Escatologia e apocalittica Le letture iniziali dell'Avvento delineano una prospettiva escatologica, nell'attesa della venuta di Cristo alla fine dei tempi e del giudizio definitivo di Dio sulla storia e sul cosmo. Questi testi possono essere messi in relazione con il cosiddetto genere "apocalittico": nell'AT esso è rappresentato da alcuni profeti, come Daniele e Zaccaria; nel NT da sezioni in ciascuno dei vangeli sinottici (Mt 24-25; Mc 13; Lc 21) e da pagine apocalittiche presenti nell'epistolario. Il messaggio viene trasmesso con un linguaggio simbolico che ha bisogno di essere decifrato e interpretato. Il tema della παρουσία, parousía caratterizza l'inizio e la fine dell'anno liturgico, a modo di inclusione. Ogni volta che la Chiesa celebra l'Eucaristia acclama: «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta». Nella Preghiera eucaristica III, dopo la consacrazione, il sacerdote prega: «Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio puro e santo». In maniera analoga di dice anche nella Preghiera eucaristica IV. Nell'embolismo dopo il Pater il sacerdote recita: «nell'attesa che si compia la beata speranza (cf Tt 2,13) e venga il nostro salvatore Gesù Cristo». Maranathà in aramaico può essere interpretato sia come imperativo: Marana’ tha’, μαράνα θά «Signore vieni!» (1Cor 16,22; Ap 22,20), sia come perfetto: Maran ‘atha’, Μαρὰν ἀθά. In questo caso, date le diverse accezioni possibili del perfetto semitico, può essere inteso nel senso: «Il Signore viene», oppure: «Il Signore è venuto», come confessione conclusiva della celebrazione eucaristica. La Chiesa vive in prospettiva escatologica, protesa verso l'avvento glorioso del Signore. La venuta finale di ὁ ἐρχόμενος «colui che viene» rappresenta il compimento definitivo della storia della salvezza in atto nella liturgia e nell'intera vita della Chiesa. L'escatologia (ἔσχατος, éschatos = ultimo + λόγος, lógos discorso) è la riflessione teologica sulle «ultime cose», sulla fine della storia e la venuta definitiva di Cristo (παρουσία, parousía). Per Karl Rahner (teologo tedesco gesuita, 1904-1984) l'escatologia è il problema dell'avvenire. Un «futuro senza avvenire» è una condanna a morte. Escatologia è il coraggio di guardare all'eternità. Jacque Maritain (1882-1973) parlava di una stagione in cui l'attenzione alle «cose ultime» sembrava effettivamente scemata in confronto alle urgenze delle questioni "penultime". 1 Oggi non è più così, c'è anzi uno straordinario ritorno di interesse alla questione del senso ultimo della vita e della storia, e quindi anche una rinnovata riflessione sui temi dell'escatologia. L'«Apocalittica» è un genere letterario riconosciuto agli inizi dell'Ottocento (K.I. Nitzsch, pron. Niec, 1822, filologo), prendendo il nome dalla prima parola dell'Apocalisse giovannea (ἀποκάλυψις, apokálypsis), che significa «rivelazione». L'Apocalisse è divenuta così un punto di partenza per classificare sotto il concetto-ombrello di «apocalittica» scritti antichi del giudaismo, del cristianesimo e dell'ellenismo. Ascendenze dell'apocalittica. Le ascendenze dell'apocalittica sono state ravvisate nella profezia postesilica (P.D. Hanson), nella letteratura sapienziale (G. von Rad), nello zoroastrismo persiano conosciuto in epoca esilica o postesilica (M. Rist), nella profezia accadica di epoca seleucide (A.K. Grayston), nella cultura babilonese (J.C. vanderKamm) e in quella egizia (P. Sacchi, A. Loprieno). Tratti apocalittici di religioni e letterature extragiudaiche sono: la lotta dualistica tra luce e tenebre, tra angeli e demoni (religione persiana), visioni e sogni (letteratura assira, ambiente babilonese, letteratura persiana), fede nella risurrezione (religione persiana), viaggio oltremondano (letteratura assira, religione persiana, mondo ellenistico-romano), profezia politica (Egitto, letteratura accadica), fede nell'immortalità (Egitto, mondo ellenistico-romano), segni e misteri e loro interpretazione (ambiente babilonese), interesse per il movimento dei corpi celesti (tradizione babilonese), vaticini ex eventu, antedatazione e pseudepigrafia (letteratura accadica). In tutti questi casi si può parlare solo di contatti di dettaglio, mentre la vera e propria apocalittica che ci interessa inizia con la letteratura enochica. La vera riscoperta del Libro di Enoch avvenne a fine XVIII secolo. Nel 1773, al suo ritorno da un viaggio in Abissinia (attuale Etiopia), il viaggiatore scozzese James Bruce portò con sé in Europa 3 copie di un libro scritto in lingua ge'ez (antica lingua semitica, oggi estinta, parlata nell'Impero d'Etiopia dal V sec. a.C. al XIV sec. d.C.). Una copia fu venduta alla Biblioteca Bodleiana dell'Università di Oxford, un'altra alla Regale Libreria di Francia (attuale Bibliothèque Nationale de France), mentre la terza copia fu conservata dallo stesso Bruce. Lo scritto chiamato 1Enoch (o Libro di Enoch etiopico) è la raccolta di cinque scritti apocalittici, ovviamente pseudepigrafici perché attribuiti all'Enoc antidiluviano, che «scomparve perché Dio l'aveva preso» (Gn 5,24). I frammenti in aramaico di quest'opera trovati a Qumran collocano la stesura delle più antiche apocalissi enochiche nel secolo IV a.C.: si tratta del Libro dei vigilanti (1Enoch 6-36) e del Libro dell'astronomia (1Enoch 72-82). Queste due apocalissi hanno come tema centrale lo sconvolgimento dell'ordine cosmico provocato dal peccato degli angeli ribelli e annunziano il giudizio finale. Altre due apocalissi incorporate in 1Enoch sono da collocare in epoca maccabaica dal momento che nei loro lunghi resoconti storici giungono fino a Giuda Maccabeo: sono l'Apocalisse delle settimane o Epistola di Enoch e il Libro dei sogni, o Apocalisse degli animali, perché presenta i protagonisti della storia con il simbolismo teriomorfo di tori, pecore, lupi, cinghiali, leoni, tigri e corvi (1Enoch 83-90). Allude all'epoca maccabaica anche l'apocalisse dei capp. 7-12 del biblico libro di Daniele, le cui tre visioni (Dn 7, 8, 10-12), mediate da un angelo interprete, annunziano il giudizio di condanna per gli empi e di salvezza per gli eletti di Dio. La produzione apocalittica giudaica continuò in epoca cristiana con il Libro delle parabole (in pratica tre discorsi), conservato in 1Enoch 37-71, il cui protagonista è un misterioso Eletto o Figlio dell'uomo che svolgerà compiti messianici. Poi, a drammatico commento della distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. furono composte le apocalissi attribuite a Esdra (4Esdra) e a Baruc (2Baruc). 2 Apocalittica è la predicazione di Giovanni il Battista: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente?» (Mt 3,7). Gesù ha parlato di sé con il titolo di «Figlio dell'uomo» che viene «sulle nubi del cielo» (Mt 25,30). Nei vangeli sinottici grande rilievo ha il discorso escatologico riportato prima del racconto della Passione e che si potrebbe meglio definire «apocalittico». Il vangelo di Marco non è mai stato definito come apocalisse, ma contiene un capitolo (Mc 13) abitualmente definito «apocalisse» marciana o sinottica. Paolo cerca di spiegare ai tessalonicesi la sorte di «coloro che sono morti» e gli eventi precursori della parusia del Signore (1Ts 4; 2Ts 2); ai corinzi spiega la risurrezione dei morti (1Cor 15) e lo fa con pagine in cui risuonano la voce dell'arcangelo e lo squillo dell'ultima tromba e nelle quali si annunzia l'annientamento della morte quale ultimo nemico (15,26). Infine, gli autori di 1-2Pietro e della Lettera agli Ebrei annunziano la conflagrazione finale in cui i cieli saranno dissolti, l'avvento di cieli nuovi e terra nuova (2Pt 3,13) e un regno che non crolla (Eb 12,28). L'Apocalisse di Giovanni, unico libro apocalittico del NT, è il capolavoro di tutta la letteratura apocalittica, non solo cristiana. Visioni, rivelazioni, libri celesti e angelo interprete figurano nel Pastore di Erma (Ποιμήν τοῦ Ερμά; Haermae Pastor: testo paleocristiano di genere apocalittico, composto nella prima metà del II secolo), apocalisse cristiana che non è stata inclusa nel canone e che si compone di tre parti: cinque visioni, dodici precetti e dieci similitudini. Il Pastore di Erma annunzia come imminente una grande tribolazione che porterà la Chiesa a rinnovarsi: l'intento è soprattutto quello di esortare alla penitenza i cristiani del tempo. Anche molti apocrifi cristiani si presentano come rivelazione mediata da un essere celeste: l'Apocalisse di Pietro (del 135 d.C. circa), il Libro di Elcasai (libro sacro degli Elcasaiti, un gruppo di Ebioniti gnostici fiorito nel III secolo). Altre apocalissi appartengono invece alla tipologia del «viaggio celeste». Come dice il titolo, l'Ascensione di Isaia (pervenutoci in greco su redazione definitiva di inizio II secolo d.C.) narra il viaggio di Isaia attraverso i sette cieli fino ad arrivare al settimo, dimora di Dio, dove il profeta riceve la rivelazione dei misteri divini riguardanti il Messia atteso. Narrano viaggi oltremondani anche le apocalissi «di Esdra» [3Esdra o 4Esdra (dicitura cattolica) 2Esdra (dicitura protestante) apocrifo dell'AT (V secolo a.C.) scritto in greco], «della Vergine Maria» (pervenutaci in etiope. Riadattamento dell'Apocalisse greca di Paolo. Probabilmente deriva da una versione araba, a sua volta derivante da una greca del IX secolo), «di Giacomo» (rivelazione tra Gesù e Giacomo il Giusto, suo "fratello", del II-III sec. d.C.). Fra queste ultime merita una particolare menzione l'Apocalisse di Paolo (conservata in latino e diversa da quella greca gnostica del III secolo) perché è citata da Dante a introduzione del proprio viaggio ultraterreno in quella apocalisse medievale che è la Divina commedia. Scrive Dante Alighieri (Firenze 1265 Ravenna 14.09.1321), alludendo a Paolo per mezzo dell'epiteto di At 9,15: «Andòvi poi lo Vas d'elezione / Per recarne conforto a quella fede / Ch'è principio a la via di salvazione» (La divina commedia. Inferno 2,28-30). Dopo il primo accostamento ottocentesco all'Apocalisse giovannea con scritti giudaici dai tratti simili, a metà del secolo A. Hilgenfeld (1857) parlò dell'apocalittica giudaica come di una sorta di «preistoria» del cristianesimo. Ernst Käsemann (1906-1998, luterano tedesco, docente di NT) definì l'apocalittica come inizio (Anfang) della teologia cristiana o «madre di ogni teologia cristiana» (Die Anfänge der christlichen Theologie, affermazione pronunciata nella famosa conferenza di Marburgo del 1953 su Il problema del Gesù storico, in opposizione a K. Barth (1886-1968) e a R. Bultmann (1884-1976). Si è precisato poi che i tratti apocalittici neotestamentari non sono mai autonomi ma sempre finalizzati alla cristologia, e che, nonostante le numerose pagine apocalittiche del NT, genere letterario dominante nel NT è il vangelo o la lettera, non quello apocalittico. 3 Anche Paolo parla della sua esperienza cristiana e del suo apostolato a partire dall'ἀποκάλυψις «rivelazione» del vangelo e di Cristo che Dio si è compiaciuto di concedergli sulla via di Damasco (Gal 1,12.16). Egli parla anche di visioni e rivelazioni, precisando di essere stato rapito al terzo cielo e di avervi udito cose indicibili (2Cor 12,1-4.7). Più volte poi fa ricorso a immagini apocalittiche per parlare della parusia del Signore, della fine della storia o della finale conversione degli israeliti, a volte dicendo di rivelare un «mistero» (1Cor 15,51; Rm 11,25). Fa parte del pensiero apocalittico anche il dualismo paolino descritto come mondo presente e nuova creazione o uomo vecchio e uomo nuovo. In particolare, Paolo è in continuità con la letteratura apocalittica ed enochica nella concezione del peccato: per Paolo il peccato (ἁμαρτία, hamartía, al singolare) precede le trasgressioni dei singoli, ha carattere di universalità perché «tutti sono peccatori», e, personificato, entra nel mondo, vi regna da tiranno e schiavizza gli esseri umani che ne sono tenuti come in carcere. Ciò che la letteratura enochica diceva del peccato angelico, Paolo lo attribuisce al peccato adamico perché Adamo è antonimo più appropriato del Cristo che non gli angeli ribelli. J. Kallas (1967) osserva che nell'Apocalisse giovannea manca il dualismo e il pessimismo apocalittico in quanto Dio vi agisce sovranamente, mentre satana c'è solo per mettere in risalto la sua onnipotenza; in secondo luogo, perché nei sette messaggi di Ap 2-3 e nei sette sigilli di Ap 6-8 la sofferenza è mandata dal Cristo alle Chiese come punizione della loro infedeltà, mentre nell'apocalittica la sofferenza è intollerabile dal momento che proviene da Antioco IV Epifane o da chi gli somiglia, e quindi dalle forze avverse e nemiche di Dio. All'Apocalisse mancano invece i tratti apocalittici della pseudonimia e dell'antedatazione, dal momento che l'autore si dichiara contemporaneo dei suoi lettori e dice di dover comunicare con urgenza il suo messaggio, non di doverlo mettere sotto sigillo. Per E. Lupieri l'Apocalisse dipende dalla letteratura enochica, anzitutto per la duplice punizione di figure angeliche (due Bestie e il Drago) con periodo intermedio (il millennio), poi perché il veggente è intermediario tra Dio ed esseri angelici; con le parole «il sangue fino alle briglie dei cavalli» (Ap 14,20) cita «il sangue fino al petto del cavallo» di 1Enoch 100,3, e infine per la presenza di «Enoch» in coppia con Elia in Ap 11, anche se con attributi mosaici (v. 6b). La formula «Non si sono contaminati con donne» di Ap 14,4 è una allusione al peccato degli angeli vigilanti della letteratura enochica. Il genere letterario apocalittico si riconosce perché annuncia «la salvezza escatologica e presuppone la credenza in un mondo soprannaturale». Un'apocalisse «è destinata a un gruppo in crisi e l'intento è quello di esortare e di consolare con il ricorso all'autorità divina». Elementi caratteristici di un'apocalisse: l'interagire tra mondo soprannaturale e storia umana, il frequente protagonismo di angeli e demoni, la descrizione di sconvolgimenti cosmici, l'antedatazione e la conseguente finzione pseudepigrafica, il ricorso a numeri simbolici, visioni, sogni, vaticini ex eventu che conferiscono autorità al messaggio, e la rappresentazione in immagini teriomorfe dei protagonisti umani e più che umani degli eventi. L'ideologia degli scritti apocalittici si colloca sul prolungamento di quella profetica, che annunciavano un'era felice come conclusione della tormentata vicenda umana: una nuova creazione. Nutre pessimismo nei confronti del mondo presente, tutto posto sotto il potere del maligno (1Gv 5,19). Connessi all'attesa del mondo nuovo sono le credenze nella risurrezione e nel giudizio, e talvolta anche l'attesa di un regno felice, instaurato sulla terra dal Messia per i giusti. Al genere e al dualismo dell'apocalittica si ricorre quando si vive in uno stato di particolare alienazione per il proprio difficile rapporto con l'ambiente o sotto l'oppressione di una potenza esteriore. Il gruppo apocalittico può allora chiudersi in un suo subuniverso, oppure costruirsi un suo controuniverso, oppure un universo alternativo. All'incapacità di dare senso alla 4 storia umana viene in aiuto la rivelazione dei piani divini concessa al veggente, e all'impotenza di fronte al mistero dell'iniquità (2Ts 2,7) vengono in soccorso la potenza e la giustizia di Dio, soprattutto con il giudizio e la ricompensa escatologica. Nelle fasi più recenti dell'apocalittica acquistano sempre più importanza figure superumane di mediatori, giudici e salvatori (Melchisedec, il Figlio dell'uomo; Hekalot nella Cabalà [in ebraico Qabbaláh] sono i palazzi celesti a cui si ha accesso per concessione divina), si afferma che sarà un intervento dall'alto a porre rimedio alla degenerazione universale e alla forza di satana, si precisano la credenza e l'immagine di inferno e paradiso, e ci si domanda se l'anima possa purificarsi anche dopo la morte. 5