Margherita Reguitti presenta Evaristo Cian in occasione della vernice di “Riordino fondiario”, alla galleria “Mario Di Iorio” della Biblioteca statale isontina. La presentazione di una mostra ha come protagonista l’artista e le sue opere, ecco perché, coerentemente con il metodo che mi sono data nello svolgere il mio lavoro di comunicazione culturale, ritengo che l’intervistatore abbia soprattutto il compito di porre le domande giuste, con discrezione. Solo in questo modo si realizza la magia del dialogo fra artista e pubblico, diretto e schietto quanto più possibile. Avrei dunque voluto porre direttamente le mie domande a Evaristo, per sentirlo raccontare la sua arte. Lui però fa parte di quegli artisti che non amano parlare di sé in pubblico. Quindi questa presentazione è un’intervista “differita”, il frutto della mia lettura delle sue opere approfondita durante un nostro incontro nel suo studio. Cosa significa il titolo Il titolo “Riordino fondiario” è di fatto un refuso per Evaristo: avrebbe dovuto essere “una disgrazia fondiaria” a significare la catalessi della natura, il suo sfaldarsi in un crescendo di preoccupazione che arriva a ipotizzare la fine del mondo. Un concetto ricorrente nella sua pittura. I quadri simbolo di questa sua filosofia sono alle nostre spalle, mostrano la campagna friulana, il ritratto del fratello scomparso Giuseppe, l’ argine del Torre con un unico gelso superstite accanto a un’antenna . Io dipingo la natura che viene massacrata, la campagna friulana con i gelsi solitari ma tenaci , cieli percorsi da fili di ferro divelti, antenne telefoniche . Un de profundis della terra che sta morendo. Su tutto il drappo a lutto, una nuvolaccia tetra, una pennellata rabbiosa. Gli architipi tematici e il senso della ricerca La natura per Cian è un soggetto prediletto. Archetipo di una narrazione visiva da cui non si discosta. Quali sono i soggetti sui quali lavora, mi sono chiesta e gli ho chiesto? Quelli che conosce e ama, la campagna della Bassa con i gelsi e i fili spezzati dei filari di vigne. 1 La sua cornacchia Gregor, che qualcuno ha rapito e fatto morire d’inedia. Il suo studio, abitato da una modella, sempre quella, donna a volte discinta, dalla sessualità algida. Sono i suoi linguaggi, i marchi della sua arte. Ma allora gli ho chiesto cosa è ricerca per te? “Non serve ricercare la ricerca” si cambia nel corso dei lavori. Io mi rinnovo senza reinventare. Passa il tempo e si cambia senza accorgersi. Quando un quadro è finito e completo mi accordo, “lampa”! Difficile spiegare come. Poche volte mi sento soddisfatto. Per evitare l’ansia e il tedio dell’insoddisfazione quando un quadro è finito non lo guardo più, altrimenti ci metterei mano per renderlo più bello. Le donne e gli affetti nei dipinti di Cian In questa mostra vi sono varie opere con ritratti di donne, in particolare è interessante quello di una bambina sotto un getto d’acqua. Ho visto un pittore che dipingeva con un getto acqua contro una figura. Restava una sagoma che poi andava a compiere. Io ho dipinto sotto un getto un volto fatto di ombre , bianco e nero, contrapposto allo sfondo uniforme dai colori forti. Un’ispirazione nata da una tecnica strana da cui sono affascinato. Il mondo femminile ha diverse declinazioni nell’immaginario di Cian: in questa mostra ne vediamo un significativo esempio nei quadri con modella in studio, badanti in blu, donne prigioniere maltrattate, uccise ingabbiate sfruttate. Altro tema della sua pittura la memoria degli affetti, raccontata attraverso i ritratti del figlio Giuseppe, del padre, della madre e del fratello. Un modo ora intimo e pudico dai colori scuri, ora gioioso con tinte vivaci. Cian artista schivo e ironico 2 Un tratto di Cian è l’ironia che così definisce con la sua semplicità disarmante. Non ho bisogno di cercare l’ironia, ogni tanto esce. Ecco che trasforma il cinghiale, tanto detestato dai contadini, in eroe: lo mette su un piedistallo, lo umanizza dipingendogli vivi occhi azzurri, lo circonda di un nastro da inaugurazione, con la bandierina cubana. Nell’ultimo quadro in fondo alla sala dipinge un serra surreale con verdure dai colori improbabili. È la natura violentata dall’uomo, le verdure sono finte, di plastica, tanto che la capretta accanto alla porta della serra non entra a mangiarle. E’ schifata da tutta quell’artificialità. Un racconto semplice quest’ultimo, ma dal forte impatto emotivo che mi richiama la forza delle metafore nelle favole di Fedro e Esopo. Evaristo ama i cani e si schiera dalla parte di chi li difende. La sofferenza di questi amici dell’uomo vien qui raccontata entrando in un box di canile per vedere e dipingere cosa i loro occhi vedono oltre la rete. Così il regista Francesco Macedonio lo descrive Meraviglioso e contraddittorio personaggio, un po’ irritante come irritante può essere a volte la sua pittura. Con lui si discuteva animatamente, litigavamo talvolta, senza mai offenderci perché per fortuna Evaristo è abbastanza ironico e distaccato, nonostante sia un provocatore naturale. Ciò che mi piace della sua pittura è l’aderenza alla realtà, l’attaccamento ai propri familiari. 3