CULTURA 34 STORIA DEL COMMERCIO Dal Rinascimento all’Illuminismo a cura di Anna Mirabile D urante il XVI secolo giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo europeo le famiglie di mercanti e banchieri italiani. Il Rinascimento italiano vide la nascita di pratiche e di figure della nostra contemporaneità: il credito al consumo, lo spionaggio economico, le tecniche bancarie, i diversi operatori commerciali e finanziari. Lo sviluppo delle reti del commercio e delle banche internazionali, che rimette in causa l’autorità delle vecchie caste aristocratiche, porta al ribaltamento delle strutture politiche tradizionali delle città. Il popolo, maggiore responsabile della circolazione delle idee nuove e della cultura, prende il potere nelle città del Rinascimento. Diventa sistematico ricorrere a reti di collaboratori, informatori ed a scambi su scala sempre più vasta; il raggio d’azione sempre più ampio delle attività modifica l’approccio alla realtà, nelle sue temporalità (viaggi più lunghi e lontani), nel modo di far circolare denaro e servizi, nei sistemi di compenso monetario (contabilità, cambiali, banche…), nella necessità di prevedere, preparare e razionalizzare queste loro attività. Al gusto per un certo rischio si unisce la volontà di controllare tutto ciò che lo accompagna, accumulando e investendo grosse somme di denaro. Così, in poche generazioni, le famiglie di commercianti prendono il potere. Nel Rinascimento oggetto di commercio erano gli schiavi, le maioliche, le antichità e le armi, i tessuti, i marmi e i dipinti; da segnalare il Il presepe di pietra di Paolo Catalano, massimo esponente della scultura rinascimentale in Puglia, esposto presso la Pinacoteca provinciale di Bari commercio dell’olio in Puglia così importante da spingere il viceré di Spagna ad ordinare l’apertura di una strada che collegasse la Puglia a Napoli per rendere più veloce e agevole il commercio dell’olio. Verso la fine del XVI sec. le scoperte geografiche contribuirono a deviare le grandi correnti di traffico dal Mediterraneo all’Atlantico. Acquistarono sempre maggiore importanza i porti e le città del mare del Nord e si sviluppò il commercio transoceanico. Oggetto degli scambi internazionali non furono più solo i prodotti di lusso, ma anche derrate alimentari e materie prime di uso comune. Il primato finanziario passò dai banchieri italiani a quelli tedeschi: i Fugger di Augusta, finanziatori dell’imperatore, si affermarono come il simbolo del capitalismo commerciale. Nel XVII sec. il commercio con le colonie divenne la posta in gioco delle lotte politiche poiché l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia aspira- vano a dividersi l’eredità della Spagna e del Portogallo. La rivoluzione industriale favorì lo sviluppo di una nuova forma di commercio basata sull’acquisto delle materie prime e la vendita dei prodotti finiti, e diede impulso al miglioramento delle vie e dei mezzi di comunicazione e di trasporto. Nella seconda metà del XVIII sec. la Francia fu all’avanguardia nella costruzione di una vasta rete stradale, come l’Inghilterra in quella dei canali. Contemporaneamente avvenne una profonda trasformazione anche nelle teorie: al tradizionale mercantilismo protezionistico si oppose la dottrina della libertà dei traffici, difesa nel 1776 da Adam Smith nella sua opera “Trattato sulla ricchezza delle nazioni”. Adam Smith (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 – Edimburgo, 17 luglio 1790) è stato un economista e filosofo scozzese, che gettò le basi dell’economia politica classica. Spesso Smith è stato definito il padre della scienza economica. La sua opera più importante è intitolata “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” (1776). L’opera di Adam Smith chiude il periodo dei mercantilisti, da lui così definiti e criticati, dando avvio alla serie di economisti classici superando i concetti definiti dai fisiocratici. La ricchezza delle nazioni diventa il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo, come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill. La ricchezza delle nazioni è però anche un importante libro di storia economica in quanto vengono descritte le trasformazioni dell’economia inglese del tempo. La concezione di Smith a proposito dello scopo della scienza economica segue quella dei mercantilisti, tendente alla spiegazione della natura e delle cause della ricchezza delle nazioni. In termini moderni si direbbe che Smith fu un teorico della macroeconomia interessato alle forze che determinano la crescita economica, anche se le forze di cui parlava erano ben più ampie rispetto alle zone oggi analizzate dalla moderna economia, infatti il suo modello economico è ricco di considerazioni di tipo politico, sociologico e storico Mutua dai fisiocratici l’idea di un ordine naturale, vale a dire di un ordine economico razionale e spontaneo previsto e voluto dalla natura stessa. Ciascuno perseguendo il proprio interesse individuale persegue, di fatto, l’interesse generale della società essendo guidato da una mano invisibile. L’interesse individuale diviene quindi una virtù etica e giustifica il comportamento della classe borghese e il mercato è guardiano di se stesso essendo guidato da una “mano invisibile”. Al pari dei fisiocratici ritiene che lo Stato si deve astenere dall’intervenire nell’economica e sostiene il liberismo economico superando così la concezione protezionista dei mercantilisti. Secondo la teoria di Smith, la società è divisa in tre classi: • i lavoratori: che percepiscono il salario (W); • gli imprenditori/capitalisti che percepiscono il profitto (P); • i proprietari terrieri che percepiscono la rendita (R). Smith però non è concorde con i fisiocratici circa la distribuzione del sovrappiù che non deve spettare interamente alla rendita perché l’imprenditore, che ha anticipato il capitale, ha diritto ad una parte del sovrappiù rappresentato dal profitto. Il sovrappiù si distribuisce tra rendita e profit- L’economista scozzese Adam Smith. to. La rendita spetta ai proprietari terrieri perché hanno il diritto di proprietà sulle terre. Il profitto spetta ai capitalisti/imprenditori. L’accumulazione del capitale è garantita dal reinvestimento del profitto che è il vero motore dell’accumulazione. Per Smith è quindi preferibile un’imposta sulla rendita che non blocca l’espansione dell’economia e non sui profitti che sono il motore dello sviluppo economico. Smith vuole aumentare il sovrappiù senza diminuire il monte salari, essendo già al livello della sussistenza; l’unica soluzione è aumentare la produttività del lavoro facendo ricorso alla divisione del lavoro. Egli distingue tra valore d’uso di una merce, che dipende dalla sua utilità, e valore di scambio, determinato dalla DOMANDA e dall’OFFERTA di mercato. CULTURA 35