TESI DI LAUREA UN SISTEMA PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA POSIZIONE DEL DISCO OTTICO IN IMMAGINI DELLA RETINA Relatore: Ch.mo Prof. Alfredo RUGGERI Correlatore: Ing. Enrico GRISAN Laureando: Cristian TONIZZO Anno Accademico 2001/2002 ...a nonna Pasqualina Indice Sommario 5 Introduzione 7 1 Il fundus oculare 1.1 2 3 15 L’occhio umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.1.1 Struttura generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.1.2 Retina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.1.3 La vascolatura retinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.1.4 La fovea oculare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.1.5 Il disco ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.1.6 La coroide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.2 L’esame oftalmologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 1.3 Pricipali lesioni della retina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.4 L’importanza dell’identificazione del disco ottico . . . . . . . . . . . . 23 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica 25 2.1 Tecniche di determinazione del disco ottico . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2 Stato dell’arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 2.3 Disposizione spaziale delle strutture vascolari . . . . . . . . . . . . . . 27 2.4 La funzione modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.5 Analisi dei parametri del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.5.1 I parametri xod e yod . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.5.2 Parametro a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.5.3 La funzione c x . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Aspetti applicativi e comportamento del modello 3.1 37 I dati sperimentali dello STARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 3.2 3.3 I dati sperimentali dello Sparse Tracking . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 3.4 Analisi del comportamento dei residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 3.4.1 Parametri xod yod . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 3.4.2 Parametro a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.4.3 Parametri c1 e c2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 4 La stima parametrica mediante Simulated Annealing 49 4.1 Tecniche evolutive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.2 4.3 4.4 4.5 Simulated Annealing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 Addestramento del SA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 Percorso di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4.4.1 4.4.2 Criterio di terminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 Temperatura iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4.4.3 4.4.4 4.4.5 Numero dati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Scelta dei punti di partenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Scelta iniziale dei passi - Prima fase di ricerca . . . . . . . . . . 59 4.4.6 4.4.7 Ulteriori affinamenti - Seconda fase di ricerca . . . . . . . . . . 60 Range dei parametri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Considerazoni sull’intero processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 5 Risultati 63 5.1 Risultai del SA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 5.2 Limiti del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 6 Conclusioni 73 4 Sommario La diffusione di immagini mediche acquisite elettronicamente ha notevolmente aumentato l’interesse del settore medico verso un’analisi di tipo automatico di tali dati. Ad esempio in campo oftalmologico vi sono molti studi che mirano a realizzare strumenti per un’analisi di tipo automatico del fondo oculare, per ottenere un sistema capace di: estrarre e quantificare importanti parametri clinici, diagnosticare patologie, comparare immagini tra soggetti o nel tempo. Il problema specifico qui affrontato è l’individuazione del disco ottico, caratteristica saliente nelle immagini retiniche che può essere pensato come un buon punto di partenza per un’analisi dettagliata di altri parametri utili nella diagnosi clinica. Il lavoro svolto in questa tesi riprende quello cominciato nel corso del 2002 [16] e basato sullo sviluppo di un originale modello matematico atto a riprodurre le pricipali direzioni vascolari e usando poi la relazione tra tali direzioni e il disco ottico per determinarne la posizione. Partiremo descrivendo la struttura anatomica dell’occhio e delle patologie che ne possono affliggere il funzionamento, con particolare riferimento a quelle del disco ottico e a quelle che ne rendono difficile l’identificazione. Introdurremo poi il modello matematico descrivendone le parti che lo compongono. I risultati dell’analisi condotta sul modello sono stati velocemente ripresi dal lavoro [16] e usati per studiare quello che si è dimostrato essere il problema piú delicato: sviluppare un algoritmo capace di automatizzare la ricerca dei numerosi parametri del modello al fine di ottenere il miglior fit tra il modello e i dati disponibili per l’indagine. La scelta e ricaduta sull’uso di un algoritmo largamente usato per affrontare ricerce di minima energia in sistemi multivariabili, il Simulated Annealing. Introdotto prima nella sua forma generale verrà poi adattato successivamente al nostro specifico problema, procedura detta di addestramento. Per valutare la validità di tale processo si è usato un set di ottantuno immagini rese disponibili dal gruppo di sviluppo del progetto STARE, raggiungibile all’indirizzo internet http://www.parl.clemson.edu/stare/nerve/ Tale gruppo è responsabile dello sviluppo di quello che, fino ad oggi, poteva essere ritenuto il miglior processo automatico di ricerca del nervo ottico [22, 21, 25]. Alla fine del presente lavoro sarà infatti possibile trovare un dettagliato resoconto delle superiori capacità riconoscitive del nostro processo automatico rispetto a quello messo a punto dal gruppo dello STARE. 6 Introduzione Controllo metabolico Nelle sue varie forme, il diabete mellito colpisce il 2-5% della popolazione europea. In particolare, il diabete mellito tipo 1, caratterizzato dalla assenza o, comunque, marcata riduzione della secrezione insulinica endogena, rappresenta circa il 10% dei casi di diabete, mentre il diabete tipo 2, caratterizzato da una variabile associazione di ridotta secrezione pancreatica dell’ormone e resistenza periferica all’azione dell’insulina, rappresenta circa il 90% di tutti i casi di diabete. Un’ indagine ISTAT eseguita in Italia negli anni 1987-1991 ha stimato in circa 2.000.000 il numero dei pazienti diabetici presenti nel nostro Paese (3%). A questa quota deve poi essere aggiunto il numero delle persone che sono affette da diabete mellito senza saperlo (stimabile in oltre 1.000.000). Il costo sociale, diretto e indiretto del diabete mellito è enorme: circa 20 miliardi di dollari per anno negli Stati Uniti. In alcuni paesi occidentali, quali il Regno Unito e la Francia, circa il 5% della spesa sanitaria è destinato alla terapia del diabete e delle sue complicanze. In Italia stime recenti riportano una spesa annuale per cure e ricoveri correlati al diabete mellito pari a circa 9 mila milioni di euro. Sebbene sia relativamente facile, con i mezzi terapeutici comunemente usati (dieta, esercizio fisico, ipoglicemizzanti orali, insulina), mantenere la glicemia entro limiti tali da non causare alcun particolare sintomo, è tuttavia emerso con chiarezza negli ultimi anni che anche livelli di iperglicemia modesta sono significativamente associati con lo sviluppo delle complicanze croniche (micro-e/o macroangiopatiche) della malattia. Stime recenti riportano che, dopo 20-30 anni di malattia, circa il 70% dei pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 ha sviluppato un qualche grado di retinopatia e che, dopo 10-15 anni, circa il 40% dei pazienti presenta nefropatia. La retinopatia e la nefropatia diabetica rappresentano le principali cause, rispettivamente, di cecità e uremia nei pazienti di età inferiore ai 50 anni. La Retinopatia Diabetica La retinopatia è la piú frequente e la piú recente fra le complicanze del diabete. Ma è anche la piú facile da controllare: purchè lo screening inizi per tempo. Fra le complicanze specifiche del diabete, la Retinopatia Diabetica (RD) è una delle piú frequenti e tra le piú invalidanti. Nei paesi avanzati la RD è la prima causa di cecità legale. Cecità e riduzione del visus sono gli effetti della retinopatia proliferante. Questa fase avanzata della patologia si riscontra assai di rado in età pediatrica, almeno nei paesi dove i pazienti hanno accesso a insulina e strumenti di autocontrollo della glicemia. Ben diverso il discorso per le fasi iniziali della patologia che si possono manifestare già a 5 anni dall’esordio e che a 15 anni dall’esordio hanno una incidenza media dell’80%. Nonostante la evidence-based medicine confermi l’esistenza di un rapporto diretto fra la durata della malattia e l’incidenza/durata della RD, l’epidemiologia rileva una fase di immunità nell’età prepuberale. Bambini di 10 anni con alle spalle 8 piuttosto che 2 anni di diabete, hanno la stessa assai scarsa probabilità di sviluppare i segni della RD. Parlare di immunità a dire il vero è sviante, in quanto analisi piú attente e svolte su tempi piú lunghi hanno ritrovato sul medio termine un rapporto lineare fra durata del diabete e incidenza/gravità della complicanza. Un Team Diabetologico Pediatrico, ad esempio, avrebbe elevate probabilità di confrontarsi con casi di RD in fase iniziale trattando pazienti in età post puberale. Cosa significa confrontarsi ? La retinopatia non proliferante non ha indicazioni farmacologiche nè chirurgiche. La sua evoluzione (e incidenza) non dipende da dislipidemie, obesità, dall’assunzione di ormoni, di alcol o di nicotina. Esiste una correlazione con la pressione diastolica: i (rari) soggetti ipertesi in età pediatrica vanno riportati entro valori pressori di 135/80. L’ unica indicazione, forte, è l’ottimizzazione del controllo glicemico. A grandi linee si può dire che, se l’incidenza delle forme lievi di RD dipende soprattutto dalla durata del diabete, la velocità dell’evoluzione verso forme piú gravi è inversamente proporzionale alla compliance del paziente. In fase avanzata, quando la retinopatia sta divenendo o minaccia di diventare proliferante, si procede con interventi di chirurgia laser. Nella fase precedente l’impegno specifico richiesto si pone soprattutto in termini di prevenzione e controllo stretto dell’evoluzione. Nella grande maggioranza dei casi è perfettamente possibile controllare la complicanza e mantenere una retinopatia lieve (o addirittura farla regredire) attraverso un ottimizzazione del controllo glicemico. Esistono però soggetti in cui la complicanza evolve in maniera relativamente indipendente dalla qualità del compenso glicemico. 8 Epidemiologia della retinopatia diabetica Nell’ambito delle complicanze del diabete la retinopatia si colloca al primo posto e la sua prevalenza e severità sono strettamente correlate alla durata della malattia ed al grado del controllo metabolico. In epoca pre-laser, dopo 40 anni di diabete mellito tipo 1, il 16% dei pazienti aveva un visus inferiore a 1/10 e un altro 14% necessitava della lente di ingrandimento per leggere il giornale. Almeno il 30-50% dei pazienti affetti da diabete mellito risulta affetto da un qualche grado di retinopatia diabetica che, a sua volta, è ad alto rischio nel 10% dei casi. Ogni anno, negli USA, circa 250.000 diabetici sviluppano retinopatia ad alto rischio. Si può ragionevolmente affermare quindi che da 30.000 a 50.000 diabetici italiani/anno si trovano nelle stesse condizioni. In Italia risulta che la retinopatia sia la seconda causa di cecità nella popolazione generale, preceduta dalla cataratta e seguita dalla miopia. Se l’analisi viene limitata all’intervallo di età 2070 anni la retinopatia rappresenta la prima causa di cecità. Circa il 13% dei casi di cecità legalmente riconosciuta sono da attribuirsi a retinopatia diabetica. La retinopatia è rara nei primi 2-3 anni dalla diagnosi nei pazienti con diabete tipo 1, mentre nei pazienti con diabete tipo 2, una proporzione consistente (fino al 30%) presenta retinopatia già al momento della diagnosi. Questo fatto è legato alla presenza, in quest’ultimi, di iperglicemia già molto tempo prima della diagnosi. Una grande quantità di studi ha ormai dimostrato in maniera inconfutabile il fondamentale ruolo eziopatogenetico della iperglicemia cronica nello sviluppo e nella progressione delle complicanze croniche nei pazienti affetti da diabete mellito. Da ciò consegue che il mantenimento della glicemia ad un livello il piú possibile prossimo ai valori di normalità, fin dall’esordio del diabete, è condizione insostituibile per prevenire la comparsa e la progressione delle complicanze micro e macroangiopatiche. Storia naturale della retinopatia diabetica La storia naturale della retinopatia diabetica passa attraverso 5 fondamentali eventi patologici: 1. formazione di microaneurismi 2. aumentata permeabilità vascolare 3. occlusione vascolare 9 4. formazione di neovasi e proliferazione di tessuto fibroso sulla superficie della retina e del disco ottico 5. retrazione del tessuto fibroso e del vitreo Alla base della retinopatia diabetica si riscontra un diffuso danno dei capillari retinici, a carico dei quali si può riscontrare ispessimento della membrana basale dell’endotelio, deposizione di materiale ialino e sclerosi della parete con perdite di periciti in numerosi tratti dei capillari. L’occlusione vascolare e l’aumentata permeabilità vascolare vengono ritenute le principali vie patogenetiche delle alterazioni retiniche. Le occlusioni vascolari causano aree di non perfusione retinica e dilatazioni focali e generalizzate dei vasi ancora pervi. Le dilatazioni focali assumono l’aspetto di microaneurismi, che spesso circondano le aree di non perfusione. I vasi dilatati sono fragili e permeabili alle molecole circolanti facilitando così la formazione di emorragie e la fuoriuscita di lipidi e colesterolo fra le fibre nervose della retina, con formazione di essudati duri, a margini netti, di color giallo-brillante, mentre in corrispondenza delle aree ischemiche e delle zone infartuali si producono lesioni dall’aspetto cotonoso, bianco-grigiastre e a margini sfumati: i cosiddetti "cotton wools". Queste lesioni configurano il quadro della retinopatia background o non proliferante. Quando emorragie retiniche multiple si associano a lesioni cotonose ed irregolarità del decorso venoso con dilatazioni segmentarie e formazione di anse (venous beadings e loops) siamo di fronte ad una retinopatia pre-proliferante. Nelle fasi piú evolute della malattia l’ischemia ingravescente è responsabile di una eccessiva risposta neovascolare con formazione di capillari a partenza dai vasi venosi della papilla o dalla retina periferica, neovasi che essendo molto fragili tendono a sanguinare facilmente, dando luogo ad emorragie preretiniche. I neovasi e le emorragie sono seguiti dallo sviluppo di tralci fibrosi, che per effetto della trazione esercitata sulla retina ne possono causare il distacco, portando cosí alla perdita permanente del visus. La retinopatia diabetica viene clinicamente distinta in due stadi: Retinopatia non proliferante (lieve, moderata o severa); Retinopatia proliferante. In aggiunta, l’edema maculare può essere presente in ognuno di questi stadi. Il primo stadio (Retinopatia diabetica non proliferante) può a sua volta essere distinto in 3 sottogruppi: a) Lieve; 10 b) Moderato; c) Severo. Una accurata stadiazione della forma non proliferante è estremamente importante poichè la progressione verso la forma proliferante è strettamente correlata con il grado di severità del quadro non proliferante. Il secondo stadio (Retinopatia diabetica proliferante) è definito dalla comparsa di neovasi della retina e/o del disco ottico, da proliferazioni fibrovascolari ed emorragie vitreali. Una cosa molto importante da tenere presente è che lesioni a carico della retina possono essere presenti senza che venga causato alcun disturbo visivo. Alterazioni della vista si manifestano solo quando viene interessata la macula (sede appunto della visione distinta). Ecco perché è importante che un soggetto affetto da diabete mellito si sottoponga a regolari controlli del fondo oculare. Con quali strumenti può essere valutato il fondo oculare? A) L’oftalmoscopia diretta consente una buona valutazione del fondo oculare, anche se tale metodica non consente la valutazione della parte piú periferica della retina. B) La fotografia del fondo oculare (retinografia) consente di avere, per ogni paziente, una documentazione delle immagini retiniche; in tal modo è possibile confrontare le immagini tra loro e valutare l’effetto di un eventuale trattamento. C) L’oftalmoscopia binoculare indiretta consente di esplorare il 100% della superficie retinica e individuare le zone che necessitano di una piú approfondita valutazione. D) La fluorangiografia retinica, eseguita mediante iniezione endovenosa di fluoresceina sodica e fotografie sequenziali del fondo oculare, consente di valutare eventuali alterazioni morfo-funzionali dei vasi retinici. Come si cura la retinopatia diabetica? Come per ogni malattia, in principal modo se è cronica come il diabete, la miglior cura è rappresentata dalla prevenzione. Il paziente con diabete mellito deve eseguire uno scrupoloso automonitoraggio della glicemia mediante sticks adattando in tal modo la terapia in atto (dieta, ipoglicemizzanti orali, insulina) ed eseguire regolari controlli presso un Servizio di Diabetologia in modo da mantenere un buon controllo glicemico, con valori di emoglobina glicosilata (HbA1c) prossimi ai valori di normalità. Allo stesso modo deve tenere sotto stretto controllo tutti quei fattori che potrebbero contribuire a peggiorare la situazione retinica (ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, dislipidemie). Nel momento in cui la retinopatia diabetica si è sviluppata ed ha raggiunto un grado tale da richiedere un intervento terapeutico mirato, la laser-terapia è l’unico presidio (soprattutto se eseguito precocemente) in grado di rallentarne o prevenirne la progres11 sione. Il laser è un dispositivo in grado di emettere un raggio di luce (verde, rosso, infrarosso) che, diretto sulle lesioni retiniche che vogliamo trattare, mediante effetto termico, le coagula e chiude. La Fotocoagulazione può essere focale: in questo caso spot di vari micron di diametro vengono indirizzati verso le zone che all’esame fluorangiografico appaiono essere le responsabili della diffusione del colorante. La Fotocoagulazione può essere a griglia: in questo caso l’area da trattare è estesa e per questo motivo il trattamento viene condotto mediante spot non confluenti disposti a griglia. Non dobbiamo dimenticare che il trattamento laser nel caso venga condotto in presenza di retinopatia proliferante consente di combattere i fattori responsabili della neo-angiogenesi. La fotocoagulazione può essere poi estesa a tutta la retina (fotocoagulazione panretinica). Nei casi in cui la retinopatia sia particolarmente evoluta, le emorragie abbiano interessato il Vitreo e i processi fibro-proliferativi determinino trazioni sul piano retinico, può essere preso in considerazione l’intervento di vitrectomia. Evoluzione Sottoporsi ogni anno a una retinografia può ridurre fino al 90% i casi di cecità o di deficit gravi del visus. In fase iniziale la retinopatia diabetica si manifesta a un esame del fondo oculare attraverso poche microemorragie o microaneurismi dei capillari che prendono la forma di puntini rossi del diametro medio di 100 micron. Il numero di microemorragie o microaneurismi cresce progressivamente. In una seconda fase è possibile riscontrare nella retina delle macchie biancastre: sono essudati duri, depositi di lipoproteine che attraversano le pareti iperpermeabili dei capillari e si depositano sulla retina. Nella terza fase si trovano noduli, detti per il loro aspetto, cotonosi derivati da microinfarti ischemici. Siamo nella fase moderata della retinopatia non proliferante. A questo punto è probabile una evoluzione verso la retinoparia proliferante sulla quale si interviene soprattutto con interventi laser. Le Linee Guida dell’ISPAD1 e della SIEDP2 prevedono un esame del fondo oculare all’esordio (nel DM1 è rarissimo riscontrare dei problemi, ma un esame è comunque utile per avere un punto di partenza), dopo 5 anni dall’esordio e comunque a 13 anni. Dai 13 anni in poi gli esami del fondo oculare devono essere condotti ogni anno, indipendentemente dal loro risultato. I casi di RD rilevata possono essere controllati a 1 International Society of Pediatric and Adolescent Diabetes. Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica. 2 Società 12 intervalli piú ravvicinati. Abbiamo parlato di esame del fondo oculare, ma sarebbe più desiderabile parlare di retinografia. Un buon oculista può rilevare i segni di una RD con un semplice oftalmoscopio, ma disporre di un documento fotografico realizzato con un apparecchio tradizionale o con uno digitale consente di lavorare su documenti obiettivi e permette di utilizzare al meglio il tempo e le competenze del medico oculista che analizza le retinografie effettuate da terzi. Studi condotti su una popolazione diabetica indifferenziata (e quindi in grande maggioranza DM2) hanno dimostrato come sottoporsi ogni anno a un controllo del fondo dell’occhio possa far diminuire del 90% i casi di cecità o di riduzioni gravi del visus. La popolazione DM1 è sicuramente piú informata e motivata, ma in assenza di riscontri negativi, la visita oculistica potrebbe inserirsi nel generale calo della compliance che si riscontra spesso in età adolescenziale. Tecniche correttive Prima di effettuare ogni tipo di trattamento correttivo occorre effettuare una serie di esami fondamentali per poter escludere patologie misconosciute o anomalie difficilmente diagnosticabili con i comuni esami oculistici. Ogni azione correttiva, di qualunque natura essa sia, dovrebbe essere intrapresa solo dopo un’analisi attenta ed approfondita con i seguenti esami: esame del visus naturale, corretto ed in cicloplegia (importante per eliminare l’accomodazione e quindi eventuali errori di calcolo nell’impostazione del programma operatorio) esame del segmento anteriore (palpebra, congiuntiva, cornea) con esame del film lacrimale (lo strato liquido che protegge l’occhio dall’ambiente esterno) per escludere infezioni in corso. la pressione oculare la misurazione dello spessore corneale (pachimetria) l’esame del fondo dell’occhio l’ecobiometria (la misurazione della lunghezza del bulbo oculare) la topografia corneale computerizzata (l’esame computerizzato della superficie anteriore della cornea) 13 la scheimpflug camera (esame molto importante e sofisticato dello spessore e delle irregolarità della superficie corneale mediante differenti angolazioni) la cheratometria (misurazione dei raggi di curvatura della cornea). L’esame del fondo dell’occhio è dunque importante sia se interpretato come step di un più completo processo che come analisi a se stante. 14 Capitolo 1 Il fundus oculare L’occhio è composto da un gran numero di strutture eterogenee che possono essere ben distinte tra loro: in questo capitolo si espongono alcune nozioni di tipo anatomico e fisiologico relative al fundus oculare (la porzione posteriore dell’occhio) ed alle parti che lo compongono al fine di rendere piú chiara la trattazione dei capitoli successivi. 1.1 L’occhio umano 1.1.1 Struttura generale La struttura dell’occhio umano ripete essenzialmente quella di tutti i vertebrati (fig.1.1). Ha forma quasi sferica: il suo asse, cioè il suo diametro antero-posteriore, ha quasi la medesima lunghezza del diametro orizzontale e del verticale, 25 mm circa. La cornea ha una curvatura un po’ maggiore della sclerotica, alla quale si raccorda senza che si stabilisca un angolo vivo. La sclerotica è di connettivo denso, senza rinforzi cartilaginei ed ossei. La corioidea, ricca di pigmento e di vasi, interna alla sclerotica, si differenzia anteriormente nel corpo cigliare, con una porzione esterna ricca di elementi muscolari, e una piú interna che costituisce i processi cigliari , riccchi di vasi e importanti per il ricambio dell’umor acqueo; e si prolunga nell’iride, alla formazione della quale concorre, nella sua faccia interna, anche la retina che, perduta la funzione e la struttura nervosa a livello dell’ora serrata, si continua in avanti come pars ciliaris, e poi iridea retinae. Nello spessore dell’iride numerose cellule muscolari costituiscono la muscolatura costrittrice e dilatatrice della pupilla, a elementi rispettivamente a disposizione anulare e radiale. La retina è spessa circa un terzo di millimetro, ed è congiunta mediante il nervo ottico all’encefalo, di cui è un’emanazione. Presenta 16 Il fundus oculare Figura 1.1: occhio umano un’evidente stratificazione, e prima di tutto dobbiamo distinguere, fin dal momento in cui la vescicola ottica si trasforma in una coppa a parete doppia, una lamina esterna, lo "strato dell’epitelio pigmentoso", e una retina propriamente detta, a funzione visiva, almeno fino all’ora serrata, e nella quale si possono distinguere uleriormente sette strati (fig.1.2). Troviamo infatti successivamente, dall’esterno verso l’interno, cioè dallo strato dell’epitelio pigmentoso al vitreo: 1. lo strato dei coni e dei bastoncelli (fig.1.3), cioè delle porzioni di stali delle cellule sensoriali; essi immergono il loro estremo nella retina esterna ricca di pigmento che li isola gli uni dagli altri; 2. lo strato dei granuli esterni, rappresentato dai corpi cellulari dei coni e dei bastoncelli, con i loro nuclei; 3. lo strato plessiforme esterno, dove i tratti basali delle cellule sensoriali sinaptano con i dendriti delle cellule bipolari; 4. lo strato dei granuli interni,formato dai corpi dei neuroni bipolari; 1.1 L’occhio umano 17 Figura 1.2: la retina umana: dall’alto in basso, coni e bastoncelli; loro nuclei o strato dei granuli interni (n.s.); strato plessiforme esterno (s.p.e.); strato dei neuroni bipolari o dei granuli interni (n.b.); strato plessiforme interno (s.p.i.); strato delle cellule gangliari (n.g.); strato delle fibre ottiche (f.o.);cellule orizzontali e emacrine in corrispondenza di s.p.e. e s.p.i 5. lo strato plessiforme interno, formato dai neuriti dei neuroni bipolari e dai dendriti delle cellule gangliari; 6. lo strato delle cellule gangliari; 7. lo strato delle fibre nervose, formato dai neuriti delle cellule gangliari, inizio del nervo ottico. Accenneremo appena ad atri elementi retinici: nello strato plessiforme esterno le "cellule orizzontali" i cui processi contattatano coi terminali dei coni e dei bastoncelli e con le cellule orizzontali contigue, a dare un’integrazione orizzontale dei fotorecettori; nello strato plessiforme interno le "cellule amacrine" sono connesse con i neuriti delle bipolari e tra loro, a dare un’altra integrazione orizzontale; infine le cellule del Muller, elementi gliali di sostegno, attraversano la retina quasi a tutto spessore. Coni e bastoncelli sono diffusi in tutta la coppa retinica, fino all’ora serrata. I bastocelli sono specializzati per la visione in condizione di luce tenue mentre i coni per la visione con 18 Il fundus oculare Figura 1.3: coni e bastocelli luce brillante. Nella retina umana vi sono tre tipi differenti di coni, ciascuno dei quali è sensibile al blu, al verde o al rosso. I bastoncelli hanno prevalenza numerica nella regione extramaculare; ma avvicinandosi alla "macula lutea", i coni si fanno piú numerosi, e nella macula stessa sono in assoluta prevalenza, per diventare esclusivi nella fovea, cioè in quel punto della retina incluso nella macula dove l’acuità visiva è massima, e dove i coni si stipano, facendosi piú lunghi e sottili. Il cristallino dell’occhio umano ha la forma di lente biconvessa, con minore curvatura nella sua faccia anteriore: ha un diametro equatoriale di circa 8 mm, asse anteroposteriore di 5 mm. Trasparentissimo, con indice di rifrazione elevato (1,4 ca.), è tenuto a posto dalla zonula dello Zinn, detta anche ligamento cigliare, disposto intorno al suo equatore e formato da fibre che si ritengono derivate dall’epitelio della pars iridea retinae, e che si inseriscono da una parte alla capsula del cristallino, dall’altra ai processi cigliari. Quando la muscolatura cigliare è in riposo, la zonula è tesa, e il cristallino subisce una certa trazione periferica, per cui presenta un minimo di curvatura: ma quando il muscolo cigliare si contrae, il ligamento si rilascia, e il cristallino rigonfia, aumentando la curvatura delle sue superfici. E’ questo il meccanismo dell’accomodamento per deformazione del cristallino in seguito al giuco dei muscoli cigliari. L’umore acqueo riempie lo spazio anteriore del bulbo, tra la cornea e il cristallino, cioè l’ampia camera anteriore e la piccola camera posteriore, tali rispetto all’iride. L’ampio spazio del bulbo oculare posteriore al cristallino è riempito dal vitreo, trasparentissimo e non vascolarizzato. Gli occhi si trovano in posizione frontale: i piani equatoriali dei due globi oculari quasi coincidono, e gli assi anteroposteriori dei due occhi formano un angolo di appena 10 gradi. La rotazione del 1.1 L’occhio umano 19 Figura 1.4: impatto della luce sulla zona della Fovea globo oculare è ottenuta dal gioco di sei muscoli estrinseci, quattro retti e due obliqui. I globi oculari sono protetti da due pliche cutanee, la palpebra superiore e l’inferiore, fornite di una muscolatura che ne assicura la mobilità. La plica semilunare rappresenta il ridimento di una terza palpebra, la membrana nittitante. 1.1.2 Retina La retina umana, come quella degli altri mammiferi, è una struttura complessa pluristratificata. Nella retina di quasi tutti i vertebrati si riconosce un’area nella quale le cellule sensitive sono piú numerose e stipate; area che in anatomia umana prende il nome di macula lutea. Nell’area si può differenziare una regione focale, la fovea, dove gli elementi sensoriali sono ancora piú fitti. L’area e particolarmente la fovea è la regione della retina dove la visione è piú acuta (fig.1.4). La retina di tutti i vertebrati possiede coni e bastoncelli. Questi due tipi di cellule sensoriali portano dei pigmenti che assorbono la radiazione luminosa, la quale rappresenta lo stimolo per l’inizio di un impulso nervoso. Lo stimolo elettrico viene generato attraverso una reazione chimica a livello dei fotorecettori, trasferito quindi alle cellule bipolari e successivamente alle cellule gangliari. Il pigmento dei bastoncelli è rappresentato dalla cosiddetta porpora retinica che 20 Il fundus oculare Figura 1.5: vascolatura retinica: sono visibili il disco ottico sulla destra e la fovea al centro imbianca alla luce e si rigenera all’oscurità; perciò un occhio adatto alla poca luce ha una retina più ricca di porpora. 1.1.3 La vascolatura retinica All’irrorazione della membrana retinica provvede l’arteria centrale della retina, dell’arteria oftalmica che penetra nel nervo ottico, ne percorre l’asse ed entra nel bulbo oculare al centro della papilla ottica. Da qui l’arteria retinica centrale si divide in piú rami che si distribuiscono sulla superficie ed in profondità con una fitta rete che vascolarizza gran parte della retina stessa. Dalla rete capillare si originano i vasi venosi; questi confluiscono nella vena centrale retinica che fuoriesce dal bulbo oculare attraverso la papilla. 1.2 L’esame oftalmologico 21 1.1.4 La fovea oculare La fovea è una depressione della macula lutea in cui è massima la densità di coni. In virtú di questo motivo la fovea è la regione retinica con la piú elevata acuità visiva; di conseguenza è in questa zona che il punto di fissazione viene messo a fuoco. In condizioni non patologiche la fovea può essere distinta dal fondo libero della retina per il suo colore piú scuro rispetto alla zona circostante e per la pressochè totale assenza sia di vasi sanguigni che di assoni di cellule nervose. 1.1.5 Il disco ottico Visivamente il disco ottico è una delle strutture piú facilmente riconoscibili (con ovvie limitazioni nel caso di patologie che ne celeno la forma). Tale zona raccoglie tutta la vascolatura che irrora gli starti interni della retina e le fibre nervose. Gli assoni delle cellule gangliari dopo aver attraversato la retina , entrano nel nervo ottico a livello del disco ottico (anche detto papilla ottica). Di norma il disco ottico presenta una lieve depressione centrale e qualunque variazione dell’aspetto di quest’ultima può rivestire notevole significato clinico: ad esempio , la depressione può essere aumentata a causa della perdita di assoni delle cellule gangliari o può protrudere nello spazio vitreo insieme con tutto il disco ottico, a causa di un edema (edema papillare) dovuto ad un aumento della pressione intracranica. 1.1.6 La coroide La coroide è lo strato vascolare interposto tra retina e sclera. E’ una zona ampiamente vascolarizzata da vasi appartenenti alle arterie ciliari. 1.2 L’esame oftalmologico L’esame oftalmologico viene compiuto sulla visualizzazione del fundus oculare. L’oftalmoscopia del fondo dell’occhio serve in diagnostica non solo a determinare eventuali affezzioni dell’occhio, ma anche e soprattutto a stabilire la diagnosi precoce in materia di diabete, sifilide, leucemia, nefrite, tumori cerebrali e altre malattie, cioè in base ai rapporti anatomico-funzionali intercorrenti tra occhio e tutti gli altri organi del corpo umano. Questo tipo di esame si esegue con vari apparecchi, il piú semplice dei quali è l’oftlmoscopio elettrico, che può essere anche di dimensioni tascabili. 22 Il fundus oculare Questo apparecchio, impugnato dall’osservatore e portato sull’occhio del paziente, emette un fascio di luce che, entrando nell’occhio attraverso la pupilla, raggiunge la retina illuminando tutto il fondo oculare. L’apparecchio permette di osservare un’area della superficie retinica comprendente la papilla ottica con le arteriole e le venule di maggior calibro ed i territori circostanti, il polo posteriore con l’area centrale ( la "macula" nel linguaggio corrente degli oculisti). L’ingrandimento delle immagini è di circa 15 volte. 1.3 Pricipali lesioni della retina Vengono qui di seguito descritte le principali lesioni della retina per le quali risulti importante l’identificazione del disco ottico o che al contrario, se presenti, comportino una difficoltà nella determinazione del disco, che ricordiamo può essere considerato un buon punto di partenza per una descrizione piú dettagliata dell’intero fundus oculare. Il restringimento arteriolare generalizzato (Generalized Arteriolar Narrowing - GAN): La prima risposta all’aumento della pressione endoluminale è rappresentata dalla contrazione della parete muscolare delle arteriole retiniche. Questo produce una diminuzione generale del calibro delle arterie, visibile sia sull’arteria centrale della retina, che lungo le sue diramazioni. Nelle prime fasi della retinopatia questo restringimento può essere reversibile. Il restringimento viene valutato attraverso una modificazione del rapporto fra il calibro delle arterie e quello delle vene (normalmente pari a 2/3). I noduli cotonosi: hanno un aspetto fioccoso e biancastro, a bordi irregolari sfumati. Nella retinopatia ipertensiva di solito sono riscontrabili al polo posteriore e lungo le principali arcate vascolari. Sono lesioni che possono presentarsi anche in presenza di altre patologie, prima fra tutte il diabete. Senza entrare nel dettaglio, sono dovuti a sbalzi pressori che portano a blocchi del flusso assoplasmatico nelle fibre nervose superficiali della retina. Emorragie ed Essudati: La compromissione della barriera emato-retinica determina una diffusione di liquido plasmatico sul tessuto retinico. La persistenza di un’abnorme quantità di fluidi di origine plasmatica può avere come conseguenza la precipitazione di proteine e lipidi che sono i componenti principali degli essudati duri. 1.4 L’importanza dell’identificazione del disco ottico 23 Microaneurismi e macroaneurismi: I microaneurismi rappresentano una lesione specifica della rete capillare retinica. Possono disporsi ai margini di noduli cotonosi o in qualche altra parte della retina. La loro evoluzione è varia. Sono ben evidenziati con la fluoroangiografia retinica. I macroaneurismi, a differenza dei microaneurismi, sono caratteristici di una ipertensione di lunga durata in soggetti anziani. Si presentano come dilatazioni sacculari in corrispondenza di arteriole dei primi tre ordini di ramificazione, a volte isolate, raramente numerose. L’edema papillare: è un aspetto caratteristico della cosiddetta ipertensione arteriosa maligna. Il disco ottico appare rigonfio, soprattutto dal lato nasale e circondato da microaneurismi, emorragie a fiamma. I danni prodotti dall’ipertensione arteriosa sono dunque dipendenti dal livello della pressione sanguigna e dalla durata dello stato ipertensivo. 1.4 L’importanza dell’identificazione del disco ottico Accenneremo velocemente all’importanza che ha l’identificazione del disco ottico su immagini retiniche. Misura di riferimento: La vena uscente dal disco ottico è presa come riferimento per le misure su immagini retiniche in quanto si assume che anatomicamente sia praticamente costante. Per determinare in modo automatico questa vena è necessario determinare in modo automatico la posizione del disco. Quest’ultima osservazione sarà chiarita meglio piú avanti durante la trattazione del modello matematico. Lo studio del ristringimento arteriolare generalizzato: (Generalized Arteriolar Narrowing - GAN). Prevede l’analisi di vene e arterie in una corona circolare attorno al disco ottico. La composizione dei calibri di arterie e vene in questa corona permette di stimare il CRAE (central retinal artery equivalent) e CRVE (central retinal vein equivalent), corrispondenti a stime del calibro della arteria e vene centrali rispettivamente. Il rapporto tra questi determina il livello di restringimento. Mappatura retinica: Il posizionamento del disco ottico è un primo passo verso la completa mappatura delle zone della retina, al fine di determinarne i livelli di criticità per zone patologiche. Difatti la posizione del disco ottico consente di 24 Il fundus oculare determinare in prima approssimazione la zona maculare, sulla quale la presenza di zone patologiche determina situazioni di particolare rischio per la capacità visiva. Studio del glaucoma: Lo studio del glaucoma prevede un’analisi della forma del disco ottico. Appare dunque evidente come tale indagine richieda preliminar mente l’identificazione approssimativa del centro del disco. La registrazione di immagini: La registrazione di immagini della retina può essere in prima approssimazione ottenuta tramite la determinazione automatica della posizione del disco ottico. Infatti per poter confrontare la differenza tra due diverse immagini retiniche (ad esmpio ottenute a visite successive) è necessario avere un punto a cui riferirsi in entrambe, e qui entra nuovamente in gioco la posizione del disco che è ottimo candidato ad essere tale riferimento. Errata identificazione delle patologie: Poichè la zona del disco ottico potrebbe apparire ad un sistema automatico di analisi di immagini retiniche come una zona di elevata irregolarità cromatica e luminosa, e potrebbe essere classificata come zona patologica ( in alcune situazioni di riflettività il disco ottico può essere confuso per un Nodulo Cotonoso (cotton wool spot) è necessario determinare, sulla base della convergenza dei vasi, la collocazione del disco ottico per poterlo escludere da ogni estrazione di aree patologiche. Capitolo 2 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica Considerazioni morfologiche dell’occhio umano e soprattutto considerazioni sulla prospettiva di visione di un oftalmoscopio ci hanno suggerito la formulazione di un originale modello matematico. Tale modello, definito su tutto il piano x y , restituisce la stima della tangente a un vaso alle coordinate x y . Tale direzione, fornita dal modello, viene successivamente confrontata con la direzione misurata, estratta da un algoritmo che associa ad ogni punto appartenente a un vaso la relativa direzione. A questo punto il problema di partenza si traduce in un problema di minimizzazione di una funzione costo, ottenuta come somma delle differenze tra modello matematico e direzioni estratte (residui). 2.1 Tecniche di determinazione del disco ottico Alcune tecniche utilizzate si basano su legami tra proprietà cromatiche o morfologiche direttamente riferite al disco ottico. Si usano cioè caratteristiche proprie del disco quali colore, luminosità, forma in modo diretto o attraverso la valutazione di differenze di tali parametri rispetto al resto dell’immagine. Questo modo di afforntare il problema, sulla base della letteratura consultata [31, 33, 45, 47], non è da ritenersi quello a massima resa. Gli algoritmi di ricerca automatica basati su tali strategie risolvono il problema solo con una bassa percentuale di successo (inferiore al 63%). Patologie della retina (alcuni esempi in fig.2.1) possono mutare forma e colore del disco ottico e dunque non permettono di applicare su tali caratteristiche un’indagine discriminatoria. Altresí risulta complicata una forma di confronto tra metodologie diverse. Il confronto tra 26 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica Figura 2.1: alcune problematiche legate all’uso delle sole caratteristiche morfologiche e cromatiche del disco ottico tecniche diverse si potrebbe ritenere valido solo se applicato sullo stesso data set di immagini. Considerata dunque la bassa percentuale di successi legata a tali strategie e la necessità di poter ottenere un confronto valido abbiamo deciso di usare una seconda tipologia di indagine. 2.2 Stato dell’arte A questa seconda classe appartengono tutti quegli algoritmi che legano la posizione relativa del disco ottico a quella delle strutture vascolari visibili. A questa classe appartiene il lavoro svolto dal gruppo di ricerca denominato STARE (Structured Analysis of the Retina [23]). Lo STARE è in realtà un ben piú ampio progetto e si pone come obiettivo non solo la localizzazione del disco ottico ma anche la piú completa raccol- 2.3 Disposizione spaziale delle strutture vascolari 27 ta di informazioni relative ad immagini del fundus oculare. Senza addentrarci troppo nella metodologia usata (la documentazione è scaricabile dall’indirizzo web del gruppo STARE) possiamo dire che l’algoritmo utilizzato dallo STARE è basato sull’applicazione di segmenti fuzzy [25, 22] sullo scheletro vascolare ed è da ritenersi il miglior tentativo di automatizzare la ricerca della posizione del disco ottico. Come accennato sopra, sarebbe opportuno disporre di uno stesso data set di immagini retiniche su cui valutare i risultati di diversi sistemi e poterli mettere in competizione. Anche per questa seconda ragione abbiamo deciso di usare il database di imamgini retiniche originali (e dell’estrazione vascolare) messoci gentilmente a disposizione direttamente dal gruppo dello STARE. Esso comprende in totale 81 immagini retiniche piú altre 81 ottenute dall’applicazione dell’algoritmo di tracking vascolare, sempre realizzato dello STARE, per l’estrazione delle strutture vascolari, rappresentate come immagine binaria (b/n) della stessa dimensione dell’originale. Pur potendo contare su un algoritmo di Vessels Tracking messo a punto all’Università di Padova[14], abbiamo condotto l’indagine su quelle pre-elaborate dallo STARE. Le immagini, tutte in formato ppm, con campo di vista di 35 e dimensione di 700x605 punti sono disponibili all’indirizzzo internet http://www.clemson.edu/stare/ e rappresentano un buon data set di immagini retiniche, differenziato per posizioni del disco, qualità dell’immagine, variabilità cromatica e visibilità piú o meno netta del disco e dei vasi. Il data set contiene 30 immagini retiniche di soggetti normali e 51 di soggetti patologici, con diverse lesioni, quali: tortuosità dei vasi o della vascolarizzazione corioidea, emorragie che oscurano completamente la zona del nervo ottico. In questo data set la percentuale di successo del metodo usato dallo STARE raggiunge il brillante risultato di 89% di decisioni corrette. 2.3 Disposizione spaziale delle strutture vascolari Dall’analisi di un’immagine retinica, si può notare come la maggior parte delle strutture vascolari presenti abbiano un andamento che può essere approssimato con due parabole contrapposte, con i rispettivi vertici coincidenti esattamente all’interno del disco ottico. Il perché di tale orientamento lo si può ricercare da osservazioni di natura anatomicogeometrica. La vascolatura visibile sulla superficie della retina è quella che, arrivando dal punto in cui il nervo ottico affiora, si dirama avvolgendo il globo. Essendo la parete retinica di forma sferica e immaginando uno sviluppo a raggiera dei vasi è logico attendersi che la prioezione di tali vasi sul piano bidimensionele (quello che per intendersi 28 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica 550 500 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 100 200 300 400 500 600 700 Figura 2.2: luogo Γ vede l’oftalmoscopio) siano rappresentati approssimativamente da parabole. Essendo il disco ottico il punto di partenza dei vasi, si ha che le parabole hanno i vertici contenuti all’interno del disco ottico1 . Sulla base di queste osservazioni, si assume che le maggiori strutture vascolari visibili in un’immagine retinica si sviluppino lungo il luogo geometrico parabolico Γ (fig.2.2) individuato da: Γ x y : ay2 x (2.1) e che il disco ottico sia il punto in cui i vertici delle parabole coincidano. Il valore del parametro a indica l’apertura delle parabole che compongono il luogo Γ. Per determinare la posizione del disco ottico è necessario trovare il luogo Γ (fig.2.3) che meglio descrive il comportamento delle strutture vascolari. 2.4 La funzione modello Si definisce, quindi, una funzione che, partendo dalle coordinate cartesiane x y di ogni punto appartenente alla struttura vascolare visualizzata, fornisca la direzione del 1 Quello che in realtà si cercherà di localizzare è il punto di partenza delle diramazioni del nervo ottico sulle pareti della retina, dunque non il centro geometrico esatto del disco. Non sempre, infatti, il centro del disco ottico coincide con il punto di diramazione. 2.4 La funzione modello 29 Figura 2.3: luogo Γ sovrapposto all’immagine originale vaso in quel punto. Avendo ipotizzato che le maggiori strutture vascolari assumano un andamento parabolico del tipo descritto dalla (2.1), si impone che i punti dei vasi appartenenti al luogo Γ abbiano una direzione tangente al luogo stesso. In altre parole nei punti delle strutture vascolari x y Γ il modello deve esprimere una direzione che abbia la tangente data dall’equazione: 1 t sgn y sgn x 2a x (2.2) a cioè della derivata della curva che descrive Γ. Volendo ora parametrizzare il luogo sopra descritto rispetto alle coordinate del centro del disco ottico xod yod , si possono definire le nuove coordinate x e y come: x x xod y y yod (2.3) con le quali si possono riscrivere la (2.1) e (2.2). Ovviamente non tutti i punti delle strutture vascolari visualizzate nell’immagine 30 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica 450 400 350 300 250 200 150 200 250 300 350 400 450 500 550 Figura 2.4: luogo Γ e direzioni fornite dal modello per i punti che non vi appartengono retinica appartengono al luogo Γ. Per fare in modo che il modello tenga conto del contributo di questi punti, si è scelto di associare per ogni x y Γ una direzione modulata dalla distanza del punto dalla curva parabolica piú vicina (fig.2.6). Si è definita, quindi, la funzione modulatrice: d x y a c x y sgn y c x x a (2.4) Al denominatore compare la funzione c x c x c1 c2 1 e x 1 ex (2.5) con c1 0 e c2 0 il cui andamento è rappresentato in figura 2.5. La scelta di utilizzare questa funzione si basa sulla considerazione che è una funzione continua e che assume rapidamente i valori di c1 o c2 rispettivamente per x 0 o x 0. Il valore che questa funzione assume modula il modello per i punti che non appartengono a Γ. Maggiore è il suo valore minore sarà il peso del numeratore della funzione d x y a c x nell’equazione complessiva del modello. Il numeratore di questa funzione tiene conto della distanza che intercorre tra il punto x y del vaso e il punto con medesima ascissa x , che appartiene al luogo Γ. Il termine sgn y che compare al numeratore è stato introdotto per correggere il com- 2.4 La funzione modello 31 10 8 6 4 2 0 −2 −4 −4 −3 −2 −1 0 1 2 3 4 Figura 2.5: funzione c con c1 10, c2 3 portamento errato che si avrebbe avuto per y yod . Infatti senza tale accorgimento l’espressione: x a y d x y a c x c x (2.6) non avrebbe indicato la distanza geometrica tra i due punti, ma la somma tra il valore dell’ordinata y e l’ordinata della curva parabolica piú vicina. Sulla base di quanto esposto finora, una possibile espressione per la funzione del modello che esprime la direzione è: θm arctan ! sgn x sgn y 1 2a x a d x y a c x #"$ (2.7) funzione che dipende dai parametri xod yod a e dalla funzione c x . Come si può vedere dalla (2.7) e dalle fig.2.6 e 2.8, il contributo della distanza al valore di θm è nullo per i punti x y appartenenti a Γ (quindi θm indica la direzione della tangente al luogo Γ), mentre è diverso da zero per i punti al di fuori del luogo gamma (la direzione trovata non è piú parallela alla tangente a Γ). A parità di valore di c x , più ci si allontana da Γ più il contributo della funzione d implica un valore di θ m prossimo alla verticale. 32 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica d2 |d2| > |d1| > d0=0 d1 d2 d1 d0=0 d3 d4 d5 d3 |d5| > | |d4| > |d3| > d0=0 d4 d5 Figura 2.6: contributo della funzione d nei punti con medesima ascissa La funzione (2.7), quindi, sulla base delle ipotesi fatte, partendo dalle coordinate spaziali dei punti delle principali strutture vascolari fornisce la direzione del vaso calcolata attraverso il nostro modello matematico. 2.5 Analisi dei parametri del modello In questo paragrafo vengono descritti i parametri che compaiono nel modello e la loro influenza. 2.5.1 I parametri xod e yod Sono le coordinate dei vertici coincidenti delle due parabole del luogo Γ. Il valore assunto da questi due parametri al termine del processo di minimizzazione fornirà l’indicazione sulla posizione del disco ottico. 2.5.2 Parametro a Il valore del parametro a, come si può osservare nella 2.1, determina l’apertura dalle parabole del luogo Γ. Come si può vedere in fig.2.2, ad un punto viene associata una 2.5 Analisi dei parametri del modello 33 500 450 450 400 400 350 350 300 300 250 250 200 200 150 150 150 200 250 300 350 400 a) a 0 007 450 500 150 200 250 300 350 400 450 500 b) a 0 003 Figura 2.7: funzione modello al variare del parametro a direzione tangente alla parabola se questo giace su di essa, mentre tende a una direzione perpendicolare all’asse delle ascisse mano a mano che ci si allontana dal luogo geometrico Γ. Si nota, confrontando la fig.2.7 a e b che in un medesimo punto la direzione cambia al variare di a. Inoltre si verifica che il valore di tale parametro, a parità di angolo di scansione dell’oftalmoscopio, indica il fattore di zoom dell’immagine. Infatti, se la distanza tra l’occhio e lo strumento di acquisizione è bassa, il luogo geometrico dei vasi apparirà come una parabola con ampiezza maggiore. Viceversa se la distanza di acquisizione è maggiore il luogo Γ assumerà un andamento piú schiacciato. Determinate il valore di a può risultare utile, ad esempio, nel confronto tra due immagini acquisite sullo stesso paziente per avere una stima della diversa distanza di acquisizione. 2.5.3 La funzione c % x &(' Le strutture vascolari visualizzate in un’immagine retinica hanno un’andamento differente a seconda che si tratti dei vasi che scorrono nella zona nasale del bulbo oculare oppure nella zona laterale. Infatti, come si può notare anche dalla fig.2.8, i vasi nella zona nasale presentano un’andamento radiale rispetto a quelli della zona laterale che hanno un andamento piú incurvato.Per tener conto di tale fenomeno è stata introdotta nella funzione d la funzione c che ha il compito di modulare la direzione del modello per quei punti che non appartengono a Γ. Come si può osservare dalla definizione di tale funzione e dall’andamento rappresentato in fig.2.5 la funzione assume valori che 34 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica tendono rispettivamente a c1 e c2 per valori di x 0 e x 0. Infatti per x y Γ il numeratore di 2.4 si annulla e quindi (2.4) dà contributo nullo al valore di θ m espresso dalla 2.7 per qualsiasi valore assunto da c x . L’andamento del modello in questi punti avrà sempre direzione tangente al luogo Γ (fig.2.2). Figura 2.8: modello fittato alla im0018 del dat set Invece, per punti che non appartengono a Γ il numeratore di (2.4) assume un valore diverso da zero e quindi assume rilevanza il valore di c x . Nella fig.2.9a,b,c,d si osserva come diversi valori delle costanti c1 ) c2 fanno si che il comportamento del modello sia differente, ad un punto con medesime coordinate viene associata una direzione diversa. Nella fig.2.9 si nota come differenti valori nei moduli delle costanti determinino una maggiore o minore influenza della funzione d sull’andamento del modello, rispettivamente a sinistra e a destra del vertice delle parabole). Come si vede in fig.2.8 nella zona nasale le direzioni vascolari risultano più radiali rispetto alla zona temporale in cui i vasi hanno forma più incurvata. Sulla base di queste osservazioni si può notare che il valore assunto dalle due costanti al termine del processo di iden- 2.5 Analisi dei parametri del modello 35 tificazione del disco ottico è in grado di fornire anche l’indicazione di quale occhio si è analizzato. Infatti la costante che presenta modulo maggiore corrisponde alla zona nasale dell’occhio e una volta nota la posizione della zona nasale si conosce anche quale occhio si sta analizzando. 450 450 400 400 350 350 300 300 250 250 200 200 150 150 200 250 300 350 400 450 500 550 150 200 250 a) c1 * c2 5 350 400 450 500 b) c1 c2 20 450 450 400 400 350 350 300 300 250 250 200 200 150 150 300 150 200 250 300 350 400 c) c1 c2 200 450 500 200 250 300 350 400 d) c1 c2 400 Figura 2.9: modello al variare di c1 c2 450 500 550 36 Un modello geometrico della struttura vascolare retinica 450 400 350 300 250 200 150 150 200 250 300 350 Figura 2.10: modello con c1 400 c2 ; c1 450 500 400 ; c2 + 40 Capitolo 3 Aspetti applicativi e comportamento del modello La funzione modello definita nel capitolo precedente fornisce una descrizione geometrica delle direzioni delle principali strutture vascolari in un’immagine retinica. Per determinare la posizione del disco ottico si devono determinare i valori dei parametri del modello che permettono di minimizzare la somma quadratica delle differenze (residui) tra i dati del modello θmi e i dati disponibili sperimentalmente. Si è provveduto ad analizzare analiticamente il comportamento dei residui per verificare effettivamente presentino un minimo. Dopo aver brevemente descritto i dati sperimentali utilizzati e il modo in cui essi sono stati ricavati, nei successivi paragrafi si analizza il comportamento dei residui al variare dei singoli parametri del modello. Una volta determinato il minimo dei residui , i valori dei parametri xod yod forniscono le indicazioni per l’identificazione della posizione del disco ottico. 3.1 I dati sperimentali dello STARE Lo STARE ci ha fornito per ogni immagine retinica ben 10 realizzazioni del loro algoritmo per l’estrazione delle strutture vascolari (fig.3.1). Ogni realizzazione si differenzia da un’altra per la sensibilità dimostrata nel rintracciare anche i vasi piú piccoli. Con il livello 9 (immagini identificate con prefisso im#-vessels9 nel data set dello STARE) si ha la massima estrazione in numero di punti ed anche la conseguente interpretazione di rumore (macchie o microemorragie) come piccoli vasi, oltre alla possibile fusione di strutture vascolari in un’unica zona chiara (visibile nel passaggio tra la soglia 6 e la 7, in alto a destra per l’immagine im0018). Con il livello 0 si ha il minimo numero di 38 Aspetti applicativi e comportamento del modello dati disponibili per ogni singola immagine. Lo STARE, nel proprio sito, indica come risultato ottimale quello ottenuto sulle strutture vascolari estratte con livello di soglia pari a 4. Sono state dunque le im#-vessels4.ppm ad essere state usate per valutare anche il nostro lavoro. vessels0 vessels1 vessels2 vessels3 vessels4 vessels5 vessels6 vessels7 vessels8 0 100 200 300 400 500 600 vessels9 im0018 0 100 200 300 400 500 Sparse Tracking Figura 3.1: i 10 livelli di estrazione dei vasi 600 700 3.1 I dati sperimentali dello STARE 39 campioni considerati − NB dir asse y verso il basso a) estrazione vessels4 b) operazione di thin Figura 3.2: immagine pre-elaborata im003-vessels4 del data set dello STARE (in blu i punti scelti) Pur disponendo di un algoritmo per il tracciamento dei vasi (Sparse Tracking, messo a punto in un precedente lavoro di tesi), necessario all’estrazione delle direzioni dei vasi dalle immagini originali, abbiamo preferito condurre le prime indagini ponendoci in condizione di poter confrontare i nostri risultati con quelli raggiunti dallo STARE. I dati sperimentali utilizzati nel presente lavoro provengono direttamente dalle immagini originali dello STARE, pre-elaborate dal loro algoritmo di estrazione dei vasi. Partendo da tale pre-elaborazione (fig.3.2a), abbiamo estratto le direzioni dei vasi su un numero fisso di 300 punti (numero uguale per tutte 81 le immagini a disposizione). Si è proceduto ad un preventivo assottigliamento (operazione di thin, fig.3.2b) dell’immagine binaria. Su questa immagine assottigliata si è proceduto alla successiva identificazione delle direzioni dei vasi nei soli punti interessati all’indagine, quelli che costituiranno i dati sperimentali. Definita, intorno di ogni punto considerato, una regione di forma quadrata di lato 20 pixel (fig.3.3) si è proceduto all’identificazione della direzione del vaso utilizzando i soli pixel appartenenti a tale area (ROI). Questa tecnica fornisce le coordinate del punto appartenente ad un vaso, la relativa direzione ed un peso legato al calibro del vaso, sulla base dell’occupazione percentuale del vaso stesso rapportato all’intera superficie della ROI. In forma vettoriale tutti i dati 40 Aspetti applicativi e comportamento del modello sperimentali possono essere riassunti come , , x y θ cl- x y θ cl (3.1) , , x1 x2 /.../ xn -10 y, 1 y2 /.../ yn - 0 (3.2) θ1 θ2 ...2 θn - 0 cl1 cl2 ...# cln - 0 con cli il peso relativo di ogni porzione di vaso estratto. Indicando con s i il numero di pixel appartenenti alla porzione di vaso interno alla ROI e con sROI il numero totale di pixel definiamo cli si (3.3) sROI Il peso relativo, assegnato attraverso la definizione della ROI da 20x20 pixel, sulle immagini dello STARE è limitato al valore 1 (100% di ROI occupata dalla porzione di vaso) e dunque è un processo a saturazione. Questo modo di pesare il calibro dei vasi andrebbe preso in considerazione soprattutto se si prevede di lavorare su immagini patologiche. L’interpretazione errata di zone patologiche a vasta copertura, viste come vasi ed associate ad algoritmi privi di saturazione possono ingenerare grossi errori nella determinazione del disco ottico. Pochi punti appartenenti a zone patologiche, con direzioni dunque prive di senso, con diametro associato molto maggiore della media dei diamertri dei vasi, potrebbero infatti falsare l’adattamento del modello. x y θi (x i, yi ) xi yi θ i clri Figura 3.3: definizione della ROI attorno a xi yi 3.2 I dati sperimentali dello Sparse Tracking 41 Figura 3.4: direzioni estratte sovrapposte all’immagine originale e all’immagine binaria pre-elaborata 3.2 I dati sperimentali dello Sparse Tracking Il lavoro operato dallo Sparse Tracking è molto piú “raffinato” nella definizione del calibro del vaso. Definto il baricentro, di ogni singolo tratto di vaso, ne calcola il diametro, espresso in punti, contandone il numero presente sulla direzione ortogonale alla tangente (fig.3.5). Successivamente realizza un filtraggio numerico sui diametri Figura 3.5: tratto di vaso e dati associati estratti per non incorrere in sovrastime eccessive nei punti di diramazione delle strutture vascolari. Formalmente possiamo indicare l’insieme dei dati ottenuti alla fine del tracciamento con le N 4-ple xk yk θk dk k 1 ../.# N (3.4) 42 Aspetti applicativi e comportamento del modello dove N indica il numero totale di vasi estratti mentre i 4 vettori si riferiscono rispettivamente alle ascisse, ordinate, direzioni e diametri di ogni baricentro; per il segmento k-esimo avremo quindi: , , xk , x1 x2 ./../ x pk - 0 , y1 3 y2 ...# y pk -10 yk θk dk θ1 θ2 ...# θ pk - 0 d1 d2 ...# d pk - 0 (3.5) con pk numero totale dei baricentri identificati per il vaso k-esimo. In questa situazione definiamo con cli il calibro relativo ad ogni baricentro identificato (3.6) cli di n ∑i 4 1 d i (3.6) Con n indichiamo sempre il numero totale di punti estratti dall’immagine. Per avere, quanto piú possibile, una valutazione oggettiva sul risultato della localizzazione, il numero di dati sperimentali provenienti dai due sistemi di estrazione vascolare (STARE o Sparse Tracking) dovranno coincidere, confrontando la 3.1 con le 3.4 e 3.5 n N ∑ pk (3.7) k Alla fine quindi che si utilizzi l’uno o l’latro sistema i dati su cui abbiamo adattato il modello possono esprimersi nella comune rappresentazione vettoriale (3.8 e 3.9) , , x y θ clr - x y θ cl (3.8) , , x1 x2 /.../ xn - 0 y, 1 y2 /.../ yn - 0 θ1 θ2 ...2 θn - 0 (3.9) cl1 cl2 ...# cln - 0 dove n in accordo con la 3.7 rappresenta il numero totale di punti presi in esame per ogni singola immagine. In fig.3.6 è possibile confrontare lo stesso numero (n=600) di campioni estratti con i due sistemi sulla medesima immagine. 3.3 Residui 43 −100 0 0 100 100 200 200 300 300 400 400 500 600 500 0 100 200 300 400 500 600 700 600 0 100 a) estratte dallo STARE 200 300 400 500 600 b) estratte con Sparse Tracking Figura 3.6: confronto tra 600 punti estratti dai due sistemi (immagine: im0018 del data set - punti e direzioni calcolate) 3.3 Residui Come già accennato per determinare quali sono i valori dei parametri che permettono al modello di rappresentare nel modo migliore l’andamento delle strutture vascolari, si deve calcolare 5 xi yi la (2.7) θmi arctan ! sgn xi sgn yi 1 2a xi d xi yi a c xi /#"$ (3.10) a dove xi xi xod yi yi yod (3.11) e successivamente confrontare il suo valore con quello di θi attraverso la somma dei residui quadratici (funzione costo) definita come res n ∑ i4 1 θi θmi 2 cli (3.12) dove, in accordo con la (3.3) o (3.6), con cli indichiamo un peso associato al calibro del vaso nel punto di coordinate xi yi . Quanto piú il valore di res sarà basso, tanto piú il fit del modello sarà buono. Si vuole sottolineare che il modello approssima tanto meglio i dati sperimentali quanto 700 44 Aspetti applicativi e comportamento del modello piú le direzioni (e non le direzioni e verso), individuate da θmi e θi , sono parallele. |(α−β)−π | α−β α β+π α β β a) (α β π 2 b) α β Figura 3.7: differenze angolari: a) ∆ α β 6 π 2 α β , b) ∆ α β 7 α β π 8 In base a ciò, per il calcolo della θi θm , che compare nella 3.10, si è stata utilizzata la funzione ∆ α β definita da 9: ∆ α β ; :< ∆ β α se α β = π 8 se α β π 2 α β α β 3π 2 , altrimenti la funzione non è stata definita per α β 3π π π - e θm 2 perché θi quindi la loro differenza non può mai essere maggiore di 3π 2 (fig.3.8). θ mi θi Figura 3.8: insiemi di definizione per θi e θmi , (3.13) π2 π2 - 3.4 Analisi del comportamento dei residui 45 Inoltre assumendo la funzione ∆ α β valori sempre positivi, si può sostituire, per la ricerca del valore minimo, la (3.12) con la 3.14 n ∑ ∆ θi θmi clri res i4 1 (3.14) In ultimo il processo di identificazione si trasformerà in un problema di ricerca del minimo della funzione costo data appunto dalla 3.14, dunque: min res > xod 3 yod 3 a 3 c1 3 c2 ? (3.15) 3.4 Analisi del comportamento dei residui Riportiamo brevemente l’analisi condotta sul comportamento dei residui e della funzione modello. Per poterne garantire l’uso in un processo automatico bisogna verificare la non divergenza della funzione residui al variare dei 5 parametri che compongono il mdello. L’analisi è stata condotta nell’unico modo possibile, attraverso il blocco forzato di alcuni dei 5 parametri e valutando lo studio sui restanti. 3.4.1 Parametri xod @ yod Bloccando a c1 c2 (assegnando valori appropriati per l’immagine oggetto di analisi) si è osservato l’andamento dei residui al variare di xod e yod su una griglia equispaziata sovrapposta all’immagine. 950 1000 950 900 900 850 850 800 750 700 800 650 600 800 750 800 600 600 400 400 200 700 200 0 0 Figura 3.9: funzione residui al variare delle sole componenti xod e yod . Una rappresentazione grafica dei valori assunti dalla funzione residui e visibile in 46 Aspetti applicativi e comportamento del modello fig.3.9. Difficile risulta capire l’andamento del minimo di tale funzione. Quella rappresentata è infatti una realizzazione della funzione residuo valutata su una griglia, che per quanto fitta, non mette in luce la sua vera natura oscillatoria. 3.4.2 Parametro a Per valutare l’andamento dei residui al variare del parametro a (apertura delle parabole) si sono bloccati xod yod c1 c2 . Anche per questo parametro si è potuto osservare che la funzione residuo sviluppa un minimo assoluto (fig.3.10). 1 0.95 0.9 residues value 0.85 0.8 0.75 0.7 0.65 0.6 0.55 0.5 0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 a value 0.06 0.07 0.08 0.09 0.1 Figura 3.10: funzione residui al variare del parametro a 0. 3.4.3 Parametri c1 e c2 L’ultima verifica, condotta su c1 e c2 , si è svolta come per le precedenti bloccando i restanti parametri xod yod a (sempre scelti manualmente osservando l’immagine retinica) e muovendo c1 e c2 su una griglia (fig.3.11 a). Anche in questo caso abbiamo ritrovato conferma della validità del modello. Non potendo in questo caso verificare l’esattezza numerica dei valori associati ai parametri c1 e c2 ci si è limitati a verificarne l’attendibilità sulla base di considerazioni visive. Come ci si attendeva i valori diversi dei due parametri rispecchiano le direzioni piú o meno radiali dei vasi a sinistra o a destra dell’ascissa del centro del disco ottico. Inoltre vi è la presenza di un minimo assoluto della funzione residui (fig.3.11 b). Questi parametri mettono in evidenza una meno marcata predisposizione ad essere usati come indicatori della posizione di minimo assoluto della funzione residui. A differenza degli altri parametri del modello, infatti, 3.4 Analisi del comportamento dei residui 47 0 100 200 300 c 2 400 500 600 700 800 900 c2 1000 c1 a) andamento dei residui 0 100 200 300 400 500 c1 600 700 800 900 1000 b) (*) valore di minimo Figura 3.11: andamento dei residui al variare di c1 e c2 . sono ben visibili ampie zone di plateau della funzione residui nell’intorno del punto di minimo e dunque un minor potere discriminante se paragonato a quello dei parametri xod yod a. Non per questo, però, possono essere trascurati dalla determinazione del miglio rfit tra modello e dati. 48 Aspetti applicativi e comportamento del modello Capitolo 4 La stima parametrica mediante Simulated Annealing Il modello matematico introdotto per lo studio delle strutture vascolari, esaminato in dettaglio in [2.4] viene qui analizzato dal punto di vista della difficoltà computazionale di rendere automatico il processo di minimizzazione dei residui. Gli algoritmi di ricerca del minimo della funzione costo possono essere classificati in tre classi: 1. tecniche enumerative; 2. tecniche numeriche; 3. tecniche probabilistiche o evolutive. Le tecniche enumerative ricercano la soluzione ottima in tutti i punti del dominio, eventualmente discretizzato, della funzione. Semplificazioni possono derivare dalla riduzione del problema in sottoproblemi piú semplici. La programmazione dinamica è una di queste tecniche. Le tecniche numeriche usano un insieme di condizioni necessarie e sufficienti che devono essere soddisfatte dalla soluzione del problema di ottimizzazione. Queste si possono classificare in dirette e indirette. I metodi indiretti ricercano il minimo di una funzione risolvendo un insieme di funzioni non lineari e ricercando iterativamente la soluzione finchè il gradiente della funzione costo è nullo. I metodi diretti fanno in modo che sia il gradiente a guidare la ricerca della soluzione. Le tecniche probabilistiche si basano su tecniche enumerative, ma usano informazioni addizionali per effettuare la ricerca e possono essere viste come processi evolutivi. 50 La stima parametrica mediante Simulated Annealing Per affrontare il problema di minimizzazione della funzione costo abbiamo deciso di affidarci a quest’ultima classe di algoritmi, non basati dunque su gradienti ma su un algoritmo a discesa basato su movimenti stocastici delle varibili, per poter raggiungere il minimo assoluto della funzione costo cercando di non restare bloccato in minimi locali. 4.1 Tecniche evolutive Il problema di molti algoritmi per la ricerca di minimi, come quelli del gradiente è che funzionano correttamente solo se è presente un solo minimo, altrimenti sovente si può cadere in un minimo locale della funzione anzichè nel minimo assoluto. Sono stati cosí sviluppati una serie di algoritmi basati su concetti probabilistici che ovviano al fatto che il determinismo in questi casi non è la procedura che fornisce i migliori risultati . Questa classe di algoritmi è sovente utilizzata sia per l’ottimizzazione di circuiti e sistemi elettronici, ma ancor piú spesso, nei sistemi CAD di progettazione. Due di questi, particolarmente utilizzati in molti campi sono l’algoritmo di Simulated Annealing (nelle sue numerose varianti) che usa un processo evolutivo termodinamico e gli algoritmi genetici che sfruttano tecniche evolutive biologiche. Noi, per il nostro lavoro, faremo uso del Simulated Annealing (SA), che tra gli algoritmi probabilistici è uno di quelli che dà migliori risultati. 4.2 Simulated Annealing Nella fisica della materia condensata il procedimento di annealing è il processo utile a raggiungere lo stato di energia minima di un solido in un bagno termico. In generale tale processo consiste in due passi 1. - innalzare la temperatura del bagno termico fino al valore massimo per il quale il solido fonde; 2. - diminuire gradualmente la temperatura del bagno termico fino a che gli atomi del metallo raggiungono lo stato (cristallino) di energia minima. Si pensi ad esempio al metodo usato per sistemare nella maniera migliore possibile delle arance in una cassetta.In questo caso agitare la cassetta, significa fornire energia ad ogni arancia, inizialmente in una posizione di equilibrio locale dovuta alle forze di 4.2 Simulated Annealing 51 attrito, per uscire da quella posizione e trovarne una nuova ad energia minore. Dal punto di vista fisico, le molecole di un liquido si muovono liberamente una rispetto all’altra. Raffreddando il liquido, la mobilità termica viene diminuita fino a quando gli atomi si organizzano in una struttura cristallina ordinata. Il fatto interessante (e sorprendente) è che per raffreddamenti "lenti" il materiale è capace di trovare la strada per il minimo di energia. Se il medesimo liquido è invece raffreddato rapidamente, il metallo fuso raggiunge uno stato poli-cristallino o uno stato amorfo con un valore maggiore di energia. In un certo senso, se il raffreddamento è sufficientemente lento gli atomi possono esplorare varie disposizioni locali e rimanere intrappolati nella configurazione con valore di energia minima. Il processo di annealing è stato introdotto anche in analisi numerica negli anni cinquanta da Metropolis e dai suoi collaboratori [48]. L’algoritmo introdotto da questi autori per simulare l’evoluzione di un solido in un bagno termico si basa sulla generazione di una sequenza di stati del solido stesso nel modo seguente. Dato uno stato corrente I a cui corrisponde l’energia Ei , lo stato seguente J è generato tramite una piccola perturbazione di I (per esempio spostando alcune molecole o atomi). L’energia del nuovo stato è E j , se la differenza E j Ei è minore o uguale a zero lo stato J è acettato come stato corrente. Se la differenza tra le energie è invece positiva, lo stato J è accettato con probabilità legata al valore assunto da > e Ei E j ?BA kT (4.1) dove T denota la temperatura del bagno termico e k è una costante fisica nota come costante di Boltzmann. Il nuovo stato è accettato solo se il valore assunto dalla (4.1) è maggiore di numero generato casualmente nell’intervallo [0,1]. > e Ei E j ?BA kT Random 0 1 (4.2) Il criterio di accettazione descritto in (4.2) è noto come criterio di Metropolis (esistono anche altre funzioni di probabilità). Abbiamo già detto che durante gli esperimenti si raggiunge lo stato di equilibrio a minima energia se la temperatura viene diminuita in modo sufficientemente lento. Nell’algoritmo di Metropolis questo effetto è ottenuto generando un "grande" numero di transizioni per una data temperatura. Il fatto di poter accettare con una certa probabilità un nuovo stato ad energia superiore rende possibile l’uscita da un punto di minimo locale della funzione costo. 52 La stima parametrica mediante Simulated Annealing f(x) Soluzione corrente X(i) Se la soluzione in X(i+1) è peggiore, può essere accettata con una certa probabilità dipendente dalla Temperatura Se la soluzione in x(i+1) è migliore è sempre accettata Minimo locale (o relativo) Minimo globale (o assoluto) Figura 4.1: criterio di accettazione degli stati Intorno al 1980 alcuni autori [20] hanno applicato le medesime idee per la soluzione di un problema di minimo.In particolare è stato applicato l’algoritmo di Metropolis per la ricerca del percorso ottimale per un circuito stampato. L’energia è sostituita da una funzione costo che si vuole minimizzare (per esempio la lunghezza di un percorso), mentre gli stati sono le soluzioni possibili del problema di minimo. Si introduce inoltre un parametro di controllo analogo alla temperatura del processo fisico di annelaing (in accordo col parallleo termodinamico continuerà a chiamarsi temperatura). Il valore di T al passo n viene scelto normalmente tale che: Tn αTn 1 (4.3) con α compreso tra 0 95 e 0 8. In questo modo la temperatura scenderà lentamente con il progredire delle iterazioni. La simulazione attuata dall’algoritmo parte a temperatura "alta". Questo fa sí che il valore dell’esponenziale descritto nella funzione di probabilità (4.1) assuma valori prossimi all’unità e di conseguenza che vengano accettati nuovi stati a costo maggiore. Con il progredire delle iterazioni, la temperatura si abbassa e di conseguenza la probabilità di accettazione di nuovi stati a costi superiori diminuisce, tali stati vengono cioè 4.3 Addestramento del SA 53 Initialization(Current_solution,Temperature) Calculation of the Current_Cost LOOP New_State Calculation of the New_Cost IF ∆ (New_Cost−Current_Cost)< 0 THEN Current_State=New_State ELSE Current_Cost−New_Cost IF Exp > Random(0,1) Temperature THEN −−Accept Current_State=New_State ELSE −−Reject Decrease the temperature ( ) EXIT When STOP_CRITERON END LOOP Figura 4.2: Implementazione algoritmica generale del Simulated Annealing rifiutati (fig.4.1). Uno schema del tutto generico del SA è riportato in fig.4.2. La parte stocastica del processo di ricerca del SA è rappresentato dal moto casuale impartito consecutivamente ad ogni parametro del modello. Ogni passo può essere rappresentato come la realizzazione di una funzione del , tipo passo parn 4 scala n DC randn- n 1 ... 5 (4.4) dove randn restituisce un numero pseudocasuale a media nulla e varianza e unitaria. In fig.4.3 è possibile osservare una realizzazione di cinquanta passi. 4.3 Addestramento del SA Il fallimento nella ricerca di minimo attraverso l’uso di algoritmi a gradiente non è da ritenersi sorprendente, vista la funzione costo con cui abbiamo a che fare (le fig.4.4 a e b raffigurano due angolazioni della stessa funzione residui plottata al variare di x od yod ). Per avere un’idea della difficoltà nella ricerca di minimo si osservi la fig.4.4e. Tale figura rappresenta una sezione della funzione residui (bloccando quattro parametri che compongono il modello y y 0 a a0 c1 c10 c2 c20 ). Si è rappresentata la funzione residuo al variare della sola componente x del mo- 54 La stima parametrica mediante Simulated Annealing 2.5 2 1.5 1 0.5 0 −0.5 −1 −1.5 −2 −2.5 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 Figura 4.3: funzione randn: realizzazione di moto casuale. dello tra 1 e 700 e con y=y’=279 pari all’ordinata del centro del disco (fig.4.4c). Sono ben visibili numerosi picchi, con molte oscillazioni che generano innumerevoli minimi locali. L’aver verificato la validità del modello per via manuale, affrontando una ricerca di tipo esaustivo (su griglie piú o meno fitte), non è garanzia di una facile ricerca del minimo assoluto della funzione costo. In fig.4.4f la stessa indagine questa volta a y y 0E0 100, mantenendo invariati i valori di a a0 c1 c10 c2 c20 . E’ possibile notare come la nuova sezione abbia assunto una configurazione del tutto diversa dalla precedente. E’ bene notare anche come il minimo assoluto di questa nuova funzione scalare (al variare dell’ascissa x tra 1 e 700) si sia spostato da una posizione molto vicina all’origine ad una molto piú vicina all’estremo superiore (non tragga in inganno la fig.4.4f in cui il minimo assoluto sembra indicare una posizione errata del centro del disco fornendo un minimo quasi all’estremo opposto dell’immagine; quello indicato è infatti di molto superiore al minimo della sezione indicata in fig.4.4e (si noti la differente scala alle ordinate)) . La scelta di introdurre l’uso del SA (una particolare ralizzazione dell’algoritmo generale) per superare le complicazioni esplorative della funzione costo conduce inevitabilmente a dover definire alcuni parametri che ne compongono la struttura e ne influenzano l’esecuzione. Questa parte può senz’altro ritenersi la piú delicata e impegnativa dell’intero lavoro fin qui presentato. La parete stocastica del SA non permette infatti di poter stabilire un metodo generale di addestramento. 4.3 Addestramento del SA 55 270 260 250 270 240 260 230 250 220 240 210 230 200 220 190 210 180 800 200 190 600 400 200 0 0 100 200 300 400 500 600 700 180 0 800 600 100 200 400 300 400 500 200 600 700 0 a) funzione residui b) stessa funzione da angolo diverso c) le due sezioni scelte d) mappa colori residui e) y y0 a a0 c1 c10 c2 c20 f ) y y0E0 a a0 c1 c10 c2 c20 Figura 4.4: analisi visiva dei residui e alcune sezioni per l’im0003 del data set 56 La stima parametrica mediante Simulated Annealing 4.4 Percorso di ricerca Facendo riferimento alla descrizione genearle del SA (fig.4.2) nei paragrafi successivi esamineremo tutti i parametri che ne influenzano l’esecuzione. Spiegheremo inoltre i passi piú importanti che ci hanno portato a fissarne un valore per l’analisi di tutte 81 le immagini del data set. 4.4.1 Criterio di terminazione Come criterio per la terminazione del SA abbiamo usato una duplice condizione. 1. nel caso in cui vengano rifiutati piú di cinque nuovi stati consecutivi sulla base delle attuali condizioni di temperatura del sistema. 2. si sia raggiunto in limite massimo, fissato a 400 iterazioni, per ogni realizzazione del SA. Nella pratica raramente si è arrivato a superare il numero di 300 iterazioni muovendo tre parametri xod yod a e di 380 iterazioni muovendo tutti i cinque parametri xod yod a c1 c2 . Nel primo caso, fissati i valori di c1 e c2 , è possibile anche aumentare a 10 il numero di nuovi stati scartati consecutivamente, restando comunque sotto le 300 iterazioni totali prima di raggiungere una soluzione stabile. Agendo su tutti i parametri del modello è stato necessario abbassare a 5 tale soglia, diversamente il SA avrebbe terminato il processo dopo oltre 1300 iterazioni. Nussun limite è invece stato imposto al valore finale raggiunto dalla Temperatura del sistema. 4.4.2 Temperatura iniziale La temperatura iniziale stabilisce la capacità del SA di accettare, nella prima fase esplorativa, nuovi stati (al passo k) a energia superiore allo stato precedente (al passo k 1). Partire con temperature troppo alte significherebbe aumentare il numero di iterzioni, non sempre legate alla sicurezza di poter garantire l’ottimo nella ricerca. Temperature troppo basse, viceversa, non consentono l’uscita da eventuali minimi locali. Per un primo approccio alla determinazione dei parametri del SA, fissiamo i valori di a c 1 e c2 e plottiamo su una griglia la funzione residuo. Da un’analisi visiva (fig.4.5), della funzione plottata variando le sole coordinate xod yod , è stato possibile verificare la presenza di un certo numero, variabile, di profonde valli. Sono state considerate distinte 4.4 Percorso di ricerca 57 Figura 4.5: plot dei residui, il minimo indica la posizione del disco ottico le valli tra le cui coordinate dei minimi esisteva una significativa differenza, quantificabile approssimativamente in almeno un quarto della dimensione minore dell’intera immagine. A tale osservazione siamo giunti limitando lo studio a sole 17 immagini sul totale di 81. Ricostruire in tutte le immagini la funzione residuo attraverso una ricerca esaustiva su griglie che coprissero l’intera superficie dell’immagine avrebbe comportato un notevole impiego di tempo. Inoltre i risultati ottenuti non avrebbero comunque rappresentato l’intera casistica delle possibili realizzazioni del fit tra modello e dati sperimentali (avendo bloccato due delle cinque variabili oggetto di studio). L’obiettivo preliminare era solo capire la variabilità della funzione costo. Il caso piú agevole per la ricerca è ovviamente quello caratterizzato da una sola valle molto profonda rispetto ai minimi locali generati da micro-oscillazioni. Il caso peggiore si ha quando, pur essendo evidente la differenza relativa tra il valore dei due minimi, il raggio di attrazione della valle meno pronunciata risulta superiore a quello della valle piú profonda. Una valle piú profonda e piú chiusa risulta meno rintracciabile dal SA che una valle poco profonda ma molto estesa. Dopo alcune visualizzazioni dei tracciati del movimento del SA abbiamo fissato una temperatura iniziale di 200. Infine il parametro che regola la velocità di raffreddamento del sistema (4.3) è stato 58 La stima parametrica mediante Simulated Annealing fissato al valore α 0 88 (4.5) 4.4.3 Numero dati sperimentali I dati sperimentali estratti dalle 81 immagini binarie si compongono di un totale variabile tra i 4300 e 7800 punti ad immagine. Tale variabilità può essere legata sia a caratteristiche proprie delle immagini, in pratica alla qualità dell’immagine originale acquisita, sia a parametri che agiscono sulla sensibilità dell’algoritmo di estrazione vascolare e dunque solo indirettamente legati alle caratteristiche fotografiche. Nel data set messoci a disposizione dallo STARE, oltre alle foto originali, e alle relative immagini binarie, abbiamo ricevuto anche altre nove realizzazioni dell’algoritmo di estrazione dei vasi. Le 10 realizzazioni totali per ogni immagine si distinguono per i livelli diversi di soglia di estrazione. Con valori piú bassi di soglia le strutture vascolari riconosciute sono solo le maggiori. All’aumentare del valore della soglia vengono ricostruite sempre piú le strutture a calibro minore. Come già riportato non ci addentreremo su considerazioni sulla validità di tale algoritmo. Per un confronto diretto abbiamo deciso di usare le immagini ottenute con valore di soglia pari a 4, le stesse che hanno permesso di raggiungere allo STARE l’ottimo risultato di sole 9 localizzazioni errate su 81 prove. La seconda scelta operata riguardava la decisione di fissare un numero di punti per i dati sperimentali. Sempre sulle 17 immagini su cui si è fatta un’indagine esaustiva fissando i parametri a c1 c2 e facendo variare su una griglia xod e yod , si è valutata la posizione fornita dal minimo della funzione residui al variare del numero di punti sperimenatli. Partendo da 1200 punti siamo scesi di numero fino a considerarne solo 300, mantenendo comunque una buona individuazione della zona in cui il disco ottico era posizionato. Questo, oltre a dimostrare la robustezza del modello considerato, ha permesso di ridurre i tempi di calcolo. 4.4.4 Scelta dei punti di partenza Per questa scelta abbiamo arbitrarimente fissato 2 dei cique parametri della nostra funzione modello: c1 125 c2 F 125 Valore iniziale per a è stato fissato al valore: 4.4 Percorso di ricerca 59 a 0 003 I primi tentativi di esecuzione del SA partendo dal centro di ogni immagine non hanno permesso di trovare il minimo assoluto se non con un notevole numero di realizzazioni. Il passo per a x e y è sto deciso pari a 50 (punti). In 5 immagini analizzate prima con criteri esautivi e generanti ciascuna un minimo assoluto ad apertura "stretta", su venti realizzazioni ciascuna il SA ha raggiunto il minimo assoluto solamente cinque volte. Sulla base di queste osservazioni preliminari si è preferito restringere la zona di ricerca, concedendo movimenti minori alle variabili rappresentanti le coordinate del centro (xod yod ). Diminuendo a 30 il passo, occorre aumentare i punti di partenza sel SA per dare comunque modo all’algoritmo di esplorare l’intera superficie. Un risultato definitivo non esiste ma, per il nostro data set, quattro partenze dagli angoli dell’immagine si sono dimostrate buoni punti di partenza. Su tutte le immagini almeno una delle quattro relaizzazoni del SA ha concluso il processo fornendo le coordinate del minimo assoluto. In casi particolarmente facili (valle del minimo assoluto a largo raggio d’apertura) si è arrivati ad ottenere ben tre realizzazioni su quattro terminanti alle coordinate corrette del disco. Per i nostri scopi non ha comunque importanza “quante” delle realizzazioni rintraccino il minimo assoluto, quanto che in almeno una delle realizzazioni il minimo assoluto venga trovato. Sarà un confronto tra tutte le realizzazioni a passare i valori del subottimo alla seconda fase di affinamento della soluzione. Fissando valori diversi per c1 e c2 (sempre simmetricamente uguali) le soluzioni trovate sembravano non mutare eccessivamente (tutte le realizzazioni terminavano all’interno del disco). Il modello sembra pertanto poco sensibile a questi due parametri, ma su questo aspetto torneremo a piú avanti in questo stesso capitolo (Sez.4.5). 4.4.5 Scelta iniziale dei passi - Prima fase di ricerca Per x e y un passo di 30 punti è sembrato valido. Per il parametro a, partendo dal valore 0 003, abbiamo stabilito passi di 0 0003. Restano bloccati in questa prima fase di ricerca gli altri due parametri c1 e c2 che, come descritto sopra, sembrano non incidere sul risultato (lo stesso era stato osservato durante lo studio preliminare). 60 La stima parametrica mediante Simulated Annealing 4.4.6 Ulteriori affinamenti - Seconda fase di ricerca Le soluzione ottenute dal solo movimento di tre dei cinque parametri del modello rappresentano solo una soluzione intermedia e dunque subottima. Partendo quindi dal risultato migliore fra le prime realizzazione del SA abbiamo dinimuto il passo per x e y, altrettanto abbiamo fatto per il passo di a. Vengono inoltre svincolati i parametri c 1 e c2 , permettendo di migliorare la soluzione estratta con la prima ricerca del SA. Il passo per il movimento casuale di c1 e c2 è stato deciso pari a 15. Volendo in questa seconda fase permettere il solo miglioramento del fit attraverso la mobilità di c1 e c2 abbiamo abbassato a 4 la lunghezza dei passi per xod e yod e a 0 00005 quelli per il parametro a. In fig.4.8 è possibile osservare in dettaglio la ricerca condotta nella seconda fase dal SA (si notino le differenti lunghezze dei passi se confrontate con la fig.4.7). 4.4.7 Range dei parametri Per ovvie ragioni le coordinate xod e yod sono state confinate all’interno delle delle immagini, da 1 a 700 per i valori della x e da 1 a 605 per quelli della y. Nel caso delle pre-elaborazioni eseguite dallo Sparse Tracking le dimensioni delle immagini sono sensibilemente inferiori a causa di un crop eseguito preventivamente sull’immagini originale. Tale crop provvede al ritaglio dei bordi scuri dell’immagine retinica, facendo coincidere gli estremi della superficie retinica con le dimensioni dell’immagine da analizzare. Al parametro a partendo dal valore 0 003 è stato concesso un campo di variazione tra un minimo di 0 0005 e un massimo di 0 012. Per c1 e c2 il range è stato regolato tra 0 e 400. 4.5 Considerazoni sull’intero processo In 4 immagini su 81 le soluzioni, pur affinate col secondo ciclo del SA, si sono mantenute esterne al disco ottico. Su quattro immagini retiniche fallite è stata compiuta un’analisi dettagliata. Un’analisi dettagliata ha messo in luce un limite della procedura scelta nell’uso del SA. In alcuni casi infatti, l’immobilità dei parametri c 1 e c2 (nella prima fase di ricerca) ha fatto propendere per una valle a minimo assoluto di coordinate esterne al disco ottico. L’analisi dei risultati evidenziava un posizionamento del disco ottico coincidente con un minimo relativo della funzione residui e dunque erratamente scartato dalla seconda fase di ricerca fine. In figura 4.6 è visibile un esempio 4.5 Considerazoni sull’intero processo 61 Figura 4.6: importanza dei parametri c1 e c2 in condizioni limite in cui i valori del minimo relativo e assoluto si scostano di poco. Il problema è stato corretto lasciando c1 e c2 libere di muoversi, sempre con passo 15, anche durante la prima fase di ricerca del SA. I movimenti concessi per la mobilità dei parametri c 1 e c2 hanno permesso di mutare quella che era la valle a minimo assoluto in minimo relativo, viceversa la posizione del disco ottico che prima era associata ad un minimo relativo mutava nel minimo assoluto (4.6). A questo punto però, le partenze dai quattro angoli dell’immagine non erano sufficienti a garantire l’identificazione del minimo assoluto. L’ampliamento a cinque dei parametri mossi ha comportato la possibilità da parte del SA di trovare molti piú minimi relativi su cui terminare il processo di ricerca. Abbiamo deciso dunque di portare a sei i punti di partenza del SA. Ai quattro angoli abbiamo affiancato altre due partenze, rispettivamente con ascissa a 31 e 23 della larghezza dell’immagine e come ordinata la metà dell’altezza. In fig.4.7 è possibile osservare le sei realizzazioni del SA. Questo aspetto non rappresenta comunque un problema, se non per il tempo computazionale impiegato. 62 La stima parametrica mediante Simulated Annealing Figura 4.7: le sei realizzazioni del SA Figura 4.8: dettaglio della ricerca fine del SA partendo dal sub-ottimo trovato alla fine della prima fase Capitolo 5 Risultati In questo capitolo, riporteiamo alcuni dei risultati ottenuti dopo l’applicazione del SA. Metteremo in luce cosí gli ottimi risultati raggiunti anche in condizioni di non facile determinazione. 5.1 Risultai del SA Inutile il paragone con criteri di ricerca basati sul colore. Come già spiegato tali sistemi raggiungono mediocri risultati e possono lavorare solo su immagini in cui il disco ottico risulti ben visibile, diversamente non esistono i presupposti per procedere ad una identificazione. Il nostro sistema si comporta bene sia in condizioni normali del fundus oculare sia in condizioni patologiche in cui il disco ottico risulti celato. Inoltre il modello risulta definito sull’intera area fotografica. Seppur basando la ricerca del disco ottico sull’analisi delle strutture vascolari, questo non vincola alla obbligatoria presenza dei vasi in prossimità del disco. Il modello ha cioè il vantaggio di poter localizzare la posizione del disco anche per estrapolazione non vincolando la presenza di vasi nella zona sottostante i vertici delle parabole (5.11b). Questo è un grosso vantaggio soprattutto nei casi in cui patologie della retina celano quasi completamente i vasi prossimi al nervo ottico (es:im0019 e im0021) o in situazioni in cui l’immagine retinica propone solo una porzione visibile dell’intero disco (es:im0001 e im0003) o in altre ancora in cui il disco è completamente assente (es:im0044). Altri ottimi risulatati si ottengono in corrispondenza ad immagini sfocate (es:im0012 e im0013). Il sistema inoltre non si lascia ingannare da cotton wools, che per forma e colore potrebbero essere scambiati per il disco ottico, tipico errore, questo, commesso dai sistemi che basano su tali informazioni il loro funzionamento (es:im0036). 64 Risultati Sparse Tracking Vessels4 Vessels4 Vessels2 peso del calibro im0003 im0004 im0007 im0008 im0013 im0019 im0020 im0026 im0027 im0028 im0036 im0041 im0139 im0162 totale falliti grado succeso sì sì no no STARE / fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito fallito 2 97,53% 2 97,53% 4 95,06% 7 91,36% 9 88,89% Tabella 5.1: risultati conclusivi relativi alle sole immagini fallite da uno degli algoritmi a G 0 H 00177 c1 G 253 H 68 c2 GJI 94 H 465 a G 0 H 00539 Figura 5.1: im0001 e im0003 c1 G 399 H 48 c2 GKI 135 H 39 5.1 Risultai del SA a G 0 H 00225 c1 G 95 H 719 65 c2 GKI 195 H 29 a G 0 H 00952 c1 G 93 H 815 c2 GJI 144 H 66 c1 G 138 H 37 c2 GJI 108 H 77 Figura 5.2: im0004 e im0007 a G 0 H 002 c1 G 235 H 54 c2 GJI 299 H 04 a G 0 H 00545 Figura 5.3: im0012 e im0013 66 Risultati a G 0 H 002 c1 G 238 H 54 c2 GKI 299 H 04 a G 0 H 00244 c1 G 399 H 26 c2 GKI 187 H 76 c1 G 157 H 07 c2 GKI 121 H 33 Figura 5.4: im0017 e im0018 a G 0 H 00523 c1 G 177 H 92 c2 GJI 245 H 84 a G 0 H 00275 Figura 5.5: im0019 e im0021 5.1 Risultai del SA a G 0 H 00347 67 c1 G 193 H 49 c2 GKI 179 H 02 a G 0 H 000934 c1 G 24 H 4 Figura 5.6: im0034 e im0036 a G 0 H 00289 c1 G 217 H 2 c2 GKI 228 H 05 originale Figura 5.7: im0044 e im0044 originale c2 GJI 168 H 36 68 Risultati a G 0 H 00363 c1 G 138 H 65 c2 GJI 26 H 268 a G 0 H 00099 Figura 5.8: im0081 e im0190 c1 G 98 H 656 c2 GKI 258 H 04 5.2 Limiti del modello 69 5.2 Limiti del modello In fig.5.9a è possibile osservare una delle due immagini fallite dalla tecnica basata sullo Sparse Tracking. I motivi del fallimento sono evidenti e non risolubili: le emorragie coprono quasi interamente l’immagine (rendendo inoltre invisibile il disco) e l’algoritmo di Sparse Tracking non è stato in grado di fornire i dati su cui poter fittare il modello matematico (specie nella zona sottostante il disco). a) risultato fallito con 300 punti b) e con 600 dati sperimentali Figura 5.9: im0026 esaminata con i dati dello Sparse Tracking −200 −100 0 100 200 300 400 500 600 a) risultato corretto 700 800 −101 0 b) dati sperimentali 100 200 300 400 500 600 Figura 5.10: im0026 esaminata con i dati dello STARE In fig.5.9b abbiamo applicato l’algoritmo utilizzando 600 punti per il modello (il 700 800 70 Risultati doppio di quelli usati per i test), il risultato migliora ma resta comunque lontano (anche se non eccessivamente) da quello che sembra essere il punto di arrivo del nervo ottico. In fig.5.10 si nota come la presenza delle emorragie sottostanti il disco, individuate dallo STARE e interpretate come vasi, sia condizione sufficiente a correggere il risultato di tale prova. a) risultato errato b) risultato corretto per estrapolazione c) punti estratti Sparse Tracking d) punti estratti STARE Figura 5.11: im0041-soluzioni trovate Nella im0041 (fig.5.11 a) il disco ottico è visibile solo in minima parte e manca la simmetria tra il ramo superiore e inferiore del luogo Γ, viene cioè a mancare la base, fornita dai rami principali, per poter procedere all’identificazione di una parabola in modo univoco. In questo caso l’uso di un processo a saturazione per la pesatura dei vasi (come quella usata per le immagini binarie - fig.5.11 d) ha consentito alle numerose strutture vascolari presenti nella zona superiore (a calibro ridotto) di compensare l’assenza di un 5.2 Limiti del modello 71 ramo a calibro dominante (fig.5.11 b). Ovviamente quest’ultima rappresenta davvero una situazione limite, in cui la soluzione, anche se corretta, è frutto di una casualità nell’estrazione di direzioni di strutture vascolari che in realtà non corrispondono ad una esatto riconoscimento. Se messe a confronto le estrazioni condotte con lo Sparse Tracking (fig.5.11 c) e quelle condotte sulle immagini binarie dello STARE (fig.5.11 d), per quanto entrambe non risultino soddisfacenti, quelle su cui il nostro algortimo ha fallitto (quelle estratte con lo Sparse Tracking) sembrano decisamente più fedeli alle strutture presenti nell’immagine. a) originale b) soluzione modello c) vasie estratti dallo STARE d) le 300 direzini estratte Figura 5.12: im0008 Le immagini fallite dopo l’uso dell’algoritmo di estrazione vascolare dello STARE sono visibili in fig.5.12 e fig.5.13. Nella prima, la im0008, il motivo del fallimento (in blu in fig.5.12b) è derivato da un cattivo riconoscimento delle strutture vascolari poste in prossimità del disco (sul lato sinistro in alto in fig.5.12c). Il disco ottico è localizzato 72 Risultati in un minimo locale che il SA ha rintracciato in una delle sei realizzazione (in verde in fig.5.12b ). La im0027 è stata fallita a causa della cattiva qualità dell’immagine, molto scura nella parte inferirore, non ha permesso una corretta distribuzione simmetrica delle strutture vascolari su cui fittare il modello. a) originale b) vasi estratti dallo STARE Figura 5.13: im0027 Figura 5.14: fit del modello sulla im0027; la mancata simmetria nelle strutture paraboliche ha causato il fallimento del rintracciamento Capitolo 6 Conclusioni Il modello matematico abbinato all’analisi automatica fornita dal SA si è dimostrato robusto sotto ogni aspetto. Su un totale variabile di punti, tra i 4300 e 7600 per ogni immagine binaria sottoposta all’operazione di thin, si è fatto uso di soli 300 punti confrontati col modello matematico. Indice del fatto che anche usando meno del 7% del totale di punti disponibili, questo è piú che sufficiente a risolvere il problema della localizzazione del disco ottico. Lo Sparse Tracking, non particolarmente adattato alle immagini del data set, è comunque stato capace di rintracciare un totale di oltre 1000 punti per ogni immagine elaborata. Allo stesso modo, anche per queste pre-elaborazioni, il nostro sistema ha estratto in modo uniforme 300 punti. Usando l’estrazione dei vasi fornita sotto forma di immagini binarie prodotte dallo STARE con grado di estrazione 4 il nostro sistema e stato capace di risolvere correttamente la posizione del dico ottico ben 79 volte sul totale di 81 immagini retiniche. Nella funzione residui si è tenuto conto del calibro relativo dei vasi. Lo stesso risultato lo si è ottenuto pre-elaborando le immagini originali (in for- mato ppm da 700*605 punti) con lo Sparse Tracking. In questo caso nella funzione residui si è fatto uso del calibro dei vasi fornito dallo stesso algoritmo di tracciamento. Usando sempre le immagini binarie dello STARE im#-vessels4 ma stavolta senza far uso di nessuna informazione sul calibro, il numero di rintracciamenti andati a buon fine è stato di 77. Con il data set delle im#-vessels2 senza alcun peso dato ai vasi il sistema ha garantito un numero di risultati esatti su ben 74 immagini. Delle 7 immagini 74 Conclusioni fallite solo 2 di esse hanno fornito una posizione decisamente lontana dalla reale posizione del disco. Nelle altre 5, seppure errate, il sistema ha restituito una posizione poco lontana dal bordo esterno del disco. Dalla tabella 5.1 appare evidente l’ottimo risultato raggiunto in ogni situazione. Per semplicità sono state elencate le sole immagini (sul totale di 81) che hanno prodotto risultati errati con almeno uno degli algoritmi. Tutte le immagini non elencate sono state risolte con successo da tutti gli algoritmi. C’è da sottolineare anche un altro aspetto di natura matematica molto interessante. Il fit tra modello e dati non è univoco, si possono cioè ottenere piú soluzioni per i cinque parametri del modello pur ottenendo lo stesso valore dei residui. Tutte queste soluzioni garantiscono comunque l’individuazione del disco ottico (le coordinate del disco xod yod non mutano), ciò che cambia in queste soluzioni sono i valori dei parametri a,c1 e c2 . La complessità del modello si riflette nella capacità di trovare diverse realizzazioni per Γ che, combinate a differenti valori di c1 e c2 , comunque risolvono una buona quantità di direzioni vascolari. Questo spiega il perché in alcune soluzioni trovate il luogo formato da Γ non coincida esattamente con le maggiori strutture vascolari. Questi sono i casi nei quali l’immagine pre-elaborata si presenta ricca di vascolatura minore o di diversi vasi a calibro confrontabile. Γ in questi casi ha la possibilità di appoggiarsi su una delle strutture importanti e giocare su c 1 e c2 al fine di ottenere il miglior fit, oppure posizionarsi equidistante tra i vasi maggiori cercando di ottenere il fit migliore su entrambi. Sviluppi futuri Sarebbe interessante poter capire cosa ha influito di piú nel determinare l’efficacia del sistema tra: 1. “una piú precisa valutazione del calibro dei vasi” (quella usata dallo Sparse Tracking), 2. “un assegnamento del peso dei vasi attraverso un processo a saturazione” (quello usato sulle immagini pre-elaborate dallo STARE). Approfondire le cause che determinano la natura estremamente oscillatoria della funzione residui, e se possibile, filtrandola, ottenerne una studiabile con algoritmi a gradiente molto piú veloci del SA. 75 Modificare il modello matematico (ad esempio anche solo per la seconda fase di affinamento del processo di fit). Si è notato infatti come la determinazione del luogo Γ attraverso il valore del parametri a xod yod ma specialmente per il parametro a, ne obbliga l’adattamento alle piú importanti strutture vascolari in modo speculare rispetto all’asse di simmetria delle parabole. Forse questo rappresenta una limitazione nelle operazioni di minimizzazione della funzione costo. Il modello evidenzia i propri limiti o quando vengono a mancare le strutture paraboliche nei dati o in condizioni di mancanza di simmetria sull’asse orizzontale nei dati (che si è dimostrata essere la causa di alcuni fallimenti). La mancanza di simmetria comporta la non univoca determinazione del luogo Γ. Molteplici possono essere infatti le parabole con vertici in posizioni differenti e con differenti aperture che riescono comunque a imitare abbastanza correttamente i dati appartenenti ad una solo ramo. Nei casi di mancanza di simmetria orizzontale nei dati estratti si potrebbe sviluppare un sistema che partendo da quelli presenti ne aggiunga altri per construzione simmetrica. I risultati ottenuti potrebbero essere usati come punto di partenza per un nuovo lavoro che abbia come scopo quello di determinare, ove sia visibile, la dimensione del disco ottico, definendone il contorno e il centro geometrico esatto. Ovviamente sarà necessario integrare informazioni non considerate nel lavoro attuale e svincolarsi dalla relazione spaziale che sussiste tra le strutture vascolari e il centro geometrico esatto del disco ottico. 76 Conclusioni Elenco delle figure 1.1 occhio umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.2 la retina umana: dall’alto in basso, coni e bastoncelli; loro nuclei o strato dei granuli interni (n.s.); strato plessiforme esterno (s.p.e.); strato dei neuroni bipolari o dei granuli interni (n.b.); strato plessiforme interno (s.p.i.); strato delle cellule gangliari (n.g.); strato delle fibre ottiche (f.o.);cellule orizzontali e emacrine in corrispondenza di s.p.e. e s.p.i . . 17 1.3 coni e bastocelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.4 impatto della luce sulla zona della Fovea . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.5 vascolatura retinica: sono visibili il disco ottico sulla destra e la fovea al centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.1 alcune problematiche legate all’uso delle sole caratteristiche morfologiche e cromatiche del disco ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 2.2 luogo Γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.3 luogo Γ sovrapposto all’immagine originale . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.4 luogo Γ e direzioni fornite dal modello per i punti che non vi appartengono 30 2.5 funzione c con c1 10, c2 + 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.6 contributo della funzione d nei punti con medesima ascissa . . . . . . . 32 2.7 funzione modello al variare del parametro a . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.8 modello fittato alla im0018 del dat set . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.9 modello al variare di c1 c2 2.10 modello con c1 c2 ; c1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 400 ; c2 40 . . . . . . . . . . . . . . . 36 3.1 i 10 livelli di estrazione dei vasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 3.2 immagine pre-elaborata im003-vessels4 del data set dello STARE (in blu i punti scelti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.3 definizione della ROI attorno a xi yi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 78 ELENCO DELLE FIGURE 3.4 3.5 direzioni estratte sovrapposte all’immagine originale e all’immagine binaria pre-elaborata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 tratto di vaso e dati associati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 3.6 confronto tra 600 punti estratti dai due sistemi (immagine: im0018 del data set - punti e direzioni calcolate) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 3.7 3.8 3.9 differenze angolari: a) ∆ α β α β , b) ∆ α β J α β π 8 . 44 insiemi di definizione per θi e θmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 funzione residui al variare delle sole componenti xod e yod . . . . . . . . 45 3.10 funzione residui al variare del parametro a 0. . . . . . . . . . . . . . 46 3.11 andamento dei residui al variare di c1 e c2 . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 4.1 4.2 4.3 criterio di accettazione degli stati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Implementazione algoritmica generale del Simulated Annealing . . . . 53 funzione randn: realizzazione di moto casuale. . . . . . . . . . . . . . 54 4.4 4.5 analisi visiva dei residui e alcune sezioni per l’im0003 del data set . . . 55 plot dei residui, il minimo indica la posizione del disco ottico . . . . . . 57 4.6 4.7 4.8 importanza dei parametri c1 e c2 in condizioni limite . . . . . . . . . . 61 le sei realizzazioni del SA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 dettaglio della ricerca fine del SA partendo dal sub-ottimo trovato alla fine della prima fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 5.1 im0001 e im0003 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 5.2 5.3 5.4 im0004 e im0007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 im0012 e im0013 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 im0017 e im0018 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 5.5 5.6 im0019 e im0021 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 im0034 e im0036 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 5.7 5.8 5.9 im0044 e im0044 originale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 im0081 e im0190 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 im0026 esaminata con i dati dello Sparse Tracking . . . . . . . . . . . 69 5.10 im0026 esaminata con i dati dello STARE . . . . . . . . . . . . . . . . 69 5.11 im0041-soluzioni trovate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 5.12 im0008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 5.13 im0027 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 5.14 fit del modello sulla im0027; la mancata simmetria nelle strutture paraboliche ha causato il fallimento del rintracciamento . . . . . . . . . . . . . . . 72 Bibliografia [1] S.Piermarocchi F.Moro, ATLANTE A C OLORI D EL F ONDO D ELL’O CCHIO N ELLA M ALATTIA I PERTENSIVA. Addison Wesley, Italy, 1999. [2] E.Padoa, M ANUALE D I A NATOMIA C OMPARATA D EI V ERTEBRATI, Feltrinelli, 1990. [3] R.M.Berne, M.N.Levy, F ISIOLOGIA, Casa Editrice Ambrosiana, 1998. [4] C.Sinthanayothin, J.Boice, C.T.Williamson, AUTOMATED L OCALISATION O F T HE O PTIC D ISC , F OVEA , A ND R ETINAL B LOOD V ESSELS F ROM D IG ITAL C OLOUR F UNDUS I MAGES, British Journal of Ophtalmology, vol.38, pp.902-910, 1999. [5] H. Li, O.Chutatape, School of Electrical and Electronic Engineering, Nanyang Technological University, AUTOMATIC L OCATION O F O PTIC D ISK I N R ETINAL I MAGES. , IEEE ICIP, 0-7803-6725-1, Vol.2, pp.837-840, 2001. [6] O.Chutatape, H.Li, School of EEE, Nanyang Tecnological University, Singapore, O CULA F UNDUS C OORDINATE E STABLISHMENT, Proc. of the Second Joint EMBS/BMES Conference, Huston, TX, USA, October 23-26, 0-7803-7612, pp.2141-2142, 2002 IEEE. [7] Retinopathty Working Party, A P ROTOCOL F OR S CREENING F OR D IABETIC R ETINOPATHY I N E UROPE, Diabetic Med., No.8, pp.263-270,1991. [8] H.Li, O.Chutatape, F UNDUS I MAGE F EATURES E XTRACTION . 0-7803-6465-1 IEEE, Proceedings of the 22nd Annual EMBS International Conference, pp.30713073, July 23-28, 2000, Chicago. [9] Z. Liu, C. Opas, S.M. Krishnan, AUTOMATIC I MAGE A NALISYS OF F UN - P HOTOGRAPH Nanyang Tecnological University, School of Electrical and Electronic Engineering. DUS 80 BIBLIOGRAFIA [10] J. Gutièrrez, I. Epifanio, E. De Ves, F.J. Ferri, A N ACTIVE C OUNTOUR M ODEL FOR THE AUTOMATIC D ETECTION OF F OVEA IN F LUORESCEINT A NGIOGRAPHIES Universitat de València, Depertament d’Informatica. [11] C.M. Bishop, N EURAL N ETWORKS University Press, United States, 2000. FOR PATTERN R ECOGNITION. Oxford [12] A. Cavallo, R. Setola, F. Vasca, G UIDA O PERATIVA C ONTROL TOOLBOX. Liguori Editore, Italia, 1997. AL M ATLAB S IMULINK E [13] K.Sigmon, M ATLAB P RIMER T HIRD E DITION. Department of Mathematics University of Florida, 1993. [14] A. Della Libera. A LGORITMI PER IL R ICONOSCIMENTO E LA C LASSIFI CAZIONE DI S EGNI PATOLOGICI IN I MMAGINI DEL F UNDUS O CULARE. Master’s thesis, Univerità di Padova, Dipartimento di Elettronica ed Informatica, 2001. [15] M. Mazzetto. A LGORITMI PER L’E STRAZIONE DI PARAMETRI D IAGNOSTICI IN I MMAGINI DEL F UNDUS O CULARE. Master’s thesis, Univerità di Padova, Dipartimento di Elettronica ed Informatica, 2001. [16] M.Scarperi, U N N UOVO A LGORITMO P ER L’I DENTIFICAZIONE D EL D ISCO OTTICO I N I MMAGINI D ELLA R ETINA, Università di Padova, Dipartimento di Elettronica e Informatica, 2001. [17] G.Naldi, L.Pareschi, M ATLAB C ONCETTI E P ROGETTI. Apogeo, 2002. [18] M.S.Gockenbach, A P RACTICAL I NTRODUCTION TO M ATLAB (ver 5) sept. 1999. [19] M.Baudoin, I MPARA L ATEX ! (... E Supérieure de Techniques Avancées. METTILO DA PARTE ), École Nationale [20] S.Kirkpatrick, C.D.Gelatt, Jr.,M.P.Vecchi. O PTIMIZATION B Y S IMULATED A NNEALING, Science 13 May 1983, Vol.220, No.4598. [21] M.Goldbaum, S.Moezzi, A.Taylor, S.Chatterje, J.Boyd, E.Hunter, R.Jain, Department of Ophthalmology and Department of Engineering and Computer Science BIBLIOGRAFIA 81 University of California, AUTOMATED D IAGNOSIS A ND I MAGE U NDERSTAND ING W ITH O BJECT E XTRACTION , O BJECT C LASSIFICATION , A ND I NTERFER ENCING I N R ETINAL I MAGES, In the Proceedings of the IEEE International Conference on Image Processing, pp.695-698, 1996. [22] M.Goldbaum, A.Hoover, F UZZY C ONVERGENCE, Proceeding of IEEE Conference on computer Vision and Pattern Recognition, pp.716-721, 1998. [23] STARE project website, http://www.ces.clemson.edu/~ahoover/stare [24] A.Hoover, V.Kouznetsova, M.Goldbaum, L OCATING B LOOD V ESSELS I N R ETI NAL I MAGES B Y P IECE - WISE T HRESHOLD P ROBING O F A M ATCHED F ILTER R ESPONSE, 0278-0062, IEEE Transactions on Medical Imaging, vol.19, no. 3, pp.203-210, 2000. [25] A.Hoover, M.Goldbaum, L OCATING T HE O PTIC N ERVE I N A R ETINAL I M AGE U SING T HE F UZZY C ONVERGENCE O F T HE B LOOD V ESSELS, IEEE Transactions on Medical Imaging, sept. 2001. [26] N.Katz, M.Goldbaum, M.Nelson, LR.Hart, T HE D ISCRIMINATION OF S IM ILARY C OLORED O BJECTS IN C OMPUTER I MAGES O F O CULAR F UNDUS, Invest. Ophthal. & Vis. Sci., Vol.31,No.4, pp.617-627, 1990. [27] N.Katz, M.Goldbaum, et al., A N I MAGE P ROCESSING S YSTEM F OR AUTOMATIC R ETINA D IAGNOSIS, SPIE, Vol.902, 1998. [28] M.Goldbaum, N.Katz, S.Chaundhuri, M.Nelson, I MAGE U NDERSTANDING F OR AUTOMATED R ETINAL D IAGNOSIS, Proc.The Thirteenth Annual Symposium on Computer Applications in Medical Care, pp.756-760, 1989. [29] S.Chaudhuri, S.Chatterjee, N.Katz, M.Goldbaum, AUTOMATIC D ETECTION O F T HE O PTIC N ERVE I N R ETINAL I MAGES, Proc. IEEE International Conference on Image Processing, Singapore, Vol.1,pp.1-5,1989. [30] S.Chaudhuri, S.Chatterjee, N.Katz, M.Nelson, M.Goldbaum, D ETECTION O F B LOOD V ESSELS I N R ETINAL I MAGES U SING T WO -D IMENSIONAL M ATCHED F ILTERS, IEEE Trans. Med. Imag., Vol.3. pp.263-269, 1989. [31] K.G.Goh, W.Hsu, M.L.Lee, H.Wang, ADRIS:A N D UTOMATIC D IABETR ETINAL I MAGE S CREENING S YSTEM, School of Computing National University of Singapore, 2001. IC 82 BIBLIOGRAFIA [32] K.G.Goh, W.Hsu, M.L.Lee, AUTOMATIC D IABETIC R ETINAL I MAGE S CREEN ING U SING I MAGE P ROCESSING A ND M ACHINE L EARNING A LGORITHMS , Medical Imaging 2000, SPIE, Feb 2000, California, USA. [33] M.Lalonde, M.Bealieu, L.Gagnon, Centre de Recherche Informatique de Montréal (Québec). FAST A ND ROBUST O PTIC D ISK D ETECTION U SING P YRA D EOCOMPOSITION A ND H AUSDORFF - BASED T EMPLATE M ATCHING, IEEE Transaction On Medical Imaging, Vol.20, No.11, pp.1193-1200, 2001 MIDAL [34] L.Gagnon, M.Lalonde, M.Beaulieu, M-C.Boucher, P ROCEDURE TO D E TECT A NATOMICAL S TRUCTURES I N O PTICAL FUNDUS I MAGES, Computer Research Institute of Montreal, http://www.crim.ca [35] S.Moins, Linköping Institute of Tecnology, I MPLEMENTATION O F A S IMU LATED A NNEALING A LGORITHM F OR M ATLAB, 2002, http://www.ep.liu. se/ [36] M.Salmeri, A.Mencattini, S.Bertazzoni. S INTESI E S IMULAZIONE DI S ISTEMI E LETTRONICI . Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Univeristà di Roma Tor Vergata, A.A. 2002-2003.http://micro.eln.uniroma2.it [37] Y.Tolias, S.Panas, A F UZZY V ESSEL T RACKING A LGORITHM F OR R ETINAL I MAGES BASED O N F UZZY C LUSTERING, in IEEE Trans. on Medical Imaging, vol. 17, no. 2, pp.263-273, 1998. [38] A.Osareh, M.Mirmehdi, B.Thomas, R.Markham, M ORPHOLOGY A ND S NAKE F OR O PTIC D ISC L OCALISATION, Department of Computer Science, University of Bristol, http://www.cs.bris.ac.uk/Tools/Reports/Ps/. [39] A.Osareh, M.Mirmehdi, B.Thomas, R.Markham, C LASSIFICATION A ND L O CALISATION O F D IABETIC -R ELATED E YE D ISEASE, ECCV 2002, LNCS 2353, pp.502-516, 2002. [40] A.Osareh, M.Mirmehdi, B.Thomas, R.Markham, C OMPARISON O F C OLOUR S PACES F OR O PTIC D ISC L OCALISATION I N R ETINAL I MAGES, http://www. cs.bris.ac.uk/Tools/Reports/Ps/ [41] A.Osareh, M.Mirmehdi, B.Thomas, R.Markham, AUTOMATIC R ECOGNITION O F E XUDATIVE M ACULOPATHY U SING F UZZY C-M EANS C LUSTERING A ND N EURAL N ETWORKS , BMVA Press, pp 49-52, 2001. BIBLIOGRAFIA 83 [42] P.H.Gregson, Z.Shen, R.C.Scott, V.Kozousek, AUTOMATED G RADING O F V ENOUS B EADING, Computers and Biomedical Research 28, 291-304, 1995. [43] L.Gang, O.Chutatape, S.M.Krishman, D ETECTION A ND M EASUREMENT O F R ETINAL V ESSELS I N F UNDUS I MAGES U SING A MPLITUDE M ODI FIED S ECOND -O RDER G AUSSIAN F ILTER, 0018-9294, IEEE Transaction on Biomedical Engineering, Vol.49, No.2, pp.168-172, 2002. [44] F.Zana, J.-C.Klein, S EGMENTATION O F V ESSEL -L IKE PATTERNS U SING M ATHEMATICAL M ORPHOLOGY A ND C URVATURE E VALUATION, IEEE Transaction On Image Processing, Vol.10, No.7, pp.1010-1019, 2001. [45] F.Mendels, C.Heneghan, P.D.Harper, R.B.Reilly, J.-P.Thiran, E XTRACTION O F T HE O PTIC D ISK B OUNDARY I N EMBS 1999 Conference, Atlanta. DIGITAL F UNDUS I MAGES, Submitted IEEE- [46] F.Mendels, C.Heneghan, J.-P.Thiran, I DENTICATION O F T HE O PTIC D ISC B OUNDARY I N RETINAL IMAGES U SING ACTIVE C ONTOURS, Proc. IMVIP Conference, pp.103-115, 1999. [47] S.Shiffman, G.D.Rubin, S.Napel, M EDICAL I MAGE S EGMENTATION U SING A NALYSIS O F I SOLABLE -C ONTOUR M APS, IEEE Transactions On Medical Imaging, Vol.19, No.11, 2000. [48] N.Metropolis, A.W.Rosenbluth, A.H.Teller, E.Teller, E QUATION OF S TATE C AL CULATIONS BY FAST C OMPUTING M ACHINES, Journal of Chemical Phisics, vol. 21, pp. 1087–92