Di marca o generico

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www.altroconsumo.it | 113 | dicembre 2014 | supplemento di Altroconsumo n° 287
salute
Panettone? Non solo
Gioie e dolori dei dolci natalizi
Di marca o generico
Uno lo paghi,
l’altro no
Fai bei sogni
Insonnia: istruzioni per l’uso. Test
sugli integratori di melatonina.
Paura di Ebola
Restiamo ragionevoli: dalle parole
degli esperti la verità sul rischio.
Vapore in casa
Guida alla scelta dell’umidificatore,
d’inverno più utile di tanti farmaci
Anno XX - Altroconsumo, via Valassina 22, 20159 Milano - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003
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2014
Dicembre
09 10
113
I nostri obiettivi sono l’informazione, la difesa e la
rappresentanza dei consumatori. Non abbiamo pubblicità.
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18
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e l’abbonamento alle nostre riviste, che non contengono
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via Zanica 92, 24126 Bergamo
2 testsalute 113
Massimo Galli,
professore ordinario
di Malattie Infettive
all’Università di Milano
16 18
22 30
Diritto alla salute
04
09
10
PRIMO PIANO
Antivirali inefficaci • Rischio in
ospedale • Semaforo in etichetta
• Bella multa • Stop ai parabeni •
Non rassegnarti • Meglio a mano
• Più silenzio in città • Ritratto
al naturale • Attenzione a... •
Nessun miracolo • Fuori dal frigo
• Difese reali o immaginarie?
RICOTTA L’alternativa leggera in
piatti dolci e salati.
FARMACI GENERICI Se non li
scegli, il Servizio sanitario risparmia, ma tu ci rimetti. Sai perché?
LA PAURA DI EBOLA È doveroso
impegnarsi per combatterla, ma
l’allarmismo è controproducente.
18
FECONDAZIONE ASSISTITA Le
novità, dopo le ultime sentenze, e
i problemi che rimangono aperti.
CONTRO L’INSONNIA Se
il problema è legato al ciclo
sonno-veglia, può essere utile la
melatonina.
26
ARIA PIÙ UMIDA Umidificare la
casa è un’alternativa all’assunzione di farmaci molto pubblicizzati.
29
PANETTONE E PANDORO
Quante calorie e quanti grassi
contengono i dolci natalizi?
30
CONTROLLARE L’ACNE Non
bisogna credere ai miracoli
decantati da molti cosmetici.
34
CURE PER LA VITA Per tutelare
la qualità della vità e la dignità di
chi soffre di un male inguaribile.
38
Rosanna Massarenti
Direttore
ARTICOLI
16
22
I farmaci
non sono merci
LETTERE
Gli effetti dei tagli • Tappi chiusi •
Sale iodato: sì o no? • Alluminio,
quale lato?
Per
le scelte
mediche
non si
possono
applicare
pure
logiche
di profitto
Meno male: grazie alle moltissime proteste, tra cui le
nostre, la supervisione a livello europeo di farmaci
e dispositivi medici è tornata sotto il controllo della
Direzione generale per la salute e i consumatori. Una
vittoria per i cittadini.
Se la competenza fosse rimasta all’Industria, come
annunciato tra le prime misure del nuovo presidente della
Commissione europea, Jean Claude Juncker, la decisione
sarebbe stata nefasta, nello spirito e nella pratica. Prima di
tutto perché si sarebbe operato in pieno conflitto di interessi:
l’organo che decide se mettere o no in commercio i farmaci
non può stare sotto la giurisdizione di chi quei farmaci li
produce. Poi, perché avrebbero prevalso nettamente le
logiche di mercato, mentre i farmaci non sono e non devono
diventare beni di consumo e compito delle politiche europee
è prima di tutto promuovere e proteggere la salute dei
cittadini. Si è così risottolineato il legame etico tra farmaci e
diritto alla salute e il fatto che ogni scelta medico-sanitaria
deve sempre essere portata avanti nell’esclusivo interesse
di questo diritto fondamentale. Che, declinato nella pratica,
significa farmaci e trattamenti di alta qualità, sicuri ed
efficaci, a prezzi accessibili.
Ciò non toglie che le case farmaceutiche abbiano tutto il
diritto di fare utile e diventare concorrenziali, ma all’interno
di un sistema di regole che non le avvantaggi e ne controlli
l’operato e le strategie commerciali, a volte troppo disinvolte.
Per garantire che ciò avvenga, oltre all’indirizzo politico
dell’Unione e dei singoli Stati, è di importanza fondamentale
anche il lavoro di indagine, di monitoraggio del mercato e di
informazione, svolto in totale indipendenza.
Ci sono bollettini scientifici slegati dall’industria e rivolti al
personale medico che lo fanno seriamente da anni e riviste
come quella che avete tra le mani, rivolta ai cittadini per
aiutarli a rimanere in salute, a evitare prodotti (e spese)
inutili, a scegliere cure e farmaci appropriati. Abbiamo
rinnovato la veste grafica per rendere ancora più facilmente
fruibili le informazioni e gradevole e semplice la lettura.
Ma i valori di fondo non cambiano, anzi in tempi di crisi
economica, in cui si stanno anche mettendo in discussione
i diritti dei cittadini e aumentano le disuguaglianze nella
possibilità di accesso alle cure, manteniamo ancora più alta
la nostra soglia critica.
113 testsalute 3
Primo piano
salute
4 testsanté 000
IN
CORSIA
OGNI
GIORNO
RISCHI
L’1%
IN PIÙ
Antivirali per l’influenza
INEFFICACI
Scoperchiato il calderone: non è mai esistita alcuna prova
che l’antivirale Tamiflu riduca il rischio di complicazioni
gravi né di ospedalizzazione. Peccato che intanto siano
stati sprecati decine di milioni per farne scorte inutili.
La costanza di un pugno di ricercatori ha portato alla luce
la verità, ma bisogna cambiare le regole del gioco.
Al massimo, riduce la durata dei sintomi di mezza giornata. Ma
non ci sono prove che l’oseltamivir (Tamiflu), riduca né i ricoveri
in ospedale né le complicazioni gravi conseguenti all’influenza.
Come si era invece creduto, anche a causa di articoli pubblicati
su riviste scientifiche prestigiose. Al punto che nel 2009, ai tempi
dell’allarme sull’influenza suina - poi ampiamente rientrato
- in tutto il mondo si sono acquistate grandi scorte di questo
inutile farmaco. La verità è stata accertata dalla Cochrane
Collaboration, un’organizzazione internazionale di ricercatori
indipendenti, quando finalmente è riuscita, dopo quattro anni
di insistenti richieste, a farsi consegnare dalla casa farmaceutica
Roche tutti i dati sperimentali, anche quelli mai pubblicati,
per analizzare le prove in modo completo. Il risultato? L’efficacia
del Tamiflu si appoggiava su dati parziali, solo in parte resi
noti su riviste scientifiche, a volte accreditati ad autori in realtà
estranei agli studi. È il momento di cambiare le regole: tutti gli
studi clinici devono essere resi pubblici, fin da subito.
Per ogni giorno in
ospedale, la
probabilità di
essere colpiti da
un’infezione
provocata da un
batterio resistente agli antibiotici
aumenta dell’1%.
Lo documenta
uno studio che
ha esaminato gli
episodi di
infezioni da
batteri (come
Escherichia coli,
Pseudomonas
aeruginosa e
altri) resistenti a
tre antibiotici che
si sono verificati
tra il 1998 e il
2011 in ospedale.
I ricercatori
hanno concluso
che esiste una
forte relazione tra
il tempo in
ospedale e il
rischio: a 10
giorni dal
ricovero l’incidenza era arrivata
fino al 35%.
Bocciato dall’UE
SEMAFORO
IN ETICHETTA
È molto utile per dare
indicazioni
a chi fa la spesa,
ma alla Commissione
proprio non va giù.
È un’indicazione chiara - rosso troppo,
giallo così così, verde via libera - su grassi,
zuccheri e sale, che ci informa sui nutrienti
che mettono più a rischio la nostra salute.
Complimenti dunque al Dipartimento
per la Salute inglese, che ha introdotto
(ma non reso obbligatori) i semafori
nutrizionali sulle confezioni. Ma, mentre
molti grandi supermercati dichiaravano
di volerlo adottare, a mettere il bastone
tra le ruote è l’Unione europea, che evidentemente per motivi commerciali
- ha annunciato una procedura di
infrazione contro il Regno Unito. A noi
i semafori piacciono, li usiamo anche
nella nostra banca dati sulle merendine
(www.altroconsumo.it/alimentazione). Ci
batteremo in tutte le sedi per difenderli.
Immun’Age
Cosmetici più sicuri
BELLA
MULTA
Stop ai
parabeni
Non puoi spararle
troppo grosse e
farla sempre
franca. L’Autorità
garante della
concorrenza e del
mercato ha
condannato la
società produttrice
di Immun’Age, un
integratore
alimentare alla
papaya, al
pagamento di una
multa di 250.000
euro. La pubblicità
ripete più volte che
l’integratore è
efficace contro
alcune gravi
malattie tra cui
Alzheimer e Morbo
di Parkinson.
Non bevetevela.
L’integratore può
vantare solo tre
azioni: “Favorisce
le naturali difese
dell’organismo”,
“antiossidante” e
“funzione digestiva”.
Definitivamente proibiti
alcuni conservanti, migliori
regole per altri
Cinque conservanti proibiti Dal 2014 l’Unione europea
ha messo definitivamente al bando cinque parabeni,
conservanti utilizzati nei cosmetici. Sono questi:
isopropylparaben, isobutylparaben, phenylparaben,
benzylparaben e pentylparaben.
E altri due regolamentati meglio Entro la metà del
2015 dovranno essere abbassate le concentrazioni di
propyl e butylparaben da 0,4% a 0,14%; questi due non
potranno inoltre essere usati nei prodotti senza risciacquo
applicabili all’area pannolino in bambini sotto i tre anni.
In aggiunta, noi consigliamo di evitarli nei prodotti che non
si risciacquano e restano a lungo a contatto con la nostra
pelle (creme per il corpo, burro di cacao e simili).
Un passo avanti, che tra l’altro ci conferma quanto sia
priva di senso la scritta “senza parabeni” ostentata
da alcuni cosmetici: i parabeni non sono tutti uguali.
In particolare due conservanti di questa famiglia methylparaben e ethylparaben - sono ritenuti accettabili
nelle dosi consentite dalla legge.
113 testsalute 5
Problemi di urgenza
Non
rassegnarti
No all’assorbente, no a un farmaco: il primo passo per
sconfiggere l’incontinenza urinaria è rafforzare i muscoli
del pavimento pelvico con esercizi mirati. E funziona.
Capita spesso e non c’è niente di cui vergognarsi. La difficoltà
a trattenere la pipì, più comune nelle donne in età intorno alla
menopausa, è diffusa e può prendere due forme.
Una è la incapacità di trattenere la pipì quando si fa un’attività
che aumenta la pressione interna dell’addome, come ridere
o tossire (“incontinenza da sforzo”). L’altra è l’insorgere di
un bisogno improvviso e urgente di urinare (“incontinenza
da urgenza”). In entrambi i casi, non bisogna cedere ai
suggerimenti interessati delle pubblicità, che fa leva sulla nostra
insicurezza per suggerirci di acquistare pannolini deodoranti.
Il controllo della vescica si può riacquistare, attraverso la
riabilitazione del pavimento pelvico: questa consiste in una
serie di esercizi fisici di contrazione e rilassamento, da eseguire
secondo le indicazioni di una persona esperta che ci guidi
(in generale un fisioterapista). Ora le linee guida pratiche
dell’American College of Physicians indicano che il training
vescicale, gli esercizi per aumentare resistenza e tonicità del
pavimento pelvico, la perdita di peso, se necessario, e l’esercizio
fisico sono le opzioni più efficaci per il trattamento non
chirurgico dell’incontinenza urinaria femminile.
Per informazioni su dove fare il training, si può sentire il proprio
medico di base o il consultorio della propria zona. Dopo la
formazione, gli esercizi si possono fare anche a casa.
6 testsalute 113
I premi antirumore
Spazzolino
MEGLIO
A MANO
Per i bambini, è
meglio uno
spazzolino da
denti elettrico o
manuale? In linea
di massima, è
bene abituare i
bambini, fin da piccoli, a utilizzare in
modo corretto uno
spazzolino
manuale: più che
lo strumento,
infatti, è la tecnica
di uso che conta, e
in particolare la
corretta attenzione
alla durata, cioè
bisogna lavare i
denti per almeno
due minuti.
Lo spazzolino
elettrico è quindi
sconsigliabile
sotto i 6 anni,
mentre può essere
utile per chi ha
l’apparecchio.
PIÙ SILENZIO
IN CITTÀ
I vincitori
dell’European
Soundscape Awards
propongono una
iniziativa interessante
per rendere le nostre
vite meno rumorose.
Vivere in un ambiente rumoroso può
avere effetti molto negativi sulla salute,
fino a provocare disturbi gravi come
ipertensione e problemi cardiaci.
Particolare interesse ha quindi destato
il sistema proposto da un gruppo di
ricercatori greci per identificare il livello
di rumorosità delle diverse aree di una
città, meno costoso e complicato dei
metodi tradizionali. Invece che sulla
misurazione tramite apparecchi di
rilevazione del suono, il sistema si basa su
mappature già esistenti, che permettono
di individuare le fonti più a rischio di
rumore presenti nei diversi quartieri.
Più info sul sito dell’Agenzia ambientale
europea: www.eea.europa.eu.
Non farti ingannare
Ritratto
al naturale
Sulle confezioni dei cosmetici fioriscono frutti e fiori,
ma l’unica cosa che conta è la lista ingredienti:
dove spesso non ce n’è traccia o quasi.
Eccone un altro esempio: un burrocacao.
Un acquisto molto comune, all’arrivo dell’inverno, è il burrocacao, utile a proteggere le labbra - più vulnerabili - da freddo e
vento, che possono provocare irritazioni fastidiose. Per sceglierlo, non farti attrarre dalle illustrazioni presenti sulle confezioni
e nelle pubblicità. Come avviene per molti cosmetici e come
abbiamo spesso mostrato su queste pagine, molto spesso i prodotti naturali raffigurati in grandi dimensioni si trovano in quantità
molto limitata o addirittura sono del tutto assenti.
Un esempio tra i tanti è quello del nuovo burrocacao Labello, che
ostenta sulla confezione l’immagina della vaniglia e della noce
di macadamia: ma basta girare il prodotto e semplicemente
leggere la lista degli ingredienti per scoprire che né di vaniglia né
di macadamia c’è alcuna traccia, se non il profumo. Nonostante
la “naturalezza” ispirata dalla
confezione, questo burro
cacao contiene una buona
quantità di petrolati (si scopre facilmente verificando
che “paraffinum liquidum”
è in seconda posizione nella
lista, quindi secondo ingrediente per quantità), anche
se sono presenti ingredienti
vegetali come burro di karitè
e olio di mandorle. Tra gli
ingredienti non apprezzabili
si può segnalare anche un
conservante (BHT), che ha
un impatto ambientale molto
negativo ed è sospetto come
perturbatore endocrino
(ovvero può interferire con il
nostro sistema ormonale).
Attenzione a...
Farmaci a base di pseudoefedrina È stata
da poco pubblicata dall’Agenzia italiana
del farmaco una nota relativa ai prodotti da
banco usati per tosse, raffreddore e congestione nasale nonché allergia (eccone alcuni
nomi commerciali: Actifed, Actigrip, Reactine
e altri) e contenenti, tra gli altri principi attivi,
la pseudoefedrina: bisogna fare attenzione al
fatto che questa sostanza dà positività ai test
antidoping, in particolare coloro che svolgono attività sportive devono saperlo.
Profumatori per interni Meglio lasciar
perdere incensi, candele profumate, olii
essenziali da riscaldare e in generale qualsiasi
sistema per profumare l’aria di casa. Si tratta
di prodotti che emettono sostanze inquinanti,
che possono essere irritanti, allergeniche e
nei casi peggiori cancerogene. Per migliorare
l’aria di case, apri spesso le finestre e ricorri a
fiori, freschi o secchi, frutta o spezie.
Due ingredienti da evitare Hanno un nome
lungo, ma vale la pena controllare la lista
ingredienti dei cosmetici per identificarli:
parliamo di methylchloroisothiazolinone e
methylisothiazolinone, due conservanti il cui
mix è stato proibito nei prodotti che non si risciacquano, per il forte potere sensibilizzante.
Per le pelli particolarmente reattive, consigliamo di evitare questo mix anche nei prodotti
che si risciacquano. Inoltre, anche lasciando
da parte le allergie, i due conservanti sono
molto dannosi per l’ambiente acquatico.
113 testsalute 7
Un frutto come tutti
NESSUN
MIRACOLO
Le bacche di goji
sono di gran moda,
ma nessun effetto
particolare è provato.
Periodicamente, scoppiano delle manie:
una recente è quella delle bacche di
goji, che sono semplicemente i frutti
di un arbusto (Lycium barbarum) che
cresce in Tibet e Mongolia. Per motivi
oscuri, a queste bacche, lanciate sul
mercato a carissimo prezzo (anche se
in seguito, come sempre, il costo si è
ridimensionato), sono attribuiti poteri
salutistici di ogni tipo, in particolare
aiuterebbero l’organismo a mantenersi
giovane, preverrebbero tumori e disturbi
cardiaci, agirebbero contro i danni
dell’ossidazione... Nulla di tutto ciò è
basato su dati attendibili (un integratore
non può vantare effetti curativi). L’Agenzia
europea per la sicurezza alimentare (Efsa)
non ha ammesso slogan salutistici riferiti
alle bacche di goji. In pratica, come molta
frutta e verdura, se integrate in una dieta
equilibrata faranno anche bene. Ma non
c’è motivo per attendersi particolari effetti
sulla salute, tanto meno miracoli.
8 testsalute 113
Difese reali o
immaginarie?
5 alimenti
FUORI
DAL
FRIGO
1. PATATE Una
temperatura sotto
gli 8°C determina
l’accumulo di
zuccheri, facilitando la formazione di
acrilammide
durante la cottura
2. AGLIO In frigo si
accelera la
formazione del
germoglio
3. BANANE Al
freddo si anneriscono e rammolliscono più in fretta
4. PANE Diventa
raffermo prima
5. DADI DA BRODO
Sono ricchi di sale:
il frigo non serve
Sono tanti gli alimenti o integratori che sostengono
di aiutare il nostro sistema immunitario a difendere
l’organismo dalle malattie. L’Agenzia europea per la
sicurezza alimentare ha passato in rassegna gli slogan
pubblicitari, ha verificato gli studi e ha emesso la sentenza:
sono soltanto dieci le sostanze promosse.
Primo, il massimo effetto che possono vantare è quello
di “contribuire al normale funzionamento del sistema
immunitario”. Che è diverso dal sostenere di prevenire malattie
o “aumentare le difese dell’organismo”, cosa che in passato si è
letta abbondantemente su integratori o alimenti di vari tipi. In
secondo luogo, questa azione deve essere provata, cioè basata
su studi attendibili. L’Efsa li ha verificati e ha stabilito che dati
sufficienti esistono solo per sei vitamine (A, B12, B6, C, D, acido
folico) e quattro minerali (rame, ferro, selenio, zinco): il claim
riferito al sistema immunitario può dunque essere apposto
soltanto su alimenti o integratori che contengano una dose
minima, stabilita dall’Efsa, di questi micronutrienti. Per la
vitamina C è stato approvato anche lo slogan che fa riferimento
a un’azione favorevole per il sistema immunitario “in caso di
esercizio fisico intenso”. Non è più ammesso vantare questo
effetto per alimenti o integratori contenenti: propoli, magnesio,
mangostano, lecitina, papaina, cartilagine di squalo, vitamina
E, bioflavonoidi, antiossidanti del succo di melograno, licopene
da succo di pomodoro, mirtillo rosso, glucosamina, beta
carotene, succo di ribes nero, broccoli. Bocciati anche alcuni
microrganismi probiotici (per esempio, Bifidobatteri e alcuni
Lactobacilli come L. acidophilus, casei, paracasei, plantarum).
UNA
SCELTA
DIETETICA
APPORTO DI
UNA PORZIONE
IN MEDIA (100 G)
150 kcal
11% grassi,
di cui 7% saturi
295 mg di calcio
Ricotta l'alternativa leggera
L
a ricotta si può considerare
un'antenata naturale dei prodotti
light. Ha infatti un grande merito:
può sostituire ingredienti molto
più ricchi di calorie e grassi - come
panna, formaggi o mascarpone - in
una quantità di piatti, dolci e salati,
con un risultato appagante anche
per il palato. Benché sia assimilata ai
formaggi, non è tale, perché si ricava
non a partire dal latte, ma dal siero, che
è il residuo acquoso della lavorazione
dei formaggi stessi. La ricotta, partendo
da una materia prima più leggera,
Crema
natalizia
contiene molti meno grassi e calorie
dei formaggi, anche di quelli freschi
come stracchino e mozzarella. Alcuni
produttori, aggiungendo agli ingredienti
crema di latte, ne migliorano il sapore,
ma la rendono più calorica. Al posto
di burro o panna va bene per condire
la pasta; con spinaci, carciofi o altre
verdure fa da base a ottime torte salate.
A Natale una porzione di crema alla
ricotta, al posto di quella al mascarpone,
dà 160 kcal e 7 g di grassi: preparata con
il mascarpone apporterebbe ben di più:
310 kcal e 25 g di grassi.
• 500 g ricotta
• 150 g zucchero
• 3 uova (prima di
romperle lavate
bene il guscio con
acqua e sapone)
• profumo a piacere
(vaniglia, marsala)
Monta le uova con lo
zucchero, amalgama
la ricotta e profuma
con l'aroma scelto.
Usa per farcire o
accompagnare
panettone o
pandoro.
30%
della dose
quotidiana
di calcio
in 100 g
➜ Guida alla dieta su www.altroconsumo.it/dimagrire
113 testsalute 9
Il farmaco
di marca
non è tutto
rimborsato
Pregiudizi
che pesano sul portafoglio
I farmaci generici fanno risparmiare sia il Servizio sanitario sia i cittadini. A patto che siano
usati. Altrimenti la differenza di costo con il farmaco di marca la paga il paziente.
Con il
generico
risparmi fino
al 77%
10 testsalute 113
Spendi
meno, resti
in salute
N
egli ultimi sei anni il Servizio
sanitario nazionale ha risparmiato
un miliardo e mezzo di euro
di spesa grazie all’uso dei farmaci
generici-equivalenti. Purtroppo non si
può dire altrettanto per il portafoglio
dei singoli cittadini, la cui spesa
farmaceutica continua a lievitare anno
dopo anno. E non solo per l’acquisto
eccessivo di farmaci inutili: analizzando
i dati ufficiali salta subito all’occhio il
fenomeno della crescita della spesa
della compartecipazione. In pratica
ciò che ciascuno di noi paga ogni volta
che acquista un farmaco considerato
essenziale, prescritto dal medico con
la classica ricetta rossa (fascia A). La
compartecipazione comprende il ticket
e la differenza tra il costo del farmaco
generico e quello di marca di cui è
scaduto il brevetto, quando si opta per
il secondo. La compartecipazione dei
cittadini, negli ultimi quattro anni è
amentata ben del 66,5%, per una spesa
complessiva di un miliardo e mezzo, pari
a 24 euro all’anno per ogni cittadino.
Come mai? A incidere sullo scontrino
rovente pesa il ticket e la differenza di
prezzo tra il farmaco generico e di marca,
che è carico nostro.
Ticket sui farmaci:
una vera giungla
Il ticket,cioè il costo fisso della ricetta
che ogni Regione stabilisce per l’acquisto
dei farmaci e delle prestazioni mediche
a titolo di compartecipazione, nasce con
l’obiettivo di contenere le spese inutili.
Su di esso il cittadino non ha margini di
manovra. Ma non è raro vedere casi in
cui il costo di un farmaco è praticamente
lo stesso sia che lo si paghi privatamente
per intero sia che lo si acquisti attraverso
il Servizio sanitario, con la ricetta rossa.
Il ticket a volte incide davvero in maniera
eccessiva: ecco perché sono sempre di
più coloro che ne chiedono una revisione.
Non solo: il ticket è un costo fisso molto
variabile da regione a regione. Ogni
Regione può deliberare autonomamente
se introdurre un ticket oppure no, e
deciderne le modalità di applicazione.
Il 70% del consumo
di farmaci riguarda
molecole
che non hanno più
il brevetto
Un residente del Lazio, per esempio, per
avere due confezioni di antistaminico con
ricetta del Servizio sanitario deve pagare
8 euro; 4 euro se vive in Lombardia, zero
se è un fortunato residente della Valle
D’Aosta. Questa situazione sta generando
non poca sfiducia: secondo una recente
indagine del Censis (Monitor biomedico
2014), il 45% degli italiani ritiene il
ticket una tassa iniqua; per il 22% è uno
strumento inutile e solo il 33% ritiene
che sia uno strumento utile per limitare
l’acquisto di farmaci non necessari.
Bisogna cominciare a rivedere le regole
della partecipazione alla spesa sanitaria,
da un lato per renderle più omogenee sul
territorio nazionale, dall’altro per evitare
che il ticket sia di fatto soltanto una
barriera all’accesso alle prestazioni.
Il farmaco generico
incontra resistenze
L’altra voce di spesa che incide sulle
tasche dei cittadini è la differenza di
costo tra farmaco generico e farmaco di
marca. Da quando sono scaduti i brevetti
e sono entrati in commercio i farmaci non
firmati, nel 2001, il Servizio sanitario ha
deciso di rimborsare solo il prezzo delle
pillole no logo, meno care delle specialità
di marca. Da allora sono stati risparmiati
parecchi milioni di euro, e le nostre
autorità di vigilanza si sono impegnate
per garantire la stessa qualità di cure ai
cittadini. Ma questo sistema ha anche
PARTECIPA
ANCHE TU AL
RISPARMIO
Puoi contribuire a
ridurre gli sprechi
chiedendo sempre
il farmaco generico
accentuato il rischio di un trasferimento
di costi sui cittadini, quando questi ultimi
non scelgono il farmaco generico. Cosa
che si è puntualmente verificata: i farmaci
no logo non convincono abbastanza
e il loro uso non è così diffuso come
invece ci si aspettava. Secondo il Censis,
infatti, nell’ultimo anno solo il 42% degli
italiani ha comprato più frequentemente
i farmaci equivalenti rispetto a quelli
a marchio commerciale. Inoltre, il
45% dichiara di preferire il farmaco di
marca, un dato che fa riflettere ancora
di più, se pensiamo che la percentuale
degli scettici era del 35% nel 2012. Una
diffidenza che è molto più accentuata
nelle regioni del Sud e nelle Isole:
guardando i numeri relativi alla spesa
farmaceutica forniti dal censimento
annuale dell’Osmed (l’Osservatorio
sull’impiego dei medicinali dell’Agenzia
italiana dei farmaci) il divario tra Nord
e Sud rispetto al consumo dei farmaci
generici è lampante. Nelle regioni
meridionali l’uso dei farmaci no logo
è decisamente al di sotto della media
nazionale. “Se prendiamo l’intero mondo
dei farmaci - sia che siano rimborsati
sia che non lo siano, in libera vendita,
dietro prescrizione ecc... - la diffusione
dei farmaci generici nel nostro Paese
in termini di consumi non raggiunge il
19 per cento. Per la fascia A, cioè quella
parte di farmaci rimborsati dal Servizio
sanitario, la penetrazione è superiore
>
113 testsalute 11
Non
affezionarti
alla marca
>
e raggiunge il 24 per cento”, ci spiega
Michele Uda, direttore generale di
Assogenerici. “Si tratta di un dato ancora
molto al di sotto della media europea, per
non parlare degli Stati Uniti dove l’indice
di penetrazione è dell’80%”, conclude
Uda. E al Sud le cose sembrano andare
ancora peggio, con una forte resistenza
verso i farmaci no logo. Come mai? “Ci
sono molti motivi che spiegano questo
fenomeno”, dice Uda, “Sicuramente conta
la componente culturale, un accesso più
mediato all’informazione al Sud la classe
Perché spendere
inutilmente
centinaia di euro
in più all’anno?
Come usare bene i farmaci
Quattro mosse
per non sprecare
Non abusare. Prendi soltanto i farmaci che servono
davvero ed evita quelli di cui non si conosce bene
l’efficacia. Per esempio, per curare un raffreddore non è
necessario riempire l’armadietto dei medicinali con decine
di prodotti: per alleviare i sintomi basta riposare, bere,
umidificare l’ambiente e prendere del paracetamolo al
bisogno. Non esistono farmaci miracolosi.
Evita inutili doppioni. Forse non lo sai, ma molti farmaci
“famosi”, che hanno nomi diversi e magari si fanno molta
pubblicità per distinguersi dagli altri, sono di fatto la stessa
cosa. Questo succede spesso per i farmaci in libera vendita
per alleviare i sintomi dolorosi, come i dolori mestruali o il
mal di testa. Impara a riconoscerli in base al principio attivo
e al dosaggio.
Non fare scorte. L’armadietto dei medicinali non è una
dispensa da cui attingere, ma deve contenere non più di 4 o
5 farmaci essenziali, da usare in caso di emergenza.
Scegli il più economico. Scegli il farmaco generico.
Acquista i farmaci in libera vendita anche nelle parafarmacie
o negli ipermercati: spesso qui costano meno.
12 testsalute 113
medica è meno propensa a prescrivere il
farmaco generico. I nostri dati indicano
che chi usa di più il generico è il cittadino
del Nord con una cultura medio-alta e
un reddito più elevato, perché è colui
che riesce ad accedere più facilmente
all’informazione. Mentre chi ha un
reddito più basso e una scolarizzazione
inferiore ne fa un uso più limitato. Un
paradosso, perché è proprio al secondo
che il generico offre un vantaggio
maggiore”. Cosa si può fare per provare a
invertire questa tendenza? “Sicuramente
il passaggio alla prescrizione per
principio attivo, pur con tutti i limiti e i
cavilli attuali, ha dato un grande impulso
all’uso del farmaco generico-equivalente
in Italia”, conclude Uda, “Adesso è arrivato
il momento in cui medici di medicina
generale e farmacisti si siedano intorno
a un tavolo e comincino a dialogare di
più. Soltanto una migliore sinergia tra
questi due operatori, cioè tra prescrittori
e dispensatori di farmaci, potrà creare un
clima di maggior fiducia verso i farmaci
generici-equivalenti”.
Stessa efficacia e sicurezza
I medicinali equivalenti sono guardati
con diffidenza da molti pazienti e
purtroppo anche da alcuni medici di
medicina generale, che continuano a
prescrivere sulla ricetta la specialità di
marca non sostituibile, a causa delle
informazioni scorrette che si sono diffuse
sulla loro presunta minore qualità ed
efficacia. E sono i cittadini a pagare
lo scotto del pregiudizio, spendendo
inutilmente del denaro in più per curarsi
sostanzialmente allo stesso modo.
Non smetteremo mai di ripertelo: il
farmaco generico, o più correttamente
“equivalente”, è sovrapponibile al
corrispettivo di marca dal punto di vista
del contenuto di principio attivo (cioè
la sostanza attiva, che è responsabile
dell’effetto farmacologico richiesto), del
dosaggio e della forma farmaceutica
(compresse, sciroppo...). Per legge, invece,
possono essere diversi gli eccipienti,
>
La spesa annuale delle famiglie per i farmaci
Scontrini a confronto
Una famiglia e una coppia di coniugi alle prese con la spesa per i farmaci. Usando i generici, quando
disponibili, risparmiano fino al 77 per cento. Grazie anche ai meccanismi di rimborso ed esenzioni.
Il padre, 54 anni, ha
un lavoro stressante.
Ha l’ulcera e qualche
episodio depressivo.
In inverno prende
spesso il raffreddore.
La figlia, 24 anni, sta
bene. Prende la pillola
contraccettiva e ha
solo qualche episodio
di herpes labiale.
La madre, 46 anni,
soffre di emicrania
(ha attacchi severi
circa 5 volte l’anno) e
si cura per controllare
la psoriasi.
Il figlio, 18 anni, ha
la rinite allergica ed è
soggetto alla sinusite.
Inoltre usa una crema
per l’acne.
Famiglia di 4 persone
Farmaci di marca
Lansox
Maalox Plus
Zoloft
Tachipirina
Mucosolvan
Maxalt
Moment
Psorcutan
Yasminelle
Zovirax
Zirtec
Augmentin
Airol crema
428 €
Calcipotriolo
Etinilestradiolo/
drospirenone
Aciclovir
Cetirizina
Amox + acido clav.
Tretinoina Same
240 €
risparmio
48%
La moglie ha 74
anni e soffre di
insonnia, artrosi,
diabete di tipo 2 e
glaucoma. Gode
delle esenzioni
ma paga di tasca
propria il farmaco
per dormire e la
crema antidolorifica.
Coniugi anziani
Generici quando possibile
Lansoprazolo ABC
Maalox Plus
Sertalina ACT
Tachipirina Iper
Mucosolvan Iper
Rizatriptan
Moment
Il marito ha 76
anni e soffre
di ipertensione
e colesterolo
alto. Gode
dell’esenzione
per patologia,
ma deve pagare
la differenza se
sceglie la marca.
Farmaci di marca
Generici quando possibile
Combisartan
Sivastin
Tavor
Brufen 600
Artrosilene gel
Glucophage
Timoptol
Valsartan
Simvastatina
Lorazepam
Ibuprofene
Ketoprofene
Metformina
Timololo tubilux
198 €
48 €
risparmio
77%
113 testsalute 13
Medici e
farmacisti
coinvolti
PRESCRIVERE
E DISPENSARE
Medici e farmacisti
devono incentivare
l’uso del generico
confrontandosi
con il paziente
Se compri i farmaci
in libera vendita
negli ipermercati
risparmi in media
il 14% del prezzo
delle farmacie
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Guida farmaci
Come utilizzare e conservare i farmaci,
quali comportamenti può adottare il
consumatore per contribuire alla
sicurezza dei medicinali: sono solo alcuni
degli argomenti affrontati in
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partendo dall’armadietto dei farmaci in
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>
cioè le sostanze non attive contenute
nei farmaci, che però non influiscono
sull’efficacia della cura. L’equivalenza
del generico rispetto al farmaco di marca
viene dimostrata con studi rigorosi, che
vengono definiti “di bioequivalenza”.
Quello che cambia sostanzialmente è il
prezzo: il farmaco non griffato, quando
entra in commercio, deve costare almeno
il 20% meno di quello di marca.
Ti dimostriamo quanto risparmi
Dalla teoria alla pratica: ti vogliamo
dimostrare che, se utilizzi il più possibile
i farmaci generici puoi ottenere un
risparmio sulla tua spesa farmaceutica
davvero consistente, perché potrai curarti
in modo appropriato senza pagare
la differenza di prezzo che sarebbe a
tuo carico nel caso in cui optassi per
il farmaco di marca (resta a tue spese,
ovviamente, quando presente, il ticket di
compartecipazione).
Per farlo abbiamo analizzato un anno
di spesa farmaceutica di due famiglie
“tipo”: una famiglia - padre e madre
cinquantenni con due figli grandi - e
una coppia di coniugi anziani (trovi lo
schema che riassume i risultati dei nostri
calcoli a pagina 13). Lo scenario che è
stato ipotizzato ha cercato di mimare il
più possibile situazioni reali e ha preso
in considerazione sia i farmaci più usati
per le malattie più diffuse, sia quelli che
si acquistano con più frequenza per
14 testsalute 113
alleviare i sintomi dovuti ai disturbi di
stagione, come la tosse. I nostri calcoli si
basano sull’acquisto di farmaci prescritti
dal medico rimborsati dal Servizio
sanitario, i cosiddetti farmaci da “ricetta
rossa” (in fascia A) e sulla spesa per
medicine che non vengono rimborsate,
perché in libera vendita (come il
paracetamolo) o acquistabili con ricetta
su carta intestata bianca.
Quanto costa curarsi? Dipende:
acquistando soltanto i farmaci di marca
la nostra famiglia dovrebbe sborsare
di tasca propria 428 euro, cioè il 72%
della spesa farmaceutica totale, che
ammonterebbe a 589 euro (nel calcolo
abbiamo lasciato fuori il costo del ticket).
I coniugi spenderebbero invece 198 euro
di farmaci in un anno (il 40% della spesa
complessiva che ammonta a 483 euro): in
proporzione meno della prima famiglia
perché, trattandosi per lo più di malattie
croniche, godrebbero di alcune esenzioni
che si riflettono anche sull’acquisto dei
medicinali di marca.
Se entrambi i nuclei familiari si
affidassero, quando possibile, ai
farmaci equivalenti, la spesa annuale
scenderebbe parecchio: 240 euro per la
famiglia, solamente 48 euro per i coniugi.
Un risparmio decisamente importante,
soprattutto per la nostra coppia di
anziani: la famiglia risparmierebbe
il 48% mentre i coniugi in pensione
pagherebbero ben il 77% in meno.
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costa meno rispetto a quello di marca,
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e i servizi che proponiamo sono stati sottoposti alle nostre analisi e ai nostri test comparativi.
L
Massimo Galli
Ospedale Sacco, Milano
Paura di
Ebola?
L’esperto ci rassicura
Giusto collaborare ad arginare l’epidemia, ma senza allarmismi inutili:
in Europa il problema riguarda casi sporadici, legati a qualche violazione
dei protocolli previsti per gestire i malati. Improbabile il contagio.
16 testsalute 113
e notizie sull’epidemia di Ebola, che
ha provocato migliaia di morti in
Africa occidentale e qualche caso
in Usa ed Europa, hanno portato a un
allarmismo eccessivo nel nostro Paese?
Gli ultimi dati resi pubblici
dell’Organizzazione mondiale della
sanità (Oms) all’inizio di novembre 2014
descrivono una situazione drammatica
nei Paesi colpiti: si contano più di 13.500
casi tra sospetti, probabili e confermati,
con un conto totale di più di 4.900 morti.
E quanto leggiamo sui media non attenua
le preoccupazioni.
Ne abbiamo parlato con Massimo
Galli, professore di Malattie Infettive
all’Università di Milano, che nella stessa
città dirige la Terza divisione Malattie
Infettive e Tropicali dell’Ospedale Sacco,
in Italia uno dei due centri di riferimento
per l’Ebola dell’Oms, insieme allo
Spallanzani di Roma.
«Attenzione: intanto, parlando
dell’epidemia di Ebola non bisogna certo
riferirsi all’Africa in generale», precisa
subito Galli. «L’epidemia ha colpito tre
nazioni africane, Guinea, Liberia e Sierra
Leone: quindi una dimensione territoriale
limitata e circoscritta. In Senegal e
Nigeria ci sono stati pochi casi, che
sono stati arginati, e le due nazioni sono
state dichiarate libere da Ebola intorno
al 20 ottobre scorso. A molti sfugge che
l’Africa è così grande che, per fare un
esempio, Asmara, capitale dell’Eritrea,
è più distante da Conakry, capitale della
Guinea, di quanto non disti da Roma».
È giusto preoccuparsi
anche in Europa?
«Come cittadini del mondo, si deve
sentire la responsabilità di quanto sta
avvenendo e ci si deve preoccupare
partecipando agli sforzi per arginare
la malattia nei Paesi colpiti. Tuttavia
non è probabile che l’epidemia si
possa trasferire in Europa: l’eccessiva
drammatizzazione non è utile e può
essere controproducente».
Il rischio
esiste nei
Paesi colpiti
Che cosa c’è da temere
in Europa?
«Incidenti isolati, dovuti a una violazione
dei protocolli, ovvero delle regole per
l’assistenza ai malati. Ma questo non
significa che sia probabile il diffondersi
del contagio.
Prendiamo un caso emblematico, quello
del paziente che ha contratto l’Ebola in
Liberia e ne è morto negli Stati Uniti:
benché a Dallas la prima volta fosse stato
rimandato a casa dal Pronto soccorso,
dove la malattia all’inizio non venne
riconosciuta, né i conviventi né alcuna
persona venuta a contatto con lui sono
stati contagiati.
Bisogna anche pensare che gli standard
igienici delle case nel mondo occidentale
sono diversi da quelli presenti in molti
contesti africani, in particolare rurali,
dove per esempio può mancare del tutto
l’acqua corrente. Invece, si sono ammalati
due infermieri che lo hanno assistito».
Perché Ebola colpisce medici
e infermieri?
«Il personale sanitario è per definizione il
più esposto, perché viene a contatto con
la malattia nel momento in cui si prende
cura del malato, che – quasi come in un
film dell’orrore – può perdere sangue che
esce da tutti gli orifici corporei: sangue
dove il virus a questo punto è presente in
grande quantità. Inoltre il virus è presente
anche in altri fluidi corporei, come saliva
o sperma, oltre che nelle feci e urine.
Assistere il malato comporta un forte
rischio: durante questa epidemia di Ebola
sono più di 500 gli operatori che si sono
infettati e più di 200 sono morti.
All’inizio di un’epidemia, quando la
malattia non è ancora stata riconosciuta,
prima che si mettano in atto tutte le
misure di sicurezza, l’ospedale può
fare perfino da amplificatore; è quello
che è avvenuto nei Paesi interessati
dall’epidemia, anche a causa delle
condizioni spesso precarie delle strutture
sanitarie».
Per precauzione si
calcolano 21 giorni,
ma in generale
l’incubazione dura
solo una settimana
Restiamo
ragionevoli
Qui non c’è alcun cibo a rischio Nulla di
quello che è venduto o somministrato in
Occidente è a rischio; nei Paesi interessati
dall’epidemia, è da evitare invece il contatto con animali selvatici e la manipolazione
di animali morti o carne cruda (la malattia
si è trasmessa all’uomo attraverso la macellazione di animali malati o portatori del
virus). Anche la frutta, ma solo nei Paesi
colpiti dall’epidemia, può essere contaminata da escrementi o fluidi di animali
ammalati: ma non è il caso di temere la
frutta tropicale in generale.
Da evitare i viaggi nei Pesi colpiti
dall’epidemia Mentre è sconsigliabile in
questo periodo viaggiare nei Paesi colpiti
dall’epidemia, non c’è alcun motivo per
decidere di non andare in altre parti dell’Africa. Per aggiornamenti, verificare sul sito
del ministero della Salute.
Un malore di una persona di colore
non significa Ebola La paura fa brutti
scherzi e purtroppo si sono già verificati
casi di intolleranza o comunque allarmismo
eccessivo. Cerchiamo di evitarli.
Per saperne di più Aggiornamenti frequenti sul sito www.salute.gov.it
NESSUN VOLO
DIRETTO PER
L’ITALIA
Il viaggio dalle aree
colpite è lungo,
difficile arrivare
senza sintomi
Come avviene il contagio?
«Ci si ammala per contatto stretto, cioè
se attraverso lesioni anche minime della
cute (pelle, ndr) o attraverso le mucose
(come l’interno della bocca o gli occhi) si
viene a contatto con fluidi e secrezioni del
malato: nel contesto domestico questo
avviene più facilmente se le condizioni
igieniche sono carenti e se la famiglia
presta direttamente assistenza al malato.
Nel diffondersi della malattia c’è stato
poi un importante ruolo dei funerali: a
Ebola sembra piacciano i funerali, ne
provoca e se ne serve per diffondersi,
perché le tradizioni locali prevedono
che il morto sia salutato attraverso un
ripetuto contatto fisico con la salma. E,
nel caso di Ebola, è probabile che la salma
sia contaminata anche esternamente da
fluidi contenenti virus.
Da non dimenticare, comunque, che
ci sono malattie infettive assai più
contagiose di Ebola, per esempio la
tubercolosi in fase “aperta”, quando i
batteri sono espulsi attraverso un colpo di
tosse».
Si è paventato che Ebola
possa mutare in questo senso
«Ebola non sembra in grado di
diffondersi per via aerea e l’ipotesi che
possa mutare, acquisendo la capacità
di farlo, non poggia su dati scientifici né
epidemiologici in grado di confermarla.
Resta quindi solo una probabilmente
remota, vaga possibilità».
113 testsalute 17
Eterologa
un viaggio ancora lungo
Caduto il divieto, molte coppie hanno visto riaccendersi una speranza. Ma la situazione
è ancora bloccata in quasi tutti i centri di riferimento. Mentre la Lombardia,
unica in Italia, fa pagare la prestazione per intero, discriminando i suoi cittadini.
N
on è finita la lunga battaglia delle
coppie infertili italiane per vedere
riconosciuto il diritto ad accedere
alla fecondazione eterologa, vale a dire
la tecnica di fecondazione artificiale
in cui ci si avvale di seme od ovulo di
donatori. Perché, se è vero che, dopo la
decisione della Consulta di abolirne il
divieto, questa tecnica di fecondazione
assistita è tornata legale nel nostro Paese
(come lo è nella maggior parte dei Paesi
europei), di fatto l’opzione terapeutica
non è ancora entrata a regime nelle
18 testsalute 113
strutture ospedaliere pubbliche italiane.
Nel momento in cui scriviamo, infatti,
è possibile accedere al percorso di
fecondazione eterologa soltanto nei centri
di procreazione assistita della Regione
Toscana, l’unica ad aver costituito un
registro dei donatori. Insomma, una
partenza al rallentatore: a otto mesi dalla
sentenza della Corte costituzionale che
ha dato il via libera all’eterologa, le molte
coppie che da anni si battono per vedere
riconosciuto il loro diritto ad accedere a
questa tecnica – il divieto è stato istituito
con la legge 40 del 2004 - stanno ancora
aspettando che le strutture si organizzino.
Tra circolari applicative non ancora
arrivate dalle Regioni, problemi relativi
alla reperibilità dei gameti, procedure
da mettere a punto, i centri sono quasi
tutti bloccati. E le coppie in lista d’attesa
non sanno quando potranno finalmente
essere prese in carico. Tra sei mesi? Un
anno?
Un tempo infinito, soprattutto per chi
rischia di non rientrare più nei limiti di
età stabiliti dalle linee guida regionali.
Un registro
nazionale
Cade il divieto: le regole ci sono
La politica indugia, mette paletti,
rimanda la decisione. “Eppure la Corte
Costituzionale, nella motivazione della
sentenza, spiega chiaramente che tutte le
regole sulla fecondazione medicalmente
assistita già presenti restano in piedi
e devono essere applicate anche alla
tecnica eterologa (istituzione di registri,
regole tecniche ecc...). Non c’è quindi
un vuoto legislativo da colmare e non
è necessario aspettare il lungo iter
parlamentare per poter offrire questa
opzione terapeutica alle coppie italiane”,
spiega Marilisa D’Amico, professore
ordinario di diritto Costituzionale presso
l’Università degli Studi di Milano. Un
fatto positivo, però, c’è. “Per fortuna,
alcune Regioni, come la Toscana, hanno
subito risposto a queste sollecitazione,
organizzando un tavolo tecnico per
mettere a punto le linee guida ufficiali
per gli ambulatori pubblici”, continua
D’Amico. Una base tecnica condivisa
(sintetizziamo le regole nel riquadro
a pagina 20), che tuttavia sembra non
essere stata sufficiente a far partire in
tempi brevi gli ambulatori ospedalieri.
Il caso Lombardia
C’è un altro grande intoppo che frena la
possibilità di accesso a questa procedura
per molte coppie. Ed è uno scoglio di
tipo economico. La Regione Lombardia,
unica in tutto il territorio nazionale, ha
deciso di permettere il trattamento, ne
ha condiviso le linee guida, ma non ha
sottoscritto l’accordo sul costo del ticket.
In pratica, le seimila coppie lombarde
in attesa di tentare la strada di una
gravidanza attraverso la fecondazione
eterologa dovranno pagare interamente
la procedura, sia che si rechino nei centri
pubblici regionali, sia che decidano di
farsi curare fuori regione. Un esborso che
non è alla portata di tutti: la procedura,
infatti, costerà ai cittadini lombardi
alcune migliaia di euro (si stima fino a
4.500 euro a trattamento), mentre il ticket
di compartecipazione previsto nelle altre
regioni è di circa 400-600 euro.
In breve
60%
della popolazione
non è informata
su cosa sia
l’infertilità
15%
circa delle
coppie italiane
ha problemi a
concepire il primo
figlio
40%
degli italiani è
favorevole alla
fecondazione
eterologa
50.000
coppie ogni
anno si rivolgono
ai centri di
procreazione
assistita
“La decisione della Lombardia di far
pagare interamente la procedura di fatto
va contro una delle motivazioni più
importanti della decisione della corte
Costituzionale, che ha tolto il divieto a
questa tecnica anche perché discriminava
i cittadini da un punto di vista
economico”, sottolinea Marilisa D’amico.
“La Corte, infatti, ha preso seriamente in
considerazione il fenomeno del turismo
procreativo per cui, negli anni in cui era in
vigore la legge 40, le coppie che potevano
permetterselo andavano all’estero, mentre
chi non poteva pagare restava senza
una terapia, e ha parlato di un’odiosa
discriminazione contraria al principio di
eguaglianza stabilito dall’articolo 3 della
nostra Carta costituzionale. I giudici di
fatto hanno voluto dare un’indicazione
precisa per il futuro: la fecondazione
eterologa è un’opzione terapeutica a cui
tutti i cittadini devono avere accesso alle
stesse condizioni nel servizio pubblico”,
spiega D’Amico. In pratica, per evitare la
giungla di tariffe elevatissime e vessatorie,
è necessario che questa tecnica sia
inserita al più presto nei livelli essenziali
di assistenza cioè nelle prestazioni che
il servizio sanitario nazionale fornisce
gratuitamente ai cittadini o con il
pagamento di un ticket uguale in tutte
le regioni. Fino ad allora, a causa della
delibera lombarda, si sta assistendo
ancora una volta a una situazione di
irragionevole discriminazione economica
tra le coppie in difficoltà.
DOVE
RIVOLGERSI
Sul sito dell’Istituto
superiore di sanità
sono elencati tutti
i centri autorizzati
per la procreazione
assistita
L’esodo diventerà un ricordo?
Per dieci anni, periodo in cui è stato in
vigore il divieto, si è assistito a un vero e
proprio esodo verso l’estero di moltissime
coppie in cerca di una gravidanza, nei
Paesi europei dove la procreazione
assistita eterologa era legale. Esodo che
era limitato soltanto a quei cittadini che
potevano permettersi il viaggio. Non
erano pochi: secondo l’Osservatorio
del turismo procreativo ogni anno si
spostavano circa quattromila coppie nei
centri specializzati in queste tecniche
oltreconfine, sia per fare la fecondazione >
113 testsalute 19
>
medicalmente assistita omologa (con
seme e ovuli della coppia), sia per tentare
l’eterologa. Un viaggio che non solo aveva
un forte impatto economico sulle coppie,
ma che incideva psicologicamente e
comportava non pochi rischi per l’assenza
di garanzie in alcuni paesi dove queste
tecniche erano proposte low cost.
“La decisione della Lombardia verrà
sicuramente impugnata”, conclude la
professoressa D’Amico, “non soltanto
dalle coppie ancora in attesa, ma anche
dai centri medici privati che avevano
chiesto l’autorizzazione a effettuare
l’eterologa e che si sono visti sospendere,
non si sa bene per quale motivo, la
procedura autorizzativa”. Intanto, però, la
tanto decantata eccellenza sanitaria della
Lombardia è a disposizione solo delle
coppie che hanno il portafoglio pieno.
Per le altre, non c’è soluzione.
Si tratta di un’incongruenza inspiegabile:
l’eterologa ha una barriera d’accesso
economica, mentre la fecondazione
assistita omologa viene rimborsata.
Una legge smontata
pezzo dopo pezzo
Fin dalla sua approvazione nel 2004, la
legge 40 ha suscitato molte polemiche.
Le limitazioni introdotte nel nostro
Paese sulla procreazione assistita,
infatti, rendevano di fatto molto difficile
per i medici applicare le tecniche più
appropriate ed efficaci rispetto ai diversi
casi di infertilità o di problemi legati
alla capacità procreativa delle coppie.
In dieci anni, la legge 40 è stata portata
in tribunale tantissime volte per vizi di
incostituzionalità ed è stata smontata
pezzetto dopo pezzetto: nel 2008 il
Tribunale amministrativo del Lazio
aveva rimosso il divieto della diagnosi
pre impianto, necessaria in caso di
malattie genetiche dei genitori; nel 2009
la Corte Costituzionale ha dichiarato
incostituzionale la parte relativa al
numero massimo consentito di embrioni
da fecondare e alla necessità di doverli
impiantare tutti simultaneamente,
scongiurando così i maggiori rischi legati
a gravidanze multiple.
Spieghiamoci meglio
CONSULENZA
Il comune di Milano
ha aperto uno
sportello informativo
sulla fecondazione
eterologa, in cui
sono a disposizione
giuristi, medici
e psicologi. Lo
sportello è attivo
presso la Casa
dei Diritti di via De
Amicis 10 a Milano.
Per accedervi
bisogna prenotarsi
telefonando allo
0288441641.
20 testsalute 113
La fecondazione eterologa è una forma di
procreazione medicalmente assistita in
cui il seme maschile o l’ovulo femminile
non appartiene a uno dei genitori, ma
a un donatore esterno alla coppia. È
consigliata nei casi di infertilità assoluta
di uno dei due partner. La caduta del
divieto di utilizzare questa tecnica
permette alle coppie infertili di avere
un’opzione terapeutica per ottenere una
gravidanza.
Ci sono diverse tecniche di fecondazione
eterologa: come avviene per quella
omologa si procede per gradi,
dal metodo più semplice, come
l’inserimento nell’utero del liquido
seminale del donatore, fino alla vera
e propria fecondazione in vitro che
prevede la fecondazione degli ovociti
e la crescita degli embrioni in provetta
(Fivet), prima dell’impianto in utero.
I donatori possono lasciare il proprio
liquido seminale od ovociti (nel caso
delle donatrici) in apposite banche, che
conservano i campioni e li utilizzano
quando necessario. A differenza della
fecondazione omologa, il nascituro non
avrà un patrimonio genetico ereditato
da entrambi i genitori. La fecondazione
eterologa è sconsigliata nelle donne che
hanno superato i 50 anni di età. Non è
un’opzione per chi “rimanda”.
Le regole condivise
Limite di età L’accesso per fare l’eterologa con il pagamento del ticket è previsto
per le coppie eterosessuali maggiorenni,
con certificata infertilità irreversibile, fino al
compimento dei 43 anni per la donna.
Non più di 3 cicli Nelle strutture sanitarie
pubbliche non si potranno effettuare più di
tre cicli di fecondazione a coppia.
La scelta non spetta alla coppia Le coppie non potranno scegliere le caratteristiche dei donatori. I centri per la fecondazione assistita faranno in modo che genitori e
figli siano compatibili per caratteri fisici.
Garantito l’anonimato I donatori di
ovuli e sperma rimarranno anonimi e non
potrammo mai essere rintracciati se non in
caso di problemi medici del nato, mai dai
riceventi e solo attraverso il controllo di
tracciabilità. Anche i donatori non avranno
diritto di conoscere il bambino nato.
Non più di 10 nascite Le cellule riproduttive di un medesimo donatore non potranno
determinare più di dieci nascite. Questo
limite può essere superato nei casi in cui
una coppia, che abbia già avuto un figlio
tramite eterologa, intenda sottoporsi nuovamente alla pratica utilizzando le cellule
del medesimo donatore.
UNA FOTO PERFETTA?
FARE SHOPPING SENZA USCIRE DI CASA?
CI VUOLE UNA GUIDA.
Cosa spinge 14 milioni di persone a fare acquisti online? La fotografia digitale è solo per
la nuova generazione di fotografi? Cosa offre di buono il web?
Questo mese Altroconsumo ti propone 2 Guide Pratiche che ti aiutano a prendere confidenza
con le nuove opportunità che la tecnologia e il web ti mettono a disposizione.
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NOVITÀ
NOVITÀ
Alla ricerca del
sonno perduto
Davvero bisogna dormire otto ore? Che effetti ha sulla nostra salute la carenza cronica
di riposo? Come si combatte l’insonnia? In quali casi funziona la melatonina e in quali no?
Ecco le risposte che cerchi e i risultati delle prove di laboratorio sugli integratori.
22 testsalute 113
L’ormone
melatonina
NON VA DATO
A BAMBINI E
ADOLESCENTI
Salvo eccezioni,
è controindicato
per chi è in età
pre-sviluppo
A
gli uomini bastano quattro ore
di sonno, alle donne cinque,
solo agli imbecilli sei». Con il
suo proverbiale tatto, Napoleone non
risparmiava critiche a chi trascorreva
troppo tempo con la testa sul cuscino. Per
lui quattro ore erano più che sufficienti,
così come per Churchill, Margaret
Thatcher e Rita Levi Montalcini. Ancor
meno per Leonardo Da Vinci, che non
metteva in pausa la sua frenesia inventiva
neppure quando era tra le braccia di
Morfeo. Sul sonno aveva elaborato una
teoria tutta sua: un pisolino di quindici
minuti ogni due ore. Tutti fanatici del
“Nessun dorma”? Non proprio. Aveva
tutt’altro stile Einstein, che di rinunciare
alla sua notte di undici ore filate non
voleva proprio saperne. Che fine fanno
allora le otto ore canoniche che tutti si
affrettano a consigliare? Non sono altro
che un cliché. La verità è che il riposo
è un’esperienza totalmente soggettiva.
E non è tanto un problema di quantità,
quanto di qualità. Se ci si sveglia con la
percezione che il sonno è stato appagante
e ci si sente in forma durante la giornata,
vuol dire che si è dormito il giusto. Tra
l’altro la quantità, che per la gran parte
degli adulti si colloca tra le sei e le otto
ore, in genere muta (o meglio diminuisce)
con l’avanzare dell’età. Una persona a
diciott’anni ha bisogno di dormire di più
di quanto non ne avrà a ottanta.
Se la carenza diventa cronica
Chi dorme male per lungo tempo diventa
più vulnerabile ai malanni. Come spiega
Lino Nobili, responsabile del Centro
di medicina del sonno dell’Ospedale
Niguarda di Milano: «Bisogna distinguere
però gli effetti immediati, come
sonnolenza durante il giorno, stanchezza,
mancanza di concentrazione, irritabilità,
da quelli a lungo termine, che un deficit di
sonno cronico può produrre. Un’insonnia
prolungata può influenzare negativamente
il sistema nervoso vegetativo e aumentare
il rischio di malattie cardiovascolari, avere
ripercussioni sul sistema immunitario e
facilitare un aumento di peso attraverso
modificazioni del metabolismo.
Il test su 15 prodotti
Scegli
il meno caro
Abbiamo portato in laboratorio quindici
prodotti a base di melatonina: 14
integratori (sono tutti da 1 mg) e l’unico
farmaco in commercio (2 mg). Buone
notizie, tutti contengono il quantitativo
di melatonina dichiarato. Le differenze di
prezzo sono però notevoli. L’integratore
più economico,Melatonina Act, ha anche
il vantaggio di essere privo di qualsiasi
colorante ed edulcorante.
Gli integratori, prezzo per dose
• F&F S.r.l. Melatonina Act 0,08 €
• EQUILIBRA Melatonina 0,09€
• MARCO VITI Melatonina Viti Retard 0,10 €
• MARCO VITI Melatonina Viti Fast 0,10 €
• MATT & DIET Melatonina Retard per prendere
sonno 0,11 €
• RADIUMFARMA BENESSERE Gocce della
buonanotte 0,11 €
• SPECCHIASOL Serenotte 0,12 €
• ESI Melatonina Pura 0,15 €
• MARVIT Sonno-Più 0,23 €
• SOFAR Melatonina+Camomilla Forte 0,24 €
• POOL PHARMA Melasin Up 0,26 €
• MATT DIVISIONE PHARMA Melatonina
Retard Valeriana Fast 0,27 €
• ESI Melatonin Pura Fast 0,37 €
• SANOFI Mag Notte 0,49 €
Il farmaco,prezzo per dose
• FIDIA Circadin 2mg 0.91€
Inoltre, può facilitare lo sviluppo di una
depressione». Insomma, dormire sonni
sereni non si può dire che scacci le
malattie, ma aiuta a tenerle a distanza.
Conoscerla per combatterla
Sbaglia chi pensa che l’insonnia sia un
disturbo, perché in realtà è il sintomo di
altri problemi. Può dipendere da ansia o
forte stress (eventi traumatici, pressioni
sul lavoro, delusioni sentimentali...).
Può essere legata a particolari malattie:
quelle che portano a urinare di frequente,
sindrome delle gambe senza riposo,
depressione, problemi digestivi... Può
essere l’effetto indesiderato di alcuni
farmaci, come quelli per la pressione alta,
per il cuore, per la tiroide, per l’asma, i
contraccettivi orali, alcuni antidepressivi
e paradossalmente persino quelli indicati
per l’insonnia. Più banalmente potrebbe
essere dovuta a cattive abitudini prima
di andare a letto: consumo di alcol e di
caffeina, pasti pesanti, attività sportiva
troppo vicina al momento di coricarsi (va
infatti evitata entro le 4-6 ore precedenti,
se fatta prima invece è di aiuto), utilizzo
serale di pc, tablet e smartphone.
Quando la melatonina serve
L’insonnia può anche dipendere
dall’alterazione del cosiddetto “ritmo
circadiano”, cioè del ciclo sonno-veglia, che
è regolato dal nostro orologio biologico.
Tipicamente questo sfasamento avviene
durante i viaggi intercontinentali, a
causa della differenza di fuso orario (jet
>
113 testsalute 23
>
leg) oppure se si fa un lavoro su turni.
Il nostro orologio interno riesce ad
adattarsi abbastanza bene se le variazioni
sono nell’ordine di una-due ore, ma
quando sono maggiori si desincronizza.
È in questi casi che si è dimostrata utile
l’assunzione (poco prima di coricarsi)
di melatonina, a integrazione di quella
che il nostro organismo normalmente
produce da sé, e che proprio in queste
situazioni (e non solo) ha difficoltà a
sintetizzare a sufficienza. La melatonina è
infatti l’ormone (prodotto dalla ghiandola
pineale) cui si deve la regolazione del
ciclo sonno-veglia. Si comporta come una
specie di sentinella che dà all’organismo
informazioni sulla durata del giorno e della
L’insonnia
può dipendere
da ansia e stress,
cattive abitudini,
ma anche
da una malattia
notte. La secrezione dell’ormone del sonno
generalmente comincia ad aumentare
intorno alle ore 22, raggiungendo il
suo picco verso le 2-4 del mattino, per
poi diminuire progressivamente, fino
a raggiungere i livelli minimi durante il
giorno. Questo perché è proprio dalla luce,
o meglio dalla sua carenza, che in gran
parte dipende la produzione e il rilascio di
melatonina. Più luce c’è, più la produzione
di melatonina sarà inibita. Anche sostanze
come la caffeina e l’alcol, oppure l’attività
fisica, sono in grado di diminuire il
livello di melatonina nel sangue. Invece
lo favoriscono alimenti ricchi di un
particolare aminoacido (triptofano): noci,
arachidi, lupini, pistacchi, noci brasiliane.
Ma anche latte, fagioli, fave, ceci e piselli.
Sei più gufo o più allodola?
Farmaci, attenti a effetti
collaterali e dipendenza
Contro l’insonnia si fa uso (e soprattutto abuso) di farmaci
chiamati con nomi diversi: sonniferi, sedativi, ansiolitici,
ipnotici. Facilitano il sonno perché rallentano il lavoro del
cervello, ma possono creare forte dipendenza e hanno
tutti effetti collaterali: sonnolenza durante il giorno, che
compromette l’attenzione e la concentrazione, e quindi
maggior rischio di incidenti; ansia, irritabilità e allucinazioni.
Chi li assume può assuefarsi, cosa che spinge ad aumentare
il dosaggio e a diventare così maggiormente dipendenti. Gli
ipnotici più diffusi sono le benzodiazepine. Non andrebbero
usati per più di 4 settimane, un limite che non viene quasi mai
rispettato. Sono a carico del paziente, visto che si tratta di
farmaci di fascia C con obbligo di ricetta.
24 testsalute 113
Non sono solo situazioni esterne come
il jet leg o il lavoro su turni a mandare in
tilt il nostro orologio biologico e rendere
difficili sonni tranquilli. C’entrano anche
il patrimonio genetico e la difficoltà di
adattamento a ritmi di vita convenzionali.
Ci spiega meglio Raffaele Manni,
direttore del Centro di medicina del
sonno dell’Istituto Mondino di Pavia:
«Chi nasce “gufo”, cioè è geneticamente
programmato per stare sveglio fino a
tardi e addormentarsi nel cuore della
notte, ha difficoltà ad adattarsi a orari di
risveglio normali, cui la vita lavorativa e
sociale lo costringe. Il contrario avviene
nelle “allodole”, i soggetti che hanno
la tendenza a anticipare di alcune ore
il sonno, per svegliarsi molto presto la
mattina». Per fortuna non si tratta di
condizioni immutabili. «Si è osservato
che la chiave di questi comportamenti
sta nella curva di secrezione della
melatonina da parte dell’organismo continua Manni -. Questa curva si può
influenzare somministrando la giusta
quantità di melatonina nel momento
più opportuno. Per esempio, se il gufo
assume cinque ore prima del suo picco
secretorio una certa dose di melatonina,
riuscirà ad anticipare di un paio d’ore
il momento dell’addormentamento, e
quindi a non andare in debito di sonno se
Insonni
digitali
MAI A LETTO
CON IL TABLET
La luce dei display
retro-illuminati
fa crollare
la produzione
di melatonina
deve svegliarsi alle sette del mattino». Il
meccanismo è sicuramente affascinante,
ma una “cura” di melatonina ad personam,
che preveda dosaggio e momento di
somministrazione personalizzati, è
possibile solo se si conosce esattamente
l’andamento della curva che segue la
melatonina nel paziente da trattare. Esiste
un test che riesce a “disegnare” questa
curva. In Italia è possibile farlo soltanto
tramite il Centro di medicina del sonno
di Pavia. «Siamo un “tramite” - precisa
Manni - visto che l’esame vero e proprio
viene eseguito in Svizzera, nei laboratori
Bühlmann. È comunque il nostro Centro
a sottoporre a valutazione clinica il
paziente che chiede di fare il test (non
basta chiederlo per vederselo accordare)
e a fornirgli il kit e le indicazioni precise
cui dovrà scrupolosamente attenersi per
fare la raccolta dei cinque prelievi di saliva
necessari per le analisi».
Qual è la giusta dose?
Assodato che la melatonina funziona
solo se l’insonnia è legata a un problema
di ciclo sonno-veglia e che è efficace nel
contribuire a ridurre il tempo richiesto
per addormentarsi, quanta se ne deve
assumere per mettere a posto le cose?
Qui sorge qualche dubbio, soprattutto
da parte di chi con la melatonina ha
una consuetudine di lungo corso ed è
abituato a dosaggi più alti rispetto a quelli
consigliati attualmente. Se infatti fino alla
fine del 2013 gli unici prodotti contenenti
melatonina in commercio in Italia erano
gli integratori, in dosaggi fino a 5 mg, a
partire dall’anno che volge al termine è
vietato commercializzare integratori con
un dosaggio di melatonina superiore a 1
mg. Questa decisione è il risultato di un
adeguamento al regolamento europeo
432/2012, il quale stabilisce che basta
il consumo di 1 mg di melatonina per
avere l’effetto benefico sul sonno. Una
dose doppia, cioè 2 mg al giorno, è invece
riservata al medicinale Circadin, primo e
unico farmaco in Italia con melatonina.
È un farmaco di fascia C (totalmente a
carico del paziente) ed è acquistabile
solo con la ricetta medica. Sul foglietto
Così ti propizi
i favori del dio
della notte
Associazione positiva Rendere la camera
da letto un luogo che concilia il sonno:
quieto, fresco e con un’illuminazione
tenue. Se si non ci si riesce ad addormentare, meglio alzarsi e dedicarsi a un’attività rilassante, invece che rigirarsi tra le
lenzuola. È fondamentale che il letto e la
camera non vengano associati all’ansia del
non dormire.
Letto=dormire Non usare il letto per
attività che non siano legate al riposo e
all’intimità: niente tv, tablet e smartphone.
Regolarità Stabilire orari regolari per
cenare, andare a dormire e svegliarsi,
da rispettare anche nel fine settimana e durante le vacanze. È necessario per ottenere
una buona regolarità. Quando ci si sveglia
presto, prima di quanto desiderato, meglio
non restare a letto ma incominciare subito
la propria giornata.
Rituale Organizzare un rituale del sonno,
cioè un insieme di buone abitudini che
precedono il momento di andare a letto:
leggere, fare un bagno caldo, bere un infuso o una camomilla. È utile legare il sonno
a qualcosa di rilassante e piacevole.
Giusta alimentazione Essere misurati
a cena è importante: mangiare piatti
semplici, poco conditi; scegliere alimenti
che conciliano il sonno (noci, semi oleosi,
legumi, banane, pasta, riso).
Non alzare il gomito Nelle ore serali rinunciare a caffè, bevande alcoliche e sigarette. È vero che l’alcol induce sonnolenza,
ma facilta anche le interruzioni del sonno.
Niente sport di sera L’esercizio fisico, se
svolto di giorno, è un aiuto contro l’insonnia. Va invece evitato di sera.
illustrativo si legge: «Per il trattamento
a breve termine dell’insonnia primaria
(difficoltà persistente ad addormentarsi o
a mantenere il sonno oppure una qualità
del sonno scadente), in pazienti da 55
anni di età».
Il farmaco costa troppo
Poiché una dose (2 mg) del farmaco costa
0,91 euro, cioè oltre cinque volte di più
rispetto alla stessa dose (due compresse
da 1 mg) dell’integratore meno caro, la
domanda sorge spontanea: se ci viene
prescritto il farmaco Circadin, possiamo
risparmiare acquistando l’integratore
(e assumendone una dose doppia)?
«Anche se assumere una certa quantità di
principio attivo con due compresse, invece
che con una sola, non sia la stessa cosa
da un punto di vista dell’assorbimento
- secondo Manni -, la sostituzione è
tecnicamente possibile, a condizione che
le due compresse di integratore siano di
tipo retard, caratteristica che le rende più
simili al Circadin». Retard significa che
il rilascio di melatonina è più lento, per
questo è in genere consigliato a chi ha il
problema dei risvegli notturni, più che
difficoltà ad addormentarsi. Chi invece
prende la melatonina da tempo ed è
abituato alle vecchie dosi può prendere
più compresse di integratore? «Fino a 5 mg
sembra non si rischino effetti indesiderati»,
lo afferma l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare (Efsa). L’invito però è
di chiedere sempre prima a un medico: «Il
fai-da-te per risolvere i disturbi del sonno
è pericoloso e va assolutamente evitato»
raccomandano gli esperti.
113 testsalute 25
Inverno a tutto
vapore
Nella stagione fredda, in casa ci deve essere un certo livello di umidità:
serve a respirare meglio. Può bastare una vaschetta con l’acqua sul termosifone
oppure un umidificatore. Tutto dipende da quanto l’aria è secca.
A
rriva il freddo, si accendono i
caloriferi e l’aria in casa diventa
secca. Respirare aria “asciutta” non
fa bene alla nostra salute: può provocare
gola secca, naso chiuso, tosse, pelle
disidratata e occhi arrossati. È dunque
necessario ristabilire il grado di umidità
ideale. Il primo passo è non dimenticarsi
mai di arieggiare le stanze, spalancando
26 testsalute 113
le finestre almeno dieci minuti ogni
giorno. Altrettanto importante è tenere
una temperatura appropriata in ogni
stanza: ad esempio in camera da letto
i gradi devono rimanere tra i 16-18°C,
in soggiorno tra i 18°-20°C. Se però non
basta, per aumentare l’umidità si può
ricorrere alla classica vaschetta piena
d’acqua per ogni calorifero, soluzione
economica ed efficace, se ancora non è
sufficiente, ad apparecchi umidificatori.
Ne esistono di due tipi: il primo emette
vapore caldo e l’altro, a ultrasuoni, vapore
freddo.
Qui trovate una guida alla scelta, mentre
vi rimandiamo al sito www.altroconsumo.
it/casa-energia, per un test su diversi
modelli di umidificatori in vendita.
Consulta
il test sul
nostro sito
UMIDIFICATORI
A CONFRONTO
Sul nostro sito
Altroconsumo.it,
un confronto tra
modelli su efficacia,
consumi e prezzi
01
Dimensioni:
alcuni sono
ingombranti
02
Due tipi di umidificatori: pro e contro
Le caratteristiche in comune sono tante: funzionano ad
elettricità, non hanno dimensioni troppo ingombranti,
possono essere disposti quasi ovunque in casa e il
costo è abbastanza contenuto. Ma quale scegliere tra
un umidificatore a vapore caldo e uno a vapore freddo?
Scegli un
apparecchio
con un peso
intorno ai 2-3 chili.
Se è troppo leggero
(meno di un chilo)
potrebbe risultare
un po’ instabile e
poco resistente,
mentre se è un
modello pesante
(più di 5 chili) può
risultare scomodo
da spostare e
ingombrante.
Attenzione alla
posizione: non si
può incastrarlo in
uno scaffale come
se fosse un libro,
ma si deve lasciare
un po’ di spazio
attorno per evitare
il surriscaldamento
del motore e per
poterlo riempire in
modo più agevole.
Ovviamente più
acqua contiene,
più grande sarà.
Per una stanza
di 10-15 mq un
serbatoio di 3 litri è
sufficiente.
Umidificatore
a vapore caldo.
L’apparecchio scalda
l’acqua, grazie a una
resistenza, fino a ebollizione
e poi la rilascia nell’aria sotto
forma di vapore caldo.
Il prezzo è contenuto: si va
da un minimo di 20 euro a
un massimo di 60 euro.
Il funzionamento è semplice.
Gli svantaggi sono che si
forma molto calcare ed è un
apparecchio rumoroso.
Umidificatore a vapore
freddo a ultrasuoni.
L’apparecchio produce
ultrasuoni, che fanno vibrare
l’acqua e la trasformano
in una nebbiolina di vapore
freddo.
Il grande vantaggio sta nel
fatto che è un apparecchio
silenzioso. Inoltre si può
regolare bene il flusso di
vapore
Il prezzo va da 20 euro fino
a 90 euro.
03
I consumi degli umidificatori
sono bassi
Non sono apparecchi che consumano
molto. Sulla confezione o sull’apparecchio
è indicato il numero di Watt: si va da un
minimo di 20 a un massimo di 700 W.
La differenza la fa il tipo di apparecchio:
quelli a vapore caldo hanno una resistenza che si scalda e quindi consumano
di più di quelli a ultrasuoni. Tuttavia a
incidere sui consumi sono soprattutto i
vari accessori presenti come il display, il
timer, lo stand by. Però i consumi sono
relativamente bassi. Lo affermiamo dopo
aver svolto una simulazione: abbiamo
ipotizzato un uso intensivo, otto ore al
giorno per tre mesi, e il costo per l’energia
di un apparecchio di 100 W è in media di
circa 5 euro al mese. Sulla confezione è
dichiarato anche il vapore fornito dall’apparecchio, ossia il grado di nebulizzazione. Si trova indicato in ml/h (ora) o g/h.
Gli apparecchi in commercio variano
molto: possono fornire un grado di vapore
che va da 10 a quasi 500 g/h. Consigliamo
di scegliere un modello sui 100-200 g/h,
adatto per una stanza media.
113 testsalute 27
Misura
l’umidità
L’umidità dell’aria in
casa deve essere
tra il 30% e il 50%.
In inverno può
scendere al 10%.
Si misura con un
igrometro
Umidificare per curare
Malanni invernali
Tosse, raffreddore, mal di gola, a volte accompagnati da
febbre, possono essere curati senza ricorrere all’uso dei
farmaci. Ovviamente non è quello che dicono le pubblicità
dei medicinali, che già da qualche mese martellano con
nuovi e vecchi farmaci contro i disturbi di stagione. Invece
per non ammalarsi una delle cose più importanti da fare è
proprio tenere l’aria di casa al giusto grado di umidità.
04
In negozio, prova i comandi
e gli accessori: devono essere
facili da usare
I modelli più semplici hanno solo il
pulsante di accensione e spegnimento.
Altri possono avere una funzione che
consente di controllare il livello di
umidità nella stanza: una volta raggiunto
quello ideale, l’apparecchio smette
di funzionare. In più si può trovare il
comando per programmare il timer,
molto utile per far partire l’apparecchio
qualche ora prima del rientro in casa.
Attenzione però a quanta acqua si lascia
nel serbatoio: se è troppa e ristagna, si
possono creare batteri e muffe; oppure
se è poca si esaurisce, e l’apparecchio
continua a funzionare provocando il
surriscaldamento del motore e uno
spreco di energia elettrica.
Il nostro consiglio è di utilizzarli solo
quando si è in casa, altrimenti sceglierne
uno con la funzione di autospegnimento
quando non c’è più acqua. L’umidificatore
potrebbe essere dotato di un filtro HEPA,
come quello presente nella maggior
parte degli aspirapolvere, che trattiene la
polvere, e di una vaschetta dove mettere
le essenze, che è meglio evitare perché
possono essere allergeniche e irritanti.
28 testsalute 113
Tosse, niente sciroppi sedativi La tosse è un sintomo
utile a rimuovere il muco dalle vie respiratorie: bisogna
combatterla solo se è fastidiosa, per esempio perché
impedisce il sonno. I sedativi bloccano lo stimolo a
tossire, mentre i mucolitici hanno la funzione di rendere il
catarro più fluido, per aiutarne l’espulsione, ma l’efficacia
di questi ultimi è paragonabile a quella di rimedi non
farmacologici, come bere molto e umidificare l’aria. Le
aziende propongono a volte farmaci in associazione, che
contengono una sostanza sedativa, che sopprime la tosse,
e un’altra che fluidifica il catarro, che l’aiuta: un cocktail
insensato.
Mal di gola Non è consigliabile assumere nulla: se il dolore
è fastidioso, meglio limitarsi a un antidolorifico come il
paracetamolo, in alternativa l’ibuprofene.
In caso di febbre oltre i 38°C e tonsille ingrossate,
consultare il medico. Spray, collutori e pastiglie contengono
antinfiammatori o antisettici, la cui efficacia come rimedi
locali è poco provata. Per le pastiglie da succhiare è
probabile che l’effetto lenitivo sia legato più all’attività
emolliente della saliva, quindi una qualsiasi caramella fa più
o meno lo stesso effetto.
Raffreddore I decongestionanti per naso sono efficaci,
ma se usati per più di qualche giorno possono dare
l’effetto opposto, provocando una congestione nasale
da sospensione. Sono accettabili solo in caso di vera
necessità (per esempio impossibilità di dormire per naso
chiuso di notte), per un periodo strettamente limitato. Il
primo consiglio è bere molto, per fluidificare il muco e
facilitarne l’espulsione. Utili anche inalazioni e lavaggi nasali
con la soluzione fisiologica, da comprare in flaconi da 250 o
500 ml in farmacia e non in costosissime fialette monodose.
05
Puliteli spesso
per un vapore
puro
Batteri e muffe
vade retro e l’unico
modo per tenerli
lontani è pulire
l’umidificatore
di frequente e
bene. Ogni giorno
bisogna cambiare
l’acqua e ogni
settimana lavare il
serbatoio con aceto
bianco o di mele,
meno aggressivi di
quello rosso. Poi,
a fine stagione o
quando non si usa
più, l’apparecchio
va smontato e pulito in tutte le parti
lasciandole ben
asciugare prima di
metterlo via.
Il calore e l’umidità
sono un terreno
fertile per la nascita
di batteri: bastano
anche solo 48
ore. Per questo è
importante pulire
il serbatoio dell’acqua di frequente.
Se ci sono i filtri,
bisogna sostituirli
con regolarità.
C'È SOLO
BURRO
I due campioni delle feste
LO PREVEDE
LA LEGGE
ITALIANA
Per questo i due
dolci apportano
grassi saturi
e colesterolo
Più leggero come consistenza, il pandoro in realtà è più calorico
del panettone: e molte altre specialità natalizie pesano meno sulla dieta.
Moderare le quantità è il segreto per accordare la linea alla golosità.
370 kcal
una porzione
(110 g)
PANETTONE:
PIÙ LEGGERO
Per 100 grammi:
11 g di grasso
336 kcalorie
E gli altri
dessert?
4 datteri (50 g)
grassi 0,3 g
kcal 110
4 noci (80 g)
grassi 19 g
kcal 200
Panforte (55 g)
grassi 5 g
kcal 220
Torrone (50 g)
grassi 13 g
kcal 240
Cassata (105 g)
grassi 16 g
kcal 270
450 kcal
PANDORO:
PIÙ GRASSI
Per 100 grammi:
21 g di grasso
409 kcalorie
una porzione
(110 g)
➜ Salute a tavola www.altroconsumo.it/alimentazione
113 testsalute 29
La terapia
giusta
CURARE L’ACNE
Per individuare la
cura migliore va
tenuto conto del
tipo di lesioni e
della storia clinica
del paziente
Acne
Miti e leggende da sfatare
Punti bianchi, punti neri e brufoli affliggono moltissimi adolescenti, ma spesso
si guarisce con la crescita. Una cosa però è certa: nessuna dieta o detergente per il viso
può fare miracoli né può prevenire la malattia.
Che cos’è l’acne?
L’acne è una malattia della pelle, di solito
benigna, che si manifesta soprattutto
nella popolazione giovane: la fascia di
età più colpita è quella della pubertà. Ne
soffrono soprattutto ragazzi e ragazze in
età scolare (scuola media e superiori), ma
in alcuni casi può colpire anche gli adulti.
Come si manifesta?
Di norma le ghiandole sebacee della
pelle, poste in prossimità del follicolo da
cui esce il pelo, secernono il “sebo”, una
sostanza grassa che unge il pelo e viene
escreta, cioè buttata fuori dalla pelle. In
caso di acne il sebo rimane intrappolato
nel follicolo pilifero. Si forma quindi
una specie di tappo, che impedisce al
sebo di fuoriuscire. In questo ambiente
proliferano i batteri responsabili
dell’acne (detti “P. acnes”), che si
manifesta sotto forma di lesioni di vario
tipo: comedoni (punti bianchi e punti
neri), papule e pustole (comunemente
chiamati “brufoli”), noduli e cisti, che si
manifestano sul viso e talvolta su schiena
e torace.
Quanti tipi di acne esistono?
Ci sono tre tipi di acne, distinti sulla base
30 testsalute 113
della sua gravità: acne lieve, moderata e
grave.
In generale è il prevalere di un particolare
tipo di lesione o di più lesioni insieme a
determinarne la gravità.
Nell’acne lieve sono prevalenti i
comedoni; in quello moderato sono più
numerose le papule e le pustole, mentre
nella forma grave accanto alle altre lesioni
ci sono anche noduli e/o cisti.
Il singolo brufolo è già acne?
No. Per avere acne bisogna che siano
contemporaneamente presenti più lesioni
differenti. Quindi, per esempio, un solo
brufolo non fa acne, ma brufoli associati a
comedoni sì.
Perché spesso è considerato
un problema sociale?
Visto che colpisce i giovani, concentrati
sul proprio aspetto fisico, i problemi che
l’acne porta con sé sono soprattutto di
natura estetica e sociale: può accadere
che il giovane con acne si senta a disagio
in mezzo ai coetanei che non hanno il
suo stesso problema. Tutto ciò può avere
ripercussioni di ordine psico-sociale,
più o meno gravi a seconda del soggetto
colpito e dell’ambiente in cui vive. Per
questo si cerca sempre di trovare una
soluzione per guarire il prima possibile.
È possibile prevenirla?
No. Gli adolescenti che hanno avuto
genitori affetti da acne avranno maggiori
probabilità di svilupparlo a loro volta.
Nell’insorgere dell’acne, dunque, conta
prima di tutto l’ereditarietà, su cui non si
può intervenire.
Ad oggi mancano dei veri e propri
interventi efficaci per la prevenzione
primaria della malattia.
Chi la diagnostica?
Può essere diagnosticata dal medico di
base, che osserva il tipo di lesioni presenti
sulla pelle. Solo in alcuni casi (soprattutto
in quelli più gravi) è richiesto il parere del
dermatologo, medico specializzato nella
diagnosi e nel trattamento delle malattie
della pelle.
I cosmetici possono guarire
l’acne?
Assolutamente no, anzi: diffidate sempre
da quei cosmetici che promettono di far
sparire (o anche prevenire) l’acne, come
recitano alcuni slogan sulle etichette (vedi
immagine qui a fianco).
>
Anti-brufoli
Previene l’ostruzione
ripetuta dei pori.
Anti-ricomparsa
Anti-punti neri
Pelli seborroiche a
tendenza acneica
Non comedogenico
Seboregolatrice
Aiuta a riequilibrare
l’eccessiva
produzione di sebo
Per pelli impure.
Non occlude i pori
Purifica i pori in
profondità
Bugie in bella vista: ecco come gli slogan
dei cosmetici possono essere ingannevoli
113 testsalute 31
Quale
detergente?
EVITA LE
SAPONETTE
Meglio i detergenti:
il medico saprà
indicare il più
adatto al proprio
tipo di pelle
>
Gli studi clinici su questi prodotti, infatti,
sono rari e di scarso valore scientifico, in
altre parole la loro presunta efficacia non
è dimostrata.
L’azione dei cosmetici è puramente
estetica e superficiale: l’acne, invece,
è un problema complesso, con radici
profonde. Quello che questi prodotti
possono realmente fare è migliorare
l’aspetto estetico: alcuni di essi
contengono sostanze sgrassanti che
tolgono il sebo in eccesso, altri hanno un
blando potere antibatterico, altri ancora
agiscono come esfolianti, rimuovendo lo
strato superficiale della pelle per darle un
aspetto più liscio e luminoso.
I cosmetici, quindi, migliorano l’aspetto
della pelle, ma sono ben lontani dal
risolvere il problema dell’acne.
Una scarsa igiene può
causare acne?
Che l’acne sia causato da cattive abitudini
di igiene è una credenza diffusa, ma
erronea. Al contrario: lavare il viso
più volte al giorno, come fanno molti
adolescenti, può addirittura peggiorare
la situazione. Uno studio ha dimostrato
che lavare il viso due volte al giorno con
un detergente delicato e senza prodotti
“anti-acne” è più che sufficiente per una
corretta igiene.
Esistono cure
farmacologiche?
Sì. I trattamenti specifici per l’acne si
possono dividere in due grandi famiglie:
per la loro sede di azione si distinguono
i trattamenti topici (cioè locali, da
applicare sulla pelle) e quelli sistemici (da
assumere per bocca).
Per meccanismo di azione, invece,
distinguiamo: i comedolitici, che
disgregano i comedoni (fanno parte
di questa famiglia i retinoidi locali);
i cheratolitici, che contribuiscono a
esfoliare lo strato corneo, cioè lo strato
esterno della pelle; gli antibiotici, che
contrastano l’azione del batterio “P.
acnes”. Spetterà al medico curante
individuare il trattamento più adatto.
La cura, infatti, sarà diversa a seconda che
32 testsalute 113
Nessun
cosmetico
può
guarire
l’acne:
migliora
solo
l’aspetto
della
pelle
si tratti di acne lieve, moderata oppure
severa. Nella comunità scientifica non
esiste a tutt’oggi un approccio unanime
nel trattamento dell’acne: molto dipende
dal paziente e dal tipo di lesioni.
Meglio un trattamento locale
o un farmaco per bocca?
Dipende dal tipo di acne.
Se è in forma lieve, la terapia indicata dal
medico sarà quasi sicuramente locale,
ovvero un’applicazione di creme, gel
o lozioni. Nessuno tra i farmaci locali
è rimborsato dal Servizio sanitario
nazionale, e per alcuni è necessaria la
prescrizione del medico.
I farmaci sistemici sono riservati ai casi
di acne moderata o grave. Si assumono
per bocca (di solito si tratta di capsule
o compresse) e alcuni possono essere
rimborsati.
Come per tutti i farmaci, anche quelli
per l’acne possono comportare effetti
indesiderati anche gravi, sui quali il
paziente deve essere messo al corrente
(vedi anche il riquadro alla pagina a
fianco).
Quali consigli può dare il
medico?
I medici dovrebbero spiegare innanzitutto
che l’acne non è guaribile, ma gestibile
con una terapia.
I consigli utili possono riguardare
soprattutto i farmaci, che vanno assunti
e/o applicati in maniera corretta, senza
interruzioni e non dimenticando che
basta una piccola quantità di gel o di
crema per trattare tutto il viso.
La pillola contraccettiva può
rappresentare una cura?
Alcune pillole contraccettive vengono
talvolta prescritte a donne in età fertile
con acne moderata o severa: questo
perché alcuni ormoni, contenuti solo in
alcune pillole, bloccano l’azione degli
ormoni androgeni e di conseguenza
fermano la produzione di sebo collegata a
questi ormoni.
In particolare, l’ormone ciproterone
acetato, contenuto nel farmaco Diane:
spesso viene prescritto per trattare l’acne
pur non essendo un contraccettivo
classico. L’impiego di Diane, però, deve
essere riservato a casi di acne moderata o
severa, in ogni caso collegata agli ormoni
androgeni, che non abbia risposto a
trattamenti di prima linea (come una
terapia locale o con antibiotici sistemici).
In questi casi di acne, il medico che
decide di prescrivere Diane deve
valutare bene i possibili benefici e
rischi connessi all’uso del farmaco (in
particolare il rischio di trombosi venosa)
informandone la paziente, così che possa
segnalare eventuali reazioni o sintomi
anomali riscontrati durante l’assunzione.
Chi ha l’acne può usare
trucchi per il viso?
Meglio evitare. Il maquillage, che senza
dubbio ha il vantaggio di mascherare i
brufoli, può occludere i pori e aggravare
l’acne. Se proprio non potete farne a
meno, come può capitare soprattutto alle
pazienti più giovani, meglio i prodotti
in polvere rispetto a quelli in crema:
questi ultimi possono contenere oli che
favoriscono la formazione di comedoni.
I cerotti per togliere i punti
neri sono efficaci e sicuri?
Possono essere utili per migliorare
l’estetica della pelle.
Di sicuro però non curano l’acne, come
avviene per tutti gli altri cosmetici, e si
attivano solamente su problemi molto
superficiali.
Dati certi sulla loro efficacia e sicurezza al
momento non ce ne sono.
Esiste una dieta anti acne?
È una credenza diffusa che alcuni
cibi, come il cioccolato o gli insaccati,
contribuiscano a far peggiorare l’acne.
In realtà, non esiste una vera e propria
dieta anti acne. Diversi studi, tuttavia,
hanno dimostrato che latte e derivati
possono essere associati a una maggiore
gravità dell’acne. Meglio contenere il
consumo di latticini e seguire una dieta a
Usare con cautela
Farmaci e acne
Aisokin capsule, Isoriac, Isotretinoina DIFA sono farmaci
da usare per bocca a base di un retinoide: l’isotretinoina.
Questi farmaci, che necessitano di ricetta non ripetibile e
compilata per la prima volta da uno specialista, non devono
essere assunti da donne che desiderano un figlio perché
sono teratogeni: se la donna resta incinta durante la cura
possono verificarsi delle malformazioni fetali. Altri effetti
indesiderati potrebbero essere secchezza delle mucose e
problemi a livello psichiatrico.
Anche gli antibiotici (sia per uso locale che orali) rientrano
tra i farmaci da usare con cautela: spesso vengono assunti
a sproposito, contribuendo a peggiorare il problema della
resistenza, ovvero la selezione di ceppi batterici che non
rispondono più alle cure antibiotiche. Per questo motivo
gli antibiotici per bocca andrebbero riservati solo ai casi di
acne che non hanno risposto ai trattamenti locali.
basso contenuto di zuccheri.
Strizzare o non strizzare?
Una spremitura delicata dei comedoni
non è necessariamente da vietare.
Se però l’operazione viene fatta in
maniera aggressiva c’è il rischio di
traumatizzare la pelle, causando
l’insorgenza di infezioni o cicatrici.
Nel dubbio, meglio affidarsi a mani
esperte: se ben condotta, la spremitura
può anche essere fatta dall’estetista con
una pulizia del viso.
L’esposizione al sole accelera
la guarigione?
No. Non vi è alcun dato scientifico sui
benefici del sole per le pelli acneiche.
Luce, laser e radiofrequenza:
sono efficaci?
È dimostrato che queste nuove tecnologie
possono effettivamente ridurre il numero
di lesioni infiammatorie o la produzione
di sebo.
Tuttavia, il trattamento può essere
doloroso, e potrebbero presentarsi
effetti indesiderati come follicolite,
iperpigmentazione (ovvero chiazze della
pelle), croste e abrasioni superficiali della
pelle.
Gli effetti colletarali a lungo termine,
inoltre, non sono ancora noti.
Considerato il costo elevato di queste
tecniche e le inevitabili ricadute della
malattia dopo 3-6 mesi, meglio riservarle
soltanto ai casi più resistenti alle terapie
più comuni.
Per quanto tempo bisogna
curarsi per vedere risultati?
In alcuni casi l’acne si risolve in maniera
spontanea: scompare così com’è venuta,
attaverso la crescita. Portando un po’ di
pazienza, quindi, il problema potrebbe
risolversi da solo.
Nei casi in cui è necessario ricorrere
ai farmaci, il trattamento deve durare
almeno due o tre mesi prima di osservare
dei risultati tangibili, fermo restando che
in tal caso sarà il medico a prevedere la
durata delle cure.
113 testsalute 33
C
i sono momenti, giorni, settimane
che non possono essere spiegati.
Sono quelli in cui il tempo si
dilata e si vive aspettando: che il dolore
passi, che il tempo passi, che la pace
arrivi. Sono i giorni dei malati terminali,
complessi da spiegare, difficili da vivere.
Eppure a questi giorni un senso si
deve dare. Lo ha capito anche lo Stato,
che - seppur tardi - ha sancito il diritto
dei malati terminali alle cure palliative
attraverso una legge quadro, la n. 38 del
15 marzo 2010. Una legge all’avanguardia
che definisce queste cure, le mette
nero su bianco, perché possano essere
comprese da tutti per quello che sono:
interventi per migliorare la qualità della
vita dei pazienti e delle loro famiglie che
affrontano una malattia grave incurabile,
attraverso il sollievo dalla sofferenza e
il trattamento del dolore. Quindi, per
favore, non chiamiamole eutanasia.
Non c’entra niente.
Che cosa sono
Alleggerire
il dolore
la cura che protegge
Le cure palliative per alcuni malati sono l’unica possibilità di
preservare una qualità della vita accettabile. Ecco perché devono
partire subito, non solo in fase terminale. E riguardare tutta la famiglia.
34 testsalute 113
Partiamo dal principio. Le cure palliative
non sono solo farmaci, ma un insieme di
interventi che devono dare al paziente e ai
suoi familiari l’aiuto di cui hanno bisogno.
Questo vuol dire: alleviare il dolore che
spesso si associa alle malattie gravi o
incurabili (come il cancro, ma non solo);
confortare dal punto di vista psicologico
e spirituale; sostenere il malato insieme
a tutti quelli che gli stanno intorno e
gli vogliono bene. Quando? Durante
la malattia, in prossimità della morte,
nel lutto. Ecco perché si parla di cure
palliative, dal latino pallium, mantello,
come una coperta intessuta proprio per
proteggere una famiglia di persone; cure
non intese come una terapia che guarisce
(purtroppo), ma piuttosto come atti che
confortano il malato e le persone che lo
circondano. A chi spettano? I pazienti che
possono riceverle sono quelli affetti da
malattie croniche, gravi, per le quali non
esistono terapie oppure, se esistono, si
sono rivelate inadeguate o inefficaci: nella
maggior parte dei casi si tratta di cancro,
agli stadi terminali. Ma ve ne sono anche
molte altre.
Fare
la strada
insieme
Per alleviare la sofferenza
Anzitutto si pensa a questo: controllare,
lenire il dolore fisico. Perché è proprio
questo che toglie dignità alla persona,
la cambia, la spaventa, la imbruttisce.
La legge 38 - tra l’altro una normativa
all’avanguardia, la sola in ambito
europeo che garantisca l’accesso alle cure
palliative - tutela il diritto del cittadino
alla terapia del dolore. In che cosa
consiste? Anche in questo caso si tratta
di un insieme di interventi - differenti
e definiti in base alle esigenze di ogni
singolo malato - che servono a controllare
il dolore del paziente. Possono essere
terapie farmacologiche, chirurgiche,
strumentali, psicologiche o riabilitative,
singole o integrate tra loro in modo
variabile: modulate, appunto, in base a
quello di cui ha bisogno il malato.
In realtà alla terapia del dolore si ricorreva
anche prima della legge del 2010, come
ultima possibilità di trattamento nella
gestione dei malati terminali. Oggi però
la legge 38 ha facilitato notevomente la
prescrizione dei farmaci, alleggerendo
volutamente le incombenze burocratiche
che gravavano sui medici e sui farmacisti.
E questo ha facilitato i pazienti
nell’accesso alla terapia del dolore.
Misurare in modo preciso
Per individuare e capire bene come
affrontare il dolore, le legge impone
l’obbligo di rilevarne il grado, usando
alcune scale di misura.
Questa novità introdotta nella normativa
serve proprio per tutelare chi sta male.
Sono molti gli studi infatti che hanno
evidenziato che la valutazione esterna
del dolore (quella fatta da un medico o da
un infermiere) sottostima spesso la sua
reale intensità. A parte dunque i casi di
neonati o pazienti incapaci di esprimersi
per cui la valutazione esterna è l’unica
possibile, per avere una visione reale
dell’esperienza dolorosa di un malato
sono necessarie diverse valutazioni. I test
che sono stati creati con questo compito,
usati negli ospedali, sono molti: esistono
scale verbali, scale numeriche, scale
che prendono in considerazione più
L’assistenza
può essere avviata
già negli stadi
iniziali
della malattia
Oppiacei: i dubbi
È vero che l’uso degli oppioidi per il
controllo del dolore accorcia la vita?
No. Gli oppioidi sono farmaci ben conosciuti e non influiscono sul tempo naturale
di sopravvivenza dei malati che li assumono. Inoltre, controllando il sintomo dolore,
migliorano la qualità della vita del paziente
e di riflesso anche quella dei suoi familiari.
È vero che gli oppioidi creano dipendenza e possono essere prescritti solo
per il dolore da cancro? La dipendenza in
questo tipo di malati è un evento rarissimo
(0,03%). Gli oppioidi possono essere
utilizzati per qualunque malattia caratterizzata da dolore intenso e a qualunque età:
innalzano la soglia percettiva del dolore e
influiscono positivamente sulla componente emotiva che lo accompagna. In pratica
alleviano il dolore e aiutano il malato a
tollerarlo meglio: in dosi adeguate non
alterano la coscienza.
È vero che le cure palliative sono riservate solo ai malati di cancro? No. Sono
rivolte alle persone affette da malattie, per
le quali non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o risultano inefficaci
ai fini della stabilizzazione della malattia
o di un prolungamento significativo della
vita.
COME IN BICI
Bisogna salire su
una bici-tandem
con il malato e
iniziare un percorso
in cui ogni pedalata
va fatta insieme
sintomi (stanchezza, depressione, ansia,
inappetenza...). Esistono anche sistemi
di valutazione dedicati ai bambini (dai
3 agli 8 anni) con faccine dalle diverse
espressioni oppure scale basate sui
numeri, per i più grandicelli che hanno
acquisito il concetto di proporzionalità (il
numero cresce al crescere del dolore).
Come le scale di valutazione, anche la
terapia del dolore è fatta a “gradini”: si
usano prima i farmaci ad azione inferiore
e poi i farmaci più potenti; a volte si usa
un solo farmaco, altre volte si usano
farmaci diversi, associati tra loro.
In genere per il dolore lieve si utilizzano
il paracetamolo o i FANS (farmaci
antinfiammatori non steroidei); per il
dolore moderato si utilizzano gli oppioidi
(chiamati anche oppiacei) minori (per
esempio la codeina o il tramadolo),
associati o meno ad altri farmaci attivi
sul dolore; per il dolore moderato-severo
si ricorre agli oppioidi maggiori (per
esempio la morfina o la buprenorfina),
associati o meno ad altri farmaci.
Fin dall’inizio
Subito: l’Organizzazione mondiale della
sanità ha ribadito che le cure palliative
possono essere iniziate fin da subito cioè,
nel caso di cancro, in concomitanza con
la chemioterapia o la radioterapia per
controllarne gli effetti indesiderati. Ma
questo è un grande passo avanti rispetto
al passato. E non è il solo. La terapia del >
113 testsalute 35
Testimonianza
LE CURE
PALLIATIVE
SONO:
“L’insieme degli
interventi terapeutici,
diagnostici e
assistenziali, rivolti
sia alla persona
malata sia al suo
nucleo familiare,
finalizzati alla cura
attiva e totale
dei pazienti la cui
malattia di base,
caratterizzata da
un’inarrestabile
evoluzione e da una
prognosi infausta,
non risponde più a
trattamenti specifici”
(così le definisce la
legge 38 del 2010)
36 testsalute 113
Io, infermiera
Bisogna sradicare l’ignoranza, a volte anche
tra gli stessi medici. Le cure palliative non sono
morte assistita. Il racconto di chi non si arrende.
«Arrivo in stanza e incontro la giovane
donna per cui mi hanno chiamato: ha
un cancro in metastasi; otto mesi di
vita. Parlo con il marito che vorrebbe
portarla a casa, ma sa che la moglie
soffre molto, non solo fisicamente,
ma per la situazione di lenta agonia
in cui versa. Lo ascolto in silenzio e
nelle sue parole colgo una sorta di
delusione, di rammarico per essere
arrivato impreparato, per non sapere
come gestire la situazione. Esco dalla
stanza e cerco di capire con il medico
di reparto e con l’infermiera che è
con lui perché non siano state attivate
le cure palliative. Vengo gelata dalla
risposta dell’infermiera: “Qui non
pratichiamo l’eutanasia: è illegale”.
Senza il loro consenso, contatto io il
servizio di cure palliative: il medico
palliativista arriva e chiede al medico
di reparto perché non è stato richiesto
il suo intervento prima. Riceve la
stessa risposta: “L’eutanasia è illegale”.
Com’è possibile che - dopo tutta
l’informazione e la formazione che
ogni professionista deve seguire - ci sia
ancora chi considera le cure palliative
come eutanasia legalizzata? E in questa
confusione professionale gravissima a
farne le spese sarebbe stata la paziente,
dimessa con tanti inutili ausili che non
le avrebbero mai dato la pace a cui ha
diritto. Ora, invece, la donna è casa:
riposa nel suo letto, col marito accanto.
È sedata con farmaci appropriati
e l’ossigeno l’aiuta a respirare. Si
sveglia, mangia un budino, poi si
riaddormenta. Nessuno può sapere
quando la vita l’abbandonerà: come
sanitari però possiamo dare un senso
umano e professionale a questa attesa»
Laura Binello
Infermiera
Cure Domiciliari
>
dolore, garantita in ospedale, dev’essere
garantita anche a domicilio. Come le
cure palliative, che vengono iniziate
in ospedale e devono poter proseguite
anche a casa. È questo un altro punto
messo a segno dalla legge 38, una
normativa giuridicamente esaustiva, che
disciplina anche l’assistenza domiciliare
o, in alternativa, quella residenziale nei
cosiddetti hospice.
In questo panorama, dunque, se
qualcosa va migliorato non riguarda il
piano giuridico: quello che servirebbe
è invece maggiore informazione, più
consapevolezza pubblica e una migliore
preparazione dei medici. Sebbene il
ministero della Salute sottolinei nei
suoi rapporti che l’uso dei farmaci
nella terapia del dolore dal 2011 al 2013
è in aumento (del 48%), secondo il
Libro Bianco di Aboutpharma (rivista
di riferimento del settore) le diagnosi
corrette e il conseguente uso dei farmaci
sembrano ancora piuttosto carenti. I Fans
restano i medicinali più utilizzati, ma
spesso sbagliando. Insomma la sofferenza
a volte è sottovaluta: la buona legge - da
sola - non basta.
A casa propria
Anche a casa. Una volta dimesso
dall’ospedale, il paziente deve continuare
a ricevere le cure di cui ha bisogno.
Lo legge lo dice, ma tra il dire e il fare,
sappiamo passa un mare, fatto di
problemi. Che variano di regione in
regione. Per proseguire le cure palliative
a casa è necessario intessere una rete
molto stretta, fatta di collaborazione
tra i medici dell’ospedale, il medico di
famiglia e la famiglia stessa, che deve
coordinare l’assistenza. E si sa nella
vita reale spesso le cose si complicano.
Quando un paziente non ha chi lo può
aiutare o l’impegno è troppo gravoso
per la famiglia, o anche se la malattia è
di difficile gestione, il malato dovrebbe
aver diritto a un posto in un hospice. Si
tratta di strutture residenziali dedicate
al ricovero e alla degenza dei malati che
necessitano di cure palliative. Purtroppo
il condizionale è d’obbligo, perché gli
Una cura
contro
i pregiudizi
hospice non sono distribuiti in modo
omogeneo sul terriorio italiano. Secondo
la Fedcp (Federazione Italiana Cure
Palliative) sono 230 le strutture presenti
in Italia (per un totale di 2.524 posti
letto): la maggioranza si trova al Nord e al
Centro; nel Sud e nelle Isole si trova solo
il 16,2% di tutti i posti letto. La Lombardia
è la regione più fornita (65 strutture
con 740 posti letto); segue il Lazio, con
26 strutture e 348 posti letto e l’Emilia
Romagna con 21 hospice e 276 posti
letto. Ma non è solo questione di posti
letto: esistono differenze tra regione e
regione nell’organizzazione dell’aspetto
assistenziale. E in alcuni casi i livelli
essenziali di assistenza su cure palliative
e terapia del dolore sono inadeguati
(Lazio e Molise per esempio sono
state considerate regioni inadempienti
secondo la rilevazione fatta dal ministero
della Salute nel 2012).
Per fortuna c’è il volontariato.
Grazie al no-profit
Un ruolo essenziale nell’assistenza del
malato terminale e della sua famiglia
è spesso svolto dalle organizzazioni
non profit, che intervengono sia con
operatori professionali (retribuiti dalle
organizzazioni stesse) sia con volontari.
Come funzionano? «In Lombardia
- ci spiega Giorgio Trojsi, segretario
generale di Vidas, una delle associazioni
che fornisce assistenza completa e
gratuita ai malati terminali e alle loro
famiglie - chi ha bisogno di assistenza
riceve un elenco di enti accreditati con
la Regione e, secondo il principio di
“libera scelta”, il cittadino può scegliere
a chi rivolgersi. Vidas riesce ad attivare
il percorso di cura in 24/48 ore, con una
tempestività assoluta rispetto al bisogno».
Ma non è così in tutta Italia, purtroppo.
In alcune regioni le organizzazioni
non profit non operano integrando il
servizio sanitario pubblico, ma coprono
letteralmente un vuoto assistenziale,
che il servizio sanitario nazionale non
riesce a garantire. Per non parlare di
territori in cui l’assistenza con le cure
palliative è del tutto assente. «L’azione
La sedazione
palliativa
non riduce
la sopravvivenza
dei malati, anzi
può prolungarla
Capire il difficile
Che cos’è la sedazione palliativa (detta
anche terminale)? La sedazione palliativa è un trattamento delle cure palliative:
serve a trattare i sintomi del paziente che
si avvicina al momento della fine (dolore
incontrollato, fame d’aria, delirio). I farmaci
usati in genere sono quelli della famiglia
delle benzodiazepine, con azione sedativa
e ipnotica, somministrati per via iniettiva (a
volte insieme a farmaci come antidolorifici
e ipnotici).
La sedazione palliativa e l’eutanasia
sono la stessa cosa? No. La sedazione
palliativa non solo è un trattamento legittimo sia sul piano etico-deontologico sia su
quello legale, ma è anche un trattamento
dovuto ai pazienti che hanno diritto di
conservare la loro dignità al termine della
loro vita, quando presentano sintomi che
non rispondono ai consueti trattamenti. Il
suo obiettivo è ridurre o abolire la percezione della sofferenza con farmaci sedativi
non letali: l’esito finale è la riduzione della
vigilanza e della coscienza del paziente.
L’eutanasia, invece, ha come obiettivo
provocare la morte del malato, utilizzando
sostanze letali (per tipo e dosaggi).
Fonte:SICP, Società Italiana Cure Palliative
MENO DOLORE
PIÙ PACE
La sedazione
palliativa usa
farmaci sedativi,
non letali, per
ridurre la vigilanza
di supplenza del mondo non profit però
non può essere perpetua e limitata al
“fare servizio”». Secondo Trojsi «le
organizzazioni del terzo settore devono
svolgere contemporaneamente un’azione
di “advocacy”, di denuncia, di difesa del
diritto». È quello che cerca di fare anche
la Federazione Cure Palliative - l’ente
a cui aderiscono 80 organizzazioni
non profit attive in questo campo –
partecipando a tavoli istituzionali e
promuovendo azioni di sensibilizzazione
affinché i diritti sanciti dalla legge, in
particolare la legge 38/2010, possano
essere goduti da tutti i malati, senza
distinzione di età e su tutto il territorio
nazionale. «E non solo - prosegue Trojsi
- serve una semplificazione dei rapporti
amministrativi e di controllo introdotti
dall’ente pubblico: così le risorse oggi
necessarie per gestire e soddisfare le
esigenze burocratiche di asl, regioni e
ministeri potrebbero essere destinate a
migliorare ed estendere i servizi offerti.
Questo impegno delle organizzazioni non
profit dovrebbe sempre essere presente,
anche in altri ambiti. Ricordiamolo: sono
un bene prezioso. Perché le organizzazioni
del Terzo Settore sono moltiplicatori di
risorse attraverso l’attività di fundraising
che molte di loro svolgono. E - conclude
Trojsi - il volontariato genera persone
migliori, che restano migliori anche fuori
dall’organizzazione in cui operano, nella
società in cui vivono».
113 testsalute 37
lettere
Tappi
chiusi
Le scelte
politiche
ricadono
sui malati
Gli effetti dei tagli
Mi hanno sempre rimborsato la terapia vaccinica,
indispensabile per contrastare la mia allergia agli acari.
E ora, di colpo, devo pagarmela da solo. Perché?
La stessa vicenda segnalata dal
nostro socio V.S.V., che abita
in Sicilia, ha coinvolto anche
altri soci. Ne ricordiamo in
particolare uno che ci scrisse
dal Piemonte, lamentandosi
esattamente dello stesso fatto:
a un certo punto i vaccini per
l’allergia, che gli venivano
rimborsati dalla Asl, erano
diventati a pagamento.
Si tratta della ricaduta
concreta sulle persone di
precise scelte politiche:
se i soldi per la sanità
diminuiscono, i governi
locali devono decidere cosa
garantire ai cittadini (ciò che
quindi deve essere rimborsato
a tutti) e ciò che invece si può
tagliare e non rimborsare più.
La Regione Sicilia era una
delle poche che rimborsava
completamente ai pazienti la
cifra spesa per questo tipo di
terapia: ma ora la situazione è
cambiata.
Nella maggior parte delle
regioni italiane, comunque,
l’immunoterapia è sempre
stata a carico del cittadino
(è così in Veneto, Umbria,
Marche, Abruzzo, Lazio,
Campania, Calabria,
Basilicata, Sardegna, stando
all’ultima rilevazione che
abbiamo fatto). In altre
regioni, il rimborso totale
o parziale viene dato solo
a pazienti che soffrono di
allergia grave (per esempio
hanno avuto un precedente
shock anafilattico e hanno
rischiato la vita) oppure
ci sono delle riduzioni in
base al reddito. Bisogna
comunque considerare
che l’immunoterapia è
da destinare solo a casi
particolari, visto che le prove
di efficacia ci sono solo per
alcuni casi e non per tutti i
tipi di allergia e nemmeno per
tutti i livelli di gravità. In caso
di allergia grave, che ha messo
in pericolo la vita del paziente,
in genere, la terapia è sempre
rimborsata. Si può discutere
con il proprio medico sulla
effettiva utilità di questa cura.
Come mai i flaconi delle
creme per il corpo, ma
anche le creme per il
viso e i fondotinta spesso
non hanno un tappo con
sigillo? Sugli scaffali
del supermercato, ma
anche quando sono in
magazzino, chiunque può
aprirli e contaminarli o manometterli. Non c’è alcun
obbligo di legge per il produttore?
M.A. - email
Condividiamo il disappunto del nostro lettore, soprattutto
se quelli di cui parliamo sono prodotti cosmetici destinati
a stare a contatto con la pelle, e magari senza risciacquo,
come le creme per il corpo o il fondotinta. In questi casi,
una contaminazione in fase di stoccaggio in magazzino o
in negozio potrebbe avere ripercussioni spiacevoli su chi li
utilizza, mettendone a repentaglio la sicurezza.
La responsabilità in questo caso è del produttore, che
sceglie che tipo di confezionamento dare al prodotto messo
in vendita.
Non è previsto però alcun obbligo di legge sulla scelta del
tipo di imballaggio, quindi in questo caso non resta che
affidarsi alla sensibilità del produttore, che peraltro ha
tutto l’interesse a garantire un confezionamento dei suoi
prodotti il più possibile sicuro al riparo da spiacevoli rischi
di contaminazione.
C’è anche da considerare che nella filiera ci dovrebbe essere
la giusta sorveglianza sull’adeguata conservazione del
prodotto, sia in fase di stoccaggio sia quando arriva sugli
scaffali del supermercato.
In ogni caso, ormai da tempo nei test comparativi dei
prodotti consideriamo anche la confezione, che diventa
un elemento della valutazione finale del prodotto, sia per
quello che riguarda la sua sicurezza e praticità d’uso, sia
per la sostenibilità ambientale (per esempio diamo giudizi
negativi a confezioni inutilmente grandi, composte senza
motivo da materiali difficili da separare e quindi da smaltire
attraverso la differenziata, non ben piene o da cui è difficile
estrarre tutto il prodotto, che finisce sprecato).
Come consumatori, quello che possiamo fare è preferire i
prodotti che hanno una confezione che dia anche le dovute
garanzie di sicurezza, quindi con tappo sigillato.
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INDICE 2014
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online sul nostro sito www.altroconsumo.it
ARGOMENTO
AB
Acne 113
Anemia 112
Apparecchi per bambini 112
Attività fisica e alimentazione 111
L’Oms
promuove
il consumo
di iodio
C
Caffè e salute 111
Cancro al collo dell’utero 108
Certificato medico
per fare sport109
Creme antirughe
110
Creme per viso BB e CC 112
Cure e analisi, scegliere bene 109
Cure palliative
113
Cuscino, guida all’acquisto 112
Sale iodato:
sì o no?
Secondo un medico cui si è
rivolta una mia parente, lo iodio è
fondamentale per il funzionamento
della tiroide, ma l’introduzione di
sale iodato nella dieta delle zone
in cui le malattie alla tiroide sono
molto diffuse può avere portato a un
aumento della diffusione di tumori
della tiroide. Voi avete spesso
consigliato l’uso di sale iodato e
l’affermazione dello specialista mi
lascia un po’ perplesso.
L’introduzione del sale iodato, fino a
quando dati obiettivi non dimostreranno
il contrario, non aumenta affatto i
tumori della tiroide. La carenza di iodio
è responsabile di alcune malattie della
tiroide, poiché lo iodio è un elemento
indispensabile per la sintesi degli
ormoni tiroidei. In sua assenza la tiroide
si adatta, aumentando il suo volume,
e creando la condizione nota come
“gozzo”; e fra i fattori di rischio per il
tumore maligno della tiroide c’è proprio il
gozzo, caratterizzato da numerosi noduli
benigni della ghiandola, che in alcuni casi
possono degenerare in maligni.
Si contano un maggior numero di tumori
alla tiroide perché tecniche e strumenti
sempre più raffinati trovano più tumori,
inclusi purtroppo quelli che non si
sarebbero mai manifestati né avrebbero
dato problemi. Recentemente un gruppo
internazionale di esperti ha invitato a
rivedere determinati comportamenti
medici, per contrastare il problema
dell’eccesso di diagnosi e cure, citando
proprio il caso dei tumori della tiroide.
Rivista
Alluminio
QUALE
LATO?
«Ho notato che la
pellicola di
alluminio per gli
alimenti ha un lato
lucido e uno
satinato: quale lato
deve stare a
contatto con i
cibi?»
La normativa sugli
imballaggi destinati al contatto
alimentare
prevede che
vengano riportate
sulla confezione
eventuali istruzioni
da osservare per
garantire un
impiego adeguato
e sicuro. Nel caso
dell’alluminio non
ci sono indicazioni
sul lato da usare,
dunque non c’è da
pensare a una
differenza di uso
tra le due facce.
D
Detersivi per bambini
108
Dieta: app per perdere peso 108
Dieta sana 112
E
Ebola 113
F
Farmaci contro il colesterolo 109
Fibrillazione atriale
111
Fibromialgia109
Fecondazione eterologa
113
GH
Gelati confezionati
110
I
Integratori e antiossidanti 109
L
Logopedia 108
MN
Malattie neurologiche Melatonina Memoria, diminuzione Mercurio nel pesce
109
113
108
110
ARGOMENTO
Rivista
O
Omogeneizzati111
PQ
Panettone e pandoro Primo soccorso
113
111
R
Ricotta113
S
Salviette umidificate
111
Sapone di Marsiglia
112
Screening112
Servizi Sanitari:
soddisfazione cittadini 110
Sindrome dell’accumulo
eccessivo
108
Spesa sanitaria delle famiglie 113
Stipsi110
T
Terapie alternative Ticket spese mediche 109
110
U
Udito e protesi 108
VZ
Vaporizzatori 113
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I TUOI PUNTI
DI FORZA.
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