziale), ci si accorge che interi ambiti resteranno ancora tagliati fuori dai progetti di Roma Metropolitane: vale per le vastissime aree, densamente popolate, tra le vie consolari maggiori, come la Cassia e la Flaminia, ma anche per le aree più a sud della capitale, come i quartieri periferici limitrofi alla via Pontina o l’intero agglomerato di Ostia, vera città satellite della capitale. La linea C collegherà comunque aree importanti come la Borghesiana, Centocelle, Finocchio, Alessandrino e i quartieri rasenti la via Casilina al centro storico della città. ❑ TOMMASO STRINATI ❑ Quasi pronto a Perugia il minimetrò automatico Dopo circa dieci anni dalle prime ipotesi di realizzazione, trascorsi quattro dall’avvio dei lavori, a breve, con un leggero ritardo, comincerà il preesercizio dell’innovativo Minimetrò automatico di Perugia, realizzato con la direzione artistica dello studio di Jean Nouvel. È la prima realizzazione d’un interessante impianto derivato da tecnologie funiviarie. Si sta ora riflettendo sull’apparato grafico e la segnaletica: una buona proposta, completa di nuovo carattere ad hoc, è stata abbozzata recentemente durante un apposito workshop alla locale Università per Stranieri.Terminato l’arredo delle stazioni, i convogli in servizio inizieranno ad animare il lungo serpente rosso (nella foto) trasportando gli utenti probabilmente a partire dalla seconda metà del 2007. ❑ G.T. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. WASHINGTON. Sugli aerei diretti negli Stati Uniti i passeggeri sono oggi accolti da un saluto registrato del Dipartimento per la Sicurezza interna che presenta il programma Us Visit, iniziativa rivolta ai visitatori da parte di un esecutivo che «si fida, ma verifica». All’arrivo, i cittadini stranieri sono condotti presso un’apposita postazione dove le loro retine e le impronte digitali sono sottoposte a scansione, e dove poi un ufficiale augura loro «una felice permanenza». Il programma di raccolta dei dati biometrici, combinato alla sorveglianza e a norme più severe per il visto di protezione, è un’iniziativa del nuovo Dipartimento per la Sicurezza interna (il solo nome evoca sfiducia nell’altro, la nostra patria contro la vostra), ed è noto tra gli Ufficiali di Frontiera come un muro virtuale. Ma la nuova proposta è quella di costruire un muro reale. Il 29 settembre scorso il Senato degli Stati Uniti ha varato il Secure Fence Act, quindi già firmato dal presidente, che autorizza, e in parte finanzia, la costruzione di una recinzione (un muro, una barriera) di 700 miglia (circa 1.130 km) lungo le 2.000 miglia del confine Usa-Messico, al fine di tenere fuori gli emigranti clandestini. Non è noto quanti messicani tentino di attraversare il confine illegalmente, ma si stima che siano circa un milione all’anno. Si tratta del confine più sanguinoso al mondo. Nel 2005, 472 persone sono morte cercando di entrare negli Stati Uniti (nei 28 anni di storia del Muro di Berlino i morti segnalati sono stati 239). A partire dal 1994, quando fu approvato il programma NAFTA per aumentare lo scambio di persone e beni tra Usa e Messico, e quando il governo americano rafforzò significativamente le pattuglie di confine costringendo i migranti a scegliere vie più pericolose per entrare nel paese, si sono registrate più di 3.000 morti. Queste morti avvengono nel deserto, dove il muro non arriva, dove oggi i clandestini sono costretti a viaggiare. USA-MESSICO: UN CONFINE SEMPRE PIÙ CONCRETO Contro il muro delle polemiche Una struttura che porta con sé implicazioni politiche, simboliche, paesistiche Due immagini della recinzione già esistente lungo il confine Usa-Messico, che arriva fino al mare primi anni novanta, le morti degli immigrati crebbero significativamente. Oggi i migranti viaggiano attraverso i tunnel, nelle zone pericolose del deserto, via mare, garantendo così un ricco mercato nero per i trafficanti professionisti che conoscono i percorsi da seguire. Se il confine diventa militarizzato, lo stesso avviene per i trafficanti. I sindacati del crimine, che per definizione raggiungono le popolazioni dei clandestini al di qua e al di là del confine, stanno diventando veicoli per il trasporto di droghe illegali. I migranti creano la domanda per il tunnel, per la nave giornaliera, e improvvisamente il termine «immigrazione» indica molto di più che una famiglia che attraversa la linea di confine sulla sabbia. Le proteste dal Messico sono state pressoché immediate. Il presidente Vicente Fox ha definito il muro «vergognoso». E i due candidati «I muri lungo i confini non arrestano il flusso migratorio: semplicemente lo deviano su vie più pericolose. Nel 2005, 472 persone sono morte cercando di entrare illegalmente negli Stati Uniti; nei 28 anni di storia del Muro di Berlino i morti segnalati sono stati 239» I muri lungo i confini non arrestano il flusso migratorio: semplicemente lo deviano su vie più pericolose. Quando il governo americano ha elevato recinzioni nelle maggiori aree metropolitane nei Paesaggio 47, GENNAIO 2007 in lizza per le prossime elezioni sembrano essere concordi almeno su un punto: il muro è un abominio, un insulto da parte dello Zio Sam ai suoi vicini di casa meridionali. Per dimostrare che fa sul ❑ Parma, un giardino per imparare È stata presentata alla stampa e agli addetti ai lavori l’edizione 2007 dell’innovativo progetto didattico «Il Giardino Ducale: un laboratorio per le scuole», ideato e curato dal Centro Documentale Parchi e Giardini Storici del Comune di Parma in collaborazione con il Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Parma, il Liceo d’arte Toschi, il Liceo scientifico Chiappi e rivolto alla scuola primaria e secondaria. Nato dalla volontà dell’amministrazione comunale di valorizzare i parchi storici urbani anche attraverso azioni educative e didattiche, il progetto si è ampliato nel corso degli anni: gli spazi individuati - in particolare il Giardino Ducale, che si presenta al termine del recente restauro - rappresentano una ricca sintesi tra artifici progettati dall’uomo ed ecosistemi naturali. Queste caratteristiche sostengono l’articolazione del progetto su un arco disciplinare molto ampio, che si estende dalle scienze matematiche e naturali, alle materie storico-letterarie, fino alle tecniche artistiche. Per informazioni: 0521.207447-539493; centroparchi@comune. parma.it. serio, il mese scorso il ministro degli Esteri messicano ha annunciato che sta lavorando per presentare una domanda giudiziale contro gli Stati Uniti presso la Corte internazionale di Giustizia (ICJ). Tutto inutile. La legge internazionale non proibisce la costruzione di un muro lungo il proprio confine, o appena all’interno. Il celebre caso di denuncia dell’ICJ contro il muro di Israele, salutata da tutti come una condanna dell’operazione stessa, in realtà giudicava illegale il muro solo perché eretto in territori occupati. La sentenza era basata sul principio di sovranità territoriale, non sui diritti umani. Ma il punto sono proprio i diritti umani. Il muro incrementerà la violenza e la disumanità di un luogo dove i diritti umani sono aridi, privi di vita. Come ha dichiarato dal Vaticano un alto prelato, si tratta di un «programma inumano». Senza contare l’enorme ricaduta ambientale: l’impatto visivo e la minaccia alla mobilità delle numerose specie animali che vivono nella regione. E per quale ragione poi? Il muro coprirà solo un terzo delle 2.000 miglia di confine; tutto ciò quando la maggior parte degli immigrati clandestini arriva con visti falsi, resta nel paese anche dopo la scadenza del permesso di soggiorno e si sposta in aereo o via mare. I muri sono giochi politici. Questo, nato poco prima delle elezioni in occasione di un congresso dei conservatori, ha lo scopo di se- durre gli elettori repubblicani. Speriamo che muoia anche come gioco politico. Il muro è un incubo diplomatico. È una spesa esagerata (stimata tra i 2 e i 7 miliardi di dollari). E non è nemmeno appoggiato dall’opinione pubblica: un sondaggio effettuato della CNN appena prima che il presidente firmasse il disegno di legge ha mostrato che la maggior parte degli americani preferisce scelte alternative alla sua costruzione. I muri sono sintomo di una società malata che chiude a chiave le persone dentro e fuori, o che si vuole fare una chiassosa pubblicità. Più che opere di costruzione, i muri sono proposte che i demagoghi sventolano come bandiere. Una volta eretti, portano alla decadenza degli imperi, com’è stato per la Cina, l’Impero Romano e Berlino Est, oppure si accompagnano a violente guerre come quelle tra il Nord e il Sud Corea, i conflitti nell’Irlanda del Nord, tra India e Pakistan, Israele e Palestina, Israele e Libano, Israele e Giordania, Israele ed Egitto. I muri dividono. Uccidono. E, come la fotografia di una coppia che si bacia attraverso una recinzione metallica, i muri restano impressi nella coscienza. Esiste un’espressione tedesca della Germania dell’Est per indicare questo effetto che perseguiterà gli Stati Uniti per anni se il muro sarà davvero costruito: Mauer Im Kopf, «il muro nella testa». ❑ ANDREW K. WOODS, Università di Harvard 31 Vertigini d’alta quota di Luca Gibello empre più in alto!», esclamava anni fa in uno spot televisivo d’un noto marchio di grappa Mike Bongiorno, calato da un elicottero sui 4.478 m.s.l.m. della vetta del Monte Cervino. E a noi, poveri alpinisti della domenica, che per raggiungere la fatidica «quota 4.000» sudiamo le proverbiali sette camicie, con tanto di emicranie e tachicardie, montava una sensazione di rabbia mista a invidia. Ora, a poca distanza dal Matterhorn (nome svizzero del Cervino), sul versante elvetico del gruppo del Monte Rosa, veniamo a conoscenza d’un progetto, tutt’altro che ipotetico, per erigere una «piramide in vetro e acciaio» che sopraelevi il Piccolo Cervino (3.883 m) a quota 4.000, al servizio di turisti e sciatori che salgono in funivia dal paese di Zermatt alla base (3.820 m) della cuspide rocciosa del Klein Matterhorn. Il progetto è promosso dalla società che gestisce l’impianto (Zermatt Bergbahnen), in seguito a un concorso del 2004 per riqualificare e potenziare l’attuale struttura, in funzione da circa 25 anni. Sono previsti ristoranti, spazi multimedia, servizi e un hotel nella roccia (in ambiente pressurizzato come se ci si trovasse a 2.200 m), ma soprattutto un ascensore che condurrà i visitatori in cima alla «torre» di 117 m, dove toccheranno quota 4.000 e godranno, in vitro, d’un impareggiabile panorama sull’arco alpino. Anche senza avallare i «fondamentalismi» del movimento Mountain Wilderness, fondato da Reinhold Messner nel 1987, che propugna il «grado zero» della fruizione dell’ambiente montano auspicando lo smantellamento dei mezzi meccanici di risalita, il progetto dell’artista Heinz Julen e dell’architetto Ueli Lehmann è insensato per almeno tre ordini di motivi. In primo luogo, quelli di natura storico-culturale. La proposta appare inesorabilmente datata, richiamando da un lato le visionarie concrezioni tettoniche dell’Alpine Architektur di Bruno Taut (1919), ma soprattutto l’epopea tardo-romantica della «lotta con l’Alpe», che nella declinazione positivista di fine Ottocento assume le sembianze della scienza e dell’ingegneria in grado di dominare la natura, con buona pace dell’ecologia. Emblematico fu quanto successe nell’Oberland Bernese. Qui, nel 1889, l’ingegner Maurice Koechlin, stretto collaboratore di Gustave Eiffel, propose una copia esatta della torre conclusa quello stesso anno per l’Esposizione Universale di Parigi, alta tuttavia 2.100 m e con i piloni poggiati sugli opposti versanti dell’incantevole valle di Lauterbrunnen, celebrata da Goethe per le sue cascate. Dalla sua sommità una fune tesa orizzontalmente avrebbe consentito a una navetta di trasportare i turisti sulla Jungfrau (4.158 m). Se questa proposta non fu così lontana dal concretizzarsi, nel 1893 s’avviò il progetto per la celeberrima ferrovia a cremagliera che avrebbe dovuto condurre, interamente in galleria, in vetta alla Jungfrau. Fortunatamente, dopo 16 anni di lavori l’impresa s’arrestò - non certo per problemi tecnici - al Jungfraujoch (3.454 m). Il secondo ordine di motivi è di natura economico-ambientale. Al momento non esiste in Europa la possibilità di raggiungere i 4.000 m con l’ausilio d’impianti meccanici. Una simile boutade promozionale scalzerebbe il primato che spetta alla funivia francese dell’Aiguille du Midi sul Monte Bianco (3.842 m), in una gara ad accaparrarsi numeri crescenti di turisti. Le aspirazioni del progetto («anche la Svizzera avrà la sua Tour Eiffel!», si legge nel sito http://bergbahnen.zermatt.ch) paiono degne non d’un paese come Zermatt (già meta del grand tour europeo delle comitive giapponesi richiamate dal Matterhorn e luogo bandito alle auto), bensì delle mire d’un sindaco nostrano di qualche sperduto comune valligiano che, per fare cassa, escogiti una trovata di richiamo mediatico. Per più banali ragioni campanilistiche, a inizio Novecento gli abitanti di Saas Balen (non lontano da Zermatt), gelosi dei dirimpettai di Saas Grund e Saas Almagell i quali vantavano nella propria giurisdizione comunale il Lagginhorn (4.010 m) e la Weissmies (4.027 m), meditavano di sopraelevare il Fletschhorn (3.996 m); ma l’idea (una bazzecola, al confronto; sarebbe bastato accatastare quattro sassi!) rimase lettera morta. E se sono ormai sedate le pulsioni tardo ottocentesche dettate dall’ottimismo del progresso tecnologico, la proposta rivela la «cattiva coscienza» della Svizzera, Paese apparentemente modello di sviluppo sostenibile per la valorizzazione territoriale attraverso la tutela. Infine, le questioni di natura fisico-tecnica. Da un lato, occorre valutare i rischi cui si espone il corpo umano non avvezzo all’alta quota, raggiunta inoltre senza acclimatazione. Dall’altro, in tempi di surriscaldamento globale, occorre considerare la progressiva riduzione del permafrost (lo strato di terreno perennemente ghiacciato). Ciò implica un’alterazione meccanica del suolo e delle aggregazioni rocciose, con possibili conseguenze sulla resistenza alle opere fondazionali. Gli alpinisti sanno che negli ultimi anni i rischi di scariche di pietre sono assai cresciuti: nella torrida estate 2003 molti itinerari di salita al Monte Bianco sono stati vietati dalle autorità; peggio dicasi per la via italiana al Cervino, ormai «chiusa» nel mese di agosto, e per un tratto crollata improvvisamente nottetempo proprio nel 2003. Dopo le isole artificiali sull’oceano, gli hotel subacquei, i tunnel e i ponti chilometrici, non vorremmo farci cronisti di nuovi record: quelli delle sopraelevazioni dei monti. A uso di turisti distratti che esclamerebbero tronfi: «sono stato sul Cervino!» S 32 Paesaggio Congestionate dal traffico, inquinate e sommerse dai rifiuti: questo è il ritratto delle città italiane che emerge da «Ecosistema Urbano 2007», il rapporto sull’ambiente delle città realizzato da Legambiente. Giunto alla tredicesima edizione, lo studio analizza i dati forniti dai 103 Comuni capoluogo di provincia su 125 parametri ambientali. Le informazioni confluiscono in 26 diversi indicatori della qualità ambientale relativi a tre aspetti: la pressione sull’ambiente delle attività umane (consumi di acqua potabile, carburante, elettricità, produzione di rifiuti solidi urbani, tasso di motorizzazione), la qualità dell’ambiente fisico (smog, inquinamento idrico), IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. ECOSISTEMA URBANO 2007 Le città tra emergenza e immobilismo Secondo il rapporto di Legambiente sono ancora insufficienti le politiche messe in atto per migliorare la vivibilità urbana. La «meno insostenibile» è Bolzano, L’Aquila ultima in classifica tà centro-meridionali. Tra queste la maglia nera tocca all’Aquila, ultima in classifica. Le città italiane, nel complesso, risultano immobili. Non in declino, ma neanche tese a un deciso rilancio, a migliorare la qualità della vita dei propri abitanti, a Veduta panoramica di Bolzano, città italiana che primeggia nel rapporto «Ecosistema Urbano 2007» di Legambiente le politiche attuate dalle amministrazioni (abusivismo edilizio, raccolta differenziata, trasporto pubblico, isole pedonali e zone a traffico limitato, piste ciclabili, aree verdi, politiche energetiche). Al vertice della classifica si colloca Bolzano, che primeggia in un paio di parametri (monitoraggio della qualità dell’aria e politiche energetiche). «Più che la migliore», si legge nel rapporto «è la meno insostenibile». Gli ultimi dieci posti, ma in genere gran parte della seconda metà della classifica, sono occupati da real- puntare sulla sostenibilità dell’ambiente del proprio territorio. Prendiamo l’esempio dell’aria. I valori di biossido di azoto sono oggi superiori ai limiti di legge in 43 Comuni rispetto ai 38 dello scorso anno, mentre per le polveri sottili il livello dell’allarme sanitario è stato superato in 24 città (solo due in meno rispetto all’esame del precedente «Ecosistema Urbano»). Evidentemente il grande bricolage di misure tampone (targhe alterne, blocchi estemporanei della circolazione, stop limitati alle auto non catalizzate e ai vecchi diesel) non hanno migliorato la situazione. Altri sintomi di stallo arrivano dal ciclo delle acque: la depurazione degli scarichi civili è ferma all’80%, come lo scorso anno, e sono ancora 9 le città dove il numero di abitanti allacciati alla rete fognaria è inferiore al 50% della popolazione. Pressoché invariate, e dunque elevatissime, le perdite della rete idrica, che passano da un anno all’altro dal 30% al 31%. Un problema, quest’ultimo, che riguarda buona parte delle città italiane: il 44% dei Comuni capoluogo per cui è stato possibile fare una stima perde più del 30% dell’acqua che immette in rete. I rifiuti prodotti continuano a salire in maniera continua e preoccupante: quasi il 2% rispetto al dato dello scorso anno della produzione complessiva (614 kg/abitante/anno contro gli attuali 625). Migliora di pochissimo il dato relativo alla raccolta differenziata, che si attesta al 21,7%, rispetto al 20% precedente. Questa rimane peraltro una prerogativa del Centro-Nord: sono infatti solo 3 (Macerata, Brindisi e Nuoro) i Comuni del Sud e delle Isole che riescono a raggiungere almeno il 15% di raccolta differenziata. In questa edizione di «Ecosistema Urbano» le città che hanno superato l’obiettivo del 35% sono 28 e solo 3 (Asti, Lecco e Verbania) superano il 50%. Irrisolta è la questione dell’abusivismo edilizio. L’ultimo censimento realizzato da Legambiente ha stimato la realizzazione di oltre 40.000 costruzioni abusive, con una concentrazione (55%) nelle quattro regioni a tradizio- nale presenza mafiosa (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia). Il dato migliore è quello della Val d’Aosta, immune al cemento fuorilegge. Qualcosa, fortunatamente, risulta migliorato. La crescita delle isole pedonali: 0,31 mq per abitante (erano 0,28 lo scorso anno). Tra le grandi città, oltre al caso eccezionale di Venezia, spicca Roma che dichiara circa 364.000 mq di spazio per i pedoni; male invece Milano, con appena 120.000 mq. L’estensione media complessiva delle zone a traffico limitato oltrepassa i 4 mq per abitante. Undici capoluoghi hanno ZTL che si estendono per più di 100 ettari. Tra questi spiccano 47, GENNAIO 2007 Roma, prima tra le grandi città, e Bergamo, che mette a disposizione oltre 46 mq pro capite. Trentadue i Comuni che rimangono al di sotto di un mq per abitante. I chilometri di piste ciclabili sono quasi 1.700 (1.133 in sede propria e 558 in corsia riservata), mentre sono 797 quelli di percorsi misti pedonali e ciclabili; invece la presenza di zone con moderazione di velocità a 30 km/h è segnalata in 18 città, 5 in più dell’anno scorso, con un’estensione complessiva di 222 km. Il verde urbano fruibile fa registrare un leggero aumento nelle superfici disponibili per abitante: nella media italiana, infatti, si passa dai quasi 10 mq (9,8) dello scorso anno agli attuali 10,6 mq per abitante. ❑ MANUELA SALCE Classifica delle città in base ai 25 parametri monitorati da Legambiente Posto 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 Città Bolzano Mantova La Spezia Parma Trento Pisa Ferrara Verbania Livorno Cremona Udine Lecco Belluno Perugia Terni Brescia Ravenna Venezia Bologna Siena Salerno Bergamo Pavia Reggio Emilia Biella Prato Genova Rimini Cuneo Varese Savona Cosenza Piacenza Avellino Macerata Punti 69,43% 69,19% 68,54% 67,75% 65,63% 64,81% 64,77% 64,65% 64,29% 64,25% 64,14% 63,94% 63,71% 63,67% 63,47% 63,17% 63,08% 62,35% 62,02% 61,88% 61,47% 61,36% 61,13% 60,51% 59,94% 59,71% 59,66% 59,48% 59,16% 58,98% 58,87% 58,57% 58,49% 58,27% 57,91% Posto 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 Città Sondrio Massa Lucca Novara Firenze Modena Vicenza Matera Pordenone Forlì Grosseto Treviso Rovigo Asti Ancona Chieti Gorizia Trieste Pescara Foggia Rieti Arezzo Verona Ascoli Piceno Roma Lodi Milano Como Pesaro Potenza Aosta Napoli Bari Torino Padova Punti 57,90% 57,84% 57,84% 56,98% 56,97% 56,72% 56,27% 56,21% 56,10% 56,06% 55,79% 55,73% 55,59% 55,28% 55,28% 55,00% 54,88% 54,82% 54,79% 54,77% 54,38% 54,36% 54,34% 54,30% 54,17% 53,81% 53,62% 53,50% 53,17% 53,02% 52,93% 52,55% 52,46% 51,98% 51,74% Posto 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 Città Caserta Lecce Vercelli Pistoia Brindisi Campobasso Cagliari Viterbo Nuoro Enna Crotone Vibo Valentia Alessandria Teramo Palermo Reggio C. Benevento Frosinone Caltanissetta Sassari Messina Imperia Latina Agrigento Catanzaro Isernia Siracusa Oristano Trapani Ragusa Catania Taranto L’Aquila Media italiana 54,19% Fonte: Legambiente, Ecosistema Urbano 2007 (Comuni, dati 2005). Elaborazione: Istituto di Ricerche Ambiente Italia. L’Ottocento a Siena: una città tutta da riscoprire M olto si conosce dell’antica città senese, ma nell’Ottocento la città visse un momento particolare ed eccezionale. Lo spartiacque fu il terremoto del 1798, che diede luogo a restauri, ricostruzioni e ammodernamenti. Le conseguenze furono una rilettura del linguaggio neorinascimentale, la trasformazione edilizia, il revival gotico, nuovi regolamenti edilizi. Dall’edilizia religiosa alle rappresentazioni a stampa, dall’estetica del ferro battuto ai parchi e ai giardini, questo libro studia ogni aspetto della città ottocentesca ed il suo confronto con le forti eredità lasciate. Il cambio d’uso e di proprietà di alcuni edifici nobiliari rappresenta un significativo indicatore della trasformazione della società senese nell’Ottocento. Documenti, relazioni, istruzioni e repertori arricchiscono di appendici questo volume del tutto nuovo nel suo taglio e nel disegnare i confini della città moderna. Una città e una natura per la prima volta pensate e progettate. ARCHITETTURA E DISEGNO URBANO A SIENA NELL’OTTOCENTO A cura di Margherita Anselmi Zondadari 410 pp., 23 x 28,5 cm, 265 col., 34 bn Rilegato, € 45,00 ISBN 88-422-1472-8 Punti 51,73% 51,52% 51,38% 51,24% 50,80% 50,51% 50,26% 50,14% 49,91% 49,33% 48,84% 48,26% 47,68% 46,79% 46,19% 45,53% 45,36% 45,09% 44,96% 44,14% 43,28% 41,89% 41,18% 40,93% 40,70% 40,37% 38,70% 38,17% 37,35% 37,15% 37,02% 34,85% 31,37% UMBERTO ALLEMANDI & C. TORINO~LONDRA~VENEZIA~NEW YORK www.allemandi.com Per ricevere i libri a domicilio: ❏ Spedire la cedola riprodotta in questo numero del giornale a Umberto Allemandi & C., via Mancini 8, 10131 Torino ❏ Oppure inviare un fax al n. 011 8199138 ❏ Oppure inviare una e-mail a: [email protected] ❏ Oppure telefonare al n. 011 8199155 Libri Allemandi: investimenti in cultura durevole IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Libri 47, GENNAIO 2007 ❑ Inventari di architettura catalana Il COAC (Collegio degli Architetti della Catalogna) dedica ad Alfons Soldevila il nuovo volume della collana «Inventaris d’Arquitectura», che inaugura una nuova tappa caratterizzata da una grafica rinnovata, ma che resta saldamente ancorata ai suoi intenti: potenziare e promuovere l’architettura catalana contemporanea.La collana era nata,infatti, nel 2001 dalla volontà del Collegio di Girona di diffondere l’architettura locale per mezzo di una pubblicazione che di volta in volta illustrasse il percorso professionale di uno o più architetti membri. Dal 2004 la collana si è estesa all’intero territorio catalano, coinvolgendo progettisti che si distinguono per il percorso professionale. Da allora sono state pubblicate dodici monografie. La tredicesima, dedicata a Ramon Artigues e Ramon Sanàbria, sarà in circolazione da febbraio. Curato da Anna Puigjaner, il libro, in edizione trilingue, si apre con una prefazione di Josep Maria Montaner e Enric Massip-Bosch, cui fa seguito un compendio delle opere di Soldevila: agli incisivi testi dello stesso progettista si affianca un interessante apparato iconografico costituito da fotografie, disegni tecnici e schizzi di studio, che sottolineano la forte componente investigativa che permea l’intera opera dell’architetto catalano, senza distinzione di scala. Soldevila (1938), professore di progettazione all’ETSAB e professionista dall’attitudine creativa, è da sempre alla costante ricerca di nuovi materiali, strutture e sistemi costruttivi da sperimentare. Nell’età dell’oro della Spagna che costruisce, Soldevila non cavalca l’onda della «bolla immobiliare», ma rifugge volutamente i grandi incarichi (e di conseguenza il palcoscenico mediatico dell’architettura), prediligendo quelli che gli consentono di operare in piena libertà. I suoi temi ricorrenti delle architetture in cemento, le tensostrutture, le strutture translucide e le invenzioni a piccola scala vengono nel titolo del volume sintetizzati sotto l’espressione di «geometrie adattabili». Scrive Montaner nel saggio introduttivo: «L’opera di Soldevila è quella di un inventore nato e infaticabile, una sorta di Antoni Gaudí dell’epoca postmoderna, nella tradizione della ricerca di Le Corbusier e degli esperimenti poetici di John Hejduk». ❑ Francesca Comotti Anna Puigjaner (a cura di), Alfons Soldevila. Geometria Adaptable, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Barcellona 2006, pp. 181, euro 25. PETER BLAKE (1920-2006) Form follows fiasco Una biografia di teorico e architetto, a cavallo tra Movimento moderno e post-modernismo, quella di Peter Blake, il critico dell’architettura moderna statunitense scomparso il 5 dicembre in una casa di riposo di Bradford (Connecticut), per le complicazioni di un’infezione polmonare. Si era ritirato a vivere in Connecticut già dal 1991 quando, abbandonato l’ambiente accademico che l’aveva visto direttore del Dipartimento di architettura e urbanistica della Catholic University tra il 1979 e il 1986, aveva scelto di dedicarsi esclusivamente a una prolifica attività di critico e scrittore. Peter Jost Blach, divenuto Peter Blake nel 1944 con l’acquisizione della cittadinanza americana, era nato nel 1920 a Berlino da una benestante famiglia ebrea, emigrata a Londra nel 1933 in fuga dalla Germania nazista. Dopo gli studi in matematica alla Univertity of London e una laurea in architettura conseguita nel 1939 alla Regent Street Polytechnic School of Architecture, Blake aveva proseguito gli studi in architettura negli Stati Uniti dove, grazie anche al fortunato incontro e all’esperienza formativa con Louis Kahn, diventato suo riferimento, aveva ottenuto il titolo dell’University of Pennsylvania nel 1941, e del Pratt Institute nel 1949. Alla guida, tra il 1950 e il 1972, di «Architectural Forum», per cui era stato autore, fondatore e direttore di «Architectural Plus» fino al 1975, curatore delle sezioni architettura e design del MoMA di New York tra il 1948 e il 1950, Blake era strettamente legato ad alcuni dei protagonisti delle élite artistiche newyorkesi come Robert Motherwell, Willem De Kooning e Jackson Pollock. Autore di circa venti libri e d’innumerevoli articoli, ha celebrato le icone del Movimento moderno attraverso numerose monografie, cui seguì nel 1960 la pubblicazione di The Master Builders: Le Corbusier, Mies Van Der Rohe, Frank Lloyd Wright, diventato opera di riferimento per lo studio dei maestri. Da cronista entusiasta del Movimento moderno, definizione che di gran lunga preferiva a quella di modernismo, ma insofferente di fronte ad alcune delle sue più evidenti manifestazioni, ne è diventato uno dei più accaniti oppositori. A lui va il merito di aver coniato, parodiando la fortunata formula alla base del credo modernista, slogan fortunati come quello del testo Form follows fiasco: why modern architecture hasn’t worked(1977), in cui si riconosce un’intera generazione di post-modernitsti di cui è diventato portavoce. Gold Own Junkard: the Planned Deterioration of America’s Landscape (1964) e No Place Like Utopia: Modern Architecture and the Company We Kept (1993) sono alcuni tra i suoi scritti più noti. La carriera di Blake architetto vede oltre 50 progetti realizzati, di cui quelli per l’area degli Hamptons meritano particolare attenzione, come la Russel House (1956), la Blake House, pensata per la sua famiglia nel 1960, la Armstong House (1961), la sua Pin Wheel House a Long Island (1954), o i disegni del 1949 per il progetto mai costruito dell’Ideal Museum, pensato per Pollock nell’East Hampton. ❑ GAIA CARAMELLINO 33 MONOGRAFIE Brunelleschi in una nuova veste Il testo di Arnaldo Bruschi apre questioni inedite legate alla biografia dell’architetto fiorentino Esattamente trent’anni dopo l’uscita, nel 1976, del Brunelleschi di Eugenio Battisti, Electa dedica a questo padre nobile del Rinascimento una nuova monografia affidata ad Arnaldo Bruschi, tra i massimi specialisti a livello internazionale, che sull’architetto e sull’invenzione del nuovo stile all’antica nella Firenze del XV secolo ha scritto negli ultimi decenni fondamentali contributi, e di recente il capitolo che ha inaugurato il volume Il Quattrocento della Storia dell’architettura italiana (a cura di Francesco Paolo Fiore, Electa, Milano 1998, pp. 38-113). Dev’essere stato proprio lo sforzo notevole compiuto per condensare - nelle pagine necessariamente limitate di un’opera a più voci - lo svolgersi e il senso d’una vicenda artistica epocale, a dare lo slancio a Bruschi d’affrontare nuovamente l’argomento, approfittando di spazi più ampi e d’una veste editoriale arricchita d’un apparato illustrativo imponente, al quale conferisce particolare lustro l’impiego di molti scatti «storici» di Paolo Monti, che tanto hanno contribuito al successo e alla riconoscibilità delle monografie architettoniche Electa negli anni settanta del Novecento. Con tipico understatement, nella prefazione Bruschi afferma che il libro ha i suoi «ideali interlocutori» «negli studenti e gli architetti, prima degli esperti»: da questi ultimi l’autore momentaneamente quasi si dissocia, rivendicando la propria formazione di progettista e svelando, con delicatezza e ironia, le ragioni autobiografiche del suo interesse storico per lo smontaggio e la ricostruzione dei meccanismi mentali che stanno alla base delle fabbriche brunelleschiane. Alle esigenze di quel pubblico il volume viene incontro con il suo tradizionale impianto biografico e la strutturazione in cinque capitoli. I primi quattro, dopo brevi cenni al contesto sociale e culturale, seguono cronologicamente l’evoluzione professionale e la maturazione stilistica di Brunelleschi attraverso l’analisi ravvicinata delle opere. Il quinto verifica le ricadute del lin- 1993) il volume di Bruschi è arricchito dalla ricostruzione dell’attività scultorea dell’architetto sulla base delle novità emerse dagli studi di Luciano Bellosi anche in merito alla sua partecipazione alla rinascita della tecnica antica della terracotta. Manca, invece, un regesto documentario e (meno comprensibilmente considerando gli scopi didattici del volume) un medaglione biografico. ❑ MARIA BELTRAMINI Arnaldo Bruschi, Filippo Brunelleschi, Electa, Milano 2006, pp. 200, euro 76,50. In vetrina Il Duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze, con la cupola brunelleschiana e la piazza della SS. Annunziata con lo Spedale degli innocenti guaggio di Filippo - razionale e uniforme - sulle scelte espressive degli artisti della sua generazione e il cui rinnovamento, pur reso possibile dalle sue invenzioni formali e percettive, segue percorsi e approda a soluzioni spesso polemiche o apertamente divergenti. A un testo scorrevole anche nei punti concettualmente più densi (una delle maggiori qualità del Bruschi scrittore, è quella della limpidezza linguistica, fin dal maestoso Bramante, edito da Laterza nel 1969) corrispondono le note a fine capitolo, che danno conto in forma sintetica ma puntuale degli sviluppi più recenti del dibattito critico. Anche gli «esperti», comunque, troveranno pane per i loro denti, perché molti sono i nodi della biografia artistica dell’architetto fiorentino che restano da sciogliere e a cui Bruschi non rinuncia a fornire nuove precisazioni e riflessioni: si pensi ad esempio alla questione della pertinenza brunelleschiana - ultimamente revocata in dubbio - dell’invenzione del tempio a pianta centrale rappresentato in quell’oggetto enigmatico e affascinante che è la placchetta argentea con la «Guarigione dell’indemoniata» oggi al Louvre. Rispetto a un volume di riferimento scientifico come quello per molti versi insuperato di Howard Saalman (Filippo Brunelleschi. The Buildings, Zwemmer, Londra Nuove uscite per la collana «Print» Fanno entrambi parte della collana «Print», nata all’interno del Dipartimento di Architettura dell’Università degli studi di Roma La Sapienza e diretta da Antonino Terranova: gli atti del convegno dedicato nel 2004 alla figura di Ludovico Quaroni, e uno dei primi esiti del laboratorio Housing Lab, struttura di ricerca sull’abitazione nata all’interno del DIAR. Una raccolta di 46 contributi, oltre alla premessa e ai saggi introduttivi, formano Mo- dernocontemporaneo, luogo di confronto in cui con sguardi e strumenti differenti gli autori segnano il passaggio dalla stagione del Movimento moderno a quella del contemporaneo, tentando di individuare principi di continuità e discontinuità ma fornendo una risposta parziale e non univoca. Indaga invece i problemi urbani, sociali, architettonici e ambientali del nuovo secolo Abitare in città: l’autrice, con il contributo di diversi studiosi, insiste sull’importanza del tema residenziale ai fini della rigenerazione urbana, presentando linee di ricerca possibili per contribuire al rinnovamento delle soluzioni abitative, con il coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, progettisti, cittadini e imprese. Orazio Carpenzano e Fabrizio Toppetti (a cura di), Modernocontemporaneo. Scritti in onore di Ludovico Quaroni, Gangemi Editore, Roma 2006, pp. 461, euro 38. Marta Calzolaretti,Abitare in città.Questioni architettoniche sociali ambientali, Gangemi Editore, Roma 2006, pp. 272, euro 24. Giampiero Sanguigni, Undutchable, Meltemi, Roma, pp. 231, euro 19,50. Maturato nel corso di un viaggio in Olanda,il libro (della collana «Babele») si presenta come una piccola guida fra i repertori dell’architettura olandese nella generazione after party.In 10 capitoli,dedicati alle diverse inclinazioni progettuali, sono presentate alcune opere di circa 20 giovani studi di architettura: 24H-Architecture, Onix, NL Architects, SeArch, tra gli altri. Le tendenze di una generazione che avverte sempre più sia il peso di quella che l’ha preceduta, sia quello di una profonda crisi economica, che è anche e soprattutto una crisi disciplinare. Angela Pini Legobbe e Verio Pini (a cura di), Progetto Castelgrande. Il divenire di un restauro,Skira,Milano 2006, pp.286,euro 55.Il libro ripercorre le tappe più significative della vicenda progettuale di Castelgrande a Bellinzona (Canton Ticino): dai primi interventi degli anni venti-cinquanta, ai progetti mancati degli anni sessanta-settanta, fino al mandato esecutivo del 1981 che ha portato a fine anni ottanta al restauro definitivo, firmato da Aurelio Galfetti. Una raccolta di saggi restituisce il dialogo interdisciplinare che si instaura tra storici dell’arte e architetti come Carlo Bertelli, Mario Botta, Andrea Bruno, Alberto Camenzind,André Corboz, Livio Vacchini e lo stesso Galfetti. Fischer Italia, Building Envelope. Costruire la qualità, Federico Motta Editore, Milano 2006, pp. 64, gratuito. Dedicato interamente alle facciate continue, il volume pone l’involucro edilizio al centro della riflessione sull’architettura compatibile del futuro e costituisce la risposta del mondo della produzione all’esigenza di approfondire temi legati alla trasformazione della facciata continua da semplice rivestimento a complesso sistema di mediazione intelligente tra interno ed esterno. Raccontato attraverso casi selezionati per la loro capacità di rappresentare un preciso tema edilizio, indaga aspetti legati alla facciata ventilata,all’isolamento, all’utilizzo del vetro, affrontati in chiave progettuale. 34 Libri IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 ORNAMENTI IN ARCHITETTURA UNIVERSITY PRESS Yale, Princeton e Mit messe in crisi dai nuovi arrivati? Association of American University Presses (A ) L’ definisce come «universitari» quegli editori che affidano AUP la selezione dei testi da pubblicare a specifici comitati scientifici, i quali certificano la qualità degli scritti attraverso un processo di peer reviewing, ossia di valutazione da parte di studiosi di provato valore nello stesso campo disciplinare dell’autore. Le case editrici aderenti all’associazione sono 125 (per un elenco completo, cfr. http://aaupnet.org/membership/directory.html#list): benché siano inclusi anche alcuni editori con sede al di fuori degli Stati Uniti o del Canada (nove, per la precisione), il numero di aderenti all’AAUP fornisce un dato sufficientemente eloquente circa l’importanza che questo universo editoriale riveste in Nord America. Le University Press vantano una lunga tradizione nella pubblicistica architettonica, disciplina spesso inclusa nell’alveo più ampio delle arti figurative. Fra i nomi più noti figurano case editrici come Yale University Press, al primo posto per numero di titoli nel campo della storia dell’architettura e dell’arte (oltre 300 l’anno), grazie anche alle numerose collaborazioni con musei e istituzioni, Princeton University Press e The MIT Press, editore quest’ultimo i cui interessi si estendono a settori paralleli come il graphic design o la storia della tecnologia. Negli ultimi anni, accanto a questi protagonisti già consolidati, si è affacciata sul mercato delle pubblicazioni universitarie una nuova leva di editori, spesso con proposte innovative in termini di contenuti e approcci metodologici. Ad esempio, University of Washington Press ha inaugurato collane dedicate ai paesi emergenti (come la serie «Studies in Modernity and National Identity»); Penn State University Press e University of Minnesota Press hanno dato alle stampe testi in cui l’architettura è vista attraverso la lente della storia culturale o della cultura materiale; University of British Columbia Press si è segnalata per l’attenzione alla pianificazione, agli studi urbani e all’ecologia urbana e regionale. Queste nuove realtà hanno probabilmente contribuito a marcare con maggior precisione la linea di separazione tra editori legati alle università (e agli istituti di ricerca) ed editori con orientamenti più commerciali, un confine che si è fatto sempre più labile dal momento che University Press come The MIT Press si sono messe a competere con case editrici come Princeton Architectural Press, Monacelli, Rizzoli, o Phaidon nel settore delle pubblicazioni «per architetti», mentre editori «commerciali» come Ashgate o Routledge contendono agli editori universitari spazi nel settore delle pubblicazioni derivate da ricerche sviluppate in ambito accademico. Se il settore soffre di qualche crisi d’identità, nonostante le precise indicazioni fornite dall’AAUP, ciò è dovuto però anche ad alcuni caratteri peculiari dell’industria dei libri. Infatti, similmente a ciò che accade nell’editoria commerciale, in Nord America come altrove, scelte o orientamenti culturali delle University Press sono spesso legate ad alcune figure di responsabili redazionali la cui presenza può influenzare i programmi editoriali e determinare talvolta le fortune di autori e argomenti. È il caso, ad esempio, di Roger Conover (da oltre trent’anni alla guida della sezione architettura di MIT Press), di Patricia Fidler (trasferitasi negli anni novanta da Princeton a Yale University Press) o di Gloria Kury (recentemente passata da Penn State a Pittsburgh University Press). Ma non sono questi i veri problemi che affliggono oggi le case editrici universitarie nordamericane. Se l’accesso al vasto mercato accademico e all’ancora più vasto bacino di lettori in lingua inglese contribuisce a fare delle University Press un fenomeno sufficientemente solido da sopportare le crisi che con periodicità sempre più crescente colpiscono l’industria editoriale, altre incognite sembrano prospettarsi all’orizzonte. Un rapporto, compilato a settembre da Hilary Ballon e Mariët Westermann per la Andrew W. Mellon Foundation, sull’attuale stato delle pubblicazioni nel campo della storia dell’arte (Art History and Its Publications in the Electronic Age), rivela quali siano le questioni che le case editrici universitarie dovranno affrontare nel prossimo futuro: la concorrenza di pubblicazioni elettroniche e altri media, l’aumento esponenziale dei costi di riproduzione delle immagini (sempre più a carico degli autori), le incertezze legate alle legislazioni correnti in materia di copyright, una preoccupante forbice tra numero di giovani studiosi - in aumento - e possibilità di pubblicazione - in diminuzione (il rapporto è disponibile on-line al sito: http://cnx.org/content/col10376/1.1/). Visto da una prospettiva europea, quello delle University Press può sembrare un mondo lontano, distante anni luce dalla realtà culturale italiana. Ma i problemi che le case editrici universitarie nordamericane si trovano ad affrontare, così come le tematiche o gli approcci metodologici che esse spesso propongono, possono offrire spunti di interesse per editori, autori e lettori anche da questo lato dell’Atlantico. ❑ PAOLO SCRIVANO e ALEXIS SORNIN Pago, dunque sono Dal modello alla copia, dalla produzione artigianale a quella in serie, storia di un simbolo del successo sociale La storia dell’ornamento, dei modi, delle tecniche e dei canali di circolazione della decorazione architettonica nella contemporaneità è ancora tutta da costruire. Le sperimentazioni compiute in questo settore tra Sette e Ottocento costituiscono, tuttavia, frammenti essenziali anche per la comprensione dei processi più ampi che descrivono le trasformazioni dell’architettura. Lo dimostra il testo di Valerie Nègre, L’Ornement en serie, che ha in primo luogo il merito di suggerire un punto di osservazione diverso per comprendere come l’ornamento perda il legame di necessità e dipendenza dall’architettura, ed esaurisca progressivamente le proprie potenzialità simboliche e rappresentative, fino a divenire superfluo e ostracizzato in seguito, come noto, dagli architetti del Movimento moderno. Per molto tempo l’ornamento ha incarnato il simbolo della ricchezza e del successo sociale, metafora di un «paradigma esistenziale» che Pol Abraham traduce nell’espressione «Je paie, donc je suis» (dal testo del 1946 Architecture prefabriqué), non a caso riportata come incipit nell’introduzione di questo libro. Di qui intende partire l’autrice che, se sceglie un campo d’indagine molto ridotto (un materiale, il laterizio, e una zona geografica, il centro della Francia, con particolare riferimento all’area di Tolosa) intende tuttavia suggerire temi e ipotesi interpretative di largo respiro. Lo dimostrano i titoli delle tre parti che, attenti a non rivelare i limiti, specialmente geografici, della ricerca, delineano un percorso che conduce dall’ornamento artigianale, all’ornamento in serie, alla standardizzazione della costruzione. L’indagine sullo sviluppo dell’ornamentazione in serie nella regione va d’altra parte a toccare alcuni nuclei centrali della riflessione teorica ottocentesca, e in primo luogo la distinzione, cara tra gli altri a Quatrèmere de Quincy, tra copia e modello, solo quest’ultimo ammesso nell’empireo dell’architettura e reinterpretato attraverso lo strumento intellettuale del disegno nell’elaborazione di ornamenti unici. Studiando le piccole imprese che lavorano sul territorio di Tolosa, Nègre dimostra come l’implementazione del sistema di produzione delle decorazioni a stampo passi attraverso l’elaborazione di tecniche, sempre più sofisticate, di riproduzione e contraffazione dei materiali «nobili»: uno per tutti, la pietra, la cui diffusione è veicolata anche dall’affermazione del gusto neoclassico. Se la tecnica dello stampo rinasce progressivamente con l’adattamento e la modifica di procedimenti antichi a fini artistici e commerciali, essa è d’altra parte riscoperta, tra Settecento e Ottocento, come strumento essenziale a scopo documentario e pedagogico. Le fonti utilizzate dalla studiosa (che rivelano le radici profonde della ricerca nella Pannelli con motivi gotici, dal catalogo della manifattura fratelli Virebent, 1836 circa sua tesi di dottorato del 2002) spaziano così dalle raccolte di ornamenti (Recueils), alle collezioni di frammenti architettonici, ai brevetti e ai cataloghi commerciali. Apprendiamo che molti architetti hanno un ruolo attivo nel processo di serializzazione dell’ornamento, fabbricano e vendono modelli, anche se a vol- te preferiscono occultare, come nel caso di Jacques Ignace Hittorf, le loro attività commerciali. Ciò che emerge con più forza, in special modo attraverso l’analisi delle pubblicazioni delle imprese, sono tuttavia le ipotesi sul ruolo giocato dall’ornamento nella trasformazione dell’edilizia privata e, di conseguenza, sull’ar- chitettura in senso lato. Quanto incide la diffusione dell’ornamento in serie sulla trasformazione dei modi di concepire e costruire gli edifici? Quanto sulla perdita del suo ruolo di marcatore sociale? E quanto, infine, sulla distinzione formale tra architetture pubbliche e private, tra monumentale e banale? Se il pregio di molte ricerche sta nel porre buoni interrogativi, la lettura di questo testo potrà risultare interessante. ❑ FRANCESCA B. FILIPPI Valerie Nègre, L’Ornement en serie. Architecture, terre cuite et carton pierre, Pierre Mardaga Editeur, Liegi 2006, pp. 247, euro 35. PALERMO Un centenario villino modernista A due anni di distanza, ecco gli esiti del convegno e della mostra dedicati alla casa-studio di Ernesto Basile Le manifestazioni svoltesi a dicembre 2004 per celebrare il centenario della casa-studio realizzata da Ernesto Basile a Palermo (un convegno e una mostra dal titolo «Dispar et unum, 19042004. I cento anni del Villino Basile»), forse non hanno sciolto i dubbi sull’enigmatico motto latino che campeggia sulla soglia della bianca dimora, ma hanno fatto luce su uno dei più significativi capitoli dell’architettura italiana d’età contemporanea valutandone, finalmente senza pregiudizi, il contesto internazionale d’appartenenza. Oggi di proprietà della Regione, il Villino Basile, progettato nel 1903 e ultimato nel 1904, oltre a essere una delle poche architetture residenziali di Basile conservatesi, costituisce un documento significativo del complesso fenomeno di riforma della cultura dell’abitare registrato dalla società europea in età modernista, quale declinazione mediterranea di un più vasto movimento incentrato sul principio della «progettazione integrale», che proprio nella sperimentazione delle residenze per architetti e artisti (risultato di auto-committenze e quindi investite del ruolo di manifesti culturali) conseguì gli esiti più felici. Il catalogo della mostra, allestita nel Vil- Ernesto Basile, studio prospettico per il Villino lino Vincenzo Florio all’Olivuzza (altra opera di Basile) attraverso un percorso articolato in sei sezioni (la più nutrita delle quali, monografica, sul Villino Basile, costituita dai disegni originali e da riproduzioni di disegni e fotografie d’epoca), e gli atti del convegno, articolato in quattro sezioni incentrate sul significato del Villino Basile nell’esperienza progettuale del suo autore/committente e sul ruolo delle case degli architetti e degli artisti in Italia e in Europa nel periodo modernista, sono riuniti nel corposo volume curato da Eliana Mauro ed Ettore Sessa e pubblicato dalla casa editrice Grafill di Palermo. Oltre ai saggi degli stessi ideatori e curatori della manifestazione, il volume raccoglie, tra gli altri, gli interventi di Ni- cola Giuliano Leone, Giuliana Ricci (presidente della sessione «Case di architetti e di artisti in Europa»), Ezio Godoli (con un documentato resoconto delle case-atelier di alcuni protagonisti dell’Art Nouveau in Belgio e Francia), Rosario De Simone (con l’analisi d’una fase meno indagata dell’attività del giovane Charles-Edouard Jeanneret, quella delle prime architetture domestiche), Gennaro Postiglione e Filippo Alison (con un affascinante itinerario attraverso i disegni di Charles Rennie Mackintosh) e di Marco Pozzetto. Eliana Mauro ed Ettore Sessa (a cura di), Dispar et unum, 19042004. I cento anni del Villino Basile, Grafill, Palermo 2006, pp. 498, euro 40. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. NEW YORK. Nel primo numero di «Architect», uscito nelle edicole americane a ottobre, il caporedattore Ned Cramer propone un metro di paragone editoriale inaspettatamente antico: le tre qualità essenziali dell’architettura tornano a essere quelle stabilite da Marco Vitruvio Pollione nel De Architectura, ovvero utilitas, firmitas, e venustas. Sebbene l’umanità sia stata testimone di cambiamenti «titanici» nei 2000 anni che ci separano da Vitruvio, per Cramer nessuno è mai arrivato a una sintesi migliore della definizione di architettura e delle responsabilità dell’architetto; il suo obiettivo è quindi quello di trasferirle nero su bianco su «Architect». Il lancio della rivista non è stato privo di emozioni per Cramer. Il 29 settembre «Architecture», dove nel corso degli ultimi otto anni Cramer aveva occupato varie posizioni redazionali, e «Architectural Lighting» (entrambe Riviste 47, GENNAIO 2007 COMPRAVENDITA DI RIVISTE NEGLI STATI UNITI Largo ad «Architect»! «Architecture», con «Architectural Record» l’ultima delle grandi riviste a tiratura nazionale, chiude e viene assorbita nella nuova «Architect» pubblicate da VNU Business Media) sono state acquistate da Hanley Wood, una media company che opera nel mercato business to business dell’edilizia e delle imprese di costruzione. Pare che «Architectural Lighting» abbia mantenuto tre dei suoi redattori originari e continuerà a essere pubblicata; invece l’intero staff di «Architecture» è stato licenziato, e la rivista è confluita in «Architect», il cui lancio era già in programma qualche mese prima che Hanley Wood completasse l’acquisizione delle due testate. «Architect» si rivolgerà ai 23.000 studi di architettura che progettano più del 90% dei fabbricati totali Copertina del primo numero di «Architect» con Ross Wimer, socio dello studio SOM e le pagine disegnate dal grafico Abbott Miller di Pentagram costruiti negli Stati Uniti. La rivista potrà contare su una tiratu- In Usa moria di riviste Fondata nel 1913, «Architecture» fu inizialmente pubblicata sotto il nome di «Journal of the American Institute of Architects» come rivista ufficiale dell’American Institute of Architects (AIA). Nel 1983 sotto la direzione di Donald Canty, prende il nome attuale. Nel 1989, l’AIA vende i diritti alla BPI Communications, ma «Architecture» continua a essere distribuita ai 60.000 associati. In quelli che saranno i suoi ultimi dieci anni di esistenza,«Architecture» sperimenta numerose trasformazioni, mentre dal 1996 «Architectural Record» diventa la rivista ufficiale dell’AIA. Nel 1997, dopo alcuni cambiamenti nella direzione editoriale, «Architecture» si sposta da Washington, dove era insediata sin dal suo esordio, a New York. Nonostante nel 2001 fosse stata eletta miglior rivista da un’inchiesta della Columbia University, l’anno seguente VNU, associata olandese del- la BPI, annuncia un piano per ripensare la rivista in un’ottica più orientata al mercato, dal momento che stava perdendo abbonati e inserzionisti pubblicitari. «Architect» mantiene solo i prestigiosi P/A Awards (pubblicati sul numero di gennaio), istituiti da «Progressive Architecture» e confluiti, con la sua chiusura nel 1996 (comprata per 1 milione di dollari dal gruppo VNU Business Media), in «Architecture». Con la sua scomparsa, «Architectural Record», fondata nel 1891, rimane la sola grande rivista mensile a tiratura nazionale negli Stati Uniti, non considerando quelle universitarie. Delle altre storiche riviste, «Architectural Forum» ha chiuso nel 1974, mentre «Interiors», sempre pubblicata da VNU Media, ha chiuso nel 2001 dopo cento anni. I diritti di «Progressive Architecture» e «Interiors» sono oggi nelle mani di Hanley Wood. ❑ S.T. ra di 60.000 copie (molti abbonati provengono da «Architecture») e il suo obiettivo sarà fornire informazioni pratiche nello stile delle altre pubblicazioni Hanley Wood, come «Residential Architect» e «Concrete Construction». L’interpretazione iniziale di Cramer dei tre principi vitruviani pone l’accento sull’aspetto pratico della professione: dai grafici che tracciano la mappa regione per regione delle aree edificabili negli Stati Uniti indicando come cambieranno nei prossimi vent’anni, alla sezione «Process» che, impiegando un software per il modeling 3D, analizza ogni passaggio concettuale nella serie di progetti di un dato architetto. Anche la grafica della rivista (a cura di Abbott Miller, partner di Pentagram) è semplice e lineare. Sebbene il titolo della rivista sembri indicare che l’attenzione sarà rivolta esclusivamente agli architetti (in copertina il primo piano di un giovane collaboratore dello studio SOM), Cramer sottolinea come l’obiettivo sia guardare 35 alla professione nella sua interezza, includendo gli appaltatori e i consulenti. «La speranza è di ridefinire la professione e di stimolare la cooperazione», dichiara Cramer. Il primo numero presenta un articolo su come Bruce Mau Design abbia collaborato con SOM nel ridisegnarne il sito web. Il fallimento di «Architecture» ha suscitato non poca preoccupazione. Una rivista in meno sul mercato rappresenta un’opportunità in meno per la critica, soprattutto tenendo conto del target delle pubblicazioni di Hanley Wood, incentrate principalmente sui dettagli pratici della professione. Cramer la pensa diversamente: «Il nostro desiderio è rientrare nella categoria delle riviste d’opinione. Per noi i giornalisti di una rivista come “Architectural Record” sono dei colleghi e dei concorrenti. È difficile giudicare una rivista da un numero soltanto, ma sono lieto che stia attirando così tanta attenzione. Sono certo che la rivista sarà in grado di evolvere. Il nostro punto di vista è molto chiaro: lavoreremo affinché la versione che diamo alle stampe sia in grado di rifletterlo». ❑ SAMANTHA TOPOL ❑ Cambio di rotta per «Domus» Cambio della guardia a «Domus», rivista che, più di altre in Italia, ha prediletto direzioni mai troppo longeve. Da maggio Flavio Albanese prenderà il posto di Stefano Boeri, da tre anni in carica.Albanese, architetto vicentino, è a capo di una società che opera in campo progettuale con tre studi: Milano, Vicenza, Palermo. Collezionista d’arte, si è dedicato anche alla progettazione di gallerie d’arte e allestimenti di mostre, e svolge attività nel design e interni. L’affidamento ad Albanese sembra imporre un radicale cambio di rotta a «Domus» che, nella direzione Boeri, eliminando quasi totalmente la presentazione di progetti di architettura, ha affermato con forza una linea editoriale autonoma improntata sulla provocazione politica e sull’indagine visuale ispirata alle ricerche di Rem Koolhaas. 36 Mostre SEGUE DA PAG. 1, V COL. Cerchiamo per un momento di azzerare le distanze temporali e le differenze, partendo da quello che può essere un giudizio a priori, così come si è costruito nel tempo. Si diceva che ci troviamo di fronte a tre personaggi difficili: difficile Loos (1870-1933), per quell’aura di durezza e rigore che la storiografia gli ha cucito addosso, fin dagli esordi, quando il rifiuto dell’ornamento lo descriveva come il nemico giurato della dolce Secessione viennese. Durezza e rigore che in tempi anch’essi ormai lontani hanno raggiunto una sfera di assoluta algidità quando negli anni settanta la Tendenza guardò proprio a Loos come a uno dei suoi santi protettori, facendo di Parole nel vuoto un testo di mistica liturgia. Questa mostra ci insegna che Loos è stato un architetto duro, quasi sanguigno, combattivo, ma di minoranza: in minoranza quando la Vienna felix si consumava nelle morbidezze secessioniste; di minoranza nel pretendere ancora negli anni precedenti la prima guerra mondiale una riduzione del processo compositivo che, prima che formale, era concettuale e metodologica; in minoranza nella sua ammirazione per le capacità tecniche e operative della società statunitense, con la quale aveva avuto lunga familiarità. Di minoranza come tutti i profeti che non cantano nel coro, ma che non vivono nel deserto, anzi cercano sempre nuovi approdi, come poteva essere la Parigi degli anni venti, dove costruì la casa per Tristan Tzara e dove fu testimone del nascente confronto tra razionalisti e tradizionalisti, il cui successo fu segnato dall’Exposition des arts decoratifs del 1925. È soprattutto nel metodo che il rigore di Loos trova il suo terreno fertile: l’ossessione della forma pura non ha nulla a che fare con il Purismo, ma è una sorta di radicalizzazione dell’idea che lo spazio funzionale sia non modificabile. Una durezza che trova però svolgimenti imprevedibili nella sintesi che l’architetto individua per dare corpo alle proprie opere. Se la pianta libera è il primo punto della regola razionalista, Loos era già oltre questa schematizzazione, perché il suo è un pensare e procedere per IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. TRE MOSTRE A ROMA: LOOS, DEL DEBBIO, FUKSAS Un triangolo trasgressivo Enrico Valeriani riflette sulle diversità di tre protagonisti dell’architettura contemporanea A fianco, Adolf Loos, casa per Tristan Tzara a Parigi (1925); sopra, Enrico Del Debbio, Accademia di Educazione fisica e Stadio dei marmi del Foro Italico, Roma (1928-1932) Babylon di Nizza raccontano di un Loos che rilegge le forme storiche come costanti e come tali suscettibili di operazioni di decontestualizzazione o di stravolgimento di scala. In altre occasioni, invece, l’architetto è capace di trovare nella stessa architettura una «decorazione non decorativa», come nel progetto per la casa di Josephine Baker. Dalla complessità vitale dell’opera di Loos, dal suo antiaccademismo, il percorso errante all’interno del triangolo ci offre un altro modo d’interpretare le regole accademiche. La lunga attività di Enrico Del Debbio (1891-1973) attraversa l’architettura italiana in modo leggero, muovendosi con autonomia all’interno di un sistema dato, quello accademico, che in Italia più che altrove imponeva grossolane e pesanti pastoie, aggravate nel corso degli anni dal crescente mito della romanità. Una vita difficile in anni difficili. Massimiliano Fuksas, disegno per il nuovo centro degli Archivi Nazionali di Francia a Pierrefitte-sur-Seine (2005-2010) cellule spaziali, un ragionare in 3D che fa del Raumplan uno strumento per risolvere traiettorie funzionali, ma anche un modo di pensare in prospettiva spaziale. La mostra ci restituisce un Loos convinto assertore di profezie, come quella simbolicamente materializzata dal granito nero del grattacielo del «Chicago Tribune», mentre altri progetti ugualmente non realizzati come il Municipio di Città del Messico o l’Hotel In un’Italia sempre in ritardo nell’accorgersi di quello che succedeva nell’architettura internazionale, perché arroccata con compiacimento alle sue glorie storiche e artistiche, Del Debbio ha soprattutto un merito: quello di interpretare con innegabile garbo gli spostamenti del linguaggio dell’architettura. Percorriamo il suo iter professionale e scopriamo una puntuale registrazione dei cambiamenti e del- le novità, che ancorché rilette e utilizzate in senso sostanzialmente formale, così come la sua formazione del resto gli imponeva, riescono a evitare la trappola dello «stile», trovando nella dimensione di un fare artistico la propria garanzia. Guardiamo gli acquarelli di architetture fantastiche datati tra il 1916 e il 1920 e vi ritroveremo le tracce, neanche troppo celate, della Secessione - per inciso, sono gli anni in cui essere filoaustriaci non era troppo di moda. E poi negli anni venti, il progetto per i villini della Cooperativa Ars, i cui membri erano artisti più o meno famosi: progetti in cui viene declinato il tema di un’architettura della quotidianità, un’architettura in prosa come avrebbe detto qualcuno, un’architettura che riesce a essere raffinata anche nell’apparente casualità del riferimento neomedievale. Un tocco leggero, si diceva: è quello che riesce a spezzare senza che venga meno l’equilibrio, il timpano delle finestre della casa di via Brofferio o dell’Accademia di Educazione fisica al Foro Italico. Il Foro Italico: l’Opus di Del Debbio si potrebbe dire, nel bene e nel male. È qui infatti che a un originale impianto di raro equilibrio ambientale (1928 e seguenti) l’Accademia di Educazione fisica, lo Stadio dei marmi, lo Stadio dei pini, poi trasformato in Olimpico - si aggiungono la foresteria sud e poi, sul crinale che domina il Foro, la Colonia elioterapica. Tra il progetto primigenio e le successive addizioni, nel giro di pochissimi anni Del Debbio modifica in modo radicale il proprio linguaggio, fa propria la sintassi del razionalismo che trova la sua massima espressione nella Casa madre del Balilla (1932-1933), progettata per un’area vicina. Sono note le vicende che hanno portato poi allo stravolgimento dell’iniziale equilibrio del Foro: il volgare raddoppio dell’edificio dell’Accademia destinato a ospitare la piscina coperta, l’inserzione monumentale del Viale dell’Impero e del Monolite, l’altra foresteria che chiude l’area verso ovest. Erano i tempi che cambiavano e lo stesso Del Debbio ha pagato il pedaggio di questo cambiamento quando con Arnaldo Foschini e Vittorio Ballio Morpurgo ha realizzato il controverso progetto del Palazzo del Littorio, oggi ministero degli Affari esteri. Pedaggio pesante, che non ha troncato però la capacità di rapportarsi ai nuovi tempi, dopo la drammatica cesura bellica. Anche se rallentata, la sua attività continua con la stessa attenzione alle trasformazioni delle forme: sono di questi anni gli edifici per la Casa internazionale dello studente (con Piero Maria Lugli) che, ispirati alle libere for- res) e che arricchiva la propria didattica con le esercitazioni di visual design del Bauhaus, qui coordinate da Achille Perilli e Gastone Novelli. Era anche il periodo dell’ostracismo alla professione («palazzinaro» era un insulto, anche se di palazzine in quegli anni non se ne facevano più). Esiste dunque una prima vita, ora molto lontana, in cui Fuksas dimostrò già la sua diversità: cominciò a fare la professione, progettando una serie di opere pubbliche per piccoli centri del Lazio che un’attenta regia di gestione dell’immagine rese già note in «Sono tre personaggi molto lontani tra loro nel tempo, nei modi di lavoro, nei linguaggi. Cercare un nesso tra le loro esperienze è un’occasione per far emergere i fili impercettibili che collegano le cronache della storia, al di là delle classificazioni canoniche care alla storiografia» me dell’empirismo inglese e nordico, formano per contrappunto una sorta di propilei per lo stesso ministero. Se l’itinerario seguito da Del Debbio riassume in sé molte delle contraddizioni dell’architettura italiana del XX secolo, a cominciare da quella fondamentale di far propria la lezione del Movimento moderno che pone l’uomo e la società, e non la forma, al centro del progetto, le opere di Fuksas rappresentano le contraddizioni del nostro recente passato e probabilmente del prossimo futuro. La vicenda dell’architetto nato a Roma nel 1944 e qui formatosi - e questo dato non è secondario - è esemplare per raccontare quelle che sono state le pulsioni e le illusioni di un paio di generazioni ancora vive e vegete. Essere architetti romani intorno alla sessantina vuol dire aver vissuto sulla propria pelle le «grandi trasformazioni»: il boom e la crisi economica (la prima di una serie), l’illusione sessantottina, gli anni di piombo, insomma la storia italiana degli ultimi quarant’anni. Una storia che a Roma offre per l’architettura scorci particolari: studiare architettura negli anni sessanta a Roma voleva dire trovarsi lo stesso giorno di fronte come professori Bruno Zevi, Ludovico Quaroni e Luigi Piccinato, ma anche subire il fascino irripetibile di Maurizio Sacripanti (quello che stava progettando il Teatro di Cagliari e il grattacielo Peugeot a Buenos Ai- quegli anni. Poi il silenzio, con un ambiente e una critica che storcevano il naso a quel suo essere troppo legato alla professione. Fuksas era virtualmente scomparso dalle cronache e dal panorama dell’architettura italiana, quel panorama artificiale messo in piedi dalle riviste come un fondale teatrale davanti al quale si recita il «Grande dibattito». Scomparso al punto che ancora pochi anni fa qualcuno si chiese chi fosse mai 47, GENNAIO 2007 quell’architetto dal cognome strano, certamente uno straniero, che si stava radicando a Roma. Come sappiamo, il discorso è un po’ diverso: semplicemente l’architetto aveva trovato altri luoghi in cui sperimentare la sua architettura fatta di aggressività e di poesia, di nuvole e lamiere arrugginite, di teli trasparenti, ma rigidi e lunghi un chilometro. Dalla Francia, il suo è stato un ritorno alle origini, imbevute dal sapore della trasgressività così cara a Zevi, di cui per uno di quei disegni che sembrano voluti dal destino ha ereditato la storica rubrica sull’«Espresso». La diversità di Fuksas, e non soltanto sua - vogliamo qui dare il giusto risalto al ruolo della moglie Doriana Mandrelli - è nell’aver guardato le cose da un punto di vista «altro», di aver capito che l’architettura è una piccola nave che ha potenti armatori e che richiede navigatori capaci di condurla in qualunque mare. Il vertice del triangolo occupato da Fukas è il simbolo del paradosso nel quale viviamo oggi, nel momento in cui con il suo indubbio talento, riesce a mantenere saldamente il rapporto tra poteri forti e opposizione, di fatto smascherando quello che alla fine è solo un gioco delle parti, per realizzare la «sua» architettura. È anche il posto di chi dopo aver curato una Mostra alla Biennale di Venezia che trasportava l’architettura in luoghi lontani anni-luce dai problemi disciplinari per invadere i territori della comunicazione di massa o delle arti di ogni ordine e grado, se n’è andato subito dopo sbattendo la porta. È così che si crea il personaggio: probabilmente Fuksas è ora l’unico architetto italiano del XXI secolo, insieme a Renzo Piano, noto al grande pubblico e alle grandi committenze. ❑ ENRICO VALERIANI «Adolf Loos.Architettura. Utilità e decoro», a cura di Richard Bösel e Vitale Zanchettin «Enrico Del Debbio. La misura della modernità», a cura di Gigliola Del Debbio e Maria Luisa Neri con Erilde Terenzoni e Alessandro Vittorini Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, fino al 4 febbraio. «M FUKSAS D unsessantesimodisecondo», a cura di Massimiliano Fuksas e Doriana O. Mandrelli Roma, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, fino al 28 febbraio. Carnet di viaggio 1. Losanna, Ecole polytechnique fédérale: «Dialogue entre constructeurs», dal 10 al 26 gennaio.Uno sguardo su alcuni edifici di fama internazionale,per indagarne le tracce lasciate dagli ingegneri. 2. New York, Storefront for Art and Architecture:«Clip/Stamp/Fold. The Radical Architecture of Little Magazines, 196x - 197x», fino al 31 gennaio. Un’indagine sul fenomeno della proliferazione, tra anni sessanta e settanta del Novecento, delle piccole pubblicazioni di architettura. Non si tratta soltanto dei più noti giornalini radical di breve vita, ma della grande quantità di pamphlets, manuali di costruzione e periodici professionali influenzati dalla grafica e dalle esperienze dei contemporanei. 3. Madrid, Las Arquerías del Nuevos Ministerios: «L’Esplosione della città», fino al 4 febbraio. Una riedizione della mostra presentata al Forum universale delle culture di Barcellona (2004). Nuovi materiali e un nuovo catalogo per continuare l’indagine sui processi di diffusione insediativi di 13 realtà metropolitane del Sud Europa. 4. New York,Austrian Cultural Forum: «Coop Himmelb(l)au. Vertical City, the New Premises of the European Central Bank», fino al 10 febbraio. Il progetto per i nuovi edifici della Banca centrale europea è al centro di un’esposizione più ampia, dedicata agli ultimi trent’anni di attività dello studio. IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Mostre 47, GENNAIO 2007 37 ALLE CANARIE Un’altra Biennale, tra le isole L’arcipelago accoglie la prima Biennale di architettura, arte e paesaggio. Tra i temi: ecologia, immigrazione, turismo e crescita urbana TENERIFE. 7 isole, 40 spazi, 70 ar- tisti e 50 architetti danno vita alla prima «Bienal de Canarias. Arquitectura, Arte y Paisaje», un evento che aspira a diventare piattaforma di analisi e riflessione sul paesaggio come punto d’incontro tra arte e architettura. La condizione insulare, a cavallo tra Europa e Africa, la pressione migratoria, la crescita della popolazione, la diversità ecologica e climatica e gli anni di sviluppo urbanistico selvaggio fanno delle Canarie un laboratorio d’eccezione per la comprensione dell’importanza del paesaggio e della necessità di trovare soluzioni architettoniche e urbanistiche innovatrici e sensibili alle esigenze degli ecosistemi.Il 70% dei progetti sono site-specific e, secondo la direttrice della Biennale, Rosina Gómez-Baeza, «offrono nuove prospettive alle contraddizioni che vivono le Canarie, strette tra l’immigrazione subsahariana e il turismo nordeuropeo». L’evento, che non occupa solo centri espositivi, ma anche antichi conventi, castelli, torri di guardia, scavi archeologici, ecomusei e parchi vulcanici, è servito da pretesto per riabilitare alcuni spazi storici. È il caso della Casa de los Coroneles, una fortezza A sinistra, progetto di Elias Torres per l’installazione di un «guardiano del paesaggio»; sopra e a fianco, due sedi della Biennale: la Casa de los Coroneles e il Tanque, ex deposito di combustibile (esterno e interno) del Seicento sull’isola di Fuerteventura; della Casa de la Polvora, un curioso magazzino di polvere da sparo del Settecento situato a Santa Cruz de Tenerife; del Castello Nero, memoria del passato difensivo dell’isola, così come il Tanque, un gigantesco deposito di combustibile, spettacolare esempio di archeologia industriale, che forma un curioso triangolo con l’«arrogante» auditorium di Santiago Calatrava. A partire da gennaio l’architettu- ra entra in scena con un programma che comprende mostre, seminari, workshops, interventi sul paesaggio e un «Osservatorio dell’energia», che l’architetto Iñaki Ábalos ha installato nella Riserva della biosfera della piccolissima isola di Las Palmas. Molto attesa l’inaugurazione, il 19 gennaio, della mostra «Scenari della crescita», nella sala d’arte La Regenta dell’isola di Gran Canaria. Il progetto, che esamina le problematiche della colonizzazione del terri- GRANDI VEDUTE DI ROMA Piranesi nel suo mondo In mostra sul Corso il cantiere dell’immagine più importante del Settecento ROMA. È un Piranesi inarrestabile e poliforme, quello che emerge dalla mostra al Museo del Corso (di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma). L’esposizione ha voluto arricchire con testimonianze pittoriche e grafiche di vario tipo un nucleo consistente d’incisioni, dedicato alle vedute di Roma e dintorni. Disegni a matita, schizzi, medaglie, rami originali provenienti dall’Istituto nazionale per la Grafica, dipinti di illustri contemporanei di Piranesi, e persino ricostruzioni virtuali dei suoi progetti architettonici fanno ben più che da cornice alle acqueforti: insieme, contribuiscono a dare un’idea della complessità di tecniche e modi di rappresentazione che ha fatto di questo «cantiere grafico» forse il più importante singolo evento nella costruzione degli immaginari architettonici e urbani del XVIII secolo. Ad esempio, un taccuino di appunti e schizzi proveniente dalla Biblioteca Estense di Modena è emblematico di come l’artista veneziano lavorasse sul campo, alternando matita, sanguigna, pen- torio e della crescita urbana in diversi paesi del mondo, presenta le varie alternative proposte da architetti come Rem Koolhaas, Zhupei Studio, Arquitectura 911sc+F304, Manel Gausa, MVRDV e Rex Architecs. I nuovi modelli di mobilità per i territori insulari saranno oggetto dell’incontro «Isole Mobili», in cui partecipano, tra gli altri, Dominique Perrault, Jacques Herzog e Salvador Rueda. Inoltre, riuniti sotto il titolo «Costruire lo sguardo», si presenteranno tre interventi effimeri: due a Lanzarote realizzati da Carme Pinós e da Diller & Scofidio, che utilizzeranno la tecnologia per ridurre la frattura tra natura e cultura, e uno nell’isola de El Hierro, dove Elias Torres installerà un «guardiano del paesaggio», un curioso simu- lacro di satellite capace d’individuare e denunciare infrazioni ecologiche e atti vandalici. Molti degli artisti e architetti che partecipano alla Biennale hanno manifestato la loro solidarietà con le organizzazioni ecologiste locali, che protestano contro l’impatto distruttore irreversibile dell’autostrada dell’Aldea sul parco naturale di Tamadaba e contro la costruzione del nuovo porto di Granadilla, in una zona ancora vergine di Tenerife, nonostante il parere contrario dell’Unione Europea. ❑ ROBERTA BOSCO «Bienal de Canarias.Arquitectura, Arte y Paisaje», a cura di Rosina Gomez-Baeza, Isole Canarie, sedi varie, fino al 10 febbraio. www.bienaldecanarias.org >À -V>À«> i V«iÃà ÕiÌ>i À Giovanni Battista Piranesi, «Veduta del Pantheon d’Agrippa», acquaforte, 40,64 x 54,29 cm, 1761 na, a seconda dell’occasione e con la massima libertà. Ben più che un «precursore», e tutt’altro che incompreso, Piranesi ha dedicato gran parte della propria vita a rappresentare, trasfigurandola, la città di Roma. Con il procedere della sua carriera, proprio la grande fortuna commerciale delle sue incisioni - acquistate a scatola chiusa da grandi fami- ❑ Nuova direzione al NAI Dal 6 dicembre Ole Bouman (Amsterdam, 1960), direttore della rivista «Archis/Volume», è il nuovo direttore del Netherlands Architecture Institute (NAI), dopo la partenza del suo predecessore Aaron Betsky per il Cincinnati Art Museum nell’Ohio a inizio novembre. Sorprende non poco la scelta di Bouman, figura controversa del panorama architettonico olandese, in passato spesso in forte contrasto con il NAI e lo stesso Betsky. Nelle motivazioni del consiglio direttivo di legge: «Bouman è diventato una voce prominente del panorama internazionale. È uno dei più flessibili critici di architettura in questo momento e sicuramente una risorsa per il NAI. Per noi, Bouman era il migliore candidato per connettere il NAI al dibattito pubblico». ❑ M. M. glie e corti di mezza Europa - gli ha consentito d’impostare vedute ora fantastiche, ora addirittura monumentali, che nessun altro artista del suo tempo avrebbe potuto permettersi di lanciare sul mercato. La grande pianta di Villa Adriana (cm 92 x 370!), in mostra insieme a un disegno preparatorio, è in questo senso ancor più stupefacente del già noto Campo Marzio, che tanto aveva entusiasmato Manfredo Tafuri. Ricco e ben scritto, il catalogo (Editoriale Artemide) lamenta tuttavia una stampa non sempre efficace proprio delle incisioni in bianco e nero. ❑ E. P. «La Roma di Piranesi. La città del Settecento nelle Grandi Vedute», a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli, Roma, Museo del Corso, fino al 25 febbraio. Û`i `VÕiÌ>À `Ãi} ÌiÀÛÃÌi VÌÀ iÀi `> Óä }i> > { >Àâ ÓääÇ >ÀÌi`ÛiiÀ` £x£ Ã>L>Ì`iV> £ä£ *>>ââ Li Û> À>ÀÌÌ> Ç Î££ää /ÀiÛà Ì>> ``>ÌÌV>J«>>ââLLi°Ì ÜÜÜ°«>>ââLLi°Ì Ì ³Î ä{ÓÓ x£ÓÓää 38 Informatica IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 I SOFTWARE NEL PROCESSO PROGETTUALE DI SHOP ARCHITECTS Modellare la fabbricazione Nel nuovo intervento residenziale a Manhattan i componenti della facciata in mattoni sono realizzati a partire da uno stampo progettato in collaborazione da architetti e produttori NEW YORK. La scelta dei componenti costruttivi di un progetto è spesso demandata alla scelta dai vastissimi cataloghi delle aziende ma, nel caso di ShoP Architects, la ricerca è rivolta a individuare un’azienda con cui collaborare piuttosto che un «fornitore». Lo studio newyorkese infatti dichiara esplicitamente di fondare la propria attività sul processo, rifiutando di concentrarsi su una propria cifra stilistica e affrontare di conseguenza i problemi realizzativi solo quando la definizione della forma è compiuta. A ogni progetto si lavora fin dal principio dai punti di vista estetico, costruttivo ed economico, forti della formazione eterogenea dei cinque soci dello studio, che provengono da settori diversissimi: dall’attività bancaria al graphic design all’ingegneria, dialogando e scontrandosi continuamente con clienti e appaltatori. Nel perseguire questo obiettivo, la «modellazione» e il software 3D hanno un ruolo chiave: fino a 10 anni fa lo studio usava realizzare plastici a scala molto bassa, nei quali simulava i passaggi della realizzazione, mentre oggi basa la propria attività produttiva sulla ricerca informatica. Nel modo di lavoro di ShoP non esiste la figura del «caddista», dedito alla sola compilazione dei Questo mese in «Il Giornale dell’Arte» ❑ Il meglio e il peggio del 2006 ❑ Il calendario del 2007 ❑ Il restauro nelle aule dell’Università ❑ Gli stranieri comprano gli italiani disegni. Per essere assunti è richiesta preparazione su software 3D, che non serve alla visualizzazione ma allo sviluppo vero e proprio dell’idea progettuale: caratteristica, questa, che spiega l’alleanza stabilita con il programma di ricerca dello Stevens Institute of Technology (cfr. il numero scorso di questo giornale, p. 34). I giovanissimi (da ventiquattro anni in su) «modellatori» sono da subito immersi nel vivo del la- voro, producendo indifferentemente plastici, disegni e rendering, senza apparenti gerarchie tra loro. Un’organizzazione che trova naturale conseguenza nell’adozione di un software collaborativo basato sul modello 3D integrato dell’edificio, di cui il progetto residenziale per Houston Street a Manhattan (l’apertura del cantiere è prevista questo mese) rappresenta la prima applicazione completa. L’edificio residenziale di otto Mappe storiche in Google Earth ❑ Intervista esclusiva all’archeologo iracheno costretto a lasciare il paese ❑ ArteFiera: l’Associazione si dissocia ❑ 100 milioni di euro per il nuovo polo museale sabaudo ❑ Fiere: debutta Mint ❑ Anche il Barocco nella Galleria Nazionale dell’Umbria Nelle edicole, 230 articoli, 136 pagine Aggiunta da poco alla dotazione di «livelli» disponibili in Google Earth, la fruizione di 16 mappe storiche tratte dalla collezione David Rumsey. Le mappe disponibili passano dalla scala territoriale a quella urbana e includono l’intero globo terrestre nel 1790, oltre a una mappa per ogni continente - l’America del Nord nel 1733 e gli Stati Uniti in due mappe parziali di inizio Ottocento, l’Asia (1710), l’Africa (1787), il Medio Oriente (1861) e l’Australia sudorientale - ma anche le città di San Francisco (1853), New York (1836), Buenos Aires (1892),Tokyo (1680), Londra (1843) e Parigi (1716). Per attivare il livello è necessario aggiornare il software all’ultima versione e le mappe, una volta visualizzate, possono anche essere rese semi-trasparenti. Il sito di riferimento, che aderisce alla Creative Common License e consente quindi il libero riutilizzo della cartografia per uso non commerciale, contiene oltre 14.000 mappe visualizzabili in linea con diversi metodi ma anche scaricabili, ed è raggiungibile all’indirizzo: www.davidrumsey.com In alto, vedute nel contesto urbano dell’edificio residenziale di ShoP Architects al 41 di Houston Street a Manhattan; dettaglio dell’articolazione del paramento di mattoni della facciata. A lato, schema che identifica in verde il perimetro dei diversi pannelli ricavati dallo stampo costruito «ad hoc» per il progetto piani sorge nella zona nord di Little Italy, dove il regolamento edilizio vincola all’utilizzo del mattone per gli esterni e permette un avanzamento della facciata oltre il limite del lotto, in genere sfruttato per disegnare le cornici alla sommità. I vincoli diventano elementi progettuali e gli architetti, dopo una lunga serie di contatti, hanno individuato come partner per la sperimentazione Architectural Polymers, società della Pennsylvania produttrice di pannelli di facciata. La collaborazione è stata mirata all’individuazione della «variazione» più economica al sistema produttivo dell’azienda, che ha permesso di disegnare un’ondulazione della facciata senza far lievitare i costi, in gran parte legati alla produzione a controllo numerico dello stampo «positivo» in polietilene. La scelta è stata quella di produrne uno ampio da cui ricavare tutti i diversi elementi della facciata, lasciando invariato il resto del sistema produttivo rispetto agli standard aziendali. Dal punto di vista del software «Nel modo di lavoro di ShoP non esiste la figura del “caddista”, dedito alla sola compilazione dei disegni» il progetto della facciata si è integrato al modello generale integrato costruito in Revit è avvenuto con Rhinoceros (principale strumento di lavoro dello studio per la facilità di produrre plastici di studio e disegni), mentre i «test» precisi avvenivano nei software parametrici: Generative Components per la sovrapposizione dei mattoni fiamminghi, Digital Project per l’assemblaggio generale dei pannelli. L’azienda ne utilizzava di di- versi, e il dialogo è avvenuto mediante la continua traduzione del «modello» in dati condivisibili, in questo caso punti e coordinate salvati in formato Dxf, «demistificando» di fatto il piacere della modellazione grafica artigianale e solitaria di fronte allo schermo, e rapportandola con la complessità e la durezza, ma anche la vitalità, che il contatto con i processi realizzativi comporta. ❑ STEFANO CONVERSO ❑ SOM acquista Digital Project Lo studio SOM ha annunciato l’acquisto di 100 workstation con il software Digital Project, distribuito da Gehry Technologies e basato sulla tecnologia PLM (Project Lifecycle Management), con un contratto che comprende anche la consulenza e l’assistenza per tre anni, incluso lo svolgimento di parti del lavoro particolarmente complesse. Il software sarà introdotto in modo graduale in tutte le sedi dello studio per diversi progetti, andando a incrementare la quota di lavoro svolto su modelli tridimensionali integrati che già include Revit, attualmente in uso nel gruppo che lavora alla Freedom Tower (cfr. «Il Giornale dell’Architettura» n. 34, novembre 2005). Design IL GIORNALE DEL Intervista Paolo Fantoni sulla ricerca nell’azienda di Osoppo Mostre Mitomacchina al MART di Rovereto IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA Tutela del design «Panton Chair»: dal tribunale stop alla copia Aste Puppylove a Miami per beneficienza TUTELA DEL DESIGN «OBSERVEUR DU DESIGN 07» «Panton Chair»: stop alla copia Vota il design! Un monito a creativi e imprese: non solo pezzi unici Il Tribunale di Milano riconosce il diritto d’autore su una sedia «griffata» MILANO. Con un provvedimento che non ha precedenti, il 28 novembre il Tribunale di Milano ha riconosciuto la piena tutela d’autore al mobile di design. Una decisione che, se confermata, aprirà la strada alla protezione degli oggetti d’arredo di alto profilo. Il giudice, in seguito al ricorso della Vitra Patente A.G., società svizzero-tedesca titolare dei diritti di utilizzazione economica della «Panton Chair», disegnata da Verner Panton nel 1960, ha disposto il sequestro di 110 sedie commissionate da un noto negozio milanese e fatte produrre in Cina. Le sedie, battezzate «Loft» dallo store, che le vende dal 2004, riproducono infatti esattamente la «Panton Chair» della Vitra (circostanza peraltro non negata dalla stessa so- cietà milanese che le ha commissionate per i suoi negozi). Come numerosi mobili e oggetti di design, la «Panton Chair» è esposta nei musei d’arte e di design di tutto il mondo, a dimostrazione del valore attribuito al suo ideatore e al pezzo in sé: il Vitra Design Museum di Weil am Rhein, ovviamente, ne conserva esemplari originali, ma anche il MoMA di New York, per citare solo un esempio, ne vanta un modello nella sua collezione permanente di design. Il Tribunale di Milano, nel formulare la propria decisione, ha preso in considerazione proprio quest’aspetto. Nella motivazione, ha infatti osservato che «la circostanza che molti musei d’arte contempora- «Panton Chair», disegno di Verner Panton (1960), produzione Miller-Vitra (1967) nea comprendano tale opera di design nelle loro collezioni, costituisce elemento di conferma obiettiva dell’attribuzione, all’opera di design in questione, di un significa- Ma quando è nata la «Panton Chair»? Nel 1960 Verner Panton (1926-1998) disegnava il primo modello di sedia monolitica in plastica realizzata mediante stampaggio a iniezione. Celebrato pezzo della produzione del designer di origine danese, la seduta impilabile a «S» rappresenta un esempio di quell’arte fluida e futuribile che introduce l’estetica Pop negli oggetti d’arredo e negli interni, di cui in Italia Joe Colombo è un altrettanto riconosciuto maestro. Sovvertendo i canoni tradizionali del design danese - Pøul Henningsen è suo insegnante alla Royal Academy of Art di Copenaghen; nel 1950 Arne Jacobsen lo accoglie appena laureato nel suo studio; con Hans Wegner stringe una solida amicizia - Panton inizia una sperimentazione con la plastica e altri materiali innovativi per realizzare opere ispirate alle geometrie della Pop Art, come la «Living Tower» del 1969 (ritratta nella foto con Panton) e l’installazione «Visiona» del 1970. Stabilitosi a Basilea nel 1963, collabora con Vitra, la licenzataria europea dell’azienda americana Herman Miller,che nel 1967 mette in produzione la «Panton Chair». Dal 1990 l’azienda svizzero-tesesca produce una riedizione della stessa sedia. to e di un valore che trascende la mera caratterizzazione di un modello di sedia». Al di là della qualità estetica che cattura l’apprezzamento di pubblico e consumatori, il giudice ritiene rilevante l’interesse che l’oggetto suscita in soggetti ed enti che non hanno motivazioni di natura economica: in pratica, ritiene di applicare la tutela del diritto d’autore esaltando il valore artistico del pezzo. Viene riconosciuto il pregio che il designer apporta all’aspetto esteriore, contribuendo a quel valore aggiunto che fa di un mero oggetto d’arredo un’opera di valore artistico. Al di là dei giudizi personali, al fine di stabilire se una determinata creazione di design me- riti o meno tutela d’autore è, pertanto, opportuno rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che della stessa si è consolidata nella collettività, in particolare negli ambienti culturali in senso lato. «La documentazione prodotta», continua la sentenza, «conferma la tutelabilità della Panton Chair in base al diritto d’autore. Invero da essa si evince in maniera significativa che detta opera ha assunto nel tempo un proprio valore di raffigurazione estetica di concezioni artistiche più generali, di fatto ormai trascendenti la semplice natura di oggetto di arredamento cui la sua funzione originaria la relegava, in quanto anticipatrice dei temi e delle modalità espressive della Pop Art e capace di riassumere in sé le tendenze di rottura degli anni sessanta in uno stile fortemente individuale del suo autore». «Se questa decisione sarà confermata nella successiva fase del giudizio», afferma l’avvocato Cuonzo, dello studio Trevisan & Cuonzo, difensiore della Vitra, «la tutela basata sul copyright al mobile di design d’autore diventerà una certezza e una garanzia per chi opera nel settore». L’industria del mobile di design potrà quindi contare su uno strumento efficace per contrastare i contraffattori e le copie dei propri prodotti in circolazione sul mercato. ❑ MANUELA SALCE PARIGI. Come si è impegnata quest’anno Anne-Marie Boutin, presidente dell’APCI (Agence pour la Création Industrielle), per la sesta edizione dell’«Observeur du Design»! Nata dalla volontà di far progredire la causa della produzione industriale, l’«Observeur du Design» è una commissione giudicatrice indipendente, composta da professionisti ed esperti, che ogni anno premia con una «stella» le migliori creazioni nate dalla collaborazione tra imprese e designer. La manifestazione è riconosciuta a livello internazionale e intende rappresentare uno stimolo per le realtà produttive (soprattutto le imprese francesi) nell’identificare il mondo del design come un «creatore di valore». Il premio consente di rivalutare le abilità e i materiali tradizionali e di aprire mercati ai settori in crisi: proponendo nuovi processi di fabbricazione, il design genera prodotti che portano a una differenziazione delle industrie sul mercato, fino a rivelarsi lo strumento strategico per emergere come leader in un settore specifico, com’è avvenuto, ad esempio, per Decathlon, Renault, Veuve Clicquot Ponsardin e SEB. Martedì 10 ottobre la militante Boutin ha dato il benvenuto alla stampa e ha presentato l’esposizione dei 163 prodotti, spazi e servizi proposti dai più svariati settori dell’industria, dai trasporti alle arti della tavola, dal campo medico a quello sportivo. Approfittando dell’anno elettorale, si è affidata allo slogan «Vota il design!» per convincere i futuri dirigenti a ricorrere al design e promuoverlo (e ormai è tempo che anche loro se ne interessino). E proprio per sostenere la creatività a servizio delle aziende, l’organizzatrice incita il pubblico a eleggere a plebiscito la realizzazione più stimolante. Con il «Prix du Public» il design si schiera a tutti gli effetti col «partito del consumatore»; ma questo in fondo non stupisce, perché nel concepire un prodotto l’autore si affida a un approccio basato sull’osservazione degli stili di vita e sull’analisi delle evoluzioni socioculturali, con l’obiettivo di garantire una migliore accessibilità e un migliore uso quotidiano. L’allestimento, a cura dell’agenzia 2.26 Architecture et Communication, ha il merito di evi❑ SANDRA BIAGGI CONTINUA A PAG. 42, III COL. Calzature da barca a vela «SL700 Race Tribord», design e produzione Decathlon 40 Design IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. 47, GENNAIO 2007 INTERVISTA A PAOLO FANTONI Siamo una fucina di sperimentazione L’architettura come biglietto da visita; il rapporto tra innovazione, ricerca e sostenibilità: queste le linee guida dell’azienda Dottor Fantoni, qual è il rapporto che la vostra azienda intrattiene con il mondo dei progettisti e con l’architettura? La nostra azienda oggi opera in diversi settori industriali, ma è nata con la produzione del mobile. A mio nonno va ascritto un grande merito: già nel 1920, infatti, decise di lavorare in sinergia con i designer e gli architetti, per dare valore aggiunto e maggiore riconoscibilità ai prodotti. Fu uno dei primi inserzionisti su «Domus» con Gio Ponti, e da questa esperienza nacque l’idea di avere un art director che guardasse con occhio critico che cosa facessero l’azienda e i suoi concorrenti. Sono quelli gli anni in cui inizia a collaborare con Barazzutti, Scoccimarro, Midena, e in cui partecipa alle Biennali e poi Triennali milanesi, intuendo la necessità di abbandonare i vecchi stilemi. Noi oggi continuiamo questa tradizione che ci vede collaborare con il mondo degli architetti e dei designer, non solo nella definizione dei prodotti, ma anche nella progettazione delle architetture. Con Gino Valle nel 1973 è nata una collaborazione che ha portato alla realizzazione della nostra sede di Osoppo, dove si è cercato di produrre un’architettura di qualità. Da qui l’idea di chiamarci noi stessi blue industry, per sottolineare la concezione di un colore che richiamasse quello che pervade le montagne circostanti, conferendo all’intervento un equilibrio tanto ecologico quanto cromatico. Tentare di tradurre nelle proprie strutture una certa qualità progettuale è il primo investimento e il primo biglietto da visita di cui un imprenditore dovrebbe preoccuparsi. Mi sembra che in Italia questa sia stata un’occasione persa da troppi imprenditori. Sul fronte interno del vostro lavoro, la ricerca sui materiali, sui singoli prodotti, sugli agenti chimici, è un tema imprescindibile di fronte alla sempre crescente competitività? Impossibile negarlo, ed è fin banale affermare che solo attraverso l’innovazione e la ricerca si va avanti. Negli ultimi dieci anni abbiamo costituito il nostro Centro Ricerche Fantoni dove, al di là dei contributi esterni (il Politecnico, alcuni premi Nobel, e adesso la Biennale di Venezia), si è puntato sull’innovazione come struttura portante dell’intera azienda. Il nostro Centro Ricerche è diventato la piattaforma in cui diversi settori possono esercitare tutte quelle sperimentazioni in grado di apportare in ogni parte dell’azienda le motivazioni per migliorarsi e crescere. Al suo interno abbiamo anche effettuato una serie di ricerche tecniche in parte rese pubbliche, come l’estensione dell’uso e della tecnologia della verniciatura a polveri, tipica del metallo, legata alla logica dei pannelli in MDF, o altre ricerche nel mondo dell’acustica, del mobile, della capacità delle superfici e dei materiali di esprimere valenze diverse in un mercato che si sta orientando verso un uso di materiali sempre più sintetici e innovativi nel loro processo, ma che continuano ad avere i valori della cultura del passato. Tra le nostre ricerche migliori, A sinistra, uno scorcio dell’impianto produttivo principale a Osoppo (Udine),progettato da GinoValle;scrivania «Stripes» prevista in differenti variazioni di colore, progetto di Marco Viola. Sopra, la collana di pubblicazioni «Blueindustry» Un’altra sfida che tutti cercano di praticare, ma che spesso si riduce a vuota retorica, è la sostenibilità, che dichiarate essere uno dei vostri cavalli di battaglia: nelle azioni concrete che cosa significa? Cinque anni fa abbiamo investito circa 60 milioni di euro in una linea di produzione di pannelli truciolari utilizzando legno destinato al macero. L’Italia in questo senso è fra le prime ad aver progettato la produzione del pannello truciolare attraverso l’uso di legno di riciclo. Il nostro impianto funge da collettore degli scarti di lavorazione di segherie, falegnamerie, mobilifici: siamo gli «spazzini» di mezzo Nord-Est, ma tali approvvigionamenti non bastano, per cui dobbiamo importare legname dall’estero. La stessa tecnologia della verniciatura a polveri non usa più solventi, migliorando qualitativamente le condizioni di lavoro e di vita. ricordo la scrivania multicolore «Stripes», nata in modo sperimentale e pubblicata nei libri della nostra collana «Blueindustry». Il successo di questa iniziativa editoriale ne ha resa necessaria la produzione. Chi fa ricerca all’interno della vostra azienda? Qual è il ruolo del designer nella produzione? Negli ultimi anni stiamo lasciando maggior spazio a logiche creative diverse e a giovani designer locali, essenzialmente per due motivi: perché riteniamo che i giovani siano dotati di sensibilità in grado di cogliere i cambiamenti dei gusti, e perché riteniamo che il territorio abbia una sua valenza in termini di eredità più o meno conscia di forme e stilemi; così il valore e la storia della nostra azienda possono essere maggiormente promossi da chi condivide con noi un radicamento geografico. Con chi dialogano i vostri designer? Direttamente con me e con il responsabile dell’ufficio tecnico, che è il capo progettista al quale rispondono circa dieci persone all’interno della struttura di sviluppo tecnico-commerciale, ovvero coloro che si occupano dei disegni tecnici e di prototipizzazione, industrializzazione, codifica. Il no- stro capo ufficio tecnico è un perito, che è in azienda dal 1978. Ha un’ottima sensibilità tecnica nel filtrare le idee in materiali, a livello sia tecnologico che di utilità commerciali. A me spetta la scelta finale, se puntare su un’idea piuttosto che su un’altra. Quali sono i vostri rapporti con l’università? Con il Politecnico di Milano abbiamo realizzato sette workshop (non solo con studenti neolaureati, ma anche con giovani designer, con agenti e commercianti), strutturati in cinque giornate di seminario su un tema d’interesse dell’azienda e tre di formazione teorica; gli studenti erano dunque chiamati a dare risposte a un obiettivo aziendale, un’aspettativa forse eccessivamente pretenziosa. Spetta all’azienda predisporre con tempi molto più lunghi un avvicinamento dei propri collaboratori, in modo da far conoscere più a fondo non tanto le tecnologie quanto il suo posizionamento sul mercato, come si è rapportata in passato con i propri clienti, che cosa potrebbe essere coerente o meno rispetto all’uscita di nuovi prodotti. Non escludiamo anche la logica di organizzare concorsi e premi, che abbiamo utilizzato una decina d’anni fa. Trovo coerenti questo tipo d’iniziative nel momento in cui si vuole divulgare una nuova soluzione, un nuovo materiale, per cui si dà spazio al mondo del progetto, associando le diverse esperienze a qualcosa che si potrebbe annunciare dirompente sul mercato. Ci troviamo nel Nord-Est italiano, una delle zone italiane dalla maggiore floridezza economica ma anche dal costo del lavoro altissimo. Come giocate la scommessa del radicamento nel locale rispetto alla concorrenza e ai nuovi mercati? Abbiamo una visione di fondo duplice: di fronte a una sfida competitiva condizionata da un basso costo del lavoro, crediamo esistano due forme di risposta efficaci su cui il sistema industriale italiano deve confrontarsi e costruire un suo percorso: o ci si concentra su prodotti nei quali il costo del lavoro assume un ruolo secondario o riusciamo a esasperare l’automazione industriale nella sua capacità di produzione seriale. Quest’ultima è la sfida su cui ci stiamo orientando, sulla capacità di rendere flessibile il prodotto, al fine di personalizzarlo. E questo ci porta a essere considerati a tutti gli effetti fornitori di servizi piuttosto che di prodotti. Come materia prima, quale percentuale arriva da materiali di recupero e quale invece da materiali vergini? Il legno di riciclo, per un limite tecnologico, attualmente si può reimpiegare solo nella produzione del pannello truciolare, costituito per l’80% da legno riciclato, mentre per quel che concerne la produzione di MDF la necessità di omogeneità della composizione del pannello nel suo spessore è tale che dobbiamo ancora realizzarlo integralmente con legno vergine. Il mercato che un tempo aveva un raggio di azione di circa 1.500 km, oggi non esiste più, per cui noi compriamo legno ovunque, lo trasformiamo e successivamente mandiamo in tutto il mondo il 30% del suo output. Siamo ancora abituati a ragionare in termini di trasporto via gomma, mentre in quello via mare il costo non conteggia la distanza, bensì la stazza. Tutto ciò apre prospettive diverse, dobbiamo costruirci un mappamondo virtuale che è dato dalle distanze economiche. Come tutelate i vostri marchi e brevetti dalla contraffazione? Due anni fa ci siamo confrontati con un’azienda cinese che aveva copiato un’intera gamma di nostri prodotti direzionali: questa esperienza ci porta con maggiore serietà e determinazione a far sì che tutti i nostri disegni e prodotti vengano registrati. Credo che questo rappresenti un terreno in cui l’offerta italiana stia affinando le proprie difese. ❑ Intervista di LUCA GIBELLO Il Gruppo Fantoni Verticalizzazione dei processi, total design,ricerca e tecnologia sono alla base dell’attività imprenditoriale del Gruppo Fantoni, una delle più importanti aziende di pannelli in MDF e truciolare, arredamento per l’ufficio, pavimenti prefiniti e pannelli fonoassorbenti. Le aziende Novolegno, Lesonit, La-con, Flooring, Patt e Xilopack, con più di 1.100 addetti, affiancano la stessa Fantoni nella costituzione di un sistema autonomo di produzione che accompagna il legno dallo stadio di materia prima a quello di prodotto finito. In questa particolare filosofia aziendale s’inserisce l’attività promossa dal Centro Ricerche Fantoni, concepito e coordinato da Paolo Fantoni a partire dal 1996. Lo stesso Fantoni (nella foto), dopo una laurea in Economia Aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dal 1980 si occupa della commercializzazione dei prodotti del Gruppo con frequenti visite ai mercati esteri e partecipazione alle Fiere di settore. Il Centro Ricerche affronta tematiche economiche, ecologiche, ambientali e sociologiche lungo un itinerario di esplorazione e di arricchimento formativo. L’attenzione per la cultura del progetto viene riconosciuta alla Fantoni nel 1974, quando la «Serie 45°», disegnata dagli architetti Gino Valle e Herbert Ohl, viene esposta alla mostra permanente del MoMA di New York e nel 1998 con il Compasso d’Oro alla carriera. 42 Design IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. ❑ La Lego cambia casa Il management della Lego ha indicato, come unica via per salvare il gruppo dai crescenti costi di produzione,l’intenzione di spostare progressivamente tutte le attività produttive dalla cittadina danese di Billund verso la Repubblica Ceca e il Messico. Ma l’azienda chiuderà la produzione anche nello stabilimento di Ensfield (Usa), per trasferirla alla fabbrica della Flextronics in Messico. L’operazione avverrà nel primo trimestre del 2007, con una perdita di almeno 300 posti di lavoro. Il trasferimento nei paesi dell’Est avverrà invece fra 2007 e 2010; uno smantellamento progressivo per attutire le ripercussioni sulla cittadina dove, cinque anni fa, 4.000 persone (su un totale di 30.000 abitanti) lavoravano nella fabbrica di giocattoli. Lego apre così la seconda fase di una profonda ristrutturazione dovuta alla grave crisi dei mattoncini da costruzione, che da qualche anno deve fronteggiare la perdita di quote di mercato a favore dei produttori di giochi elettronici. ❑ Oasi in giardino Si apre all’insegna del «portare la natura nella vita delle persone» il concorso «Oasi in giardino», nato su iniziativa di Pircher, azienda di prodotti in legno, e rivolto a designer, architetti, studenti e creativi di qualsiasi età e nazionalità, chiamati a interpretare in chiave innovativa il legno e le sue svariate possibilità di utilizzo per prodotti di design dedicati all’arredo esterno. Scadenza 15 marzo. Montepremi totale 10.000 euro, assegnato a due categorie: professionisti e studenti. ❑ Italian Renaissance A partire dal volume «Italian Renaissance», selezione di lavori di graphic designer italiani, nasce l’idea di realizzare un progetto espositivo: i lavori pubblicati su carta troveranno spazio presso l’ex Fonderia Lombardini di Reggio Emilia a partire dal 3 febbraio. L’intento è quello di promuovere la contaminazione tra media e linguaggi artistici per dare maggiore visibilità e, in un certo senso, istituzionalizzare, la figura del graphic design italiano. La mostra si presenterà attraverso diversi strumenti di lettura: da un lato l’allestimento prevede la realizzazione dei lavori stampati su teloni di grandi dimensioni, dall’altro videoproiezioni e installazioni faranno da cornice all’intero evento. Il progetto si propone come internazionale e itinerante, partendo dalla città emiliana per arrivare a Bologna, Milano,Verona, Roma, Firenze, Berlino, Atlanta, Francoforte, Birmingham e Seattle. Vota il design! SEGUE DA PAG. 39, V COL. tarci una messa in scena che in passato è apparsa un po’ forzata e ci propone invece un «cammino» lungo un intreccio di cavi attraverso le sfide del design, dove le realizzazioni sembrano «mobilitarsi attorno ai vari slogan dell’esposizione». Per il primo motto, «Per il comfort e il piacere», è il settore dello sport e tempo libero a distinguersi maggiormente. I prodotti di Decathlon, distributore e creatore, eccellono per prezzi contenuti, ingegnosità e prestazioni: la calzatura da barca a vela «SL700 Race Tribord», ad esempio, è dotata di perforazioni microscopiche sui lati per eliminare l’acqua, mentre la suola piatta e fine è realizzata in gomma striata per evitare di scivolare e di lasciare impronte sul ponte. Nel settore dell’innovazione dei materiali e dei processi un vero progresso è quello rappresentato dal «Lens Case», il contenitore per lenti oftalmiche di Essilor. Parlando invece della nuova sfida per integrare lo sviluppo sostenibile, Lafuma propone lo zaino da escursione «ECO 40»: venduto allo stesso prezzo della concorrenza, questo zaino in canapa e polietilene riciclato è stato pensato per ridurre al minimo l’impatto ambientale, dalla produzione al riciclaggio; una strategia che ha portato a scegliere tecniche meno inquinanti per la sua impermeabilizzazione. Citiamo anche, per la qualità delle prestazioni, la stampante portatile «Photo Easy 110» di Sagem che, utilizzando Vista d’insieme dell’esposizione «Observeur du Design 07»; chaise-longue «Olympia» di Jean-Marc Gellée la tecnica della sublimazione, fa a meno dei cavi e persino della cartuccia. Mentre visitiamo l’esposizione, la commissione giudicatrice sta deliberando; ma l’anteprima del palmarès si fa attendere. Tra i giudici ci sono alcuni designer, una ASTA ECCEZIONALE DI CHRISTIE’S A MIAMI Design solidale: il Puppylove Marcel Wanders, Piero Lissoni, Herzog & De Meuron: ecco il podio dei creativi più graditi MIAMI. Il dottor Donald Woods Winnicott è colui che ha dato rigore scientifico alla coperta di Linus e a tutti quegli oggetti (pelouche, orsacchiotti, brandelli di giocattoli) che appartengono all’infanzia; anzi, sono l’infanzia. Li ha chiamati «oggetti transizionali» e ci ha spiegato che non sono né feticci, né patologie, bensì gli oggetti che ci traghettano dal mondo materno al mondo esterno, il morbido amico dei primi momenti di solitudine e insicurezza. Ebbene, nel 1973 Eero Arnio ha interpretato l’oggetto transizionale in chiave di design, dando a un cavallo di pezza la forma di una seduta. Era il «Pony», poi restituito alle primigenie forme e dimensioni di oggetto transizionale da Magis, che nel 2005 ha prodotto il cucciolo del designer finlandese in polietilene stampato, affettuosamente ribattezzato «Puppy». Il successo è stato immediato: per la sua essenza ludica, per essere indirizzato a un consumatore (il bambino) e a una merceologia (il giocattolo) fino a quel momento pressoché ignorati dal design, per l’assenza di una vocazione funzionale, tecnologica, innovativa, e così via. Quando Nasir e Nargis Kassamali, i Puppy di Marcel Wanders, Piero Lissoni, Giulio Cappellini e Herzog & de Meuron fondatori di «Luminaire», hanno deciso di supportare la ricerca sul cancro con una sponsorizzazione allo University of Miami Sylvester Comprehensive Cancer Center, non hanno avuto esitazioni nello scegliere il Puppy come emblema della loro lotta. A inizio 2006 è nato il progetto «Puppylove»: è stato chiesto ad artisti e designer internazionali di contribuire alla causa disegnando i loro Puppy, poi mes- si all’asta da Christie’s a Miami il 10 dicembre, in occasione dell’Art Basel Miami Beach. L’evento è significativo per ciò che rappresenta, più che per i risultati formali: sottintende valori profondamente diversi da quelli solitamente praticati dal design, anche se nell’ultimo convegno londinese del RIBA, «Making the Difference: Design Practice as Research», le frontiere della beneficenza erano state timidamente introdotte tra i nuovi scenari della ricerca design driven. Ma, al di là del lato etico, che cosa succede quando 36 tra i più rinomati designer, architetti, artisti e stilisti si trovano di fronte un Puppy tridimensionale di plastica per aiutare la ricerca sul cancro? La natura dell’oggetto ha fatto sì che si esprimessero, liberi dai soliti lacci della forma o della funzione. Sono emersi linguaggi diversi, connessi da categorie antinomiche: bene/male, superficie/ contenuto, leggerezza/gravezza, colore/non colore. Il martelletto della casa d’aste londinese è stato battuto per gli otto Puppy selezionati da una giuria composta da Craig Robins, Rosa de la Cruz, Gilda Bojardi, George Lindemann e Terence Riley: prezzo di partenza 5.000 dollari, ticket d’ingresso all’evento 200 dollari. La graduatoria di gradimento ha fatto primeggiare l’opera di Marcel Wanders (42.000 dollari), seguito da Piero Lissoni (30.000) e da Herzog & de Meuron (23.000). Il Puppy di Giulio Cappellini è stato venduto per 22.000 dollari, 16.000 per il lavoro dei giovani fratelli Bouroullec e Campana; 10.000 per il Puppy di Ingo Maurer e Konstantin Grcic. ❑ ALBA CAPPELLIERI filosofa, i responsabili di diverse istituzioni, il Patrimoine e infine vari giornalisti di riviste specializzate. La loro scelta si basa su una decina di criteri tra cui l’innovazione, l’aumento del comfort, la riduzione dei costi, la qualità e l’originalità dell’approccio e l’attivazione di una strategia globale d’impresa. Poco prima del generoso rinfresco, dove designer e industriali si congratulano l’un l’altro, 33 nuove «stelle» dell’«Observeur du De- 47, GENNAIO 2007 sign 07» brillano attorno alla Boutin sul podio della Cité des Sciences et de l’Industrie. Tra i vincitori ricordiamo: la bombola del gas di «Butagaz» (menzione INPI), gli occhiali da vista e il casco da sci di «Cebe», le scarpe da vela e lo zaino di Decathlon, il servizio lavabile e poi gettabile «Lux by Starck» di IPI, lo zaino «ECO 40» di Lafuma (menzione ADEME), «B Free Lounge» di Steelcase, ovvero la soluzione per gestire lo spazio nell’ambiente di lavoro, lo showroom «RendezVous Toyota» di Ora-Ito per Toyota e ancora la mensola-rubinetto di «Axor Hansgrohe», disegnata da Jean-Marie Massaud. L’aspetto interessante di questo percorso, oltre al fatto di attirare l’attenzione del visitatore su questo o quel valore, è soprattutto che mostra, al contrario di molte esposizioni di design, come gli oggetti non siano prodotti per il futuro, bensì articoli per il presente, realizzati industrialmente e disponibili per tutti. Si tratta di una manifestazione che, al momento, ha il merito di ricollocare il termine «design» nel contesto della concezione industriale e non in quello del puro delirio formale dedito essenzialmente all’arredamento. Nonostante questo, tuttavia, sin dall’inaugurazione i media - siano essi i canali televisivi o le rubriche culturali delle riviste - tra tutti i prodotti si ricordano soltanto di «Olympia», la chaise-longue firmata da Jean-Marc Gellée, un giovane designer in cerca di editore. Fatta di baguette in PVC bicolore, più che per la comodità si distingue per il notevole effetto visivo, e per non essere disponibile da Ikea! No, il design non si limita ai pezzi unici d’arredo. E ricordarlo è una battaglia da combattere ogni giorno. ❑ SANDRA BIAGGI ❑ Il made in Italy si compra online S’inaugura «The Sign of Design», il luogo virtuale nato dalla collaborazione tra yoox.com e Design-Italia, dove la tradizione del design italiano s’incontra con il nuovo canale tecnologico per acquistare in oltre cinquanta paesi del mondo, secondo un accesso semplice, diretto e sicuro ai prodotti. The Sign of design si avvale della collaborazione di alcune importanti aziende tra cui Danese, Kartell, Luceplan, Magis, Nava e Olivetti, proponendosi come la prima «boutique online» del design italiano. Dopo il primo mese emerge una risposta omogenea tra Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna e Belgio, oltre agli Stati Uniti.Anche l’Italia, inaspettatamente, sembra gradire l’iniziativa. ❑ A Parigi il «Salon du Mueble» 2007 Exposium, filiale del gruppo Unibail, ha acquisito il 65% della società organizzatrice del «Salon du Mueble», mettendo a disposizione la propria esperienza per l’edizione 2007 (20-25 gennaio), suddivisa nei settori «Classico», «Contemporaneo», «Sedute e letti» e «Offerta generale». Novità di quest’anno il «Futur Intérieur», concepito come uno showroom dedicato all’arredamento di alta gamma. ❑ Jugendstil e Art Déco all’asta Il 27 novembre, nella sede viennese della casa d’aste Dorotheum il martelletto è stato battuto per oltre 400 oggetti e mobili Jugendstil e Art Déco.A farla da padrone un mobiletto di Jacques-Émile Ruhlmann, decorato con intarsi romboidali (la cui stima variava da 100 a 120.000 euro), è stato venduto a 90.000 euro. Anche due armadi di Josef Hoffmann costituivano oggetti di punta offerti dalla casa d’aste. I due mobili del 1912, costruiti per la stanza al primo piano del Poldihütte di Vienna, sono stati venduti per 25.000 euro (prezzo di partenza 10-12.000 euro). Fortunato anche un pezzo di Otto Wagner, disegnato nel 1906 per la Postsparkasse di Vienna (stimato 2025.000 euro e aggiudicato a 30.000 euro), e cinque attaccapanni di Koloman Moser dei primi del Novecento e prodotti dalle Wiener Werkstätte (stimati 15-20.000 e venduti a 24.000 euro). ❑ Braun Prize 2007 Braun GmbH invita studenti di design e giovani professionisti a partecipare al concorso «Design a Real Future». L’intento dell’edizione 2007 del premio internazionale è di stimolare competenza e creatività per soluzioni tecniche e progettuali in grado di migliorare la qualità di vita. Scadenza 31 gennaio. Montepremi totale 36.000 euro (www.braunprize.com). IL GIORNALE DELL’ARCHITETTURA, N. Design 47, GENNAIO 2007 CECI N’EST PAS UNE EXPOSITION Autosalone Mart «Mitomacchina» celebra le automobili come prodotti di contemplazione estetica a discapito della comprensione critica del fenomeno ROVERETO (TRENTO). Il «pianeta Mart» si appresta a narrare l’epopea di un altro mito. Dopo aver celebrato quello dedicato alla Montagna (102.000 visitatori nel 2003-2004) ora è la volta dell’automobile, rivoluzionario prodotto industriale del Novecento e incontrastato oggetto del desiderio dal forte richiamo estetico. Accattivante nel titolo e nel tema, l’esposizione sembra rivolgersi al grande pubblico e, nei dichiarati intenti, dovrebbe accostare la scientificità di un progetto di ricerca alla contaminazione di ambiti diversi. Tuttavia, invece d’indagare nel dettaglio le implicazioni tecniche, sociali, economiche, ambientali legate al microcosmo dell’auto, i curatori (tra cui studiosi come Maldonado e designer direttamente «interessati» come Pininfarina e Giugiaro) di fatto sembrano puntare all’estetizzazione degli oggetti selezionati, esaltandone il valore iconico e privilegiando la mera contemplazione estatica rispetto alla comprensione. L’allestimento di Pierluigi Cerri distribuisce in modo privo di gerarchie quanto d’originalità circa settanta vetture all’interno delle sale, con soluzioni non sempre felici nella disposizione spaziale: il semplice parcheggio di più esemplari sulla stessa inarrivabile pedana o il loro accostamento alle pareti ne impedisce in svariati casi l’indispensabile vi- sione a tutto tondo. La suddivisione preferisce ai criteri cronologici quelli tipologici (la berlina, la spider, l’utilitaria, la monovolume, la gran turismo) e tematici (l’aerodinamicità, le prestazioni, i prototipi, l’ecologia). Sui muri l’indispensabile apparato grafico esplicativo spesso difetta anche in qualità tecnica di riproduzione e trascura la storia dell’automobile, dei modelli, l’evoluzione di parti meccaniche, carrozzerie, accessori, linee di montaggio, stabilimenti, case produttrici. Restano escluse le implicazioni sociali, la vicenda d’infrastrutture e servizi e dell’evoluzione dell’auto in rapporto agli altri mezzi di trasporto. E, ancor più inspiegabilmente, è assente la relazione con l’arte, non fosse altro che col futurismo e le avanguardie del Novecento, di cui il MART è vestale. I disegni, a grande e piccola scala, sono generalmente muti e orfani di convincenti descrizioni: come fa un visitatore non specialista, a districarsi in una sequela di rappresentazioni proiettive? Sovente si tratta di grafi sintetici iterati, di certo potenzialmente molto interessanti ma bisognosi d’una decodifica, pena l’inutilità (o il mero effetto di tappezzeria decorativa). Pure gli audiovisivi, pescando in un contesto infinitamente ricco, al di là di spezzoni di film da citare doverosamente, non brillano per originalità. Più Alfa Romeo 40-60 Hp Ricotti, 1914 (© Foto Automobilismo storico Alfa Romeo, Centro di documentazione storica di Arese); catena di produzione dellaVolkswagen Käfer (Maggiolino), 1949 (collezione Ralf J. F. Kieselbach, © Verlag Dr. Franz Burda, Offenburg, Baden, foto Alfred Tritschler) grave, nelle ultime sale, la presenza d’un video simil-promozionale recentissimo, destinato molto probabilmente a una delle tante trasmissioni televisive che spacciano pseudonovità. Non di pubblicità sfacciata e di trailers aziendali abbisognano un museo e una mostra, soprattutto se sono presentati acriticamente. A questo proposito, va detto che ogni marchio blasonato dispone d’un patrimonio archivistico notevole, e mostrarlo è un fatto in sé 43 positivo: ma non come s’è fatto qui per un celebrato sponsor, contrabbandando alcune riproduzioni di qualche suo manifesto, appiccicate alla bell’e meglio fuor di mostra e prive di didascalie, come contributo all’insieme. E neppure il lavoro di certe scuole (o di certi studenti) meritava di essere esposto nell’interrato attraverso un tristo defilé di pannelli arrangiati: se non era ritenuto all’altezza, allora non doveva esserci. Così come molto altro in mostra, che sembra inserito a forza e a onta dello spazio e della sua reale rappresentatività. Neppure il ricorso al corposo e patinatissimo catalogo (ricolmo di foto adatte alle riviste di settore) fuga le molte perplessità sulla scientificità dell’operazione. L’impressione generale è di trovarsi innanzi a un’ibridazione fra museo e salone dell’automobile che, a tratti, rammenta non un’esposizione ma un autosalone concessionario. Ciò detto, è quasi certo che la mostra non mancherà di attirare un pubblico più soggiogato dalla concupiscenza dello sguardo che non disposto a porsi troppi interrogativi. Questo probabilmente, e a torto, è ritenuto un pedaggio da pagare sulla strada dei grandi numeri. ❑ LUCA GIBELLO e GABRIELE TONEGUZZI «Mitomacchina. Storia, tecnologia e futuro del design dell’automobile», a cura di Gian Piero Brunetta, Pierluigi Cerri, Emilio Deleidi, Giampaolo Fabris, Giorgetto Giugiaro, Tomás Maldonado, Giuliano Molineri, Adolfo Orsi,Sergio Pininfarina, Mauro Tedeschini e la rivista «Quattroruote», Rovereto, MART, fino al 1° maggio.