CULTURA
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STORIA DEL COMMERCIO
Dal Rinascimento
all’Illuminismo
a cura di Anna Mirabile
D
urante il XVI secolo giocarono un
ruolo fondamentale nello sviluppo
europeo le famiglie di mercanti e banchieri italiani. Il Rinascimento italiano vide la
nascita di pratiche e di figure della nostra contemporaneità: il credito al consumo, lo spionaggio economico, le tecniche bancarie, i diversi operatori commerciali e finanziari.
Lo sviluppo delle reti del commercio e delle
banche internazionali, che rimette in causa l’autorità delle vecchie caste aristocratiche, porta al
ribaltamento delle strutture politiche tradizionali delle città. Il popolo, maggiore responsabile
della circolazione delle idee nuove e della cultura, prende il potere nelle città del Rinascimento.
Diventa sistematico ricorrere a reti di collaboratori, informatori ed a scambi su scala
sempre più vasta; il raggio d’azione sempre
più ampio delle attività modifica l’approccio
alla realtà, nelle sue temporalità (viaggi più
lunghi e lontani), nel modo di far circolare
denaro e servizi, nei sistemi di compenso
monetario (contabilità, cambiali, banche…),
nella necessità di prevedere, preparare e
razionalizzare queste loro attività. Al gusto
per un certo rischio si unisce la volontà di
controllare tutto ciò che lo accompagna, accumulando e investendo grosse somme di
denaro.
Così, in poche generazioni, le famiglie di
commercianti prendono il potere.
Nel Rinascimento oggetto di commercio
erano gli schiavi, le maioliche, le antichità e le
armi, i tessuti, i marmi e i dipinti; da segnalare il
Il presepe di pietra di Paolo Catalano, massimo esponente della scultura rinascimentale in Puglia, esposto presso la Pinacoteca provinciale di Bari
commercio dell’olio in Puglia così importante
da spingere il viceré di Spagna ad ordinare
l’apertura di una strada che collegasse la Puglia
a Napoli per rendere più veloce e agevole il
commercio dell’olio.
Verso la fine del XVI sec. le scoperte geografiche contribuirono a deviare le grandi
correnti di traffico dal Mediterraneo all’Atlantico. Acquistarono sempre maggiore
importanza i porti e le città del mare del
Nord e si sviluppò il commercio transoceanico. Oggetto degli scambi internazionali non
furono più solo i prodotti di lusso, ma anche
derrate alimentari e materie prime di uso
comune. Il primato finanziario passò dai
banchieri italiani a quelli tedeschi: i Fugger
di Augusta, finanziatori dell’imperatore, si
affermarono come il simbolo del capitalismo
commerciale.
Nel XVII sec. il commercio con le colonie
divenne la posta in gioco delle lotte politiche
poiché l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia aspira-
vano a dividersi l’eredità della Spagna e del
Portogallo. La rivoluzione industriale favorì lo
sviluppo di una nuova forma di commercio
basata sull’acquisto delle materie prime e la
vendita dei prodotti finiti, e diede impulso al
miglioramento delle vie e dei mezzi di comunicazione e di trasporto.
Nella seconda metà del XVIII sec. la Francia
fu all’avanguardia nella costruzione di una
vasta rete stradale, come l’Inghilterra in quella
dei canali. Contemporaneamente avvenne una
profonda trasformazione anche nelle teorie: al
tradizionale mercantilismo protezionistico si
oppose la dottrina della libertà dei traffici, difesa nel 1776 da Adam Smith nella sua opera
“Trattato sulla ricchezza delle nazioni”.
Adam Smith (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 –
Edimburgo, 17 luglio 1790) è stato un economista e filosofo scozzese, che gettò le basi dell’economia politica classica. Spesso Smith è
stato definito il padre della scienza economica.
La sua opera più importante è intitolata
“Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” (1776). L’opera di Adam
Smith chiude il periodo dei mercantilisti, da
lui così definiti e criticati, dando avvio alla
serie di economisti classici superando i concetti definiti dai fisiocratici. La ricchezza delle
nazioni diventa il testo di riferimento per tutti
gli economisti classici del XVIII e XIX secolo,
come David Ricardo, Thomas Robert
Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill.
La ricchezza delle nazioni è però anche un
importante libro di storia economica in quanto vengono descritte le trasformazioni dell’economia inglese del tempo.
La concezione di Smith a proposito dello
scopo della scienza economica segue quella dei
mercantilisti, tendente alla spiegazione della
natura e delle cause della ricchezza delle nazioni. In termini moderni si direbbe che Smith fu
un teorico della macroeconomia interessato
alle forze che determinano la crescita economica, anche se le forze di cui parlava erano ben
più ampie rispetto alle zone oggi analizzate
dalla moderna economia, infatti il suo modello
economico è ricco di considerazioni di tipo
politico, sociologico e storico
Mutua dai fisiocratici l’idea di un ordine naturale, vale a dire di un ordine economico razionale e spontaneo previsto e voluto dalla natura stessa. Ciascuno perseguendo il proprio interesse
individuale persegue, di fatto, l’interesse generale
della società essendo guidato da una mano invisibile. L’interesse individuale diviene quindi una
virtù etica e giustifica il comportamento della classe borghese e il mercato è guardiano di se stesso
essendo guidato da una “mano invisibile”. Al pari
dei fisiocratici ritiene che lo Stato si deve astenere
dall’intervenire nell’economica e sostiene il liberismo economico superando così la concezione protezionista dei mercantilisti.
Secondo la teoria di Smith, la società è divisa
in tre classi:
• i lavoratori: che percepiscono il salario (W);
• gli imprenditori/capitalisti che percepiscono
il profitto (P);
• i proprietari terrieri che percepiscono la rendita (R).
Smith però non è concorde con i fisiocratici
circa la distribuzione del sovrappiù che non deve
spettare interamente alla rendita perché l’imprenditore, che ha anticipato il capitale, ha diritto ad
una parte del sovrappiù rappresentato dal profitto. Il sovrappiù si distribuisce tra rendita e profit-
L’economista scozzese Adam Smith.
to. La rendita spetta ai proprietari terrieri perché
hanno il diritto di proprietà sulle terre. Il profitto
spetta
ai
capitalisti/imprenditori.
L’accumulazione del capitale è garantita dal reinvestimento del profitto che è il vero motore dell’accumulazione. Per Smith è quindi preferibile
un’imposta sulla rendita che non blocca l’espansione dell’economia e non sui profitti che sono il
motore dello sviluppo economico.
Smith vuole aumentare il sovrappiù senza
diminuire il monte salari, essendo già al livello
della sussistenza; l’unica soluzione è aumentare
la produttività del lavoro facendo ricorso alla
divisione del lavoro. Egli distingue tra valore
d’uso di una merce, che dipende dalla sua utilità, e valore di scambio, determinato dalla
DOMANDA e dall’OFFERTA di mercato.
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