Alcune domande che ricorrono ascoltando la mia

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Walter Branchi
Alcune domande che ricorrono ascoltando la mia musica o leggendo i miei scritti
Premessa
Ho raccolto una serie di domande fatte da varie persone, in tempi diversi, e altrettante mie risposte. L’ho fatto in una forma
aperta così che altre domande e risposte possano entrare a far parte di questo scritto.
Non tutte la domande sono state poste da musicisti, ma anche da persone che con la musica hanno solo un rapporto da
ascoltatori.
L’unico limite che ho messo è stato quello di fare domande brevi.
1. D – Da come tu ne parli, sembra che i suoni della natura possano essere arte. Esiste un’arte della natura?
R – Con il termine “arte” si intende sempre un artefatto, quindi un prodotto del pensiero umano.
L’arte può essere concreta o concettuale, ma è comunque l’uomo che organizza un dato materiale e lo trasforma in
opera d’arte.
Non esiste un’arte della natura, semmai esiste una bellezza della natura.
2. D – Quando parli di musica, nei tuoi scritti, molte volte non specifichi a quale tipo di musica ti riferisci: musica
orchestrale, musica vocale, musica elettronica?
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R – Qualora la musica sia musica non ha molta importanza dire con quali mezzi è stata realizzata. Comunque, per
rispondere alla domanda, dico che la mia musica è maggiormente realizzata con suoni di sintesi e in alcuni casi
prevede la presenza di strumenti tradizionali e di esecutori dal vivo. Non la chiamo “musica elettronica” perché questa
appartiene ad un periodo storico ormai concluso.
3. D – È vero che qualsiasi suono, indipendentemente dal generatore che lo produce, se suscita emozioni, è musica?
R – Sono fondamentalmente d’accordo con questa affermazione. La musica per emozionare non ha bisogno di essere
romantica o contemporanea, africana o indiana. È sufficiente che la relazione tra minimo due suoni provochi
un’emozione per essere musica.
4. D – Spesso parli di suoni puri, cosa sono i suoni puri?
R – Il termine suono puro lo uso sempre in senso fisico e non metafisico. Un suono puro è un suono sinusoidale privo
di componenti parziali superiori, è l’oscillazione base di ogni corpo vibrante.
5. D – Cosa intendi per mondo sonoro integrato?
R – Mi riferisco ad un mondo sonoro caratterizzato dalla compresenza e reciproco scambio tra suoni artificiali
(elettronici) e suoni naturali (ambientali): i primi sono quanto di più lontano possa esserci dai secondi. Tuttavia, credo
sia proprio la loro estrema lontananza - indefinibilità dei suoni elettronici sinusoidali in relazione ai suoni naturali,
definibili e riconoscibili - che rende l’amalgama interessante.
6. D – La musica che componi si può ascoltare anche autonomamente e allora perché ascoltarla insieme ad altri suoni o
rumori?
R – Caratteristica della musica che compongo è quella di essere sistemica e quindi caratterizzata sia dalle relazioni che
formano il suo interno sia da quelle con il suo esterno.
Ciò permette di considerarla aperta o chiusa a seconda del contesto in cui la si ascolta, che può essere attivo o
passivo.
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(Sistemico vuol dire considerare gli elementi che formano un sistema e il sistema stesso (un fiore, un brano musicale)
come parte di un tutto unico dove l’importante è la relazione tra gli elementi piuttosto che gli elementi presi
separatamente.)
7. D – Una spiaggia affollata, il traffico automobilistico durante le ore di punta, un mercato del pesce. Immagina queste
situazioni, tutte ad alto volume sonoro. Come si pone la tua musica nei confronti di ambienti del genere? Com’è
possibile ascoltarla in situazioni così caotiche?
R – Il mestiere del compositore è quello di scegliere materiali sonori e di comporli per farne una musica. La stessa
scelta deve essere fatta per i suoni o rumori esterni alla composizione, quindi non sceglierei mai luoghi particolarmente
rumorosi. Un ambiente o un paesaggio sonoro viene accuratamente selezionato perchè possa musicalmente
collaborare, perché ci possa essere un buon accordo tra l’interno e l’esterno della musica.
È proprio questo accordo che crea uno spazio in cui l’ascoltatore si trova attivamente immerso.
8. D – Ho visto in tuo scritto recente l’espressione “suono libero”, ma come può un suono essere libero o non libero?
R – Quando dico suono libero intendo un suono privo di qualsiasi connotazione culturale e storica, che non ricordi né
questo né quello: mai sentito prima.
Un suono libero non esiste già, ma viene inventato dal compositore volta per volta in base alle sue esigenze
espressive. Chiaramente ciò è possibile solo con mezzi elettronici.
9. D – Pensi realmente che la maggior parte della musica di oggi sia uno strascico del periodo classico-romantico?
R – Credo proprio di sì. Sebbene si scrivano nuove musiche, i riferimenti culturali formali e tecnici restano gli stessi.
Ogni nuova composizione è (nel migliore dei casi) un contributo a quel tipo di linguaggio, lo arricchisce e lo
approfondisce, ma il problema della musica di oggi non è più di linguaggio. Il grande compito della musica di oggi è
quello di ristabilire un rapporto con il mondo, con la gente.
Che interesse può avere il fatto che in una composizione si sia impiegata una tecnica o un’altra, quando non c’è più chi
l’ascolta?
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10. D – Il luogo dove si ascolta la musica è veramente così importante?
R – Dobbiamo pensare che l’ascolto diretto della musica è una cosa totalmente artificiale; questo avviene soltanto in
cuffia. Normalmente la si ascolta in un luogo, al chiuso o all’aperto e allora le sue caratteristiche fisico-ambientali
contribuiscono sensibilmente al risultato finale. Non esistono luoghi totalmente neutri. Persino le sale da concerto più
famose o i grandi teatri lirici aggiungono o tolgono qualcosa alla musica.
A proposito, si pensi per quanti secoli la musica si è servita dei lunghi tempi di risonanza delle cattedrali.
11. D – Il “senza inizio e senza fine” della tua musica, potresti spiegarlo meglio?
R – La musica ha un inizio quando afferma qualcosa. Nella maggior parte dei casi un tema svolge questa funzione. Un
tema è un nucleo formato da una sequenza di altezze temporalmente orientate. Esso contiene già in sé i possibili
sviluppi della forma che la composizione assumerà. Questi potranno seguire diversi andamenti, ma rimangono
comunque traiettorie che da un punto di partenza giungono ad un punto d’arrivo. Diversamente, quando una
composizione non afferma nulla, e quindi non ha una direzione temporale, non ha né inizio né fine. (Chiaramente non
mi riferisco all’inizio o alla fine di tipo fisico.)
Inoltre, e questo ritengo sia importante, una musica che afferma è narrante e per questo richiede attenzione verso se
stessa: sta narrando. Per converso, quando non è narrante, senza storie da raccontare, l’attenzione si sposta verso la
relazione che essa ha con l’ambiente che la circonda, in cui anche l’ascoltatore è immerso.
12. D – Insisti molto sull’ascolto. Credi che questo aspetto fondamentale del processo musicale sia quello meno curato?
R – Ascoltare sembra la cosa più naturale che ci sia, ma non è così. Anzi, credo siano veramente poche le persone che
lo sanno fare. Mettersi all'ascolto attivo, e questo vale non soltanto per la musica, significa disporsi a condividere
tensioni, emozioni e sentimenti con la musica e con il mondo. Ciò deve essere fatto con attenzione e concentrazione. Il
vero ascolto non è mediato da filtri culturali o idee preconcette, il vero ascolto è sempre nuovo perché non condizionato
dal già acquisito. Quindi ascoltare è fluire direttamente nello stesso fluire delle cose.
13. D – Nella situazione attuale, dove non esistono luoghi deputati all’ascolto della musica elettroacustica, il compositore ha
la responsabilità del come e del dove far ascoltare la propria musica?
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R – La musica elettroacustica (soprattutto nel caso dei lavori più avanzati) non ha alle spalle organizzazioni come
un’orchestra, sale da concerto, editori, importanti case discografiche ecc. Questo fa sì che i compositori si trovino di
fronte ad una precisa alternativa: o presentare i loro lavori presso organizzazioni esistenti, nate per altri tipi di musica,
oppure prendersi anche la responsabilità del dove e del come far ascoltare le proprie musiche. Questo avviene
normalmente nelle arti visive attuali.
14. D – “Ora, di terra” è il titolo di una tua composizione che descrivi come il “…frutto di un elaborato intreccio
contrappuntistico che esalta la trasformazione delle singole voci ed in particolare la loro plasticità”. In che senso usi il
termine contrappunto?
R – Lo uso in senso stretto di punctum contra punctum, pur non impiegando tecniche rigorosamente imitative. Al loro
posto impiego una tecnica originale (comporre nel suono) che lo stesso disciplina l’andamento delle singole voci sia nel
loro sviluppo orizzontale sia in quello verticale, della tessitura. Ne risulta quindi un reale contrappunto a più voci dove
però il timbro di ognuna non è costante, ma continuamente variabile e dove le relazioni frequenziali che le regolano
fanno riferimento ad un sistema musicale formato da cinquantatre intervalli per ottava.
15. D – Cosa ti spinge a rendere coscienti le persone che esistono anche altri modi d’ascolto?
R – l’ascolto è un modo formidabile per conoscere e per metterci in relazione con il mondo. Imparare che esistono altri
modi per ascoltare, oltre quello che pratichiamo con la musica tradizionale, amplia il nostro rapporto con ciò che ci
circonda.
Ma c’è anche un’altra ragione più musicale. I miei lavori, per come sono concepiti, hanno la possibilità di accogliere la
vita che esiste al loro esterno (e non soltanto quella sonora), sotto forma di scambio continuo: la musica entra a far
parte dell’ambiente e viceversa e per cogliere questo occorre saper ascoltare in modo integrale
16. D – Parli molto più spesso di suono che di musica, com’è mai?
R – Il suono è il fondamento di qualsiasi tipo di musica.
In molti casi mi sento più a mio agio parlando di suono perché quando si parla di musica si pensa solamente a Mozart,
Beethoven o Verdi; ormai il collegamento musica-compositori classico romantici è così automatico che raramente viene
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in mente la musica trecentesca o quattrocentesca di Machaut, Ockeghem, Dufay.
Ma c’è evidentemente un’altra ragione. Nei miei lavori il suono è già la composizione e non la sua minima parte da
mettere insieme ad altre per comporre il brano musicale. Io compongo nel suono e non con i suoni e quindi sono molto
più vicino al suono che alla “musica”.
17. D – Esistono delle procedure musicali tradizionali che si possono ritrovare nel tuo modo di comporre?
R – Direi di si, quella della trasformazione continua, per esempio, dove il materiale musicale passa da uno stato ad un
altro costantemente. Quella della variazione non mi interessa perché non mi interessa avere un punto di partenza, o un
tema, rispetto al quale sviluppare, in ritorni successivi, una serie di varianti. Come non mi interessa l’idea di “figurasfondo”, di melodia con accompagnamento o solista e orchestra. Queste ultime procedure sono lontanissime dal
comporre nel suono.
18. D – Suoni lunghi o, come una volta si chiamavano, “Fasce”. Ecco, mi sembra che la tua musica sia fatta soprattutto da
fasce. Perché non usi anche suoni brevi e più silenzi?
R – Le “fasce”, nella musica elettronica degli anni sessanta-settanta, venivano fatte per sovrapposizioni successive di
suoni. L’uso di questa tecnica era dettato dal desiderio di trovare un modo proprio della musica elettronica, lontano da
quello strumentale, e anche da una certa difficoltà ad articolare i suoni con mezzi elettronici ancora molto rudimentali.
Peculiare, invece, al mio modo di lavorare non è sovrapporre suoni, ma far emergere la composizione dal sistema che
la sottende (come fossi uno scultore) attraverso lente esplorazioni successive della “materia” (intervalli, proporzioni),
costruendo così, con ogni composizione, una delle infinite facce del sistema.
19. D – Come nasce una tua composizione? Ti ispiri a qualcosa? A che pensi nel momento in cui ti accingi a realizzare un
nuovo lavoro?
R – Con una sola risposta penso di poter soddisfare tutte e tre le domande. Come accade a molti artisti, una volta
trovato un cammino si continua a percorrerlo anche senza sapere dove questo porterà. L’importante è seguitare a
costruire la strada per andare. Un verso del poeta spagnolo Antonio Machado esprime magnificamente questo
concetto: Caminante, no hay camino, se hace camino en el andar. Caminante, no hay camino, sino estelas nel mar.
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Una volta intrapreso un cammino, alla fine di ogni nuova composizione si presenta un duplice risultato. Da una parte ciò
che ha musicalmente funzionato e dall’altra quello che invece non ha funzionato. Ciò che ha funzionato diviene parte
della tecnica del compositore, mentre quello che non ha funzionato è lo stimolo per continuare a provare ancora.
20. D – Da tempo il futuro della musica non è più in discussione tra i compositori, eppure l’idea di cercare quello che ancora
non c’è e che forse ci sarà è sempre stato uno stimolo fondamentale per il progresso umano. Credi che un periodo
così potrà durare a lungo?
R – Direi (polemicamente) che da anni non è più necessario immaginare un futuro della musica. Non se ne sente la
necessità perché la tecnologia elettronica ha già pensato a tutto: metterci a disposizione il già pensato.
È molto semplice. Basta comprare un computer, un programma e tutto è già pronto. Si dovrà soltanto sovrapporre
qualche suono ad un altro e la composizione è fatta.
Andando avanti di questo passo, è facilmente prevedibile che la musica del futuro (ma già ora è così) sarà totalmente
indifferenziata; è lo stesso fenomeno che sta accadendo per l’arredamento delle case: avremo tutti esattamente gli
stessi mobili, forniti da alcune grandi compagnie che pensano per noi.
Ma la cosa sconvolgente è che nell’aria non c’è il minimo senso di ribellione, sembra non ci siano più sogni: il che vuol
dire che va bene così.
Questa situazione sta portando verso una grande stasi culturale che è, poi, regressione o imbarbarimento.
Quando John Cage (nel 1952) ci ha messi di fronte a 4’33”: una composizione che ha avuto la forza di portare al
silenzio e quindi a concludere un periodo della storia della musica, la reazione della maggior parte dei compositori non
è stata quella di pensare se un futuro sarebbe stato ancora possibile, ma semplicemente quella di non affrontare il
problema: anche allora si scelse di non pensare, ma di intraprendere il già pensato, questa volta dalla storia.
(Gennaio 2009)
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