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* Nel numero 10 è stato
inavvertitamente omesso
tra i collaboratori il nome
di Manuela Viezzer
11
Gentili lettori,
Le pagine di apertura di questo numero sono dedicate al ricordo di Italo Mancini, recentemente scomparso. A rievocarne lo spirito di lavoro filosofico, la
fede religiosa, l’impegno sociale del cristiano e la
speranza del progressista nel futuro dell’uomo, sono
in primo luogo gli allievi, i colleghi di Università, i
compagni di fede; ma al di là di questi non è difficile
percepire la presenza di un pubblico più ampio,
innumerevole, di uditori, di testimoni della sua parola: tra questi gli studenti, innanzitutto; e poi i
fedeli del Duomo di Urbino, fino a molti degli
abitanti di questa sua città, testimoni occasionali,
ma non per questo meno consapevoli, dell’esempio
che egli incarnava di cultura e vita cristiana.
Il confronto del Cristianesimo con le “culture”, con
i grandi movimenti e le lotte dei popoli che si
pongono ai confini della teologia, era il fulcro del
suo lavoro storico-filosofico, che trovava nella teologia protestante del ‘900 e nelle grandi ideologie
laiche della liberazione due congeniali direzioni di
ricerca. A ciò faceva riscontro una “passione religiosa” che individuava il suo oggetto “sacro” in un
“apriori kerygmatico”, quale essenza e destino di
ogni uomo nel mondo, e con questo si spingeva oltre
la necessità di distinguere tra metodo storico-critico
e dottrina dell’ispirazione, come anche si sottraeva
al principio di secolarizzazione. Da qui prendeva
corpo il confronto di Mancini con il marxismo, o
meglio con quanto la concezione marxiana, che egli
definiva «una sfida per il credente», presentava di
«alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato
dalla religione stessa». Anche se certo non si trattava di identificare la soluzione marxista con quella
cristiana, pure occorreva riconoscere che «i problemi della religione sono i problemi reali della dialettica umana» e che in entrambi casi si tratta di
«liberare l’uomo da una caduta [...] attraverso una
forma di riconciliazione», con la mediazione di
Cristo, in un caso, del proletariato nell’altro.
A questo punto, il rivolgersi della propria meditazione filosofica dell’ultimo decennio ai problemi
concreti della cultura e della società era per Mancini la naturale risposta alla sua passione per la
prassi, per il mondo terreno, per la “città dell’uomo”». Se teologico rimaneva il senso di questa
nuova proiezione della «dimora umana, sociale e
giuridica» sul «mondo dell’ “alto”», il campo di
pensiero in cui veniva ora esprimendosi questa
«doppia fedeltà» a Dio e al mondo era la filosofia del
diritto, in cui l’oggetto, «le enormi masse di vita
giuridica», è offerto dalla storia e il metodo, quale
«bisogno della ragione», è quello ermeneutico. Con
questo, si trattava innanzitutto per Mancini di sfuggire alla «logica della disgregazione» del negativismo giuridico, recuperando al mondo del diritto il
mondo della vita morale, che solo poteva «dare al
futuro una organizzazione politica concreta».
In questo ottimistico richiamo al futuro, umano e
cristiano, si concentra, potremmo dire, il “lascito
spirituale” di Italo Mancini, che vorremmo qui
raccogliere, in forma di ultimo saluto, attraverso le
sue stesse parole, riportando due brani tratti da
Cristianesimo e culture (Lecce, 1984):
«[…] il mio travaglio filosofico e culturale ha cercato in ogni modo di comporre le irriducibili opposizioni. In maniera molto sintetica, direi che questa
dualità si è imperniata soprattutto in una insonne,
doppia fedeltà: fedeltà al mondo, alla terra, ai suoi
valori, alla sua cultura; e fedeltà alla teologia, al
mondo e alla signoria di Dio, ai valori e alle forme
teologiche, a un fare di Dio, insomma, che si accompagni al fare dell’uomo.»
«[…] Quanto a me, se potranno essere vissuti, gli
anni Ottanta vorrebbero accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di quanto finora ho pensato.
L’animo è quello della spedizione verso le terre del
non-ancora, utopia, speranza, futuro. Anzi proprio
ora, in vista del nuovo slancio, appare come tutta la
ricerca era e possa venir concentrata nel tema che
potrebbe essere detto organizzazione del futuro (enfatizzo pertanto l’attenzione a Bloch, già lungamente studiato), chiarendo che questa attenzione al futuro, umano e cristiano, deve avere due articolazioni:
una più propriamente speculatativa come futuro del
senso e discernimento di gesti coerenti con la impostazione aperta e progressista della mia vita (sono
stato chiamato, con amore o con disprezzo, prete
rosso), e la cosa non è né ovvia né facile. Oggi ogni
segno e ogni schieramento sembra essere ambiguo,
avere due valenze, di progresso e di regresso; oggi
che è scomparso il concetto di epoca nuova, e l’orizzonte sembra spento, sì che non è facile organizzare
fronti di lotta e battaglie per i significati. Ma al
pessimismo della ragione voglio che corrisponda un
ottimismo della volontà. Eredità kantiana nello iato
delle due Critiche, ma che permette ugualmente un
potente ethos. Quel valore della qualità che Bonhoeffer opponeva alla “stupidità” del seriale e del
generico e del “sì”.»
SOMMARIO
5
PROFILO
43 Arte oratoria
Ricordo di Italo Mancini
43 Petrarca e la medicina
44 Gassendi fra epicureismo e cristianesimo
CONFERENZA
16 Il problema di una macroetica universalistica
44 Carteggio Freud-Binswanger
46 Althusser: diario di prigionia
della co-responsabilità
46 Heidegger e il sofista
AUTORI E IDEE
47 NOTIZIARIO
25 Habermas: fatticità e validità del diritto
25 Hans Jonas: gnosi, nichilismo e libertà
CONVEGNI E SEMINARI
26 Etica integrativa: tra arte del vivere e filosofia
49 Filosofie contemporanee
27 Realtà e democrazia del sapere
51 L’epoca classica della scienza greca
28 Gioco e giochi
52 La persona e le sue immagini
29 La natura del linguaggio
52 Scienza e metafisica moderna
30 Coscienza e linguaggio
54 Attualità di Ugo Spirito
30 Storia del paradiso: Jean Delumeau
54 Collegio di sociologia
30 Biologia: scienza e immaginario
55 Seminario filosofico permanente
31 Il rompicapo del tempo
56 Omaggio a Jean-Pierre Vernant
31 La memoria, l’oblio e l’immagine cinematografica
56 Il filosofo e la schiavitù
58 Il diritto e i suoi luoghi
TENDENZE E DIBATTITI
33 Oltre l’Europa, oltre la tolleranza
58 Deleuze e la differenza
61 Wilhelm von Humboldt e le lingue d’America
34 Morali in saldo nella crisi dei valori
35 Il materialismo dei Lumi
62 CALENDARIO
35 Enciclopedia delle opere filosofiche
38 I filosofi e gli animali
64 DIDATTICA
39 Filosofia dell’arte ed esperienza estetica
64 Insegnare filosofia per unità didattiche
66 Convegni
PROSPETTIVE DI RICERCA
41 Scritti kantiani di Jacobi
67 RASSEGNA DELLE RIVISTE
41 Il vangelo kantiano
42 La logica di Leibniz
42 Baruch Spinoza: un’attualità perenne
70 NOVITA’ IN LIBRERIA
PROFILO
Italo Mancini (foto di Ennia Temellini)
4
PROFILO
Non avrei mai creduto, anzi riconoscenza va soprattutto per quello che don Italo ci ha
non avrei mai potuto imma- fatto conoscere di autori che noi ignoravamo; e penso a
ginare, che io vecchio, così Bonhoeffer, penso a tutti gli studi che ha fatto sul protevecchio, un giorno avrei do- stantesimo, sulla teologia protestante, dimostrando in
vuto salutare e ricordare don questo una fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano.
di Carlo Bo
Italo, il professor Mancini, Poi naturalmente c’è un ringraziamento che comprende
Testo deregistrato del discorso
in questo Duomo che lo ha tutto questo, è il ringraziamento di un cattolico impari al
di saluto di Carlo Bo a Italo Mancini,
pronunziato nel Duomo di Urbino
visto per tanti anni anima- suo dovere personale.
il giorno della celebrazione dei funerali,
tore e suggeritore e comu- Uomini come don Italo sono un monito, sono un esemil 10 gennaio 1993.
Il testo non è stato rivisto dall’autore.
nicatore di ragioni spiritua- pio; sono uomini che portano qualche cosa che ci aiuta nei
li.
disagi, nei dolori della vita quotidiana. Si poteva essere
Il mio saluto è un semplice ringraziamento, un ringrazia- sicuri che nei momenti di bisogno don Italo fosse accanto
mento per tre ragioni. La prima è il ringraziamento del a noi. E ora, che sta dall’altra parte, ora che gode del
rettore che lo ha visto arrivare nel lontano 1960, portato grande miracolo, secondo padre Pouget, vale a dire la
alla cattedra dalla voce di un grande amico e suo mestro, grazia che il morto ha di conoscere la verità...Ora tu che
Gustavo Bontadini. Ma don Italo non era soltanto un sei molto più vicino di noi alla verità, non abbandonarci,
professore; non lesinava le sue ore, non si limitava a fare non dimenticarci, aiuta la tua chiesa, il tuo Duomo, aiuta
il suo dovere: in tanti anni di amicizia e di colleganza, da l’Università, la tua Università che si onorava del tuo
insegnamento; e aiuta tutti
lui ho imparato che per esi giovani, e anche quelli
sere un vero maestro e un
che giovani non sono più.
vero professore bisogna
Addio!
fare un discorso quotidiano
con i propri allievi. E quanti lo hanno conosciuto sanDon Italo Mancini
no benissimo che don Italo
e la teologia
è stato da questo punto di
del Novecento
vista un mestro ammirevole e, aldilà delle ore di ledi Mario Miegge
zione, esattamente come faceva Bontadini, passeggiando nel Caffè, nell’IstiIntervengono:
tuto, prolungava il suo inCarlo Bo, Piergiorgio Grassi,
segnamento e lo faceva in
Tommaso La Rocca,
modo così diretto, persuaMario Miegge, Giovanni Moretto,
sivo; qualche cosa di queDieci anni or sono, nel corGraziano Ripanti,
sto insegnamento si poteva
so di un lungo colloquio
Francesco Saverio Festa.
ricavare anche dalle predipubblicato sotto il titolo:
che di mezzogiorno, alla
Cristianesimo e culture
a cura di
Messa, e anche qui don Ita(Lecce 1984), Leo Lestingi
Tommaso La Rocca e Riccardo Ruschi
lo aveva fatto di un rito
domandava a Italo Manciqualche cosa di più vicino
ni: «Qual è il tratto specifial cuore, una testimonianza: le sue prediche, a volte così co della tua ricerca storica e speculativa perseguita in
rigonfie di cultura, alla fine avevano sempre una soluzio- questo trentennio?». «Senza dubbio - risponde Mancini ne che si avvicinava a quella del Vangelo.
il confronto del Cristianesimo con le culture e con le zone
Lo ricordo poi come vice-presidente dell’Ersu (Ente di frontiera che stanno intorno ai territori della salvezza
Regionale per il Diritto allo Studio Universitario), dove teologica» (ibid., p. 17). Il filosofo che crede nell’annunper anni don Italo è stato il motore principale; è stato la zio di salvezza (kerygma) ha il compito di «chiedersi non
guida. Su una cosa, però, egli non era disposto a transige- solo quale e quanta filosofia sopporta, ma quale grado di
re, a venire a patti nella difesa degli studenti. Anche nei efficacia esso possiede nei confronti delle grandi lotte
momenti più ardui della contestazione, don Italo si schie- che le comunità nel mondo portano avanti, ossia che
rava immediatamente dalla parte degli studenti e rendeva rapporti istituisce non solo con la ragione, ma anche con
la cosa difficile a chi invece si limitava a seguire le la storia, non solo con l’essere ma anche con gli sviluppi
disposizioni di legge. Ma poi, ripensando a questo suo politici e sociali» (ibid., p. 29).
atteggiamento, a questa sua guerra, a questa sua guerra Questa intervista, e un’altra più breve, ma altrettanto
dichiarata, senza lenocini, senza distorte pietà, si capiva limpida, condotta tre anni dopo da Pier Giorgio Grassi
che lui stava da una parte che era la parte più alta del (Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea
Vangelo, vale a dire cercava di capire, di comprendere, in “il nuovo Leopardi”, n. 35, 1992), offrono una traccia
prima ancora che perdonare.
essenziale per la comprensione del lavoro ingente che,
E infine il terzo ringraziamento è il ringraziamento di un nel corso del tempo, si è sviluppato su livelli diversi, a
semplice lettore, di uno che ne ha seguito per tanti anni il partire dai temi ontologici degli anni ’50 all’Università
lavoro, tutta una serie di grandi pubblicazioni; e qui la Cattolica di Milano fino ai libri più recenti, collegati
Don Italo, un maestro dalla parte
degli studenti
Ricordo
di
Italo Mancini
5
PROFILO
teologico?», Mancini risponde: «[...] di fronte agli sfinimenti della teologia dell’Ottocento, o ghettizzata in forme di ortodossia chiusa e ripetitiva, o ridotta ai valori
morali, psicologici e umanitari, come nel caso della
cosiddetta teologia liberale, il cui esponente più rappresentativo è Adolf von Harnack; di fronte a questi sfinimenti, dicevo, il Novecento ha prodotto un’ansia e una
discussione teologica straordinarie» (Intervista a Italo
Mancini sulla teologia contemporanea, cit., p. 5). Subito
dopo, Mancini indica alcune tappe di questa vicenda. La
prima è «quella che fu impropriamente chiamata teologia
dialettica, il cui vertice è rappresentato dall’opera di Karl
Barth». In pieno contrasto con il “cristianesimo borghese”, viene restituita alla teologia la sua autonomia: essa
non dipende dalla morale, ma dalla dirompente Parola di
Dio (il kerygma). Qui dunque la “fede” si contrappone
alla “religione”.
Dopo la seconda guerra mondiale, «come reazione a
un’eccessiva concentrazione teologica, si è sentito il
bisogno di mettere in risalto i valori politici della teologia, i possibili riferimenti alla società civile, il contributo
all’alleggerimento della terra, com’ebbe a scrivere Ernst
Bloch». In questa seconda tappa i confini confessionali e
geografico-culturali vengono oltrepassati, sia nella “teologia politica” elaborata dal cattolico J. B. Metz e dai
protestanti Pannenberg e Moltmann, sia, ancor più, nelle
teologie sudamericane e africane della liberazione. La
terza tappa è rappresentata dal Concilio Vaticano II
(ibid., p. 32 sgg.). La quarta concerne gli interrogativi
degli anni ’80, in una nuova e minacciosa crisi della
cultura occidentale, nella quale risorge anche il rischio
dell’integralismo religioso (su questo si veda: Cristianesimo e culture, cit., p. 42 sgg.; Con quale cristianesimo,
Roma 1978).
all’insegnamento della filosofia del diritto nell’Università di Urbino.
La forma stessa dell’intervista dà rilievo ai principi che
hanno costantemente orientato la scrittura e l’agire personale di Italo Mancini. Infatti, un pensiero che si muove
sulle “frontiere” è necessariamente fatto di dialoghi. Il
dialogo, inoltre, non è impersonale: coinvolge gli attori e
spinge al chiarimento autobiografico. Ma, per Mancini,
ripercorrere i tempi della propria vicenda intellettuale
non è affatto un ripiegamento sull’ego. E’ invece l’attestazione di legami e impegni dentro comunità reali: una
terra urbinate, dove egli è cresciuto e presto ritorna,
solcata dal lavoro contadino e dalle lotte per la giustizia
e per la libertà; un Chiesa che, negli anni ’60, attraversa
gli eventi cruciali del Concilio; una Università in cui gli
studenti, negli anni ’70, si ribellano ai ruoli imposti e
divengono soggetti politici e interlocutori impegnativi.
In questo contesto, ecclesiale e civile, si producono i due
movimenti di apertura: ad intra, verso la teologia protestante del nostro secolo; ad extra, verso le grandi ideologie laiche della liberazione (Cristianesimo e culture, cit.,
p. 31). In un caso come nell’altro Mancini non opera
soltanto un “confronto”: dà pieno spazio agli interlocutori, li interroga e si lascia da loro interrogare.
Riguardo alla prima apertura (ad intra, cioè sul terreno
ecumenico della teologia), va detto innanzitutto che, tra
il 1969 e il 1977, Mancini ha dato un contributo decisivo
alla diffusione e conoscenza degli autori e delle opere.
Negli anni del Concilio il pubblico italiano aveva a
disposizione soltanto il fondamentale Commento di Karl
Barth alla Epistola ai Romani (tradotto e presentato da
Giovanni Miegge e pubblicato da un editore laico, Feltrinelli, nel 1962). Nel 1969 vengono edite (presso Bompiani) le traduzioni di Resistenza e resa e dell’Etica di
Dietrich Bonhoeffer e una antologia della Dogmatica
ecclesiale di Barth (Il Mulino), tutte precedute dalle
introduzioni di Mancini. Nello stesso anno egli pubblica
(presso Vallecchi) la monografia su Bonhoeffer, che è, a
parere di molti, il suo capolavoro. Nel 1970 scrive il
saggio introduttivo a Nuovo Testamento e mitologia
(Queriniana), che raccoglie alcuni testi della controversia aperta da Rudolf Bultmann e sviluppata nei volumi di
Kerygma und Mythos, negli anni ’40; nel 1972 presenta
la traduzione italiana del Gesù (1926) dello stesso Bultmann e di Communio Sanctorum di Bonhoeffer (Morcelliana) e infine, nel 1977, scriverà un’ampia introduzione
a La teologia protestante nel secolo XIX di Karl Barth
(Jaka Book, 1979). Tutti questi lavori convergono nella
grande sintesi di Novecento teologico (Vallecchi, 1977).
Il dialogo di Mancini con la teologia protestante non si
limita alla acquisizione della “prima tappa”, della polemica barthiana con il cristianesimo borghese. Quel dialogo segna tutto l’insieme di un quadro, che non ha per
oggetto una semplice periodizzazione, ma configura una
serie di problemi, tuttora aperti. Infatti Novecento teologico termina intenzionalmente con il capitolo sul “socialismo religioso svizzero”. Dal punto di vista cronologico
questa parte dovrebbe precedere la presentazione dei tre
teologi maggiori. Ma l’ordine dell’esposizione corrisponde alla ricerca dei nessi tra teoria e prassi. Karl Barth
è, e rimane, il protagonista della svolta teologica del ‘900.
Ma questa, per essere pienamente compresa e proiettata
nei compiti odierni, va ricollocata nel suo ambiente
iniziale, nel quale sono già poste le questioni della pólis.
Va altresì sottolineato il fatto che, tra il 1900 e il 1920,
questi pastori riformati svizzeri (Kutter e Ragaz, il giovane Barth nel borgo operaio di Safenwil, e il suo amico
Thurneysen) si muovono con piena laicità; collaborano
con le organizzazioni sindacali e politiche di sinistra e si
oppongono con intransigenza a coloro che (come il
tedesco Friedrich Naumann) vogliono invece costituire
raggruppamenti e partiti di ispirazione cristiana in concorrenza con il socialismo (Novecento teologico, cit., p.
416 sgg.).
Sicuramente il Commento alla Lettera ai Romani (che,
Come si spiega il fatto che Italo Mancini, sacerdote
cattolico, ancorato alla tradizione patristica (Agostino) e
scolastica (Tommaso d’Aquino) e spesso vicino allo
spirito del giansenista Pascal, abbia identificato il “Novecento teologico” in una sequenza di attori principali
(Barth, Bultmann e Bonhoeffer) e secondari (i “socialisti
cristiani” svizzeri, Hermann Kutter e Leonhard Ragaz, e
il filosofo Paul Tillich), che sono tutti protestanti?
Nell’intervista del 1986, alla domanda di Pier Giorgio
Grassi, «Qual è il carattere del ‘900 dal punto di vista
6
PROFILO
Ho parlato di Italo Mancini come se fosse qui con noi:
così lo sento. Ma sarà duro riprendere la strada di Urbino,
sapendo che non ci verrà incontro la sua figura alta e
robusta, il suo sguardo diretto e amichevole ma, nello
stesso tempo, rivolto, di
là da noi, a un orizzonte
Omaggio
immenso.
a Italo Mancini,
filosofo
«...sei stato veramente
della religione
magnanimo nelle cortesie
che mi hai usato. Se non
di Giovanni Moretto
mi sono mosso in questa
occasione, l’ho fatto soprattutto perché ero sicuro che un filosofo attento
e rigoroso come te avrebbe apprezzato la mia fatica, al di là dei risultati e dei tanti
limiti che simili lavori comportano. Ho cercato di far luce
sul mio essere credente con gli strumenti più congeniali
della mia ricerca di studioso. La paura che fosse solo
biografia, anche se per la mia sicurezza poteva bastare,
mi viene ora fugata dal tuo messaggio, che, al di là
dell’importante prova, tocca la realtà e la cosa del discorso stesso. Dopo la passione per queste cose, di cui hai dato
una prova memorabile or fa un anno a l’Aquila, e che
rivelava una capacità di espressione e di ascolto di natura
fecondamente profetica, pur nel rigore di contesti lucidi,
ai quali - come quello kantiano - mi vado avvicinando io
pure, tu puoi essere ritenuto il nostro punto di riferimento
come filosofo della religione, anche quando il modo di
procedere segue ascendenze culturali non sempre identiche. Tutto questo ti può dire quanto mi conforta il tuo
consenso, non solo per l’impegno, ma anche per il risultato. Penso che la ricerca ulteriore, Persona Dei, che lo
stato attuale delle mie ricerche esige, mi avvicineranno
ancor di più non solo al tuo mondo, ma anche alle tue
convinzioni teoretiche. Il profondo, onestamente gestito,
può mettere a contatto anche quanto apparentemente
diverge.
Sono stato in questi ultimi mesi quasi costretto ad uno
svuotamento di fronte alla fascinatio nugacitatis per una
lunga malattia di mia madre, conclusasi con la sua morte,
mentre la vita era ancora in fiore. Allo stordimento
iniziale per la perdita di colei cui debbo tanta parte della
mia serenità di studioso e della freschezza ancora intatta
della mia vita sacerdotale, è subentrato ora un sentimento, più sottile e doloroso, che fa di questo fatto un’interrogazione cruciale ed essenzializzante. Come vedi, il tuo
consenso mi è giunto in un momento particolarmente
adatto alla integrazione e al riconoscermi negli altri...».
Così Italo Mancini scriveva il 17 aprile 1974 ad Alberto
Caracciolo per ringraziarlo del giudizio che, in qualità di
presidente della commissione di ordinariato, aveva formulato nei confronti della sua attività di studioso. E’ da
queste parole che qui, nell’intento di rendere omaggio
alla persona e all’opera di Italo Mancini, vorrei prendere
l’avvio non senza un segreto rimorso per non essermi
rivolto a lui con altrettanta gratitudine e nobiltà di sentimenti, allorché un decennio più tardi lo ebbi, a mia volta,
giudice del mio ordinariato. Esse ci offrono infatti un
felice autoritratto spirituale soffuso della Stimmung in-
nella seconda edizione del 1922, dà l’avvio alla “teologia
della crisi”) registra il fallimento della socialdemocrazia
europea di fronte alla guerra mondiale, ed elabora l’autocritica del “socialista cristiano” Barth, la rinunzia a dar
nuovamente legittimazione religiosa a valori umani,
siano essi borghesi o anti-borghesi. Il problema che si
apre nella svolta barthiana è allora quello della distanza
incolmabile tra fede e “mondo”, tra teologia e cultura.
E’ vero che Barth (come Mancini sottolinea continuamente) non si è mai sottratto all’impegno politico. Proprio nel momento in cui appare pienamente inserito
nell’accademia teologica tedesca e inizia a comporre la
sua Dogmatica, egli diventa uno dei principali oppositori del nazismo e, dopo il ritorno in Svizzera, un organizzatore della resistenza. E nel secondo dopoguerra continua a prendere posizione, nel conflitto tra Occidente e
Oriente, in forma del tutto anti-conformista.
Ma se, nella vita di Barth, la concentrazione sulla teologia
“kerygmatica” si associa alla testimonianza politica, per
un altro verso essa lascia al margine il confronto con la
cultura contemporanea. E qui entra in campo «l’altro
grande della teologia del Novecento», Rudolf Bultmann.
Nell’itinerario personale di Mancini il rapporto con Bultmann non ha quel carattere di diretta ispirazione e intensa
affinità, che anima e rende continuo il colloquio con
Barth e Bonhoeffer. Egli sottolinea tuttavia che «la caratteristica fondamentale della teologia di Bultmann è la
decisione per il Cristo». Da questo punto di vista la
proposta bultmanniana della demitizzazione «non significa toglimento del mito, ma interpretazione autentica del
mito» (Sulla teologia contemporanea, cit., p. 20-21). Ma
è anche vero che, nel suo tentativo di riesprimere il
kerygma nel linguaggio, non più mitologico, dell’uomo
moderno, Bultmann restringe poi quel linguaggio nei
termini dell’analitica esistenziale di Heidegger. In tal
modo il paradosso dell’annunzio tende a risolversi in una
forma di «comprensione di noi stessi» (Selbstverständnis), sulla quale «incombe la solitudine dell’antropocentrismo esistenziale» (Novecento teologico, cit., p. 309).
In tal modo Bultmann non riesce a far convivere l’autonomia della fede e della teologia con quella di un «mondo
divenuto adulto», che è invece il problema e il tema
centrale di Bonhoeffer.
Bonhoeffer è dunque ancora il compagno nell’ultima
tappa teologica di un secolo al tramonto. La caduta delle
grandi ideologie laiche della liberazione apre il campo
alla «insignificanza dei valori fondamentali» e persino
alla perdita di significato delle “rotture”. Ma qui non ci si
può illudere di ricostruire, a guisa di sostituzione, le
«cittadelle dell’ortodossia, ma anche dell’incomunicabilità umana». La via che rimane aperta è invece quella
di una «teologia dei doppi pensieri», che trova appoggio
anche nei testi di Dostoevskji. Dal momento che «non
possediamo trasparenza di pensiero al punto da non
essere dominati da pensieri antagonisti», allora, «in
campo teologico, dobbiamo realizzare una ricerca del
senso attraverso frammenti, attraverso tracce e oscurità,
attraverso balenamenti» (Sulla teologia contemporanea,
cit., p. 39 sgg.).
7
PROFILO
confondibile che ha caratterizzato l’esistenza e l’opera verrebbe da pensare che, appena arrivato nell’aldilà,
scientifica del filosofo di Urbino. In esse inoltre viene Mancini sia andato alla ricerca dello schivo, umbratile
abbozzata una Selbstinterpretation al limite della confes- Caracciolo per discutere chi dei due avesse ragione.
sione, accennante a quello che la filosofia della religione Alla critica non evasiva spetta il compito di mettere a
di Mancini riconosce, con riconoscimento scaturente ex confronto e discutere le due prospettive. A me qui invece
rebus ipsis, come il proprio ineludibile termine di con- è riservato il compito di rendere omaggio a Italo Mancini,
fronto critico, cioè l’opera del filosofo genovese scom- filosofo della religione, compito che non saprei assolvere
parso due anni fa. Entrambi severi assertori della filoso- meglio che tentando per accenni o, forse meglio, prospetficità della filosofia della religione, disciplina che come tando la possibilità di una lettura della sua opera alla luce
nessun altro, proprio dalla diversità della loro posizione della Liberatität, che è il nome religioso dell’universalità
e ispirazione, hanno contribuito ad illustrare e ad elevare filosofica e che lo stesso Barth, nell’atto di rivendicarla a
a dignità scientifica, Caracciolo e Mancini si sono trovati sé («Io stesso sono un liberale e forse persino più liberale
a lavorare, per scelta non
di quanti in questo campo
solo scientifica, ma anche
(teologico-religioso) si proesistenziale (non a caso
fessano liberali»), ha definella lettera citata Mancini
nito come «un parlare e
parla di “biografia”), su
pensare in responsabilità e
fronti decisamente opposti.
apertura verso il futuro». In
Mentre il primo, non adeeffetti, a rievocarla in una
rente a una particolare consimile ottica, la passione
fessione religiosa, si colloreligiosa, dai tratti a volte
cava nella tradizione di penprofetico-oracolari, che casiero che ha in Schleiermaratterizza il discorso filocher il suo rappresentante
sofico-religioso manciniaideale e fissava la sostanza
no - e che, in fondo, finisce
del proprio discorso filosoper rendere precaria la sua
fico-religioso in espressiostessa distinzione tra filoni come «la religione come
sofia religiosa e filosofia
struttura e come modo audella religione - si rivela
tonomo della coscienza»,
portatrice di una parola, di
«spazio di Dio», «a priori,
un messaggio talmente unitrascendentale religioso»,
versale che nulla teme più
«conscientia hominis ut lodell’abbraccio soffocante
cus revelationis», «Liberadel confessionalismo e del
lität ed ecumenismo»,
fideismo. L’Oggetto im«Nulla religioso e imperamenso di cui essa parla, e
tivo dell’eterno», il seconche a ragione discrimina etido, dichiaratamente credencamente dal Sacro, non è
te e sacerdote cattolico, mai
realtà con cui hanno a che
dimentico della lezione di
fare soltanto le religioni
Karl Barth - l’antipode di
depositarie di una rivelaSchleiermacher - cui ha
zione storica, poiché esso è
pagato il proprio tributo
presente nella coscienza di
«con la gioia di una rinnoogni uomo che venga in
vata scoperta», per avere Dietrich Bonhoeffer (a sinistra) con un ufficiale questo mondo e che non a
da lui appreso a «ridurre la
caso le stesse teologie conitaliano
religione a kerygma, inteso
fessionali, quando si prein senso sovrano, eteronomo e aprioristicamente divino», occupino più della “salvezza universale” che dell’assolunon si stancava mai di fissare i cardini del proprio tezza del proprio Credo, sono costrette a definire “uditore
progetto, per il quale non disdegnava neppure la qualifica della parola”. Proprio perché ogni uomo è costituito da un
di “neoapologetico”, nelle espressioni «Oggetto immen- apriori kerygmatico, che ne caratterizza l’essenza e il
so», «Divinità di Dio», «a priori divino», «essenza stori- destino, la filosofia della religione liberale, la cui ermecamente kerygmatica della religione», «grandi masse di neutica non è costretta a scegliere tra metodo storicovita religiosa». Anche se sarebbe indice di rozzezza critico e dottrina dell’ispirazione, né a votarsi a razionamentale voler continuare - come pure si vuole, non si sa listici esercizi di demitizzazione e secolarizzazione, può
se più per ignoranza o per mala fede - a definire le due alla fine rendere giustizia all’intenzionalità più vera del
impostazioni filosofico-religiose con le etichette di an- pensare di Italo Mancini, riaffermando un proprio qualitropocentrismo e teocentrismo, immanenza e trascen- ficante convincimento: le “parole eterne “ del cristianedenza, soggettivismo e oggettivismo, resta il fatto che è simo - ma anche quelle di ogni altra religione, non meno
difficile immaginare una contrapposizione più radicale, di quelle dei poeti - sopportano il massimo di filosofia.
tanto che, per riprendere un mot d’esprit barthiano, Certamente dalla parola accolta nel libero ascolto religio8
PROFILO
pensato, ha voluto le stesse cose, anche se ne ha dato
una soluzione diversa e capovolta, facendo perno,
cioè, solo sull’uomo e radicalmente ripudiando anche
la mediazione dello stato, perché non si riproducesse
la figura del mediatore.
Se Karl Löwith ha potuto ipotizzare una suggestione
cristologica per il superuomo di Nietzsche, si può
proprio dire fuori strada chi pensa all’uomo di Marx
non in termini prometeici e neppure titanici, ma come
portatore della stessa logica del servo di Jahvé? E
come leggere, allora, il brano finale della Introduzione alla hegeliana Filosofia del Diritto, dove si parla
del propletariato come di un ceto che, per i suoi
patimenti universali, possiede un carattere universale, quindi capace, nell’emancipare se stesso, di emancipare tutte le sfere della società? Non è molto di più
di un proletariato così concepito, di un coefficente
della lotta di classe, visto che la sua missione non è
quella di essere parte, ma di liberare il tutto?
Di questo Marx ci si può liberare solo come ha fatto
Althusser, che ha posto nel 1845 una svolta epistemologica, e ha consegnato ad leones tutta la parte precedente. Eppure, il 1843 è Marx come è Marx il 1845.
Non è buona lettura dei testi quella che li sopprime,
come non è buona avvocatura quella che, come osserva Marx nella tesi di dottorato, per difendere il cliente,
lo annienta, lo sopprime. Meglio raccogliere l’invito
di Bloch a tener conto dei contesti, che sono più seri e
ricchi di quanto le singole espressioni non lascino
intendere.
[…]
Questa è la mia tesi, la quale non identifica la soluzione marxista con la soluzione cristiana, anche se, a
livello di singole dottrine, vedo degli spazi inediti su
cui operare delle interpretazioni convergenti; ma
identifica il problema nel senso che, tanto per la
religione cristiana come per il principio di Marx, la
questione che si tratta di risolvere è quella di liberare
l’uomo da una caduta diversamente identificata, liberarlo attraverso una forma di riconciliazione, che nel
cristianesimo si attua attraverso la mediazione di Cristo e nel marxismo si attua attraverso la mediazione
del proletariato. Proletariato che, come indicano le
ultime righe della Introduzione alla Filosofia del
diritto pubblico di Hegel, ha i caratteri della messianicità, di un messianismo laico, in quanto la somma
dei suoi dolori, la totale alienazione nei confronti di
tutti i contesti della società civile, lo pongono come
l’artefice della liberazione e sua e dell’intera società
civile ad un tempo.
Era questo il motivo che mi portava a dire che la
cultura marxista, anche nei confronti della religione,
è una cultura “forte”, perché in fondo, si tratta di dire:
riconosco, in prima battuta, che i problemi della religione sono i problemi reali della dialetytica umana:
alienazione, caduta, distretta e liberazione, redenzione, riconciliazione; solo che, mentre la soluzione
cristiana (e questo è il discorso in seconda battuta) è di
natura mistica, teologica, trascendente o soprattutto
un oppio, inefficace, vediamo se lo possiamo, questo
traguardo, raggiungere unicamente attraverso le forze
so l’uomo attinge luce e forza per l’agire etico - resta però
giustificato anche il moto inverso: al limite dell’etico,
dopo che abbia esperite tutte le vie di liberazione umanamente possibili, all’uomo, di fronte al male che intacca le
stesse strutture dell’essere, non rimane che l’invocazione
religiosa nella pluralità delle sue figure. E’ comunque
dell’invocazione in Kant - il filosofo decisivo per entrambi - che Caracciolo e Mancini si sono trovati a discutere
nel 1967, a uno dei celebri Colloqui romani sulla demitizzazione, in quello che pare sia stato il loro primo
incontro. Sull’invocazione religiosa Italo Mancini doveva tornare a meditare in uno dei suoi ultimi saggi, che
qualcuno ha già collocato tra le sue pagine più intense e
belle. Quel saggio è apparso originariamente nel volume
collettaneo Preghiera e filosofia - dedicato alla memoria
di Alberto Caracciolo - e a me, cui resta il vanto di averlo
provocato, pare che esso debba essere considerato, per
ragioni più ideali che cronologiche, il testamento più vero
di Italo Mancini, filosofo
della religione.
Marxismo
e religione:
Non è facile fare una sindal giovane Marx
tesi della mia posizione sui
a Ernst Bloch
problemi che il marxismo
mi ha presentato, quali li
di Italo Mancini.
potrei subito indicare: il
problema della continuità
o di certe scissure, di certe
deviazioni, lungo l’arco
ormai ultracentenario del
suo sviluppo, e il problema della sua posizione sostanziale di fronte alla religione. Non tanto la sua critica
religiosa, quanto quello che esso presenta di alternativo,
concorrenziale e sostanziale ereditato dalla religione
stessa.
[…]
Facendo uso di una formula da me usata per la teologia
politica, direi che in Marx c’è una soteriologia senza
cristologia, cioè, come voleva Bonhoeffer, una redenzione senza escatologismo, ossia come liberazione
storica e, a differenza di Bonhoeffer, sperata autonomamente dal soggetto umano, perché, come è scritto
nei Manoscritti, «la radice per l’uomo è l’uomo stesso».
A differenza delle culture giacobine, quella marxista
è, dal punto di vista religioso, una cultura “forte”. Essa
riconosce nella religione, in prima istanza, la validità
o la verità in rapporto alla dialettica umana di perdizione e di riconciliazione, ma, in seconda istanza, non
le riconosce efficacia, essendo in definitiva solo “oppio”, che dà apparenza e inganno alla salute e alla
speranza. Da questo punto di vista, Marx è una sfida
per il credente, una sfida che si misura su un impegno
comune.
Facendo uso di una espressione marxiana, si può dire
di lui quello che egli dice sulla religione, di essere una
soluzione capovolta dell’identica cosa. In entrambi i
casi si tratta di riconciliare l’uomo con se stesso, con
la natura, con l’oggetto, operare il suo radicale riscatto. Per questo non mi sentirei di escluderlo, magari
come abitatore eretico, dall’area ebreico-cristiana. Ha
9
PROFILO
Italo Mancini:
un pensiero
per la convivenza
umana
di Graziano Ripanti
storiche dell’uomo, condensate intorno alla realizzazione del comunismo.
Ad una religione dell’ ”al
di là” succede, come dice
Korsch, una religione “dell’al di qua”. Ma sempre
religione è, e sempre religione resta.
(da Cristianesimo e Culture, Lecce 1984)
Per chi è nato con lui nella
ricerca, appassionata e severa come voleva, e con lui
ha condiviso quotidianamente uno stile di vita non
solo accademico, resta
estremamente difficile se
non addirittura angoscioso
parlare della sua persona e
della sua opera, quando
ancora si è soggiogati dalla
sua assenza prematura. Ma
c’è un obbligo di riconoscimento, mai permessoci in
vita di manifestare pubblicamente, cui non ci si può
sottrarre ora che non c’è.
Non si tratta di soppesare
una generosità inestimabile, né di indicare - il breve
tempo non lo consente quale sarà l’eredità più autentica e duratura del suo
pensiero: si tratta solo di un
atto dovuto per tutto ciò
che ha profuso, ed è incalcolabile, sul piano del rapporto umano e su quello del
pensiero.
Se c’è una tensione costante nella sua ricerca insonne
- “insonne” era il suo aggettivo privilegiato - è proKarl
prio questa positività, questa volontà di vita, di costruzione, di futuro, che, soprattutto dagli anni ’80 in poi,
ha sempre tentato di esprimere contro le forze disgregatrici e irrazionali e contro le varie categorie della distruzione. Questo lavoro, fatto con la solita e mirabile capacità di scrittura e di invenzione linguistica, lo ha realizzato soprattutto nell’ambito della filosofia del diritto, che
caratterizza il terzo momento della sua ricerca, dopo
quello dell’ontologia e della filosofia della religione,
dove, crediamo, il suo Filosofia della religione (Roma
1968) resta tuttora fondamentale. Nel distinguere questi
momenti si vuol solo indicare l’interesse primario, gli
altri, quelli più spiccatamente teoretici, non sono abbandonati, come dimostrano i due volumi della Guida alla
Critica della ragion pura (Urbino 1982 e 1988) e altri
scritti.
Il dedicarsi alla filosofia del diritto non traduceva tanto
un bisogno di sistematicità, quanto una passione per la
prassi, per il mondo della vita e della “città dell’uomo”,
che, già nata dai suoi studi sul marxismo, in specie su E.
Bloch, faceva del suo pensiero una meditazione concreta
e attenta ai problemi vivi della cultura e della società.
Questo legame con la società emerge prepotentemente
nel saggio mondadoriano del 1983: Il pensiero negativo
e la nuova destra, che affronta il tema della violenza e
della non violenza. In risposta alle profonde tensioni, che
anche allora apparivano come crudo “scialo di morte”,
proponeva la “violenza ermeneutica” come violenza
dei significati di contro a
quella delle armi: una violenza non violenta eppure
efficace, agganciata alla
kantiana ragione comune,
vicina alla gente e al pensiero.
Queste ricerche sulla prassi, che poi assumeranno i
contorni di una vera filosofia del diritto, rientrano ben
dentro la sua impostazione
generale, che egli stesso
esprime così: «Ho lavorato
un ventennio per la parola
di Dio e per la teoria del
cielo. Vorrei dedicare ora
un po’ del mio tempo e della appassionata fatica alla
città dell’uomo e alla teoria della terra. Il lettore
attento si accorgerà, peraltro, che la proiezione che
radica il senso rimane quella teologica. Ma c’è una
differenza, e non è da poco:
prima era il mondo dell’
“alto” (“totalmente altro”)
che veniva proiettato su
“questo mondo”, ora è viceversa: la cosa, a ben guarBarth
dare, è davvero sconvolgente, per questo venire in
primo piano della dimora umana, giuridica e sociale;
sconvolgente, se non nei risultati, almeno nella premura»
(Prefazione a Negativismo giuridico, Urbino 1981 e
ripresa tale e quale nella Prefazione a Filosofia della
prassi, Brescia 1987). Pur avvertita come svolta, la
filosofia del diritto rappresentava l’altra polarità del suo
pensiero, che ne esprimeva la fedeltà al mondo. Considerando tutto il suo lungo itinerario di ricerca, spesse volte
ne affermava il senso nella “duplice fedeltà”, appunto a
Dio e al mondo, o anche pascalianamente nel «far professione dei due contrari», senza possibilità di una qualsiasi
mediazione dialettica. Il punto di contatto, se doveva
esserci, non poteva essere se non la presenza agonica di
Dio nel mondo.
10
PROFILO
Di qui nasceva quella “spregiudicatezza” ermeneutica,
con cui affrontava i temi della filosofia del diritto, per
restituire al diritto un nuovo senso di dignità. Nella
Filosofia della prassi, contro le tesi distruttive del negativismo giuridico, la rigenerazione di un senso viene
perseguita nel recupero di idee-guida quali il principio
femminile, preso nel suo senso categoriale, radicato nel
mito di Antigone, di contro al maschilismo del diritto
romano e cristiano, il concetto di natura e di diritto
naturale, l’idea lockiana del diritto di resistenza e, infine,
il nesso di diritto e rivoluzione.
Tutte queste ricerche, e non solo queste, confluiscono nel
volume L’ethos dell’Occidente (Genova 1991), dove
emerge in tutte le sue drammatiche aporie il concetto di
giustizia. Opera sinfonica, L’ethos dell’Occidente andrebbe letto come percorsi di pensiero (ce ne sono almeno tre) che si intersecano l’uno nell’altro e che descrivono
il lungo travaglio dell’Occidente nel costruire la sua
«civiltà del diritto». Qui non si può che tentare una
presentazione schematica.
Il primo itinerario è quello che ripercorre il dibattito sul
binomio diritto e moralità, il secondo quello del concetto
di giustizia quale problema centrale del diritto, il terzo del
vir iustus per una possibilità di un ethos del futuro. Il
primo si snoda attraverso tre momenti: la via antiqua, che
elabora una visione del diritto sul concetto di natura, la
seconda è la via modernorum, che lega il diritto alla
volontà, al positum dell’uomo e, infine, la via perennis,
pensata come orientamento, dove il fondamento del
diritto è costituito dall’idea di giustizia. Su questa idea
s’incentra il discorso e si compie la svolta: «La giustizia
è la gloria del diritto. Questo va ascoltato come il detto
dell’Occidente, il suo portento, l’anima del suo ethos»
(L’ethos dell’Occidente, cit., p. 23). Ma qui è anche la
vera Crux del pensiero: giustizia in che senso?
Con questa domanda parte il secondo itinerario, dal
pensiero pre-platonico, dove la giustizia in senso mitologico si muta nel senso ontologico, a quello di Platone e
Aristotele, privilegiando questi che sa vedere la giustizia
nella prassi e nel movimento piuttosto che nella stasi o
nella memoria dell’origine, per giungere a quello che va
dagli stoici ai nostri giorni e che è chiamato la “cultura
delle tracce”.
A questo punto avviene il passaggio centrale: il concetto
di giustizia s’incaglia, soprattutto quando deve determinare il suum; esso mette in evidenza la precarietà del
concetto, per cui occorre passare alla realtà storica: dalla
giustizia all’uomo giusto: «al posto dei traballamenti
dell’idea di giustizia alla vivente realtà dell’uomo giusto» (ibid., p. 444). Ma senza cadere nell’irrazionale e
con una nuova domanda che acquista uno spessore più
profondo: quale ethos è maxime pro nobis, capace di
vincere le categorie della distruzione, l’ «impossibilità
collettiva di amore», e capace di un futuro dal volto
umano? E di nuovo anche qui un itinerario, che va dal
nomos greco alla torah ebraica e alla iustitia cristiana. Il
vir iustus, capace di aprire un futuro, prima viene tratteggiato attraverso l’analisi del libro XIX del De civitate Dei
e infine precisato con Levinas nella tematica dell’altro e
del volto.
Non sta a noi decidere del valore di quest’opera; possia-
mo solo affermarne il significato, almeno a livello intenzionale, in due contributi importanti. Il primo consiste
nella coscienza di dare nuova dignità scientifica e accademica alla filosofia del diritto, che fin dagli anni ’80 gli
appariva alquanto decaduta per gli attacchi del negativismo giuridico, che inseriva nel contesto più vasto del
nichilismo. Questa scientificità viene fissata nello statuto, aristotelicamente inteso, di filosofia seconda, dove
l’oggetto non è pensato, ma offerto e dato dalla storia, «le
enormi masse di vita giuridica», per cui va solo riconosciuto. Se l’oggetto sta nell’articolazione dei temi forti
del diritto, quelli stessi affrontati nelle opere, il suo
metodo non può essere che quello ermeneutico. La filosofia del diritto ha formalmente lo stesso statuto della
filosofia della religione. Questo intento epistemologico è
presente fin dall’inizio di queste ricerche. Il saggio: La
filosofia del diritto come ermeneutica (in “Hermeneutica”, 1, 1981, pp. 9-45), prende avvio dall’analisi di quella
«malattia mortale» che non permette alla filosofia del
diritto di «raggiungere la sua essenza» e presenta l’ermeneutica come la sua vera struttura metodologica. Non era
il primo ad applicare l’ermeneutica al diritto: lo aveva già
fatto, in Italia, E. Betti; ma a differenza di questi ancora
legato allo storicismo diltheyano, riprendeva i momenti
strutturali dell’ermeneutica elaborati da Heidegger, Gadamer e Ricoeur, quali la
linguisticità del dato, la
Sulla Filosofia
precomprensione dottridel diritto
nale, la decisione per il
di Italo Mancini
significato, applicandoli al
mondo del diritto.
di Francesco
Il secondo contributo va
Saverio Festa
solo indicato, non spiegato: la coscienza della necessità e urgenza di queste ricerche come personale apporto di pensiero
per una reale convivenza umana pacifica, cioè per una
«fraternità senza terrore» da costruire con gli uomini.
«Quanto a me, se potranno essere vissuti gli anni ’80,
vorrei accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di
quanto sinora ho pensato». Questo annunciava, in un’intervista del 1983, Italo Mancini quasi a riprova che per lui
non è data una «fedeltà al cielo», al senso paradossale di
Dio, senza una «fedeltà alla terra». Tale “doppia fedeltà”
acquista significato sin dalla tesi fondamentale del suo
Filosofia della religione (Roma 1968): il punto di partenza è la Rivelazione, non la ragione, a pena di votarsi allo
scacco del deismo, o di decadere in una mera “compromissione” della religione coi bisogni quotidiani dell’uomo, ossia in quelle «forme antropocentriche che giocano
esclusivamente sul far dell’uomo, escludendo la radicale
perturbazione di un originario Gedanke an Gott».
Pensatore senza dogmi, ma rigoroso interprete del metodo ermeneutico quale indilazionabile «bisogno della
ragione», Mancini, nell’evolversi del suo pensare dall’attenzione al “totalmente altro” alle infinite valenze del
concreto, tenta di operare, nella prospettiva a lui cara dei
“doppi pensieri”, una sorta di «strategia dei due tempi».
Dapprima, barthianamente, ri-definiva l’impossibilità di
11
PROFILO
ogni corrispondenza tra piano del divino e piano dell’umano, sì da spezzare alla radice ogni residuo conato di
“teodicea”; poi ha tentato di sciogliere l’aporia barthiana:
come può mai agire nel mondo un cristiano, gettando
semi della iustitia Dei (Paolo) senza incappare nel Kurzschluss del voler, a tutti i costi, far valere l’identità di
valori teologici e valori terreni, l’idolatria di voler, quasi,
misurare Dio? Come rifuggire l’inautentico «inginocchiarsi davanti a tutti gli idoli», alla ricerca di un «Dio
tappabuchi», come aveva scritto Bonhoeffer?
Se mi è permesso dir così, Mancini ha tentato di coniugare Barth con Bonhoeffer; e dopo aver gettato le basi di una
“epistemologia kerygmatica”, ha deciso, quasi a non
voler restare nel vago, di
“passare al setaccio” in volumi di «dimensioni jaspersiane» (Martini) tutto quello che l’Occidente ha prodotto, nel corso della storia, in forme politico-giuridiche istituzionali. Ma prima di dar vita a tal “epistemologia giuridica”, ha pensato bene di delineare le
linee delle due maggiori
ideologie “pratiche” del
Novecento, commisurandole col suo “Novecento
teologico” d’ispirazione
evangelica: quella marxista da una lato, e quella del
“pensiero negativo” della
destra, dall’altro. Ha scritto in Filosofia della prassi
(Brescia 1986): «Marx risolve non religiosamente i
problemi che sono propri
della religione...direi che in
Marx c’è una soteriologia
senza cristologia...per questo, non mi sentirei di escluderlo, magari come abitatore eretico, dell’area ebraico-cristiana...». Ma mentre
Ernst
il marxismo sembra porsi
quasi come una «religione
dell’al di qua» (Korsch), ripiena di «senso del futuro»,
esiste, invece, una concretizzazione novecentesca dell’«immane potenza del negativo», quasi una negazione
vivente di ogni «giustizia per il creato»: è quella linea di
pensiero che Mancini non esita a definire «masochismo
logico o posizione masochistica da parte della logica
stessa», identificante «il fine con la fine, col tramonto
definitivo di quello che fu l’Occidente». Movendosi da
questo volgersi da Spengler sino alla legge di una politica
intesa da Carl Schmitt «come nesso essenziale ed inestinguibile di amico-nemico», Mancini ha, quindi, avviato
un’analitica riflessione delle forme del “negativismo
giuridico”, attraverso cui «s’incanala verso il vivere
concreto l’intero ciclo del pensiero negativo». All’analisi
delle quattro forme tipiche di tale «negazione dell’essenza giuridica», identificate dall’espressione classica dell’asse Hobbes-Carl Schmitt: Auctoritas, non veritas,
facit legem, Mancini contrappone «quattro forme del
contromovimento alternativo»: dal «principio femminile», quale categoria alternativa nel diritto, al «diritto di
resistenza» ed al «diritto alla rivoluzione», forme entrambe legate «alle ragioni, alle lotte ed ai progressi»
della “società civile”, che, da Hegel in poi, sola può ridar
senso ad un diritto non-altro dall’ethos delle genti. Dopo
un’articolazione propriamente “speculativa” come «futuro del senso», confortata dai referenti teologico-linguistico-sociologici di Teologia, Ideologia, Utopia (Brescia 1974), ora è necessario
studiare come far coesistere nel mondo vita giuridica
e vita morale, per sfuggire
alla «logica della disgregazione» del “pensiero negativo”, con tanto scialo di
morte causato dalle categorie della distruzione, partorite dall’Occidente». Solo
dal recupero della radice
morale del diritto si potrà
tentar di «dare al futuro una
organizzazione politica
concreta»: un «senso del
futuro»!
E’ il percorso de L’ethos
dell’Occidente (Genova
1991), un grande affresco
delle forme della cultura
occidentale, ove è viva
l’esigenza della fondazione della norma e del significato dell’agire dell’uomo.
Se la via antiqua era contrassegnata dall’inscindibile nesso di verità e legge,
che proprio l’età moderna
dilapida sul sentiero del dominio dell’Io («ha fatto dell’Io il centro di tutto»), è
Bloch
Carl Schmitt a leggere il
classico nomos basileus
non più nel senso del primato della norma, del diritto, ma
in quello del primato del sovrano, cui solo spetta la
decisione: il re è nomos. Pur se contro Hobbes si era
venuto sviluppando un sapere quale «riserva critica che
deve contrastare ed aver diffidenza di fronte al potere»,
nelle forme del “diritto di resistenza”, da Althusius e
Locke fino a Bonhoeffer, o delle “libertà di penna”
(Kant), Carl Schmitt riesce a riproporre, a coronamento
del “pensiero negativo”, il primato dell’ Auctoritas in
quanto il nomos non avrà più l’ampiezza dell’ethos, al cui
interno «si è aperta, alla maniera d’Antigone, una voragine» fra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto
secondo la legge; e intanto «le catene di Hobbes sono rese
più ferree da Heidegger»: «torna la frustrazione di ogni
12
PROFILO
del pensiero giuridico e morale messe ai margini e
ghettizzate dalla cultura ufficiale, «crocefisse dalle ragioni dell’imperialismo culturale». Ha così recuperato il
“principio femminile” come categoria alternativa del
diritto, ritenuta idonea a introdurre un’ispirazione che dia
spazio all’equità, alla logica del corpo e della terra, in
contrapposizione a «perfettismi astratti» e «a blocchi
normativi che scendono implacabili dall’alto». Un analogo recupero lo ha fatto nei confronti del diritto di natura,
nella pluralità dei sensi che l’espressione ha acquisito
nella riflessione di Aristotele, nella tradizione cristiana,
nel moderno razionalismo, condividendo la tesi di Bloch
che ha legato il diritto di natura con l’affermazione della
dignità dell’uomo.
Il diritto di resistenza e la dichiarazione del nesso tra
diritto e rivoluzione sono, per Mancini, due altre grandi
idee capaci di rigenerare il diritto. Con la prima, a partire
da Locke, si è sempre sottolineata la necessità della
ripresa dell’autonomia individuale e di gruppo di fronte
a ordinamenti civili dispotici e totalitari. Con la seconda
idea si è inteso fare i conti con le ragioni, le lotte e i
progressi della società civile. L’aporia che sorge inevitabilmente quando si vuole dare senso a qualcosa che possa
essere detto diritto di rivoluzione - il concetto di legalità
che intende conservare l’esistente si oppone al concetto
di rivoluzione che intende sovvertire per instaurarne uno
nuovo - è affrontata guardando il fenomeno giuridico
nella sua sostanzialità (non più dunque alla ricerca del
nesso puramente formale dell’eventuale rapporto normativo fra diritto e rivoluzione) e individuando lo spazio
naturale del diritto nella società civile e non più nello
Stato. Il diritto raggiunge così il massimo della sua
positività, assumendo in maniera spregiudicata le lotte
inevitabilmente presenti nella società civile.
E sempre nell’ambito del confronto con il pensiero negativo, con L’ethos dell’Occidente (Genova 1990), Mancini ha affrontato la questione della possibilità di un effettivo coesistere di vita morale e vita giuridica, contestando
la dichiarazione, proveniente da più parti, che lo stesso
porre la questione sia illegittimo, data l’insignificanza di
rotture, come quelle che contrappongono bene e male,
natura e contro-natura, bello e brutto; rotture che sono
state per secoli l’anima della cultura occidentale. Nell’indagare quale e quanta moralità comporti e permetta il
diritto, Mancini non si è rifatto ad un metadiritto astratto,
ad un diritto naturale come forma di legge a parte o di
sistema a sé, paventando il rischio di rendere non significative le masse di vita giuridica presenti nella storia.
Oggetto di indagine è stato invece il diritto storico, lo jus
positum che circola nei tribunali, nelle aule universitarie,
nelle sedi legislative e che dà origine alle istituzioni
attuali, il cui fondamento sta nell’idea di giustizia «vero
portento e anima dell’ethos dell’Occidente», che non va
considerata in maniera puramente formale (giustizia come
produzione di eguaglianza, con il dare a ciascuno in parti
eguali), ma nella sua ipotiposi, nell’agire cioè dell’uomo
giusto o nella «giustizia vivente», per usare un’azzeccata
definizione di Aristotele.
Le pagine del libro XIX del De Civitate Dei sono esemplari, per Mancini, in quanto indicative delle linee solutive che riguardano «la giustizia dell’uomo giusto», sen-
meta che trasformi il mondo».
«Se il nomos, imbarbarendosi, ha finito per impersonarsi
nel rex, pure la torah attendeva di incarnarsi in un
Messia», e qui Mancini, perché avvenga «un capovolgimento dei termini essere ed io in quelli dell’altro, del tu,
del volto» (Tornino i volti, Genova 1989), ritiene possibile uno spazio per la iustitia Dei (Paolo) solo a patto che
«l’evento fondatore di comunità» vada oltre il nesso
greco di nomos-polis e quello ebraico di torah-popolo
eletto: «organizzare un fronte di lotta per il significato»
di un ideale “cosmo-polita” del prossimo. Occorre superare il limite veterotestamentario di una comunità di soli
osservanti della torah, come pure l’ambigua, odierna
“prossimità” all’essere e a Dio, che impedisce, pur dopo
l’irrompere nella storia del Verbo giovanneo, osserva
Mancini, di amare l’uomo «per il suo essere semplicemente uomo». Dopo i cicli di dominio dell’essere e
dell’io, per evitare ogni riduzionismo del diritto a mero
“sistema di regole”, occorre ripristinare un’idea di giustizia quale ethos del futuro. Per superare la “sterilità
assiologica” dell’etico-politico (un mero Ideenkleid, vestito di idee), si deve insistere «sulla differenza, sull’altro, sul diverso», «se si vuole che la logica dell’esserecon (mit-sein) prenda il sopravvento su quella dell’essere-presso». E’ una forma alta di “Cristianesimo aperto”
quella manciniana, che, pur con esplicito debito lévinasiano, intende, attraverso un personalissimo «venerdì
santo speculativo», ripristinare il valore fondamentale
della Ri-conciliazione, e della Pace, esaltando, però, le
differenze contro ogni sorta di “titanismo di sintesi”. Al
di là dei cattolicismi della presenza e della mediazione,
l’ethos del futuro è il paradosso del Cristo quale amore
dis-interessato per il prossimo. Qui, scrive nelle pagine
conclusive, gli par che possano «confluire la lunga stagione si studi di filosofia della religione ed una altrettanto
lunga, e con questo studio la vorrei concludere, stagione
di studi di filosofia del diritIl neoclassicismo
to; la fedeltà a Dio e la fedeletico di Italo
tà alla terra». Ne emerge
Mancini
l’incancellabile ricordo di
un uomo teso, barthianadi Piergiorgio
mente, «nello sforzo di viGrassi
vere con in una mano la
Bibbia e nell’altra il giornale», avendo egli ben compreso che il sogno di una
cosa è realizzabile solo nel
«dismettere i panni accademici» e nel «vestire il mantello del profeta, che in certe
epoche - soleva dire - fu anche il vestito dei filosofi...per
tentare d’alleggerire la terra».
Come filosofo del diritto, per tutti gli anni Ottanta,
Mancini si è confrontato con il negativismo giuridico,
con il rifiuto vastamente diffuso, anche se diversamente
motivato, di conferire valore fondativo agli strumenti del
mondo del diritto. Lo ha fatto in primo luogo con Filosofia della prassi (Brescia 1986), dove ha cercato di creare
un contromovimento capace di dare un senso alla civiltà
del diritto, di «rimettere in piedi e in ordine uno strumento
antico come la civiltà», dando voce e attualizzando falde
13
PROFILO
la justitia Dei alla quale il kerygma cristiano affida la
salvezza. Ebbene, questi tre segni sono fatti agire da
Mancini in una nuova contestualizzazione.
Se infatti nella storia dell’Occidente sono stati vissuti
dapprima in relazione con l’ontologia, dominata dalla
preoccupazione per l’universo e le sue impassibili leggi,
e successivamente con l’ontologia, che pone l’enfasi sul
conoscere e sulla sua pretesa di sottomettere tutto all’Io,
non si può dire che i due cicli siano riusciti a sconfiggere
la guerra e la logica del dominio. La nuova contestualizzazione dei grandi segni esige il primato dell’etica, dell’accoglienza della responsabilità di fronte al volto degli
altri. Questo tema, che Mancini esprime sottolineando
con forza l’urgenza della sostituzione dell’essere-presso
con quella dell’essere-con, alimentato dall’incessante
ricerca delle condizioni che rendono effettiva la comunità degli uomini, richiama esplicitamente la riflessione di
Emanuel Lévinas in Totalità e infinito, che Mancini ha
assunto come indicatore di una strada possibile, capace
di fondare una cultura della pace dopo i cicli, come già si
è detto, dell’essere e dell’Io, che sono stati all’insegna
del detto eracliteo che polemos è padre di tutte le cose e
che la vita della polis è definita dal contrasto di amiconemico.
Considerato nella sua globalità, il discorso di Mancini
come filosofo del diritto si configura come una forma
particolare di neoclassicismo etico che vuole rimotivare
persuasioni antiche, a cominciare da quella che nega
possa darsi diritto senza radici morali. Una linea di
pensiero rincorsa dalla speranza che si possano creare le
za seguire la strada delle definizioni astratte e dei programmi normativi. Le cose dell’uomo sono trattate da
Agostino come misura della prassi e della liberazione
storica, non come «irrelati aspetti della teoria, ma come
vitali aspetti della sotería». Il senso forte della fedeltà a
Dio e della fedeltà alla terra si manifesta in Agostino con
la premurosa attenzione ai bisogni elementari e universali dell’uomo, con una concezione della virtù e del bene
che si allarga dalla casa, alla città, al mondo. E forte è la
rivendicazione della pace come struttura della realtà tutta
(non solo umana), come potenza latente e per questo
posta come legge di natura e come dovere emergente
dalla natura stessa.
Questa linea interpretativa comporta il sorgere di un’altra
questione, giacché il soggetto uomo che si muove e opera
non può non avere la preoccupazione del «se è e se va nel
senso giusto», se «ogni sua azione possa essere ricondotta criticamente al suo intendimento globale». E’ la questione dell’ethos del futuro che sconfigga le categorie
della distruzione e superi i limiti della politica praticata e
definita (da Carl Schmitt) come lotta tra amico e nemico,
categoria essenziale e perenne della guerra, riscrittura
della politica con altre lettere. La delineazione di questo
orizzonte avviene riesaminando tre parole del passato,
«espressione di grandi mondi di cultura, di fede e di
ordinamenti», viste in connessione tra loro e nella prospettiva, che agisce anche criticamente su di essi, di un
futuro inteso come novità assoluta, una patria sempre
intravista e mai ancora posseduta, per dirla con Bloch. Le
tre parole sono l’ideale greco del nomos, la torah ebraica,
Italo Mancini:
biografia
intellettuale
condizioni per
il sorgere di un
ethos del futuro produttodi
re di riconciTommaso La Rocca
liazione. La
riconciliazione è, per Mancini, «la formula della pace». La prospettiva solo
apparentemente si allontana dai territori dei precedenti studi e risultati di
filosofia della religione: la proiezione che radica il senso è sempre quella
teologica, anche se - come Mancini
amava ripetere - la differenza non è di
poco conto: «prima era il mondo
dell’alto (“totalmente altro”) che veniva proiettato su questo mondo, ora
è viceversa». In primo piano è ora la
città dell’uomo nella sua dimensione
giuridica e sociale.
Italo Mancini è scomparso il 7 gennaio
1993. Era nato a Urbino il 4 marzo 1925 da
padre minatore e madre contadina. Egli
stesso, una volta divenuto prete e docente
universitario, ci teneva a rivendicare questa umile origine: «debbo a questi due
onesti e umili genitori la scelta di campo,
quella del sangue plebeo e contadino, il
campo della gente che lavora, crea e così
muove la storia» (da Cristianesimo e cultu-
ra, una lunga intervista autobiografica in
cui Mancini ripercorre le tappe fondamentali della propria vicenda intellettuale. A
questo testo si riferiranno anche le successive citazioni).
Si forma all’Università Cattolica di Milano, alla scuola di Gustavo Bontadini ed a
contatto diretto con Amato Masnovo, Francesco Olgiati, Agostino Gemelli, Mario
Casotti e Giorgio Zunini; al tempo in cui
nell’amica e rivale Università Statale operavano altri pensatori di prestigio: Antonio
Banfi, Mario Dal Pra, Enzo Paci, Remo
Cantoni.
Alla Cattolica trascorre anche il suo primo
decennio di impegno accademico come
assistente e docente di Filosofia della Religione. Dalla seconda metà degli anni Sessanta viene chiamato da Carlo Bo all’Università di Urbino, dove insegna, prima,
Filosofia della Religione e Storia del Cristianesimo, poi Filosofia Teoretica presso
la Facoltà di Magistero e, negli ultimi anni
Filosofia del Diritto presso la Facoltà di
Giurisprudenza.
❏ Al centro delle ricerche del periodo
milanese ci sono due questioni principali:
quella “ontologica” e quella del “linguaggio”, che troveranno sbocco nei volumi:
Ontologia fondamentale. Linguaggio e salvezza e Filosofi esistenzialisti. Studi puramente teoretici e legati alla dinamica delle
filosofie e culture universitarie, maturate
quindi in un contesto prevalentemente accademico. Tuttavia rimarranno elementi
14
importanti di precomprensione di tutto lo
sviluppo ermeneutico ulteriore dei periodi
successivi, contrassegnati, invece, da un
forte impegno per la “questione pubblica”,
religiosa e politica.
❏ Le grandi vicende degli anni Sessanta,
soprattutto il Concilio Vaticano II e le lotte
studentesche, incidono infatti profondamente sullo sviluppo anche del suo pensiero filosofico. Il nuovo contesto religioso e
politico culturale operò in lui, come in
molti altri intellettuali dell’epoca, una sorta
di humiano “risveglio” dal sonno dogmatico. Lo si avverte subito nell’elaborazione
della sua filosofia della religione, esibita
come ermeneutica del kerygma, cioè del
dato della rivelazione, preso nella sua «quadruplice forma biblica di parola, evento
fondatore, comunità e comandamento»:
come ermeneutica di quel dato storico che
Mancini soleva indicare con la nota espressione mutuata da Dilthey: «le enormi masse di vita religiosa». Filosofia della religione intesa come «interpretazione nuova della trascendenza con una precisa caratterizzazione politica», come ermeneutica del
fatto religioso, inteso non solo come una
“teoria”, ma anche e soprattutto come una
“soteria”, dottrina di salvezza. E se ne ha
conferma immediatamente dopo nel tentativo, nuovo e coraggioso per quei tempi, di
allargare l’area culturale ermeneutica in
campo teologico, andando al confronto con
la teologia protestante di Barth, Bultmann
e Bonhoeffer, e con quella contemporanea
PROFILO
del secondo dopoguerra (Metz, Pannenberg, Moltmann), pur senza dimenticare le
teologie contrapposte di Lutero e Muntzer.
La predilezione per Barth si accompagna,
in lui, ad una non celata identificazione con
la figura e il pensiero di Bonhoeffer. A
documentazione di quest’orientamento di
pensiero restano le opere: Filosofia della
religione, Bonhoeffer, Kerygma, Teologia
controversa, Barth, Bultmann, Bonhoeffer, a cui più tardi si aggiungerà Novecento
teologico.
❏ Gli anni Settanta sono contrassegnati
soprattutto dalla stagione di studi sul confronto del cristianesimo con le forme attuali del pensiero: radicalismo, pensiero negativo, ecologia, cibernetica e, soprattutto,
marxismo, pur senza trascurare il confronto con le forme classiche, in particolare la
filosofia di Kant, Leibniz, Locke ed altri (si
veda: Grandi ipotesi, I, II, III; Guida alla
critica della ragion pura, I, II; Kant e la
teologia). L’interesse maggiore era concentrato sulla posizione “sostanziale” del
marxismo di fronte alla religione. In un
momento in cui molti dibattevano di questo
tema in maniera piuttosto banale e superficiale, preoccupati principalmente della ricaduta politica della discussione, Mancini
tentò di andare all’origine e ai fondamenti
della critica di Marx e di altri pensatori
classici riguardo alla religione, privilegiando quella “corrente calda” del pensiero
marxista indicata da Ernst Bloch, a partire
dall’umanesimo del giovane Marx. E da
Bloch stesso Italo Mancini assume la chiave di lettura dell’intero sviluppo della critica marxista della religione: il concetto
dialettico di religione, sospeso tra i due poli
dell’ideologia e dell’utopia rivoluzionaria,
di cui è simbolo eminente Thomas Muntzer. In merito, egli forse ha scritto e pubbli-
cato molto meno di quanto avesse letto e
studiato. Ma quanto ci ha lasciato resterà
sicuramente un punto di riferimento o comunque di passaggio obbligato per i futuri
studiosi di questa problematica nel pensiero filosofico del secondo dopoguerra. Le
opere più rappresentative di questo periodo
sono: Teologia, Ideologia, Utopia; Futuro
dell’uomo e spazio per l’invocazione; Con
quale comunismo; Con quale Cristianesmo; Fede e cultura; Come continuare a
credere.
❏ Nell’ultimo decennio, gli anni Ottanta,
Mancini è approdato a un discorso filosofico che coniuga sempre più decisamente il
proprio interesse filosofico e teologico con
le tematiche dell’etica e della prassi, del
diritto e della società civile e politica. Uno
sbocco naturale della sua ricerca che, fin
dagli inizi, s’era prefisso di combinare lo
«studio del mondo di Dio» con lo «studio
del mondo dell’uomo». Mancini dava testimonianza così di quella che egli, a proposito del proprio atteggiamento nei confronti della cultura e della vita, soleva chiamare la “doppia fedeltà”: a Dio e alla laicità
del mondo. Un nuovo allargamento del
campo di indagine che impegna Mancini
non solo nello studio delle forme e dei temi
centrali della storia del diritto occidentale,
ma anche nella ricerca delle loro possibilità
di sviluppo per il futuro dell’uomo, in tentativi di nuove «spedizioni verso le terre
del non-ancora, utopia, speranza». Appartengono a quest’ultima stagione: Negativismo giuridico; Filosofia della prassi;
L’ethos dell’Occidente; Diritto e società.
❏ Segno tangibile dell’opera di Italo Mancini - oltre alla specializzatissima biblioteca personale, ricca di circa dodicimila titoli
catalogati - è rimasto anche e soprattutto
l’Istituto Superiore di Scienze Religiose
dell’Università di Urbino, voluto da lui e
condiviso da Carlo Bo, progettato nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta ed operante, dalla metà degli anni Settanta, con la duplice finalità scientifica di
centro di ricerca, documentazione, analisi
e riflessione, e formativa di scuola di preparazione dei professori di religione. In
realtà il significato della fondazione di quest’Istituto andava oltre. Fu un fatto di portata storica. Significò il primo tentativo di
introdurre la teologia nell’Università italiana, rimastavi interdetta per più di un
secolo e mezzo - a differenza di altri paesi
europei - in parte, a motivo della insensibilità, del disinteresse o, addirittura, dell’opposizione miope della cultura laica e forse,
in parte, per l’eccessiva preoccupazione
dell’episcopato italiano di tenere sotto il
proprio controllo e gestione la ricerca e il
dibattito in campo teologico.
Accanto a questo insonne impegno di studioso, Italo Mancini ha vissuto sino in
fondo anche la propria vocazione di prete,
a servizio della propria comunità. Le omelie della domenica, che Carlo Bo - suo
assiduo uditore - ha definito, per serietà di
impegno e ricchezza di contenuti, una continuazione, nel Duomo di Urbino, delle
lezioni universitarie, erano diventate un
appuntamento importante per molti credenti; come pure le conversazioni radiofoniche mattutine su argomenti spirituali (ora
disponibili anche nel volume Le tre follie)
che egli tenne quotidianamente per un certo periodo alla RAI.
Oltre alla competenza e alla serietà scientifica, chi accostava Italo Mancini poteva,
inoltre, apprezzare di lui anche una forte
carica di umanità e la disponibilità a servizio degli altri, gli studenti in prima fila, che
Bibliografia delle opere in volume
potevano incontrarlo indifferentemente
nello studio dell’Università o a casa, fermarlo per strada o al bar e conversare
liberamente. Aveva aperto la sua biblioteca
privata agli studenti che numerosi, giornalmente, vi andavano, trovandovi non solo i
libri, ma anche la persona disposta a suggerire un indirizzo e a dare un consiglio. I suoi
rapporti con i propri collaboratori erano
quelli del “maestro” che sapeva ad un tempo guidare, spronare, incoraggiare ed insieme comunicare affetto ed amicizia. Di
questi ed altri tratti della personalità umana
di Italo Mancini si potranno avere maggiori
e migliori conoscenze quando saranno pubblicate le pagine di un diario che egli stesso
ha rivelato di aver tenuto, scrivendo «nelle
ore perdute, nei ritagli di tempo, magari in
viaggio su un treno».
La bibliografia di Italo Mancini, dal primo
scritto del 1950 all’ultima opera rimasta
incompiuta ed inedita, a cui egli avrebbe
voluto dare il titolo Frammento su Dio,
comprende circa 400 titoli.
Qui si riportano solo i titoli dei volumi
pubblicati nell’arco del quarantennio della
sua attività scientifica.
Ontologia fondamentale, La Scuola, Brescia 1958.
Il giovane Rosmini. La metafisica inedita,
Argalia, Urbino 1963.
Filosofi esistenzialisti (Heidegger, Marcel,
Whal, Gilson, Lotz), Argalia, Urbino 1964.
Linguaggio e salvezza,
Vita e Pensiero, Milano 1964.
Filosofia della religione,
Abete, Roma 1968
(2.a ediz. 1978; 3a ediz. Marietti, Genova 1983).
Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969.
Kerygma, Argalia, Urbino 1970.
Teologia controversa,
Vita e Pensiero, Milano 1970.
Barth, Bultmann, Bonhoeffer:
novecento teologico, Celuc, Milano 1971.
Teologia, Ideologia, Utopia,
Queriniana, Brescia 1974.
Grandi ipotesi. I: Figure teoretiche
15
della filosofia greca e medioevale.
Guida storiografica. II: Introduzione
alla filosofia di Leibniz; John Locke
(in collaborazione con G. Ripanti),
Vita e Pensiero, Milano 1974, 1975, 1976.
Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975.
Futuro dell’uomo e spazio per l’invocazione,
Astrogallo, Ancona 1975.
Con quale comunismo, La Locusta, Vicenza
1976.
Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977.
Con quale cristianesimo, Coines, Roma 1978.
Fede e cultura (con R. Ruggeri),
Marietti, Torino 1979.
Come continuare a credere, Rusconi, Milano
1980.
Negativismo giuridico, Quattro Venti, Urbino
1981.
Guida alla critica della ragion pura,
vol. I. Quattro Venti, Urbino 1982.
Il pensiero negativo e la nuova destra,
CONFERENZA
Credo che il fulcro della proposta filosofica
di Karl-Otto Apel consista in quella etica
della comunicazione che è al tempo stesso
una grande proposta di civiltà e di democrazia, non soltanto una proposta di filosofia. Le radici e le basi del suo pensiero
fanno riferimento a tanti autori, ma direi
principalmente a Kant e all’americano
Charles Sanders Peirce. Questa unione di
pensiero trascendentale e di pensiero semiotico ha in Apel uno sviluppo molto
originale, molto acuto e profondo; ma soprattutto molto importante in quanto individua nell’elemento trascendentale e nell’elemento del linguaggio della comunicazione e del segno i due capisaldi per una
etica interplanetaria, nella quale possa riconoscersi ogni uomo di buona volontà.
Quello di Apel, quindi, non è il tentativo di
contrapporre alla logica della scienza, alla
logica della logica, un pensiero che si affidi
a valori di tipo irrazionale, di tipo emotivo,
di tipo sostanzialmente psicologico e individualistico; anzi, il suo tentativo è quello
di gettare le basi di una trascendentalità
dell’etica dell’uomo della scienza, dell’etica dell’uomo della tecnica, dell’etica di
quell’uomo planetario che si sta realizzando tumultuosamente sotto i nostri occhi. Il
tentativo di Apel è di individuare un fondamento indubitabile, logicamente consistente; in un’epoca in cui si ama prevalentemente sottolineare il non-fondamento, l’assenza di fondamento, Apel propone coraggiosamente e consapevolmente una filosofia del fondamento. Filosofia del fondamento etico - si badi bene - non filosofia del
fondamento ontologico, del fondamento
trascendentale nel senso kantiano, rinnovato attraverso le categorie della semiotica
di Peirce. Questa proposta di Apel è stata
discussa in tutto il mondo; ha avuto i suoi
oppositori: sono note le affinità, ma anche
le differenze, tra la posizione di Apel e per
esempio quella di Habermas.
Grazie all’opera organizzativa del Goethe
Institut e dell’Università degli Studi di
Milano, in questa sua conferenza, di cui
presentiamo qui di seguito il testo di riferimento, elaborato per la pubblicazione, Apel
ci presenterà la sua posizione. Una posizione che esige una presa di coscienza, una
riflessione; certamente essa è uno dei più
segni significativi della filosofia attuale,
sia per la ricchezza dei suoi riferimenti, sia
per l’importanza intrinseca delle tematiche
che propone alla nostra riflessione.
N
ella mia lezione
di piccoli gruppi o, al mein collaborazione con
voglio trattare (in
glio, è ancora confinata alil Goethe-Institut di Milano
successione) i sel’adempimento di funzioni
e l’Università degli Studi di Milano
guenti tre aspetti del proe doveri professionali alblema indicato nel titolo.
l’interno di un sistema so1. In primo luogo voglio
ciale di norme, p.e. all’inmostrare il bisogno urgenterno di uno stato nazionate di una macroetica che
le. Questi due livelli di
ritengo sia il nuovo promimoralità convenzionale
nente compito dell’etica fipossono essere chiamati rilosofica del nostro tempo.
spettivamente una microetica e una mesoetica. E io
2. Secondariamente evivorrei mettere in evidenza
denzierò e spiegherò le apche anche le usuali tensioni
parenti difficoltà che nelle
di Karl-Otto Apel
e i conflitti fra esigenze
ultime decadi, a livello di
con una nota introduttiva
morali sono tuttora avverfilosofia professionale (acdi Carlo Sini
titi e articolati come quelle
cademica), hanno suggeridi un antagonismo tra i lito che il problema di una
velli di micro- e mesoetica.
fondazione razionale di una
Quindi, per esempio, le rimacroetica universalistica
chieste dei ruoli e delle nordel genere umano non posme che sono definite da un
sa essere risolto o che sia
sistema sociale (di legge e
addirittura un problema
traduzione di Massimiliano Pagani
di ordine) impongono loro
senza senso.
3. In terzo luogo proverò a suggerire una possibile solu- stesse e danno forma alle intime relazioni di simpatia,
zione del problema dal punto di vista di una pragmatica interesse e lealtà che costituiscono il legame sociale di
trascendentale della comunicazione umana, o, più preci- piccoli gruppi, come sono le famiglie e i clan; e fino ad
samente, del discorso argomentativo come forma rifles- oggi hanno agito con il miglior esito nel caso di una
mobilitazione di sentimenti nazionali o religiosi o quasisiva della comunicazione umana.
In primo luogo dovrei spiegare che cosa intendo con religiosi, per esempio in connessione con guerre o rivomacroetica del genere umano e perché, o a che riguardo, luzioni. Come forme meno spettacolari, ma di solito
possa essere considerata una nuova caratteristica nello sufficientemente efficaci, possiamo menzionare le norsviluppo storico dell’etica che dovrebbe corrispondere o me di un sistema sociale sostenute dal pubblico consenso
rispondere a un nuovo stadio nell’evoluzione culturale e da sanzioni legali. Ma accade anche di continuo in molti
paesi che lo stato della legge e le norme morali del sistema
dell’uomo.
Penso ci siano pochi aspetti della civiltà contemporanea sociale perdano la loro autorità ed efficacia. Allora le loro
nei quali la strutturale non-contemporaneità (o il non- funzioni possono ritornare alle famiglie e ai clan quale
sincronismo) dei diversi settori dello sviluppo socio- conseguenza della corruzione generale, come nel caso
culturale sia più sorprendente che nella sfera della morale del dominio della mafia.
convenzionale, se ciò è comparato o confrontato con le Ora, nel mezzo di queste persistenti caratteristiche delle
attuali richieste di una comune e congiunta responsabilità morali convenzionali, cioè, tra tensioni e conflitti nelle
per le conseguenze planetarie delle attività umane. La esigenze della micro e della mesoetica, nuovi aspetti
morale convenzionale in tutti i popoli o culture è ancora delle richieste morali sono emersi e si sono sviluppati
essenzialmente ristretta alle relazioni umane all’interno nella società industriale del nostro secolo. Questi aspetti
Il problema
di una macroetica
universalistica
della co-responsabilità
16
CONFERENZA
suggerito da Hegel. Non solo la religione e la filosofia
hanno messo in dubbio questa soluzione, come già fecero
all’epoca di Hegel, ma anche le stesse istituzioni sociali
si sono differenziate in sotto–sistemi che più o meno
determinano o condizionano il comportamento umano
molto al di là del potere legale o dell’autorità morale dello
stato. L’esempio più illuminante di questo sviluppo è
fornito dal sotto-sistema sociale dell’economia internazionale5; e questo esempio mostra come una sfida nuova,
e insieme per lungo tempo non raccolta, sia stata sottoposta alla responsabilità morale dell’uomo. Poiché il tipo di
interazione umana che accade nel mercato mondiale è
regolata da fattori come i prezzi e realizzata attraverso la
mediazione del denaro; essa è quindi un’interazione a
lunga distanza per mezzo di relazioni anonime che non
lascia quasi opportunità per un incontro faccia a faccia tra
esseri umani con sentimenti morali. E poiché gli effetti
delle nostre quotidiane azioni economiche possono ripercuotersi su persone di diversi paesi o continenti, per
esempio del terzo mondo, allora esse sono come minimo
tanto inimmaginabili quanto i possibili effetti delle nostre
armi atomiche.
2. Questo confronto degli effetti delle azioni umane porta
al secondo motivo per cui le morali convenzionali nel
senso di micro- e mesoetica non possono più far fronte a
lungo alla nuova sfida sottoposta alla nostra responsabilità per le conseguenze delle nostre azioni a lunga distanza. La seconda ragione è in molti modi correlata con la
prima - specialmente con lo sviluppo del sotto sistema
sociale dell’economia - ed ha a che fare con le nuove
relazioni tra uomo e natura o piuttosto tra noi e quella
parte di natura che costituisce l’umana ecosfera. La
novità di questa relazione, come ora sappiamo bene,
consiste nel fatto che la natura, poiché costituisce l’umana biosfera e la sfera delle risorse economiche dell’uomo,
non è più indistruttibile né inesauribile, come è apparsa in
tutta la storia passata.
Appare chiaro che questo stato di cose è stato causato
dalla stessa abilità tecnologica ad accrescere ed espandere gli effetti delle azioni umane che abbiamo rintracciato
nella rottura delle barriere degli istinti animali da parte
dell’homo faber. Da allora - si potrebbe dire - l’homo
faber con le sue conquiste tecnologiche ha sempre sopraffatto l’homo sapiens con la sua responsabilità morale, ma nel nostro secolo noi siamo stati confrontati con
questo fatto in un modo del tutto nuovo. Per la prima volta
è diventato gradualmente chiaro che - almeno a riguardo
della nostra ecosfera naturale - noi in qualche modo
dobbiamo organizzare un qualcosa di simile a una responsabilità collettiva per le conseguenze primarie e
secondarie derivanti dalle nostre attività collettive in
campo scientifico e tecnologico.
Ma sembra anche chiaro che noi qui siamo di fronte a
richieste morali, di nuovo tipo e quasi eccessive, come
quelle poste dalla interazione economica a lunga distanza
tra persone . Si attende da ciascuno di noi che egli assuma
una qualche parte di co-responsabilità per l’emissione di
prodotti industriali di scarto nell’aria e in acqua, o per la
salvaguardia delle foreste su scala planetaria, e quindi del
clima e dell’atmosfera della Terra, e allo stesso tempo si
suppone che ciascuno si senta co-responsabile come
non possono più essere compresi nei termini di categorie
morali convenzionali, cioè né in quelli della lealtà microetica all’interno di piccoli gruppi, né in quelli delle norme
meso-etiche di legge e ordine del sistema sociale.
Questo può essere spiegato tramite il riferimento alle due
direzioni dell’evoluzione culturale che possono essere
delineate a partire dagli albori della civiltà umana, per
esempio la rottura delle barriere dell’istinto animale che
deve aver dato avvio al progressivo sviluppo delle istituzioni sociali e delle norme morali1. La direzione iniziale
dell’evoluzione culturale dal punto zero, per così dire,
può essere caratterizzata come la rottura , da parte dell’homo faber, dell’equilibrio naturale tra il mondo degli
effetti causali delle azioni e il mondo dei gesti percettibili
che potrebbero provocare quelle azioni all’interno del
circolo retroattivo del comportamento animale2. Qualcuno potrebbe supporre che l’invenzione di arnesi e specialmente di armi, dovuta all’homo faber, cancelli definitivamente questo equilibrio aprendo una gamma di possibili
conseguenze di azione che non erano possibili nella sfera
del comportamento istintivo3.
Perciò l’assassinio di Abele da parte di Caino o, in altre
parole, il fenomeno della guerra, come opposto ai ristretti
conflitti di animali, potrebbe essere spiegato dal crescere
della causale efficacia delle azioni umane al di là degli
scopi originali di quei gesti che precedentemente si
appellavano a istinti inibiti. E questo sviluppo ultimamente ha portato all’invenzione di missili nucleari, i
possibili effetti dei quali non possono neanche essere
immaginati nei termini dell’originario mondo dell’uomo
dei gesti percettibili che innescano i nostri sentimenti
quasi-istintivi.
Ora la necessità di controlli morali sulle azioni umane
non più regolate dagli istinti poteva finora essere soddisfatta dallo sviluppo delle istituzioni sociali che costituiscono l’altra dimensione dello sviluppo culturale. Ciò
significa che lo sviluppo di quei due campi d’azione delle
morali convenzionali dei clan familiari e dello stato (di
diritto) che ho chiamato gli stadi micro- e mesoetici ha
tenuto testa fino ad ora alla sfida del costante sviluppo
della gamma di efficacia delle azioni umane dell’homo
faber. Alcuni antropologi o filosofi antropologici hanno
suggerito anche che il tipo di istituzioni e di morali
convenzionali che ho delineato possano essere considerate come l’analogo definitivo ed equivalente degli istinti
animali a livello di civiltà umana; e da questa premessa
essi hanno talvolta tratto la conclusione che tutte le
indagini sulle istituzioni e le convenzioni contingenti,
proprie dello spirito di una ricerca razionale, debbano
essere intese come tendenze pericolose e patologiche
dello sviluppo culturale.4 Perciò anche la guerra può
essere considerata un’istituzione atta a risolvere i conflitti e a ridistribuire lo spazio abitabile (Lebensraum) e le
risorse a livello di mesoetica degli stati nazionali.
Ma penso che questo modo di guardare alla situazione
planetaria dell’umanità sia giunto al termine in questo
secolo per almeno due ragioni:
1. Lo stesso sviluppo delle istituzioni sociali ha superato
lo stadio nel quale la regolazione delle interazioni umane
può trovare la sua forma più integrativa e la sua più alta
autorità morale nello Stato (nazionale), come è stato
17
CONFERENZA
libertà umana può solo essere garantita dall’operare
indisturbato del sistema dell’economia di mercato con le
sue relazioni anonime di interazione a lunga distanza.
Perciò a giudizio di Hayek la diffusa richiesta di ‘giustizia sociale’ è sia ideologica che dannosa, e la sola
caratteristica dell’etica tradizionale della giustizia che
può e deve essere preservata e persino coltivata nella
situazione attuale dell’umanità è l’obbligo all’onestà
nella stipulazione e nel rispetto dei contratti. Quindi
Hayek fa ricorso alla morale minima di un addomesticamento istituzionale dell’interazione strategica del commercio, escludendo contemporaneamente qualunque richiesta ulteriore di una morale della solidarietà e della coresponsabilità.10
Penso che il chiarimento indiretto del nostro problema di
una macroetica umana che possiamo trarre dalle osservazioni di Hayek tanto quanto da quelle di Konrad Lorenz
e Arnold Gehlen risieda nel riconoscimento del fatto che
la nuova etica, semmai essa si dia, richiede una giustificazione razionale, che trascenda ogni tradizione. Le
osservazioni scettiche sopra ricordate mostrano chiaramente che non ci si può affidare alle morali convenzionali, rappresentate dalle attuali istituzioni sociali, incluso lo
spirito del presente Stato di diritto.
Ma che cosa hanno da dire gli esponenti dell’etica professionale, nel senso della filosofia (morale), sul nostro
problema di una fondazione razionale per una macroetica
umana universalmente valida? Con questo quesito introduco la seconda parte del mio lavoro.
Una prima parte della risposta che ha sede in questo
secolo può essere caratterizzata richiamando la concezione, sviluppata da Max Weber, di una scienza avalutativa in quanto opposta alla dimensione complementare
delle decisioni in ultima istanza irrazionali ma autentiche, rappresentate dalle scelte private prese da ogni
singolo e riguardo agli assiomi ultimi di valore11. Questa
idea di una sorta di divisione del lavoro, per così dire, tra
razionalità scientifica e moralità irrazionale che ha dominato a lungo l’ideologia occidentale, si è rivelata come un
sistema di complementarità tra positivismo e esistenzialismo, entro cui l’etica, in modo simile alla religione,
poteva solo essere immaginata come una questione di
emozioni e decisioni private, incapaci di reclamare una
qualche validità pubblica e universale.12
Questo sistema di complementarità proprio dell’ideologia occidentale ha prodotto una sorprendente e persino
paradossale risposta alla sfida lanciata dal XX secolo alla
ragione morale. Infatti, nel sistema di complementarità
la parte della razionalità veniva definita in modo decisivo dalla razionalità, neutrale rispetto al valore, della
scienza (cioè delle scienze della natura di rilevanza
tecnologica). D’altronde, però, sono state proprio le
conseguenze tecnologiche provocate dalla scienza nel
mondo della vita dei giorni nostri a richiedere una nuova
fondazione razionale di un’etica planetaria della coresponsabilità. Sembrava così che la scienza richiedesse
una nuova etica razionale e al contempo - a causa del
monopolio da essa esercitato sulla definizione delle
razionalità13- bloccasse una giustificazione razionale
dell’etica,
dimostrandone
l’impossibilità.
Temo che questo meccanismo di blocco si mostri ancora
cittadino - per esempio come lettore di giornali o elettore
- per la politica del proprio paese e quindi anche per la
politica economica, per dire, della Banca Mondiale nei
riguardi dei paesi indebitati del Terzo Mondo. Perciò
sembra che in entrambe le dimensioni dell’evoluzione
culturale - quella degli interventi tecnologici sulla natura
e quella delle interazioni sociali - la nostra epoca abbia
assistito allo sviluppo di una situazione planetaria che
esige una nuova etica della co-responsabilità , vale a dire
un tipo di etica che possiamo chiamare, per contrapporla
alle forme tradizionali o convenzionali di etica, una
macroetica (planetaria).
La novità problematica delle richieste di questa nuova
forma di etica può essere illustrata da alcuni commenti
caratteristici avanzati da persone che si dimostrano piuttosto scettiche, o persino disturbate dalla possibilità di
una simile ‘iperetica’, così come la si è voluta chiamare.6
Così in una recensione al libro di Hans Jonas Il principio
responsabilità,7 opera precorritrice nel suggerire energicamente la necessità di un nuovo tipo di etica, il critico,
richiamandosi alla filosofia delle istituzioni di Arnold
Gehlen, ricordava ai suoi lettori che nessuno può essere
responsabile di ciò che accade al di fuori del suo ruolo o
della sua funzione all’interno del sistema sociale.8 Qui, o
negandola o fraintendendola, almeno una caratteristica
della nuova macroetica è stata indirettamente evidenziata: l’esigenza di una co-responsabilità per i risultati delle
attività collettive.
Un’altra caratteristica che la nuova etica deve soddisfare
è stata messa indirettamente in luce dall’opuscolo: Gli
otto peccati capitali, del famoso etologo e premio nobel
Konrad Lorenz. Dalla prospettiva delle sue ben note tesi
per cui le morali umane sono essenzialmente basate su
disposizioni quasi-istintive o su residui istintuali corrispondenti al comportamento quasi-morale degli animali,
Lorenz osserva e deplora come nella moderna società di
massa, con le sue complesse ma anonime relazioni umane, si abusi irrimediabilmente delle disposizioni morali
degli esseri umani - come quelle rappresentate dai sentimenti di simpatia e dalle disposizione all’aiuto. Con ciò
Konrad Lorenz può riporre le sue speranze solo nel
possibile verificarsi di una mutazione nell’interrotto processo di evoluzione biologica dell’uomo, tale che gli
esseri umani acquistino una nuova disposizione quasiistintiva alla moralità.9 Questa conclusione dell’etologo
chiarisce indirettamente il fatto che la nuova etica della
co-responsabilità, in base alle stesse esigenze cui deve
corrispondere, non può essere fornita ai giorni nostri da
disposizioni quasi-istintive dell’uomo, ma conseguita
dalla ragione umana quale compensazione alla mancanza
di disposizioni quasi-istintive.
A tal riguardo la valutazione della situazione avanzata da
Lorenz è stata confermata, in un certo senso, da un altro
premio Nobel, l’economista Friedrich August von Hayek.
Anche Hayek è convinto che i sentimenti e le disposizioni
morali nel senso dell’etica tradizionale, compresa l’etica
cristiana, debbano essere riservate al livello arcaico delle
relazioni umane all’interno di piccoli gruppi. Oltre detto
livello le esigenze di un etica della solidarietà umana per non parlare della co-responsabilità su scala planetaria
- diventano ideologiche e quindi dannose, poiché la
18
CONFERENZA
all’opera in molti pensatori tra i più intransigenti, sebbe- il quale postulò che i membri della comunità ideale dei
ne si abbia a disposizione un controargomento per smon- ricercatori dovessero sottomettere tutti gli interessi pertare l’intero meccanismo. Lo otteniamo, allorché ci si sonali all’interesse della comunità nella ricerca della
rende conto del fatto che la ricerca scientifica, insieme al verità.15 Una simile sottomissione non può essere genecompito di accertarne la validità intersoggettiva, non si ralizzata in un obbligo morale valido per tutti i membri
situa al livello delle relazioni cognitive soggetto-oggetto, della comunità umana, poiché questi ultimi potrebbero
ma anche a quello della relazione soggetto-co-soggetto, anche mettere in questione il diritto della scienza ad
proprio della comunicazione e dell’interazione fra i mem- esistere. Ma anche a questi interrogativi si deve poter
bri di una comunità scientifica. Allora diventa chiaro rispondere all’interno di un’etica della co-responsabilità
come anche, o precisamente, la scienza esente da valuta- universalmente valida per l’umanità.
zioni - cioè una oggettivazione della natura, neutrale Si potrebbe già chiedere a questo punto: che cosa possiarispetto ai valori, operata nella dimensione della relazio- mo ragionevolmente indicare come un obbligo per tutti i
ne-soggetto-oggetto - debmembri di una comunità
ba presupporre l’etica di
umana ideale? Non potrebuna comunità ideale della
be essere un principio di
comunicazione nella diauto-superamento nel senmensione della relazioneso che noi riconosciamo un
soggetto-co-soggetto, comprincipio di trans-oggettiplementare alla relazionevità nel risolvere tutti i consoggetto-oggetto. E divenflitti solo tramite argomenta immediatamente chiaro
ti accettabili intersoggetticome l’etica di una comuvamente?
nità ideale della comunicaTornerò su questo punto.
zione, presupposta dalla
Ma prima devo continuare
scienza, non può essere
il mio resoconto della posiun’etica irrazionale, costizione presa dalla filosofia
tuita da mere emozioni e da
accademica sul nostro prodecisioni private e soggetblema di una nuova macrotive. Infatti, è precisamente
etica dell’umanità. Sebbel’intento di giungere a dene la risposta elaborata in
cidere delle pretese di valiun primo stadio - rappredità intersoggettiva tramite
sentata dal sistema di comargomenti razionali che
plementarità tra positivipresuppone di principio
smo ed esistenzialismo - sia
un’etica della comunità,
ancora molto influente, non
implicante uguali diritti e
si è potuto impedire neluguali responsabilità a lil’ultimo decennio, in Eurovello argomentativo.14
pa e negli Stati Uniti di assistere ad una ‘riabilitazioPerciò a questo punto della
ne della filosofia pratica’,
discussione possiamo già
per meglio dire ad un vero
concludere come segue. Il
e proprio rifiorire dell’etifatto che la razionalità delca. Sembra però una caratla scienza sia neutrale-riteristica di questo secondo
spetto-al-valore - per quanstadio della risposta filosoto attiene ai suoi oggetti Karl Otto Apel
fica ai nostri problemi che
non può essere inteso nel
la maggior parte delle posisenso che sia impossibile
una razionalità non neutrale-rispetto-al-valore, ovvero zioni non provino neppure a confutare il verdetto positiche sia impossibile una razionalità etica. Infatti, l’esisten- vistico contro la possibilità di una fondazione razionale
za della scienza neutrale-rispetto-al-valore, in quanto di un’etica universalmente valida, ma lo accettino in
impresa di una comunità umana, necessariamente pre- modo tacito, per far ricorso ad un certo tipo di neosuppone la validità normativa di un’etica razionale, aristotelica (o neo-hegeliana) riabilitazione dell’ethos
tradizionale di una specifica forma socio-culturale di
almeno per la comunità degli scienziati.
Con il nostro ultimo argomento non abbiamo ancora vita.
mostrato che sia possibile una giustificazione razionale Perciò si può seguire la linea della distinzione aristotelica
di un’etica della co-responsabilità valida universalmen- tra epistémé o theoria da una parte e phronesis dall’altra
te per gli esseri umani, poiché la comunità scientifica e richiedere - fino ad un certo grado insieme con l’Etica
non è identica alla comunità umana. E gli interessi della Nicomachea di Aristotele - che la facoltà della ragione
prima non sono gli stessi della seconda. Le differenze pratica non possa conferire validità rigorosamente unieticamente rilevanti tra i due tipi di comunità sono state, versale ai principi, ma proporre solo consuetudini ed
a mio avviso, correttamente indicate da Charles Peirce, atteggiamenti alla riflessione morale e ad una prudente
19
CONFERENZA
sopravvivenza del genere umano e la salvaguardia della
dignità umana, giunge a richiedere un’etica cosmopolita,
di tipo alquanto nuovo, ovvero un’etica della responsabilità collettiva per le conseguenze delle attività collettive
delle società industriali.
Ora non penso che Jonas sia riuscito a fornire una
giustificazione razionale per quest’etica di tipo nuovo
partendo dalle sue premesse metafisiche.22 Ma come
minimo questa visione del problema può essere facilmente integrata in un programma delle esigenze cui
un’etica ha da corrispondere oggi, da contrapporre al
ripiegarsi neo-aristotelico sulle tradizioni locali. Con
parole mie, lo sintetizzerei nel modo seguente.
Noi non viviamo oggi in società quasi-autarchiche o
poleis, come nell’epoca classica della civiltà greca (che,
non dimentichiamolo, fu rovesciata da Alessandro mentre Aristotele era ancora in vita). Per la prima volta nella
storia noi stiamo vivendo oggi in una civiltà planetaria
che al meno per quanto attiene alcuni ambiti vitali della
cultura - come ad esempio la scienza, la tecnologia e
l’economia - ha subito un’unificazione tale da renderci
membri di una reale comunità della comunicazione - o, se
si preferisce, componenti dell’equipaggio di una stessa
nave, per esempio riguardo ai problemi della crisi ecologica. Tra parentesi, desidero esprimere qui il mio netto
dissenso dalle diagnosi di Jean-François Lyotard, il quale
conclude che ai nostri giorni noi dovremmo abbandonare
la stessa idea di una storia umana comune e persino l’idea
di un ‘noi’ come di un possibile soggetto della solidarietà
umana.23 Suggerirei al contrario che le vaghe idee dei
filosofi del XVIII secolo circa l’unità della storia umana
si siano in un qualche senso realizzate oggi. Senza dubbio, non si sono realizzate nel senso della concezione
marxista di un’unità della prassi e della teoria scientifica
in forza della conoscenza e del controllo del ‘corso
necessario della storia’, ma si sono realizzate nel senso di
un’unità della cooperazione, eticamente sollecitata e in
parte esistente, a riguardo della correzione, salvaguardia
e rimodellamento o trasformazione delle condizioni attuali della civiltà del pianeta.
Riassumendo: ciò di cui abbiamo bisogno oggi è in effetti
un’etica universalmente valida per l’intera umanità; ma
questo non significa che ci sia la necessità di un’etica che
prescriva uno stile comune di vita buona per tutti gli
individui o per tutte le differenti forme socio-culturali di
vita. Al contrario, noi possiamo accettare il pluralismo di
forme individuali di vita e persino difenderlo, purché vi
sia la garanzia che un’etica universalmente valida di
uguali diritti e uguale co-responsabilità per la soluzione
dei problemi comuni dell’umanità sia rispettata in ogni
singola forma di vita. (Ho l’impressione che un errore
fatale del pensiero filosofico dei nostri giorni consista
nell’assunzione di un antagonismo fondamentale o anche
di una contraddizione tra il richiesto universalismo di
un’etica post-kantiana e il pluralismo di un’etica quasiAristotelica della vita buona, o del souci de soi, per citare
M. Foucault. In ogni caso l’intera storia dei diritti dell’uomo smentisce questa supposizione, come Foucault fu
costretto ad ammettere negli ultimi anni della sua vita.)24
Procederò ora con l’ultima parte del mio lavoro. Fino ad
ora mi sono limitato ad indicare l’esigenza di una macro-
presa di decisioni nel contesto di situazioni concrete, in
accordo con le norme autoevidenti dell’eticità sostanziale di una specifica tradizione o forma socio-culturale di
vita. (Questa prospettiva di un neo-aristotelismo pragmatico, liberatosi dello sfondo tradizionale della metafisica
teleologica dell'universo16 e quindi dell’idea di una legge
naturale come legge universale, ha trovato una potente
uniforme e sostegno negli ultimi decenni nel relativismo
post-wittgensteiniano delle differenti o anche incommensurabili forme di vita e nell’ermeneutica e nel superstoricismo, post-heideggeriani, delle aperture epocali di
verità o, al meno, del senso dell’essere entro la tradizione
del pensiero occidentale.)17
Così, nella prospettiva della tendenza storicistica e relativistica del neo-aristotelismo, unita ad una critica più o
meno forte dell’universalismo deontologico post-kantiano ed in accordo con la riflessione sulle tradizioni locali,
si è venuta formando, nel mondo occidentale, la corrente
dominante dell’etica della vita buona. Laddove autori
anglo-sassoni, come Williams, MacIntyre o i ‘Communitarians’ americani, enfatizzano principalmente il bisogno di valori sostanziali o norme materiali, in opposizione al formalismo kantiano18; in Germania la tendenza
storicistico-ermeneutica del neo-aristotelismo è piuttosto neo-conservativa e persino scettica, in aggressiva
opposizione al cosiddetto utopismo terroristico rappresentato dalla filosofia emancipatrice neo-marxista (come
ad esempio la Scuola di Francoforte).19
Il movimento neo-Aristotelico qui adotta un atteggiamento apparentemente tranquillizzante, come nelle rapide descrizioni gadameriane, più volte ripetute, di quanto
sia richiesto da un’etica della vita buona in una buona
polis: wJß dei' più frovnhsiß (che tradurrei: ciò
che è consuetudine o uso comune in una buona società
civile più una prudente applicazione delle norme implicite di una tradizione locale).20 Una buona illustrazione di
questo atteggiamento è stata fornita ad un recente congresso su Hegel, sfruttando polemicamente l’immagine
kantiana dell’ “imperativo categorico” come di una “bussola” per la vita morale. Si osservò, infatti, che in una
buona polis - cioè in una città - noi non abbiamo bisogno
di una bussola, perché già esiste la segnaletica stradale.21
Ora penso che queste tendenze neo-conservative, risultanti dalla cosiddetta ‘riabilitazione della ragione pratica’, non portino ad alcuna soluzione tutti i problemi
propri di una macroetica della co-responsabilità umana
che ho precedentemente esposti. Piuttosto essi rappresentano un atteggiamento di rifiuto o di fuga dai problemi
con cui ci troviamo oggi confrontati. E in ogni caso gli
slogan usati dai rappresentanti tedeschi del neo-aristotelismo sono a mio parere quasi tanto paradossali ed
anacronistici quanto le opposizioni positivistiche all’elaborazione di una etica razionale della responsabilità per
le conseguenze derivanti dalle tecnologie scientifiche.
Questo è ben illustrato dall’accoglienza ricevuta dal libro
di Hans Jonas, che è egli stesso un neo-aristotelico di
rilievo. Ma Jonas, richiamandosi al teleologismo metafisico del cosmo aristotelico, giunge a risultati diametralmente opposti a quelli neo-conservatori dei neo-Aristotelici. Jonas, infatti, muovendo da una prospettiva di
conservazione di alcuni valori, volta cioè ad assicurare la
20
CONFERENZA
“senso di giustizia come equità”. Ritengo che la ragione
di questo giudizio sia curiosamente legata al fatto che
Rawls effettivamente aveva buone ragioni per non essere
soddisfatto della giustificazione razionale nel suo approccio originale. Questo approccio implicava la concezione della “posizione originaria”, cioè della scelta razionale del miglior ordine di giustizia compiuta dalle
parti, seguendo, in tale processo decisionale, la razionalità strategica sotto le condizioni restrittive che Rawls
aveva imposto alla situazione originaria di scelta - condizioni quali “il velo di ignoranza” sulla posizione che ogni
singolo occuperà nell’ordine sociale che verrà scelto.
Più tardi Rawls si dovette render conto del fatto che in
primo luogo era fortemente ingannevole suggerire che, a
motivo del tipo di razionalità che avrebbe dovuto guidare
la scelta, la sua teoria della giustizia fosse parte della
teoria della scelta razionale (cioè la teoria della decisione strategica). In un verso, la oggettiva giustificazione
della sua teoria era fornita piuttosto dalla stessa concezione di Rawls della “giustizia come equità” che gli fece
imporre le condizioni restrittive sulla posizione originaria. Nell’altro verso, Rawls fu persino costretto, già nel
suo primo lavoro, a supporre uno speciale “senso di
giustizia” come equità, quale caratteristica di cui la parti
sarebbero provviste in quanto razionali ed ideali;28 poiché altrimenti questi elettori avrebbero potuto seguire la
razionalità puramente strategica dei lupi hobbesiani firmando il contratto iniziale con la riserva criminale di
romperlo alla prima opportunità, allo scopo di godere dei
vantaggi strategici criminali supplementari risultanti dall’osservanza del contratto da parte degli altri contraenti.29
Ora, rendendosi conto di queste ambiguità nella sua
“teoria della giustizia”, Rawls in seguito fu costretto a
fare una scelta chiara tra la concezione hobbesiana e
quella kantiana della ragione pratica o della razionalità;
ed egli scelse la concezione kantiana.30 Ma nel fare ciò,
egli non aveva ancora risolto il problema della giustificazione razionale della sua stessa scelta in favore della
concezione non-strategica della ragione come senso di
equità, che egli presupponeva già nelle parti della situazione originaria. Egli intese così la soluzione kantiana
come una specie di costruttivismo morale sostenuto dalle
intuizioni del senso comune (come, per esempio, nella
sua teoria dell’ “equilibrio riflessivo” tra le costruzioni
filosofiche e il senso comune della gente).31
Ora, a questo punto tutto dipende dalla nozione di senso
comune che potrebbe essere presupposta da una riflessione filosofica su intuizioni morali. Se si intende lo sfondo
contingente della competenza personale del singolo o,
nel nostro caso, del filosofo, allora quasi inevitabilmente
la pretesa di validità universale deve essere accantonata.
In tal caso infatti, entra in gioco imponentemente il
riconoscimento, impostosi nel nostro secolo, della contingenza relativa alla “prestruttura” o al “segno di sfondo” del “mondo della vita”: dalle intuizioni di Collingwood sulla struttura storica delle “presupposizioni metafisiche” e dall’analisi di Heidegger e Gadamer della “precomprensione” del mondo della vita fino alla concezione
di Wittgenstein delle presupposizioni paradigmatiche
dei giochi linguistici come parti di differenti forme di vita
e all’analisi di J. Searle sul sapere di “sfondo” implicito
etica dell’umanità, criticando le concezioni insufficienti
delle etiche professionali dei nostri giorni. Ma che cosa
dire sulla possibilità reale di fornire una base razionale al
tipo di etica di cui abbiamo messo in luce l’indispensabilità? Ci sono approcci promettenti a questo riguardo?
Per introdurre le concezioni dell’etica del discorso, così
come proposta da J. Habermas e da me stesso, mi sia
concesso, una volta ancora, di partire da un’analisi critica. Proverò a ricavare la mia tesi di partenza facendo
alcuni commenti critici al pensiero più recente di un
grande filosofo che, rimanendo nella tradizione kantiana,
ha dato forse il più importante contributo all’attuale etica
della giustizia. Mi riferisco naturalmente a John Rawls.
Menzionerò qui solamente i suoi due principi di giustizia,25 e specialmente il famoso “principio di differenza”,
che, ritengo, funziona ai nostri giorni come il perenne
contro-argomento etico nei riguardi della più suggestiva
fra le attuali tentazioni della democrazia occidentale, e
cioè la tentazione della politica della cosiddetta “società
dei due terzi”, ossia, la tentazione di una politica sociale
che sfrutti il meccanismo maggioritario della democrazia
parlamentare per soddisfare i due terzi della popolazione
a scapito del terzo restante. Sembra chiaro come il “principio di differenza” di Rawls sia diretto precisamente
contro una simile politica che, come ben sappiamo,
potrebbe ottenere un buon successo per un certo lasso di
tempo.
Ora nei suoi più recenti giudizi - nel suo saggio Giustizia
come equità: politica non metafisica 26 - sembra che
Rawls neghi o revochi la richiesta di universalità propria
della sua precedente giustificazione di un’etica della
giustizia come equità, per far ricorso in chiave neoaristotelica o storicistica alla tradizione specificamente
americana del “senso di giustizia”. R. Rorty ha illustrato
questa posizione, accettandola come una forma estrema
di storicismo etnocentrico. A suo dire, egli, come americano, dovrebbe mettere l’accento sulla priorità della
costituzione politica del suo paese sopra e contro ogni
richiesta di una critica filosofica o di una legittimazione
di questa tradizione locale. Se gli capitasse di discutere
con persone del calibro di Ignazio di Loyola o Nietzsche,
cioè persone che in linea di principio negarono la tradizione democratica, non potrebbe - egli ci dice - provare
a difendere questa tradizione con l’uso di argomentazioni
filosofiche, il che significa, col ricorso a principi o criteri
universalmente validi, ma dovrebbe alla fin fine considerare l’altra parte come “folle”.27 Sembra chiaro che questa
dovrebbe anche essere la sua strategia in una discussione
con i rappresentanti del comunismo orientale o con
fondamentalisti islamici, che difendessero posizioni teocratiche. Ora, rispondendo a Rorty, io non negherei la
possibilità di una totale interruzione della discussione,
cioè del discorso argomentativo, ma credo che una simile
interruzione non sarebbe mai dovuta alle differenti tradizioni, bensì - nel caso peggiore - potrebbe essere imposta
dal rifiuto delle argomentazioni filosofiche da parte di
uno dei partecipanti al dibattito, sia esso Rorty o Nietzsche o Lenin, o Khomeini o Deng Xiao Ping.
Ma nel nostro presente contesto mi sembra più importante chiederci perché John Rawls stesso faccia ricorso alla
tradizione locale come a una base storica contingente del
21
CONFERENZA
nelle nostre intenzioni di significato.32 E tutte queste
prospettive sembrano suggerire che - come Rorty ha
mostrato - noi possiamo solo presupporre una “base
contingente per un consenso possibile” come una base di
senso comune anche per l’etica,33 dal momento che una
singola persona non può evitare di essere dipendente,
nelle sue preconcezioni del bene, dallo sfondo storico
della sua tradizione culturale.
Ma perché è impossibile negare la presupposizione di
norme valide universalmente - come quella della parità
dei diritti - in una discussione su questi problemi, anche
in un dibattito con rappresentanti di forme di vita socioculturali molto differenti? O più esattamente: perché i
molti filosofi, che a livello dei loro enunciati negano la
necessità di presupporre qualunque norma valida universalmente, in effetti contraddicono l’enunciazione (performance) delle loro asserzioni dal momento che riescono a portare avanti argomentazioni dotate di senso, cioè,
intellegibili? (Non ho mai visto, per esempio, che R.
Rorty in una delle sue lunghe argomentazioni contro la
possibilità di presupporre forme universali si sia mai
comportato come se egli non sapesse che tutti i partner
delle discussioni devono certamente seguire norme di
comunicazione universalmente valide.)
Qualcuno potrebbe forse dire che le norme procedurali
che devono essere seguite in un discorso argomentativo
su un qualsiasi problema non hanno nulla a che vedere
con la ricerca di norme morali valide per la vita quotidiana, dal momento che esse sono semplicemente strumenti
in relazione al comune, ma nondimeno contingente scopo della discussione in atto?
Prima di tutto risponderei a quest’ultima argomentazione
nel modo seguente. Il fatto che noi dobbiamo discutere
qualunque argomento controverso in un discorso argomentativo non è contingente o incidentale, dal momento
che non c’è ragionevole alternativa a quel metodo se non
desideriamo combattere o negoziare, ma vogliamo riuscire a capire tramite ragionamenti chi ha ragione sull’argomento in questione. Ma questo - che si desideri sapere
chi ha ragione - è il presupposto di ogni discussione
filosofica. Da ciò segue che il metodo del discorso
argomentativo, comprese le sue presupposizioni normative moralmente rilevanti, non può essere evitato in
filosofia. E’, vorrei affermare, l’a priori di ogni filosofia
trascendetal-pragmatico, o in altre parole: appartiene al
non-contingente “fatto della ragione” in senso kantiano.
E, come ho già suggerito, questo fatto non-contingente
della ragione non può essere esterno o incidentale rispetto alle reali controversie morali del mondo della vita,
poiché è la sola istituzione umana che può fornire una
possibile, ragionevole soluzione a queste controversie.
Ciò è riconfermato dal fatto che in tutte le controversie
umane, espresse a quel livello della comunicazione che
pur non attinge ancora il piano del discorso argomentativo, le parti in conflitto avanzano spontaneamente pretese
di validità universale finché non interrompono la comunicazione.34
Come potrebbero allora questi fatti della comunicazione
essere riconciliati con il riconoscimento del carattere
contingente, proprio di ogni sapere di sfondo storicamente dato, di tutte le nostre nozioni circa il bene in differenti
forme di vita socio-culturali?
Ritengo che si faccia un errore, allorché, nel quadro della
presente discussione, si contrapponga la contingenza
storica alla universalità delle norme - un errore simile a
quello fatto nell’opporre l’etica particolare della vita
buona all’etica formale-deontologica della giustizia o del
diritto. In entrambi i casi si trascura il fatto che coloro cioè i filosofi - che discutono della contingenza storica
delle condizioni di sfondo di tutte le forme di vita si sono
già sempre, in modo riflessivo, portati al di là di queste
condizioni contingenti. E lo hanno fatto, accettando la
nuova istituzione post-illuminista del discorso argomentativo che, a partire dalle sue origini ad oggi, fornisce le
condizioni procedurali per la possibilità della filosofia e
di tutte le scienze. Ora, facendo assegnamento su queste
precondizioni dell’argomentazione - che nessun filosofo
può evitare35 - essi hanno anche riconosciuto alcune
precondizioni normative valide per ogni argomentazione
comunicativa, le quali non possono venire annoverate tra
le condizioni di sfondo, storicamente contingenti, delle
diverse tradizioni culturali della morale.
Ovviamente, le non-contingenti presupposizioni normative del discorso argomentativo devono essere formali e
procedurali. Perciò non possono prescrivere norme materiali o i valori di una vita buona per culture specifiche,
ma solo condizioni restrittive che rendano possibile alle
diverse forme di vita la coesistenza e la cooperazione.
Ora questa differenza e questa complementarità, di cui ho
già parlato, possono, anche nel caso di Rawls, chiarire la
relazione tra le norme universali della giustizia come
equità e una particolare tradizione americana di moralità.
Si potrebbe facilmente ammettere che Rawls avrebbe
potuto sviluppare ed esplicitare dettagliatamente i suoi
due principi di giustizia, se non affidandosi e ricollegandosi alla specifica tradizione morale e alla costituzione
politica americana. In questo senso il suo libro fornisce
semplicemente delle proposte da sottoporre ai discorsi
pratici degli uomini, allo stesso modo dell’opera di ogni
altro filosofo, il quale ovviamente deve lasciarsi ispirare
dalla sua particolare tradizione culturale.
Ma questa ammissione non implica una resa dell’universalismo etico al relativismo-storico. Poiché i principi
della giustizia come equità devono essere anche basati su
quelle intuizioni morali che ci sono fornite dalle presupposizioni non-contingenti dell’istituzione - o della filosofica meta-istituzione - del discorso argomentativo, cui
ogni filosofo deve partecipare, allo scopo di argomentare. (Vorrei anche dire: allo scopo di pensare con una
qualche pretesa di validità intersoggettiva per i suoi
pensieri.) E qui abbiamo trovato il punto archimedico di
una fondazione pragmatico-trascendentale dell’universalità della morale, senza la quale una macroetica planetaria umana sarebbe di fatto impossibile.
Comunque, in conclusione del mio lavoro, voglio ancora
mettere in evidenza che una morale del tipo “giustizia
come equità “ non è sufficiente dal punto di vista delle
esigenze poste dalla macroetica, sebbene molto sarebbe
già stato ottenuto se realizzassimo qualcosa di simile al
programma di Rawls, per esempio riguardo ai rapporti tra
il Primo, il Secondo e il Terzo Mondo. Ma - come ho
tentato di proporre in ciò che precede - è necessaria anche
22
CONFERENZA
te e in linea di principio noi assumiamo una co-responsabilità per la soluzione progressiva di tutti i problemi del
mondo-della-vita che possono essere posti e possibilmente risolti tramite quella cooperazione che ha luogo al
livello del discorso pratico.
Devo concludere con la seguente osservazione sintetica
ed insufficiente su ciò che penso sia il più grosso problema per un’etica del discorso oggigiorno: il problema di
organizzare in qualche modo la co-responsabilità collettiva di tutti i membri della comunità umana della comu-
un’etica della co-responsabilità per le conseguenze derivanti dalle nostre attività collettive specialmente in
vista della crisi ecologica. Ritengo che anche da questo
punto di vista sia possibile trovare il punto archimedeo di
una giustificazione pragmatico-trascendentale, riflettendo fino in fondo su ciò che dobbiamo aver riconosciuto
allorché partecipiamo ad un serio discorso argomentativo su questi problemi.
Perciò, a mio avviso, ogni seria domanda posta in quel
contesto mostra che, ponendo le domande, implicitamen-
Note
nicazione. Ma questo problema, ovviamente, va ben oltre la giustificazione pragmatico-trascendentale del
principio universalmente valido della co-responsabilità.36
1
A. Gehlen, Der Mensch, Bonn, Frankfurt a/
M. 1978.
2
J. von Uexküll, Theoretische Biologie,
Frankfurt a/M. 1973.
3
K. Lorentz, Über tierische und menschliches,
2 voll., München 1965.
4
per esempio in A. Gehlen, Urmensch und
Spätkultur, Wiesbaden 1977.
5
N. Luhmann, Die Wirtschaft der Gesellschaft, Frankfurt a/M. 1988; e F. A. von Hayek,
New Studies in Philosophy, Politics and Economics, Londra 1978; e idem, “The Fatal Conceit, Part One: Ethics: The Taming of the Savage”, in Collected Works of F. A. von Hayek,
Londra 1987.
6
A. Gehlen (si veda nota 4).
7
H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Frankfurt a/M. 1979.
8
G. Maschke, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 7. 10. 1980
9
K. Lorenz, Die acht Totsünden der zivilisierten Menschheit, Monaco 1973 e idem, Das
sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression, Vienna 1963, p. 413.
10
(Si veda nota 5); anche G. Radnitzky, “An
Economic Theory of the Rise of Civilazation
and its Policy Implications: Hayek’s Account
Generalized”, in Jahrbuch für die Ordnung von
Wirtschaft und Gesellschaft, n. 38 (1987), pp.
47-85.
11
M. Weber, Politik als Beruf, in Gesammelte
politische Schriften, Tübingen 1958, pp. 493548; e idem, Der Sinn der Wertfreiheit e Wissenschaft als Beruf.
12
Riguardo al “sistema di complementarità”
dell’ideologia liberale occidentale: K.-O. Apel,
Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft
und die Grundlagen der Ethik, in idem, Transformation der Philosophie, ,,vol. II, Frankfurt
a/M. 1973.
13
K.-O. Apel, The Common Presupposition of
Hermeneutics and Ethics: Types of Rationality
beyond Science e Technology, in J. Sallis (a
cura di), Phenomenology and the Human Sciences, 1979, pp. 35-53; e idem, Types of Rationality Today: The Continuum of Reason between
Science and Ethics, in Th. Geraets (a cura di),
Rationality Today, Ottawa 1979, pp. 307-40.
14
(si veda le mie opere citate alle note 12 e 13).
15
C. Peirce, Collected Papers, a cura di Ch.
Hartshorne e P. Weiss, Cambridge, Mass. 193135, vol. V, 354 ff. Anche K.-O. Apel, Charles
S. Peirce, From Pragmatism to Pragmaticism,
Amherst 1981, pp. 52 ff.
16
H. Schnädelbach, Was ist Neoaristotelismus?, in W. Kuhlmann (a cura di), Moralität
und Sittlichkeit, Frankfurt a/M. 1986, pp. 38-63;
e K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung,
Frankfurt a/M. 1988, indice analitico.
17
K.-O. Apel, Wittgenstein und Heidegger:
kritische Wiederholung und Ergänzung eines
Vergleichs, di imminente pubblicazione in Der
Löwe spricht und wir verstehen ihn nicht (raccolta di interventi al Simposio “Wittgenstein”
di Francoforte del 1989); e idem, Sinnkonstitution und Geltungsrechtfertigung, Heidegger
und das Problem der Transzendentalphilosophie, in Forum für Philosophie Bad Homburg (a cura di), Martin Heidegger: Inner- und
Außenansichten, Frankfurt a/M. 1989, pp. 131175.
18
B. Williams, Ethics and Limits of Philosophy, Cambridge, Mass. 1985; e A. MacIntyre, After Virtue, a Study in Moral Theory,
Londra 1981; e idem, Whose Justice? Which
Rationality?, Londra 1988.
19
p.e. O. Marquad, Das Über-Wir. Bemerkungen zur Diskursethik, in K. Stierle & R. Warning (a cura di), Das Gespräch (Poetik und
Hermeneutik, XI) München 1984.
20
H.-G. Gadamer, Über die Möglichkeit einer
philosophischen Ethik, in idem, Kleine Schriften, I, Tübingen 1967, pp. 179 ff.
21
K.-O. Apel, G. Bien & R. Bubner, “Podiumsdiskussion unter Leitung von W. Ch. Zimmerli”, in Hegel-Jahrbuch 1987, pp. 13-48.
22
K.-O. Apel, “The problem of a Macroethics
of Responsability to the Future in the Crisis of
Technological Civilazation: An Attempt to
come to terms with Hans Jonas’ Principle of
Responsability, in Man and World, n. 20 (1987),
pp. 3-40. (Versione tedesca in K.-O. Apel,
Diskurs und Veratwortung, cit.).
23
J.-F. Lyotard, “Histoire universelle et différences culturelles”, in Critiques, n. 456
(1985), pp. 559-568.
24
L. Ferry & A. Renaut, La Pensée 68, Parigi
1985, p. 45.
25
J.Rawls, A Theory of Justice, Cambridge,
Mass. 1971, 11.
23
26
J. Rawls, “Justice as Fairness: Political not
Metaphysical”, in Philosophy and Public Affairs, vol. 14, n. 3 (1985), pp. 223-251.
27
R. Rorty, The Priority of Democracy to
Philosophy, in M. Peterson & R.Vaughan (a
cura di), The virginia Statute of Religious Freedom, Cambridge, Mass. 1988; si veda anche la
mia analisi critica di questo lavoro in Diskurs
und Verantwortung, pp. 397 ff.
28
J. Rawls, A Theory of Justice, 25.
29
K.-O. Apel, “Normative Ethics and Strategical Rationality: the Philosophical Problem of a
Political Ethics”, in Graduate Faculty Philosophy Journal, 9/1 (1982), pp. 81-108; ripubblicato in R. Schumann (a cura di), The Public
Realm. Essays on Discursive Types in Political
Philosophy, New York 1989, pp. 107-131.
30
in J. Rawls, “Justice as Fairness...”, cit.,
specialmente p. 237, n. 20.
31
J. Rawls, “Kantian Constructivism in Moral
Theory”, in Journal of Philosophy, 1980, p.
519.
32
la mia opera citata alla nota 17.
33
R. Rorty, op. cit. (si veda nota 27).
34
In questo senso le negoziazioni (cioè le contrattazioni) potrebbero equivalere a una restrizione della comunicazione, poiché esse sostituiscono le pretese di validità moralmente rilevanti e la loro discussione con proposte di
vantaggi e minacce (cioé: la razionalità discorsiva con la razionalità strategica); un altro tipo
di comunicazione ridotta è la persuasione retorica nel senso della Überredung (cioé: della
razionalità segretamente strategica). Un nuovo
inizio - ma, penso, solo un inizio - nell’analisi
di questi intricati problemi è stato attuato da J.
Habermas in Theorie des Kommunikativen
Handelns, Frankfurt a/M. 1981. Si veda anche
A. Honneth & J. Joas (a cura di), Kommunikatives Handeln, Frankfurt a/M. 1986; K.-O. Apel,
“Läßt sich ethische Vernunft von strategischer
Rationalität unterscheiden?”, in Archivio di
Filosofia, n. 51 (1983), pp. 373-434; e idem,
“Sprachliche Bedeutung, Wahrheit und normative Gültigkeit. Die soziale Bindekraft der
Rede in Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik”, in Archivio di Filosofia, n. 55
(1987), pp. 51-88.5.
35
K.-O. Apel, The Problem of Philosophical
Foundation in Light of a Transcendental Pragmatics of Language, in K. Barnes, J. Bohman &
Th. McCarthy (a cura di), Philosophy: End or
Transformation?, Cambridge, Mass. 1987, pp.
250-290; e idem, Fallibilismus, Konsenstheorie
der Wahrheit und Letztbegründung, in Forum für
Philosophie Bad Homburg (a cura di), Philosophie und Begründung, Frankfurt a/M. 1987,
pp. 116-211.
36
in particolare, c’è il problema morale di come
AUTORI E IDEE
Hans Jonas e Jürgen Habermas
24
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Habermas:
fatticità e validità del diritto
In FAKTIZITÄT UND GELTUNG. BEITRÄGE ZUR
DISKURSTHEORIE DES RECHTS UND DES DEMOKRATISCHEN RECHTSSTAATS (Fatticità e
validità. Contributi alla teoria del discorso del diritto e dello stato democratico di diritto, Suhrkamp, Frankfurt
a. M. 1992) Jürgen Habermas intende
sviluppare un nuovo programma di
ricerca, in cui temi della tradizionale
“filosofia del diritto” vengono collegati da una parte a una teoria dello
stato, del diritto e della costituzione,
dall’altra a una filosofia della società.
Con questa nuova, imponente opera, che in
Italia ha fatto parlare frettolosi commentatori di una sua svolta “a destra”, Jürgen
Habermas sembra voler sottoporre alla
prova della teoria e della prassi politica e
giuridica i principi generali da lui sviluppati nella precedente summa del suo pensiero, la Teoria dell’agire comunicativo, e nei
successivi contributi per un’ “etica del discorso” fondata razionalmente (cioè attraverso procedure della discussione intersoggettiva). Il programma di ricerca presentato da Habermas in quest’opera sembra avere infatti come suoi principali interlocutori coloro che sono attivi nel sistema
giuridico e politico. Per quanto riguarda i
primi, Habermas mette in guardia dal pericolo di una “crescente scepsi giuridica”. Il
mondo della politica dovrebbe invece riconoscere che lo stato di diritto non può
esistere e non può conservarsi senza una
“democrazia radicale”.
Tutta l’opera è attraversata da un confronto, ora esplicito, ora implicito, con le tesi di
Niklas Luhmann che nega ed esclude in
linea di principio ciò che più importa ad
Habermas: lo sviluppo di una fondazione
razionale in vista della costruzione di una
teoria normativa. E Habermas, che considera stato di diritto e morale universalistica
come componenti imprescindibili della coscienza moderna e del progetto (da compiersi) della modernità e dell’Aufklärung,
ricambia vedendo nella teoria dei sistemi
luhmanniana una forma di scientismo obiettivistico.
Per quanto riguarda l’ambito del diritto,
Luhmann e Habermas si trovano d’accordo
circa il fatto che nelle proposizioni giuridiche si esprima l’aspettativa che i destinatari
di tali proposizioni si comportino in un
determinato modo. Ma l’accordo finisce
qui. Habermas fonda infatti il carattere
obbligante delle proposizioni giuridiche
attraverso la sua teoria degli atti linguistici,
e mette così l’accento sul momento del
riconoscimento delle norme attraverso
un’intesa razionale. Per la comprensione
dell’attesa di un comportamento implicita
nella proposizione giuridica, Luhmann utilizza invece gli strumenti di una teoria
psicologica dell’apprendimento da lui sviluppata in senso sociologico. Diversa, nei
due pensatori, è anche la concezione del
sistema giuridico e della sua legittimità. I
sistemi giuridici sono per entrambi un sistema funzionale specializzato, sviluppatosi in seguito ad un processo di differenziazione.
Ma, mentre per Luhmann il sistema giuridico si riproduce autonomamente, collocandosi accanto ad altri sistemi, tra cui
quello politico, per Habermas il diritto positivo è un sistema conoscitivo e pratico
legato al “mondo della vita”, in cui cultura,
individui e società si presuppongono reciprocamente. In quanto sistema di conoscenze il diritto è legato alla morale in un
“rapporto di integrazione”. In quanto sistema pratico ha un carattere di obbligazione
istituzionale ed è legato alla politica. Così,
mentre per Luhmann la questione della
legittimazione è risolta in partenza (in quanto ogni sistema legittima se stesso), per
Habermas, come risulta dal titolo stesso
della sua recente opera, la validità del diritto positivo, la legittimità del sistema giuridico, il rapporto tra idea e realtà dello stato
di diritto diventano un problema centrale.
Nonostante questa contrapposizione, che
potrebbe essere sintetizzata come contrapposizione tra “teoria della società” e “tecnologia sociale”, Habermas sembra fare
propri alcuni risultati dell’analisi luhmanniana e parla di una “doppia prospettiva”,
secondo la quale l’approccio sociologico,
utile ai fini della comprensione del fenomeno del diritto (contro sue troppo frettolose riduzioni a “epifenomeno”), andrebbe
integrato attraverso una ricostruzione del
contenuto morale degli ordinamenti giuri25
dici moderni. Questa prospettiva di indagine viene messa alla prova ed esemplificata
soprattutto nell’analisi della cittadinanza,
un problema rispetto al quale Habermas
avanza l’esigenza di un’accentuazione dell’autonomia del cittadino. Il carattere politico della concezione habermasiana del diritto emerge però soprattutto laddove egli
pone il problema di “come può essere sviluppato lo stato democratico di diritto nelle
società complesse”, confrontandosi con le
discussioni svoltesi su questo tema tra i
filosofi della politica e i teorici della società
negli Stati Uniti (Walzer, Rawls). Le difficoltà nella realizzazione dei principi dello
stato di diritto sono per Habermas da attribuirsi a un’ “insufficiente istituzionalizzazione” di tali principi.
Habermas ammette di non avere a disposizione ricette per un rafforzamento dello
stato democratico, anche se suggerisce una
“democratizzazione dell’amministrazione”, vedendo in ciò un problema di «cooperazione tra fantasia istituzionale e cauta
messa alla prova». «La custodia di una
sfera pubblica autonoma, una partecipazione più ampia dei cittadini, l’addomesticamento del potere dei media e la funzione
di mediazione di partiti politici non statalizzati”: questi alcuni degli obiettivi pratico-politici indicati da Habermas in vista di
un rafforzamento dello stato di diritto inteso come espressione di una “democrazia
radicale”. M.M.
Hans Jonas:
gnosi, nichilismo e libertà
Il 5 febbraio è scomparso a New
York, all’età di novant’anni, Hans
Jonas. La sua fama in Italia è piuttosto recente e risale alla traduzione
de IL PRINCIPIO RESPONSABILITÀ. UN’ETICA PER LA CIVILTÀ TECNOLOGICA (Einaudi, Torino 1990). Lo ricordiamo anche in occasione della recente pubblicazione di una raccolta di saggi,
TRA IL NULLA E L’ETERNITÀ (a cura di
Giancarlo R. Rilke, Gallio, Ferrara
1992), che offre uno sguardo d’insieme su aspetti diversi della riflessio-
AUTORI E IDEE
ne jonasiana. Di Hans Jonas è stato
spesso sottolineato l’interesse per
gli aspetti più concreti del dibattito
etico. Anche questa raccolta di saggi non smentisce il rilievo.
Stando a quanto egli stesso ha affermato,
la vita intellettuale di Hans Jonas può
essere divisa in due parti, quella relativa
alla sua interpretazione della gnosi e quella che lo vede voce autorevole nel dibattito
etico contemporaneo. La svolta intellettuale di Jonas, da studioso di un lontano
fenomeno culturale a interlocutore importante nella discussione di specifici problemi etici, sullo sfondo di argomentazioni
provenienti dalla biologia, se da un lato è
certo riconducibile a motivazioni di carattere biografico - l’emigrazione dalla Germania dopo il 1933, l’esperienza familiare
dell’olocausto, l’impegno nel movimento
sionista - dal punto di vista teoretico è
meno profonda e inaspettata di quanto
possa a prima vista apparire, qualora si
considerino i presupposti e le ripercussioni della sua indagine sullo gnosticismo.
Essa trova riscontro nella formazione di
Jonas, dove confluiscono l’impostazione
teologica di Rudolf Bultmann e un’idea
dell’esistenzialismo riconducibile alla prima fase della riflessione di Martin
Heidegger. Respingendo la tradizionale
riconduzione del fenomeno gnostico a una
sorta di contaminazione ellenizzante dei
dogmi del Cristianesimo, che tende a riconoscerne il fondamento nell’aspetto conoscitivo, piuttosto che in quello morale o in
quello religioso, Jonas legge nello gnosticismo una reazione all’armonicismo implicito nelle ontologie, cosmologie ed etiche di origine greca. Attraverso la lente
“esistenzialista” di Jonas, lo gnosticismo,
le cui ascendenze vanno cercate nel mondo orientale, appare come un fenomeno
originale rispetto alla cultura ellenica.
Come ricorda Giancarlo R. Rilke nella
nota introduttiva alla recente edizione italiana di Tra il nulla e l’eternità, in quest’opera l’orizzonte ermeneutico si fonda
sull’ipotesi che lo gnosticismo rappresenti
la risposta a una determinata disposizione
esistenziale dell’uomo occidentale nel periodo tardo-antico. Tale ipotesi aveva però
il carattere della precomprensione, perché
la scelta del materiale che doveva costituire
il fenomeno gnostico era guidata da questa
stessa ipotesi, e non poteva che verificarla.
Con questo Jonas contraeva un debito nei
confronti della riflessione di Heidegger da
un duplice punto di vista, metodologico (il
procedimento definitorio dell’oggetto dell’indagine ripercorre, con evidenza, la strada indicata dalla nozione di “circolo ermeneutico”) e contenutistico (determinante
per la comprensione di un fenomeno culturale è la “tonalità emotiva” in cui esso
accade). E’ su questo secondo versante che
può essere rintracciato un elemento di continuità nella parabola intellettuale di Jonas,
rispetto alla quale la ricerca sullo gnostici-
smo, che ne costituisce la prima parte, offre
un significativo riscontro, dal punto di vista teoretico, degli effetti di un tale atteggiamento interpretativo. Il nichilismo, di
cui lo gnosticismo tardo-antico rappresenterebbe, a parere di Jonas, un epifenomeno,
mutua, infatti, le proprie caratteristiche dal
nichilismo contemporaneo post-nietzscheano, e le soluzioni che quella lontana esperienza storica ha prodotto possono valere
per illuminare la situazione presente.
Su questi argomenti, il primo dei saggi
raccolti in Tra il nulla e l’eternità, che porta
il titolo: “Gnosi, esistenzialismo e nichilismo”, la cui prima redazione risale al 1952,
fornisce indicazioni esplicite, nonché una
radicalizzazione delle posizioni, rispetto
alla precedente e maggiore opera sullo gnosticismo. La stessa posizione heideggeriana rientra infatti qui, a pieno titolo, nel
nichilismo contemporaneo, la cui connessione con lo gnosticismo viene da Jonas
stabilita sulla base del soggettivismo soggiacente a quest’ultimo, per il quale «era in
gioco un interesse metafisico positivo: l’affermazione dell’autentica libertà del sé».
Poiché tale libertà viene attribuita non alla
psiche umana, ma solo al suo spirito, sul
dualismo che così viene a crearsi fra uomo
e natura, fra l’uomo da una parte e l’essere
nella sua totalità dall’altra, sorge l’edificio
del nichilismo. Il compito della filosofia,
secondo Jonas, consiste allora nel porre
rimedio agli effetti di tale frattura - l’estraniamento dell’uomo - senza rinunciare a
essa; senza rinunciare, cioè, a ciò che rappresenta la differenza costitutiva dell’uomo.
La nozione di “organismo” è la via che,
sulla strada della costruzione di una “filosofia della vita”, porta Jonas a elaborare
una nozione di libertà connessa a quello
che egli definisce “principio responsabilità”. La libertà è, biologicamente e storicamente, situazionata, essendo radicata nella
responsabilità che la lega a ciò nei cui
confronti essa viene esercita. In questo
senso, nel terzo dei saggi contenuti nel
volume Tra il nulla e l’eternità, intitolato
“Immortalità ed esistenza odierna”, Jonas
recupera il concetto di immortalità, inteso
come “immortalità delle azioni”. Scartata
come problematica l’idea dell’immortalità
della persona, una volta che si assume il
carattere finito dell’esistenza umana, il legame dell’uomo con l’eternità può costituirsi solo sulla base dell’iscrizione in essa
delle sue azioni; fatto, questo, che non
comporta per l’individuo alcun motivo di
vanitoso orgoglio, osserva Jonas, bensì il
definirsi della sua libertà a partire dalla sua
responsabilità.
La traduzione, risalente al 1990, de Il principio responsabilità ha segnato la notorietà
del filosofo tedesco in Italia, nonché l’inizio della traduzione di altre sue opere: Lo
gnosticismo (SEI, Torino 1991), Dalla
fede antica all’uomo tecnologico (Il Mulino, Bologna 1991), Il diritto di morire (Il
Melangolo, Genova 1991), Il concetto di
26
Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova 1991). Il “principio responsabilità”, propugnato da Jonas, comporta un evidente
riferimento polemico al “principio speranza” di Ernst Bloch, nel cui ottimismo Jonas
legge una sottovalutazione delle potenzialità distruttive delle tecnica. Oltre a ciò,
Jonas rimprovera all’impostazione blochiana di prescindere dalle condizioni reali in
cui è collocato l’agire umano, e di dar luogo
in tal modo a un prometeismo che, proprio
sulla base della scienza e della tecnica,
dovrebbe aprire alla speranza di riappropriazione, da parte dell’uomo, della propria essenza, alienata nella società capitalista. Il “principio responsabilità” jonasiano costituisce, d’altra parte, anche una
presa di distanza dal catastrofismo, nella
convinzione (di matrice heideggeriana) che
la tecnica costituisca il destino dell’uomo,
e nell’accettazione, in questa prospettiva,
di un’etica della responsabilità, concepita
come valutazione del legame tra azione e
sue conseguenze concretamente prevedibili. F.C.
Etica integrativa
tra arte del vivere e filosofia
Con il volume INTEGRATIVE ETHIK (Etica
integrativa, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1992) Hans Krämer, docente all’Università di Tubinga e già autore di uno
studio sul concetto di virtù in Platone
e Aristotele, presenta un denso bilancio di una riflessione trentennale sui
problemi dell’etica e della filosofia
pratica.
L’idea di un’etica “integrativa”, come viene sviluppata da Hans Krämer, si presenta
come una teoria del retto vivere e al tempo
stesso come una forma della “filosofia pratica”, intendendo con questo conciliare una
descrizione asistematica dell’esistenza
umana, e delle modalità attraverso cui essa
cerca di realizzare la felicità, con il rigore e
la “scientificità” della dimensione concettuale e filosofica. Krämer si trova così
immediatamente di fronte a una domanda
di fondo: qual è il rapporto tra le obbligazioni morali di un individuo e la sua tendenza alla realizzazione di se stesso? A
questa domanda egli intende rispondere
superando il contrasto, tipico di diverse
forme di filosofia pratica, secondo cui tutto
ciò che non è suscettibile di una trattazione
nell’ambito di questioni di carattere fondativo e di principio deve cadere nel contenitore ampio e privo di differenziazioni dell’
“arte del vivere”.
Krämer esprime il contrasto tra obbligazione morale e realizzazione individuale anche attraverso i concetti di “dovere” (Sollen) e di “volere” (Wollen). «Il dovere
dotato di validità è un volere qualificato»,
suona la tesi fondamentale dell’opera. Per
AUTORI E IDEE
definire cosa sia un volere qualificato, Krämer utilizza il concetto di orizzonte d’attesa che fonda una norma (dalla morale particolare di una coppia fino all’etica di una
cultura o di un’epoca). Un volere “qualificato” è per Krämer un volere che, in un
ordinamento di valori di tipo gerarchico,
può riferirsi ad esigenze relative all’orizzonte di attesa più elevato. Il consenso
svolge in questo contesto il ruolo di istanza
di controllo e di rettifica.
Nella storia della filosofia si potrebbero
trovare numerosi esempi del tentativo di
stabilire criteri comunicativi e razionali
della validità delle norme morali, dall’imperativo categorico kantiano fino alla fondazione ultima di Apel. Krämer sposta la
ricerca di un principio fondativo sul terreno
della molteplicità dei mondi della vita: «Si
danno nella costituzione morale solo opzioni estensive, che si sono affermate nella
competizione con altre, ma non si dà nessuna forma aprioristica di ragione». Al volere
e alle emozioni spetta così, nella costituzione delle norme e dei rispettivi rapporti
gerarchici, altrettanta importanza che alle
motivazioni razionali. Ma per rendere efficaci e concrete queste due istanze, Krämer
introduce un terzo concetto fondamentale,
una vecchia conoscenza della riflessione
sull’etica: il “potere” (Können), cioè la
“capacità” umana di realizzare o di fare
qualche cosa.
L’etica integrativa krämeriana ruota così
attorno ai tre perni del volere, potere e
dovere. Nonostante l’affermazione dell’esigenza di un’etica pluridimensionale, che
corrisponda alla molteplicità dell’esperienza umana, Krämer sembra però conferire
maggior peso al potere e al volere, affermando con ciò un relativo primato di quella
che egli chiama Strebensethik (“etica dell’aspirazione” o della “tensione” dell’individuo alla propria realizzazione nel mondo) rispetto all’etica del dovere. Per questo
aspetto l’autore parla del dovere e dello
Streben come di due diversi “rami” dell’etica, che si situano in un rapporto di
complementarità. Entrambi dovrebbero
conferire all’individuo quel bisogno di
orientamento che secondo Krämer rappresenta un fattore decisivo della coscienza
nel momento attuale. M.M.
Realtà e democrazia del sapere
La recente uscita di due nuovi libri di
Hans Jörg Sandkühler, DIE WIRKLICHKEIT
DES WISSENS (Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1991) e DEMOKRATIE DES WISSENS (VSA,
Hamburg 1991) offre l’occasione per
occuparci dell’intensa attività di una
delle più significative personalità del
panorama filosofico odierno in Germania. Ha anche diretto la EUROPÄISCHE
ENZYKLOPÄDIE ZU PHILOSOPHIE UND WISSENSCHAFTEN (4 voll., Meiner, Hamburg
1990), cui hanno partecipato oltre 380
studiosi di ogni parte del mondo, e va
pubblicando dal 1991 la rivista “Dialektik”: due imprese in collaborazione
con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.
Hans Jörg Sandkühler è autore estremamente attento al problema del quadro del
sapere (e quindi dell’ “enciclopedia”) in
un’epoca in cui esso cresce ad un ritmo
vertiginoso, soprattutto in campo scientifico, ma rischia anche di alimentare un senso
di dispersione, frammentazione, smarrimento e di perdere ogni concreta fruibilità
culturale e sociale. Questa preoccupazione
è sullo sfondo anche del suo recente lavoro,
Demokratie des Wissens. E’ chiaro che un
nuovo quadro d’insieme, una nuova immagine del mondo e dell’uomo, avrà senso se
cercheremo anzitutto di adeguare le nostre
concezioni, in tutti i campi, ai livelli più
avanzati del sapere. Ed è indiscutibile che
nel sapere contemporaneo la maggior rivoluzione si è avuta in campo scientifico.
Nelle scienze della natura, attraverso teorie
come la meccanica quantistica, si è prodotta un’immagine del mondo non più caratterizzata dal rigido determinismo di un tempo. Non si può pensare che il mondo abbia
un ordine assoluto precostituito. Non esiste
un punto di vista divino da cui cogliere la
connessione necessaria del Tutto.
La presunzione di un ordine unico della
realtà va ormai definitivamente rimossa
anche dalle teorie sull’uomo e sulla società. In questo quadro dev’essere rettificata
anche la visione marxista, afferma ancora
Sandkühler, che del marxismo è uno dei
maggiori studiosi attuali. Tale visione è
andata soggetta in passato ad un notevole
irrigidimento, per uscire dal quale il marxismo stesso deve tra l’altro superare l’ostilità che ha spesso dimostrata verso l’empirismo, da molti considerato erroneamente
sinonimo di riferimento immediato all’esperienza. In realtà, sostiene Sandkühler in
Die Wirklichkeit des Wissens, si possono
rilevare in Marx effettivi elementi empiristici: «Se l’empirismo, correttamente inteso, nella tradizione che parte da Bacone e
da Locke significa quella filosofia dell’esperienza che non si esaurisce in una
pura duplicazione delle percezioni sensibili, ma implica una costruzione razionale di
dati empirici in modo da pervenire a leggi
e regolarità, allora il tipo di teoria “Marx”
era concepito empiristicamente. Così non
può meravigliare che Marx, pur trasferendo di rado per analogiam nozioni delle
scienze naturali nella teoria della società,
abbia trovato il paradigma di quest’empiria nel procedimento conoscitivo delle
scienze naturali».
Sintomatico dell’irrigidimento della visione marxista, secondo Sandkühler, è proprio anche il fatto che solo di recente si sia
rilevato il significato e la portata dell’attenzione dimostrata da Marx verso molteplici
tematiche scientifico-naturali, e proprio nel
senso di sottolineare il carattere costruttivo
27
e non puramente descrittivo o induttivistico dei loro procedimenti, che in certa misura diventano un modello anche per la scienza dell’uomo. Può apparire sorprendente
che, sulla scorta di un certo storicismo, si
consideri riduttivo e reificante ogni accostamento delle scienze dell’uomo a quelle
della natura; qui però non si tratta di un
appiattimento, di prospettive e metodi, bensì
di un utile confronto con atteggiamenti
epistemologici emersi in modelli di sapere
elaborati nelle scienze esatte e naturali,
ormai lontane da un totalizzante programma meccanicistico.
L’empirismo genuino - continua Sandkühler - va dissociato da un “positivismo”
inteso come ideale di una conoscenza basata su una riproduzione di “fatti” già in sé
compiuti. La nuova immagine del mondo è
legata alla capacità costruttiva della nostra
conoscenza. La nostra realtà è quindi la
realtà del nostro sapere. Di qui la proposta
di un “realismo epistemologico” contrapposto a quello metafisico o del cosiddetto
senso comune, mirante ad una riproduzione della realtà, ad una “ontologia della
rappresentazione”. Il realismo epistemologico - leggiamo in Demokratie des Wissens
- «può rapportarsi alla rivoluzione copernicana di Kant; ciò naturalmente solo se Kant
viene inteso non come fondatore dell’idealismo, ma come complemento critico dell’empirismo razionale, avviato con Galilei
e Bacone e portato avanti da Locke e
Hume». Questo realismo, che vuole poggiare equilibratamente sui “due pilastri”
della conoscenza, sfocia infine nella concezione dell’esperienza come “carica di
teoria” (ma anche della teoria come carica
di fattualità, come ha precisato Goodman).
Un ruolo rilevante, nella nuova prospettiva, va assegnato al “materialismo razionale” di Bachelard, che accentua la discontinuità tra la conoscenza comune e quella
scientifica, che in certo qual modo si crea
nuovi oggetti. Nella discussione poi degli
autori più recenti Sandkühler si avvicina
alquanto al realismo interno di Hilary Putnam, il quale contesta da una parte la concezione “positivistica” e non storicizzata
del mondo della scienza come insieme di
“dati sensoriali”, ma dall’altra critica anche il costruttivismo estremo (per cui sembra che lo spirito crei il mondo) o il “piatto
relativismo” di Feyerabend. Rifiutato
l’esternalismo del “realismo metafisico”,
Putnam sostiene che i nostri oggetti di
conoscenza sono individuati, definiti e accettati in base ai nostri concetti: abbiamo
un’ “obiettività per noi” al posto di quella
dell’ “occhio divino”.
In Die Wirklichkeit des Wissens - ricca
introduzione storica alla teoria della conoscenza e all’epistemologia - la discussione
delle concezioni recenti si estende a Richard Rorty, a J. Searle, agli esponenti del
scientific materialism, dell’epistemologia
evoluzionistica e del costruttivismo radicale, nonché a studiosi marxisti, a proposito dei quali leggiamo: «La teoria della
AUTORI E IDEE
conoscenza materialistico-dialettica oggi
va sempre maggiormente trasformandosi e
si avvicina visibilmente ai principi del realismo interno […]. Ciò che veniva chiamato “rispecchiamento” si rivela ora come
costruzione della realtà del sapere». L’approdo della ricerca di Sandkühler appare
rappresentato da un’ontoepistemologia intesa dialetticamente come «teoria ontologica, in quanto interpreta le forme del sapere come forme d’essere» ed insieme «epistemologia, in quanto interpreta i “dati della realtà” come risultati di una costruzione
epistemica, cioè mediante il sapere».
Se il sapere non è scoperta di una struttura
assoluta e precostituita, ma perenne
(ri)costruzione da parte dei soggetti umani,
si apre a questo punto un «passaggio dall’epistemologia all’etica epistemica» e il
«realismo epistemologico fonda il diritto
degli uomini al sapere». Quest’originale
tentativo di allargamento della carta dei
diritti dell’uomo prende consistenza dal
rilevamento di una contraddizione tra il
carattere attivo del conoscere, esaltato in
particolare dall’attuale crescita complessiva della scienza, e gli aspetti di alienazione
e restringimento del sapere individuale,
che emergono dalla disgregazione della
cultura ridotta ad elementi frammentari di
consumo passivo, staccata dalla vita dei
cittadini, sottratta a una loro vera partecipazione. «La contraddizione tra allargamento obiettivo e limitazione soggettiva
del sapere è oggi - in società a “infrastruttura basata sul sapere” - uno dei problemi
globali, poiché porta alla crisi non di questo
o quel sapere, bensì alla crisi di ciò che
costituisce un adeguato concetto di sapere:
minaccia di distruggere l’universo di significati, la semantica dell’immagine del mondo, della quale dobbiamo disporre per poter concepire noi stessi come costruttori di
un possibile mondo razionale». Non resta
che riprendere un incessante sforzo di intercomunicazione dei saperi, di ristrutturazione dei complessi categoriali, di dialogo
e confronto, per ritrovare, in uno spirito
democratico, i fili di un possibile precorso
attraverso la difficile, complessa realtà contemporanea. F.V.
Gioco e giochi
La riscoperta di un portato ontologico
della categoria di gioco, che possa
concorrere a definire i confini genealogici della ragione umana, in una prospettiva che connetta il “gioco del
mondo”, come “gioco di Dio”, al gioco
dell’uomo; è questo l’itinerario di pensiero del saggio di Francesca Brezzi, A
PARTIRE DAL GIOCO. PER I SENTIERI DI UN
PENSIERO LUDICO (prefazione di Paul Ricoeur, Marietti, Genova 1992). Dal “gio-
Pieter Bruegel, Combattimento fra Quaresima e Martedì Grasso (1559),
28
co” ai giochi linguistici: il volume di
Michele Francipane, LUDOGRAMMI . LE
PAROLE GIOCOSE. PRATICA DEI GIOCHI LINGUISTICI (prefazione di Bruno Munari, Mursia, Milano 1992) ne evidenzia il carattere profondamente umano, a tal punto profondo da trascendere l’identità
individuale dell’homo ludens e fare
del gioco linguistico da un lato il patrimonio di una tradizione culturale, dall’altro una pratica cognitiva.
L’impostazione che guida le riflessioni di
A partire dal gioco viene dichiarata da
Francesca Brezzi fin dalle battute d’apertura dell’opera: ripercorrere le fasi della
partita filosofica che il gioco ha condotto,
contro i tentativi di emarginarlo da parte
della ragione logica e sistematica, in vista
dell’elaborazione di una filosofia del gioco
che possa essere espressione della condizione umana, cioè del rapporto fra coscienza e destino. Su questa strada, nota Paul
Ricoeur nella sua Prefazione al volume, si
può incontrare l’obiezione dei moralisti,
che vedono nel gioco una fuga dal principio
di responsabilità etica individuale (e non
colgono il carattere creativo e liberatorio
dell’attività ludica nei confronti delle sistematizzazioni della ragione strumentale);
ma si può incontrare anche l’opposizione
di quegli epistemologi che non colgono il
valore dell’affermazione del carattere di
irriducibilità dell’istanza polisemica. Tuttavia il piano sul quale si colloca l’indagine
di Brezzi è, dichiaratamente, quello ontologico; lungi da una posizione estetizzante,
come dall’apologia di una generica ludicità, il concetto di gioco si connette per
l’autrice al logos umano e al legame dell’uomo con la totalità dell’essere tramite
l’identificazione di gioco e sacro, dove il
motivo dell’homo ludens si congiunge a
quello del Deus ludens. Le due tappe della
ricerca riguardano in primo luogo la “fenomenologia del gioco”, dove quest’ultimo si
manifesta nelle attività dell’uomo, e in
secondo luogo la dimensione sacra del gioco medesimo, come spazio dell’irruzione
della trascendenza nella finitezza umana. Il
gioco come atto libero appare dunque costitutivo del pensiero, come già mostrava
Kant con la sua dottrina del giudizio estetico, che è «libero gioco delle facoltà rappresentative»; laddove si verifica non una
situazione di anarchismo gnoseologico, ma
il predominio della facoltà immaginativa,
che comporta un particolare tipo di accordo delle altre facoltà. Il gioco si qualifica,
d’altra parte, anche come prassi critica: nel
suo manifestarsi nel fenomeno del comico,
esso diventa la leva per il rovesciamento
della metafisica della presenza. In questa
accezione il gioco si presenta come fondamento di una logica alternativa ai valori
costituiti, il sintomo di una crepa che attraversa il dato esistente.
E’ però nella seconda parte di A partire dal
gioco, dedicata al rapporto fra gioco e
religione, che emerge la finalità della ricer-
AUTORI E IDEE
Hieronymus Bosch, La nave dei folli (1490-1500), particolare
ca di Brezzi, che costeggia quelle riflessioni configuranti una “teologia ludica”. Il
passaggio dall’homo faber all’homo ludens rappresenta infatti, nelle intenzioni
dell’autrice, la scoperta dell’elemento ludico come costitutivo dello statuto ontologico dell’esistenza umana, nell’intento di
delineare un “umanesimo alternativo”, dove
il gioco, in quanto cifra dell’umana esistenza, diviene categoria (si rammenti la tematica pascaliana della scommessa) propria
della finitezza umana nella sua tensione
alla trascendenza. L’homo ludens, tramite
il carattere di gratuità del suo atto, diviene
così partecipe di un tratto caratteristico del
divino; diviene, anzi, partecipe del medesimo gioco in quell’incontro, ludico in quanto libero, che è l’ascensione a Dio, quale si
realizza nella preghiera e nella liturgia
sacra.
Gli elementi di creatività e libertà presenti
nell’atto ludico, inseriti questa volta in una
dichiarata prospettiva pedagogica, sono
anche il criterio ispiratore della raccolta di
giochi linguistici di Michele Francipane;
Ludogrammi non è un’antologia, ma una
classificazione ragionata di giochi linguistici che presuppongono, come sostiene
Bruno Munari nella sua Prefazione, l’uso
dei sensi, oltre a quello della ragione. Il
concetto di “ludogramma”, coniato dall’autore, sta a indicare proprio i giochi
linguistici verbali ed extraverbali, realizzabili, cioè, tanto con grafemi, quanto con
segni di altro genere. La nozione di ludogramma sottolinea anzitutto il carattere
euristico del gioco, tale per cui l’elemento
di libertà dell’attività ludica si coniuga con
quello dell’utilità. In altri termini, alla gratuità del gioco la prospettiva ludogrammatica connette la finalizzazione, dal momento che il carattere euristico dell’attività
ludica, implicito nella classificazione di
“ludogramma”, si realizza in un apprendimento orientato all’acquisizione di una strumentalità creativo-formativa e di una inventivo-risolutiva.
La nozione di ludogramma, proprio per il
carattere semiotico che viene conferito
all’attività ludica, comporta in secondo
luogo la considerazione della dimensione
sovraindividuale a essa pertinente. L’analisi ludogrammatica, dunque, anche solo
per ciò che riguarda l’uso ricreativo-evasivo del gioco, implica una relazione fra
gioco e tradizione culturale che, a parere di
Francipane, si determina in senso biunivoco come identificazione: non solo il gioco
come cultura, ma la tradizione culturale
stessa come gioco, anzi come ludogramma: gioco di segni, cioè gioco di rimandi,
semiosi aperta. Il criterio di classificazione dei ludogrammi, di cui quelli presentati
in questo libro costituiscono il primo volume del piano complessivo dell’opera, è
disciplinare e pone capo a una prima partizione fra ludogrammi verbali, extraverbali e integrati, e a un’ulteriore suddivisio29
ne dei ludogrammi extraverbali in analogici, antropologici, scientifici, e non verbali. La prospettiva umanistica dell’opera
porta con sé una forte motivazione pedagogica, sulla base del presupposto che il
gioco, come sostiene l’autore, già di per sé
parli sempre un suo linguaggio cognitivo,
relazionale, sociale, creativo e ricreativo.
F
.
C
.
La natura del linguaggio
Con la sua opera DIE NATUR DER SPRACHE. DIE D YNAMIK DER P ROZESSE DES S PRECHENS UND VERSTEHENS (La natura del
linguaggio. La dinamica dei processi
del parlare e del comprendere, De
Gruyter, Berlin 1991) Helmulth Schnelle si propone di conferire un nuovo
orientamento alla ricerca linguistica,
da lui intesa come scienza, ispirata al
metodo delle scienze naturali, dei processi dinamici del parlare e del comprendere.
Diverse sono le concezioni del linguaggio
che stanno alla base dei diversi orientamenti della linguistica contemporanea. Per
citare solo quelle fondamentali, la lingua
può essere intesa come sistema di segni o
mezzi espressivi, come un insieme di attività e comportamenti, come un aspetto
della costituzione psichica e neuro-biologica dell’essere umano e come l’insieme
degli effetti dei processi complessi del par-
AUTORI E IDEE
lare e del comprendere sull’organismo
umano. In relazione alla concezione del
proprio oggetto, e del metodo adeguato a
coglierlo, le teorie del linguaggio possono
venire dunque di volta in volta a trovarsi in
compagnia di scienze come la matematica
e la logica, di dottrine filosofiche o sociologiche del comportamento umano, della
psicologia e della biologia. A favore di una
concezione dello studio della lingua come
scienza di carattere “naturalistico” si schiera nettamente uno dei linguisti di primo
piano dell’area culturale tedesca, Helmuth
Schnelle. Nella sua recente opera, Die Natur
der Sprache, con la quale egli si propone di
sviluppare un nuovo orientamento nella
ricerca in questo campo, egli intende la
linguistica come una scienza (ispirata ai
criteri di scientificità delle scienze della
natura) dei processi dinamici del parlare e
del comprendere. Se la linguistica del XX
secolo si è riferita prevalentemente alla
lezione di Ferdinand de Saussure, i geni
ispiratori di Schnelle sono Newton e Leibniz. Sul piano storico Schnelle rintraccia
nel passato della linguistica, accanto ai
paradigmi che intendono la lingua come
sistema di segni e a quelli di tipo strutturalistico, una tradizione di carattere descrittivo, che considera la lingua dal punto di
vista dinamico e genetico. E’ rifacendosi a
questa linea che, secondo Schnelle, i fenomeni della lingua possono essere accessibili a un’impostazione di tipo naturalistico,
attraverso indagini epistemologiche, concettuali e di critica della lingua. Se le analisi
particolari di tale linguistica (ad esempio
nel campo dei fondamenti della “linguistica delle reti”: Netzlinguistik) risultano interessanti (e comprensibili) solo per gli specialisti di settori della linguistica, delle
scienze neurologiche e della computerscience, la concezione di fondo della lingua che emerge dall’opera di Schnelle può
forse sollevare interesse e discussioni in
ambiti più ampi. M.M.
Coscienza e linguaggio
Nel volume DER BEGRIFF DES BEWUSSTEINE BEDEUTUNGSANALYSE (Il concetto di coscienza. Un’analisi del significato, Klostermann, Frankfurt a.
M. 1992) Hubert Schleichert intende
presentare non una teoria della coscienza o una critica delle teorie esistenti, ma un’analisi dei diversi concetti di coscienza reperibili nella storia
della riflessione filosofica.
SEINS.
L’opera di Hubert Schleichert si ispira
alla tesi, tipica delle filosofie di matrice
analitica (e sostenuta tra l’altro anche da
Wittgenstein), secondo la quale molti problemi filosofici nascono da un’utilizzazione impropria del linguaggio. Propedeutica
a ogni costruzione di teorie è dunque, in
questa prospettiva, un’analisi del linguaggio che stabilisca i limiti entro i quali un
determinato termine può essere utilizzato
in modo sensato. Sostenuto dalla convinzione che molte teorie della coscienza facciano un uso errato o inesatto del termine in
questione, Schleichert propone nella sua
opera, Der Begriff des Bewußtseins, un’analisi dei diversi significati che storicamente
sono stati conferiti al termine “coscienza”,
intendendo così sviluppare non una descrizione del fenomeno della coscienza, ma un
chiarimento del significato della parola.
Condizione di tale chiarimento, che per
Schleichert non dovrebbe avere carattere
obbligante rispetto alla scelta di una determinata concezione filosofica o psicologica
del fenomeno della coscienza, è l’analisi
della “fraseologia canonica” attraverso la
quale i filosofi di provenienza più disparata
hanno tentato di circoscrivere, comprendere e definire il fenomeno in questione. Due
capitoli dell’opera sono così dedicati a una
chiara esposizione delle concezioni del rapporto corpo-anima in Cartesio e Leibniz. In
seguito l’autore discute, con riferimento a
Wittgenstein e ad Alan Turing, la questione se le macchine possano “avere uno spirito”, per poi concentrarsi sulla concezione
della coscienza in autori come Locke, Kleist,
Nietzsche, Marx, Wolff, Thomasius, Mauthner, William James. Schleichert giunge
così alla conclusione che «tutto ciò che
secondo l’opinione generale deve venire
attribuito alla coscienza (riflessività, intenzionalità, comunicabilità, non-spazialità
ecc.), può altrettanto bene essere considerato come una proprietà del linguaggio».
Su questa base egli formula la tesi principale dell’opera, quella dell’identità tra coscienza e linguaggio: «Coscienza non è
altro che il parlare, ora “interiore”, ora a
voce alta; le parole “coscienza” e “parlare”
hanno lo stesso significato». Essere coscienti di qualche cosa non è altro che il
processo in cui questo “qualcosa” viene
verbalizzato. La coscienza «non è qualcosa
di misterioso dietro o al di là del parlare, ma
il parlare stesso» - una tesi che non viene
tuttavia sostenuta da un’articolata argomentazione, ma che viene affermata categoricamente, in modo da apparire, nonostante ogni preoccupazione di critica del
linguaggio, come un presupposto indiscusso della ricerca di Schleichert. M.M.
Storia del paradiso:
Jean Delumeau
Uno dei saggi storico-antropologici
di maggior successo in Francia della
stagione filosofica invernale è il primo volume del trittico HISTOIRE DU PARADIS (Storia del paradiso) di Jean Delumeau, che appare con il titolo: LE
JARDIN DES DÉLICES (Il giardino delle
delizie, Fayard, Paris 1992), ovvero
30
come per cinque secoli (XIV-XVIII) gli
uomini hanno sognato, cercato, temuto l’Eden perduto.
Il primo volume della Histoire du paradis
di Jean Delumeau è dedicato al “mito” e
al sentimento cristiano dell’Eden perduto.
E’ un lavoro di uno storico e di un antropologo, in quanto si occupa di rintracciare e
di comprendere gli affetti, le speranze e le
paure con cui l’uomo cristiano si è misurato dal XIV al XVIII secolo. In questo senso
è un libro che pone molti interrogativi
filosofici sul modo vissuto in cui il peccato, la colpa, il perdono e la speranza hanno
contribuito all’immaginario storico, in particolare per quanto riguarda il mito dell’Eden. La nostalgia del paradiso di Adamo e Eva è stata a lungo più che una
emozione: la sua esistenza reale non fu
messa facilmente in dubbio. Origene certo
pensava fosse una stupida credenza; ma
Agostino e Tommaso interpretano in termini realistici e non allegorici la presenza
dell’Eden e la loro opinione da allora farà
fede. Stupefacente, per Delumeau, è lo
sforzo che gli uomini del Medio Evo fecero per localizzare tale giardino di delizie
con la produzione di tutta una cartografia
fantastica, indifferente ai reali progressi
della geografia: se un tale giardino non lo
si trova, non è perché non esiste, ma perché
è inaccessibile.
L’inquietudine e la speranza verso questo
giardino perduto sono importanti, perché
ci permettono di cogliere i nodi stretti fra
peccato e castigo e i molteplici aspetti in
cui l’anima cristiana ha immaginato di
“sopravvivere” a questa drammatica caduta teologica. Così il Rinascimento con
una certa ostinazione cerca di rendere
l’Eden un oggetto storico e spiega la sua
irreperibilità con la sua sparizione. Prende
piede l’utopia, le ricostruzioni a ritroso di
tale giardino: quali leggi vigevano, quali
gerarchie s’imponevano ecc. Anche l’Illuminismo, incompatibile con questa credenza, ne conserva alcune tracce nei suoi
sogni di emancipazione. L’immagine dell’uomo e dei suoi complessi rapporti con
Dio saranno analizzati nei due prossimi
volumi: il primo riguarderà l’attesa della
felicità sulla terra, il secondo la speranza
della gioia nell’aldilà. F.M.Z.
Biologia:
scienza e immaginario
A monte del dibattito sulla conseguenze sociali e giuridiche delle conquiste scientifiche nel campo della
biologia - ciò che prende il nome di
bioetica - il libro di Michel TibonCornillot, LES CORPS TRANSFIGURÉS; MÉCANISATION DU VIVANT ET IMAGINAIRE DE LA
BIOLOGIE (I corpi trasfigurati. Meccanizzazione del vivente e immaginario
AUTORI E IDEE
della biologia, Seuil, Paris 1992) argomenta la tesi che la scienza moderna
troverebbe la sua legittimazione metafisica nell’«attivismo temporale e
creazionista giudeo-cristiano».
Se vale la considerazione che la biologia
più che scienza del vivente è diventata la
tecnica capace di procedere alle sue metamorfosi, questo si deve al rapporto di
immanenza reciproca tra scienza e tecnica. Una medesima intenzione riduzionista ispira i primi tentativi di dissezione e
di catalogazione degli anatomisti del XIV
secolo come il progetto sul genoma umano degli scienziati di oggi: isolare e conservare, catalogare, riprodurre e dimostare sono le operazioni attraverso le
quali la biologia organizza e interpreta il
corpo vivente. In tale prospettiva, i recenti sviluppi della biologia molecolare
costituiscono il risultato dell’applicazione di nuove tecniche di ricerca piuttosto
che dell’elaborazione di quadri concettuali originali, o quanto meno la tecnologia della sperimentazione, intesa come
meccanizzazione del vivente, è un fondamentale fattore di sviluppo della teoria.
Più precisamente Michel Tibon-Cornillot vuole risalire alle origini da cui scaturiscono questi «due versanti della ragione» moderna. Da una parte la ragione
osservante, contemplativa, che intende
procedere alla matematizzazione del reale e che ha la sua forma già compiuta
nell’ontologia platonica; dall’altra un
modello di razionalità “militante”, che
si esprime nell’esercizio sperimentale e
che ha le sue radici nell’”attivismo cristiano”. L’immagine dell’uomo quale
creatura che partecipa all’organizzazione e all’evoluzione della creazione divina, l’idea di una temporalità che si risolve in storia della Salvezza, sono le strutture ideali che continuano ad alimentare
l’immaginario, sociale e scientifico, del
giorno d’oggi. Ancorando la ragione
scientifica ad una originaria concezione
religiosa - quella giudaico-cristiana - la
tesi di Tibon-Cornillot non mancherà di
far discutere gli apologeti e i critici della
scienza, uniti nel sostenere che è proprio
quest’ultima ad aver espulso il divino dall’universo e dall’uomo. E.N.
Il rompicapo del tempo
Per parlare del tempo, oggetto “imbarazzante” a causa di una quotidianità
che lo rende intimo eppure quasi impossibile da cogliere, Jean-Toussaint
Desanti sceglie il dialogo platonico. Le
RÉFLEXIONS SUR LE TEMPS (Riflessioni sul
tempo, Grasset, Paris 1992) raccolgono infatti le conversazioni che egli ha
avuto con Dominique-Antoine Griso-
ni, che parla di Desanti come di un
“moderno Socrate” per la sua riluttanza a mettere per iscritto un pensiero ellittico che alla scrittura preferisce
la parola meditativa. Il dialogo tuttavia richiede all’interlocutore e al lettore un’attenzione metodica, e si apre
mostrando come il tempo sia un oggetto che sembra sottrarsi alla filosofia proprio perché il linguaggio, che
nel tempo è interamente inscritto, «è
messo in scacco di fronte all’esigenza
di doverne parlare».
Il paradosso del tempo è quello di un essere
che consiste della sua propria alienazione,
di una presenza che si dà annullandosi, così
che del passato si possa altrettanto bene
dire che nulla più sussiste e che tutto è
ancora là. Inoltre Jean-Toussaint Desanti
concepisce il tempo come “intuizione del
divenire” e quindi, riducendo il tempo stesso alla coscienza, si scontra con la difficoltà di prenderne sufficiente distanza per
parlarne oggettivamente. Ogni discorso sul
tempo tuttavia sembra sterrarne una «radice intemporale». Si pone allora la domanda
su come sia possibile per l’uomo, totalmente inserito nel flusso del tempo, concepire qualcosa che sia fuori dal tempo. La
risposta viene da Plotino: «non comprenderemmo l’eternità se non avessimo alcun
contatto con essa». E’ quindi necessario
tentare di cogliere l’articolazione del tempo e del non-tempo e insieme porre il fatto
che il cominciamento del tempo è in una
sorta di silenzio assoluto, di momento originario che non si può descrivere proprio
perché «mancano le parole». Eppure in
qualche modo “è dato”: in quel «prendere
distanza da se stesso dello spirito - che
pensa, si ricorda, immagina e parla - in seno
all’atto riunificante del logos». Entrando
nel processo del linguaggio e della simbolizzazione ci ritroviamo necessariamente
in uno scarto rispetto a noi stessi, cioè «la
coscienza intima del tempo è abitata dallo
spazio dei segni».
Il percorso di Desanti parte dalle riflessioni di Plotino e di Sant’Agostino, gli autori
che a suo parere hanno costituito il tempo
in problematica filosofica. Soprattutto è
nel libro XI delle Confessioni che è possibile individuare «quasi tutte le dimensioni
speculative aperte dal problema del tempo», riassumibili in tre categorie: cosmologica, ontologica, fenomenologica. Prima di Agostino, attraverso le definizioni di
Platone e di Aristotele, era accessibile una
concezione del tempo come ordine misurabile del movimento. Tuttavia già la formula platonica, «immagine mobile dell’eternità», sembra suggerire che la condizione di un discorso sul tempo sia il riferimento al suo opposto, stabile per eccellenza e dunque in pricipio conoscibile. Aristotele aggiungerà: conoscibile soltanto
per l’anima. Secondo Desanti però ciò che
avviene con Agostino è una sorta di “rivoluzione copernicana” che, per mezzo di
31
una riduzione fenomenologica «analoga a
quella di Husserl», gli permette di cogliere
il tempo in quella che è «la sua propria
origine, non soltanto la sua origine per
l’anima». Si approfondisce così quella che
era stata l’iniziale posizione di coincidenza del tempo con la coscienza, in quanto la
nostra coscienza del tempo si fonda su di
un momento originario che non può essere
costituito dalla coscienza stessa. In questo
senso deve essere interpretata la definizione di Agostino: il tempo è distensio animi,
spaziatura, messa in distanza, disgiunzione dell’anima, e sfugge al pensiero perché
la sua radice intemporale sfugge al linguaggio nella misura in cui il linguaggio è
sempre e necessariamente “nel tempo”.
M.V.
La memoria, l’oblio
e l’immagine cinematografica
Nella sua più recente opera, DIE EINSTELLUNG IST DIE EINSTELLUNG . VISUELLE
KONSTRUKTIONEN DES JUDENTUMS (L’atteggiamento è l’atteggiamento. Costruzioni visive dell’ebraismo,
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Gertrud Koch, studiosa di problemi di storia e teoria del cinema e docente all’Università di Bochum, analizza le
conseguenze sulla teoria estetica del
divieto ebraico di farsi un’immagine
della divinità.
Fondamentale, nello studio di Gertrud
Koch, è il problema della possibilità e delle
modalità in cui si costituisce, attraverso le
immagini del cinema e nella finzione estetica, la memoria dei campi di concentramento e della tragedia ebraica negli anni
del nazismo. Punto di partenza per la discussione di questo problema è il celebre
film di Claude Lanzmann Shoah, che
secondo Koch è un tentativo di inoltrarsi,
attraverso l’immaginario, in territori avvolti al tempo stesso nel ricordo e nell’oblio, di avvicinarsi alla realtà storica dei
campi di sterminio non con mezzi documentaristici, ma attraverso la “fatticità della finzione”. Il film di Lanzmann sarebbe
così un esempio paradigmatico di una modalità mimetica della costituzione della
memoria, che rompe con la proibizione di
farsi un’immagine della tragedia dello sterminio di massa, una proibizione originata
dal timore di risvegliare quella sorta di
piacere che può sempre essere contenuto
nella rappresentazione estetica dell’orrore.
L’opera della Koch è così, in modo più o
meno esplicito, uno studio sui processi di
apprendimento attraverso l’esperienza storica e sulla loro riproducibilità, tra memoria e oblio. Il problema fondamentale qui
trattato è però quello delle conseguenze
della proibizione delle immagini, tipica
della cultura ebraica, sulla teoria estetica e
sulla rappresentazione dello sterminio di
massa attraverso mezzi cinematografici e
artistici. E’ la ricerca delle radici di tale
proibizione che fa da filo conduttore dei
diversi capitoli e dei temi affrontati nel
volume: dalla teoria critica della Scuola di
TENDENZE E DIBATTITI
Francisco Goya, Il tre maggio 1808 (1814), particolare
32
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Oltre l’Europa,
oltre la tolleranza
Pensare filosoficamente, attraverso e
oltre lo spirito europeo, «una dimensione spirituale fondativa della comunità degli uomini sino ai loro strati più
profondi» è ciò che si propone lo studio di Elio Franzini, OLTRE L’EUROPA (Edizioni dell’Arco, Milano 1992). In questo occorre però guardarsi dal richiamo di una facile “tolleranza”, che è
modello di convivenza insufficiente,
se non pericoloso: è invece nell’orizzonte di una coesistenza dialogica che
le differenze possono trovare un piano ordinativo e paritetico. A questa
preoccupazione fa riscontro l’analisi
dell’idea di tolleranza condotta da Ermanno Bencivenga nel suo OLTRE LA
TOLLERANZA (Feltrinelli, Milano 1992).
Lo spirito europeo è un “oggetto culturale
complesso” di cui la descrizione fenomenologica può evidenziare i molteplici piani
di unità e di esperienza, su cui poggia un
comune progetto di coesistenza. Esercitarsi in una “fenomenologia dell’Europa”,
sostiene Elio Franzini, significa descrivere i percorsi caratterizzanti che ne hanno
segnato il passo, privilegiando gli incroci
fra sapere scientifico e pratica artistica, fra
sapere e saper fare, al fine di elaborare «un
progetto costruttivo a partire dai nessi evidenziati che costituiscono la trama della
nostra esperienza». Il filosofo, come sosteneva Edmund Husserl, può con modesta
lucidità, “farsi funzionario dell’umanità”,
esibire le costanti e le differenze che hanno
costituito l’esperienza del vivere comune
europeo, e attraverso la descrizione, rinnovarne lo “spirito” in una direzione progettuale. Bisogna dunque uscire dalla ricerca
di modelli di speranza o d’elaborazione del
lutto per pensare «la scelta di un modello di
sviluppo, come via dell’uomo» verso un
progetto di coesistenza “futura”, consapevole della complessità contemporanea.
La riflessione filosofica ha per Franzini un
compito molto preciso, quello di: «instaurare una trama descrittiva che possa comprendere, nel suo occasionale presentarsi,
quel senso che la connessione dei fatti
manifesta». In primo luogo occorre pensa-
re le differenze culturali sullo sfondo di un
“comune sentire” del mondo a partire da
valori e tradizioni differenti, ma che per
tutte le civiltà presuppongono una radice
antropologica comune, l’appartenenza cioè
a una cultura quale piano costitutivo delle
comunità. Tale piano non si costituisce
solamente secondo condizioni e meccanismi socio-culturali, bensì si radica in un
terreno simbolico, sensibile, che è precategoriale e come tale suscettibile d’essere
universalmente comunicato. E’ universale, sostiene Franzini, ciò che esprime un
rapporto comunicativo con l’altro: non è
estraneo né semplicemente analogo a noi,
bensì «espressione similare dell’universale, di una simbolicità radicale».
Cercare nell’altro le ragioni della propria
cultura su una comune base precategoriale
non significa perseguire un fondamento
unitario, bensì cercare di comprendere le
ragioni e i processi che hanno condotto a
costruire certi e non altri valori sulla base di
un comune sentimento del mondo. Nel
riconoscere le reciproche differenze di valori, ma su un piano paritetico, si pone la
possibilità del dialogo costruttivo dove le
differenze possano essere rese produttive
di valori coesistenti e condivisibili. Scrive
Franzini: «Quando l’altro permette di riconoscere se stessi si ha già la possibilità del
dialogo perché questo altro viene percepito
non come referente da tollerare, ma come
altro uomo che può e deve, comunicando,
insegnare. Le sue differenze sono le nostre
mancanze, o il segno del nostro dimenticare».
La “malattia mortale” dell’Europa sembra
essere dunque la tolleranza. Si tratta di un
accordo generico che tende a sintetizzare in
“visioni conciliatrici” identità e differenza
in un atteggiamento filosofico sospeso “fra
ansia e giustificazionismo”. Tollerare le
verità parziali degli altri è già un atto che
confina con possibili prese di posizioni
“tiranniche”. Attraverso la figura emblematica di Denis Diderot, Franzini prospetta un’altra forma di tolleranza, quella che
lega l’uomo alla natura, permettendo l’interpretazione della natura attraverso la creazione culturale, secondo le linee di un
movimento dove identità e differenza non
si “tollerano” più, bensì “dialogano”. La
tolleranza è sorpassata costruttivamente dal
33
dialogo, il quale non è sopportazione illuminata e benevola delle differenze, bensì
interpretazione delle medesime in quanto
esperienze complesse, ma paritetiche (sul
piano del valore), poste sullo sfondo “di un
comune orizzonte veritativo”. Tale fondamento veritativo non è nulla di trascendente bensì è condizione a priori di ogni esperienza “condivisibile”.
Il dialogo è dunque una dimensione fondativa dell’esperienza con e in mezzo agli
altri, un modello d’interpretazione che non
edulcora le differenze, ma le rende produttive.
Se Franzini si richiama al modello interpretativo del dialogo, è anche nel quadro di
una precisa tradizione europea. Richiamandosi alla situazione attuale di crisi europea,
di cui già parlavano Husserl e Valéry, Franzini ne individua il nucleo originario nella
“perdita di memoria” da parte dello spirito
europeo della sua “tradizione”, cioè del suo
spirito “geometrico”, come capacità di organizzare e di interpretare in direzione costruttiva le differenti qualità del mondo
circostante.
L’idea che riassume l’origine e lo spirito di
questa “tradizione” è quella di interpretatio naturae, per cui l’interpretazione della
natura, cioè del mondo circostante intuitivo, non è disgiunta da un intento costruttivo. Imitando per così dire la natura, lo
scienziato, che è anche artista (perché artefice), costruisce e desidera costruire una
natura “altra” che colga della prima i volti
espressivi, i nessi sensibili di coerenza, il
senso delle operazioni soggettive nella costituzione della stessa esperienza oggettiva. L’interpretazione della natura non coglie nella natura un mondo chiuso, quantitavamente classificabile, ma solo e sempre
un orizzonte di senso simbolico e comunicativo, la cui espressività non è affatto
anodina, bensì «diviene capacità di manifestare e di far sentire un mondo di senso, in
cui la presenza è espressiva e comunicativa
nel suo stesso essere presenza».
L’interpretatio naturae, che ha radici rinascimentali, ma che si sviluppa nei rami dei
secoli (in Vico, in Diderot per esempio), è
una possibile “risorsa” culturale e antropologica dello spirito europeo: coniuga l’esigenza d’interpretare la realtà circostante
con il desiderio di comprendere, costruen-
TENDENZE E DIBATTITI
do. Mette in opera un sapere grazie a un
poter fare, un conoscere consapevole, “abile”, nella misura in cui tale sapere è un
saper fare. In questo senso, lo spirito europeo può ed ha costituito un polo d’attrazione per gli altri Paesi non per una qualche
imprecisata “superiorità”, ma perché si è
potuto presentare come “modello” esportabile di un piano effettivo di dialogo, di
unità fra sapere e fare da un lato, e dall’altro, fra imitazione e invenzione della natura (in quanto orizzonte di cose da interpretare per poter agire): fra mito e logos, arte
e scienza - come suggerisce Franzini.
La verità di questo “dialogo” fra più piani
di significato (tecnico, artistico, espressivo, costruttivo) non si nasconde dietro le
quinte del teatro europeo: è una verità
espressiva, una forma concreta di “certezza” la cui legittimità è l’appartenenza a un
“comune sentire”. Al di là delle differenti
civiltà il modello dialogico europeo è condivisibile sulla base di un terreno precategoriale dell’esperienza, di un “sentire comune” radicato nel corpo proprio, nella
panoplia espressivo-simbolica dei vissuti.
Per Ermanno Bencivenga il problema di
uno spirito comune europeo richiede in
primo luogo di liberarsi da una concezione
atomistica, egotietica dell’individuo. Il soggetto non è consistente, al contrario è qualcosa che non è (definitivamente) luogo e
scena di una rappresentazione teatrale (per
riprendere alcune suggestioni di Hume) in
cui ruoli, capovolgimenti, intrighi si succedono rapidamente, impedendo al soggetto di dire: io sono qui e non mi muovo.
Questo non-essere è, per Bencivenga, “differenza”, alterità che ha una funzione positiva: rompere la compattezza del mondo,
scardinare la presunta necessità del reale e
promuovere invece valori alternativi, far
presagire altri mondi possibili, trasgredire
gli assetti dati.
La tolleranza è il modello complementare
di questa visione dell’io atomico: metà
disprezzo, metà sussiego indica un atteggiamento di benevole condiscendenza più
che di partecipe sollecitudine. E’ una forma fittizia e sostitutiva di un accordo in cui
il patto si stringe attorno a una solida
diseguaglianza.
La teoria del soggetto che Bencivenga
espone invita a ripensarne anche l’atteggiamento etico. L’io è “diviso”, ricopre
diversi personaggi e non è affatto un coacervo di forze adattive. Prioritaria è la
differenza di cui siamo portatori e la relazione di scompaginamento, turbamento
che la differenza dell’altro ci suscita. Cresciamo come combinazione di ideali, valori, atteggiamenti che abbiamo raccolto
sul cammino dell’esistenza, poiché ciò che
caratterizza di più il soggetto è «una disponibilità infinita a raccogliere frammenti e
spezzoni di comportamento, una sorprendente capacità di copiare dettagli in apparenza inoffensivi, irrilevanti».
Questa molteplicità di toni porta a concludere perentoriamente che «il soggetto non
è un individuo ma piuttosto una comunità». La pluralità, in ogni caso, è “esterna”,
deriva dalla coesistenza con gli altri così
che il «soggetto è precisamente il carattere
plurale della comunità, la comunità in quanto plurale».
Detto questo, la tolleranza non opera se
non la riduzione del “diverso” all’assimilabile, al modello ideale della normalità.
Invece, il diverso va «difeso nella sua
diversità», riconoscendolo portatore di una
pluralità, di una disarmonia che è la nostra.
La tolleranza come strategia di “omologazione” elimina concettualmente e moralmente il diverso. In tale contesto l’intellettuale può, secondo Bencivenga, prodigarsi per «difendere un ideale, un progetto di
mondo, stabilire priorità fondamentali,
criteri di legittimità. Il primo ideale da
salvaguardare è la ragione stessa da non
ridurre a operazione strumentale: al contrario, essa è un’istanza finale».
Un’antinomia pare disegnarsi nel libro di
Bencivenga: infantilismo versus maturità,
ragione monologica versus plurivocità del
dialogo (con se stesso, con gli altri). Di
conseguenza, contro l’omologazione della tolleranza e la politica ottusa dell’urgente, occorre “un qualcosa” che faccia crescere tutti. Occorre «fare dell’educazione
un progetto di durata indefinita». L’educazione può e deve divenire una parola d’ordine della politica internazionale, proporsi
come «terza via oltre a quella tradizionale
dello scontro e quella più recente dell’assorbimento, della riduzione al minimo
comun denominatore». L’educazione permanente ha come scopo quello di incoraggiare e articolare comportamenti possibili
sempre più complessi, duttili alle situazioni contingenti. Mira a costruire reti di
possibilità reali ed esistenziali. La nostra
società deve mobilitarsi per trasformarsi
in una scuola, dove scuola va qui intesa
non come strumento di controllo sociale o
di formazione delle competenze, bensì
come dispositivo atto a allargare il dialogo, a promuovere la discussione sulla vivibilità in base alla qualità del vivere e non
alla sola quantità di beni da spartire. Un
autentico progetto di “paideia” quello che
Bencivenga pare chiamare in causa, rivendicando non a caso la oliticità intrinseca
del soggetto.
Il progetto educativo-politico riannoda con
energia aspirazioni generose e impegnative che i filosofi, spesso, fra entusiasmo e
delusione hanno avuto il coraggio di proporre. L’educazione è stata ed è una delle
parole chiave di questo impegno: Platone
certo; ma anche come scordare il progetto
illuministico della Popularphilosophie?
F.M.Z.
Morali in saldo
nella crisi dei valori
34
Nonostante la povertà morale dei tempi, non appassisce in Francia la tradizione moralistica, il ricordo e la tentazione di farsi critico intelligente e aspro
dei costumi e delle ipocrisie del senso
comune secondo lo stile di un Voltaire
o di un Diderot. Molti studiosi, tacciando di infantilismo della ragione (o
anche peggio) la morale degli altri,
avanzano pretese di visione “illuminata”. A volte la polemica non vale se
non quale astiosa discussione pubblica (e molte vendite); altre volte si tratta di un lavoro serio, storicamente
documentato. Di questa “svendita” di
morale e di morali, presentiamo tre
casi, che hanno fatto discutere la stampa e l’opinione pubblica francese in
questo inverno: LE CRÉPUSCULE DU DEVOIR (Gallimard, Paris 1992), di Gilles
Lipovetsky; LE NOUVEL ORDRE ÉCOLOGIQUE (Grasset, Paris 1992), di Luc Ferry;
LE SACRÉ DU CITOYEN. HISTOIRE DU SUFFRAGE UNIVERSEL EN FRANCE (Gallimard, Paris 1992), di Pierre Rosanvallon.
Celebre per le sue analisi della società
contemporanea in quanto “vuota” ed “effimera”, Gilles Lipovetsky rilancia il suo
ottimismo minimo (minimalista?): non è
vero che la nostra sia un’epoca egoista e
spietata; siamo in realtà in un’epoca di
piena realizzazione dell’individualismo,
un’epoca che tuttavia non ha certo provocato le catastrofi predette da Nietzsche e
Freud. Altro che malessere della civiltà,
altro che volontà di potenza: occorre invece accogliere sollevati «il crepuscolo dell’idea di dovere». Detto altrimenti: l’idea
di sacrificio è socialmente deligittimata, la
morale non brancola più nel buio di ideali
utopici, il benessere e il vivere meglio
diventano la guida del comportamento
morale. Tutto ciò equivale a una reale
“emancipazione” da dogmi e doveri assoluti: la libera scelta, la costruzione narcisistica di sé vanno di pari passo con l’individuo responsabile dell’epoca “neo-individualista”.
Ciò che contraddistingue l’analisi di Lipovetsky è la particolare visione della nostra
epoca. In un momento in cui gelidi venti di
razzismo, intolleranza, caccia alle streghe
percorrono la vecchia Europa liberale, egli
sostiene che questa morale neo-individualista è allergica non solo ai dettami morali,
ma anche a ogni trasgressione e eccesso. In
tutti gli aspetti della vita quotidiana (famiglia, morale sessuale, lavoro, sport) la ricerca del proprio interesse implica uno
spirito di tolleranza, mediazione, negoziazione. Non siamo molto lontani dalla cinica indifferenza e da uno stile di vita del
tutto borghese, pacificato e pacificatore,
capace di scambiare la mala fede con la
disponibilità per l’altro. Da più parti è stato
così sottolineato che tale ottimismo non
rende affatto ragione della complessa situazione di crisi economica e politica: per
tutti coloro che sono minacciati da disoccu-
TENDENZE E DIBATTITI
pazione, razzismo, marginalizzazione, “il
caos organizzatore” di cui parla l’autore,
come hanno osservato alcuni critici, è «un
po' troppo caotico per alcuni, e un po'
troppo organizzato per altri».
Luc Ferry, in Le nouvel ordre écologique,
smantella invece il pensiero “verde”, in
particolare la deep ecology, di cui mette in
luce le componenti conservatrici, reazionarie, antiumaniste. L’idea di fondo è semplice: l’uomo si definisce per Ferry in quanto
sforzo libero e cosciente di sottrarsi alla
natura di cui fa parte, di emanciparsi da
essa, di trasformarla. Costruire una piramide di valori, la cui cima è costituita dalla
biosfera può indurre un antiumanismo viscerale. Ferry cerca di dimostrare i legami
storici e culturali fra l’ecologia contemporanea e una tradizione che va da Spinoza
fino al romanticismo tedesco e che sfocia
nel vitalismo nietzscheano. Hitler impose
nuove leggi sulla difesa degli animali e
sulla protezione della natura in nome, sostiene Ferry, di un odio profondo contro il
mondo moderno, il capitalismo, il liberalismo: la difesa della natura può anche suscitare una pericolosa nostalgia del passato.
Esiste tuttavia un’ecologia “riformista” che
agisce strettamente connessa al mondo liberale e che non vuole affatto contrapporre
natura e civiltà, diritti dell’uomo e diritti
della natura.
Pierre Rosanvallon, nel suo libro: Le sacré du citoyen, analizza le particolari vicende del suffragio universale in Francia,
senza perderne di vista la portata europea,
il valore di esempio che esso può ricoprire
nel quadro di un’autentica «educazione
della e alla democrazia». Non che in questo la Francia sia esemplare: «Se i francesi
hanno inventato l’uguaglianza nel 1789 osserva Rosanvallon -, in seguito hanno
saputo meglio stabilire il catalogo delle
patologie e dei problemi della democrazia
moderna che non le sue soluzioni». Solo
nell’ultimo quarto del XIX secolo, infatti,
la Francia ha potuto stabilire un regime
liberale e democratico, sebbene l’ ”annunciazione” di tale regime risalga alla Rivoluzione. E bisognerà aspettare un altro
secolo perché il suffragio sia davvero universale. Il fatto è che in Francia la democrazia è stata intesa più come un ideale o
un vincolo, che non come una forma reale
dell’organizzazione politica. Per gli eredi
dell’Illuminismo solo la ragione è garante
del vincolo sociale-politico ed è incompatibile con il numero, “la vile moltitudine”,
incapace di governare. Si deve aspettare la
Terza Repubblica perché vengano tolte le
barriere alla “moltitudine”, considerata
meno vile da quando l’istruzione è diventata obbligatoria.
Al di là dell’interessante studio storico,
Rosanvallon inserisce la sua ricostruzione
del suffragio universale in un quadro antropologico. Nella storia intellettuale del politico del XX secolo il suffragio universale è
per l’autore l’autentica rottura dei tempi
moderni, molto più innovativa di tante “rivoluzioni” sociali. Indica infatti un tipo di
rapporto inedito fra gli uomini basato sull’equivalenza: una voce-un diritto. Il suffragio realizzato fa passare da un regime
democratico per “integrazione” e assorbimento a uno “governante”, costitutivo di
società e latore di dignità sociale. F.M.Z.
Il materialismo dei Lumi
In controtendenza rispetto a un diffuso costume critico che considera il
materialismo alla stregua di un reperto archeologico della storia della filosofia, la rivista “Dix-huitième siècle”
(n. 24, PUF, Paris 1992) dedica, con il
titolo: LE MATÉRIALISME DES LUMIÈRES,
un’ampia monografia ai quei pensatori illuministi come La Mettrie, d’Holbach, Helvetius, Lamy, Toland, Maupertuis, che storicamente hanno aperto il
cammino a un’interpretazione materialistica della storia, della morale e
delle scienze naturali. La funzione del
materialismo illuminista, nel quadro
della prospettiva storico-filosofica hegeliana, è anche al centro dell’analisi
di Jean-Claude Bourdin, HEGEL ET LES
MATÉRIALISTES FRANCAIS DU XVIII SIÈCLE
(Hegel e i materialisti francesoi del
XVIII secolo, Klincksieck, Paris 1992).
Dalla ampia ricognizione nel pensiero illuminista, offerta dagli articoli raccolti nella
rivista “Dix-huitième siècle”, si evidenziano due principali linee evolutive della concezione materialista: la prima, di impronta
più evidentemente scientifica, prende le
mosse dal meccanicismo cartesiano; la seconda, che trova la sua ispirazione in Locke
e Newton, tende a privilegiare i contenuti
morali e politici delle concezioni materialistiche, piuttosto che la coerenza filosofica del sistema. Nei ranghi intellettuali che
si apprestano alla battaglia illuminista contro le tradizioni culturali e sociali, è questa
seconda linea, più marcatamente “politica”, che fornisce gli strumenti per la crociata filosofica contro il vecchio regime. Il
risvolto ateistico del materialismo integrale di Helvetius consente di disegnare una
nuova immagine del cittadino e dell’uomo,
dove «l’educazione e null’altro segna la
differenza tra individui più o meno ben
organizzati»; mentre d’Holbach utilizza
l’ateismo come impalcatura antropologica
per costruire una morale nel segno dell’utile sociale.
La vocazione polemica del materialismo
dei Lumi, il suo potere di critica e di negazione di istituzioni storicamente superate
saranno oggetto dell’apprezzamento di
Hegel, che consacrerà un capitolo delle sue
Lezioni di storia della filosofia ai filosofi
illuministi. Come mostra Jean-Claude
Bourdin nel suo studio dedicato al filoso35
fo, non è il valore in sé della concezione
materialista che Hegel si degna di discutere, e neppure la fondatezza dell’ateismo,
quanto piuttosto il significato di quest’ultimo come attore della vicenda dello Spirito
Assoluto. L’ateismo adempie alla sua funzione di critica del Cattolicesimo, ormai
sclerotizzato in una forma istituzionale che
tradisce la religione: «non quella che fu
purificata da Lutero - ma la più miserabile
superstizione, il clericalismo, l’ignoranza,
la depravazione dello spirito; e soprattutto
la dissipazione delle ricchezze». Momento
indispensabile di autocritica dello Spirito,
soddisfatto il proprio ruolo di negazione e
non avendo alcuna positività speculativa
da difendere, il materialismo viene archiviato da Hegel alla stregua di un capitolo
della storia dell’Assoluto. E.N.
Enciclopedia
delle opere filosofiche
Il terzo volume dell’ENCYCLOPEDIE PHILOSOPHIQUE UNIVERSELLE, diretta da André
Jacob, è costituito da un dizionario
delle opere filosofiche, (OEUVRES PHILOSOPHIQUES , a cura di Jean Francois
Maffei, PUF, Paris 1992), che abbraccia
- nella misura del possibile - tutte le
epoche che hanno lasciato una testimonianza, sotto tutte le latitudini,
geografiche o culturali. Manca così
soltanto l’ultimo pilastro del grande
edificio enciclopedico iniziato nel 1989
da Jacob con la pubblicazione dell’UNIVERS PHILOSOPHIQUE, seguito dai due
volumi del dizionario delle NOTIONS
PHILOSOPHIQUES (a cura di Sylvain Auroux, 1990); è annunciata per il 1994 la
raccolta dei TEXTES PHILOSOPHIQUES a
cura di Roger Arnaldez.
Monumentali, al limite dello scoramento,
le dimensioni dell’impresa enciclopedica
curata da Jean Francois Maffei con questo Dizionario delle opere filosofiche: 4.656
pagine firmate da 1.400 studiosi, 5.400
autori e più di 9.000 opere raccolte e catalogate in un volume che sarà sicuramente
un’opera di riferimento anche per gli specialisti. Come sottolineava André Jacob
sulle pagine di questa rivista (n. 2, pp. 11
sgg.), l’unità strutturale e ideativa di un
progetto di queste dimensioni non poteva
non tener conto della pluralità culturale e
disciplinare che caratterizza l’accezione
moderna di filosofia. Unità plurale che si
misura con la complessità e la diversità dei
saperi che nascondono o richiamano una
riflessione filosofica: con questo criterio
sono catalogati i testi filosofici, scientifici,
antropologici, “letterari”, occidentali e
orientali, come pure i racconti mitici e le
testimonianze delle culture “orali” europee, africane, asiatiche e amerinde. Se uno
dei significati dell’opera è dunque costitu-
TENDENZE E DIBATTITI
ito dalla ricerca di una nuova definizione
dell’universalità filosofica, questo avviene
attraverso il rapporto critico e la valorizzazione dei saperi extrafilosofici come delle
culture “minori” o occultate, lontano da
pretese eurocentriche o da un malinteso
platonismo che vorrebbe autofondare la
riflessione filosofica e chiuderla in un mondo proprio. Jacob propone invece una suggestiva accezione di progetto enciclopedico come un «’fare il giro’ delle interpretazioni piuttosto che delle conoscenze, occasione di incroci, di nuovi sviluppi e di
nuove aperture, piuttosto che di un accerchiamento del pensiero.»
La ricognizione delle opere filosofiche dell’umanità è ordinata secondo tre grandi
blocchi: Filosofia occidentale, Pensieri
asiatici, Concettualizzazioni delle società
tradizionali. La sezione che concerne la
filosofia occidentale è a sua volta suddivisa
in sei grandi capitoli: Antichità, dal III
millennio a.C. fino al VI secolo d.C.; Medioevo/Rinascimento; Età classica, dal
1600 alla Rivoluzione francese; Modernità, 1789-1889; Nascita delle scienze umane, 1889-1939; Pensiero contemporaneo,
1939-1990. Ad ogni voce corrisponde un
breve profilo biografico dell’autore, il riassunto delle opere principali, per i grandi
autori, o l’indicazione delle opere per i
minori, corredati da una bibliografia aggiornata. Una serie di indici, ordinati per
discipline, scuole, correnti di pensiero,
nonché di intelligenti rimandi, consente di
muoversi agevolmente nella selva delle
opere e degli autori. Anche in virtù dell’attenzione per questi elementi tecnico-formali dell’opera, attraverso i quali si realizzano percorsi culturali e si aprono nuove
soglie interpretative, possiamo dire vinta
la scommessa culturale sottesa a questo
grande progetto enciclopedico: inventariare la complessità delle conoscenze umane secondo un’interrogazione e un ordine
filosofici, nel tentativo di passare dal sapere al senso. E.N.
Stati Uniti: analisi di una crisi
Uscito nel settembre del ’92 , CRONASTATI UNITI:
CRISI, CONFLITTI SOCIALI, “NUOVO ORDINE”
MONDIALE NELLE ANALISI DI MARXISTI E RADI CAL AMERICANI apre la serie di numeri
speciali che la rivista “Marx centouno” intende dedicare ogni anno a temi
di particolare rilevanza politica, culturale, teorica. Una silloge di studi apparsi per lo più nell’ultimo triennio su
periodici anglo-americani che, riflettendo sulla crisi dei tradizionali modelli produttivi, sulla variegata geografia del conflitto sociale, sul “nuovo
non-ordine del mondo”, consente
un’analisi unitaria della realtà statunitense, intrecciandone complessità e
CHE DAL CENTRO DELL ’IMPERO .
contraddizioni con i fragili equilibri
mondiali del post-guerra fredda.
«I bei giorni della prosperità americana
sono ormai dietro di noi. L’impalcatura è
smantellata, i pilastri crollano. Gli Stati
Uniti, come ogni colosso nella storia umana, si accorgono di avere i piedi di argilla
[…] Entriamo ormai nell’avvenire dell’America, che può’ suscitare in noi grandi
inquietudini così come grandi speranze». Il
giudizio di Immanuel Wallerstein nel saggio di apertura, L’America e il mondo: ieri,
oggi, domani (in origine una conferenza
tenuta all’Università del Vermont nell’ottobre del ’90) esprime la tesi di fondo che
percorre i numerosi saggi raccolti nel volume. Le analisi degli autori, articolate in tre
sezioni - “La crisi”, “Il conflitto sociale”,
“L’impero” - sono complessivamente orientate a rintracciare le ragioni di un declino
che appare tanto profondo e irreversibile da
segnare un passaggio d’epoca. Declino di
una leadership economica e geopolitica
che si configura, ad un tempo, come causa
e conseguenza dei mutati assetti dell’intero
sistema-mondo; ma anche, parallelamente, declino di un modello di “prosperità”. I
suoi capisaldi, una efficiente organizzazione produttiva costruita sul “compromesso”
fordista del dopoguerra, garanzia di ordine
sociale e fonte di un benessere materiale
generalizzato, e un forte collante ideologico, fondato sulla contrapposizione “Mondo libero-Comunismo”, indispensabili premesse all’esercizio del ruolo di potenza
mondiale, sono infatti ormai entrati irrimediabilmente in crisi.
Tramontato il “sub-imperialismo” sovietico, funzionale, secondo Wallerstein, al
consolidamento della “Grande Pace Americana” e quindi all’espandersi dell’economia-mondo capitalistica che fioriva sotto
quell’egemonia, i conclamati vincitori nella “lotta tra i due mondi” mostrano i segni
di grandi contraddizioni, maturate negli
anni della “rivoluzione conservatrice” e
oggi aggravate dalle sempre più instabili
relazioni internazionali. Noam Chomsky,
nell’intervista Sul capitalismo raccolta da
“Against the Current Magazine” nel settembre del ’91, ne rintraccia le cause nel
permanere di una società «a due ordini, con
ricchezza e privilegio enormi in mezzo a
povertà e sofferenza», segnata dai tagli alla
spesa sociale, dall’inazione di uno stato
trasformato in «welfare per i ricchi», assente nell’educazione come nella tutela dei
diritti civili.
La sempre più evidente destabilizzazione
sociale, legata a una pesante stagnazione
politica, si spiega inoltre, osserva Chomsky,
con le trasformazioni imposte dal “reaganismo”, espressione politica di «frange non
fordiste del capitale», ai tradizionali processi di regolazione e alla stessa struttura
dell’economia nazionale. La questione del
carattere e delle prospettive della cosiddetta “fuoriuscita dal fordismo” è ancora un
problema aperto, oggi tra i più dibattuti e
36
studiati anche in Europa. Evidenziandone
le implicazioni sociali e le possibili ripercussioni sulla forma futura dell’economia
mondiale, Mike Davis, nel suo Economia
politica dell’America tardo-imperiale
(“New Left Review”, 1984), sottolinea la
dimensione “epocale” del passaggio, iniziato negli anni Settanta, a una dinamica di
“sovraconsumismo”, legata sia alla crescita e all’arricchimento di uno strato “subborghese” manageriale e professionale, sia
alla «crisi del ciclo fordista di accordi negoziati tra salari e produttività». Rotta l’originaria coesione dei tre fondamenti strutturali dell’egemonia americana - generalizzazione della produzione e del consumo di
massa, posti di lavoro ad alto salario, industrializzazione dell’hinterland - si impone,
continua Davis, un modello di dequalificazione del lavoro, conseguenza della creazione di “nuovi” impieghi a basso salario e
di una disoccupazione mai così alta dal
dopoguerra.
Nel quadro di una crisi di così ampie dimensioni da chiudere un’epoca della storia
americana, con l’approfondirsi del solco
tra gruppi integrati ed emarginati, si riaprono vecchie e nuove conflittualità in cui
razza ed origine etnica, classe sociale e
sesso continuano a giocare un ruolo di
primo piano. Che questi fattori costituiscano i criteri discriminanti o anche i parametri su cui si basa la distribuzione inegualitaria delle ricchezze negli Stati Uniti, non è
certo un fatto nuovo; interessante nella fase
attuale è invece il modo in cui essi si
intrecciano nella sfida che le fasce deboli
rivolgono all’ordine economico e politico
esistente. La variegata geografia del conflitto sociale rispecchia infatti quel “rimescolamento” del materiale umano che M.
Grazia Rossilli, in Americanismo senza
fordismo e deindustrializzazione. Le lavoratrici dal margine al centro dell’economia e della povertà, legge come effetto del
declino dell’apparato produttivo industriale americano, facendo convergere su obiettivi a volte comuni le rivendicazioni dei
nuovi movimenti femminili, delle minoranze etniche, delle comunità nere, di quei
gruppi che localmente agiscono per un
miglioramento delle aree più svantaggiate
delle metropoli.
Dalle molte riflessioni dedicate a questo
argomento emerge, ad esempio, come dato
significativo, la richiesta sempre più generalizzata di un’autodeterminazione dell’economia. Lo sottolinea Mike Davis nei
commenti ai fatti di Los Angeles, scritti per
“The Nation” (L. A. Il rogo delle illusioni),
evidenziando il fatto, comunemente trascurato, che l’unico leader nazionale tenuto in seria considerazione dalla maggior
parte dei “Crips” e dei “Bloods”, le due più
grandi gangs di giovani neri della città, al
centro dei tumulti, sia Louis Farrakhan,
promotore di quel progetto, condiviso da
una larga parte della gente di colore. Un
progetto politico, dunque, a riprova del
fatto che, come spiega Michael Hardt,
TENDENZE E DIBATTITI
Elijah Muhammad mentre sta parlando in un tempio mussulmano
37
TENDENZE E DIBATTITI
docente all’Università di California, «ogni
discorso di razzismo è un discorso di classe», oggi ancora più complesso per il venir
meno di un conflitto etnico esclusivamente
bipolarizzato tra bianchi e neri.
Un altro contesto problematico, descritto
da Patrick Bond in Potere finanziario
contro populismo di base. La nuova lotta
di classe (“Capital and Class”, 1990), in
cui la ristrutturazione democratica dell’economia appare un obiettivo fondamentale, è quello delle lotte condotte dalle
“Coalizioni urbane per il reinvestimento”,
un movimento di base a carattere populista
che si oppone al potere economico-politico delle grandi banche e, più in generale,
del settore finanziario. Il “controllo del
capitale” da parte della comunità, come la
convinzione che un “approccio collettivo
alla produzione e al consumo” possa essere la via per costruire una società libera
dalla speculazione, diviene qui la parola
d’ordine di un vasto schieramento che va
dai comitati anti-apartheid alle organizzazioni dei quartieri degradati. Estraneo a
questi obiettivi, infine, non è neppure il
movimento femminile, se si pensa che la
parte più vulnerabile della forza lavoro, di
cui le donne fanno parte, viene usata per
aprire la strada alla “flessibilizzazione” e
alla rottura del rapporto produttività-salari.
Il nesso classe-razza-genere, in quanto momento cruciale nella determinazione di
svantaggi e privilegi socialmente rilevanti, viene oggi riportato al centro dell’attenzione nazionale dal dibattito sulla “political correctness” e sul “multiculturalismo”,
divenuti da circa due anni oggetto delle più
vive discussioni sui mass-media e nelle
università americane. In un saggio dal titolo: Che cos’è il multiculturalismo (“Against
the Current”, 1991) scritto dal gruppo di
lavoro dell’Università del Texas per spiegarne prospettive e obiettivi in risposta
alle accuse dei colleghi conservatori, il
multiculturalismo viene definito come un
tentativo di capire l’origine delle culture,
il loro sviluppo e utilizzo, un modo di
«interrogare categorie e confini», pensati
e stabiliti nel corso della storia. Suo presupposto è quello che Paul Berman, nella
“Introduzione” a Debating P.C. (Discussioni sulla “political correctness”, Laurel, New York 1992), chiama, non senza
ironia, “razza-classe-generismo”, variazione americana della filosofia europea di
matrice post-strutturalista della fine degli
anni Sessanta. In una prospettiva tesa a
scalfire il predominio dei “maschi bianchi” nordeuropei, razza, classe e genere
vengono rivendicati come le strutture imprescindibili a partire dalle quali soltanto è
possibile la costruzione e la comprensione
di culture diverse, non riducibili al modello universalistico e pervasivo di quella
occidentale. Sono le nozioni stesse di “tradizione”, di “Occidente”, opposte dagli
accademici conservatori ad un presunto
relativismo culturale, ad essere messe in
discussione, così come il «privilegio di
guardare e comprendere», considerato inattuale in un mondo «molto, molto mescolato». In disaccordo con Berman, esponente
liberal del multiculturalismo, per il quale
esso non rappresenta che una possibilità di
espansione della democrazia e della tolleranza liberali, o un buon modo di organizzare corsi interdisciplinari, i docenti texani ribadiscono il significato dirompente di
un “progetto intellettuale e pratico” che,
fuori dal mito del “paradiso perduto accademico”, libero dalle ideologie e dalla
politica, concepisce l’università e il sapere
che vi si produce come i luoghi dove, più
che altrove, si costruiscono le relazioni di
potere che strutturano la società. C.R.
I filosofi e gli animali
All’approfondimento della questione
del rapporto tra filosofia e animalità è
dedicato il primo numero di “Clinamen”, il nuovo annuario del Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università di Roma “Tor Vergata”, diretto
da Mario Perniola. Il volume, dal titolo:
FILOSOFIE DELL’ANIMALITÀ ’. CONTRIBUTI AD
UNA FILOSOFIA DELLA CONDIZIONE ANIMALE
(Mimesis, Milano 1992), è curato da
Emilio Baccarini, Tonia Cancrini e Mario Perniola e intende esplorare la complessa e variegata problematica emergente dalla nozione di animalità a partire da una prospettiva prettamente
filosofica, individuando i principali nodi
speculativi e le strategie culturali fondamentali che caratterizzano l’attuale
dibattito sull’argomento, sviluppatosi in seguito ad un grande ritorno di
interesse nei confronti del concetto di
animalità.
Al problema animale il discorso filosofico
occidentale ha fin dalle sue origini greche
dedicato una costante attenzione, un’attenzione mantenuta viva lungo tutto il corso
moderno e contemporaneo della filosofia e
che viene ancora oggi testimoniata da un
gran numero di nuove pubblicazioni, vive
discussioni e ampi convegni, che mettono
in evidenza i vari aspetti del problema,
sociali, etici, psicologici, storici, letterari,
simbolici, religiosi. Nel suo saggio introduttivo, Mario Perniola insiste sulla necessità di porre la questione animalista in
intima relazione con la questione antropologica, analizzando tale rapporto nel pensiero dello stoicismo antico, che poneva la
questione della condizione animale come
inseparabile da quella della condizione
umana, mostrando inoltre come ad una
certa superiorità ideale dell’uomo sull’animale spesso corrispondesse una sua inferiorità sul piano della realtà e dell’esperienza, per arrivare, attraverso l’individuazione di figure di “animali quasi saggi” e
“animali quasi pazzi”, desunti anche dalle
riflessioni di Erasmo da Rotterdam e Giordano Bruno, ad affermare che proprio l’inseparabilità tra discorso sugli animali e
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discorso sull’uomo deve servire a farci
comprendere che «la contraddizione più
grande sta all’interno dell’umanità» e nei
suoi irrisolti conflitti tra dimensione sensitiva e affettiva e dimensione logico-razionale, tra natura e cultura.
La sommaria contrapposizione tra sfera
naturale e sfera culturale è anche alla base
dell’intervento di Marcello Massenzio, il
quale affronta il concetto di animalità da
una prospettiva antropologica, rilevando il
diverso ruolo assegnato all’animale nei diversi contesti etnologici, ruolo che oscilla
tra i due poli opposti di una completa alterità rispetto all’uomo e di una peculiare
identità con esso a seconda dei differenti
regimi economici di caccia o allevamento,
raccoglitori o allevatori. Dell’animale per
eccellenza della tradizione biblico-ebraica, l’agnello, si occupa il saggio di Emulio
Baccarini, che nell’ambito del testo biblico veterotestamentario ricostruisce il rituale simbolico dell’agnello pasquale, sottolineando come esso rappresenti il segno forse più elevato dell’elezione del popolo di
Israele e «segno significante della “signoria di Dio”». Tonia Cancrini, dapprima
insieme a Paola Linguiti, si sofferma invece sul ruolo e la funzione dei cavalli nell’Iliade omerica, Xanto e Balio in particolare, i meravigliosi e immortali cavalli di
Achille; in un altro saggio, insieme a Simona Argentieri, viene esaminato da Linguiti il valore e il significato dell’essere
animale in generale dal punto di vista della
psicoanalisi, con particolare riferimento a
Freud, sostenendo che fare davvero esperienza dell’animale significa fondamentalmente conoscere l’alterità e accettarla
come tale.
Se è vero che la riflessione sulla condizione
animale è da considerare in strettissima
connessione con la condizione umana, occorre allora ricordare che Aristotele è forse
stato il primo nella storia del pensiero occidentale a insistere sull’intima relazione delle
due condizioni, affermando che non è possibile parlare dell’uomo senza fare riferimento all’animale, anzi che la stessa umanità dell’uomo è pensabile e si caratterizza
proprio in rapporto/differenza all’animale.
Le celebre definizione aristotelica dell’uomo come zoon logon ekhon testimonia infatti questa correlazione, che Riccardo
Dottori, nel suo contributo, cerca di esplicitare a partire dai concetti di lógos e linguaggio, e del lógos inteso come dialogos,
ossia manifestazione e comunicazione per
mezzo della parola, ciò che distingue propriamente l’uomo dagli animali e dallo loro
semplice phone. Dottori tuttavia presenta
in questo volume una sua traduzione del III
libro del De abstinentia carnibus di Porfirio, in cui si parla anche di un lógos degli
animali e di conseguenza del dovere di
giustizia che l’uomo ha nei loro confronti,
mettendo in evidenza i motivi di ordine
soprattutto religioso, metafisico e morale
di questo trattato in cui il divieto di uccidere gli animali e di mangiarne le carni nasce
TENDENZE E DIBATTITI
dal principio etico del rispetto per l’altro.
Venendo ad alcuni momenti del pensiero
filosofico moderno e contemporaneo, Marcella D’Abbiero analizza il concetto di
animalità così come emerge dalla Enciclopedia di Hegel in cui l’approfondimento
della figura dell’animale, situata tra natura
e spirito, serve anche a gettare nuova luce
per la comprensione proprio della nozione
hegeliana di spirito in quanto dotata di
storicità e dinamismo. Soffermandosi soprattutto sui Grundbegriffe der Metaphysik, Maria Teresa Ricci evidenzia la differenza fondamentale tra l’uomo e l’animale.
Contrariamente all’uomo, l’animale non
esiste, ma vive soltanto: se l’essenza dell’uomo è l’esistenza, l’animale come semplice vivente è - scrive Heidegger - povero
di mondo (Weltarm); e se la morte, il morire, è ciò che caratterizza più essenzialmente l’esserci, la morte dell’animale non è uno
Sterben, un morire, ma un Verenden, ciò un
semplice cessare di vivere. Ora, scrive Ricci, «se l’uomo pone la sua distinzione in
virtù della parola e attraverso questa, l’animale impone la sua differenza proprio non
parlando, e cioè tramite il silenzio; ma se la
parola può essere misteriosa, il silenzio è il
mistero stesso». Proprio questo fondo di
inaccessibilità che permane nell’essere
animale è forse ciò che continua a spingere
l’essere umano ad interrogarsi sull’animale e sul suo insondabile mistero.
Numerosi altri saggi compongono il volume e cercano di evidenziare alcuni aspetti
particolari del concetto di animalità: Marta Cristiani si sofferma sulla simbologia
animale in Ildegarda di Bingen; Carlo Ferrucci sull’immagine della serpe nel pensiero di Maria Zambrano, figura di spicco
del pensiero spagnolo contemporaneo;
Annamaria Laserra indaga sul bestiario
linguistico di Prosper Mérimée; Fabrizio
Scrivano, sugli studi ornitologici ed entomologici di Ulisse Aldovrandi, scienziato
bolognese della seconda metà del XVI secolo. Chiude infine il volume una estesa e
interessante analisi dell’animale nella prospettiva della bioetica di Maurizio Mori, il
quale affronta la questione del ruolo e dei
“diritti” degli animali alla luce della riflessione etica e giuridica contemporanea.
G.P.
Filosofia dell’arte
ed esperienza estetica
Dalla categoria di poesia al confronto
con le poesie: così potrebbe essere
definito il programma filosofico che
sottende alle riflessioni elaborate da
Fulvio Papi in LA PAROLA INCANTATA E
ALTRI SAGGI DI FILOSOFIA DELL ’ARTE (Guerini e Associati, Milano 1992). A questo
volume può essere accostata, per affinità di temi e di obiettivi polemici, la
raccolta di saggi di Rüdiger Bubner,
ESPERIENZA ESTETICA (traduzione italiana di Monica Ferrando, presentazione
di Gianni Carchia, Rosenberg e Sellier,
Torino 1992), che si presenta come
una difesa della specificità dell’esperienza estetica sulla base del suo carattere aconcettuale. L’incontro, o
scontro, tra la filosofia e l’arte deve
configurarsi, a parere di entrambi gli
autori, come riflessione sulle concrete
pratiche artistiche e sui loro prodotti,
anziché come applicazione di categorie estrinseche da parte della filosofia
a un ambito ad essa estraneo.
La notazione di Friedrich Schlegel, secondo cui «in ciò che si chiama filosofia dell’arte manca solitamente una delle due: o la
filosofia, o l’arte», segnala, secondo Fulvio Papi, un problema reale, quello della
difficoltà di svolgere un «discorso filosofico immanente alla dimensione artistica»,
rimanendo al livello di una sovrapposizione estrinseca al fenomeno artistico di schemi concettuali, che in quanto tali restano
necessariamente astratti. La filosofia dell’arte deve invece configurarsi come prassi, e prassi filosofica che si svolge nella
concretezza del campo artistico. Il “prodotto” di tale pratica è, in primo luogo,
filosofico; dal punto di vista storico, tuttavia, l’elaborazione filosofica di poetiche,
quando sia generata, come pratica filosofica, dall’ordito della concreta prassi artistica, ha notoriamente sempre dato nuovo
impulso alla trama di quest’ultima, in un
rapporto dialettico fra le pratiche, che nel
loro incrociarsi producono un surplus di
senso, un “sovrappiù di mondo”. Il concetto di “pratica” è dunque la chiave di volta
della riflessione di Papi, ed esso va accompagnato dall’aggettivo “determinata”; una
sorta di endiadi, perché la riflessione, in
quanto pratica, è sempre situazionata, ha
sempre alle proprie spalle la trama e l’ordito delle pratiche da cui risulta. Non in una
concettualizzazione, ma in un’analisi “genetica”, quella relativa al prodursi dell’opera
d’arte, consiste dunque per Papi la filosofia
dell’arte.
E’ questo l’atteggiamento concettuale che
porta a un essenzialismo speculativo di
stampo hegeliano, rifiutato da Rüdiger
Bubner, contro il quale questi fa valere il
carattere aconcettuale, riconosciuto da
Kant, del giudizio di gusto. Nella sua polemica antiessenzialistica e anticoncettualista, Bubner mira a sottolineare come il
giudizio di gusto sospenda la questione
veritativa; per questo vengono rifiutate
impostazioni, come quella heideggeriana,
che continuando a mantenere la questione
della verità, e attribuendo un valore veritativo alla conoscenza estetica, finiscono
anch’esse per tradire la dimensione effettiva sulla quale si pone l’esperienza estetica,
quello dello Schein, dell’apparire. Come
sottolinea Gianni Carchia, la difesa bubneriana dello Schein va oltre le posizioni di
Kant, che certo non dissolve il concetto
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intellettivo nel giudizio di gusto, e non
propone una fondazione sensistica dell’estetica. A una posizione di questo tipo si
accosta invece Bubner, quando pone come
garante della propria impostazione antimetafisica il richiamo al dato empirico, che si
qualifica anzitutto come “storico”. Carchia
avanza dei dubbi sulla congruenza di un
così marcato richiamo al livello dell'empiria, e per di più storicamente determinata,
nei confronti di un’impostazione che si
vorrebbe trascendentale; al di là di ciò,
importa comunque sottolineare come il richiamo alla concretezza della poiesis e
delle fruizioni artistiche inserisca il soggetto estetico bubneriano in un ben diverso
orizzonte rispetto a quello prefigurato da
Kant, collocandolo nel luogo dell’intersecarsi delle pratiche storiche, cui fa riferimento anche Papi. Pur muovendo da una
problematica e da categorie prettamente
gnoseologiche, nel contesto della trattazione relativa al giudizio di gusto, Kant le
rielabora radicalmente, osserva Bubner, ma
tiene fermo a due fondamentali acquisizioni: l’identificazione dell’esperienza estetica con la «tensione fra contatto sensibile e
operare creativo», e l’affermazione dell’eccedere dell’arte rispetto a ogni oggetto
artistico, e dunque rispetto a ogni contenuto, a ogni significato particolare.
A partire da queste stesse premesse, Papi
mira a delineare una caratterizzazione del
rapporto fra il lettore e il testo, in cui è
escluso quel «lettore senza residui», che è
tale in quanto possessore di un sapere della
poesia. Questo modello di lettore è quello
prefigurato da una concezione mimetica
del linguaggio, dove l’elemento del significato acquisisce un rilievo specifico. In
questa prospettiva, la lettura di un testo, di
qualsiasi tipo esso sia, prevede da parte del
lettore una decodificazione come prassi
trasformativa, creatrice di significatività;
qui «il lettore è alla fine un operatore epistemologico connesso con una comunità
scientifica»: un accidente, se non un ostacolo, di fronte all’oggettività del significato. Sulla scorta della concezione di Hans
Robert Jauss, il lettore “ricettivo” viene
da Papi definito a partire dallo “scarto
estetico”, cioè dalla distanza fra l’opera
nuova e l’orizzonte di attesa preesistente.
Tale scarto non è tematizzabile, non è cioè
organizzabile nella forma di un sapere; è il
luogo del “fraintendimento” (spogliando il
termine da qualsivoglia caratterizzazione
valutativa), il luogo dove viene meno ogni
situazione comunicativa, dove non si dà
conoscenza, poiché il significato, che non
si oggettiva, non è ripetibile.
La poesia, come sostiene Vittorio Sereni,
al quale Papi dedica una parte consistente
del proprio libro, non è però esauribile
nella dimensione della comunicazione sociale e del significato: proprio perciò essa è
“pratica immaginaria”. Le condizioni di
verità della poesia non consistono nella
fedeltà a un denotato, ma in quella al testo
medesimo. La prossimità al testo poetico
avviene dunque per Papi non nella “traduzione”, che prevede l’esistenza di un signi-
PROSPETTIVE DI RICERCA
Friedrich Heinrich Jacobi, Immanuel Kant,
l’antica Università di Jena,
Karl Leonhard Reinhold, Johann Gottlieb Fichte
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PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Scritti kantiani di Jacobi
Il vangelo kantiano
Tre importanti scritti di Friedrich Heinrich Jacobi su Immanuel Kant sono
oggi disponibili in traduzione italiana
nel volume SCRITTI KANTIANI (a cura di G.
Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1992).
Il primo, SULL’IDEALISMO TRASCENDENTA LE, è in effetti la famosa appendice
all’opera DAVID HUME E LA FEDE del 1787;
il secondo è il noto trattato del 1801
SULL’IMPRESA DEL CRITICISMO DI RICONDURRE LA RAGIONE ALL ’INTELLETTO ; il terzo, il
più breve ma non meno significativo,
SULL’INSCINDIBILITÀ DEL CONCETTO DI LIBERTÀ E DI PROVVIDENZA DAL CONCETTO DI RAGIONE del 1799.
Dal 6 al 29 gennaio 1993, nella bella
sala, appena restaurata, del Senato
accademico della Friedrich-SchillerUniversität di Jena, si è tenuta una
mostra straordinariamente interessante dal titolo: DAS KANTISCHE EVANGELIUM.
DER FRÜHKANTIANISMUS AN DER UNIVERSITÄT J ENA VON 1785 BIS 1800 UND SEINE
VORGESCHICHTE , che documentava il
primo impatto del kantismo a Jena.
Tra le scoperte più interessanti risulta
che una lezione sulla CRITICA DELLA RAGION PURA era stata annunciata da
Johann August Ubrich nel 1784 e da
Erhard Schmid nel 1785.
I testi, per la prima volta disponibili in
lingua italiana, sono tradotti ed ampiamente introdotti da Giuliano Sansonetti, che,
dopo aver premesso alcuni brevi cenni di
biografia intellettuale, inquadrato la figura
ed evidenziato l’importanza del pensiero di
Friedrich Heinrich Jacobi nel suo tempo
e nella sua storiografia filosofica dell’Ottocento e Novecento, fino agli studi più recenti, si sofferma a delineare e puntualizzare i motivi del serrato e lungo confronto di
Jacobi con il pensiero di Spinoza e Kant.
Tra i motivi specifici degli scritti jacobiani
sulla filosofia di Kant, Sansonetti ricorda
soprattutto la critica di Jacobi alla concenzione kantiana della conoscenza nel suo
complesso, il rapporto tra “oggetto empirico” ed “oggetto trascendentale”, tra “fonomeno” e “cosa in sé”, ed infine - senza
ritenere con questo esaurito il contenzioso
tra Kant e Jacobi - la critica alla kantiana
idealità del tempo e dello spazio.
Giustamente Sansonetti mette in guardia il
lettore dalla difficoltà di distinguere nella
lettura dei testi proposti ciò che appartiene
a Jacobi filosofo e critico. Altrettanto opportunamente fa notare anche come, di
fronte alle tesi interpretative originali e alle
proposte personali di sviluppo, svolte e
presentate per di più con atteggiamenti
fortemente critici, polemici e a volte sarcastici, sia difficile sfuggire all’impressione
che Jacobi forzi il testo kantiano. Tuttavia,
conclude Sansonetti, non si può altrettanto
dire che egli non colga «il vero senso dell’opera kantiana». T.L.R.
Che molte biblioteche e archivi nel territorio della ex Germania orientale e nelle
nazioni dell’Europa orientale contengano
libri e documenti utili a chiarire diversi
momenti cruciali della storia dell’illuminismo tedesco è cosa risaputa, vista, in particolare, la notevole velocità con cui ebbe
luogo, allora, sia attraverso i libri, sia attraverso la peregrinatio academica, la circolazione delle idee. Per avere un’idea delle
dimensioni dell’area di cultura tedesca alla
fine del Settecento basta uno sguardo all’utile volumetto di Konrad Schröder, Vorläufiges Verzeichnis der in Bibliotheken
und Archiven vorhandenen Vorlesungsverzeichnisse deutschsprachiger Universitäten
aus der Zeit vor 1945 (Saarbrücken 1964),
un repertorio che raccoglie informazioni
sulla collocazione attuale, nelle più diverse
biblioteche europee, dei catalogi praelectionum di tutte le università di lingua tedesca prima del 1945. Nel caso particolare
della diffusione della filosofia critica, si è
trattato di un movimento da Est a Ovest,
che dalla periferica Königsberg, capoluogo della più orientale delle provincie prussiane, ha portato le idee di Kant fin nel
centro della Germania, prima tappa di un
processo che avrebbe dato a Kant diffusione europea.
Ora, che il kantismo avesse dapprima preso
piede all’Università di Jena, l’Alma Salana, era ben noto, in particolare per via delle
estreme conseguenze che dalle premesse
kantiane avevano tratto una schiera di giovani pensatori allora attivi a Jena e i cui
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nomi sono celebri: Karl Leonhard Reinhold,
Friedrich Schiller, Johann Gottlieb Fichte,
Wilhelm von Humboldt, Alexander von
Humboldt, Friedrich Wilhelm Georg Hegel (citati secondo l’ordine del loro arrivo
a Jena). Meno noto, ovvero del tutto ignoto,
era che il supposto iniziatore del kantismo
jenese, il viennese Reinhold, giunto a Jena
nell’ottobre del 1787, che con i suoi Briefe
über die Kantische Philosophie (del 1786 documenti 51-53) aveva aperto gli occhi
del grande pubblico sulla profondità e l’importanza della filosofia kantiana, si trovò
davanti dei colleghi che non solo avevano
compreso perfettamente la portata dei risultati raggiunti da Kant, ma addirittura li
avevano già sperimentati con successo nelle loro lezioni. Ed è stato proprio muovendo dalla corrispondenza tra il filosofo Christian Gottfried Schütz (1747-1832 - allievo
di Georg Friedrich Meier a Halle e direttore
della celebre Allgemeine Literatur-Zeitung)
e Kant - in particolare da un passo della
lettera di Schütz a Kant del 20.9.1785, in
cui si faceva menzione di una guida agli
studi preparata da Schütz, a nome della
facoltà filosofica della Salana, seguendo il
«Suo [di Kant] progetto», ovvero riprendendo testualmente le pagine dell’Architettonica della ragion pura dedicate alla
partizione della metafisica (KrV A 845 s.)
- che è riuscito a Norbert Hinske e ai suoi
colleghi jenesi, Erhard Lange e Horst
Schröpfer, di rintracciare l’originale, stampato a Jena in mille copie nell’aprile 1785,
con il titolo di Anweisung auf die zur philosophischen Facultät gehörigen Wissenschaften und deren Endzweck, Wichtigkeit
und Studium betreffend (documenti 5a-5b),
e di cui né i curatori del corrispondente
volume dell’epistolario kantiano, né Max
Wundt, l’autore di un’ampia ricostruzione
storica dedicata alla filosofia insegnata a
Jena, nemmeno sospettavano l’esistenza.
La ricerca sui documenti conservati presso
l’Universitätsarchiv e la Thüringer Universitäts-und Landesbibliothek di Jena ha
permesso ai curatori della mostra e del
puntuale catalogo che l’accompagna, Das
Kantische Evangelium. Der Frühkantianismus an der Universität Jena von 17851800 und seine Vorgeschichte. Ein Begleitkatalog (a cura di Norbert Hinske, Erhard
Lange und Horst Schröpfer, Frommann-
PROSPETTIVE DI RICERCA
Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1993)
di provare che i filosofi e i teologi jenesi
non solo conobbero a fondo Kant e la sua
filosofia, ma furono tra i primi in Germania
(almeno due anni prima di Reinhold) a
schierarsi - pur dopo accese discussioni - a
fianco di Kant. Cosa che procurò loro lo
scherno dei letterati di Weimar, Goethe,
Herder e Schiller, cui la tradizione attribuisce la ripresa in senso ironico dell’espressione (introdotta da Reinhold) di “Vangelo
kantiano” per indicare, appunto, la solida
devozione kantiana degli jenesi.
L’obiettivo principale della mostra consiste, dunque, nella precisa ricostruzione
delle ripercussioni della rivoluzione kantiana sulla didattica e sullo sviluppo intellettuale dei dotti jenesi, ad esempio negli
scritti di Johann August Ulrich (17461813), che fu (in assoluto) il primo ad
occuparsi della logica trascendentale all’interno di un manuale di logica e metafisica, e dei teologi Ernst Jakob Danovius
(1741-1782), Johann Jacob Griesbach
(1745-1812) e Johann Christoph Doederlein (1746-1792), che decisero di applicare la kantiana dottrina del metodo alla
teologia; come pure, senza dimenticare il
coetaneo Johann Gottlieb Fichte (17611814), negli scritti del filosofo Carl Christian Erhard Schmidt (1761-1812), che
con una nutrita serie di manuali e glossari
si impegnò efficacemente nella diffusione
della filosofia critica; e inoltre, cambiando
facoltà, nel kantismo professato dal professore di medicina Christoph Wilhelm
Hufeland (1762-1836) e dai giuristi Paul
Johann Anselm Feuerbach (1775-1833),
Gottlieb Hufeland (1760-1817) e Anton
Friedrich Justus Thibaut (1772-1840).
La mostra vuole essere un chiaro segno
della vitalità della ricerca storico-filosofica che si svolge oggi a Jena: per le ricerche
sulla storia della filosofia nell’aetas-kantiana - specialmente dopo la perdita dei
documenti conservati a Königsberg - Jena
risulta essere uno dei luoghi di maggiore
rilievo nazionale e internazionale. R.P.
La logica di Leibniz
Anche se non si tratta, nella loro totalità, di prime traduzioni, appare opportuno segnalare la nuova edizione
di due raccolte di scritti di Gottfried
Wilhelm Leibniz: la seconda edizione
riveduta, aggiornata e ampliata dell’antologia di SCRITTI DI LOGICA (a cura di
Francesco Barone, Laterza, Roma-Bari
1992) e la ‘CONFESSIO PHILOSOPHI’ E ALTRI
SCRITTI (a cura di Francesco Piro, Cronopio, Napoli 1992).
Non è inopportuno l’accostamento degli
Scritti di logica di Gottfried Wilhelm
Leibniz alla nuova traduzione di un testo
giovanile del filosofo tedesco, la Confessio
philosophi, accompagnata da tre scritti che
appaiono a essa contigui dal punto di vista
di uno sviluppo delle tematiche teologiche
e metafisiche in essa contenute. Come sostiene Francesco Barone nella nuova premessa e nel saggio introduttivo agli scritti
logici, è da rivedere, e forse da rovesciare,
la celebre tesi di Louis Couturat, che per
primo ha rivalutato, agli inizi del Novecento, l’opera logica di Leibniz, attribuendo
proprio ad essa la determinazione della
prospettiva metafisica del filosofo. Al contrario, sostiene Barone, è la concezione
metafisica a condizionare non solo la trattazione leibniziana della sillogistica, ma
anche le ricerche logico-matematiche relative al calcolo infinitesimale: «la formalità
degli schemi logici è concepita in funzione
di una dottrina ontologica». Non il principio logico del carattere analitico della verità, ma quello metafisico della costituzione
delle “caratteristiche”, e di un “calcolo”,
come chiave di penetrazione all’articolazione ontologica del reale rappresentano,
secondo Barone, il movente determinante
della riflessione leibniziana. Ciò accade,
osserva ancora Barone, perché con Leibniz, che appartiene al periodo in cui si
afferma la distinzione fra filosofia e scienza, la distinzione medesima non si è consumata come frattura. Proprio questo aspetto
è quello che ha probabilmente nuociuto
alla diffusione degli scritti logici, la cui
riscoperta teoretica appartiene agli inizi del
nostro secolo. Così nella questione della
teodicea, intesa come tentativo di conciliare bontà di Dio, libertà dell’uomo e origine
del male, ovvero nella questione della giustizia di Dio, centrale nella Confessio philosophi, più che di commistione di elementi logici e elementi metafisici, occorre
parlare di un percorso filosofico che, con
la guida di un metodo definitorio che ha la
sua più propria applicazione nelle ricerche
logico-matematiche, si snoda qui a dipanare le matasse che avvolgono tematiche
tradizionalmente ascritte a teologia e metafisica.
Relativamente alle questioni del peccato e
del libero arbitrio, come nota Francesco
Piro nella postfazione alla Confessio philosophi, la velata accusa mossa alle formulazioni tradizionali di questi problemi consiste, da parte di Leibniz, nella loro ambiguità. In questo testo, un dialogo tra un
filosofo e un teologo, per risolvere le questioni poste dal secondo il primo procede,
infatti, secondo il metodo definitorio, a
partire dal principio di ragion sufficiente,
secondo il quale nihil est sine ratione. Data
per accertata l’esistenza del male nel mondo, essa comporterebbe allora l’esistenza
del male in Dio come sua causa; ma Leibniz sfugge a tale conclusione, riesumando
la distinzione, già altomedioevale, tra esistenza necessaria ed esistenza contingente
come coincidenza nella prima, in quanto
causa sui, di essentia ed existentia. Dal
punto di vista logico, l’esistenza necessaria
indica quella il cui contrario deve essere
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pensato come contraddittorio, a differenza
di quanto accade per l’esistenza contingente. Dal punto di vista ontologico, il male
viene deprivato della sua sostanzialità; dal
punto di vista etico, la tendenza a esso si
presenta come errore; come deficienza, cioè,
della volontà, dovuta alla debolezza dell’individuo e della sua libertà.
L’intersecarsi dei vari piani dell’indagine
filosofica, che si riscontra nella prospettiva
leibniziana, così ben evidente nella Confessio philosophi, appare anche nella raccolta di scritti logici curata da Barone:
“scritti logici” che, come nota il curatore
stesso, secondo l’accezione del termine
“logico” valida agli inizi del nostro secolo,
avrebbe potuto comprendere quasi tutta la
produzione “filosofica” di Leibniz. Con
Husserl, Russell e Couturat, l’idea di una
mathesis universalis come perno della riflessione leibniziana, e quindi la tesi di un
carattere pervasivo dell’interesse logico nel
filosofo, prende il sopravvento sull’interpretazione “metafisica” del suo pensiero,
che si era imposta nel corso di Settecento e
Ottocento. Nel Novecento, l’evoluzione
formalistica della logica da un lato, e la
rivalutazione di ascendenze mistico-religiose (nonché platonico-cabalistiche) del
pensiero di Leibniz dall’altro, hanno mutato i termini della questione per come essa si
poneva agli inizi del secolo, comportando
il divaricarsi del settore disciplinare che è
oggi di pertinenza della logica da molta
parte della riflessione leibniziana, respinta
nel settore della metafisica. In questa situazione, d’altra parte, “ciò che è vivo” dell’esplicita commistione leibniziana tra logica e metafisica consiste, a parere di Barone, nell’ «esigenza propriamente filosofica»; l’esigenza, cioè, di prendere in seria
considerazione il portato ontologico di
un’impostazione della logica che troppo
spesso, pretendendo di trincerarsi nello
specialismo tecnico-formale, rischia, a differenza di quanto accade in Leibniz, di
rappresentare una convalida a posteriori di
presupposizioni ontologiche, non chiaramente esplicitate né discusse. F.C.
Baruch Spinoza:
un’attualità perenne
Pierre Macherey, allievo di Althusser e
professore alla Sorbona, ha recentemente dato alle stampe un volume dal
titolo: AVEC SPINOZA (Dalla parte di Spinoza, PUF, Parigi 1992), che raccoglie
una dozzina di studi su Baruch Spinoza, già comparsi, a diverso titolo, in
riviste specializzate. Introduce l’opera
un saggio inedito di Macherey, che fa
il punto sullo “stato” della letteratura
critica sul filosofo e sulle attuali tendenze dello spinozismo.
Considerando sintomatico l’isolamento
PROSPETTIVE DI RICERCA
di cui gode la filosofia di Spinoza all’interno della Fenomenologia dello Spirito
hegeliana, la più compiuta sistematizzazione del sapere filosofico, Pierre Macherey ne fa un titolo di merito. Dal
momento che non si risolvono in un
sistema chiuso e coerente, le “idee” di
Spinoza invitano ad una lettura aperta,
sollecitano ad una comprensione dinamica che ne evidenzi le potenzialità autonome di sviluppo. Il corpus dell’opera
diventa pertanto indissociabile dal commentario critico che l’accompagna; assieme costituiscono gli anelli di una catena che a ben vedere è già contenuta “in
potenza” nello svolgimento del testo, in
ragione del fatto che non è dato il contenuto del pensiero di Spinoza. Più propriamente Macherey parla di un vuoto,
di «una potenza infinita che non può
essere altro che la potenza dell’intelletto
in sé. E’ per questo che Spinoza può dire
che la propria filosofia è onnipotente,
perché è la vera filosofia». Filosofia dunque che non pone contenuti, ma che
insegna una pratica del pensiero, orientata verso la ricerca indefinita della comprensione del reale. Questa caratterizzazione “metodologica” in divenire garantisce l’attualità filosofica di Spinoza, le
cui tracce sono ricercate nelle filosofie
di pensatori ormai classici, quali Hobbes, Pascal, Condillac, come pure nei
percorsi di pensiero dei contemporanei:
Russel, Foucault, Adorno fino a Deleuze
e Negri. Conclude l’autore di Avec Spinoza, che «ciò che è certamente al centro
dell’impegno spinoziano è la sua inesauribile fecondità, la sua attitudine a generare continuamente nuove forme di pensiero».
Per rispondere alla domanda circa le
fondamenta culturali e filosofiche su cui
riposa la “permanente attualità” del pensiero spinoziano, Macherey evidenzia la
presenza di due tradizioni, che si incontrano e si scontrano senza assorbirsi: da
una parte una spiritualità «arcaica», che
viene al filosofo di Amsterdam dalle sue
origini ebraiche, e dall’altra la filosofia
cartesiana; due polarità inconciliabili,
che Spinoza si rifiutò sempre di sintetizzare in un sistema di pensiero unificato.
«Ciò che nella sua epoca ha caratterizzato Spinoza - afferma Macherey - fu appunto questa “anomalia”: la combinazione di arcaismo e avanguardia, che
egli realizzò facendo reagire questi elementi l’uno sull’altro e conferendo al
suo pensiero un carattere eccezionale,
spostato, o addirittura, con una formula
di Hegel, “declassato”». E.N.
Arte oratoria
Da alcuni anni si assiste al recupero e
alla rivalutazione della retorica non
solo - o non tanto - come “arte” finalizzata alla persuasione, ma anche - e
soprattutto - come scienza del discorso in senso metalinguistico e metaletterario. Non mi riferisco soltanto
alla ripresa (ormai “storica”) degli studi retorici a opera di Lausberg, di Florescu, di Perelman e Olbrechts-Tyteca, del “Gruppo µ” ecc.; né alludo
solamente alla vasta letteratura concernente la metafora. Penso piuttosto all’interesse per la retorica sia da
parte di quel ramo della linguistica
che va sotto il nome di “linguistica del
testo” o “discourse analysis”, sia da
parte di alcuni studiosi che - specialmente in Spagna - si occupano di
teoria della letteratura o di poetica,
come ad esempio A. Garcia Berrio, T.
Albaladejo Mayordomo, ecc.. All’interno di questa attuale rivalutazione
della retorica si colloca anche l’edizione italiana dell’opera di John Ward,
SISTEMA DI ARTE ORATORIA 1759 (introduzione, traduzione, note ed excursus
di Roberto Salvucci, Edizioni QuattroVenti, Urbino 1992).
Figura eclettica, quella di John Ward.
Nato a Londra nel 1679, ricoprì la cattedra
di retorica al Gresham College di Londra e
fu membro di varie associazioni, fra cui la
“Royal Society”); fu inoltre curatore del
British Museum. La curiosità culturale di
Ward fu ampia: si interessò di letteratura,
storia, giurisprudenza, religione, economia,
filosofia, musica, ecc. Morì nel 1758. La
sua opera fondamentale, A System of Oratory (Sistema di arte oratoria), apparve
postuma, in due volumi, nel 1759. Come
precisa Roberto Salvucci nella sua dettagliata “Introduzione”, in cui viene ricostruita la complessa personalità di Ward e la
sua concezione della retorica, il System of
Oratory è suddiviso in 54 lezioni e la sua
idea-guida «è che l’arte oratoria teorizzata
dai classici può essere ancora utilmente
frequentata dagli uomini intraprendenti ed
attivi della società contemporanea».
Opponendosi alla “letteraturizzazione”
della retorica, Ward studia e assimila i
modelli classici attraverso la lezione umanistico-rinascimentale. La posizione assunta da Ward nei confronti della retorica lo
portava a considerare questa scienza in
relazione con la società: in un periodo
storico in cui i valori di onore, giustizia e
onestà «si vengono sempre più oscurando a
scapito del profit of interest, Ward invita il
suo uditorio - osserva Salvucci - ad esercitare l’eloquenza, nelle assemblee, affinché
le deliberazioni concernano sempre ciò che
sia both good and profitable, ossia buono e
utile». Una concezione della retorica e dell’oratoria, questa, che si potrebbe definire
etico-pragmatica e che derivava anche dal
profondo interesse di Ward per la storia,
soprattutto per la “storia civile”: la storia
(civile) «è una narrazione di quegli eventi
che sono adatti ad essere trasmessi ai poste43
ri per l’utilità degli uomini e per una migliore condotta della vita umana». Del resto, Ward si dimostra pienamente razionalista quando afferma che «il fondamento di
un buon stile risiede principalmente nel
buon senso» e che lo stile si fa «più corretto e vigoroso» se fra le idee si realizza una
stretta connessione: «Quando le idee si
distendono con linearità [...] nella mente,
le esprimiamo con facilità e nella loro
giusta connessione e dipendenza; ma, quando sono avviluppate e tortuose, le esprimiamo con pena e difficoltà, come pure in
modo disordinato».
Sul problema della chiarezza espressiva
Ward ritorna più volte. Ora, se alla base di
tutto ciò - come sottolinea Salvucci - stanno Cicerone e Quintiliano, è possibile anche vedere in Ward certe anticipazioni delle famose “massime” di Grice (soprattutto
quella che riguarda il “modo”). Questo
riferimento a Grice ci riporta a quanto detto
all’inizio sul rapporto fra retorica e discourse analysis. Infatti, al pari di Grice,
anche Ward pone l’accento sulla conversazione, sul dialogo e sul rapporto fra questi
e la scrittura. Afferma Ward: «Poiché il
fine del parlare è la conversazione, nessun
genere di scrittura può essere più naturale
del dialogo in cui si esprime la conversazione. [...] La materia del dialogo è estremamente ampia, dal momento che tutto ciò
che è argomento appropriato di un discorso, pubblico o privato, serio o scherzoso;
tutto ciò su cui uomini saggi e prudenti
possono parlare per realizzare un progetto
o per divertimento, è adeguato ad un dialogo». A parte, ancora una volta, il naturale
taglio etico (ma qui anche edonistico) di
questo brano, come non vedervi quasi anticipati il concetto di Textsorten e l’importanza dell’impromptu speech? Corredata, a
cura di Salvucci, di tre ampi excursus su
Sofistica e Oratoria, sull’analisi delle forme argomentative condotta da Ward e,
infine, sulla grandezza e corruzione dell’ars oratoria, quest’opera si dimostra una
miniera di osservazioni, spunti, suggerimenti, provocazioni ed esempi, utili al lettore moderno non solo per costruire discorsi corretti ed efficaci, ma anche per istituire
un rapporto razionale e costruttivo con la
società in cui vive. L.V.
Petrarca e la medicina
Lo studio di Klaus Bergdolt: ARZT,
KRANKHEIT UND THERAPIE BEI PETRARCA. DIE
KRITIK AN MEDIZIN UND NATURWISSENSCHAFTEN IM ITALIENISCHEN F RÜHHUMANISMUS
(Medico, malattia e terapia in Petrarca. La critica della medicina e delle
scienze della natura nel primo umanesimo italiano, VGH, Acta humaniora,
Weinheim 1992) presenta un aspetto
poco noto della figura di Petrarca: la
sua critica alla medicina dell’età della
PROSPETTIVE DI RICERCA
scolastica.
In uno studio dettagliato ed erudito, corredato da un fitto apparato di note, Klaus
Bergdolt analizza passaggi fondamentali
dei trattati e delle lettere di Petrarca in
relazione al problema del suo rapporto con
la medicina scolastica dell’epoca. In alcuni
capitoli dell’opera si trovano materiali e
osservazioni su ambiti eccentrici rispetto al
tema del libro, come ad esempio un excursus sulla teoria dell’arte sviluppatasi nell’ambiente dell’Università di Padova o
un’altro sull’Università di Montpellier.
Alcuni aneddoti sulla vita di Petrarca e sul
suo rapporto personale con la malattia costituiscono momenti di intrattenimento, in
un’opera altrimenti ispirata ai criteri dello
studio accademico e filologico. E’ il caso di
una lettera inviata nell’inverno 1370 dal
poeta al suo medico Giovanni Dondi; al di
là dell’aneddoto la lettera è indice di un
atteggiamento introspettivo di Petrarca e
del suo tentativo di stabilire un rapporto
con la propria malattia. Il poeta, febbricitante, scrive al proprio medico per non
sentire la febbre, per indirizzare la propria
attenzione, attraverso l’attività della scrittura, in un’altra direzione. L’atteggiamento scettico di Petrarca rispetto alla medicina dell’epoca si mostra qui attraverso il
filtro della sua esperienza personale: al
medico che lo aveva messo in guardia
rispetto a presunti effetti dannosi, per un
febbricitante, dell’acqua di fonte, della frutta
fresca e del digiuno, egli risponde smontando inesorabilmente le sue argomentazioni. Petrarca aveva del resto altre ragioni
per dubitare della medicina scolastica. La
peste del 1348 gli aveva portato via numerosi amici, ma soprattutto gli aveva tolto
Laura, donna da lui amata e musa ispiratrice della sua poesia. Dopo la morte di Laura
la smisurata delusione di Petrarca si sfoga
nelle Invectivae, con cui il poeta si scaglia
contro il medico personale del papa Clemente VI e ridicolizza i medici formatisi
tra le sottigliezze della retorica e della
logica scolastiche. Si può così comprendere come all’arroganza di tali medici Petrarca contrapponesse quel senso della finitezza umana che si esprime anche nella
sua lirica. M.M.
Gassendi fra epicureismo
e cristianesimo
Dopo un’assenza di quasi trecento anni
ricompaiono nelle librerie francesi i
sette volumi dell’ABRÉGÉ DE LA PHILOSOPHIE DE GASSENDI (Compendio della
filosofia di Gassendi, Fayard, Paris
1992) di François Bernier in una edizione curata da Sylvia Murr e Geneviève
Stefani. L’opera è il risultato visibile
dell’impulso alla ricerca prodotto dal
riaccendersi dell’interesse per la figura e il pensiero di Gassendi, di cui è
un’ulteriore conferma la recente fondazione della Société internationale
d’études gassendiennes e dall’inaugurazione del Centre d’études gassendiennes a Digne dove, nel 1592,
nasceva Pierre Gassendi.
François Bernier, medico, viaggiatore,
uomo di lettere amico di Racine, La
Fontaine e Boileau, a vent’anni dalla
morte di Gassendi (1655), si propose di
diffonderne il pensiero attraverso
un’opera di volgarizzazione. Il Compendio si presenta quindi come un’esposizione in lingua francese e in forma “alleggerita” della filosofia di Gassendi,
classicamente tripartita in Logica, Fisica e Morale. Il materiale è per lo più
attinto dal Syntagma philosophicum, nel
quale Gassendi aveva esposto la sua rielaborazione della concezione epicurea,
nella ricerca di un accordo con la rivelazione cristiana. L’opera, rimasta incompiuta e pubblicata postuma, di fatto testimonia soltanto l’ultima fase del pensiero del suo autore; è inevitabile allora
domandarsi fino a che punto la versione
di Bernier offra una autentica visione
d’insieme della posizione di Gassendi,
anche se indubbiamente risveglia la curiosità nei confronti di un pensiero dagli
aspetti così difficilmente conciliabili.
Un uomo di chiesa che si occupa di
astronomia e si dice grande ammiratore
di Galileo proprio quando il Sant’Uffizio condanna la teoria copernicana come
eretica può sembrare contraddittorio; ma
può anche darsi che Gassendi fosse un
prete dalla mentalità eccezionalmente
aperta. Non meno arduo fu armonizzare
religione cristiana ed epicureismo, dove
l’equivocità del compromesso è comprovata dalla simpatia che per Gassendi
ebbero i libertini e gli illuministi. L’influenza di Montaigne, e soprattutto quella
di Charron, orientarono Gassendi verso
una posizione empirico-scettica che ne
fece un polemico oppositore tanto dell’aristotelismo e del cartesianesimo
quanto dell’indirizzo magico-occultista.
Contro l’atteggiamento dogmatico dei
primi e quello irrazionalistico dei secondi, il dubbio scettico e il successivo richiamo all’esperienza furono comunque
finalizzati al tentativo di salvare dallo
scetticismo la conoscenza scientifica,
anche se il prezzo da pagare fu l’incrinarsi di qualsiasi pretesa fondazionistica del sapere scientifico da parte della
metafisica. Allo stesso modo fu il valore
epistemologico riconosciuto alle allora
recenti esperienze della fisica nascente,
unito ad un’esigenza di rigore e di plausibilità, che portò Gassendi ad abbrac-
44
ciare le tesi dell’atomismo di Epicuro.
Così il dogma della rivelazione, accettato senza riserve, lungi dal costituire un
ostacolo, permetteva di rinunciare ad
ogni giustificazione razionalistica, delimitando contemporaneamente la sfera
del conoscibile alla quale l’uomo poteva
accedere con la “nuova scienza”. M.V.
Carteggio Freud-Binswanger
Stima e affetto profondi e reciproci
legavano Sigmund Freud e Ludwig
Binswanger in un rapporto non privo
di tratti “edipici”. Sul piano teorico
Freud fu però diffidente rispetto alla
possibilità di fondare filosoficamente
la prassi analitica, come invece intendeva fare Binswanger, riferendosi
soprattutto a Heidegger. La recente
pubblicazione, con il titolo di BRIEFWECHSEL 1908-1938 (a cura di Gerhard
Fichtern, Fischer, Frankfurt a. M. 1992),
del carteggio tra il padre della psicoanalisi e il fondatore della “Daseinsanalyse” può aiutare a chiarire e comprendere aspetti umani e controversie
scientifiche di tale rapporto.
Il primo incontro tra Sigmund Freud e
Ludwig Binswanger avviene nel 1907,
quando Binswanger, allora giovane medico, accompagna a Vienna Carl Gustav Jung
e sua moglie. Le caratteristiche emotive di
tale incontro appaiono subito ben delineate. All’epoca, il rapporto del giovane Binswanger con il padre si poneva sotto il
segno del principio di realtà; il padre rappresentava la “legge” e l’esempio da seguire nell’obbedienza: prima intraprendendo
la carriera di medico, poi l’attività di psichiatra e in seguito quella di direttore del
celebre sanatorio Bellevue di Kreuzlinger.
Al contrario, Freud appare come una sorta
di “padre ideale”, capace di guidare intellettualmente il figlio e al tempo stesso di
assistere, senza interferire, all’individuazione da parte di questi di una propria
strada nella vita e nella scienza. Che si
trattasse di un’idealizzazione, fu poi confermato dallo sviluppo di tale rapporto, e
dallo scetticismo (per non dire dalla disapprovazione) di Freud rispetto al tentativo di
Binswanger di trasformare la psicoanalisi
in Daseinsanalyse, analisi esistenziale,
basandosi sulla filosofia dell’”esserci” elaborata da Heidegger in Essere e tempo.
Il carteggio offre la testimonianza di una
tendenza all’autoillusione da parte di Binswanger circa la disponibilità di Freud ad
accettare tale inversione di rotta verso la
filosofia: così, annunciando in una lettera a
Freud del 1922 la pubblicazione della sua
Allgemeine Psychologie (Psicologia generale), Binswanger si dichiara persuaso «di
tendere, attraverso una via concettuale, allo
stesso scopo a cui [Freud] si [era] tanto
avvicinato attraverso una via empirica,
quella cioè di creare una base per la conoscenza psicologica dell’uomo». Freud, di
PROSPETTIVE DI RICERCA
formazione mediconaturalistica (e filosoficamente simpatizzante per Schopenhauer), era però in parte diffidente, in
parte estraneo alle sistematizzazioni filosofiche e ai tentativi di fissare in concetti la
ricerca empirica e il concreto lavoro analitico e interpretativo. Così, dopo la lettura di
alcuni capitoli della Allgemeine Psychologie, Freud risponde a Binswanger, esprimendo il dubbio che egli possa riuscire nel
suo tentativo, facendo a meno dell’inconscio, e chiedendosi se il più giovane collega
non sia stato preso dagli artigli del “diavolo
filosofico”. In questo contesto si potrebbe
domandarci se anche il termine “inconscio” non rinvii a una dimensione di concettualizzazione filosofica, o quantomeno
a una fissazione concettuale dei risultati di
quell’esperienza sui generis che è la prassi
analitica. Una tale domanda circa il senso
dell’inconscio è stata posta, in un ambito,
quello fenomenologico, non distante dalle
preoccupazioni della Daseinsanalyse, da
Eugen Fink. Non si conosce la risposta di
Binswanger alla lettera in questione di
Freud. In questo caso il curatore del carteggio rinvia, in una nota, all’anno 1956, quando, nelle sue Erinnerungen an Sigmund
Freud (Ricordi di Sigmund Freud), Binswanger rifiuta la critica di aver rinunciato
al concetto di inconscio, affermando di
avere invece «trasformato, ampliato e approfondito» tale problema: attraverso il
metodo della Daseinsanalyse la secca contrapposizione tra conscio e inconscio passa
infatti a suo parere in secondo piano, a
vantaggio di una descrizione delle modalità concrete dell’”essere-nel-mondo”.
Nel carteggio gli aspetti scientifici del rapporto Freud-Binswanger si intrecciano a
quelli privati. Qui emergono, in particolare, alcuni aspetti “profondi” della personalità di Binswanger. Si vedano, ad esempio,
alcuni passi delle lettere del periodo successivo alla morte del figlio maggiore
(1929), nel quale Binswanger vedeva un
predestinato ed eletto prosecutore della
propria attività scientifica e terapeutica. In
occasione del suo cinquantesimo compleanno, Binswanger annota nelle pagine del
suo diario: «Gli amici mi augurano una
buona seconda metà di secolo. Per me
questo augurio è ovvio, tanto mi sento
giovane e pieno di progetti, come se stessi
per iniziare una seconda vita con Bobi in
me. Il dolore appartiene al pieno vivere».
Interessanti sono anche quelle parti del
carteggio che illuminano aspetti della nevrosi delle classi agiate che frequentavano
lo studio di Freud e la casa di cura diretta da
Binswanger, mettendo al tempo stesso in
luce quello che all’epoca appariva uno dei
tratti più “scandalosi” della psicoanalisi: il
porre la famiglia all’origine dei disturbi
nevrotici. Gli individui appartenenti a questo “pubblico” borghese che, più che del
lettino di Freud avevano bisogno di assistenza e di osservazione, vengono sottoposti, nella lussuosa casa di cura binswangeriana sul lago di Costanza, a trattamenti che
Terzo congresso pisocoanalitico internazionale,
al centro Sigmund Freud, secondo da sinistra Ludwig Binswanger;
nella foto sotto, Sigmund Freud nel 1931
45
PROSPETTIVE DI RICERCA
appartengono oggi alla preistoria della psicoterapia e della psicoanalisi: bagni, somministrazione di bromuro, lavoro manuale
e movimento. Tutto ciò con il consenso
critico di Freud, che sovrintendeva da lontano alla formazione del giovane allievo,
ben diversa, in anni pionieristici della psicoanalisi, da quella attuale fondata sull’analisi didattica. M.M.
Althusser: diario di prigionia
tare una scrittura per resistere al presente
immobile del campo di concentramento, di
trasformare un’esperienza di negazione in
un’occasione di formazione, sapendo che
rimarrà ineliminabile «il lento oscuramento interiore che sento scendere su di me».
Vale leggere queste pagine anche come
testimonianza aperta di un’esistenza contesa tra volontà di cercare una disciplina
filosofica e il buio della follia. E.N.
Heidegger e il sofista
La recente traduzione del primo volume della biografia di Louis Althusser
(L’AVVENIRE DURA A LUNGO, Guanda, Milano 1992) ha riproposto all’attenzione del pubblico italiano la figura contrastata di uno dei più problematici
“maître à penser” degli anni ’70. Per
la preparazione di quest’opera, Yeann Moulier Boutang, il suo biografo,
è andato a cercare nei cospicui fondi
dell’IMEC (Institut des Memoires de
l’Edition Française) il diario di prigionia di Althusser, che copre il periodo
in cui il filosofo era recluso nei lager
nazisti, offrendolo alle stampe con il
titolo: JOURNAL DE CAPTIVITÉ. STALAG XA,
1940-1945 (Diario di prigionia. Stalag
XA, 1940-45, a cura di Olivier Corpet e
Yeann Moulier Boutang, IMEC/Stock,
Paris 1992).
Esperienza incancellabile, vissuta nel “tempo immobile” del campo di concentramento, che Louis Althusser ventenne registra
con dolorosa disciplina in questi quaderni,
riprodotti nel manoscritto dai curatori. La
funzione di cronista dello Stalag di Schleswig gli era stata affidata dalla benevolenza degli altri reclusi a causa delle sue cattive condizioni di salute; è dunque nell’agio,
del tutto relativo, di questo compito che
Althusser ha il tempo di scrivere e di studiare: Pascal, Goethe, Hölderlin, Rilke, La
Bruyère sono i compagni d’elezione, la cui
frequentazione si lascia percepire nei brevi
saggi, nelle poesie e negli aforismi presenti
in questi fogli diaristici. Per chi intenda
ripercorrere la biografia intellettuale del
filosofo, questi diari rappresentano un
momento fondamentale del percorso di
Althusser, rafforzando la tesi di Boutang
che afferma l’esistenza di una linea di continuità tra le posizioni cattoliche conservatrici di Althusser da giovane e le posizioni
marxiste radicali dei suoi anni maturi. Una
continuità intellettuale e morale che il biografo accredita in sede storica, evidenziando un percorso che va dal cristianesimo
cattolico al comunismo.
Più modestamente l’interesse biografico di
questi scritti è quello di contribuire alla
messa a fuoco della personalità complessa
di Alhusser: il movimento pendolare tra
disperazione e lucidità intellettuale, il tentativo di dare argini razionali al senso di
negazione della sua esperienza di recluso.
Tutto ciò si raccoglie nell’intento d’inven-
Prosegue la pubblicazione, nella GESAMTAUSGABE heideggeriana, dei testi
delle lezioni universitarie del filosofo:
è ora la volta del corso sul “Sofista”
platonico, P LATON: SOPHISTES (Gesamtausgabe. II Abteilung: Vorlesungen 1919-1944, vol. XIX, Klostermann,
Frankfurt a. M. 1992), tenuto da Heidegger nel semestre invernale 192425 all’università di Marburgo.
«E’ chiaro infatti che voi da tempo siete
familiari con ciò che intendete quando
usate l’espressione essente; anche noi credemmo un giorno di comprenderlo senz’altro, ma ora siamo caduti nella perplessità».
Commentando queste parole tratte dal Sofista platonico Martin Heidegger introduceva, all’inizio di Essere e tempo (1927),
quella che sarebbe stata la questione fondamentale del suo itinerario filosofico: la
necessità di una riproposizione del problema del senso dell’essere in generale. La
lettura delle lezioni dedicate da Heidegger
nel 1924-25 (in un periodo immediatamente precedente la stesura di Essere e
tempo) al Sofista di Platone può dunque
costituire motivo di interesse per chi cerca
di dipanare i molteplici fili storico-teoretici che si intrecciano nel tessuto della filosofia heideggeriana.
Nel dialogo platonico un seguace di Parmenide di Elea, il filosofo che aveva separato nettamente la via della verità, o dell’essere, dalla via dell’opinione o del nonessere, si interroga sullo statuto della verità filosofica. La via di accesso a questo
problema è costituita dalla distinzione tra
il sofista e il filosofo. Attivi nell’Atene del
V secolo a.C., i sofisti, almeno secondo
l’immagine che di essi viene data nel dialogo platonico, negavano la possibilità di
distinguere in linea di principio il vero dal
falso e scambiavano l’essere con il nonessere. Questa posizione può certo essere
intesa come uno stratagemma critico-pedagogico, rivolto contro coloro che fanno
mostra di sapere ciò che in realtà non
sanno, ma sembra anche precludere all’essere umano, «misura delle cose che sono e
che non sono», come voleva il sofista
Protagora, l’accesso a una verità metafisica. Tuttavia anche Socrate, non sofista ma
“filosofo”, faceva ampio uso di tali stratagemmi critico-ironico-pedagogici e identificava la saggezza con il sapere di non
sapere. Su questa base ci si può legittimamente domandare quale sia la differenza
46
tra il sofista e il filosofo, tra l’opinione
(soggetta ad errore) e l’amore della verità.
Sono queste alcune delle domande che
fanno da filo conduttore del corso heideggeriano sul Sofista, pubblicato ora nel vol.
XIX della Gesamtausgabe a cura di Ingrid Schüßler e ricostruito accuratamente
sulla base di appunti e dei manoscritti del
testo delle lezioni. La filosofia antica, e in
particolare Platone e Aristotele, costituisce una delle fonti principali di cui si nutre
il pensiero heideggeriano ai suoi inizi,
mentre l’ultimo Heidegger si rivolgerà ai
filosofi presocratici. Già a Friburgo, nel
1923, Heidegger aveva studiato la filosofia di Aristotele, dedicando la propria attenzione soprattutto all’Etica nicomachea.
Nel corso sulla logica del semestre invernale 1925-26 (apparso nel 1976) alcune
osservazioni sul problema della verità vengono sviluppate nel contesto dell’interpretazione di alcune parti della metafisica
aristotelica. Nel 1922, poco prima della
chiamata all’Università di Marburgo,
Heidegger aveva scritto, per sottoporla al
giudizio di Paul Natorp, la cosiddetta Aristoteles-Einleitung, pubblicata nel 1989
nel “Dilthey-Jahrbuch” a cura di HansUlrich Lessing. Per diversi motivi le lezioni heideggeriane del periodo di Marburgo
sono state sinora interpretate come una
preparazione a Essere e tempo, un’opera
che introdurrebbe nella filosofia heideggeriana una rottura e un nuovo punto di partenza, quello del problema del senso dell’essere. Nelle lezioni del periodo di Marburgo
sarebbe invece prevalente un’impostazione
condizionata da tematiche di carattere esistenziale, “pragmatistico” e da motivi della
“filosofia della vita” di matrice diltheyana,
orientate contro la filosofia dei valori e il
trascendentalismo del neokantismo.
Questa immagine del pensiero heideggeriano del periodo marburghese può essere
forse parzialmente corretta dalle lezioni
sul Sofista, che mostrano l’esistenza di una
certa continuità con alcune tematiche di
Essere e tempo e addirittura, secondo alcuni commentatori, con l’opera di Heidegger
posteriore alla cosiddetta Kehre, “svolta”.
Tema di queste lezioni è da una parte il
senso della filosofia (e dell’esistenza filosofica, o autentica) e dall’altra, ad esso
legato, quello dell’essere. Più di un terzo
del testo delle lezioni è dedicato non al
Sofista, ma all’analisi della distinzione tra
phronesis e sophia, sviluppata da Aristotele nell’Etica nicomachea, ed è su questa
base che viene considerata la distinzione
tra esistenza quotidiana e filosofica. Quest’ultima è caratterizzata per Heidegger dal
fatto di essere dedicata, in modo disinteressato, all’essere dell’ente: in questo senso la
vita teoretica (sophia) è, aristotelicamente,
la modalità più elevata dell’esistenza.
Ma che cosa distingue il sofista dal filosofo? Come si può parlare del non-essere?
Come è possibile distinguere l’errore dalla
verità? Heidegger sembra qui riprendere,
nel diverso contesto del proprio pensiero,
la risposta platonica: è la dialettica, in
quanto riflessione sul discorso, che per-
TESTATINA
L’Associazione degli Amici di
Spinoza , costituitasi nel 1989, ha
proceduto al rinnovo del Direttivo
nell’Assemblea generale tenutasi
a Urbino il 12 novembre 1992, in
occasione della commemorazione
di Emilia Giancotti, presidente nel
triennio 1989-1992. Il nuovo Direttivo, eletto per il triennio 19921995, è così costituito: Mino Chamla (Univ. di Milano), Paolo Cristofolini (Scuola Normale Superiore
di Pisa), Piero di Vona (Univ. di
Napoli), Filippo Mignini (Univ. di
Macerata), Giuseppa Saccaro Battisti (Univ. di Roma “La Sapienza”), Cristina Santinelli (Univ. di
Urbino), Emanuela Scribano (Univ.
di Venezia). Il nuovo Presidente è
Filippo Mignini.
La Presidenza ha sede presso il
Dipartimento di Filosofia e Scienze umane dell’Università di Macerata, via Garibaldi 20, cap. 62100,
tel. 0733/258323, F ax o733/
258329. La Segreteria e la redazione del Bollettino presso l’Istituto
di Filosofia dell’Università di Urbino, via Saffi 9, cap. 61029, tel.
0722/320525.
Quanti siano interessati alla ricerca su Spinoza e allo spinozismo,
possono dare la propria adesione
chiedendo di essere iscritti all’Associazione. La quota annuale di
iscrizione - che dovrà essere versata dopo l’accoglimento della domanda inviata alla Presidenza - è di
L. 25.000 e può essere pagata con
vaglia postale indirizzato a Daniela Bostrenghi, Segreteria dell’Associazione Italiana degli Amici di
Spinoza, Istituto di Filosofia dell’Università, via Saffi 9, 61029 Urbino.
Sono state pubblicate nella rivista
tedesca Die Zeit (n. 30, 17 luglio
1992, a cura e con un commento di
Klaus Garber) tre lettere tra lo studioso di mistica ebraica Gerschom
Scholem e Dora Pollak, moglie di
WALTER BENJAMIN . Scholem,
amico di Benjamim, conobbe Dora
Pollak nel 1916 e, dalla primavera
1918 all’estate 1919, frequentò
quotidianemente la casa della famiglia Benjamin in Svizzera, godendo della più stretta intimità di
Walter, Dora e del figlio Stefan. Le
lettere pubblicate dalla Zeit (provenienti dal fondo dei manoscritti
della biblioteca nazionale e universitaria di Gerusalemme) risalgono al 1941-42 (agli anni, dunque, immediatamente successivi
alla morte di Benjamin), e rispecchiano il bisogno dei due personaggi di mantenere vivo il ricordo
non solo dell’amico e dell’ex-marito, ma anche - in anni tragici per
l’Europa - di un’epoca e di un ambiente della cultura ebraica e tedesca. Dora Pollak cerca, attraverso
Scholem, di recuperare alcune tracce di Benjamin (dal quale era separata legalmente): libri, oggetti, fotografie, ricordi personali; Scholem, che già dal 1923 viveva in
Palestina, e che dopo la morte del-
NOTIZIARIO
l’amico si era dedicato alla raccolta dei suoi scritti e di tutto ciò che
potesse essere utile per ricostruirne la vita, si rivolge a Dora Pollok
come a colei che più era stata vicina a Benjamin, pregandola di trascrivere i ricordi del marito in vista
della stesura di una biografia. Dora
Pollak risponde a Scholem proponendosi di inviargli tali ricordi in
forma di lettere; una promessa che,
per quanto si può evincere dai materiali disponibili nell’archivio
benjaminiano di Gerusalemme, non
sarebbe poi stata mantenuta.
Ma la vicenda esistenziale di Benjamin è destinata a suscitare anche
altre polemiche, in particolare per
quanto riguarda la sua morte, ancora avvolta dal mistero. Alla luce
di una serie di nuovi documenti,
Ingrid Scheurmann (“Frankfurter
Rundschau”, 15. XII. 92) mette in
dubbio sia la versione dei funzionari spagnoli, secondo la quale
Benjamin fu vittima di una morte
per apoplessia cerebrale, sia anche
la versione ufficiosa di Henny Gurland, che conferma l’ipotesi del
suicidio. Nonostante tutti i dubbi
da lei addotti, anche Scheurmann
ammette che la tesi del suicidio
non possa essere definitivamente
abolita. Tuttavia potrebbe pur sempre essere possibile che il gruppo,
insieme al quale Benjamin attra-
versò il confine spagnolo, e di cui
faceva parte anche Henny Gurland,
sia riuscito a celare alla Guardia
Civil le vere cause della sua morte
per risparmiare a tutti i componenti del gruppo noiose indagini. All’ipotesi di Scheurmann ha reagito, sullo stesso giornale, Hans Puttnies, che insieme a Gary Smith ha
pubblicato nel 1991 un volume dal
titolo: Benjaminiana. Puttnies è
convinto di poter correggre ogni
dettaglio dei documenti addotti da
Scheurmann. Nell’insieme egli respinge la grave calunnia di Scheurmann nei confronti di Henny Gurland, quella fotografa che a Berlino ha lavorato per una rivista di
sinistra, il cui marito ha combattuto nella guerra civile spagnola, e
che, nella sua fuga in America,
aveva conosciuto Benjamin a Marsiglia. «Non vi è niente nella vita
dolorosa di questa donna - afferma
Puttnies - che dia adito di dubitare
della sua sincerità».
Con il volume di Fabio Bazzani e
Alessandro Guidi, Il rischio e la
chiacchiera. Il luogo del discorso
etico tra filosofia e psicoanalisi,
prende il via, presso l’Editore Borla di Roma, la collana TALKING
CURE del Centro di Ascolto e
Orientamento Psicoanalitico di Pi-
ERRATA CORRIGE
Nell’articolo: Diritto e Stato in Hegel (“Informazione Filosofica”,
n. 8/9, settembre 1992), con la denominazione errata di “Societas der
Freunde der dialektischen Philosophie” si deve intendere la “Internationale Gesellschaft für dialektische Philosophie - Societas Hegeliana”. Essa non ha il suo “baricentro” nella Germania orientale, presso
la “Deutsche Akademie der Wissenschaften”, bensì è stata fondata a
Francoforte con lo scopo di intensificare il dialogo filosofico tra tutte
le filosofie razionali e conta tra i suoi oltre 300 membri filosofi
provenienti da tutti i continenti. Organo ufficiale della suddetta società
non è la rivista “Dialektik” di Amburgo, ma gli “Annalen der Internationalen Gesellschaft für dialektische Philosophie”, diretti da Domenico Losurdo, presidente della società stessa. Infine l’indicazione di
una particolare vicinanza dei membri di questa società con il progetto
della Europäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften,
edita dall’editore Meiner di Amburgo, deve essere ridimensionata in
una collaborazione occasionale di alcuni membri a tale progetto.
47
stoia, diretta da Alessandro Guidi.
Il volume, frutto della collaborazione e del confronto tra un filosofo e uno psicoanalista, mette in
rilievo, verificandole appunto sui
temi del rischio e della chiacchiera, due stili differenti di approccio
al problema dell’etica ed un comune riferimento: il luogo dell’esperienza e dell’esistenza. La collana
“Talking Cure” intende rappresentare uno spazio di dibattito tra studiosi di diversa provenienza disciplinare, tuttavia interessati ai temi
della psicoanalisi, dell’etica, della
filosofia, dell’antropologia. In questo quadro di intervento pluridisciplinare ed intersettivo è in preparazione il volume, che vede il contributo di vari autori, su La funzione
del padre nella clinica e teoria
psicoanalitica.
Nell’ambito di un ACCORDO DI
COOPERAZIONE stipulato tra la
Facoltà di Lettere e la Facoltà di
Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Losanna (docenti:
Marie-Jeanne Borel, Claude Calame, Mondher Kilani), il Collège
International de Philosophie di
Parigi (decente: Francis Affergan)
e il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia (docenti: Silvana Borutti, Ugo Fabietti) si sono
svolti e sono in corso di svolgimento colloqui e seminari su temi
di epistemologia, epistemologia
delle scienze umane, epistemologia dell’antropologia. Per il 1993 è
prevista l’organizzazione di giornate di studio sul tema: “Modellizzazione dell’oggetto antropologico: vedere, sapere, scrivere l’antropologia”, che dà avvio ad una
ricerca comune su “La trascendenza culturale: costruzione e distruzione dell’oggetto antropologico”,
che si articolerà su più punti, tra loro
collegati e complementari, e finalizzati a un ripensamento critico della
questione dei fondamenti epistemologici dell’antropologia: 1. Esistono
degli oggetti antropologici? Analisi
delle condizioni di possibilità e della
storicità dell’oggetto antropologico.
2. L’oggetto antropologico come presentazione/rappresentazione: analisi
delle procedure di modellizzazione e
schematizzazione; realtà e finzione
dell’oggetto antropologico. 3. Le forme delle categorie, dei concetti, delle
nozioni antropologiche: analisi dei
procedimenti di formulazione, descrizione, traduzione-alterazione; la questione delle metafore e del trasferimento simbolico in generale; “métissage” et “rapatriement” dei concetti;
le differenti logiche pratiche. 4. Traduzione e formulazione nel discorso
antropologico: il residuo nella traduzione, la questione dell’esistenza di
una logica naturale, la questione universalismo/relativismo. 5. Procedure e oggetti ritrovati: reciproca critica
della questione dei fondamenti dell’antropologia; discussione dei modelli di fondazione (ermeneutica,
cognitivismo, dialogismo, testualismo, ecc.); l’antropologia “rimpatriata”. Tale accordo di cooperazione prevede scambi di insegnamenti per durate limitate, scambi
CONVEGNI E SEMINARI
Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger,
Michel Foucault,
Jacques Derrida, Jean-Paul Sartre
48
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Filosofie contemporanee
Se la filosofia contemporanea è essenzialmente apertura – apertura problematica del pensiero verso un orizzonte possibile di senso – , una significativa conferma di ciò si è avuta dal
ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA. CIÒ’ CHE É VIVO, CIÒ’
CHE É MORTO , dedicato a figure della
scena filosofica contemporanea, svoltosi presso la Casa della Cultura di
Milano fra ottobre e dicembre 1992. Il
ciclo, ideato e organizzato da Fulvio
Papi (se ne veda la presentazione sul
numero 10 di questa rivista), ha visto
interventi di Pier Aldo Rovatti, Salvatore Natoli, Carlo Sini, Silvana Borutti,
Maurizio Ferraris e Mario Vegetti.
A partire da una rilettura dell’opera, soprattutto postuma, di Jean Paul Sartre,
Pier Aldo Rovatti ha proposto due questioni fondamentali, in base alle quali il
dibattito filosofico contemporaneo può utilmente rivolgersi al pensiero di questo filosofo. La prima riguarda la possibilità di
trovare in Sartre elementi per l’elaborazione della nozione di alterità, così come essa
viene oggi proposta da Levinas, Ricoeur e
Derrida, e giungere a una “morale della
distanza”. Essa consiste nella rivalutazione
del ruolo dell’alterità come momento costitutivo dell’ipseità, ovvero della soggettività di quell’essere che non coincide con sé
stesso, in quanto si “tiene a distanza” da sé
medesimo. In questo modo la prospettiva
di lettura di Sartre riceve una correzione
rispetto alle accuse di umanismo metafisico, spesso rivolte, da Heidegger in poi, al
filosofo francese. L’elaborazione di una
nuova nozione di soggettività, in connessione con quella di alterità, rimanderebbe
dunque all’idea di un possibile superamento, inteso come “distorsione” (Verwindung)
della metafisica e dei suoi concetti.
Al rilievo di Fulvio Papi, secondo cui la
riflessione sartreana, pur a prescindere dalle sue stesse autointerpretazioni, si presenta effettivamente come una forma di radicale coscienzialismo, imperniata sulla nozione del “per sé”, Rovatti ha risposto sostenendo che una prospettiva storico-filosofica deve senza dubbio tener conto del
coscienzialismo come di una caratteristica
essenziale del pensiero di Sartre, ma non
può escludere un’impostazione teoretica,
tesa alla ricerca di elementi divergenti,
“più contemporanei”. La seconda questione emersa durante la conferenza concerne
il problema della parola filosofica. Secondo Rovatti occorre sottolineare che le molteplici forme della scrittura, in cui Sartre si
è cimentato, non riguardano il tentativo di
esprimere un medesimo contenuto attraverso linguaggi diversi, bensì quello di
trovare, tramite forzature della scrittura,
una nuova pratica filosofica; emerge dunque qui la questione del carattere “narrativo” della ricerca filosofica e della sua scrittura e, proprio per questo, della sua incommensurabilità con quella scientifica. Il tentativo sartreano rimarrebbe dunque ben
distante da quell’ideale di oggettività
“scientifica” proposto da Edmund Husserl, in virtù del quale Enzo Paci, come ha
ricordato Rovatti, rimproverava alla riflessione sartreana proprio il suo carattere di
descrittività, e un minor grado di concettualizzazione.
I testi postumi di Sartre configurano un
progetto di sistema della morale. La tesi
della finitezza umana, ha notato Rovatti,
non può che portare al trascendimento del
piano gnoseologico, e sfociare in quello
etico: la verità diventa una questione pratica. Su questa base Rovatti ha accostato la
posizione di Sartre a quella di Martin
Heidegger, con una coincidenza delle determinazioni di libertà, esistenza, verità;
l’etica sartreana pare in questo animata
dalla volontà di perdersi, nella sua rinuncia
ai comodi (pragmaticamente) occhiali dell’universalità scientifica per i più ardui
strumenti dell’etica interpretativa, laddove
la libertà si definisce come un progettare a
partire dalla passività, come un “agire la
fatticità”.
Anche nella ricerca di Michel Foucault,
ha rilevato Salvatore Natoli, emerge come
centrale la questione del soggetto. Costituendosi a partire dalla ricerca della verità,
esso descrive, nella riflessione di Foucault,
un percorso che va dalla “morte dell’uomo” alle tecnologie del sé. Ripercorrendo
l’analisi foucaultiana, Natoli ha sottolineato come il concetto di uomo, che entra in
crisi con la fine dell’Ottocento, abbia un’esi49
stenza relativamente breve, poiché la sua
data di nascita va collocata verso l’inizio
del XX secolo, con l’avvento delle “scienze umane”. L’io, come soggetto della filosofia moderna, come soggetto cartesiano,
non è ancora “uomo”, ma solo un principio
d’ordine, l’unità vuota della rappresentazione, riempita dal sistema di ordinamenti.
Le scienze umane creano invece il luogo in
cui l’uomo, ridotto a oggetto naturale, nasce come quell’essere naturale la cui specificità, d’après Kant, dopo Kant, consiste
nell’essere fine a sé stesso. Proprio qui
inizia però la sua dissoluzione: dal punto di
vista dell’oggettivabilità esso perde infatti
la propria unità, in quanto diventa l’oggetto
di diversi “punti di vista”.
Nell’articolarsi della riflessione foucaultiana, Natoli ha individuato tre momenti: il
costruirsi della verità nella parola, gli effetti della verità, il costituirsi del sé. La verità
si colloca nella storia, nella ricostruzione
genealogica, che non consiste nella ricerca
di un’origine naturale, ma nell’acquisizione di un sé, e rappresenta, come tale, un atto
ermeneutico. L’ ”origine” si manifesta qui
sotto le spoglie dell’antecedenza, e i documenti non valgono come elementi di una
ricostruzione cronologica, ma come “monumenti”, vestigia di un’indagine di tipo
“archeologico”. A causa delle “rotture epistemologiche”, quello che si presenta alla
ricerca della nostra origine è un paesaggio
di rovine, senza la possibilità di ripercorrere gli stadi naturali della nostra evoluzione,
che ci appaiono come positività frantumate. La verità, che appartiene al discorso,
non può dunque riguardare un singolo oggetto nella sua staticità, nella quale esso
non può che rappresentare un frammento.
La verità pertiene solo alla ricerca genealogica, che ricostruisce il discorso nella sua
effettualità, nel suo essere dotato di un’efficacia, e perciò di un potere.
Proprio la questione della verità è stata al
centro della rilettura del pensiero di Martin Heidegger, proposta da Carlo Sini, che
ha preso le mosse dal confronto del filosofo
tedesco con Aristotele e Husserl nel corso
di lezioni marburghese pubblicato con il
titolo: Logica. La questione della verità.
Quella della verità si manifesta come questione del logos fin da Aristotele; il discorso è “apofantico”, cioè “fa vedere” (idein)
CONVEGNI E SEMINARI
e si manifesta come “gesto del corpo”, che
si articola nella voce. Nella sua dimensione
“originaria”, quella che “conserva la cosa”,
il logos si determina secondo tre momenti:
come indicazione, come predicazione e
come comunicazione, dove il significato
che fonda gli altri è il primo. Il logos si
determina dunque, in una prospettiva fondativa, come relazione segnica; la proposizione espressa, di cui si occupa la tradizione logica, e la dimensione del suo uso a fini
comunicativi, costituiscono due fenomeni
di ricaduta, due manifestazioni derivative.
Come sostiene Heidegger, che assume qui
uno dei caposaldi della fenomenologia, il
logos, come relazione segnica che costituisce “il mondo”, si colloca nella verità,
poiché è quest’ultima a rendere possibile la
proposizione, e non viceversa. D’altra parte, ha osservato Sini, in questo modo anche
Heidegger, come la tradizione filosofica
alle sue spalle, muoverebbe dalla Auslegung, cioè dalla proposizione espressa, dalla
lingua. Egli dà così a quest’ultima un ingiustificato primato, basato sul presupposto
che l’”indicazione”, cioè la relazione segnica, debba necessariamente articolarsi
come espressione. Con ciò Heidegger ricadrebbe, secondo Sini, nell’antropologismo,
senza uscire dal “cerchio magico” del logos, quello determinato dalla “volontà di
verità” del logos stesso, confondendo la
verità con la sua espressione: la lingua, che,
come ogni pratica, ha la sua verità, ma
come “cosa” non può esaurire la verità,
perché essa medesima costituisce il caso
particolare di un altro sistema di segni.
Occorre dunque un’analisi delle pratiche,
degli “usi”.
Richiamandosi a Maurice Merleau-Ponty, Sini ha ribadito che la pratica rappresenta l’”originario”, il “precategoriale”. Per
questo l’essere dell’uomo non è mai nel
presente, ma sempre un po’ avanti, nel
progetto, o un po’ indietro, nell’origine:
l’essere dell’uomo è nel rimando; esso si
determina a partire dalla relazione segnica.
Quest’ultima dà quindi la struttura dell’essere, nonché l’articolarsi della temporalità,
la cui questione, ha ribadito Sini, va dunque posta a partire dall’essere delle pratiche, e non viceversa. La “danza delle pratiche” non è temporale, è semmai ritmo;
poiché nessuna pratica può parlare di sé
stessa, l’analisi delle pratiche va compiuta
nel loro gioco, che si qualifica come “etico”, intendendo con ciò il collocarsi e l’essere definito del soggetto da quelle pratiche, alle quali esso è, letteralmente, “soggetto”. Origine delle pratiche è l’assemblaggio delle stesse; a differenza di Husserl, ha sostenuto Sini, è proprio la questione di questa origine, quella del “da dove” si
parla, del “da dove” si pongono le domande, che Heidegger non è riuscito a porre.
Nel suo intervento dedicato a Ludwig
Wittgenstein, Silvana Borutti ha proposto un percorso di lettura dei testi del filosofo guidato dal concetto di forma, prendendo le distanze dall’interpretazione cor-
rente che contrappone rigidamente un primo Wittgenstein - quello del Tractatus - da
un secondo - quello delle Ricerche filosofiche. L’origine di queste divergenze interpretative è individuabile nella concezione
del linguaggio, che Wittgenstein fa emergere nel Tractatus. Secondo Borutti, questa concezione non è riconducibile a quella
neopositivistica, che vede il linguaggio
come rappresentazione (Vorstellung), trascrizione raffigurativa di oggetti dati secondo un modello logico, rigorosamente
formalizzato. Wittgenstein, al contrario,
inaugura una riflessione sulle condizioni di
possibilità del linguaggio, ne evidenzia il
carattere trascendentale. Funzione del linguaggio diventa non la rappresentazione
mimetica, bensì la presentazione (Darstellung), l’esibizione ostensiva della forma,
cioè della struttura della realtà: il linguaggio è forma in quanto strumento di una
possibile configurazione dell’oggetto. La
pregnanza del termine Bild, usato comunemente da Wittgenstein per alludere a ciò
che produce il linguaggio e che è generalmente tradotto con immagine, la si coglie
in pieno se intendiamo questo termine come
quadro, ovvero come insieme compositivo
di una forma realizzata. In quanto produttore del nesso strutturale di un insieme,
l’unità linguistica significante non è il nome,
ma la proposizione. L’orizzonte del linguaggio esibisce una forma e nel contempo
ne costituisce il limite, così come per il
paesaggio naturale l’orizzonte determina
la forma e insieme il contorno invalicabile
di un colpo d’occhio umano.
L’idea del linguaggio espressa nel Tractatus non si fonda su una semantica di tipo
referenziale, ma sull’autonomia significante
del linguaggio. Questa idea ritorna nella
Ricerche filosofiche, ma si configura in
modo differente. Wittgenstein rinuncia qui
ad una immagine monocorde del linguaggio come forma unica ed inaugura l’idea di
un sistema differenziale di forme. In questa
visione pluralistica del linguaggio consiste, secondo Borutti, la cosiddetta “svolta”
rispetto al Tractatus, e non semplicemente
in una presa d’atto della complessità delle
funzioni pratiche del linguaggio - asserzioni, preghiere, comandi ecc.-, come è stato
sostenuto e sviluppato dalla filosofia analitica. Non si tratta, dunque, di fare un semplice catalogo degli usi e dei contesti linguistici, ma di esplorare le possibilità ostensive e costruttive del linguaggio. E’ questa
la segreta efficacia di ciò che Wittgenstein
definisce il gioco linguistico: nella fitta e
complessa trama di una famiglia di somiglianze e di differenze di cui è intessuto,
esso permette di evidenziare una forma
all’interno di esempi di applicazione. Parlando, affermiamo la nostra appartenenza
ad un gioco linguistico che, tuttavia, pratichiamo come sfondo costitutivo senza poterlo rappresentare tematicamente. Non si
tratta della negazione del fondamento, ma
della sua indicibilità, o, per dirla altrimenti,
della sua ineffabilità. Se l’apertura del lin50
guaggio è condizione etico-estetico del dire
umano, l’esperienza del linguaggio si connota di una imprevista coloritura poetica,
estranea ad ogni tentazione di reificazione
del mondo attraverso una sua fondazione
filosofica.
Se il decostruzionismo di Jacques Derrida consiste nell’investigare con radicalità
le tracce di un pensiero, nel suo intervento
Maurizio Ferraris ha adottato questo atteggiamento nei confronti di Derrida stesso, alla ricerca delle radici teoretiche del
suo itinerario filosofico. Egli ha individuato nella fenomenologia di Edmund Husserl
una matrice fondamentale nella genesi e
nello svolgimento del pensiero di Derrida,
analizzando alcuni scritti che testimoniano
questa processualità riflessiva. Il primo di
questi scritti è la sua tesi complementare di
laurea del 1954, Il problema della genesi
nella fenomenologia di Husserl, in cui si
evidenzia la stretta connessione tra l’immediatezza intenzionale e la mediazione
formale in Husserl, per cui il telos verso le
cose stesse non è istantaneo, ma è il frutto
di un lungo processo di mediazioni (epoché, riduzione dell’atteggiamento naturale, costituzione dell’oggetto). Ecco venire
alla luce una significativa radice teorica del
pensiero di Derrida: il tema della traccia e
della ripetizione, in quanto frutto di una
implicazione reciproca tra l’assoluta immediatezza e la totale mediazione.
Seconda tappa di questo itinerario di pensiero è uno scritto del 1962, una lunga
“Introduzione” all’Origine della geometria di Husserl, nel quale Derrida affronta il
tema della scrittura, che si configura come
“il luogo delle obiettività ideali assolutamente permanenti”. Tre sono momenti che
conducono a questa definizione: in primo
luogo la verità si presenta come intermittente nella nostra coscienza, per cui deve
fissarsi con la permanenza della memoria;
in secondo luogo la verità deve superare i
confini dell’individuo, quindi deve essere
comunicata nella forma del dialogo; in
terzo luogo la possibilità della verità universale ed eterna è legata alla possibilità di
ripetizione infinita attraverso un’idealizzazione, che è l’essenza della scrittura. La
scrittura può quindi preservare la verità in
assenza del soggetto, e questa notazione ha
uno sfondo insieme gnoseologico ed esistenziale, perché lega la costituzione dell’idealità alla presenza della morte nel destino del soggetto. Tuttavia Derrida sviluppa in seguito una critica serrata della scrittura e del logocentrismo, facendo riferimento al Fedro di Platone, laddove Socrate
denuncia l’esteriorità della scrittura e sostiene che il vero discorso non è quello
delle parole scritte, ma quello interiorizzato nell’animo di colui che sa.
Prendendo spunto da quest’ultimo passaggio, Ferraris ha indicato un testo del 1967,
La voce e il fenomeno, in cui ritorna il
confronto con Husserl (in riferimento alla
Prima ricerca logica), che opera una distinzione tra segno ed espressione. Il segno
CONVEGNI E SEMINARI
ha una funzione indicativa; è il derivato
della realtà non-presente, e questo comporta un’aporia irriducibile della scrittura. La
scrittura in quanto rappresentazione ed esteriorità è finzione di una realtà non-presente. L’effetto teorico è che verità e finzione
si avviluppano inestricabilmente tra loro, e
questo conferma come l’esito ricorrente
del pensiero di Derrida sia la scoperta di
una serie di figure aporetiche nella filosofia
contemporanea.
In un ciclo dedicato ai filosofi contemporanei, l’unica apparente eccezione è stata la
relazione di Mario Vegetti, che invece di
prendere in esame un autore contemporaneo ha voluto saggiare la possibile contemporaneità del pensiero di Platone. Vegetti
ha imperniato il suo intervento sul carattere
originale e aperto dello stile filosofico di
Platone, più portato ad aprire dei vuoti, cioè
degli spazi riflessivi di interrogazione e di
dialogo, che non a produrre un sistema
compatto di enunciati e quindi una visione
piena del mondo. Nel Libro VI della Repubblica Platone afferma che il lavoro filosofico è potenza della dialettica, cioè capacità critica e confutatoria nei confronti dei
sistemi di credenza, installati nei luoghi del
mondo, e dei suoi latori di verità (i sacerdoti, i generali, i politici ecc.) al fine di far
emergere un punto di vista di verità come
una sorta di fuoco di convergenza. Questo
punto di vista, però, non si configura come
un insieme di enunciati, ma - rileva Alain
Badiou - come categoria operazionale.
L’interrogazione critica non si propone di
giungere ad una saturazione del vuoto, ma
di indicare un punto prospettico ideale, per
cui la potenza della filosofia non si costituisce come verità aggiuntiva accanto alle
altre, ma come dialogo, in quanto processualità circolare di ascolto e di domanda,
nel quale il riferimento sia quel punto di
vista negletto nei regimi plurali di verità
insediati nel mondo e divenuti consuetudinari. Secondo Vegetti questa immagine
dialogica e aperta della verità platonica è
molto più rilevante di quella affermativa e
definitoria che una certa storiografia - si
pensi alla scuola di Tubinga - si è sforzata
di individuare e che ha ricondotto ai principi dell’Uno e della Diade.
Ora, si chiede Vegetti, come si riflette
questa dialogicità di Platone su temi quali
l’idea del Bene e la questione della politica
e dell’utopia? Il Bene è per Platone il fuoco
virtuale dei valori e della verità, il punto di
riferimento delle cose buone e desiderabili,
ma non può essere dominio di enunciati
teorici. Esso non si pone sul piano delle
altre idee, ma si costituisce come un apriori generatore di esse, quindi trascendente anche il piano degli enti. In quanto
tale, il Bene non è descrivibile come oggetto epistemologico. Ne segue un ineluttabile paradosso: il Bene è un potente principio
generatore di verità, senza poter essere
controllato da un dispositivo conoscitivo di
verità, ma solo verificato nei suoi effetti.
Con il discorso sul Bene s’intrecciano im-
mediatamente i temi della politica e della
utopia. Infatti: la conoscenza del Bene dà
senso al potere e lo legittima, ma, non
essendo un ente e non potendo essere definito concettualmente, rimane esperienza di
una parte assai ristretta della comunità e
non è democraticamente controllabile e
verificabile. Platone, ha osservato Vegetti,
trae da questo conseguenze provocatorie
per la nostra cultura liberal-democratica ciò che Gadamer ha definito “una sfida
provocatoria”. Innanzitutto nel campo della gestione del potere: se gli uomini sono
negati al Bene, essi devono diventare sudditi della piccola minoranza che, detenendo il Bene, ha il dovere di imporlo con il
dominio, per realizzare un’uguaglianza in
prospettiva. In secondo luogo, nel campo
dell’utopia: se la negazione della comunità politica dipende dalla famiglia - il luogo
della privatizzazione degli affetti - e dalla
proprietà individuale - la base strutturale
della privatizzazione -, la polis deve eliminare famiglia e proprietà per una totale
socializzazione degli affetti e dei beni. Lo
stile filosofico dialettico ci restituisce dunque un Platone scandaloso nei confronti
della democrazia e della libertà: anche in
questo si misura la sua contemporaneità.
F.C./F.S.
L’epoca classica
della scienza greca
In una serie di lezioni dal titolo: FILOSOFIA E SCIENZA GRECA NELL ’EPOCA CLASSICA,
tenute dal 12 al 16 ottobre 1992 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
Arpád Szabó ha inteso dimostrare con
rigore filologico come la vicinanza strumentale e metodica di geometria ed
astronomia, trascurata dalla scienza
moderna, sia stata oltremodo feconda
nella storia della scienza greca.
Secondo Arpád Szabó, il primo importante contributo alla preistoria della scienza
viene da Eleati e Pitagorici. Quando si
consideri che in un noto frammento Parmenide contrappone alla fallace percezione la
ricerca razionale, all’abitudine di avvalersi
dei sensi, frutto dell’esperienza, la via della
verità, sembrerebbe intuitivamente difficile avvicinare tale antiempirismo alla pratica osservativa, mentre possiamo trovare
tale legame nel pitagorismo, alle cui dottrine spesso la tradizione filosofica non ha
riconosciuto spessore teorico. I pitagorici
sono stati i primi pensatori ad aver tentato
di dare consapevolmente alla conoscenza
della natura una base quantitativa, matematica, operando il passaggio da una geometria ancorata alla materia ad una geometria i cui oggetti sono enti geometrici idealizzati. Nell’ambito di questa geometria
organizzata matematicamente i pitagorici
giungono alla dimostrazione dell’incom51
mensurabilità del lato e della diagonale del
quadrato, attraverso l’enumerazione degli
infiniti casi nei quali ciò si verifica, ma il
metodo eleatico, confutando, secondo l’insegnamento di Zenone, le conclusioni e
non le premesse delle argometazioni antitetiche, con la loro riduzione all’assurdo.
Dopo aver rilevato come Eleati e Pitagorici, per i comuni procedimenti logico-dimostrativi, siano tra loro più vicini di quanto la
tradizione storiografica non dica, Szabó ha
sottolineato ripetutamente lo stretto rapporto tra astronomia e geometria nella scienza greca. Anassimandro introduce per primo in Grecia lo gnomone, già babilonese,
determinando solstizi ed equinozi e costruendo sulle misurazioni effettuate con
tale strumento un vero modello astronomico, in cui sono già contenuti gli elementibase del futuro geocentrismo tolemaico. A
questo proposito, ha osservato Szabó, mentre l’astronomia orientale si fonda sull’aritmetica, ovvero sulla visione della volte
celeste come insieme di punti, non è possibile, secondo i Greci, un’astronomia senza
geometria. In età ellenistica, un doppio filo
lega l’astronomia alla geometria negli Elementi di Euclide: proprio la terminologia
puramente geometrica di Euclide doveva
risultare estremamente funzionale all’astronomia; come la geometria euclidea non
usa, a proposito dei gradi dell’angolo,
espressioni numeriche ma geometriche, così
nella letteratura astronomica i gradi sono
“misurati” come parti della circonferenza.
Anzi, il neoplatonico Proclo (V secolo d.C.,
autore, fra l’altro, di uno scritto Sul Libro I
degli Elementi di Euclide) è così convinto
dell’evidenza di tutto questo, che suggerisce di leggere la geometria euclidea come
una propedeutica all’astronomia.
La fondazione di una geografia matematica viene attribuita generalmente ad Eratostene di Cirene (III secolo a.C.); secondo
Szabó, è invece Ipparco di Nicea (II secolo
a.C.) ad avere questo merito. Coniugando
molto più strettamente astronomia e geometria di quanto non avesse fatto Eratostene, Ipparco non solo conobbe i diversi
rapporti dell’ombra meridiana a mezzogiorno in località diverse della terra, ma li
usò per determinare la latitudine geografica della regione considerata, vale a dire la
distanza di quella regione dalla linea equatoriale. La stessa grande sintesi di Claudio
Tolomeo (II secolo d.C.), deve la sua coerenza al lungo lavoro di Ipparco, il primo a
scrivere un trattato sulle corde comprese in
un cerchio, e quindi a fondare la trigonometria, indispensabile per l’astronomia e la
geografia matematica. A.I.
CONVEGNI E SEMINARI
La persona e le sue immagini
Il tema della persona è stato al centro
dell’annuale convegno, dal titolo: LA
PERSONA E LE SUE IMMAGINI, organizzato
dalla Cattedra di Filosofia Morale in
collaborazione con il Dipartimento di
Ricerche Filosofiche dell’Università di
Roma “Tor Vergata”, svoltosi nei giorni 22, 23 e 24 ottobre 1992.
Il quadro speculativo entro il quale oggi si
colloca il concetto di persona è divenuto
quanto mai complesso e problematico, sollecitando una rinnovata consapevolezza
critica e la possibilità di verificarne oggi i
possibili fondamenti, ridefinendone lo statuto ontologico. Ciò soprattutto in seguito,
da un lato, al tramonto delle ideologie, che
sembra conferire nuova attualità alla nozione di persona, e dall’altro al declino dei
sistemi metafisici tradizionali, da cui risulta al contrario una critica radicale non solo
alla nozione di soggetto, di soggettività, ma
anche alla stessa nozione di persona.
Tenendo conto della mutata condizione
speculativa, dei nuovi linguaggi e delle
nuove prospettive di senso che muovono la
riflessione filosofica contemporanea, il convegno si è articolato in maniera tale da
affrontare direttamente, attraverso le relazioni principali, i problemi connessi allo
statuto ontologico della persona. Giovanni
Santinello ha evidenziato soprattutto a livello gnoseologico il nucleo speculativo
essenziale della persona, dando ampio spazio alla sua rilevanza sul piano etico-giuridico. Le ambiguità insite nel concetto di
persona, dal punto di vista ontologico, sono
state invece dibattute dalla relazione di
Franco Chiereghin, che senza trascurare
le difficoltà del tema ha tuttavia insistito
sulla connessione del concetto di persona
con il motivo della libertà.
La critica radicale nei confronti della nozione di persona sollevata dalle forme della decostruzione in atto nel panorama filosofico contemporaneo è stata al centro
della relazione di Antonio Pieretti, che ha
però cercato di superare tale critica, trattando della persona in riferimento al modello rappresentato dal rapporto presenzaulteriorità.
Livio Sichirollo ha contribuito ad ampliare il discorso sulla persona, soffermandosi
soprattutto su alcune delle sue figure principali, come l’io, la personalità, l’azione;
figure che nella consistenza del volto, dell’icona e del simulacro avrebbero dovuto
inoltre essere approfondite da Carlo Sini,
improvvisamente assente. Giuseppe
Riconda ha poi riflettuto su un’ontologia
della persona che nel rapporto esistenzatrascendenza trova il suo momento principale. La relazione di Armando Rigobello
ha invece evidenziato la relazione reciproca della questione della fondazione dell’altro con il programma etico-politico del
personalismo, non trascurando affatto le
difficoltà che incontrerebbe oggi il proget-
to personalistico-comunitario di Emanuel
Mounier.
La problematica complessità della persona, tanto nel suo aspetto teoretico che storico e storiografico, è infine stata discussa
nell’ambito di una tavola rotonda che si è
arricchita degli interventi di Xavier Tillette, Pietro De Vitiis, Mario Signore, Luigi
Alici, che hanno poi aperto un ampio dibattito col pubblico intervenuto. Il convegno è
stato pure occasione per un bilancio storiografico sul fenomeno del “personalismo”,
così come si è sviluppato tra gli anni Trenta
e Cinquanta.
Nel suo complesso il convegno ha mostrato
come, filosoficamente orientata, l’analisi
dell’esperienza interiore della persona possa
essere posta in primo piano e divenire il
centro fondante di un’ulteriore prospettiva
teoretica, o sfumare in una visione estesa al
contesto cosmologico e metafisico. Il discorso sulla persona rimane comunque aperto e suscettibile di un ulteriore approfondimento, che potrebbe venire anche dalla
riflessione sul tema ad esso opposto e complementare dell’ ”impersonale”, su cui dovrebbe riflettere il convegno programmato
per il prossimo anno. G.Pa.
Scienza e metafisica moderna
La rivoluzione scientifica compiuta
dalla metafisica moderna, con l’affermazione che l’uomo è colui che progetta e comprende il mondo intero, è
stato il tema del ciclo di lezioni dal
titolo: METAPHYSICAL FOUNDATIONS OF THE
17TH CENTURY SCIENCE, tenute da Dmitry Nikulin dal 28 settembre al 1 ottobre 1992, presso l’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli. L’indagine di Nikulin ha inteso mettere in risalto l’evoluzione che hanno subito i principali concetti scientifici dall’antichità
all’età moderna, con il relativo passaggio da una visione qualitativa ad
una quantitativa del mondo fisico.
Nella modernità il principio della costruzione attiva della verità implica che l’ascolto
della natura, la sua contemplazione, si trasformi in una vera e propria manipolazione, dal momento che la natura non è più
concepita come la seconda rivelazione di
Dio, ma semplicemente come res extensa
inanimata, destituita da qualunque dignità
interiore e soggetta a trasformazioni secondo il modello della soggettività umana.
Secondo Dmitry Nikulin le conseguenze
immediate di tale concezione sono l’eliminazione della distinzione classica tra naturale e artificiale e l’identificazione della
meccanica con la fisica, con la rivalutazione di alcuni concetti della scienza, come
quelli di materia e infinito.
Distinguendo due differenti sostanze, quella pensante e quella estesa, Cartesio riduce
52
la materia a spazio e considera sostanza lo
spazio e l’estensione. Con questo, osserva
Nikulin, la materia non viene più considerata come pura alterità o come nulla, bensì
come energia, come soggetto dotato di
attributi quali estensione, durezza, mobilità, impenetrabilità. Ritenendo poi che vi
sia un’unica materia per tutte le cose e le
entità, Cartesio identifica la materia fisica
con quella geometrica. Ciò significa che la
fisica è fondamentalmente equiparata alla
matematica, come anche alla meccanica,
che diventa la prima tra le scienze, una
scienza rigorosa che studia il mondo come
se fosse una macchina. Tutto l’universo è,
così, matematico e i corpi geometrici sono
costruiti e concepiti nella loro materialità,
cioè spazialità ed estensione in un singolo
spazio.
Con Cartesio, ha inoltre rilevato Nikulin,
anche il problema dell’infinito cambia il
suo ruolo e diventa un segno di perfezione.
L’infinito è la prima cosa conosciuta che
non trae origine da una semplice negazione del limite, ma significa una conoscenza
reale e positiva. Esso è posto come concetto precedente, dal quale il finito risulta per
restrizione. Una tale concezione di infinito
genera ora una nuova immagine e nozione
di movimento. Mentre nell’antichità il
movimento circolare era considerato perfetto e uniforme, con la nuova concezione
dell’infinito il movimento perfetto e uniforme è quello rettilineo. La linea retta
infinita diviene dunque espressione del
perfetto attributo del mondo, mentre il
cerchio è solo indice di errore, un’immagine falsa dell’illimitato e smisurato infinito.
Anche il concetto di tempo subisce delle
notevoli modificazioni. Nell’antichità il
concetto di tempo ha la sua prima formulazione nel Timeo di Platone, che lo considera “un’immagine dell’eternità” secondo
il numero. Il tempo è considerato creato,
esistente solo in quanto l’eternità esiste, e
comprendente in sé non solo l’identità, ma
anche l’alterità. L’eternità caratterizza il
mondo ideale divino: il sempiterno è peculiare delle entità create, ma immortali; il
tempo invece appartiene alle cose mortali,
che hanno una “durata”, e sono destinate a
morire. In questa concezione della temporalità si dispiega con chiarezza l’intuizione greca della superiorità dell’essere sul
divenire, del limite sull’illimitato, della
perdurante stabilità del fluire che dissipa.
La nuova metafisica europea, ha rilevato
Nikulin, si propone di mettere in relazione
tempo e movimento in una visione dove
coincidono la quantificazione geometrica
e l’onnipotenza divina. Il tempo non indica alcuna esistenza reale, ma piuttosto una
capacità o una possibilità di esistenza costante o di essere: esso non misura la
durata dell’esistenza divina, ma la rappresenta nella maniera più adeguata, per cui
Dio non è concepito come essere eterno in
nunc stans, bensì come essere immortale e
duraturo, cioè come essere senza fine.
CONVEGNI E SEMINARI
Poiché l’esistenza divina è immutabile, il
tempo è del tutto uniforme, cioè è una
quantità indipendente e assoluta, continua
e costantemente fluente. Ma la durata del
tempo esiste e può essere misurata soltanto dalle capacità sensoriali dell’uomo e da
strumenti umani artificiali. Ciò significa,
ha osservato Nikulin, che la verità o la
rappresentazione della realtà suprema deve
essere costruita e non semplicemente scoperta e contemplata. A ciò si deve la nascita di una scienza esatta che misura i suoi
oggetti e che trova i suoi principi nel tempo
e nello spazio, radicati nell’immutabilità e
nella onnipotenza divina, e in questo modo
garantisce l’esattezza e l’attendibilità della conoscenza umana.
Un’altra grande rivoluzione compiuta dalla metafisica moderna è l’identificazione
di numero e quantità. Nella filosofia classica ciò che è esprimibile con il numero
sono le grandezze discontinue, mentre
questo non è possibile per le grandezze
continue. Ciò comportava la distinzione
tra l’essere, esprimibile numericamente
come discontinuo, e il non essere (materia)
continuo, non esprimibile numericamente.
Il pensiero moderno, introducendo l’identificazione di numero e materia, modifica
radicalmente, secondo Nikulin, il metodo
di conoscenza del mondo. Poiché l’unità
non è più concepita come indivisibile, ma
come un intervallo di lunghezza unitaria,
diventa possibile tentare di costruire una
quantità continua o un continuum dai numeri o dalle parti numeriche, come appunto fecero Newton e Leibniz col calcolo
infinitesimale. Esaminando il problema del
continuo, Newton giunge alla conclusione
che il numero e la quantità continua hanno
la stessa struttura. La questione della “materia prima”, egli la fa poi coincidere con
gli atomi, che sono un continuum puramente spaziale, misurabile con il nuovo
strumento del calcolo infinitesimale. Nella
considerazione del continuum, Leibniz
approda invece a una serie di ambiguità e di
contraddizioni insolubili nel rapporto esistente tra le monadi e i corpi. Le monadi,
infatti, pur essendo dei punti metafisici,
privi di corporeità e perciò indivisibili,
danno vita alla materia, alla corporeità, che
è invece una grandezza continua. Per spiegare la materialità delle monadi Leibniz
sostiene tuttavia che esse non debbono
essere viste soltanto come attività, ma anche come passività, ed è proprio quest’ultima che costituisce la materialità della monade. I corpi sono “aggregazione di monadi”, ma non hanno una consistenza ontologica, solo valore ideale. La quantità continua, per Leibniz, è perciò ideale, perché
comprende potenzialmente parti indefinite
al di sopra e prima di qualsiasi divisione.
Tuttavia, nel momento in cui ci si mette alla
ricerca del reale o di parti realmente esistenti, anziché di parti indefinite, Leibniz
sembra entrare in un labirinto di contraddizioni insolubili. Nel continuum il tutto esi-
René Descartes;
nell’immagine inferiore, presunto ritratto di Euclide, da un codice
53
CONVEGNI E SEMINARI
ste prima delle parti, l’assoluto prima del
limitato: ecco perché l’indefinito viene prima del definito. Nello stesso tempo però
Leibniz afferma che nel continuum le parti
esistono realmente e sono realmente infinite, dal momento che l’indefinito non esiste
nelle cose ma nel pensiero. G.Pe.
Attualità di Ugo Spirito
Il Convegno che l’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici e la Fondazione Ugo
Spirito hanno dedicato a L’ATTUALITÀ DI
UGO SPIRITO A CINQUANT’ANNI DA ‘LA VITA
COME ARTE ’ (Napoli, 1-2 ottobre 1992),
coerentemente con l’atteggiamento
filosofico del pensatore, ha dato luogo
a una stimolante interazione di elementi, fluttuanti tra estetica e politica,
teoresi ed economia, come emerge
dai densissimi carteggi e dalle attuali
prospettive di ricerca.
Un pensiero vivo, ricco di suggestioni e
implicazioni che si diramano lungo direttive molteplici, al di là tanto di un dogmatismo assertorio, quanto di atteggiamenti
nichilistici: è quanto ci rimane di Ugo Spirito oggi, a più di un decennio dalla sua
scomparsa. A suggerirci queste considerazioni è Mario Agrimi che ha inquadrato gli
interessi estetici di Spirito all’interno di un
pensiero “nemico” delle distinzioni: in una
spirale di assoluta teoreticità, l’aspirazione
alla politica ed alla libertà trova il suo
“medium” nella figura dell’artista. Preda
continua di un “infinito-dubbio”, il pensiero di Spirito, ha ricordato Agrimi, non ha
avuto la possibilità di «acquietarsi in una
conclusione», quasi in forza di un’intrinseca necessità. Il ricorso al dubbio come
metodo, ha proseguito Aldo Trione, porta
Spirito dall’attualismo gentiliano al problematicismo, culminante nella dialettica
del “Non-so”: un essere ignaro di tutto che
permette, ad ogni acquisizione, di rilanciare la conoscenza come una sfida. Trione ha
sottolineato anche l’emergere, dalla concezione della “vita come ricerca”, di un sottofondo politico che sconfina nel terreno
dell’utopia.
Armando Rigobello ha invece osservato
come il trascendentale estetico di Spirito
indichi le condizioni a-priori della dimensione artistica. Al di là del mero tecnicismo, la formalità è attività fantastica e
creatrice, che permette alla theoresis di
passare attraverso la sensualità e di trascenderla, diffondendo quella «feconda misteriosità dell’arte», di cui parlò Gentile.
L’estetica spiritiana, come pure ha sottolineato Clementina Gily Reda, è essa stessa
filosofia: essa tocca l’assoluto in maniera
diretta e totale. In questo l’arte può riaprire
la strada della contemplazione dell’oggetto e la strada del fare da quando, dopo
l’annichilimento dei valori, l’esperienza
della vita si è fatta ormai inattingibile. La
Vita come Arte si mostra, in tal senso,
opera avventurosa, perché “tenta” di spingersi oltre la coscienza di un non-raggiun-
gimento.
Che la vera natura del pensiero estetico di
Spirito sia nell’attenzione alla totalità è
stato ribadito anche da Antimo Negri, che
ha ricondotto le radici teoriche del pensatore a Kant. Tuttavia, limitare il compito
dell’estetica al giudizio significa per Spirito asservirsi alla «logica del pensiero dividente», dimenticando il valore assoluto
dell’opera d’arte. Come ha rilevato Maria
Lizzio, in Spirito arte è parola che sboccia
da una coscienza che non ha coscienza di
sé: quasi in uno stato onirico, l’arte non può
svegliarsi alla filosofia. Arte e filosofia
rimangono inconciliabili, e il mondo del
sogno rimane il mondo della problematicità. A questo proposito, ha osservato Renato Testa, sulla scia del contributo di Vittorio Stella, che ha rimarcato la matrice
romantica di questa impostazione, una
strutturale contraddizione condanna qui
la ricerca ad estraniarsi dalla vita, ad un
destino in cui la metafisica è sempre più
difficile da proporre.
Spostando l’asse della discussione, G. Parlato ha illustrato le tre direttive lungo le
quali, dal 1981, la “Fondazione Ugo Spirito” provvede alla conservazione dei documenti, alla ricerca scientifica e alla complicazione problematica del pensiero del filosofo. Preziosa testimonianza politica e filosofica, i carteggi che Spirito intrattenne,
tra gli altri, con Abbagnano, Banfi, Croce,
Battaglia, Carabellese, Pareyson, Del Noce,
Bottai e Valitutti, ci permettono di leggere
meglio il dibattito che portò alla definizione di temi concernenti neo-idealismo, antiidealismo e corporativismo, nel periodo a
cavallo tra il fascismo e la Resistenza.
Massimo Finoia è intervenuto invece sulla
teoria economica di Ugo Spirito, sottolineandone l’approccio anti-marginalista e keynesiano. Se l’economia è scienza sociale,
l’attenzione di Spirito si focalizza sulla
centralità strutturale che lo stato assume, all’interno degli equilibri politicofinanziari.
Introdotto da Fulvio Tessitore, che ha
sottolineato la cifra politica del pensiero
di Ugo Spirito, Vittorio Mathieu ha
affrontato il tema dello Stato etico. Questa “figura dell’assoluto”, spesso dolorosamente confusa con lo Stato nazionale, è un altro momento dell’utopia filosofica spiritiana. Lo Stato di Ugo Spirito
si richiama al modello dell’Urbs che,
uscendo dall’eterogeneità di costumi
delle poleis greche, continuava ad essere
una città, anche quando estendeva i suoi
confini. In virtù dell’universalità di un
ordinamento giuridico, l’Impero romano poteva dirsi Stato etico, in cui la
diversità era rispettata e, al contempo,
assimilata. E’ questo, per Mathieu, l’ideale “metafisico” della politica di Spirito:
il tentativo di conciliare l’individualità
con il tutto coinvolge ogni aspetto del
reale, al di là di ogni accusa di intellettualismo.
Così, la rivoluzione, controcanto dello
54
sfondo politico e utopico della Vita come
Arte, si configura non come funzione
dell’agire dei singoli, bensì come momento, o meglio, luogo metafisico, in
cui il tutto rovescia se stesso. S.I./
M.R.
Collegio di sociologia
Si è tenuto il 23 e 24 ottobre 1992 nella
sede dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli un convegno sul
tema: L’OCCIDENTE , IL POTERE, IL SACRO,
coordinato da R. Esposito, U. Olivieri e
C. Ossola. Studiosi di vari paesi hanno
ripreso in esame l’avventura intellettuale del “Collège de sociologie” di
Bataille nell’intento, oltre che di farne
un bilancio, di riattivarne lo stile di
lavoro.
L’attività del “Collège de sociologie” fondato a Parigi da Georges Bataille, Roger Caillois, Michel Leiris e Pierre Klossowski, i cui lavori tuttavia ebbero luogo
soltanto dal 1937 al 1939, e ad essi presero
parte intellettuali come Alexandre Kojève,
Marcel Mauss, Walter Benjamin, Jean
Wahl e Jacques Lacan - è ancora poco
nota in Italia (anche se l’editore Bollati
Boringhieri ne ha pubblicato i testi lo scorso anno, con il titolo: Il Collegio di sociologia), ma di estrema importanza per almeno due motivi: l’impresa di quel gruppo di
intellettuali “irregolari” degli anni Trenta
ha avviato una problematica, e uno stile di
lavoro, che costituiscono un precedente
essenziale per gran parte della successiva
cultura francese, sempre in tensione tra
filosofia e scienze umane. Senza un’adeguata conoscenza di quel precedente risulta difficile infatti comprendere appieno il
programma di ricerca di un Levi-Strauss o
di un Foucault, di un Benveniste o di un
Lacan, e anche di Derrida. In secondo luogo la ricerca avviata dal Collège, debitrice
da un lato del lavoro di Durkheim e Mauss
e dell’insegnamento di KOJÈVE , e dall’altro
legata all’esperienza del surrealismo, traeva il suo carattere radicalmente innovativo
dall’essere imperniata su di una tematica
del sacro non più circoscritta agli ambiti
religiosi, o comunque trascendenti, ma volta
a investire l’intero insieme delle concezioni sociopolitiche ed economiche; nella visione del Collège in altri termini una concezione del sacro stava a fondamento di ogni
teoria sociale, che andava così considerata
sempre una forma di superstizione volta a
risolvere il problema del tragico, della costitutiva mancanza di senso dell’essere sociale, una visione resa oggi attuale dalla
crisi di ogni idea di secolarizzazione.
I lavori del convegno hanno naturalmente
spostato i termini della questione, dalle
problematiche degli anni Trenta a quelle
odierne, incentrate comunque sul rapporto
estetica-politica. Così Giacomo Marra-
CONVEGNI E SEMINARI
mao, individuando nel rito il fattore genetico del mito, ha avanzato l’idea di una
pratica rituale che sia desacralizzante e,
ponendo a confronto la cultura greca e
quella romana, ha individuato tale pratica
nel diritto. Giorgio Agamben, a sua volta,
ha rilevato la necessità di passare dall’idea
di sovranità come fondamento comunitario, centrale in Bataille, a un’idea di comunità fondata su di una non-sovranità, avendo di mira, mediata dalla tematica del
messianismo, una forma originaria della
Legge come “vigenza senza significato”,
luogo di pure lettere, anteriore a ogni articolazione e ordinamento, che ha poi la sua
espressione concreta in quella singolarità
come differenza indifferente, in cui consiste una comunità.
Il rapporto Occidente-Oriente, trascurato
dal Collège di Bataille, è stato esaminato
da Roberto Esposito, che ha individuato
nell’Oriente il rimosso, il senso di colpa
dell’Occidente, l’espressione di una cultura senza diritto, di una non-civiltà; nella
stessa direzione Giovanni Filoramo ha
invece segnalato il ritorno di questo rimosso nelle diverse forme occidentali di estetizzazione del sacro. Jacqueline Risset ha
ripreso l’eredità del Collège, proponendo
il passaggio da un’ermeneutica del senso a
un’ermeneutica del dono, con l’intento di
giungere non a una sacralizzazione del
potere, opposta e speculare ai poteri vigenti, come negli anni Trenta, ma a una desostanzializzazione del potere. Dal canto suo
Remo Bodei ha tracciato un rapporto tra il
pensiero di Bataille e quello di Giovanni
Gentile, sulla base di una medesima consacrazione della comunità come luogo più
proprio dell’individuo, fattore interiore e
fondativo dell’io di ogni soggetto, fino a
giungere ai paradossi di una tale sovranità
etica della comunità sul singolo.
Il convegno aveva tra l’altro uno scopo
pratico: quello di costituire in Italia - sulla
scorta di singolari esperienze storiche come
il Collège de sociologie francese e l’Institut fur Sozialforschung di Francoforte - un
Collegio Internazionale di Filosofia Sociale, per iniziativa di Esposito, Marramao, Risset e Carlo Ossola, in grado di
affrontare la ricerca teorica al di fuori di
steccati ideologici e gnoseologici che ne
inaridiscono le capacità di analisi e comprensione. Punto di partenza è il tempo
presente con i suoi grandi mutamenti e
rivolgimenti sociali, a cui il pensiero risponde con impianti teorici vecchi e interpretazioni obsolete, o col minimalismo
teorico della cultura anglosassone. Si tratta allora di riprendere uno stile di lavoro
adeguato alle dimensioni del problema,
ossia al di fuori dei saperi consolidati,
come ebbero a fare in altre epoche di crisi
gruppi di intellettuali, forse di poca carriera, ma certo di grandi idee. L’iniziativa
muove da un esigenza reale e ha quindi una
forte giustificazione storica. L’unica perplessità riguarda forse il fatto che mentre i
gruppi, che nel recente passato diedero
vita a poderose esperienze di lavoro intellettuale “extraistituzionale”, erano per lo
più composti da ricercatori non a caso
estranei o comunque marginali rispetto al
mondo accademico, l’iniziativa odierna è
invece presa in maniera esclusiva da intellettuali appartenenti al mondo accademico. La perplessità riguarda insomma le
reali motivazioni di un lavoro extra-istituzionale, che prende di mira gli stessi “totem e tabù” della cultura universitaria.
Non si può negare d’altronde che questa
sia l’eredità dei Bataille e dei Benjamin.
F.E.
Seminario filosofico
permanente
Con la sigla di “Seminario filosofico
permanente” si è svolta alla Fondazione Corrente di Milano, a partire dal
gennaio 1992, una prima serie di incontri dal titolo programmatico: OGGETTI E FORME DEL PENSIERO , a cui hanno
partecipato Lorenzo Magnani, Luisa
Bonesio, Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni Scibilia, Silvana Borutti,
Ugo Fabietti, oltre a Fulvio Papi, ideatore e promotore del ciclo.
La Fondazione Corrente è nata quindici
anni fa, per iniziativa di Ernesto Treccani,
come centro di documentazione e studio
della rivista “Corrente” (1938-40) e luogo
di elaborazione culturale degli ambiti di cui
la rivista si interessava: arte, letteratura,
critica, estetica, filosofia. Fulvio Papi, che
da anni collabora a “Corrente”, ha pensato
di inaugurare, a partire da quest’anno, una
formula che identificasse meglio le attività
filosofiche già in atto da molto tempo alla
Fondazione Corrente, e le riconducesse a
un lavoro di progettazione unitario, pur
mantenendosi duttile e aperta a situazioni
anche molto differenziate. L’aggettivo “permanente” alludeva di fatto alla stabilità di
una struttura che doveva però ricerca continuamente la propria forma, ridiscutendola e rinnovandola. La prima e la seconda
annata della serie di iniziative, che potremmo definire sperimentali, hanno cercato (e
cercheranno) di mettere a fuoco un’immagine di gruppo filosofico. Papi e collaboratori intendono andar oltre l’idea della scuola, che rimanda inevitabilmente a identità
presupposte, all’unità del metodo e all’omogeneità degli oggetti; vorrebbero invece
interrogarsi sul senso del riconoscersi come
un’unità. Un seminario di filosofia, che
abbia in vista l’unità che è data dall’occasione di un discorso filosofico possibile,
non dovrebbe presupporre schemi unitari
già dati - se non il luogo fisico in cui il
seminario si svolge.
Di fatto, questa è anche la storia dei partecipanti che hanno inaugurato il seminario:
Lorenzo Magnani, Luisa Bonesio,
Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni Scibilia, Silvana Borutti, Ugo Fabietti, oltre naturalmente a Fulvio Papi. Tutti
vengono dall’Università di Pavia e hanno
55
fatto dell’insegnamento di Papi un riferimento fondamentale. Tutti però hanno lambito e si sono insediati in territori eterogenei, come le cosiddette scienze umane,
dalla psicoanalisi (Luchi), all’antropologia
(Fabietti), alla linguistica (Prandi). Chi è
rimasto legato al discorso più classicamente filosofico si è ritagliato spazi di riconfigurazione della filosofia: l’epistemologia
costruttiva e interpretativa, con riferimento
alle scienze umane (Borutti), l’estetica del
sublime (Bonesio), la filosofia della matematica (Magnani), la decostruzione (Scibilia). Il gruppo quindi non presuppone identità, ma delimita un tessuto discorsivo molto ampio.
Al primo ciclo di incontri, aperti al pubblico e gratuiti, è stato dato un titolo generale:
Oggetti e forme del pensiero, che segnala
nella sua genericità un modo di intendere
un gruppo di lavoro che non vuol partire da
metodi e oggetti presupposti. Se il plurale
rimanda alla varietà delle voci coinvolte, i
termini di oggetto, forma e pensiero intendono programmaticamente richiamare un
impianto classico della riflessione filosofica; non necessariamente per sottoscriverlo,
piuttosto per ritornare a interrogarsi su temi
di cui, forse troppo facilmente, si è decretato il tramonto o la fine. Da qui l’insistenza
su un canone filosoficamente tradizionale,
come si può rilevare sin dai titoli degli
interventi: si parla di soggetto (“Il soggetto
nel disagio della civiltà”), di metafore architettoniche della costruzione (“Decostruzione e costruzione”), di intenzionalità comunicativa (“Volontà di comprendere”),
di rappresentazione (“Rappresentazione,
forma, oggetto”), di tempo (“Antropologia
del tempo e tempo dell’antropologia”) e
soprattutto di filosofia (“Prove per una
filosofia”), ovvero ciò che per tutti i partecipanti bisognerebbe riprendere a fare.
Per quanto riguarda le attività di quest’anno (1993), possiamo anticipare che preludono ad una organizzazione del seminario
completamente differente (da realizzare
nella terza annualità). Si pensa naturalmente di allargare il giro delle voci, coinvolgendo studiosi che condividono la necessità di un confronto filosofico in un luogo in
cui scorrono e si intersecano flussi discorsivi eterogenei, più che una sede celebrativa di una qualsiasi proprietà o serie di
proprietà attraverso la loro ripetizione. Si è
inoltre fissato un tema: Orizzonti di senso
della memoria, su cui far convergere l’attenzione dei partecipanti. Nella primavera
del ’93 si avranno i primi due incontri con
Lorenzo Magnani e Fulvio Papi, che forniranno le coordinate teoriche, su cui saranno
impostati gli interventi del prossimo anno.
Si cercherà inoltre di sperimentare una
CONVEGNI E SEMINARI
nuova formula di discussione di un testo
filosofico: Silvana Borutti e Giovanni Scibilia discuteranno in tal senso del libro di
Deleuze e Guattari, Qu’est-ce que la philosophie?
Tutte le attività del seminario filosofico
permanente sembrano complessivamente
mostrare nella loro eterogeneità come la
filosofia non provenga da ontologie date,
da regioni di oggetti già ritagliati, ma cerchi di produrre discorsivamente e dialogicamente oggetti e forme di riflessione.
G.S.
Omaggio
a Jean-Pierre Vernant
Si è tenuto il 23 gennaio 93 un incontro
alla Sorbona in omaggio alla figura e
alle opere di Jean-Pierre Vernant, presente egli stesso. Organizzato da Vidal-Naquet (assente per malattia), si è
trattato di un colloquio pubblico molto famigliare: antichi studenti, celebri
studiosi oggi si sono ritrovati a “festeggiare” un autentico maestro. In
questo senso la giornata è stata dedicata alla ricostruzione del cammino
intellettuale e politico di JPV.
Unanime è stato il riconoscimento da parte
degli antichi allievi del valore di rottura delle
opere di JP.Vernant a partire dalla pubblicazione di “Mito e pensiero” nel 65. Nicole
Loraux col brio che la contraddistingue ha
voluto ricordare il carattere polveroso e stantio degli studi classici alla sua epoca e il
desiderio urgente per tutta una generazione
di “ritornare ai Greci” con strumenti e attitudini nuovi. Contro all’ideologia dell’
“uomo eterno” immutabile nei tempi, Vernant ha sottolineato la necessità di segnare
la distanza e l’alterità radicale dei Greci
rispetto a noi. Si trattava di comprendere non
la società greca ma l’uomo greco o meglio
gli uomini greci, all’interno della propria
civiltà. Ancora di più, il desiderio antropologico dello studioso di cogliere qualcosa
dell’altro, lo ha spinto a interrogare cosa
fosse per i Greci stessi il loro Altro. Pierre
Leveque ha voluto ricordare il particolare
stile con cui JPV ha saputo tessere le implicazioni fra società, mito e pensiero operando su una scena concreta senza accontentarsi
di astratti schemi “strutturalisti”. François
Hartog ha riconosciuto i suoi debiti e ha
sottolineare anche come fosse possibile oggi
andare oltre lo stesso Vernant (in particolare per quanto riguarda i suoi studi sulla
divinazione). Roberto di Donato ha invece
messo a fuoco i rapporti fra Vernant e Dumezil. F.M.Z.
Il filosofo e la schiavitù
Organizzato dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, si è svolto a Na-
poli dal 21 al 25 settembre 1992 un
seminario condotto da Domenico
Losurdo sul tema: IL FILOSOFO E LA
SCHIAVITÙ. L AVORO SALARIATO E LAVORO
SERVILE NEL PENSIERO MODERNO . Filo
conduttore delle lezioni è stato quello di mettere in evidenza come, contrariamente a quanto sostiene la storiografia ufficiale, il liberalismo non
coincida con la storia della libertà, e
le conquiste fatte in suo nome siano
il frutto di gigantesche lotte sociali
condotte dalle classi sociali più umili, e non il risultato della politica
liberale.
Se nell’elaborazione dei filosofi moderni e
contemporanei il tema della schiavitù è
stato oggetto di poca attenzione, se non
addirittura di una rimozione dalla cultura
ufficiale, ciò è dovuto, sostiene Domenico
Losurdo, alla convinzione che l’avvento
del Cristianesimo comportasse di per sé la
fine della schiavitù, e che quest’ultima fosse d’altra parte in contraddizione con la
tradizione liberale. La forte carica antischivistica del Cristianesimo primitivo è stata
tuttavia smussata e neutralizzata, fin dall’inizio, da un’interpretazione meramente
intimistica della libertà del cristiano, mentre il ricorso al tema del peccato originale
giustificava in pieno l’istituto della schiavitù. Da questo punto di vista, la tradizione
cristiana si associa a quella greco-classica,
stando alla tesi aristotelica secondo cui vi
sarebbero uomini per natura incapaci di
autogovernarsi e quindi bisognosi di un
padrone.
Svolgendo un’analisi parallela tra pensatori liberali e teorici dell’assolutismo, Losurdo ha mostrato come un pensatore, Grozio,
che può essere considerato il padre spirituale del liberalismo, sente il dovere, sulla
scorta dell’espansione coloniale olandese,
di dare una giustificazione teorica all’istituto della schiavitù, sostenendo che la schiavitù non è altro che il risultato di un contratto di scambio tra la forza lavoro dello
schiavo, e gli alimenti per il suo sostentamento, messi a disposizione dal padrone;
oppure è il risultato del cosiddetto diritto di
guerra, per cui il vincitore fa dono della
vita allo sconfitto in cambio del suo assoggettamento. Infine la schiavitù può nascere
dalla trasformazione di una condanna penale in asservimento. In ogni modo la schiavitù sarebbe sempre frutto di una libera
scelta contrattuale tra due parti che scambiano paritariamente le loro merci.
Locke, sulla scia di Grozio, giustifica la
schiavitù nelle colonie, sostenendo che essa
è la conseguenza di una guerra legittima
che si realizza tra i popoli cristiani europei
e le popolazioni coloniali che devono essere civilizzate. Nello stesso tempo, però,
mitigando la teoria di Grozio, rifiuta la
giustificazione contrattualistica della schiavitù, che significherebbe per lo schiavo,
contrariamente alla tradizione cattolica, il
dover cedere al padrone il potere assoluto
56
di vita o di morte sulla propria persona, con
il rischio di avallare l’istituto della schiavitù anche nella stessa madrepatria.
In ambito liberale l’unica voce antischiavista del ‘700 viene da Smith, ma le sue
argomentazioni sono solo di carattere economicistico. Il rapporto di lavoro servile è
un rapporto fondamentalmente improduttivo, poiché lo schiavo deve essere mantenuto per tutta la vita e produce poco a causa
della mancanza di incentivi. Una condanna
esplicita della schiavitù, attraverso l’abolizione delle giustificazioni contrattualistiche dei liberali, ci giunge paradossalmente
da un teorico dell’assolutismo monarchico
come Bodin. In Hobbes, il punto di partenza è simile a quello di Grozio e Locke, ma
a differenza di quest’ultimi, che si richiamano alla tradizione gerco-classica per
sostenere che vi sono schiavi per natura,
Hobbes ritiene che tutti gli uomini sono
uguali per natura, per cui la causa della
disuguaglianza e della stessa schiavitù deve
essere ricercata non nella natura, ma nella
società e nella storia. L’istituto della schiavitù è dunque un rapporto basato semplicemente ed esclusivamente sulla diversa forza del padrone da una parte e dello schiavo
dall’altra, e come tale non è altro che la
continuazione dello stato di guerra.
Nell’Illuminismo le considerazioni sulla
schiavitù sono orientate dalle diverse realtà
politiche presenti in Europa. In Inghilterra,
dopo la “Gloriosa Rivoluzione”, si assiste
al monopolio della tratta dei negri per quanto
riguarda la politica internazionale, e alla
presenza di posizioni del tutto conservatrici nella gestione interna. Del tutto diversa è
la situazione politica francese, che da una
parte si richiama al modello inglese della
restrizione censitaria dei diritti politici,
dall’altra la critica aspramente, considerandola una riedizione moderna della schiavitù classica. Montesquieu, esponente di
una posizione moderata, da una parte sembra condannare la schiavitù, dall’altra sostiene che in certi paesi, dove il clima è
molto caldo, la disciplina nel lavoro può
essere mantenuta solo grazie all’assoggettamento servile. Così, dal punto di vista
della ragione, la schiavitù è un istituto da
condannare e da abolire, ma dal punto di
vista della ragione naturale bisogna accettarne l’esistenza. In questo Montesquieu
non si distanzia molto dagli illuministi inglesi, sebbene in lui, a differenza della
cultura anglo-americana, si manifesti una
sorta di autocritica dell’Europa, considerata responsabile dello sterminio degli indios
e dei negri. In Rosseau, invece, incontriamo la condanna esplicita della schiavitù,
imcompatibile con l’essere dell’uomo. La
tesi secondo cui il colonialismo è indispensabile per la civilizzazione di certi popoli e
per la loro felicità, è una ipocrisia che
nasconde un interesse di carattere meramente economico, così come è un’ipocrisia
teorizzare che le classi povere francesi sono
abituate a vivere nella povertà al punto di
esserne felici.
CONVEGNI E SEMINARI
Charles Louis de Montesquieu;
B. de Las Casas, Illustrazioni per l’edizione latina della Brevissima relazione della distruzione delle Indie
(1598);
Jean-Jacques Rousseau
57
CONVEGNI E SEMINARI
Da ultimo Losurdo ha messo a confronto
due filosofi dell’ ‘800, Marx e Nietzsche, dal punto di vista dell’accostamento tra schiavitù nera e lavoro salariato. Per Marx tale avvicinamento è lo
spunto per lanciare un appello affinché
le classi lavoratrici si ribellino; per Nietzsche, la continuità tra queste due forme
di assoggettamento dimostra come l’istituto della schiavitù sia inseparabile dallo sviluppo della civiltà. In effetti, Nietzsche rappresenta un “liberale estremista”, che legge in maniera più spregiudicata e cruda l’importazione massiccia in
Europa delle popolazioni cinesi e africane, al di là di ogni trasfigurazione ideologica. Egli diverge però dalla tradizione liberale, ritenendo il Cristianesimo la
religione del risentimento, dell’odio,
della vendetta dei mal riusciti contro le
classi ricche e questo rancore presente
nel Cristianesimo viene perpetuato dagli
intellettuali plebei. G.P.
Il diritto e i suoi luoghi
Qual è il rapporto tra l’esigenza di
un’eguaglianza universale dei diritti
e la molteplicità delle culture, delle
etnie, delle religioni e delle ideologie? Non devono tener conto le teorie universalistiche e contrattualistiche del diritto e della società della specificità irriducibile delle diverse individualità storiche e sociali? E
come possono coesistere, convivere e compenetrarsi tali diversità?
Queste e altre domande sono state
riproposte da un convegno organizzato nel settembre 1992 a Arden
Homestead, presso New York, nel
contesto dello “Urban Forum” della
Fondazione Rockefeller, sul tema:
PLACE AND RIGHT (Luogo e Diritto).
Alle origini del convegno si trova una suggestione del filosofo della politica Michael
Walzer, che ha paragonato a un “hotel”
l’ideale di ogni teoria universalistica della
società. Gli hotel, soprattutto i grandi hotel
internazionali, non fanno differenze tra i
loro ospiti e presentano un ambiente omogeneo e anonimo, che non conosce diversità culturali, religiose, ideologiche, etniche.
La tesi di Walzer è che nessuno, al di fuori
delle necessità del viaggio, accetterebbe di
buon grado di risiedere nell’atmosfera anonima di tali ambienti. Il cittadino non è
cliente di un hotel, ma appartiene a una
determinata società, caratterizzata da particolarità locali e da diritti, costumi e ideali di
giustizia non universalizzabili. Di tali particolarità le teorie della società e della giustizia devono tenere conto, se non vogliono
cadere nell’astrazione.
Importante, in questa prospettiva, è la questione del rapporto tra il diritto e gli spazi in
cui esso si realizza (o viene negato), al cui
chiarimento hanno contribuito al convegno sia interventi di carattere storico, sia
analisi di situazioni di città contemporanee, condotte in una prospettiva interdisciplinare. Primo intervento quello di Richard
Sennet, dedicato alla storia del ghetto ebraico di Venezia. In questo caso la genesi della
“modernità” della città va di pari passo con
l’esclusione spaziale di una parte considerevole dei suoi abitanti. I confini spaziali
coincidono qui con i confini della legge.
L’uguaglianza di cui godevano gli ebrei
veneziani era unicamente di tipo economico: al difuori dei confini del ghetto (che
durante la notte non potevano essere superati) gli ebrei veneziani perdevano il diritto
di essere protetti dalle persecuzioni. Si configura quindi una duplicità dei diritti, divisi
tra quelli legati ad un luogo preciso e quelli
slegati da tale luogo. Il fatto che il diritto
alla protezione e alla sicurezza sia legato
allo spazio del ghetto sembra in questo
caso essere una modalità della costituzione
di un’identità: l’esclusione dalla società
cittadina rende l’essere ebreo un’esperienza legata allo spazio, e conduce gli ebrei
veneziani a un’idealizzazione del ghetto
come istanza produttrice di identità.
In altri interventi il legame tra unità spaziali e ambito dei diritti è stato preso in considerazione in rapporto a situazioni di carattere “pre-moderno” che ancora continuano
a sussistere nel presente. Il politologo Paulo Sergio Pinheiro e il geografo Milton
Santos (entrambi di San Paolo del Brasile)
hanno messo in luce come nella contrapposizione tra centro e periferia delle grandi
metropoli si riproduca l’antica contrapposizione tra città e campagna. La segregazione spaziale divide ad esempio una città
come San Paolo in zone di indifferenza
rispetto ai diritti e alla legge e in un centro
che tenta in ogni modo di delimitarsi rispetto alle periferie, ma con il solo risultato di
riprodurre tale indifferenza. Alla estrema
densità di popolazione e alla grande povertà, che fanno della violenza una norma
nelle favelas brasiliane, si aggiunge così il
fatto che anche il rapporto tra il centro della
città e le periferie è determinato da interventi polizieschi incontrollati e da una sorta di giustizia “privata”.
Sempre all’interno di un’analisi delle agglomerazioni urbane, l’influsso della guerra civile e di un diritto “d’emergenza” sulle
strutture spaziali di Beirut sono stati al
centro degli interventi del sociologo Samir
Kahlaf (Princeton) e dell’architetto Hassim Sarkis (Harvard). In una guerra condotta attraverso azioni partigiane non esistono fronti chiaramente definiti: lo spazio
urbano diventa un campo di possibili attacchi e si omogeneizza. In una guerra che ha
come suo metodo principale l’attentato e
come figura centrale il franco tiratore, non
si danno più contatti diretti tra aggressore e
vittima, e questo conduce a uno sconfinamento della violenza, a una non-delimitazione dei luoghi in cui essa si esercita e,
58
infine, a un’impossibilità di identificare
spazio e diritto. In questa situazione, ha
osservato Sarkis, i progetti di ricostruire
Beirut secondo i criteri di un’architettura
da capitale appaiono come il vano tentativo
di sostituire l’architettura alla politica. Il
caso di Berlino è stato invece analizzato
dallo studioso delle migrazioni Jochen
Blaschke e dall progettista Peter Marcuse
(Columbia). Più che alla coincidenza di
confini giuridici e spaziali, determinata per
lungo tempo dall’esistenza del muro, l’attenzione dei due studiosi è stata dedicata
alla situazione della comunità dei cittadini
turchi nella città e in particolare nel quartiere di Kreuzberg.
Il convegno si è concluso con una discussione tra Elaine Scarry (Harvard) e Arthur Danto (Columbia) sul problema, di
carattere generale, del rapporto tra le categorie “fisiche” e quelle del diritto. Al centro di tale rapporto si trova la questione,
posta dalla tradizione giuridica anglosassone, se il corpo umano non costituisca il
luogo decisivo in cui in ultima analisi si
localizzano tutti i diritti. Nella discussione
sono state messe in luce le caratteristiche di
tale “diritto naturale dal basso”, che cerca
di derivare le norme non dal cielo delle
idee, ma dal corpo dei soggetti giuridici. Da
questo punto di vista, la distinzione tra
luoghi prodotti artificialmente o storicamente (quartieri, città, regioni) e luoghi
“naturali” appare più importante della loro
coincidenza.
Se le suggestioni walzeriane con cui si è
aperto il convegno sembravano indicare
che solo le unità locali costituiscono
concetti morali e giuridici originali (e
che perciò sia necessario cercare un sostrato spaziale e concreto per la società
civile che si intende realizzare), nello
svolgimento dei diversi interventi è sembrato delinearsi un rovesciamento di tale
prospettiva: è il diritto stesso a determinare i confini fisici a cui si riferisce,
siano essi luoghi o corpi. M.M.
Deleuze e la differenza
Organizzato da Ubaldo Fadini e Adelino Zanini, si è svolto presso l’Istituto
filosofico ‘Aloisianum’ di Gallarate nei
giorni 6-7 novembre 1992, un seminario dal titolo: GILLES DELEUZE: UN PENSIERO FORTE DELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA.
Più che dalle opere “teoretiche” di
Deleuze, il seminario si è articolato a
partire dalle “monografie” del filosofo
francese, dove egli tematizza il proprio rapporto con Leibniz, Spinoza,
Hume, Nietzsche.
Secondo Maurizio Merlo, nel contesto del
rapporto che Gilles Deleuze instaura con
Leibniz, da lui inscritto nella prospettiva
del Barocco, la questione centrale consiste
CONVEGNI E SEMINARI
da un lato nel render conto della specificità
del Barocco - la crisi di ogni essenzialismo
-, estendendola oltre i suoi limiti storici,
dall’altro nel dare esistenza al Barocco
medesimo, producendone il concetto, per
ritrovarlo come metodo o paradigma. Per
questo, a parere di Deleuze, «non possiamo
non dirci barocchi, o leibniziani», dove è
Leibniz stesso a farsi portavoce del programma deleuzeano di una mathesis descrittiva, garantita da un orizzonte metafisico. Il Leibniz deleuzeano ridefinisce dunque, a parere di Merlo, i termini di un
programma costruttivista: creare concetti
in grado di pensare l’evento come attività
immanente su uno sfondo di totalità; una
creazione di un novum nell’interiorità del
continuum. All’oggetto che si presenta
come evento si accompagna la costituzione
del soggetto come figura comunicante dell’interiorità, che in una prospettiva “uniplanare” diviene eguale al mondo, rispetto
al quale esiste come espressione di un “punto
di vista”. Deleuze legge così il prospettivismo leibniziano non come affermazione di
una variazione della verità a partire dal
soggetto, bensì come la condizione per cui
appare al soggetto la verità di una variazione. Il soggetto è dunque punto di vista da
cui una verità è; esso cioè è funtore di
verità, non il costituente di essa. Pertanto,
non si dà teoria del soggetto, ma inscrizione nel punto di vista in cui il soggetto si
risolve.
Proseguendo nell’indagine sulla questione
del soggetto, l’intervento di Adelino Zanini si è sviluppato come tentativo di decostruzione del pensiero di Deleuze sulla
soggettività come evento, a partire dalla
monografia dedicata a Hume. Intendendo
l’evento come ciò che singolarizza la continuità in ciascuna delle sue pieghe locali,
come ciò che rende individuale l’universalità del continuum dell’uniplanarità ontologica, Deleuze individua un rapporto
d’identità fra mente, immaginazione e idea.
L’idea è il dato in quanto esperienza, laddove la mente è data come collezione di
idee: immaginazione. In altri termini, la
mente è immaginazione come “luogo”.
Niente si rappresenta con l’immaginazione, ma tutto si rappresenta nell’immaginazione: nessuna volontà è propria dell’ego;
e non potendosi separare il “luogo” da “ciò
che in esso” avviene, la rappresentazione
non è in un soggetto. L’idea di soggettività,
pertanto, è solo una regola; superando la
parzialità del soggetto, di cui è idea, essa
include in ciascuna collezione di idee il
principio e la regola di un accordo possibile
fra soggetti.
Il problema dell’io si risolve dunque a
livello morale e politico. La ragione pratica
è instaurazione di un tutto della cultura e
della moralità, è l’immaginazione divenuta
natura; l’abitudine è la radice della ragione,
principio di cui questa è l’effetto. In questi
termini, ha sottolineato Zanini, l’essenza
dell’empirismo diventa per Deleuze il problema della soggettività. Il soggetto si de-
finisce come, e mediante, un movimento di
autosviluppo; sua attività è credere e inventare. Dal dato si inferisce più di quanto si
sappia: nel momento in cui si crede, con ciò
si giudica, e ci si pone come soggetti. Il
problema della verità si presenta allora
come il problema critico della soggettività,
che non cessa d’altra parte di qualificarsi,
nel proprio oltrepassamento, come passiva, e che proprio per questo resta sempre
distinta da un io. Nel determinarsi di quest’ultimo come sistema della pratica, si
segnala, ha concluso Zanini, la vocazione
spinoziana dell’interpretazione deleuzeana di Hume.
A proposito della lettura che Deleuze conduce nei confronti del testo di Spinoza,
Simona Ferlini ha ricordato come i suoi
cardini siano costituiti anzitutto dall’anticartesianesimo, che per Deleuze accomuna
Spinoza e Leibniz nella polemica antirappresentazionalista, dove all’impostazione
cartesiana viene rimproverata l’incapacità
di spiegare la natura da un punto di vista
genetico; in secondo luogo, l’interpretazione deleuzeana di Spinoza si basa sulla
tesi dell’univocità e dell’immanenza dell’essere, dove quest’ultimo è concepito
come totalità produttiva. Anche in questo
caso contro Descartes, viene rifiutato un
qualsiasi principio trascendente, e il richiamo al neoplatonismo, dove l’Uno “contiene” i molti, è parziale: nello Spinoza deleuzeano l’Uno è i molti, e il rapporto
neoplatonico fra complicatio ed explicatio viene chiarito attraverso il concetto
di espressione.
In questo modo, ha osservato Ubaldo
Fadini, Spinoza assume un ruolo primario
nel costituirsi dell’autonomo pensiero di
Deleuze, in un rapporto affatto particolare
con Nietzsche. Nella prospettiva deleuzeana, ha sostenuto Fadini, Spinoza precede
Nietzsche, ma anche, in certo senso, lo
segue, in quanto ne approfondisce alcuni
spunti teoretici: la tesi spinoziana dell’incremento di potenza come criterio di verità
può infatti costituire, da un punto di vista
teoretico, il presupposto e la spiegazione
della tesi genealogica nietzscheana, che
nella volontà di potenza legge il fondamento che trascende l’alternativa tra vero e
falso. L’opposizione di Nietzsche al coscienzialismo lascia emergere un’eredità
spinoziana: l’elemento comune ai due pensatori è costituito dal rifiuto di subordinare
la corporeità a un principio superiore, anch’esso trascendente, quale sarebbe appunto la coscienza. A questo proposito, ha
anzi sostenuto Marco Senaldi, l’identificazione dell’essere con il corpo in Deleuze
preclude il fatto che si possa parlare in lui
di una vera e propria istanza ontologica.
Proprio sul concetto di corpo, ha ribadito
Fadini, insiste Deleuze, interpretando in tal
senso sia Spinoza, sia Nietzsche. L’intrattenibilità del corpo da parte della coscienza
è infatti ciò che emerge nel parallelismo fra
corpo e idea, che Spinoza utilizza in vista
dell’affermazione della loro corrisponden59
za. D’altro canto, la lettura deleuzeana dell’eterno ritorno ripropone anch’essa, come
osserva Fadini, un attacco alla determinazione della coscienza, a partire, questa volta, da un’accentuazione dell’irriducibilità
alla coscienza della molteplicità differenziale. La volontà di potenza, che nella lettura deleuzeana costituisce la matrice della
dottrina dell’eterno ritorno, rimanda proprio all’affermazione dell’irriducibilità del
singolo, e qui, cioè nel rifiuto della mediazione dialettica e della radicale accettazione del divenire, risiede la dimensione tragica dell’opera nietzscheana.
Più rilevante di quanto non appaia esplicitamente è il rapporto conflittuale che Deleuze instaura con l’opera di Martin Heidegger. A questo proposito, ha rilevato
Giambattista Vaccaro, la posizione di
Deleuze nei confronti di Heidegger contiene elementi di ambiguità: da un lato il
pensiero di Heidegger viene considerato
come un pensiero della differenza, dove la
determinazione heideggeriana della “differenza ontologica” sembra apparire come
espressione di quella deleuzeana di piega;
dall’altro la critica di Deleuze all’ontologia
heideggeriana si presenta più radicale di
quanto non sia esplicita. Secondo Deleuze,
il concetto heideggeriano di differenza ontologica non salvaguarda la differenza dell’essente, in quanto la fa ricadere sotto
l’identità, non arrivando a coglierne la “singolarità intensiva”. Ciò avviene a causa
della trascendenza dell’essere, postulata da
Heidegger, laddove occorre invece insistere, a parere di Deleuze, sul carattere di
immanenza dell’essere all’ente.
La rivendicazione dell’immanenza appare
in Deleuze come garanzia di pluralismo nei
confronti dell’ente fenomenico, e rimanda
alla sua peculiare interpretazione dell’empirismo. In Deleuze, ha continuato Vaccaro, il concetto di caos si pone come radicalizzazione di quello heideggeriano di Abgrund, sprofondamento, e la stessa nozione
di simulacro, connessa a quella di ripetizione, viene rivolta, in questa prospettiva,
contro Heidegger: il risultato è la salvaguardia della molteplicità, del pluralismo,
del quale l’essere si presenta come “superficie”. La distanza di Deleuze nei confronti
di Heidegger deriva dunque anzitutto dal
legame che nel pensatore francese si instaura fra l’istanza ontologica e il concetto
di simulacro: il simulacro rappresenta la
forma di ciò che è, cioè l’essente, e coincide con la differenza degli essenti. A questo
CONVEGNI E SEMINARI
Maschera in legno del dio dei venti degli indiani Haida
60
CONVEGNI E SEMINARI
proposito, ha sottolineato Vaccaro, mentre
per Heidegger l’essere è la differenza ontologica, in Deleuze, in un certo senso, la
questione dell’istanza ontologica apre alla
molteplicità. La differenza per Deleuze non
è, bensì si fa, è costitutiva dell’esistenza: la
differenza non distingue un ente da un
altro, ma differenzia; e questo è tutto. “Fare
la differenza” significa d’altra parte per
Deleuze lasciare apparire l’essere come
univoco, come ciò che si dice di tutti gli
enti, i quali non differiscono fra di loro ma,
essendo la differenza propria degli enti, si
limitano a differire. F.C.
Wilhelm von Humboldt
e le lingue d’America
In un convegno internazionale tenutosi a Berlino nell’ottobre del 1992 e
organizzato dall’Istituto ispano-americano della Stiftung Preußischer Kulturbesitz è stato discusso un aspetto
poco noto della figura di Wilhelm von
Humboldt: la sua attività pionieristica
nel campo dello studio delle lingue del
continente americano.
Amico di Goethe e Schiller e tra i principali
esponenti del movimento classicista tedesco, attivo nell’ambito della politica dello
stato prussiano, nel campo dell’educazione
e padre fondatore della moderna filosofia
del linguaggio, Wilhelm von Humboldt
fu tra i primi a dedicarsi allo studio delle
numerose lingue del continente americano
e a una loro embrionale analisi comparata.
A questo aspetto della sua attività di studioso è stato dedicato il convegno berlinese,
che ha anche costituito l’occasione per la
presentazione di un progetto dell’editore
Schöning: la pubblicazione, a cura di Kurt
Müller-Vollmer (Stanford) e Jürgen Trabant (Berlino), degli scritti di argomento
linguistico, facenti parte del lascito humboldtiano. A disposizione degli studiosi è
per ora il primo volume.
Funzionario dello stato prussiano dal 1802,
Wilhelm von Humboldt fu attivo in diversi
ambiti culturali prima di trovare la propria
vocazione nel campo dello studio dei fenomeni linguistici, un’attività per la quale
egli è oggi da più parti considerato alle
origini della linguistica moderna. Dopo la
pubblicazione di un trattato sui Limiti dell’attività dello stato, annoverato in seguito
tra i manifesti del liberalismo, Humboldt
pubblica alcuni saggi dedicati a Goethe e
Schiller. E’ in una lettera a Schiller del
1802 che egli formula quello che sarebbe
stato il tema principale dei suoi studi: la
lingua, considerata, come già avevano fatto Hamann e Herder, come strumento ed
espressione della ragione e delle culture
umane e come condizione di possibilità del
pensiero; la lingua dunque in una prospettiva filosofica. In contrapposizione a una
concezione astratta della lingua, Humboldt
considera il fenomeno linguistico sulla base
di un’analisi storico-empirica della molteplicità delle lingue, nell’individualità delle
quali si manifestano il pensiero e l’ ”interna
attività spirituale” dei diversi popoli e delle
diverse culture. Sulla base di tale concezione Humboldt intende la confusione babelica delle lingue come una prova dell’illimitata capacità umana di riconoscere e pensare il mondo in modo sempre nuovo, come
una manifestazione di creatività dello spirito e delle culture. Da tale concezione
deriva anche l’idea humboldtiana, nuova
nella cultura settecentesca, della pari dignità delle lingue e dunque dell’importanza di uno studio scientifico delle lingue
anche apparentemente più rozze e “primitive”.
I contributi presentati nel convegno berlinese hanno ricostruito i percorsi che hanno
condotto Humboldt allo studio delle lingue
del continente americano, mettendo al tempo stesso in luce i motivi di interesse dei
contributi humboldtiani per la ricerca contemporanea nell’ambito della linguistica.
Importante, per la genesi dell’idea di tali
studi, sembra essere la figura del fratello,
Alexander: è poco dopo la partenza di
Alexander per l’America del Sud, nel 1799,
che Wilhelm inizia a raccogliere materiali
sulle lingue d’America, senza però allontanarsi dal suolo europeo. Stimolato da
Alexander, che stava lavorando alla stesura del suo Voyage de Humboldt et Bompland aux régions équinoxial du nouveau
continent (Viaggio di Humboldt e Bompland alle regioni equinoziali del nuovo
continente, 1805-1834), ad una descrizione delle lingue americane, Wilhelm sviluppa un progetto di ricerca tanto ambizioso
quanto irrealizzabile, che prevede di ricostruire lo stato delle lingue americane nel
periodo precedente la colonizzazione spagnola e portoghese, riconducendo la loro
varietà a strutture comuni e indicandone la
grammatica attraverso elenchi di parole.
Se questo progetto accomuna ancora in
parte Humboldt all’enciclopedismo settecentesco, ciò che costituisce la novità della
sua ricerca è l’insoddisfazione rispetto ai
metodi e ai risultati del confronto tra le
lingue sviluppato da poliglotti ed eruditi
dell’epoca come Peter Simon Pallas e
Johann Christoph Adelung, che mettevano
in evidenza non strutture grammaticali ma
analogie tra le parole con lo scopo di stabilire relazioni di parentela tra le diverse
lingue.
Kurt Müller-Vollmer ha ricostruito l’inizio della ricerca di Humboldt in questo
campo, che si situa negli anni tra 1802 e
1808, quando egli era ambasciatore prussiano a Roma. La città costituiva un terreno
di studio ideale per gli americanisti, in
quanto qui trascorrevano gli anni della pensione (dopo lo scioglimento, nel 1773, del
loro ordine) numerosi missionari gesuiti
reduci dal Sudamerica, scrivendo memorie
riguardanti le lingue dei loro paesi di provenienza. A Roma Humboldt prosegue
anche la ricerca e la raccolta di vecchie
61
grammatiche utilizzate dai missionari, già
iniziata dal gesuita Lorenzo Hervàs. Nonostante i limiti di tali grammatiche (redatte
per lo scopo missionario) e la base empirica
delle sue ricerche, Humboldt riesce a compilare le grammatiche di quattordici lingue
americane, dalla brasiliana Tupì-Guaranì
alla lingua dello Yucatan, come ha mostrato Ramòn Arzàpalo (Città del Messico),
al Nahuatl dell’America centrale, cui ha
fatto riferimento Manfred Ringmacher
(Berlino). Questo frammento del progetto
complessivo (che prevedeva lo studio di
cinquanta-sessanta lingue al fine di individuarne le analogie strutturali) metteva comunque in luce un denominatore comune
alle lingue americane: la scarsa distinzione
tra nomi e verbi, interpretata da Humboldt
come l’espressione di un “pensiero non
chiaro”. Così, ad esempio, nel caso del
brasiliano Tupì-Guaranì, Wolf Dietrich
(Münster) ha mostrato come Humboldt
concludesse, partendo dalla “grande indeterminazione” di questa lingua, a una “carenza del pensiero”.
Presupposto di tale valutazione sono due
aspetti che fanno di Humboldt uno studioso
del tutto settecentesco: la sua venerazione
del greco antico, rispetto al quale egli misurava le categorie grammaticali delle lingue
delle popolazioni americane, e l’idea di un
progresso nella storia dell’umanità e delle
lingue. Tuttavia, come ha sostenuto Jürgen Trabant, Humboldt si è anche proiettato oltre il suo secolo: la classificazione
genetica delle lingue americane, che egli,
rifacendosi ad alcune posizioni della biologia dell’epoca, riteneva ancora possibile
all’inizio delle sue ricerche, si avvicina in
modo via via crescente ad una moderna
categorizzazione secondo strutture grammaticali condotta su un’ampia base empirica. Questo avviene, ad esempio, nel caso
dello studio della lingua messicana Otomi
come ha rilevato Klaus Zimmermann
(Berlino). In quanto “scopritore” dello studio comparativo e generale della grammatica Humboldt ha poi preso congedo, secondo Frans Plank (Costanza), dal procedimento usuale del diciottesimo secolo,
che anteponeva la classificazione astratta
all’empiria.
Alla discussione moderna nell’ambito della linguistica hanno fatto riferimento gli
interventi di Maurizio Gnerre (Roma) e
Helmut Gipper (Monaco): il primo ha
sottolineato come Humboldt non si sia limitato alla costruzione di “scheletri” grammaticali, ma abbia messo in luce, attraverso il concetto di “carattere linguistico”,
l’importanza del contesto culturale di ogni
espressione linguistica, anticipando così
una delle prospettive principali della linguistica antropologica. Per il secondo alcune posizioni di Humboldt potrebbero costituire un efficace antidoto contro l’avversione rispetto alla dimensione del significato che domina ampi settori delle linguistica americana. M.M.
CALENDARIO
CALENDARIO
Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione con il Teatro alla Scala e la
Provincia di Milano, ha organizzato
per il giorno 11 gennaio un Convegno
su Italia-Germania oggi. I partecipanti sono stati: Maurizio Chierici:
“La cultura giornalistica”; Raffaele
Durante: “La cultura economica”;
Vittorio Fagone: “La cultura artistica”; Giulio Giorello: “La cultura
scientifica”; Aldo Grasso: “La cultura televisiva”; Johannes Hösle: “La
cultura letteraria”; Morando Morandini: “La cultura cinematografica”;
Quirino Principe: “La cultura musicale”; Carlo Sini: “La cultura filosofica”; Franco Tatò: “La cultura manageriale”.
● Informazioni: Amici della Scala,
corso Venezia 36, 20100 Milano, tel.
02/783479.
Il 12 gennaio, presso la Sala Conferenze della Biblioteca Civica di Cologno Monzese, si è inaugurato un ciclo
di Letture Filosofiche con la presentazione e la discussione del libro di
Vittorio Hösle, Filosofia della crisi
ecologica, da poco pubblicato dall’editore Einaudi. Presente l’autore e
Domenico Losurdo.
● Informazioni: Biblioteca Civica,
via Milano 3, 20093 Cologno Monzese, tel. 02/25308201.
Nel ciclo delle attività culturali della
Fondazione San Carlo di Modena,
sono da ricordare gli importanti Cicli
e Seminari di studio iniziati nel mese
di gennaio. Per il ciclo di lezioni:
Questioni del tradurre, sono intervenuti: 22 gennaio, Diego Marconi:
“Problemi filosofici della traduzione
radicale”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci: “L’inconscio dell’altro”; 5 febbraio, Alessandro Pizzorno: “La spiegazione sociale come traduzione”; 5
marzo, Alessandro Simonicca: “Forme di vita e culture”.
Nell’ambito del ciclo di lezioni:
I paesaggi del sacro, hanno partecipato: 21 gennaio, Pierangelo Sequeri: “L’inferno e il paradiso”; 4 febbraio, Filippo Gentiloni: “L’Europa della nuova evangelizzazione”; 18 febbraio, Aldo Natale Terrin: “Tra vecchi e nuovi paradisi”; 25 febbraio,
Franco La Cecla: “La sacralità del
guard-rail”; 11 marzo, Paolo Ricca:
“Né sul garizim né a Gerusalemme”.
Per il 19 marzo è stato organizzato un
Seminario dal titolo: Marcel Mauss.
Il “fatto sociale totale”, durante il
quale Steven Lukes ha parlato di “Razionalità e relativismo. Riflessioni
ulteriori”; presenti inoltre: Riccardo
Di Donato, Stefano Martelli, Alfredo
Salsano, Paola Bora, Marcel Fournier.
Infine ricordiamo che nell’ambito del
Seminario di Studio: Trinità e
Storia, il 1 marzo ha parlato Lorenzo
Paolini su “La Trinità fra Gioacchino
Da Fiore e la Scolastica”; 15 marzo,
Giampiero Bof su “La Trinità in Hegel”; 16 aprile, Giuseppe Ruggieri su
“Trinità e storia nella teologia contemporanea”.
● Informazioni: Fondazione San
Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315.
nente gli Atti del Convegno: “L’eredità di Heidegger”, maggio 1989);
alla presentazione sono intervenuti:
Franco Bianco, Domenico Losurdo,
Otto Pöggeler, Carlo Sini, Valerio
Verra.
Il 29 gennaio ha avuto luogo una
conferenza di Otto Pöggeler sul tema:
Heidegger und Hannah Arendt.
● Informazioni: Prof. Franco Bianco, Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane, Università
“La Sapienza”, via Magenta 5, 00185
Roma, tel. 06/491629.
Curato dal Dipartimento di Ricerche
Filosofiche dell’Università di Roma
“Tor Vergata” e dall’Accademia Spagnola di Roma, il 29 e 30 gennaio si è
tenuto un Convegno Internazionale
dal titolo: Il neoantico. Tecnica &
Organizzate dalla rivista Aut-Aut e
dall’Istituto Italiano per il diritto allo
Studio Universitario dell’Università
degli Studi di Milano, dal 27 gennaio
al 31 marzo 1993 si è svolto un ciclo
di dieci lezioni sui generi in filosofia
dal titolo: Scritture del pensiero.
Questo il calendario degli incontri:
27 gennaio, Pier Aldo Rovatti: “Lacan: scrivere l’inconscio?”; 3 febbraio, Rosella Prezzo: “La narrazione
del femminile nel discorso filosofico”; 10 febbraio, Fabio Polidori: “Il
testo di Nietzsche”; 17 febbraio, Alessandro Dal Lago: “La scrittura etnografica”; 24 febbraio, Riccardo De
Benedetti: “I ‘Quaderni’ (Simone
Weil); 3 marzo, Maurizio Ferraris:
“Autobiografia. Agostino e Heidegger”; 10 marzo, Edoardo Greblo:
“Benjamin, immagine e scrittura”;
17 marzo, Rocco De Biasi: “Il metalogo (G. Bateson); 24 marzo, Gianfranco Gabetta: “La lettera e la scena
della scrittura in Montaigne”; 31
marzo, Giampiero Comolli: “Figura
e scrittura in Oriente”.
● Informazioni: I.S.U., corso di Porta Romana 19, 20100 Milano, tel. 02/
809431.
possessione nella cultura, nella
poesia e nelle arti. La Presidenza e
il Coordinamento scientifico è stato
affidato a Mario Perniola e Jorge Lozano, mentre gli interventi hanno seguito il seguente ordine: Cristoph
Wulff: “Ethique de l’esthétique”;
Francesco Pellizzi: “Periferie del corpo estetico”; Michel Maffesoli: “La
culture des sentiments. Pour une étique de l’esthétique”; Roberto Motta:
“La sacrifice, la transe, la mort”; Giuliano Compagno: “Il sacrificio, la comunicazione, la tecnica”.
● Informazioni: Federico De Donato, Università di Roma “Tor Vergata”, via B. Alimena 6, 00173 Roma,
tel. 06/7232624.
Presso l’Aula Magna dell’Università
di Firenze, il 2 febbraio ha avuto
luogo una tavola rotonda sul tema:
Mario Dal Pra. Filosofia e Politica.
L’incontro è stato organizzato dal
Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze, dalla Società Filosofica d’Italia e dalla Nuova Italia
Editrice, e vi hanno preso parte Eugenio Garin, Enrico J. Rambaldi e Fabio
Minazzi.
● Informazioni: La Nuova Italia
editrice, Via Bonifacio Lupi 1, 50129
Firenze, tel. 055/461174.
Il Goethe-Institut di Roma e il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle
Scienze Umane della III Università
degli Studi di Roma hanno organizzato due incontri aventi come tema
centrale la filosofia di Heidegger. Il
28 gennaio si è tenuto un Convegno
in occasione della presentazione del
libro: Heidegger in discussione
(Franco Angeli, Milano 1992, conte-
Le attività della Casa della Cultura
proseguono con un fitto calendario
che comprende Seminari, Cicli di lezioni, Convegni e Corsi. Questo il
programma di febbraio: 15 febbraio,
62
in occasione della pubblicazione di I
bolschevichi: alle origini del socialismo reale (Franco Angeli, Milano
1993), un incontro con Enrica Collotti Pischel, Antonio de Lillo, Bruno
Grancelli, Mario Spinella su: Dimenticare Lenin?; 19 febbraio, una conferenza di Massimo Bonfantini su:
Ecologismo, Federalismo, Socialismo: Tre ismi da coniugare?
Questo il programma di marzo: 1
marzo, in occasione dell’uscita del
libro di Aldo Giorgio Gargani, Stili di
analisi. L’unità perduta del metodo
filosofico (Feltrinelli, Milano 1993),
si è tenuto un incontro su I linguaggi
della vita contingente: ne hanno
parlato con l’autore Mauro Ceruti,
Maurizio Ferraris, Giulio Giorello; 2
marzo, in occasione dell’uscita del
libro: La parola incantata, di F. Papi
(Guerini e Associati, Milano 1993),
ha avuto luogo un incontro con Gilberto Finzi, Elio Franzini, Fulvio Papi
e Stefano Zecchi sul tema: Dire poetico e dire filosofico; 9 marzo, si è
tenuta una conversazione di Lucio
Villari: Per una critica del capitalismo italiano; 15 marzo, in occasione dell’uscita del libro: Amo te, di
Luce Irigaray (Bollati Boringhieri,
Torino 1993), ha avuto luogo un incontro con l’autrice e Renzo Imbeni
su: Reinventare l’amore, con interventi di Laura Boella, Lidia Campagnano e Paolo Mieli; 19 marzo, per il
ciclo: “L’invenzione ultramoderna”,
Massimo Bonfantini, Mauro Ferraresi, Arturo Martone e Gian Paolo Proni sono intervenuti su: Peirce come
pragmaticismo nel nostro futuro;
22 marzo, si è tenuto un incontro
commemorativo dal titolo: Per
Mario Dal Pra, con la partecipazione
di Vittorio Spinazzola, Fulvio Papi,
Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Giorgio Lanaro, Enrico Rambaldi; 29 marzo, in collaborazione
con il Goethe Institut, si è svolto un
Convegno su Walter Benjamin: lo
spazio della modernità, con interventi di Michele Ranchetti, Gianfranco Bonola, Ugo Perrone, Elena Agazzi, Ubaldo Fadini.
● Informazioni: Casa della Cultura,
via Borgogna 2 , 20122 Milano, tel.
02/795567.
La Consulta di Bioetica e l’editore
Franco Angeli hanno indetto una
Conferenza stampa per il 25 febbraio
presso il Circolo della Stampa di Mi-
CALENDARIO
lano, in occasione della presentazione della nuova rivista semestrale
Bioetica, diretta da Maurizio Mori.
Durante la Conferenza è stato presentato anche il Documento sull’Eutanasia, recentemente approvato dalla
Consulta di Bioetica, e presentato da
Renato Boeri, presidente della Consulta.
● Informazioni: R. Traversa, Ufficio
Stampa, Franco Angeli, Viale Monza
Milano.
“Antropologia”. Sono previste inoltre sessioni speciali sull’ontologia del
continuo, sul lavoro teoretico di René
Thom e Pierre Boulez e una tavola
rotonda su “L’arte e lo spazio”. Fra
gli altri relatori: Ackrill (Oxford),
Aubenque (Parigi), Berti (Padova),
Küppers (Heidelberg), Thom (Parigi), Totok (Hannover), Tugendhat
(Berlino), Vollmer (Braunschweig).
● Informazioni: Victor Gomez Pin,
Director Departamento de Filosofia,
Universidad del Pais Vasco, APTDO. 1249, E-20080 San Sebastian
(Spagna).
tigiuridismo di Max Stirner (Giuffrè,
Milano 1992), l’autore ha tenuto una
conferenza sul tema: Max Stirner
critico del politico.
● Informazioni: Libreria Utopia,
Via Moscova 52, 20100 Milano, tel.
02/29003324.
Dal 18 al 20 marzo 1993 si è tenuta a
Müster una giornata sull’estetica dal
titolo: Immagine e riflessione.
Paradigmi e prospettive dell’estetica attuale. Hanno partecipato fra
Il 10 marzo, presso la sede della casa
editrice Laterza a Roma, ha avuto
luogo la presentazione della nuova
collana: Fare l’Europa, diretta da
Jacques Le Goff e pubblicata in contemporanea da Verlag C. H. Beck,
Blackwell Publishers, Editorial Critica, Editions du Seuil.
Organizzata dagli Editori Laterza, il
5 aprile, presso la Società Scientifica
SOCREA di Milano, si tiene la presentazione del libro di Luciano
Mecacci: Storia della psicologia
del Novecento. Oltre l’autore, intervengono Marcello Cesa-Bianchi,
Giorgio Cosmacini, Assunto Quadrio,
Giuseppe Vallar.
● Informazioni: Editori Laterza, via
di Villa Sacchetti 17, 00197 Roma,
tel. 06/3218393.
Organizzata dalla Biblioteca Comunale di Cattolica in collaborazione
con l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici e la Rivista “Nuova Civiltà
delle Macchine”, il 12 marzo si è
aperta l’edizione 1993 di “Cosa fanno oggi i filosofi?”. Il tema/titolo di
questa tredicesima edizione è: Idoli.
Conversazioni di antropologia. Ci
si propone di offrire al pubblico tracce di percorso nel vasto panorama
dell’antropologia contemporanea intesa nella più ampia accezione di studio dei comportamenti umani nel loro
rapporto con le idee, le rappresentazioni e le superstizioni. L’itinerario
dei lavori si svolgerà a cadenza settimanale, seguendo un percorso che
reca titoli espressi in un latino spesso
fantasioso e che prevede il seguente
calendario: 12 marzo, Francesco Remotti: “Homo antropologicus”; 19
marzo, Beniamino Placido: “Homo
televisivus”; 26 marzo, Giuseppe
Pucci: “Imago imperii/Imperium imaginis”; 2 aprile, Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri: “Homo ludens”; 16 aprile, Romano Madera:
“Homo religiosus et paganus”; 23
aprile, Paolo Fabbri: “Animal loquens”; 26 aprile, Giacomo Marramao: “Homo oeconomicus”; 7 maggio, Adriana Cavarero: “De homine
et foemina”; 14 maggio, Umberto
Galimberti: “Homo idolum maximum”; 21 maggio, Danilo Mainardi:
“Homo sapiens sapiens”; 28 maggio,
Ersilio Tonini: “Genus Homo”.
● Informazioni: Centro Culturale
Polivalente, Piazza della Repubblica
31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802.
Il 16 marzo presso la Libreria Utopia
di Milano, in occasione della presentazione del libro di Enrico Ferri, L’an-
gli altri Hans Ulbrich Gumbrecht
(Stanford), Gottfried Boehm (Basilea), Wolfgang Welsch (Bamberg),
Jens Kulenkampff (Duisburg) e Ferdinand Fellmann (Müster). In questa
occasione è stata anche fondata una
“Società tedesca di estetica”.
Il Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo ha organizzato per il 2
aprile 1993 una Giornata di Studio
sul tema: L’estetica di Cesare Brandi.
Sono previsti interventi introduttivi
di Luigi Russo, Emilio Garroni, Paolo D’Angelo e Massimo Carboni.
● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Università degli Studi, Viale delle Scienze, 90128
Palermo.
Organizzato dall’Accademia delle
Scienze di Torino, dall’Istituo Italiano per gli Studi Filosofici, dal Dipartimento di Filosofia dell’Università
di Torino si è tenuto il 22 marzo,
presso l’Accademia delle Scienze di
Torino, un convegno dal titolo: Piero
Martinetti nel cinquantenario della morte. Tra gli interventi: Norber-
Dal 23 al 26 aprile 1993 si riunisce a
Aix-en-Provence il Congresso
europeo di filosofia analitica, organizzato dalla “European Society
for Analytic Philosophy”. Vi saranno
sezioni sui temi: “Etica”, “Filosofia
della mente” e “Filosofia del linguaggio”.
● Informazioni: J.-L. Azra, CREA,
1, rue Descartes, F-75005 Paris.
to Bobbio: “Introduzione”; Girolamo
De Liguori: “La cultura filosofica
nella Torino di fine secolo”; Stefano
Poggi: “Martinetti e i suoi ‘autori’
tedeschi”; Massimo Ferrari: “L’interpretazione di Kant e di Hegel”;
Dino Pastine: “Martinetti e la filosofia indiana”; Mario Miegge: “Martinetti e la teologia protestante”; Amedeo Vigorelli: “Mito, storia e simbolo
nell’interpretazione del Cristianesimo”; Franco Alessio: “Martinetti filosofo popolare”.
● Informazioni: Accademia delle
Scienze, Via Accademia delle Scienze 6, Torino, tel. 011/5620047.
Nei giorni 28-30 aprile 1993, presso
la Facoltà di Lettere dell’Università
di Chieti, si svolge un Convegno Internazionale su Christoph Clavius e
l’attività scientifica dei Gesuiti nell’età galileiana . La parte centrale
delle relazioni è dedicata ad aspetti
specifici dell’opera di Clavius e della
sua scuola nell’ambito della matematica, dell’astronomia, della meccanica; altre relazioni hanno invece
per oggetto i nessi della scienza gesuitica con i problemi generali del pensiero dell’epoca e con la nascente
scienza sperimentale.
● Informazioni: Segreteria Convegno, Facoltà di Lettere, via N. Nicolini 10, 66100 Chieti, tel. 0871/
355561.
Presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano e con il contributo
dell’Istituto Lombardo per gli Studi
Filosofici e Giuridici di Milano, la
rivista “Informazione Filosofica” ha
presentato la Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche,
prodotta dalla RAI-Dipartimento
Scuola Educazione, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici e l’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Sono Intervenuti: Gerardo Marotta ,
Mario Giacomini, Renato Parascandolo, Vittorio Fiorito, Remo Bodei,
Carlo Sini; ha coordinato la manifestazione Riccardo Ruschi.
● Informazioni: Redazione di “Informazione Filosofica”, Viale Monte
Nero 68, Milano, tel 02/55190714.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, l’Istituto nazionale di Studi sul
Rinascimento e l’Istituto e Museo di
Storia della Scienza hanno organizzato, dal 3 al 26 maggio 1993, una
serie di Seminari dal titolo: L’Uma-
simo italiano in Francia”; 24-26 maggio, Franco Bacchelli: “La diffusione
europea dello Zodiacus Vitae di Palingenio Stellato; 24-26 maggio, Michel Lerner: “Tommaso Campanella
in Francia”.
● Informazioni: Istituto Italiano per
gli studi Filosofici, via Monte di Dio
14, 80132 Napoli.
Dal 4 all’8 maggio a Donosta/San
Sebastian (Spagna) si riunisce il Terzo Convegno Internazionale di
Scienza Cognitiva. Si terranno se-
zioni su: “Rappresentazione e dinamiche in semantica e pragmatica”;
“Formalizzazioni di modelli e complessità cognitive”; “Trattamento dell’informazione e comunicazione nei
sistemi naturali”; “Convinzione, intenzione e azione”. Parleranno fra gli
altri J. van Benthem, N. Block, P.
Churchland, R. Cummins, F. Dretske,
J. D. Fodor.
● Informazioni: Dr. J. M. Larrazabal, Dept. of Logic and Philosophy of
Science, Univ. Del Pais Basco. Apdo
1249, E-20080 San Sebastian, Spagna.
Dal 13 al 15 maggio 1993 si riunisce
a Dijon il I Congresso della Società di
studi kantiani di lingua francese, con
il tema: L’anno 1793.
● Informazioni: Société Bourguignonne de philosophie, Monsieur Jean
Ferrari, Centre Municipal des Associations, Boîte H4, F-21068 Dijon
Cedex.
Per i giorni 20-23 maggio il Dipartimento di Filosofia dell’Università di
Loyola (Chicago) ha organizzato una
Conferenza Internazionale su: Etica
come Filosofia Originaria? Il significato di Emanuele Levinas per
la filosofia, la letteratura e la religione. I relatori sono: Babette Babi-
ch, Robert Bernasconi, Theo de Boer,
Jack Caputo, Cathérina Chalier, Fabio Ciaramelli, Richard Cohen, Rebecca Comay, Simon Critchley, Arnold Davidson, Paul Davies, Robert
Gibbs, Alphonso Lingis, John
Llewelyn. Adriaan Peperzak, William
Richardson, Jill Robbins, Charles
Scott, Andrew Tallon, David Tracy,
Hent de Vries, Bernard Waldenfels,
Elisabeth Weber, Patricia Werhane,
Merold Westphal, Edith Wyschogrod.
● Informazioni: Beth Spina, Secretary of the Conference, Department
of Philosophy, Crown Center for the
Humanities, 344 Loyola University
Chicago, 6525 N, Sheridan Road,
Chicago IL.
nesimo e il Rinascimento. Italiani
in Europa. L’introduzione sarà di
Eugenio Garin e il calendario avrà il
seguente svolgimento: 3-5 maggio,
Kurt Flasch: “Cusano e l’umanesimo
italiano”; 4-5 maggio, Eugenio Garin: “La fortuna europea di Giovanni
e Giovan Francesco Pico della Mirandola”; 6-8 maggio, Giovanni Aquilecchia: “Giordano Bruno in Inghilterra”; 6-8 maggio, Christian Bec:
“Macchiavelli in Francia”; 17-19
maggio, Pierre Jodogne: “L’Umane-
Nell’aprile 1993 a San Sebastian (Spagna) il dipartimento di filosofia dell’università basca indice il congresso
internazionale: Categorie e intelligibilità della totalità. Il progetto
ontologico e la riflessione attuale. Sono previste le seguenti sezioni:
“Ontologia e storia dell’ontologia”;
“Linguistica e storia della linguistica”; “Matematica e fisica teorica”;
63
Dal 26 al 29 maggio si riunisce a
Genova il secondo convegno della
Società Montesquieu dal titolo:
L’Europa di Montesquieu.
● Informazioni: G. Benrekassa, 43
rue Bezout, F-75014 Parigi.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Insegnare filosofia per unità
didattiche
Proseguendo un’iniziativa di ricerca
già avviata da tempo, Vega Scalera ha
pubblicato un nuovo quaderno della
collana “Laboratorio didattico” della
Nuova Italia, dedicato al tema: INSEGNARE FILOSOFIA PER UNITÀ DIDATTICHE. UN
MODELLO OPERATIVO (La Nuova Italia, Firenze 1992). Il volume trae origine dall’esperienza acquisita presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione
dell’Università “La Sapienza” di Roma
con la progettazione e l’attuazione di
corsi di perfezionamento a distanza
per insegnanti delle scuole secondarie
superiori. Sulla proposta di un insegnamento della filosofia fondato sulla programmazione per “unità didattiche” si soffermano anche Laura Bolognini e Lucia Marchetti in un recente articolo, INSEGNARE FILOSOFIA. LA FILOSOFIA NEL CURRICOLO , apparso sulla
rivista “Sensate esperienze” (n. 14,
febbraio 1992).
Il nuovo lavoro di Vega Scalera si presenta
come l’esito, sul piano della proposta concreta, di una ricerca già avviata e finora
orientata prevalentemente alla ricostruzione storica - potremmo anche dire: all’anamnesi - delle vicende, non sempre lineari,
dell’insegnamento della filosofia in Italia.
Ci riferiamo ai due precedenti volumi della
stessa autrice, apparsi nella collana “Laboratorio didattico”: L’insegnamento della
filosofia dall’Unità alla riforma Gentile
(La Nuova Italia, Firenze 1990; vd. la nostra recensione sul n. 1 di questa rivista,
dicembre 1990) e L’insegnamento della
filosofia dalla riforma Gentile agli anni
‘80 (ivi 1990). In questo secondo lavoro, in
particolare, l’autrice aveva messo a fuoco
le premesse storiche di una tradizione pedagogica che continua a plasmare il comportamento dei docenti di filosofia, favorendo «l’esercizio di una pratica didattica
rigida, fortemente subalterna allo schematismo dei programmi e dei manuali, aristocraticamente chiusa alle sollecitazioni della
più recente ricerca in campo psicopedagogico, didattico e delle tecnologie educative».
La fuoriuscita da questa situazione di ritardo, provocata in definitiva dal retaggio
della concezione educativa gentiliana, viene individuata dall’autrice, in questo suo
nuovo lavoro, Insegnare filosofia per unità
didattiche, nella proposta di una «gestione
razionale dell’insegnamento della filosofia», che consenta al tempo stesso ai docenti di «compiere esperienze significative di
ricerca (nella) didattica». Ciò comporta in
primo luogo l’abbandono, da parte dei docenti di filosofia, del tradizionale scetticismo nei confronti di una metodologia basata sulla costruzione di unità didattiche scetticismo che nasce in definitiva dalla
convinzione relativa alla eccezionalità della filosofia, alla sua intrinseca vocazione
dialogica, la quale non consentirebbe di
essere “ingabbiata” negli “schemi” della
programmazione didattica. Di fatto questa
convinzione convive per lo più con una
certa passività del docente verso la tirannia
dei programmi ministeriali, oppure con una
indeterminatezza di fondo nel definire obiettivi e contenuti della disciplina. Diversamente la pianificazione di sequenze didattiche autosufficienti - in quanto conduce
l’insegnante a precisare traguardi, a predisporre attività, a ideare procedure e forme
di comunicazione, a verificarle nell’iter
dell’apprendimento degli allievi - non solo
consente di gestire in modo responsabile
un insegnamento estremamente complesso, ma comporta la rinuncia a quella genericità di obiettivi (del tipo «sviluppo di
capacità di astrazione», «di abilità espositive»), con cui viene per lo più surrogata,
nei piani di lavoro approntati dai docenti,
l’esigenza (in sé genuina) di un controllo
sulla pratica dell’insegnamento filosofico.
L’organizzazione sequenziale del processo didattico non costituisce un fatto puramente tecnico, ma conduce a una continua
mediazione tra contenuti culturali e processi cognitivi, fra la specificità delle conoscenze disciplinari, via via selezionate in
base al loro valore culturale e alle potenzialità cognitive implicite, e gli obiettivi comportamentali e cognitivi comuni all’intero
curricolo durante il triennio, definiti in sede
di programmazione collegiale. L’autrice
insiste particolarmente sul fatto che la proposta di «operare per unità didattiche» si
traduce in una continua attività di ricerca,
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volta a valorizzare l’impegno costruttivo e
la capacità di progettazione degli insegnanti,
nella direzione di scoprire i livelli di congruenza tra contenuti culturali, processi
d’ordine didattico e acquisizioni di conoscenze da parte degli allievi. Ed è soltanto
in questa prospettiva che l’insegnante si
pone consapevolmente in grado di superare quelle semplificazioni che troppo spesso
accompagnano il suo iter didattico e che
sono sovente sollecitate dalla stessa domanda degli studenti. Scalera non allude
qui tanto ai rischi presenti in quella miniaturizzazione del sapere cui dà vita talvolta
l’insegnante nello sforzo di mediazione tra
contenuti culturali e capacità di apprendimento degli studenti, quanto invece alla
stessa propensione di questi ultimi a una
visione lineare di fenomeni culturali ben
altrimenti complessi. Chiunque insegni
conosce bene come nei giovani prevalga
spesso un bisogno di procedere secondo
una logica del «bianco o nero», evitando
ambiguità e contraddizioni, secondo quella
«intransigenza cognitiva» che nasce dalla
«difficoltà a padroneggiare la multidimensionalità dell’esperienza» e che è propria
della particolare fase di sviluppo nella formazione dell’identità personale degli adolescenti. Ma il lavoro per unità didattiche
costituisce anche per gli studenti una situazione didattica nuova, lontana dalla “astrattezza” dell’insegnamento tradizionale, perché li impegna in una “sfida”, ovvero in
un’esperienza di apprendimento fondata
su livelli di operatività e concretezza (quali
il lavoro di montaggio e smontaggio dei
testi, il confronto tra linguaggi diversi, la
ricerca di soluzione dei diversi problemi
prospettati, la discussione in gruppo). Insomma, il lavoro sui testi, se inserito in una
progettazione organica di unità didattiche,
viene a costituire il nucleo centrale di quello che si potrebbe definire un “laboratorio
di filosofia”, capace oltretutto di favorire
una profonda modificazione dell’atteggiamento tradizionale dei giovani nei confronti dello studio.
Il lavoro di Scalera offre infine un modello
operativo di come si costruisce un’unità
didattica, sviluppando il tema della filosofia cartesiana. Si tratta del risultato di una
riflessione maturata all’interno di una precisa situazione educativa, partendo dal ten-
DIDATTICA
tativo di ripensare la valenza formativa
della filosofia in relazione ad una pluralità
di dimensione conoscitiva, e lontana dalla
pretesa di costituire qualcosa di definitivo,
buono per tutti gli usi. E’ peraltro convinzione dell’autrice che «la costruzione di
unità didattiche non può essere assunta in
senso prescrittivo in relazione all’adeguamento ad un modello prestabilito, quanto
come una procedura che consente agli insegnanti di controllare e regolare il processo
formativo e di ipotizzare, verificandole,
nuove e diverse soluzioni ai problemi in
una prospettiva adattativa e individualizzante».
Il volume presenta numerosi esercizi che
devono condurre l’insegnante a familiarizzarsi con il lavoro per unità didattiche. Ma
la parte più ricca del libro di Scalera è
quella riservata alla documentazione di testi, di proposte e di riflessioni maturate
soprattutto negli ultimi decenni. Sono per
esempio ripubblicate alcune sezioni di unità didattiche elaborate, rispettivamente, da
L. Bolognini e L. Marchetti (Insegnare
filosofia, in “Sensate esperienze”, n. 1,
1990), da D. Di Cesare (La filosofia: un
approccio ermeneutico, in AA.VV., La
Secondaria al lavoro, Giunti & Lisciani,
Teramo 1989), da S. Tagliacozzo (Un’unità didattica di filosofia per il primo anno di
corso, in “Nuova Secondaria”, n. 4, 1989).
Compaiono anche articoli di A. Visalberghi (Problemi di formazione degli inse-
gnanti di filosofia, in “Bollettino della Società Filosofica italiana”, n. 106, 1979), di
E. Becchi (Studiar filosofia, in AA.VV.,
Storia della filosofia come sapere critico.
Scritti in onore di M. Dal Pra, Angeli,
Milano 1984), di M. Dal Pra (La funzione
dell’insegnamento della filosofia, in “Bollettino della Società Filosofica italiana”, n.
106, 1979), di M. Laeng (La specificità
dell’insegnamento filosofico, in ibidem),
di M. Santi (Philosophy for Children: una
proposta per “pensare” a scuola, in “Scuola
e città”, n. 9, 1990) e numerose altre riflessioni, fra cui le testimonianze dirette di
alcuni studenti.
Da segnalare infine, tra questi articoli e
prese di posizione riportati nel libro di
Scalera, l’intervento del presidente dell’Associazione francese dei Professori di
Filosofia J. Lefranc (La Formation des
Professeurs de Philosophie en France,
apparso originariamente nel volume a c. di
V. Telmon, Filosofia e Formazione. Un
colloquio europeo sui compiti del docente
di filosofia nelle scuole secondarie e sulla
formazione dei professori, Centro Stampa
«Lo Scarabeo», Bologna 1985), il quale si
sofferma sui principi e sulla metodologia
formativa degli insegnanti di filosofia in
Francia. L’autore mostra di nutrire alcuni
dubbi sui recenti progetti tesi a creare in
Francia dei centri specializzati di formazione per i futuri insegnanti di filosofia nei
licei. «Abbiamo timore - scrive - dell’im-
perialismo di una certa pedagogia che si
ritiene scientifica e che spesso nasconde
un’ideologia che è tanto più pericolosa in
quanto rimane implicita e avanza anche la
pretesa di subordinare a sé la critica filosofica». A suo avviso «è la filosofia stessa, e
non una scienza che le rimarrebbe esterna,
che deve riflettere sulla sua pedagogia ed
elaborarne la teoria», se è vero che il compito di insegnare la filosofia non consiste
nella semplice trasmissione dei saperi mediante procedure didattiche più o meno
efficaci, ma «nel riflettere filosoficamente
di fronte agli allievi e insieme agli allievi».
Si tratta di un compito al quale l’insegnante in Francia è chiamato sin dall’inizio, da
quando cioè, appena nominato in ruolo,
deve egli stesso costruire il suo corso,
senza utilizzare alcun manuale nella sua
classe, trovandosi nella condizione, così
continua Lefranc, di «poter filosofare liberamente con delle giovani menti»: un lavoro difficile e lungo, ma anche di grande
soddisfazione.
E’ opportuno rilevare, in questo contesto,
che con l’articolo: Insegnare filosofia. La
filosofia nel curricolo (“Sensate Esperienze”, n. 14, 1992), Laura Bolognini e Lucia
Marchetti hanno voluto riprendere il tema
della loro precedente riflessione (si veda:
Insegnare filosofia, in “Sensate Esperienze”, n. 8, 1990), nell’ottica di precisarne
meglio i contorni teorici e i termini complessivi del discorso. Il nuovo articolo tie-
Giorgio De Chirico, Il filosofo e il poeta, particolare
65
DIDATTICA
ne peraltro conto delle numerose prese di
posizione e obiezioni di colleghi pubblicate sulla stessa rivista (si vedano gli articoli
di M. Da Ponte Orvieto, in “Sensate esperienze”, n. 10, 1990; di P. Biancardi e M.
Pinotti, ibidem, n. 11, 1991; di P. Palmeri,
ibidem, n. 13, 1991), nonché di altri recenti
interventi (come gli articoli di F. Bianco,
di J. Rohbeck e di V. Telmon, pubblicati
su “Paradigmi”, VIII, n. 23, 1990; di M. De
Pasquale e P. Porcelli, ibidem, VIII, n. 24,
1990; di S. Belvedere e G. Magistrale,
ibidem, IX, n. 25, 1991; e di B Coppola,
ibidem, IX, n. 26, 1991). Ma questo nuovo
contributo vuole essere anzitutto una riflessione “sul campo”, vale a dire una
svolta da parte di chi è quotidianamente
impegnato nei problemi dell’insegnamento della filosofia e si interroga concretamente sulla funzione della filosofia nel
curricolo di studi. Non a caso l’articolo è
arricchito da uno “strumentario” che riporta progetti e piani di lavoro elaborati da
consigli di classe.
Il presupposto teorico di fondo della riflessione di Bolognini e Marchetti è che «la
ricomposizione della tradizione culturale
richieda di trasmettere conoscenze intorno
a snodi forti collocati in un tempo, per
comodità o per sicurezza, lineare». Progettare un’insegnamento della filosofia che
sappia coniugare il metodo storico con
quello problematico significa individuare,
all’interno della tradizione culturale europea, quei momenti salienti, paradigmatici e
ad ampio spettro, che hanno lasciato tracce
persistenti. Tale progettazione richiede di
condurre un lavoro sui testi, la cui scelta
«deve consentire di tracciare un reticolo
consistente di problemi, permanenze, novità, silenzi o cesure, preparatorio al dialogo fra testi e fra autori, entro lo snodo e fra
gli snodi».
Convegni
Dal 2 al 4 novembre 1992 si è svolta a
S. Margherita Ligure (Genova) la seconda parte del seminario di aggiornamento sull’insegnamento della filosofia istituito con D.M. 30/11/91. Il
programma dei lavori, assai intenso,
era anche questa volta finalizzato all’approfondimento e al confronto tra
docenti della scuola media superiore
sulla proposta didattica relativa al
“progetto Brocca” di riforma dei programmi.
A differenza del primo (si veda il resoconto
sul n. 7 di questa rivista, maggio 1992),
questo secondo modulo si è concentrato su
proposte concrete provenienti da Istituti
Sperimentali. I partecipanti sono quindi
entrati nel merito dei nuovi criteri metodologici che emergono da una lettura più
attenta del progetto Brocca. Organizzato
ancora una volta dal Preside Rembado del
liceo “De Vigo” di Rapallo e coordinato
dall’Ispettrice ministeriale A. Costantini
Sgherri, il seminario si è confermato come
laboratorio di ricerca didattica. Più volte
infatti è emerso che l’Università, proiettata
verso ricerche specialistiche, appare per lo
più estranea ai problemi dell’insegnamento, salvo l’apporto di alcuni docenti interessati alla didattica della filosofia, sicché
spetta all’iniziativa e all’inventiva dei docenti della scuola media superiore trovare
luoghi e modi opportuni per rinnovarsi. E a
proposito dell’aggiornamento, che è anche
informazione oltre che riqualificazione,
Sgherri ha invitato i presenti ad entrare
nell’ottica della scuola-laboratorio, superando la dimensione individualistica del
lavoro e sperimentando itinerari diversi
che possano però essere leggibili all’esterno e costituire quindi materiale di ricerca.
L’esperienza sul campo e l’utilizzo delle
tecnologie più avanzate (computer e telematica) vengono così a costituire le basi
del rinnovamento professionale dell’insegnante.
Particolarmente stimolante è stata l’ampia
relazione di Evandro Agazzi sui temi centrali della ricerca filosofica, affrontati anche in riferimento ai paesi del Terzo Mondo e del mondo islamico. Significativa,
data anche la sua esperienza internazionale, è stato il richiamo di Agazzi a ricercare
e adottare un approccio e un linguaggio
filosofici specifici, che ancora oggi devono
qualificare l’insegnamento della filosofia
nella scuola secondaria superiore italiana.
Si sono quindi aperti i lavori di gruppo,
riproposti nella suddivisione adottata nel
precedente convegno, che ha permesso
un’accelerazione nello scambio di esperienze e nella produzione di materiali di
lavoro. Sulla base di precise e interessanti
proposte di unità didattiche elaborate sul
“progetto Brocca” da parte di insegnanti
del liceo “Ariosto” di Ferrara, del “Copernico” di Bologna e del “Majorana” di Rho,
si è discusso a lungo al fine di individuare
criteri didattici, strategie metodologiche e
di verifica atte a realizzare un rinnovamento dell’insegnamento. I gruppi hanno quindi elaborato materiali senz’altro utili per un
primo, ampio approccio ai diversi problemi. La pubblicazione degli Atti favorirà il
diffondersi di tutte queste esperienze. Ancora una volta l’aspetto più interessante del
seminario si è rivelata la possibilità di un
confronto aperto e problematico tra realtà
diverse ed istanze differenti; si è quindi
confermata l’opportunità di procedere sul
piano locale, favorendo forme di coordinamento sia a livello regionale, sia comunale,
sia fra singole scuole, nell’ottica di un
continuo scambio di esperienze. Entro il
prossimo anno molte scuole infatti saranno
dotate di una avanzata rete computerizzata
di comunicazione. Si confida pertanto negli insegnanti e nell’uso intelligente delle
macchine. S.C.V.
66
TOLLERANZA E LIBERTÀ: STORIA E ATTUALITÀ
è stato l’argomento di una
tavola rotonda svoltasi il 29 ottobre
1992 presso l’Università degli Studi di
Milano con una duplice finalità: aggiornare gli insegnanti della scuola
media superiore intorno alla ricerca
universitaria e al contempo indicare
possibili percorsi didattici, con sperimentate esemplificazioni di lettura dei
testi in relazione ad uno specifico tema
di attualità.
DI UN’IDEA
L’idea è nuova, il progetto è appena nato e
si spera che questa prima realizzazione sia
la tappa iniziale di un percorso a lunga
scadenza. Del resto la nuova sperimentazione di filosofia che il Ministero sta proponendo in diverse scuole italiane, sulla
base dei programmi elaborati dalla “commissione Brocca” della scorsa legislatura,
prospetta l’individuazione di percorsi didattici da approfondire con la lettura diretta
dei testi filosofici. Risulta pertanto opportuno collocarsi nella prospettiva di un autoaggiornamento, per il quale tuttavia è necessario l’apporto scientifico della ricerca
universitaria, da un lato, e l’esperienza
didattica, già verificata sul campo, dall’altro.
L’iniziativa in questione è nata su proposta
di L. Pozzi d’Amico (Liceo “Einstein” di
Milano) in sede di Direttivo della Sezione
Lombarda della Società Filosofica Italiana, presieduto da E. Rambaldi, presidente
neo-eletto. D’Amico invitava i docenti
universitari ad un approccio nuovo al problema dell’aggiornamento, tale da garantire scientificità e al tempo stesso da sollecitare i docenti liceali all’elaborazione di
modelli metodologici e di contenuto, capaci di riproporre sul piano dell’insegnamento liceale i moduli propri, ma non esclusivi,
della ricerca universitaria. L’idea veniva
accolta con interesse da M. Del Torre,
coordinatrice di un gruppo di studio di
ricerca didattica della SFI lombarda, che da
lungo tempo auspica un’integrazione tra
Università e Scuola secondaria superiore
su tematiche di attualità, pur collocate nella
loro dimensione storica. La proposta dunque poteva realizzare un collegamento fra
la tradizione e l’attualità in una prospettiva
unitaria di forte rilievo metodologico. A
seguito di queste considerazioni si costituiva quindi un comitato ristretto che elaborava modi e tempi di realizzazione del
progetto.
Nella prima iniziativa pubblica tenutasi
presso l’Università degli Studi di Milano
F. De Michelis (Università di Pavia) ha
presentato con chiarezza e rigore la prospettiva storica del problema della tolleranza, definendone le radici storiche nel
XV secolo. Hanno fatto seguito due esemplificazioni didattiche di lettura di testi,
l’una di S. Creperio (Liceo Parini) sull’Epistola de tolerantia di J. Locke, l’altra
di Pozzi d’Amico su La passeggiata dello
scettico di Diderot. L’intervento conclusivo di S. Veca ha sottolineato il carattere
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
REVUE PHILOSPHIQUE DE LOUVAIN
Vol. 90, agosto 1992
Istitut Supérieur de Philosophie
Louvain La Neuve
Sophistique et ontologie, di S. Breton: ogni
seria riflessione sull’ontologia deve passare, ancor oggi, attraverso il Libro ‘Gamma’
della Metafisica di Aristotele; in quest’ottica si colloca il libro di B. Cassin e M.
Narcy: La décision du sens (Vrin, Paris
1989).
Aristote et la séparation, di M. Bastit: la
nozione aristotelica di separazione può essere trasposta, dalla sua origine fisica, in
psicologia e filosofia prima, determinando
il trionfo dell’atto e della forma. Essa consente quindi di tracciare una gerarchia che
si eleva dal meno separabile al totalmente
separabile attraverso la realtà mista.
De Baumgarten à Kant: sur la beauté, di H.
Perret: l’estetica sistematica di Baumgarten ricostruisce le condizioni generali della
creatività estetica e determina le caratteristiche generali dell’oggetto bello. Nella
Critica del Giudizio Kant riprenderà proprio da Baumgarten l’idea che l’esperienza
estetica sia un giudizio e che il giudizio
estetico presupponga una sensibilità per
l’individuale.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 2, aprile-giugno 1992
PUF, Paris
ed il teatro, e in un confronto tra il Trattato e
i Saggi.
Sympathie et individualité dans la philosophie politique de David Hume, di F.
Brahami: la filosofia politica di Hume si
costruisce a partire da due principi che
sembrano diversi e quasi contraddittori:
l’interesse e la simpatia. L’articolo chiarifica il rapporto tra questi due principi, evidenziando come il dualismo sia solo apparente, perchè la coerenza della teoria si
basa sul concetto di individualità.
“Fiat lux”: une philosophie du sublime, di
B. Saint-Girons: presentazione della discussione di dottorato presso l’Università
di Parigi.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 3, luglio-settembre 1992
PUF, Paris
Tema della rivista: “Realismo e idealismo
nelle scienze”.
Emile Meyerson, philosophe oublié di J.
Largeault: sulla figura e l’opera di Emile
Meyerson (1859-1933).
Les quatre causes de Bunge à Aristote, di
M. Espinoza: un confronto tra la concezione aristotelica delle quattro cause e quella
della causalità nella scienza moderna e
contemporanea, con riferimento particolare a Mario Bunge, rappresentante del realismo scientifico.
Tema della rivista: “Hume”
La fonction du droit et la question du lien social chez Hume et Montesquieu, di P.L.
Autin.
Le système chez Hume. Une écriture stratégique et théâtrale, di M. Biziou: l’articolo
analizza il sistema in Hume a partire da due
questioni centrali: perchè la filosofia si deve
costruire come sistema per pensare se stessa
ed il suo oggetto? Rinunciando alla scrittura
sistematica, la filosofia può restare tale? Il
problema viene affrontato prendendo le
mosse da due metafore humeane, la strategia
Brève note sur l’intuitionnisne de Brouwer, di J. Largeault.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 55, ottobre-dicembre 1992
Beauchesne, Paris
Tema della rivista: “Hobbes e Locke”.
Contexte des rapports intellectuels entre
Hobbes et Locke, di J. Rogers: nonostante
i numerosi studi comparati tra i due filosofi, con particolare attenzione alle rispettive
teorie politiche, non tutti gli aspetti dei
possibili legami tra Locke e Hobbes sono
stati esaurientemente analizzati. Da questo
punto di vista l’articolo intende esaminare
il rapporto di entrambi con Boyle e la sua
concezione del metodo scientifico; la disputa Boyle-Hobbes sulla possibilità del
vuoto può costituire un punto chiave per
chiarire alcuni aspetti del rapporto Hobbes-Locke.
Le discours mental selon Hobbes, di M.
Pécharman.
Le mythe de l’intériorité chez Locke, di G.
Brykman: a partire dal libro di J. Bouveresse, Le muthe de l’intériorité (Paris, Minuit,
1976), l’articolo analizza la concezione
lockeana del linguaggio in rapporto alla
nozione di Wittgenstein di linguaggio privato.
La propriété chez Hobbes, di Y.C. Zarka:
alla luce del rapporto tra Hobbes e Grozio
è possibile analizzare la concezione hobbesiana della proprietà da tre punti di vista: la
riduzione politica del problema della proprietà, il dominio privato e politico, pensato in termini di proprietà, la teoria della
sovranità. L’articolo si sviluppa pertanto
tenendo presenti tre coppie di concetti:
dominium/proprietas, dominium/potestas,
dominium/auctoritas.
La propriété dans la philosophie de Locke,
di S. Goyard Fabre: il concetto di communio fundi originari, corollario della legge
divina, avente valore di postulato, rappresenta un aspetto cruciale per comprendere
la questione della proprietà in Locke, al di
là dell’analisi della proprietà reale.
Le roman philosophique de l ‘humanité
chez Hobbes et chez Locke, di F. Tricaud:
un confronto tra Hobbes e Locke sulla
teoria dello Stato; se per Hobbes l’esistenza dello Stato garantisce i diritti limitati ed
inviolabili di ciascuno, per Locke è inutile
il ricorso al contratto, ma è sufficiente la
legge di nartura a definire le regole fondamentali della condotta giusta.
Filmer, Hobbes, Locke: les cassures dans
67
RASSEGNA DELLE RIVISTE
l’espace de la théorie politique, di F. Lessay: l’analisi della famiglia presente nei tre
autori.
Zähmung des Bösen?, di G. Schönrich: le
riflessioni di Kant sui problemi della teodicea leibniziana.
Locke et l’intentionnalité: le problème de
Molyneux, di J. M. Vienne.
Symbolische Erkenntnis bei Leibniz, di S.
Krämer: la distinzione tra forma intuitiva e
forma simbolica della conoscenza proposta da Leibniz nelle Meditazioni del 1684.
Intuition et intuitionisme, di J. Largeault:
l’intuizione nella filosofia, nella psicologia, nella metafisica e nella concezione
matematica di Brouwer.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Theodizee oder Kulturgeschichte des Bösen? Anmerkungen zum gegenwärtigen
Diskurs, di C. F. Geyer.
Wissen, Glauben, Nicht-Wissen, di A. Stephan: Freud e la logica epistemica.
Vol. 46, n. 3, 1992
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Pierre Duhem”.
To save the phenomena: Duhem on Galileo, di M. A. Finocchiaro: l’articolo rivaluta l’interpretazione di Galileo data da
Duhem, che con la sua definizione dell’ideale di unità della fisica appare molto
vicino al realismo di Galileo.
Physique de croyant? Duhem et l’autonomie de la science, di A. Boyer: il legame
problematico in Duhem tra scienza e metafisica.
Duhem and continuity in the history of the
science, di R. Ariew e P. Barker.
A reappraisal of Duhem’s conception of
scientific progress, di B. S. Baigrie.
Measurement and principles: the structure
of physical theories, di A. Kremer-Marietti: a partire dagli scritti di Duhem sulla
teoria della relatività e dei quanta, l’articolo mostra come il suo metodo rimanga
pertinente nonostante gli sconvolgimenti
operati sulla fisica contemporanea da queste teorie.
Duhem et l’atomisme, di R. Majocchi: la
critica di Duhem all’atomismo.
Duhem face au post-positivisme, di A. Brenner: la riflessione di Duhem e quella postpositivista hanno in comume l’analisi del
ruolo della storia della scienza nell’epistemologia.
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE
FORSCHUNG
Vol. 46, n. 2, aprile-giugno 1992
Klostermann, Frankfurt a/M.
“Was darf ich hoffen?”, di E. Förster: il
problema kantiano della conciliazione di
ragion pratica e teoretica.
Kants Wahrnehmungsurteile als Erbe Humes?, di D. Lohmar.
ARCHIV FÜR GESCHICHTE
DER PHILOSOPHIE
Vol. 72, n. 2, 1992
Walter de Gruyter, Berlin, New York
Latin Averroes on the divisibility and selfmotion of the elements, di R. F. Hassing e E.
M. Macierowski: il problema della causalità e del moto naturale degli elementi è
stato al centro del dibattito filosofico-scientifico fino a Galileo; l’articolo prende in
esame la posizione di Averroè nel suo
‘Commentario’ alla Fisica di Aristotele,
con particolare attenzione ai paragrafi II 1,
VII 1, VIII 4, VIII 5.
Rabbi Lewi ben Gerschom (Gersonides)
und die Bedingungen wissenschaftlichen
Fortschritts im Mittelalter: Astronomie,
Physik, erkenntnistheoretischer Realismus
und Heilslehere, di G. Freudenthal.
Immortalitas oder Immaterialitas, di T.
Ebert: un’analisi dei sottotitoli apposti da
Cartesio alle due edizioni, quella di Parigi
del 1641 e quella di Amsterdam del 1642,
delle Meditationes.
letta la differenza tra la teoria politica di
Agostino e quella di Tommaso. In particolarte, se per Tommaso appare centrale il
forte legame che il cittadino sente con il
bene comune della società politica, legame che costituisce la base di una vera e
propria virtù etica, Agostino nega che si
possa parlare di virtù. Il cambiamento di
prospettiva sulla nozione di virtù civile e
bene comune dipende proprio dalla rilevanza della lezione aristotelica.
Descartes and dream skepticism revisited,
di R. Hanna: la riflessione antiscettica cartesiana nelle Meditationes.
The Molyneux Problem, di M. Lievers: la
questione posta da Molyneux circa la relazione tra le idee acquisite attraverso il tatto
e quelle acquisite attraverso la vista sono al
centro delle analisi lockeane nel Saggio.
L’articolo prende in esame il problema di
Molyneux in relazione alle teorie cartesiane, discutendo poi come esso venga affrontato da Locke e da Berkeley.
Lichtenberg and Kant on the subject of
thinking, di G. Zoeller: contro una certa
tradizione storiografica che vorrebbe porre
Lichtenberg (1742-1799) ed il suo aforisma
Es denkt sulla scia humeana e quindi in
opposizione a Cartesio, l’articolo vuole piuttosto dimostrare che egli è molto vicino alle
posizioni di Kant, pur non riuscendo a cogliere fino in fondo la complessità della
teoria kantiana dell’autocoscienza. Alla luce
di queste considerazioni l’articolo mostra
comunque anche la differenza tra la posizione di Lichtenberg e l’Io penso kantiano,
comcludendo con una valutazione critica dei
due pensatori.
PARADIGMI
Vol. X, n. 30, settembre-dicembre 1992
Schena Editore, Brindisi
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vol. XXX, n. 3, Luglio 1992
Washington University, St. Louis
Degrees of finality and the highest good in
Aristotle, di H. R. Richardson: una certa
ambiguità da parte di Aristotele nella formulazione della nozione di Bene supremo
ha dato origine ad una serie di interpretazioni spesso in contrasto tra di loro. L’articolo intende mettere in luce come una
corretta analisi di questa nozione non possa
prescindere da quella di fine ultimo.
Augustine and Aquinas on original sin and
the function of political authority, di P. J.
Weithman: la riscoperta delle Etiche, ma
soprattutto della Politica di Aristotele ha
determinato una svolta cruciale nelle elaborazioni delle teorie politiche del Medioevo. E’ sotto questa luce che può essere
68
Appaiono in questo fascicolo monografico
alcuni interventi al Convegno Internazionale su: “Dialogo interculturale ed eurocentrismo”, tenutosi a Roma dal 27 al 29
maggio 1991 ed organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Teoria della Scienza
dell’Università “La Sapienza” di Roma, in
collaborazione con il Goethe Institut. Ad
esse è stato aggiunto il testo della conferenza pronunciata nell’Università di Bari da P.
Matvejevic il 12 marzo 1992.
Come si sottolinea nella presentazione, la
pubblicazione di questo fascicolo è, da un
lato, motivata dalla persuasione che il dialogo tra le culture, che sono forme, autointerpretazioni e cifre della vita dei popoli, è
urgente e ineludibile necessità dell’odierna situazione mondiale, dall’altro è sorretta dalla speranza che le culture riescano
effettivamente a dialogare, ossia a riconoscersi e a rispettarsi nelle differenze delle
rispettive identità e a non avere preconcette diffidenze ed ostilità per le nuove iden-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
tità e per le nuove combinazioni e sintesi
che dalla continuità del dialogare possono
sortire. Anche attraverso il dialogo fra le
culture passa e si consolida la pace tra i
popoli e l’umanità si difende dai sempre
possibili ricorsi della barbarie”.
Visioni del mondo e rapporti tra le culture,
di F. Bianco.
La fenomenologia come “medium” di ricerca interculturale dal punto di vista orientale, di Kah Kyung Cho.
della “morte di Dio” nietzscheana e la
proposta di lettura heideggeriana, ci riporta
all’esperienza del sacro.
Spirito e malinconia, di G. Carchia: la
malinconia tra medicina e filosofia nell’analisi antica, moderna e contemporanea.
L’utopia del visibile. Note sull’ermeneutica dell’immagine a partire dalla Romantik, di F. Vercellone.
Una visione pragmatista della razionalità
e della differenza culturale, di R. Rorty.
L’importanza culturale dell’Islam, di R.
Garaudy.
La tonalità emotiva fondamentale dell’Europa e la comunicazione interculturale, di
K. Held.
Il problema dell’altro nell’universalismo
occidentale, di A. M. Iacono.
La tecnologia e la vendetta della cultura, di
D. Ihde.
Sulle nozioni di cultura nazionale, di P.
Matvejevic.
La filosofia indiana e quella occidentale
sono radicalmente differenti?, di J. Mohanty.
Eurocentrismo, eurocentricità e dis-europeizzazione, di T. Ogawa.
Cultura europea e religiosità giapponese,
di R. Venturini.
Cultura propria e cultura estranea; Il paradosso di una scienza dell’estraneo, di B.
Waldenfels.
Transculturalità. Forme di vita dopo la
dissoluzione delle culture, di W. Welsch.
AUT-AUT
n. 251, settembre-ottobre 1992
La Nuova Italia, Firenze
La prima parte della rivista si occupa del
libro di G. Bateson, Dove gli angeli esistano (Adelphi, Milano 1987) e comprende
alcune note dello stesso Bateson (La creatura e la sua creazione), un intervento di
Mary Catherine Bateson sulla genesi del
testo (Come é nato ‘Angel Fear’), e quattro
contributi che prendono spunto da questo
libro: Il meta-libro di Bateson, di A. Dal
Lago; Il fine non perseguibile. Su Bateson
e la “non-comunicazione”, di R. De Biasi;
La regola di Bateson, di G. Gabetta; Un
occhio appeso al collo, di P. A. Rovatti.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Vol. LXXXIV, n. 1, gennaio-marzo 1992
Vita e Pensiero, Milano
L’Epinomide o della religione entro i limiti
della ragione, di D. Pesce: benchè questo
dialogo si collochi all’interno del platonismo, sia per i rimandi alle Leggi, sia per i
contenuti dottrinari, l’autore non condivide l’ipotesi da più parti accreditata che il
dialogo sia effettivamente da attribuire a
Platone e preferisce assegnarne la paternità
a Filippo di Opunte che, pur muovendosi
nell’ambito del platonismo, avrebbe qui
voluto esporre una sua dottrina, utilizzando quindi liberamente i testi di Platone.
Il rinnovamento della filosofia nella Dialectica di Lorenzo Valla, di M. Laffranchi:
in quest’opera di Valla sono presenti alcuni
nodi tematici che rappresentano il fulcro
del pensiero logico e filosofico dell’autore;
l’articolo compie una disamina dei concetti
retorici, logici e filosofici di questo testo.
La “dialectique” de Schleiermacher et l’absolu schellingien, di E. Brito: dopo aver
delineato l’evoluzione dei rapporti tra
Schelling e Schleiermacher, sottolineando
poi in che senso la filosofia di Schelling
possa aver influito sugli sviluppi a livello
logico, epistemologico e ontologico della
Dialektik di Schleiermacher, l’articolo si
incentra sul confronto tra la concezione del
rapporto tra Dio e mondo nella Dialektik e
la teoria dell’Assoluto nel sistema schellinghiano dell’identità.
Autocoscienza e conoscenza nel “primo
Rosmini”, di P. De Lucia: l’articolo prende
in esame un libro del giovane Rosmini, La
coscienza pura, che ha come oggetto l’autocoscienza, per interpretarlo in rapporto al
problema della conoscenza. Si fa anche il
punto sulla scarsa attenzione che la critica
ha sempre prestato a questo scritto.
Analogia storica ed esperienza trascendentale. La “metaistorica” di Max Müller,
Il sacro, di S. Givone: partendo dalla questione del senso in cui si possa parlare oggi
di Dio, l’articolo, attraverso una rilettura
69
di P. Volonté.
La metafisica segreta di Kant. Su un recente saggio di Virgilio Melchiorre, di S.
Mancini: recensione di V. Melchiorre: Analogia e analisi trascendentale. Linee per
una nuova lettura di Kant (Mursia. Milano, 1991).
FILOSOFIA OGGI
Vol. XV, n. 60, ottobre-dicembre 1992
Edizioni dell’arcipelago, Genova
L’être, épreuve de la pensée (II), di P.
Rostenne: una riflessione ontoteologica sul
rapporto tra Essere e Dio.
Ein berühmtes Beispiel künstlicher Intelligenz in der Natur: der Zellenbau der Honigbienen, di M. Casula: attraverso una ricostruzione storica che parte da Pappo (IV
sec. a. C. ) fino ai giorni nostri, l’articolo
intende delineare in termini matematici il
miracolo naturale della costruzione di un’alveare. La natura fornisce esempi di altissime operazioni di intelligenza paragonabili
alle operazioni dei computers.
L’analogia fra competenza trascendentale
e fondamento trascendente nella dialettica
di Schleiermacher, di M. G. Lombardo.
Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività, di R. Rossi: la relazione tra fondamento della conoscenza, limite e relazione;
una rilettura storica.
“Humanisme de la liberté dans la perspective de l’humanisme legazien, di J. M. Trigeaud: il sistema di Legaz y Lacambre può
essere visto in termini di un umanesimo
della libertà, che pone al centro della speculazione etica la persona.
AQUINAS (Vol. XXXV, maggio-agosto
1992, Università Lateranense) presenta un
intervento di M. Bunge dal titolo Sette
paradigmi cosmologici: l’animale, la scala ,il fiume, la nuvola, la macchina, il libro
e il sistema dei sistemi in cui vengono
analizzati i paradigmi cosmologico dell’olismo, secondo cui il mondo è un animale; della visione gerarchica, che considera
il mondo come un insieme stratificato, dell’atomismo, la cui metafora è la nuvola; del
punto di vista dinamico, per il quale il
mondo è un fiume senza sponde; del meccanicismo, per cui il mondo è un orologio;
del testualismo, per il quale il mondo è una
sorta di libro. Di questi paradigmi vengono
indicate le caratteristiche ed il loro valore
alla luce della scienza contemporanea. Troviamo inoltre: L’immagine della donna
secondo Ortega y Gasset, di A. Savignano;
Dialettica di fantasia e logos nella nozione
di mito secondo Aristotele, di D. Prisco;
San Tommaso e Hegel per una teodicea
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
cristologica, di M. Mangiagalli.
AESTHETICA (n. 35, agosto 1992, Centro
internazionale Studi di Estetica, Palermo)
pubblica gli interventi al Seminario dal
titolo: Laocoonte 2000, promosso dal Centro internazionale Studi di Estetica (Palermo 1-2 novembre 1992).
ANNALI UGO SPIRITO 1991 (Vol. III,
Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992). Presenta, accanto a saggi su Ugo Spirito (L’idea
di Roma nel pensiero di Giovanni Gentile
e Ugo Spirito, di H. A. Cavallera; 1991:
cinquant’anni dalla Vita come Arte di Ugo
Spirito, di C. Gily Reda) alcuni interventi
sul pensiero di Augusto Del Noce (Le origini della critica al razionalismo in Augusto Del Noce, di G. Dessì), sulla critica a
Vico (In margine ad alcuni studi italiani su
Vico, di A. Russo), sul pensiero di Carlo
Diano (Il pensiero filosofico di Carlo Diano, di R. Chierichini) e su Heidegger (Le
scienze ontiche nel primo Heidegger. Ipotesi a partire da Phänomenologie und Theologie, di G. Salmeri).
ESTETICA 1992 (Il Mulino, Bologna,
1992), a cura di Stefano Zecchi, è intitolato
“Forme del simbolo”. Se il simbolo, come
spiega Zecchi nell’introduzione, è un tipo di
linguaggio che rifiuta l’univocità del segno
ed il suo rapporto lineare con la realtà per
aprirsi ad una dimensione cosmica dell’uomo e del suo linguaggio, dimensione cosmica che emblematicamente si dà nella religione e nell’arte, la nostra modernità, con il suo
culto della tecnica, ha perduto completamente il senso di questa appartenenza cosmica testimoniata dalla dimensione simbolica che appare sempre più propria di una
realtà culturale ormai sorpassata. Ma è proprio alla luce di questo confronto con la tradizione che può essere pensato un processo
di risimbolizzazione della realtà. Ed è questa la proposta della raccolta di saggi qui
contenuta. Accanto agli interventi di carattere storico e teoretico, troviamo anche una
sezione riservata a Richard Wagner, la cui
riflessione estetica rappresenta un emblema
della complessità delle forme del simbolo,
a cui si affianca la pubblicazione del carteggio tra Wagner e Schuré; appare inoltre un
testo pubblicato per la prima volta dell’architetto Adholphe Appia sulle questioni
legate alla messa in scena delle opere di
Wagner ed un saggio poco noto di D’Annunzio su Wagner. Simbolo ed allegoria nel
primo romanticismo tedesco, di E. Behler;
L’arte del XX secolo e il simbolo, di J.C.
Pinson; Emozione, immagine, simbolo, di J.
Hillman; Il pensiero e il simbolo, di C. Sini;
Il simbolo nell’ontologia fondamentale di
Heidegger, di J. Taminiaux; Il rischio dell’immagine, di J. Jiménez; La polemica sul
simbolo nella logica dell’arte di B. Schmidt; Udire l’oscurita, di A. Trione; Richard
Wagner-Edouard Schuré: frammenti di un
epistolario inedito; La musica di Wagner e
la genesi del Parsifal, di G. D’Annunzio;
Esperienmze di teatro e ricerche personali
1922-24, di A. Appia; Il simbolo e la musi-
70
NOVITA’ IN LIBRERIA
NOVITA’ IN LIBRERIA
AA.VV
L’utopia nella storia:
la rivoluzione inglese
a cura di A. Colombo e G. Schiavone
Edizioni Dedalo, settembre 1992
pp.294
Una raccolta di saggi sulla Rivoluzione inglese centrati sulla valenza utopica di questo evento e tendenti a
mostrarne l’importanza storica ed ideale, al di là dell’oblio in cui spesso è
caduta rispetto alla Rivoluzione francese.
AA.VV.
L’ Athenaion Politeia
di Aristotele
a cura di R. Cresci
e L. Piccirilli
Il Melangolo, febbraio 1993
pp.176, L. 20.000
Nel 1991 ricorreva il centenario della
pubblicazione dell’Atenaion Politeia
di Aristotele. Oggetti di vivace discussione, i saggi riuniti in questo
volume costituiscono un ulteriore
momento di riflessione sulle sempre
nuove problematiche poste da quest’opera.
AA.VV.
Annuario filosofico 1992
Mursia, febbraio 1993
pp.432, L. 70.000
Saggi di: Pareyson, Mathieu, Holzhey, Lauth, Moiso, Ravera, Sorrentino, Poma, Magris, Ugazio, Ferretti,
Baptist, Blagova, Salizzoni.
AA.VV.
Porphyre, La Vie de Plotin
1: Travaux préliminaires
et index grec complet
2: Etudes d’introduction,
texte grec et traduction
française, commentaire, notes
complémentaires, bibliographie
Vrin, dicembre 1992
2 voll., pp.436, F 360
Partendo dal testo revisionato, una
squadra di ricercatori ci propone una
lettura più accessibile di questo libro
non conformista. Altro motivo di grande interesse, la pubblicazione di documenti filosofici finora sconosciuti,
testimonianze dirette della scena intellettuale dell’epoca.
70
AA.VV.
Penser la recontre de deux mondes
PUF, febbraio 1993
pp. 135
Le riflessioni, di carattere antropologico e cosmologico, che la cultura
europea si pose all’indomani della
scoperta dell’America, riflessioni rilevanti soprattutto nel campo religioso, etico e politico, appaiono ancor
oggi al centro della speculazione contemporanea.
AA.VV.
Omaggio a Ludovico Geymonat
Franco Muzzio, novembre 1992
pp.194
AA.VV.
Le provocazioni di Giobbe.
Una figura biblica
nell’orizzonte letterario
Marietti, giugno 1992
pp. 120
Il testo ricostruisce le reinterpretazioni, le trasfigurazioni e le risonanze
letterarie della figura biblica di Giobbe, simbolo ora della pazienza, ora
della sofferenza del giusto, ora del
peccato.
AA.VV.
Tra scienza e storia. Percorsi
del neostoricismo italiano:
Eugenio Garin, Paolo Rossi
Sergio Moravia
a cura di Franco Cambiano
Edizioni Unicopli, dicembre 1992
L. 27.000.
In Italia, a partire dagli anni ’50, il
neostoricismo di Garin e poi della sua
scuola (da Rossi a Vasoli, a Moravia)
ha messo a punto un’immagine della
filosofia come intersezione critica,
aperta, problematica tra saperi e società, tra ragione e storia, che risulta
ancora oggi una lezione assai significativa. Il volume vuole ripensare questa “avventura” dello storicismo, soffermamdosi sull’evoluzione/trasformazione che il neostoricismo compie
da Garin a Moravia e sul dialogo con
la scienza, in cui la criticità (e la
ricchezza teorica) di questo modello
di filosofia viene a dispiegarsi, mostrando con forza anche la pregnanza
che esso mantiene nel dibattito filosofico contemporaneo.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Abelardo, Pietro
Dialogo tra un filosofo, un giudeo
e un cristiano
Rizzoli, gennaio 1993
pp. 314, L. 12.000
Nella sua ultima opera, il logico medioevale esprime l’idea di un cristianesimo naturale e tollerante, l’utopia
di una convivenza e forse una convergenza con le altre fedi nate dalla Bibbia nel nome di un Bene Sommo di
origini platoniche e stoiche, raggiungibile con la virtù e la ricerca intellettuale.
Arantes, Urias
Charles Fourier
ou l’Art des passages
L’Harmattan, novembre 1992
pp. 208, F 120
Una lettura di Fourier che prende
deliberatamente le distanze tanto dal
socialismo tradizionale quanto dai
surrealisti per operare un ritorno alle
parole e al mondo dell’utopista. La
forza critica della sua opera ne esce
restaurata grazie alla traduzione della
logica numerica dellae serie nella logica dei “passaggi”.
Adler, Max
Filosofia della religione
Cadmo, gennaio 1993
pp.251, L. 40.000
Tutti gli scritti sulla religione, compresi due inediti, del pensatore marxista viennese.
Azouzi, François (a cura di)
L’Institution de la raison:
la révolution culturelle
des idéologues
Vrin, dicembre 1992
pp.262, F 198
Su quale filosofia, su quali principi si
opera la rivoluzione culturale degli
ideologhi? Quali limiti, teorici e pratici, essi incontrano? A che tipo di
opposizione, in Francia e all’estero,
essa dà luogo?
Agamben, Giorgio
Stanzas: The word and the
phantasm in western culture
Univ. of Minnesota Press,
dicembre 1992
pp.224, £ 12,95
In quest’opera Agamben, rifacendosi
alla filologia, alla psicoanalisi dei giochi, alla fisica e alla psicologia medievale, alla linguistica e alla filosofia contemporanea, tentando di riconfigurare i fondamenti epistemologici della cultura occidentale, screditando la possibilità di un metalinguaggio.
Agostino
De Magistro - Il Maestro
ed. integrale bilingue
a cura di Adele Canilli
Mursia, febbraio 1993
pp.160, L. 9.000
Una proposta di lettura del testo di
Agostino in chiave teoretica e di filosofia del linguaggio, e non in chiave
pedagogica come viene generalmente interpretato. Il dialogo esamina i
rapporti tra linguaggio e pensiero nella
prospettiva della Verità.
Aizpun de Bobadilla, Teresa
Kierkegaards Begriff der Ausnahme.
Der Geist als Liebe
Akad. Vlg, dic.-gennaio 1992-’93
pp.198, DM 56
Albert, Karl
Philosophie der Sozialität
Academia, dic.-gennaio 1992-’93
pp.349, DM 68
Albert sostiene la tesi che le diverse
forme e aspetti della socialità dell’uomo sono tutte in fin dei conti riportabili all’esperienza della comunità dell’essere. La comunità dell’essere si
riferisce non solo ai propri simili, ma
anche alla natura.
Alt, Jürgen August
Karl R. Popper
Campus, novembre 1992
pp.150, DM 17,80
Malgrado la molteplicità di temi che
la sua opera conosce, Jürgen August
Alt insegue quel filo rosso che appare
in tutta la filosofia popperiana, e cioè
l’idea di una critica libera da fondamenti.
Baptist, Gabriella
Il problema della modalità
nelle logiche di Hegel.
Un itinerario tra il possibile
e il necessario
Pantograf, dicembre 1992
pp. 315
Barcan Marcus, Ruth
Modalities: Philosophical essays
Oxford UP, dicembre 1992
pp.288, £ 30
Una raccolta degli scritti più significativi di questa filosofa e logica americana, fra cui gli importanti primi
saggi di logica modale e la sua opera
più recente di filosofia morale e razionalità.
Behrens, R. - Galle, R.
(a cura di)
Leib-Zeichen, Körperbilder,
Rhetorik und Anthropologie
im 18. Jahrhundert
Königsh. & Neumann
novembre 1992
pp.280, DM 58
I saggi indagano se e fino a che punto
la trattazione discorsiva del corpo
umano nei testi pragmatici e finzionali dell’antropologia storica e delle
sue più recenti differenziazioni metodiche (retorica/psicoanalisi/teoria
culturale postmoderna) arrivi a nuova interpretazione storica e vada letta
in modo ermeneutico.
Badiou, Alain
Conditions
Seuil, novembre 1992
pp.372, F 170
Partendo dalla filosofia stessa e da
una critica esplicita del tema della sua
fine, l’autore ne propone una definizione allo stesso tempo nuova e sottomessa alla prova delle sue origini
(Platone). Seguono quattro saggi che
vertono sui rapporti della filosofia
conla poesia, la matematica, la politica e l’amore. Dall’autore di L’Etre et
l’événement.
Bell-Scholefield, Arthur
Universal noetics
Images Booksellers
and Distributors, dicembre 1992
pp.544, £ 14,95
L’opera presenta un sistema di pensiero basato su uno studio complessivo dei suoi elementi costitutivi, che si
possono classificare sotto tre categorie: l’universale, il singolare e il generale, che permeano tutte le cose.
Baertschi, Bernard
Les Rapports de l’âme et du corps:
Descartes, Diderot
et Maine de Biran
Vrin, dicembre 1992
pp.434, F 300
Il libro esamina la dualità, anima e
corpo, così come la si è affrontata dal
XVII al XIX secolo nella filosofia
francese. Le tre concezioni qui studiate formano la spina dorsale delle
dottrine filosofiche che si elevano a
partire dalle rotture scientifiche create dall’emergere di una nuova scienza.
Bell. D. - Vossenkuhl, W.
(a cura di)
Wissenschaft und Subjektivität.
Der Wiener Kreis
und die Philosophie des 20. Jhdts
Akademie, novembre 1992
pp.160, DM 98
Béresniak, Daniel
Marx
Grancher, novembre 1992
pp.200, F 69
E’ strano che il pensiero di Marx,
sempre aperto all’esperienza, abbia
potuto essere presentato come un
dogma. Questa è la tesi dell’autore di
La Franc-maçonnerie en Europe de
l’Est, che propone una rilettura del
marxismo.
Bahti, Timothy
Allegories of history.
Literary historiography after Hegel
John Hopkins UP, novembre 1992
pp.384, £ 35
Bahti dimostra che il moderno senso
di una scuola storica sorge da una
posizione idealista tedesca che dà per
scontato il significato degli eventi
storici soltanto in quanto aspetti della
verità filosofica. Dopo di che esplora
il modo in cui personaggi del XX
secolo quali Erich Auerbach, Georg
Lukács e Walter Benjamin abbiano
cercato di estendere, rivitalizzare o
criticare l’eredità di Hegel nell’assegnare un senso definitivo o “vero”
alla storia.
Berg, J. - Morscher, E.
Bolzano-Forschung 1989-1991
Academia, dic.-gennaio 1992-’93
pp.132, DM 29,50
Serie di pubblicazioni che informa
regolarmente sulle nuove edizioni (e
in particolare anche sugli ultimi volumi usciti delle opere complete di Bolzano), sui progetti in corso e sui convegni. Seguirà la bibliografia di Bolzano. Nel primo di questi volumi si
offre una visione generale dell’edi-
71
zione completa delle opere di Bolzano secondo il nuovo stato della sua
articolazione.
Berg, Jan
Ontology without ultrafilters
and possible worlds.
An examination
of Bolzano’s ontology
Academia Vlg dic.-gennaio 1992-’93
pp.100, DM 24
Jan Berg, l’indiscusso e più significativo ricercatore su Bolzano, presenta
con questo lavoro uno studio completo sull’ontologia di Bolzano in cui,
sotto la forma di un’esauriente esposizione sistematica, ne tratta anche la
logica e la teoria della conoscenza.
Berg, Melanie
Philosophische Praxen
im deutschsprachlichigen Raum.
Eine kritische Bestandsaufnahme
Die Blaue Eule, novembre 1992
pp.184, DM 48
Berlinger, Rudolph
Philosophisches Denken.
Einübungen
A cura di Fr. Träger
Editions Rodopi, gennaio 1993
pp.252, Dfl 50
L’uomo è da sempre, per quanto in
primo luogo camuffato, tuttavia filosofo del proprio ancora statico spirito, un filosofo del passaggio all’azione del comportamento morfopoietico
in filosofia e in arte. Il senso di questi
saggi filosofici è di rendere chiaro
ciò.
Bernier, François (a cura di)
Abrégé de la philosophie
de Gassendi: 1684
Fayard, novembre 1992
pp.7 voll., F 1500
Come indica il titolo, si tratta di una
traduzione compendiata del Syntagma philosophicum, ma è anche più di
una traduzione: è l’espressione stessa
della filosofia di Gassendi presa globalmente e nel suo spirito.
Berning, V. - Maier, H.
(a cura di)
Alois Dempf, 1891-1982.
Philosoph, Kulturtheoretiker,
Prophet gegen
den Nationalsozialismus
Konrad Vlg., dic.-gennaio 1992-’93
pp.320, DM 39,80
Bhaskar, Roy
Dialectic
Verso, novembre 1992
pp.300, £ 39,95
L’autore attacca le modalità puramente analitiche di pensiero. Bhaskar
sviluppa una filosofia critica realista,
che individua la definizione di essere
in termini di conoscenza come l’incrinatura tipica della filosofia tradizionale. Egli sostiene che il realismo
critico è la base di una nuova metodologia delle scienze umane.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Bianco, F. (a cura di)
Beiträge zur Hermeneutik
aus Italien
Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93
pp.280, DM 70
I saggi, per la maggior parte raccolti
appositamente per questo volume,
riassumono tutte le posizioni teoretiche di rilievo del dibattito ermeneutico in Italia a partire dagli anni ’60.
Bingham, June
Courage to change:
An introduction to the life
and thought of Reinhold Niebuhr
UP of America, dicembre 1992
pp.426, £ 19,50
La presente biografia di Reinhold
Neibuhr cerca di svelare l’uomo in
tutta la sua umanità, il suo calore e il
suo fascino, ma anche nella sua forza
intellettuale di gigante della teologia.
L’autore, che ha conosciuto bene Niebuhr, fa una cronaca della sua carriera
e dei contributi al pensiero etico, teologico e religioso.
Bloch, Ernst
Spirito dell’utopia
a cura di Francesco Coppellotti
La Nuova Italia, 1992
L. 48.000
Viene ripubblicata, in nuova veste editoriale, la traduzione italiana della terza edizione (1964) del libro di Bloch
che fu originariamente scritto tra il
1915 e il 1918. Il testo è preceduto da
un’intervista a Bloch del 1974 e da una
nuova introduzione del Curatore. Seguono una nota critica di V. Bertolino
e F. Coppellotti, una nota bibliografica
e una nota biografica, entrambe di N. F.
Pomponio.
Böcher, Wolfgang
Natur, Wissenschaft und Ganzheit.
Über die Welterfahrung
des Menschen
Westdt. Vlg., novembre 1992
pp.351, DM 49
Si tende un grande arco fra il mondo
della coscienza e le società umane. In
tal modo vengono anche superati i
rigidi confini fra scienze della natura
e scienze dello spirito, ponendo un
collegamento fra discipline diverse.
Bonnefoy, Yves
Racconti in sogno
EGEA, 1993
pp. 181
Una serie di racconti “in sogno”; il
volto del mondo ed i momenti della
vita intravisti attraverso l’attività di
deformazione, condensazione, simbolizzazione, dell’attività onirica.
Borsche, T. - Stegmaier, W.
(a cura di)
Zur Philosophie des Zeichens
De Gruyter, dic.-gennaio 1992-’93
pp.231, DM 98
Saggi sulla “Filosofia del segno” di
Josef Simon in occasione di un convegno a Bonn nel novembre 1990.
Bort, Klaus
Freiheit und Bezug.
Ansätze zu einer
phänomenologischen Ethik
Attempto-Vlg., novembre 1992
pp.56, DM 12,80
of mind
Cambridge UP, dic.gennaio 92-93
pp.300, £ 30
Il volume racchiude lo svolgimento
del Quinto Simposio Ellenistico, descrive le analisi dei partecipanti su
questioni quali: la natura della percezione, dell’immaginazione e della
credenza; la natura delle passioni e il
loro ruolo nell’azione; i rapporti fra
anima e corpo; libertà e determinismo; il ruolo del piacere come obiettivo; l’effetto della poesia sulla fede e
le passioni.
Bouveresse, Renée
Spinoza et Leibniz:
l’idée d’animisme universel
Vrin, dicembre 1992
pp.335, F 225
Con la traduzione inedita di un testo
di Leibniz sull’etica di Spinoza e un
testo di Louis Meyer. In Spinoza come
in Leibniz l’animismo universale è
legato al superamento del meccanismo cartesiano. Ma, laddove Spinoza
pone il pensiero e l’estensione su un
piano di parità, Leibniz ne deriva una
spiritualizzazione della materia, anche se l’anima, principio di vita, secondo lui non agisce sul corpo.
Busch, Th. W. - Gallagher, Sh.
(a cura di)
Merleau-Ponty, hermeneutics
and postmodernism
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.256, $ 17
Il libro apre nuove prospettive nel
pensiero filosofico di Merleau-Ponty
e si rivolge a problemi contemporanei sulla teoria dell’interpretazione e
la postmodernità.
Brandner, Rudolf
Warum Heidegger
keine Ethik geschrieben hat
Passagen, dic-gennaio ’92-’93
pp.160, DM 35 - ÖS 245
Brandner, Rudolf
Was ist und wozu überhaupt Philosophie? Vorübungen sich
verändernden Denkens
Passagen, dic.-gennaio ’92-’93
pp.200, DM 39,80
Campbell, Richard
Truth and historicity
Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93
pp.472, £ 47,50
Il lavoro illustra chiaramente il concetto di verità, seguendone la storia
dagli antichi Greci, fino all’esistenzialismo, al marxismo e alla moderna
filosofia analitica.
Brés, Yvon
La Souffrance et le tragique:
essai sur le judéo-christianisme,
les tragiques, Platon et Freud
PUF, novembre 1992
pp.288, F 148
La psicoanalisi ha scoperto nell’uomo una sorta di colpevolezza fondamentale. In questa colpevolezza Y.
Brés cerca di distinguere il peccato
giudaico-cristiano, che la tradizione
confonde illecitamente con la colpa
sessuale e di cui è il caso di ristabilire
il significato trascendentale.
Caporali, Riccardo
Heroes Gentium
Il Mulino, novembre 1992
pp. 290
Rompendo con una tradizione storiografica tendente ad un’analisi settoriale degli aspetti particolari della filosofia di Vico, questo libro tenta una
ricostruzione globalizzante del suo
pensiero, sottolineandone la tensione
civile che pare animarlo: la riflessione vichiana sembra infatti tendere ad
evidenziare la natura inquietante del
potere come squilibrio e frattura ed a
fare dell’era dell’ ”umanità dispiegata” il centro di tensioni costitutive ed
aperte.
Brocker, Manfred
Arbeit und Eigentum.
Der Paradigmenwechsel
in der neuzeitlichen
Eigentumstheorie
Wissenschftl. Buch, novembre 1992
pp.680, DM 86
Il libro tratta il problema di come si
possa legittimare la proprietà privata.
L’autore, insieme a una panoramica
sulla storia delle teorie filosofiche
sulla proprietà negli ambienti di lingua tedesca, propone anche un’analisi storica i cui risultati possono rendere fruttuosa una discussione sul diritto di proprietà.
Carruthers, Peter (a cura di)
The animal issue:
Moral theory in practice
Cambridge UP, dicembre 1992
pp.220, £ 8,95
Il libro analizza la teoria morale e le
implicazioni pratiche del modo in cui
trattiamo gli animali, chiedendosi:
“Gli animali hanno diritti morali?”
L’autore conclude che non ne hanno,
ma che tale conclusione non significa
che il nostro comportamento verso di
loro sia libero da vincoli morali.
Brun, Jean
Le Rêve et la machine
Table Ronde, novembre 1992
pp.366, F 125
Le macchine nacquero dai sogni dell’uomo che chiedeva loro di fargli
superare le barriere dello spazio e del
tempo. Ormai le si ritiene capaci di
oltrepassare i limiti della condizione
umana e della realtà. Secondo Jean
Brun, le macchine potrebbero anche
aprirci le porte dell’inferno.
Casper, B. - Sparn, W.
(a cura di)
Alltag und Transzendenz.
Studien zur religiösen
Erfahrung in der gegenwärtigen
Gesellschaft
Karl Alber, novembre 1992
pp.430, DM 118
Partendo dall’esperienza quotidiana,
gruppi di ricerca diversi, ma allo stesso tempo interdisciplinari, cercano
Brunschwig, J. - Nussbaum, M.
(a cura di)
Passions and perceptions.
Studies in Hellenistic philosophy
72
attraverso la riflessione filosofica e
teologica di evincere il senso compiuto dell’esperienza trascendentale
oggi.
Cassirer, Ernst
Mito e concetto
a cura di Riccardo Lazzari
La Nuova Italia, settembre 1992
Il volume raccoglie due studi (La
forma del concetto nel pensiero mitico e Il concetto di forma simbolica
nella costruzione delle scienze dello
spirito) che furono composti da Cassirer tra il 1921 e il 1922, all’inizio
della sua collaborazione con la «Biblioteca Warburg» di Amburgo e del
suo incontro intellettuale con gli studiosi raccolti intorno ad essa (fra cui
Saxl e Panofsky). Il secondo studio
precorre, anche nel titolo, il concetto
di una Filosofia delle forme simboliche, che troverà di lì a poco svolgimento nell’opera maggiore di Cassirer.
Chance, Thomas H.
Plato’s Euthydemus. Analysis
of what is and is not philosophy
Univ. of California, nov. 1992
pp.325, $ 48
L’autore propone un’unica tesi: che
Platone presenti di proposito l’euristica (la discussione contenziosa)
come antitesi al proprio metodo filosofico.
Chiurazzi, Gaetano
Scrittura e tecnica.
Derrida e la metafisica
Rosenb. & Sellier, dicembre 1992
pp. 196
Il libro ripercorre i momenti cruciali
del pensiero decostruzionistico di
Derrida, tentando un’ipotesi interpretativa che vede nella scrittura il segno
stesso della storicità del pensiero.
Cohen, L. Jonathan
An essay on belief and acceptance
Clarendon, dic-gennaio ’92-’93
pp.192, £ 20
In questa monografia, Cohen, considerato uno dei più eminenti filosofi
britannici, sostiene che quanti analizzano il concetto di conoscenza non
distinguono adeguatamente la credenza involontaria dall’accettazione volontaria.
Colliot-Thélène, Catherine
Le Désenchantement de l’Etat:
de Hegel à Max Weber
Minuit, novembre 1992
F 145
Ci sono delle similitudini fra le descrizioni dello stato moderno proposte da G.W.F. Hegel e da M. Weber.
La storia della formazione dello stato
tedesco spiega in parte queste convergenze. Due tipi di discorso sulla
politica vengono messi a confronto:
la Filosofia del diritto di Hegel da una
parte, e “la sociologia del dominio” di
Weber dall’altra.
Collmer, Thomas
Aktuelle Perspektiven
einer immanenten Hegel-Kritik.
Negative Totalisierung
als Prinzip offener Dialektik
Focus, novembre 1992
NOVITA’ IN LIBRERIA
pp.520, DM 60
Conway, D. W. (a cura di)
Nietzsche
und die antike Philosophie
Wiss. Vlg. Trier
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.264, DM 72
Cooper, David
A companion to aesthetics
Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93
pp.354, £ 60
Questa opera di consultazione mira a
includere l’intero campo degli argomenti estetici. Il volume effettua una
ricognizione sui concetti significativi, sui problemi, i movimenti e gli
autori della filosofia dell’arte.
Coppolino, Santo
Temi e problemi
della cultura filosofica del ‘900
Antonio Perna Ed., novembre 1992
pp. 254
Il libro raccoglie una serie di saggi
degli ultimi dieci anni su alcuni problemi che la cultura italiana della
prima metà del secolo ha affrontato in
relazione ai rapporti tra filosofia e
scienza.
Corvi, Roberta
Invito al pensiero di Popper
Mursia, Milano febbraio 1993
pp.384, L. 15.000
Il testo è così strutturato: cronologie
parallele, profilo della vita, opere,
temi, orientamenti della critica, bibliografia e indice dei nomi.
Cottingham, John
A Descartes Dictionary
Blackwell Publishing,
dicembre 1992
pp.200, £ 14,95 - $ 37,50
In questo “Dizionario”, Cottingham
presenta una guida alfabetica a Descartes, uno dei filosofi che incutono
maggior soggezione. Concetti e idee
chiave nel pensiero cartesiano vengono rintracciati negli scritti di Descartes, inseriti nel contesto del clima
intellettuale del XVII secolo e interpretati di conseguenza.
Cottingham, John (a cura di)
The Cambridge companion
to Descartes
Cambridge, dic.-gennaio ’92-’93
pp.464, £ 13
I presenti scritti su Descartes trattano
della sua vita, dello sviluppo del suo
pensiero e del retroterra intellettuale,
nonché dell’accoglienza, della sua
opera.
Daecke, S.M. (a cura di)
Naturwissenschaft und Religion.
Weltbildliche und ethische Aspekte
des interdisziplinären Gesprachs
Wissenschaftsvlg., novembre 1992
pp.200, DM 29,80
Interventi a una tavola rotonda all’RWTH di Aachen.
Dagognet, François
Philosophie de la propriété:
l’avoir
PUF, novembre 1992
pp.240, F 148
L’”oggetto” viene visto qui al secondo grado, non per se stesso, ma attraverso operazioni che lo elevano, come
quella della proprietà (uno stato di
diritto), ben diversa dal semplice possesso (uno stato di fatto).
è vero, come pensare le condizioni
estetiche, epistemiche, ossia etica, di
una simile affermazione? Una favola
filosofica dell’esperienza visuale.
Dietz, Walter
Sören Kierkegaard.
Existenz und Freiheit
Anton Hain, novembre 1992
pp.400, DM 78
Dietz intraprende una ricostruzione
della tematica della libertà in Sören
Kierkegaard, in cui la libertà viene
messa in relazione alla paura e all’onnipotenza.
Danielson, Peter
Artificial morality.
Virtuous robots for virtual games
Routledge, dic.-gennaio 1992-’93
pp.256, £ 35
La tesi centrale di questa opera è che
la moralità sia un fatto personale e
razionale. Con l’aiuto di robot appaiati in giochi astratti, che ricompensano il collaboratore ma anche semplicemente coloro che beneficiano dalle
costrizioni altrui dimostra che robot
virtuosi, non perversi, riescono meglio.
Dilthey, Wilhelm
Oeuvres
1: Critique de la raison historique
Introduction aux sciences
de l’esprit et autres textes
A cura di S. Mesure e H. Wismann
Cerf, dicembre 1992
pp.373, F 199
Nella sua Introduzione alle scienze
dello spirito (1883), Dilthey offre una
prima esposizione di ciò che egli definisce come una “critica della ragione storica”: si tratta di rompere con la
riduzione positivista delle scienze
umane nascenti al modello delle scienze naturali, senza per questo rinunciare all’obiettività.
Delogu, Antonio
Filosofia e società in Sardegna.
Giovanni Battista Tuveri
(1815-1887)
Franco Angeli, 1992
pp.356
Il libro delinea le coordinate della
riflessione di Tuveri, uno degli esponenti più prestigiosi della cultura sarda del secolo scorso.
Derrida, Jacques
L’Ethique du don
A cura di J.-M. Rabaté e M. Wetzel
A.-M- Métailié, novembre 1992
pp.285, F 130
La dimensione etica, che percorre
tutta l’opera di Derrida, in questi ultimi anni si è consolidata attraverso un
lavoro rigoroso su problemi come il
nazionalismo, la tradizione ebraica,
la possibilità dell’insegnamento di
filosofia, la questione dell’Europa rinnovata o i fondamenti del diritto.
Dölken, Clemens
Katholische Sozialtheorie
und liberale Ökonomik.
Das Verhältnis von katholischer
Soziallehre
und Neoliberalismus im Lichte
der modernen Institutionökonomik
J.C.B. Mohr, novembre 1992
pp.312, DM 98
Nuova rielaborazione della vecchia
controversia fra teoria sociale cattolica e neoliberalismo.
Derrida, Jacques
Points de suspension: entretiens
Galilée, dicembre 1992
F 195
L’autore ha scelto, presentandoli,
venti degli incontri a cui Jacques
Derrida ha partecipato negli ultimi
vent’anni circa. Per questo si è dato
un certo numero di criteri, prima di
tutto quello della diversità.
Döring, Eberhard
Karl R. Popper.
Einführung in Leben und Werk
Parerga Vlg. f. Wiss. u. Politik
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.231, DM 34
Il lettore, competente o meno, viene
messo a contatto con l’opera e l’attività di Popper.
Dreyfus, Hubert - Rabinow, Paul
Michel Foucault.
Un parcours philosophique:
au-delà de l’objectivité
et de la subjectivité
Gallimard, novembre 1992
pp.364, F 34
Il testo presenta il progetto fondamentale di Foucault di costituire un
metodo di analisi dell’essere umano
nella società contemporanea.
Desanti, Jean-Toussaint
Grisoni, Dominique-Antoine
Réflexions sur le temps:
variations philosophique 1,
conversation avec Dominique
Antoine Grisoni
Grasset, dicembre 1992
pp.220, F 100
Libro di incontri sulla questione del
tempo. Nella prima parte, Desanti
ritorna sulle tesi difese dai pensatori
della tradizione antica e sviluppa i
quesiti posti da sant’Agostino. La
seconda parte è un ampio sviluppo
fenomenologico sul problema.
Durkheim, Emile
L’Education morale
PUF, novembre 1992
pp.256, F 62
«Innanzitutto, che un’educazione
morale interamente razionale sia possibile è implicito nel postulato stesso
che sta alla base della scienza; sto
parlando del postulato razionalista:
non c’è niente nel reale che si possa
legittimamente considerare radicalmente refrattario alla ragione uma-
Didi-Huberman, Georges
Ce que nous voyons,
ce que nous regarde
Minuit, novembre 1992
pp.208, F 120
Quanto vediamo non vale (non vive)
che in virtù del nostro sguardo. Se ciò
73
na.» (E. Durkheim.)
Earman, J. (a cura di)
Inference, explanation,
and other frustrations.
Essays in the philosophy
of science
Univ. of California, novembre 1992
pp.416, $ 19
Questi saggi provocatori opera di importanti filosofi della scienza esemplificano e illuminano l’incertezza e
l’entusiasmo contemporanei in questo campo in trasformazione.
Ebingshaus, H.-B.,
Vollmer, G. (a cura di)
Denken unterwegs. Fünfzehn
metawissenschaftliche Exkursionen
Hirzel Wiss.-Vlgsges.
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.236, DM 29
Eckhart, Meister
Una mistica della religione
Edizioni Messaggero Padova
novembre 1992
pp. 345
Una raccolta antologica curata da G.
Penzo.
Feinberg, Joel
Freedom and fulfillment.
Philosophical essays
Princeton UP, novembre 1992
pp.376, $ 44
Affrontando diversi gruppi di problemi di etica teoretica e pratica, questi
quattordici saggi riconfermano la
posizione guida di Joel Feinberg nel
campo della filosofia legale.
Fichte, Johann Gottlieb
Discours à la nation allemande
A cura di A. Renaut
Impr. nationale, dicembre 1992
pp.316, F 250
A. Renaut ci fa riscoprire questo complicato testo di Fichte, il più adatto ad
alimentare il dibattito sulla nuova idea
di nazione. Un testo fondante, che
supera le due concezioni abituali, del
diritto territoriale e di quello di sangue.
Filoramo, Giovanni- Roda, Sergio
Cristianesimo e società antica
Laterza, settembre 1992
pp. 294
Attraverso una serie di saggi relativi
a questioni molto concrete della vita
quotidiana ( i cristiani di fronte alla
ricchezza, alla città, al matrimonio
etc), questo libro cerca di ricostruire i
complessi rapporti tra mentalità, costume e cultura antichi, ben radicati
nell’immaginario collettivo, e la forza dirompente rappresentata dalla
comparsa del Cristianesimo.
Fisichella. Domenico
Dilemmi della modernità
nel pensiero sociale
Il Mulino, dicembre 1992
pp. 113
Il volume affronta attraverso lo strumento della scienza sociale problemi
e tendenze della modernità.
Forst, Brian
The socio-economics
NOVITA’ IN LIBRERIA
of crime and justice
M. E. Sharpe, dicembre 1992
£ 39,95
Questo studio del crimine e della giustizia ha alle spalle principalmente
l’idea che il comportamento individuale è influenzato sia dall’interesse
personale che dalla coscienza, o da un
senso di responsabilità comunitaria.
French, Peter
Responsability Matters
UP of Kansas, dicembre 1992
pp.248, £ 19,95 - $ 25
Il volume indaga su una serie di questioni relative alla responsabilità, dagli aspetti teorici e dalle idee sul concetto di responsabilità alle aree specifiche di applicazione e a questioni
generali della teoria morale, servendosi di esempi tratti dalla letteratura
(Dickens sullo spazio e sul tempo),
film e avvenimenti di attualità.
Freudenthal, G. (a cura di)
Studies on Gersonides.
A fourteenth-century Jewish
philosopher scientist
Brill, dicembre-gennaio 1992-’93
Dfl 150
Freuler, Léo
Kant et la métaphysique spéculative
Vrin, dicembre 1992
pp.384, F 300
La critica kantiana della metafisica
costituisce una svolta decisiva; lungi
dal distruggerla, essa comincia col
definirla e col chiarire lo statuto della
sua riflessione. Per Kant la ricerca
metafisica è altrettanto indispensabile allo spirito della respirazione al
corpo.
Gahlings, Ute
Sinn und Ursprung.
Untersuchungen
zum philosophischen Weg
Hermann Graf Keyserlings
Academia Verlag
dicembre.-gennaio 1992-’93
pp.289, DM 58
Il testo segue il disvelamento filosofico dai suoi inizi nei primi lavori
improntati alla critica della conoscenza sulla prima applicazione della
metafisica del senso nel Diario di
viaggio di un filosofo alla fondazione
di una scuola della saggezza e alla
seconda opera importante Meditazioni sudamericane, fino alla filosofia
tarda del Libro delle origini.
Gander, H.-H. (a cura di)
Europa und die Philosophie
Klostermann, novembre 1992
pp.200, DM 48
Il pensiero di Heidegger dà impulso e
controparte per l’autonoma corrente
di pensiero da lui ispirata. La domanda attorno a cui si ruota è: quali compiti affida oggi l’Europa alla filosofia
e come li si può pensare in un rapporto reciproco produttivo con l’approccio di Heidegger?
Gargani, Aldo Giorgio
Stili di analisi
L’unità perduta del metodo filosofico
Feltrinelli, gennaio 1993
pp.176, L. 28.000
Questo volume delinea la fine di un
metodo filosofico e scientifico unico,
quale è stato trasmesso dalla tradizione occidentale, e apre un orizzonte
fecondo di approcci alternativi attraverso i quali gli uomini possono interpretare gli enigmi filosofici, le questioni scientifiche, i problemi matematici, le grammatiche musicali, i
fenomeni psicologici così come i dati
della loro esperienza vissuta e infine
il loro rapporto basico con le cose, la
natura e la società. Una approfondita
interpretazione del bisogno dell’uomo contemporaneo di praticare linguaggi nuovi, alternativi e differenti.
Perspektiven des Perspektivismus.
Festschrift zum 80. Geburtstag
von Friedrich Kaulbach
Königsh. & Neumann
novembre 1992
pp.400, DM 98
La raccolta di saggi propone il dibattito sistematico sul concetto di Kaulbach di “prospettivismo”. Eminenti
sostenitori della filosofia attuale insieme a più giovani esponenti del
settore indagano da differenti punti di
vista la produttività di queste premesse.
Gethmann-Siefert, A.
(a cura di)
Phänomen versus System.
Zum Verhältnis von philosophischer
Systematik und Kunsturteil
in Hegels Berliner Vorlesungen
über Ästhetik oder Philosophie
der Kunst
Bouvier, dic.-gennaio 1992-’93
pp.238, DM 85
Gartler, Walter
Feindesliebe - Szientismus
und Paranoia in Fichtes
Wissenschaftslehre
Turia & Kant, novembre 1992
pp.174, DM 29
Gauchotte, Pierre
Le Pragmatisme
PUF, novembre 1992
pp.127, F 38
Movimento apparso negli Stati Uniti
verso il 1870, il pragmatismo può
essere definito approssimativamente
come una teoria empirica della conoscenza nella quale l’azione e le conseguenze pratiche giocano un ruolo
fondamentale.
Geyer, Carl-Fr.
Die Theodizee. Diskurs,
Dokumentation, Transformation
Steiner, novembre 1992
pp.332, DM 124
Giacomoni, Paola
Le forme e il vivente.
Morfologia e filosofia
della natura in J.W. Goethe
Guida, gennaio 1993
pp. 281
Gearhart, Suzanne
The interrupted dialectic
John Hopkins UP, novembre 1992
pp.288, $ 39
Suzanne Gearhart sostiene che la filosofia speculativa hegeliana e la psiconalisi freudiana e infine anche le
importanti correnti dell’attuale teoria
della letteratura trovano la propria
origine e la giustificazione di sé nella
particolare interpretazione che ciascuna di esse dà della tragedia.
Gibellini, Rosino
La teologia del XX secolo
Queriniana, 1992
pp.658
Gigante, Marcello
Nomos Basileus
Bibliopolis, Napoli marzo 1993
pp. 357, L. 60.000
E’ il libro della legge sovrana, la
storia del motivo della legge divina,
che regna sui mortali e sugli immortali, attraverso la poesia greca. L’autore ripropone il significato del celebre frammento 169 di Pindaro, nel
quale la legge è definita signora e
dominatrice del mondo degli uomini
e degli déi, e dove l’interpretazione
del concetto di legge segue il percorso del mondo spirituale della Grecia
nel suo divenire storico.
Gebauer, G. - Wulf, Chr.
(a cura di)
Praxis und Ästhetik.
Neue Perspektiven im Denken
Pierre Bourdieus
Suhrkamp, dic.-gennaio 1992-’93
pp.360, DM 28
Gebert, Sigbert
Negative Politik.
Zur Grundlegung der politischen
Philosophie aus der Daseinsanalytik
und ihrer Bewährung
in den politischen Schriften
Martin Heideggers von 1933/34
Duncker & Humblot
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.204, DM 98
Gigante, Marcello
Cinismo e epicureismo
Bibliopolis, Napoli febbraio 1993
pp. 128, L. 20.000
Il volume fa parte della collana “Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici” (n.23), e in particolare
l’occasione di questa memoria fu il
Congresso sul Cinismo antico (Parigi, luglio 1991). Una messa a punto
tra storiografia antica e moderna.
Democrito e i cinici; i Cirenaici fra
cinici e epicurei; Epicuro e il cinismo; Epicuro, Antistene e Diogene.
Geister, Ralf
Kants moralischer Gottesbeweis
im protestantischen Positivismus
Vandenhoeck & Ruprecht, nov. 1992
pp.279, DM 68
Georg-Lauer, J. (a cura di)
Postmoderne und Politik
Ed. Diskord, novembre 1992
pp.200, DM 28
Gillett, Grant
Representation,
meaning and thought
Clarendon Press, novembre 1992
pp.232, £ 25
Gerhardt, V. - Herold, N.
(a cura di)
74
Il libro esamina il rapporto fra pensiero e linguaggio considerando le idee
di Kant e di Wittgenstein insieme a
molte branche del dibattito contemporaneo nell’area del contenuto mentale.
Gilson, Bernard
La Révision bergsonienne
de la philosophie de l’esprit
Vrin, dicembre 1992
pp.216, F 135
Bergson imposta un nuovo dialogo
fra la metafisica e la scienza, vedendo
la sostanza unica di Spinoza come la
prefigurazione statica dei sistemi postkantiani.
Gipper, Helmut
Theorie und Praxis inhaltbezogener
Sprachforschung. Aufsätze
und Vorträge 1953-1990.
Band 2: Sprache und Denken
in sprachwissenschaftlicher
und sprachphilosophischer Sicht
Nodus-Publ., dic.-gennaio 1992-’93
pp.300, DM 69
Goldman, Laurence
The culture of coincidence
Clarendon Press, dicembre 1992
pp.440, £ 47,50
Il saggio esamina il terreno fra legge,
linguistica e antropologia e fornisce
un’etnografia sulla grammatica e la
pragmatica dell’argomento, raramente indagato, dell’accidente.
Goldschmidt, W. (a cura di)
Zur Kritik
der politischen Ökonomie.
125 Jahre Das Kapital
Meiner, novembre 1992
pp.167, DM 30
Goller, Hans
Emotionspsychologie
und Leib-Seele-Problem
Kohlhammer, novembre 1992
pp.324, DM 69
Goulin, Jean-Luc
La Rationalité vivante:
essai sur la pensée hégélienne
Griffon d’argile, dicembre 1992
pp.160, $ 14,50
L’autore si sforza di rendere la fertilità dell’opera di Hegel, esplorando
in particolare i concetti di ragione,
soggetto, stato, spirito e libertà.
Govinda, Lama Anangarika
Die Dynamik des Geistes.
Die psychologische Haltung
der frühbuddistischen Philosophie
Scherz, dicembre-gennaio 1992-’93
pp.280, DM 39,80
In questo libro il dotto lama buddista
di lingua tedesca Anagarika Govinda
espone in modo chiaro e comprensibile ai profani occidentali il sistema
filosofico-psicologico, presentando
alcune delle strutture di idee di tutto il
pensiero buddista. Un’opera adatta a
tutti coloro che vogliono capire il
buddismo.
Green, Ronald M.
Kierkegaard and Kant.
The hidden debt
State Univ. of New York,
NOVITA’ IN LIBRERIA
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.256, $ 17
L’ipotesi di lavoro è che l’interpretazione di Kiekegaard di Kant e in relazione a questi e alla filosofia kantiana
sia molto più precisa e più positiva di
quanto in genere si ritiene.
Greisch, Jean (a cura di)
De la nature: de la physique
classique au souci écologique
Beauchesne, novembre 1992
pp.376, F 150
Le trasformazioni attuali del dibattito
sulla natura e gli approcci filosofici e
scientifici dell’idea di natura messi a
confronto.
Grondin, Jean
Hermeneutische Wahrheit?
Zum Wahrheitsbegriff
Hans-Georg Gadamers
Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93
pp.210, DM 34
La grande opera di Gadamer Verità e
metodo viene interpretata come una
riorganizzazione biografica della differenza ontologica elaborata da Heidegger fra essere ed esistente.
Gulick, Ernest - Van Lepore,
Robert (a cura di)
John Searle and his critics
Blackwell Publishing,
dicembre 1992
pp.420, £ 15,95
Partendo da un’analisi dell’importanza e dell’influenza delle due opere
maggiori: “Speech Acts” e “Intentionality”, il presente libro vuole anche
fornire una valutazione del suo impatto sulla filosofia del linguaggio,
della mente, della spiegazione sociale e della referenza e intenzionalità.
Hadot, Pierre
La Citadelle intérieure:
introduction aux Pensées
de Marc Aurèle
Fayard, dicembre 1992
pp.386, F 150
I Pensieri sono il libro di un uomo
d’azione che cerca la serenità, in quanto condizione indispensabile all’efficacia. Per Marco Aurelio l’azione
umana non ha valore profondo se non
si inserisce nella prospettiva del tutto,
dell’universo e della comunità degli
uomini. Un’introduzione allo stoicismo antico.
Hadot, Pierre
Spiritual exercises and
ancient philosophy
Blackwell Publishing,
dicembre 1992
pp.260, £ 12,95
Il volume presenta una storia degli
esercizi spirituali da Socrate alle prima Cristianità, un resoconto del loro
declino nella filosofia moderna e delle differenti concezioni della filosofia che hanno accompagnato la traiettoria e il destino della teoria e della
prassi degli esercizi spirituali.
Hagner, M. - Wahrig-Schmidt, B.
(a cura di)
Johannes Müller und die Philosophie
Akademie, novembre 1992
pp.336, DM 98
Il problema della conoscenza divina,
centrato su questioni di necessità e
libertà, si trova al punto di intersezione di vecchie discussioni di logica,
metafisica ed etica. Il saggio si concentra sulle idee in merito di Marsilio
di Inghen (m.1396).
Haslett, David
Ethics and economic systems
Clarendon Press, dicembre 1992
pp.224, £ 30
Confrontando i sistemi economici da
un punto di vista filosofico, lo studio
indaga le argomentazioni etiche dei
differenti tipi di sistemi economici.
L’autore considera vantaggi e svantaggi dei sistemi analizzati e discute i
possibili compromessi accettabili.
Holzhey, H. - Leyvraz, J.-P.
(a cura di)
Vernunftnähe, Vernunftferne.
La raison, proche et lontaine
Haupt, dic.-gennaio 1992-’93
pp.300, DM 76
Heidegger, Martin
Le Concepts fondamentaux
de la métaphysique:
monde, finitude, solitude
A cura di F.W. von Hermann
Gallimard, dicembre 1992
pp.552, F 280
In questo corso tenuto fra il 1929 e il
1930 Heidegger sviluppa in modo
esauriente due concetti comparsi fulmineamente nel 1927, quello di vita e
di vivente in generale e, nel 1929, la
nozione di tonalità fondamentale della noia.
Honnefelder, L. (a cura di)
Natur als Gegenstand
der Wissenschaften
Karl Alber, novembre 1992
pp.300, DM 78
Il libro si occupa principalmente della questione della natura come istanza orientata. Gli argomenti: la natura
interpretata in chiave matematica; La
natura come oggetto della tecnica; La
natura negli uomini; L’importanza
della natura per l’etica; La natura
nella prospettiva teologica; Metafisica della natura.
Heinzmann, Richard
Philosophie des Mittelalters
Kohlhammer, novembre 1992
pp.200, DM 28
Honnefelder, L. (a cura di)
Sittliche Lebensform
und praktische Vernunft
Schöningh, novembre 1992
pp.223, DM 28
Heller, Agnes
A philosophy of history
in fragments
Blackwell, novembre 1992
pp.304, £ 40
Il libro riflette sulle limitazioni della
nostra comprensione di noi stessi e
della nostra comprensione del mondo, sull’immaginazione postmoderna; ma al contempo mobilita energie
filosofiche per contrastarle.
Honnefelder, L. - Schüssler, W.
(a cura di)
Transzendenz. Zu einem Grundwort
der klassischen Metaphysik
Schöningh, dic.-gennaio 1992-’93
pp.317, DM 98
Howells, Christine (a cura di)
The Cambridge companion
to Sartre
Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93
pp.448, £ 13
Il saggio offre una visione dettagliata
dell’opera di Sartre, che comprende i
suoi scritti sull’ontologia, sulla fenomenologia, sulla psicologia, sull’etica e sull’estetica, ma anche le sue
convinzioni sulla storia, sull’impegno e sul progresso.
Hoche, Hans-U.
Elemente einer Anatomie
der Verpflichtung.
Pragmatisch-wollenslogische
Grundlegung einer Theorie
des moralischen Argumentierens
Karl Alber, novembre 1992
pp.390, DM 94
Questo metodo consente per la prima
volta un esame dettagliato dell’infrastruttura del concetto di obbligo, la
lettura delle proposizioni di obbligo
morale come legame fra i principi di
volontà soggettivi verificabili e le
proposizioni di fatto e la dimostrazione che determinate versioni della “regola aurea” sono analiticamente vere.
Hügli, A. - Lübcke, P.
(a cura di)
Philosophie in 20 Jahrhundert.
Band 1: Existenzphilosophie,
Phänomenologie, Hermeneutik
und Kritische Theorie
Rowohlt Vlg., dic-gennaio 92-93
DM 32,90
Al centro di questo primo volume si
trovano gli sforzi dei filosofi francesi
e tedeschi di porsi criticamente verso
la metafisica tradizionale e l’immagine dell’uomo tramandataci, così da
porre la filosofia su un nuovo fondamento.
Hocholzer, Andreas
Evasionen - Wege der Kunst.
Kunst und Leben bei Wl. Solowjew
und J. Beuys.
Eine Studie zum erweiterten
Kustbegriff in der Moderne
Königshausen & Neumann, nov. 1992
pp.200, DM 39,80
Huisman, Denis - Malfray,
Marie-Agnès (a cura di)
Les Plus grands textes
de la philosophie orientale
Albin Michel, dicembre 1992
F 150
Un’antologia che mette alla portata
delgrande pubblico un pensiero spesso enigmatico e talvolta mal conosciuto dal lettore occidentale. I testi, pre-
Hoenen, Maarten J.F.M.
Crossroads of late medieval
thinking (1250-1400).
Marsilius of Inghen
on divine knowledge
E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93
Dfl 120
75
sentati a seconda dell’origine geografica, sono preceduti da biografie dei
pensatori e da una sintesi della loro
dottrina.
Hüllinghorst, Andreas
Kants spekulatives Experiment
Dinter, novembre 1992
pp.128, DM 29,80
Ide, Pascal
L’Art de penser
Médialogue, novembre 1992
pp.266, F 99
Una presentazione chiara e talvolta
umoristica dei concetti fondamentali
per ogni riflessione: definizione di un
termine, dimostrazione, ragionamento, lettura o redazione di un testo.
Corredato di esempi ed esercizi.
Ignatow, Assen
Anthropologische
Geschichtsphilosophie.
Für eine Philosophie der Geschichte
in der Zeit der Postmoderne
Academia, novembre 1992
pp.221, DM 58
Itzkoff, Seymour W.
The road to equality
Greenwood Press,
dicembre 1992
pp.240, £ 19,95 - $ 24,95
Il presente trattato suggerisce una
nuova strada per una società senza
classi. Il dottor Itzkoff, basandosi sui
fatti e non su fantasie o su un’ideologia, affronta uno dei principali problemi internazionali del XXI secolo,
quello delle differenze e dell’inuguaglianza umana.
Ivaldo, Marco
Libertà e ragione.
L’etica di Fichte
Mursia, febbraio 1993
pp.344, L. 40.000
L’etica trascendentale di Fichte è
un’etica razionale della libertà perché nella libertà - come principio e
come atto - riconosce il fattore che
apre e qualifica la realizzazione morale della ragione. La ragione si presenta perciò come un compito che è
manifestato come legge morale, e che
è ultimamente visualizzato nella “comunità completa degli esseri razionali”. Diviso in quattro parti, questo
volume si propone una esposizione
completa del significato di “etica” nel
pensiero di Fichte.
Jacob, André (a cura di)
Encyclopédie philosophique
universelle. 3: Les Oeuvres
philosophiques: dictionnaire
PUF, dicembre 1992
2 voll., pp.4656, F 4500
Dizionario ragionato delle opere fondamentali di tutti i tempi e di tutti i
paesi. 1400 specialisti internazionali
hanno recensito 9100 opere di 5400
autori in tutte le discipline, dalla metafisica alle scienze esatte.
Jaeschke, W. (a cura di)
Transzendentalphilosophie
und Spekulation. Quellen.
Der Streit um di Gestalt
einer Ersten Philosophie
NOVITA’ IN LIBRERIA
(1799-1807)
Felix Meiner, ottobre 1992
pp.436, DM 136
Il volume si articola in quattro gruppi
tematici: Realismo contro idealismo
trascendentale, idealismo trascendentale contro idealismo trascendentale
e assoluto, realismo contro idealismo
trascendentale e assoluto, scetticismo
contro idealismo assoluto.
Jenkis, Helmut W.
Sozialutopien - barbarische
Glücksverheißungen?
Zur Geistesgeschichte der Idee
von der vollkommenen Gesellschaft
Duncker & Humblot
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.535, DM 198
Jesi, Furio
Cultura di destra
Garzanti, Milano gennaio 1993
pp.176, L. 22.000
Sacrificio, Razza, Patria, Prova
d’Amore, Mistero: la tradizione della
destra - che in Europa riemerge periodicamente e con effetti a volte devastanti - ha sempre amato le maiuscole. Jesi ne ha frugato le matrici, snidando testi inediti o smarriti tra pagine che pochi leggono fino a svelare in
maniera divertita, minuziosa e inquietante il rapporto tra il mito e l’ideologia.
Kann, Christoph
Die Eigenschaften
der Termini. Eine Untersuchung
zur Perutilis logica
Alberts von Sachsen
Brill, dic.-gennaio 1992-’93
pp.100, Dfl 85
Kasulis, Th. P. (a cura di)
Self as body in Asian theory
and practice
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.352, $ 20
Gli autori riescono tramite le tradizioni asiatiche a gettare nuova luce su
alcune delle tradizionali questione
anima-corpo discusse in occidente.
Kaufmann, Felix
Wiener Lieder zu Philosophie
und Ökonomie
A cura di G. von Haberler et al.
G. Fischer, dic.-gennaio 1992-’93
pp.32, DM 38
I Wiener Lieder zu Philosophie un
Ökonomie, qui pubblicati per la prima volta nella loro completezza, nascono dal 1922 al 1934. Uno sguardo
ironico delle posizioni filosofiche fenomenologiche, sulla cavillosità dei
metodologi e sulle lezioni economiche della scuola di Vienna.
Kaulbach, Ernest N.
Imaginative prophecy in the
B-text if Piers Plowman
D. S. Brewer, dicembre 1992
pp.192, £ 29,50 - $ 59
Un’esplorazione della teoria psicologica araba (soprattutto avicenniana)
che sta dietro il “Piers Plowman”, che
mette in luce i rapporti fra attanti e
altre figure apparentemente non psi-
cologiche. Il libro descrive anche i
contesti in cui la psicologia araba
raggiunse un poeta inglese del XIV
secolo.
persona e non è nessuno, nient’altro
che un accumulo prodigioso di forze
che esplodono.
Koslowski, Peter
Politik und Ökonomie
bei Aristoteles
J.C.B. Mohr, novembre 1992
pp.100, DM 69
Koslowski ci mostra quale peso attribuisce Aristotele all’economia politica e e al fondamento dell’etica economica da un punto di vista sistematico e storico.
Kennedy, Rodney
The creative power of metaphor:
A rhetorical homiletics
UP of America, dicembre 1992
pp.142, £ 12,95 $ 16,50
Il libro analizza il rapporto simbiotico fra retorica e omiletica proponendo un’interfaccia metaforica fra le
due discipline. La ricerca contemporanea sulla metafora in filosofia, la
retorica, la sociologia e la teologia
vengono impiegate per produrre
un’omiletica retorica/metaforica.
Kosso, Peter
An introduction
to the philosophy of science.
Reading the book of nature
Cambridge UP, novembre 1992
pp.224, £ 8
Uno sguardo introduttivo alla filosofia della scienza adatto a principianti
e non specialisti. Il suo punto di partenza è la domanda: perché dovremmo credere a quanto la scienza ci dice
sul mondo?
Kenny, Anthony
Aquinas on mind
Routledge, dicembre 1992
pp.192, £ 30
Nel libro vengono discusse parti della
teoria dell’Aquinate che continuano
ad avere valore. Il volume si concentra su un’attenta lettura delle sezioni
della “Summa Theologiae” dedicate
all’intelletto e alla volontà umana e al
rapporto fra anima e corpo.
Krewani, Wolfgang N.
Emmanuel Lévinas.
Denker des Anderen
Karl Alber, novembre 1992
pp.270, DM 38
Lo scopo centrale e lo sviluppo del
pensiero di Lévinas vengono esposti
sul filo conduttore dei concetti centrali di tempo, altro e soggetto.
Klein, Izchak
Liberté dialectique
P. Lang, novembre 1992
pp.126, F 28
Per esistere e avere un senso, la libertà deve innanzitutto realizzarsi. Non
si potrebbe concepire questa libertà
che dopo la sua realizzazione e in
rapporto a questa. I. Klein propone
una concezione dialettica della libertà che è un processo i cui tre momenti
sono la libertà negativa, la realtà e la
coscienza della libertà.
Kristeller, Paul Oskar Wiener, Philip P. (a cura di)
Renaissance essays: I
Univ. of Rochester Press,
dicembre 1992
pp.384, £ 14,95 - $ 29
Selezione di 15 saggi dal “Journal of
the History of Ideas”, che tratta di
un’ampia parte della storia intellettuale del Rinascimento. Vengono discussi fra gli altri argomenti del pensiero sociale, morale e religioso, umanesimo, filosofia e scienze, letteratura, arti visive e musica.
Kniebe, G. (a cura di)
Was ist Zeit?
Wesen und Erscheinungsformen
Freies Geistesleben, novembre 1992
pp.340, DM 58
Knigge, Adolph von
Hébert, Brigitte (a cura di)
Du commerce avec les hommes
ou l’Art de vivre en société
Press. Univ. Mirail-Toulouse
novembre 1992
pp.170, F 150
Pubblicato nel 1788, questo saggio
che dà un’immagine molto vivace
della vita quotidiana in Germania alla
fine del XVIII secolo interesserà i
germanisti e gli specialisti del secolo
dei lumi.
Kuhlmann, Wolfgang
Sprachphilosophie,
Hermeneutik, Ethik. Studien
zur Transzendentalpragmatik
Königshausen & Neumann
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.220, DM 48
La pragmatica trascendentale è visibile nonostante le fondamentali trasformazioni dei concetti sistematici
nella tradizione della filosofia trascendentale kantiana. Concentrandosi su alcuni dei punti attualmente forti
del dibattito filosofico Kuhlmann riesce a presentare in modo chiaro e
comprensibile i nuovi approcci sistematici alla pragmatica trascendentale.
Knoppe, Thomas
Die theoretische Philosophie
Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen
transzendentaler Wissenschaftsund Kulturtheorie
Felix Meiner Verlag, Hamburg 1992
Kühn, Rolf
Sinn - Sein - Sollen.
Beiträge zu einer
Phänomenologischen
Existenzanalyse
in Auseinandersetzung
mit dem Denken Voktor E. Frankls
Junghans, novembre 1992
pp.222, DM 35
Kofman, Sarah
Explosion
1: De Ecce Homo de Nietzsche
Galilée, novembre 1992
pp.200, F 210
Ecce Homo è il testo più spersonalizzato che ci sia: un’autobiografia personale il cui eroe ha in sé più d’una
76
Lang, Helen S.
Nature in Aristotle’s “Physics”
and its medieval varieties
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.224, $ 15
La prima parte espone le idee aristoteliche e la seconda l’interpretazione
di queste idee da parte di Filopono,
Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Giovanni Buridano e Duns Scoto.
Laurent, Jérôme
Les Fondements de la nature
selon Plotin:
procession et partecipation
Vrin, dicembre 1992
pp.253, F 189
Per Plotino, tutte le forme di vita
procedono dall’attività spirituale resa
possibile dall’ineffabile perfezione
dell’Uno. Ma allora come spiegare la
cattiveria e la corruzione? Come pensare lo statuto del corpo, spesso presentato dalla tradizione platonica
come una prigione dell’anima?
Lee, Jin-Woo
Politische Philosophie
des Nihilismus.
Nietzsches Neubestimmung
des Verhältnisses von Politik
und Metaphysik
de Gruyter, novembre 1992
pp.441, DM 216
Fondamenti di una filosofia politica
per la società d’oggi priva di principi.
Dall’analisi critico temporale di Nietzsche del nichilismo viene elaborata
una filosofia della politica.
Lehmann, Roswitha
Ethik ohne Geländer.
Moralisches Sollen im Kontext
von Prozeßoffenheit.
Eine überschreitung
des normenorientierten
Denkmusters unter Einbeziehung
von Buber und Kohlberg sowie
einem Rückgriff auf Nietzsche
und Kant
Die Blaue Eule, novembre 1992
pp.355, DM 78
Lenk, H. - Vollmer, G.
Hastedt, H. - Riedl, R.
Fenk, A. - Heisenberg, M.
Flohr, H. - Mainzer, Kl.
Forum für Interdisziplinäre
Forschung 1992/1.
Thema:Vernunft als mentaler Prozeß
Verlag J.H. Röll
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.72, DM 12,50
I saggi interdisciplinari discutono la
questione dei rapporti empirici all’interno della ragione e cercano di proporre una nuova via di uscita al di là
del materialismo e dell’idealismo.
Liebsch, Burkhard
Spuren einer anderen Natur.
Piaget, Merleau-Ponty
und die ontogenetischen Prozesse
W. Fink, novembre 1992
pp.430, DM 98
La concezione di Piaget e di MerleauPonty nel saggio di Liebsch vengono
contestualizzate in modo tale che la
questione viene posta dal punto di
NOVITA’ IN LIBRERIA
vista dello sviluppo in modo completamente nuovo e insolito. L’autore,
rilavato in acque filosofiche, storicoscientifiche e psicologiche, ci conduce così sulle “tracce di un’altra natura”.
Loewer, Barry - Rey, George
(a cura di)
Meaning in mind:
Fodor and his critics
Blackwell Publishing,
dicembre 1992
pp.384, £ 15,95
Il volume contiene 14 contributi di
filosofi ed esperti della conoscenza
critici nei confronti della teoria computazionale di Fodor della causa intenzionale, centrale per l’emergere
delle scienze cognitive. I saggi sono
seguiti da risposte di Fodor a ognuno
di essi.
Loewith, Karl
My life in Germany
before and after 1933. A report
The Athlone, dic.-gennaio 1992-’93
pp.192, £ 40
L’autobiografia di un filosofo focalizzata sugli anni 1914-’39, periodo
che vede la nascita della Germania di
Hitler. Il libro tratta della gioventù di
Lowith in Germania, della sua emigrazione in Italia e quindi in Giappone e del suo incontro con Martin Heidegger.
Lombardi, Paolo
La Bibbia contesa.
Tra umanesimo e razionalismo
La Nuova Italia, Firenze 1992
L. 35.000
A cavallo tra Quattrocento e Seicento, la Bibbia fu al centro di tutte le
grandi dispute intellettuali, dall’umanistica riforma della ratio studiorum,
alla battaglia combattuta da Galileo a
sostegno di una nuova scienza della
natura. Ripercorrendo le tappe dello
sviluppo del dibattito sulla Scrittura,
questo libro cerca di mettere in luce la
straordinaria densità teorica di quelle
discussioni sul testo biblico.
Löther, Rolf
Der unvollkommene Mensch.
Philosophische Anthropologie
und biologische Evolutionstheorie
Dietz Vlg. Berlin
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.330, DM 42
Löwith, Karl
Heidegger - Denker
in dürftiger Zeit
Prefazione di B. Lutz
J.B. Metzler, novembre 1992
pp.160, DM 32
Maffesoli, Michel
Nel vuoto delle apparenze
Verso un’etica dell’esistenza
Garzanti, Milano febbraio 1993
pp.320, L. 38.000
Il volume prende le mosse da un interrogativo centrale nel dibattito odierno: che senso dare alla nostra esperienza nell’attuale epoca “postmoderna”? L’unica eredità che ci ha lasciato la caduta delle grandi ideologie
sembra essere un pulviscolare sog-
gettivismo e l’unica forza trainante
della vita sociale sembra essere l’edonismo della quotidianità. Per dare una
coerenza ed una finalità a questo quadro, Maffesoli propone un’etica fondata sulla rivalutazione della sensibilità rispetto alla razionalità e sulla
necessità che ciascuna azione sia in
sé compiuta e quindi esteticamente
accettabile.
ricerca e sulle pubblicazioni di scienziati e istituzioni in ambiti di lingua
tedesca, soprattutto nel campo della
filosofia, ma anche in quello della
teologia, della medicina, della tecnica, delle scienze naturali, dell’ambiente e dell’economia.
Modica, Giuseppe
Fede, libertà, peccato
Palumbo,ottobre 1992
pp. 166
Il libro ripercorre uno dei nodi più
difficili, paradossali, del pensiero di
Kierkegaard, il rapporto tra fede, libertà e peccato, traendone le implicazioni relative alle questioni poste dalla teodicea.
Mangione, Corrado
Bozzi, Silvio
Storia della logica
Garzanti, Milano gennaio 1993
pp. 976, L. 90.000
Dall’Ottocento a oggi, la logica formale è stata protagonista di un’evoluzione di straordinaria ricchezza e complessità. Ponendosi alla confluenza
tra filosofia e matematica, informatica e linguistica, ha indubbiamente
condizionato il loro sviluppo; d’altro
canto queste diverse discipline hanno
spesso cercato nella logica una adeguata formalizzazione, arricchendola con le loro problematiche. L’ampia
panoramica del volume offre una
puntuale introduzione storica alla logica formale.
Moneti Codignola, Maria
Il paese che non c’è
e i suoi abitanti
La Nuova Italia, 1992
L 45.000
Una disamina del significato e della
funzione delle utopie nell’antichità
(lo stato educatore in Platone) e soprattutto nell’era moderna (da More
agli illuministi), fino alle soglie dell’età contemporanea (Fourier).
Marie, Jean-Paul (a cura di)
Le Pessimisme
Presses univ. de Nancy, nov. 1992
F 180
Il pessimismo rivendica l’etichetta
esclusiva di lucidità, la coscienza precisa dell’assurdità dell’esistenza. Da
Schopenhauer a Nietzsche, orgogliosi e disperati, il pessimismo ha invaso
a poco a poco la filosofia e la letteratura. Dall’antichità ai giorni nostri, si
trova al centro di creazione e distruzione.
Mooney, Michael
Vico e la tradizione della retorica
Il Mulino, luglio 1992
pp.362
Il libro mette in luce l’atteggiamento
classico che Vico ha nei confronti
della retorica come discorso sociale,
comunicazione e strumento di cambiamento della società. In questo si
mostra come geniale precursore dello
storicismo che va da Hegel a Croce.
Morali, Claude
Le Juste ton de la vie
Laboratoires Delagrange:
Synthélabo, dicembre 1992
pp.350, F 94
Il clima della vita, il clima dell’essere, descritto in primo luogo da ciò che
vive, e poi da temi ed esperienze in
letteratura e in filosofia, conduce forse all’”onto-biografia” di un Dio vivente, di una vita divina, o a una
meteorologia trascendentale?
Marsonet, Michele
Logica e linguaggio
Pantograf, gennaio 1993
Vol. II, pp. 142
Il libro si propone come parte propedeutica di una più ampia trattazione
della questione, posta programmativamente da Quine, di una fondazione
rigorosa logico-formale dell’ontologia.
May, Keith M.
Nietzsche on the struggle
between knowledge and wisdom
Macmillan Press, dicembre 1992
pp.192, £ 35
Il volume prende in considerazione il
significato e le implicazioni della
convinzione di Nietzsche nel rapporto della filosofia fino al tempo di
Aristotele e il suo influsso sui moderni atteggiamenti (prevalentemente
nichilisti), per i quali esso costituisce
una sorta di antidoto. Dello stesso
autore di “Aldous Huxley” e di “Nietzsche and the Spirit of Tragedy”.
Moravcsik, Julius
Plato and Platonism.
Plato’s conception of appearance
and reality in ontology,
epistemology and ethics
and its modern echoes
Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93
pp.352, £ 40
Morewedge, P. (a cura di)
Neoplatonism and islamic thought
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.267, $ 17
Il libro esplora attraverso il loro neoplatonismo le filosofie di quattro culture: Nordafrica, Spagna moresca,
Grecia e Islam.
Meggle, G. - Rippe, Kl.P.
Wessels, U. (a cura di)
Almanach der Praktischen Ethik.
Forscher. Institutionen. Themen.
Eine Bestandsaufnahme
Westdt. Vlg., novembre 1992
pp.326, DM 56
Il libro informa sui punti cruciali del
lavoro pratico-etico, sulle sue linee di
Morin, Edgar
Introduzione al pensiero complesso
Sperling & Kupfer, febbraio 1993
pp.128, L. 26.500
”Complessità” è una parola-problema e non una parola-soluzione. Essa
77
esprime il nostro disagio, la nostra
confusione, la nostra incapacità di
definire in modo semplice e di fare
chiarezza nelle nostre idee. Se la complessità è la sfida da affrontare, il
pensiero complesso è lo strumento
che aiuta a raccoglierla e spesso addirittura a vincerla.
Morris, Michael
The good and the true
Clarendon, dic.-gennaio 1992-’93
pp.352, £ 37,50
Il libro mette a confronto la concezione scientifica della natura della realtà
e suggerisce che per noi il concetto di
possesso, fede e verità hanno senso
solo all’interno di una prospettiva in
cui i valori in generale contino e in
particolare il bene morale, in quanto
parte del mondo.
Müller, Denis
Les Lieux de l’action:
éthique et religion dans
une société pluraliste
Labor et Fides, novembre 1992
pp.200, F 129
Il libro affronta problemi contemporanei, quali l’AIDS, il segreto medico
e i diritti dei malati. Un’ultima parte
dedicata all’Europa pone i fondamenti
per un’etica europea.
Mura, Alberto
La sfida scettica.
Saggio sul problema
logico dell’induzione
ETS Editrice, ottobre 1992
pp.200
Il libro discute il problema logico
dell’induzione da un punto di vista
epistemologico (qual’è il ruolo dell’induzione nella conoscenza in generale e nella scienza in particolare?)
e logico (che cos’è l’inferenza induttiva? Com’ è possibile inferire direttamente al di là delle premesse?). Il
testo affronta queste questioni da un
punto di vista probabilistico.
Nadler, Steven M.
Malebranche and Ideas
Oxford UP, dicembre 1992
pp.192, £ 30
Questo trattato prende in considerazione il ruolo di Malebranche come
seguace di Descartes e descrive il
modo in cui questi rimase uno strenuo difensore della posizione cartesiana, pur modificandone al contempo la filosofia sotto diversi aspetti
importanti.
Nagl-Docekal, H. - Wimmer, F.M.
(a cura di)
Postkoloniales Philosophieren:
Afrika
Oldenbourg, novembre 1992
pp.255, DM 38
Negri, Antimo
Giovanni Gentile
Edizioni dell’Arcipelago
gennaio 1992
pp. 95
Negt, Oskar - Kluge, Alexander
Maßverhältnisse des Politischen.
15 Vorschläge
zum Unterscheidungsvermögen
NOVITA’ IN LIBRERIA
S. Fischer Verlag
dicembre-gennaio 1992-’93
Dietro il concetto di proporzionalità
non c’è Aristotele, ma Hegel, che con
il suo Punti nodali della proporzionalità aveva in mente in raccolta che
condensasse gli avvenimenti e li mettesse in movimento. Il politico può
anche lavorare senza produrre una
“giusta misura”. In tal caso esso si
costituisce però esclusivamente come
campo di oggetto professionalizzato.
La “materia prima” politica, interessi
e sentimento, per Negt e Kluge riceve
una trattazione efficace solo quando
da questa risultano autodeterminazione, una comunità fondata sulla
durata, possibilità di scelta e di espressione. Su questi quattro criteri viene
misurata la politica. “Il politico” si
cela in ogni rapporto vitale come
“materia prima” o “elemento naturale”. A ciò si aggiunge sempre che il
sentimento quotidiano del loro “grado di intensità” muta diventando politico. Ma per diventare autenticamente politici, questi sentimenti devono trovare un’espressione pubblica, così da portare a un’associazione
di uomini e quindi affermarsi come
durata.
Nicolini, Fausto
La giovinezza di Vico.
Saggio biografico
Il Mulino, luglio 1992
pp.198
Nietzsche, Friedrich
Le Service divine des Grecs:
Antiquités du culte religieux
des Grecs, cours de trois heures
hebdomadaires, hiver 1875-76
A cura di E. Cattin
Herne, novembre 1992
pp.213, F 140
Affrontando ancora una volta i greci
su un terreno (il culto) vicino alle
questioni che quattro anni prima avevano ispirato la Nascita della tragedia, Nietzsche inventa e mette alla
prova i concetti e il metodo di Umano, troppo umano. La presente traduzione di un testo introvabile in tedesco dagli anni ’20 rischiara un importante momento nella costituzione del
pensiero nietzscheano.
Nietzsche, Friedrich
Considérations inactuelles
III et IV
A cura di G. Colli
Montinari Mazzino ed., nov. 1992
pp.204, F 29,50
Testi su Schopenhauer e Wagner.
Ockham, Guglielmo
Logica dei termini
a cura di Paola Müller
Rusconi, ottobre 1992
pp. 343
Opilik, Klaus
Transzendenz und Vereinzelung.
Zur Fragwürdigkeit
des transzendentalen Ansatzes
im Umkreis von Heideggers
Sein und Zeit
Karl Alber, novembre 1992
pp.230, DM 70
La fondamentale esperienza del riti-
ro, nel periodo di Essere e tempo
ancora interpretabile come rapporto
di tensione fra trascendenza e isolamento, porta alla fine Heidegger alla
necessità di un cambiamento del concetto di filosofia. Qui si propone una
prospettiva ricca di sviluppi per il
pensiero heideggeriano successivo.
Pascal, Blaise
Discours sur la religion
et sur quelques autres sujets
qui ont été trouvés après
sa mort parmi ses papiers
A cura di E. Martineau
Fayard, novembre 1992
F 280
Nel corso dell’estate 1660, Pascal
ripartì in ventisette rubriche circa
quattrocento frammenti autografi di
quella che sarebbe diventata
l’”Apologia della religione cristiana”. _ questa classificazione in “fascicoli” che è stata usata in questa
edizione di un’opera tradizionalmente pubblicata con il titolo di Pensieri
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.178, $ 13
scenza e la parte dell’uomo, le convenzioni del suo linguaggio, dei suoi
ragionamenti e delle sue intuizioni.
Pettit, Philip
The common mind: An essay
on psychology, society
and politics
Oxford UP Inc USA
dicembre 1992
pp.256, £ 27,50
Il presente trattato sostiene un modo
originale di separare gli esseri senzienti, in particolare gli umani, da
altri sistemi intenzionali, sia naturali
che artificiali, appoggiando un’immagine dell’individualismo olistico
e delineando una nuova cornice per
una teoria sociale e politica.
Poirié, François
Emmanuel Levinas
Manufacture, novembre 1992
pp.157, F 82
Al crocevia di ambiti dello spirito
assai diversi fra loro: la religione giudaica, la letteratura russa, la fenomenologia tedesca, la filosofia e la critica contemporanee, E. Levinas è riuscito a formulare una filosofia decisamente nuova.
Pierobon, Franck
Système et représentation
dans la déduction transcendentale
de la Critique de la raison pure
J. Millon, dicembre 1992
pp.416, F 198
Non c’è niente di più incomprensibile
di risposte di cui non si capisce a
quale domanda si riferiscano. La Critica della ragion pura ha così anticipato alcune questioni, suscitando
malgrado il suo autore, alcuni malintesi altrettanto fecondi, in senso filosofico, del movimento vero e proprio
che la orienta.
Pellerey, Roberto
Le Lingue perfette
nel secolo dell’utopia
Laterza, settembre 1992
pp.304
Un’analisi delle teorie linguistiche
nel secolo dell’illuminismo.
Pénisson, Pierre
J.G. Herder:
la raison dans les peuples
Cerf, dicembre 1992
pp.350, F 180
Tutta l’opera di Herder (1744-1803)
consiste nel raccogliere “la voce del
popolo, dell’umanità sparsa”. Raffrontando incessantemente epoche e
lingue le une alle altre, Herder, del
quale ci si è spesso serviti per rivendicare il particolarismo contro l’universale, sviluppa in realtà una “filosofia della traduzione”, dice P. Pénisson.
Platon
Le Politique; Philèbe; Timée
A cura di A. Diès e A. Rivaud
Gallimard, dicembre 1992
pp.280, F 89
Raggruppa testi che la tradizione ha
sempre associato, che vertono sull’origine dell’universo, dell’uomo e
della città.
Platone
Parménide; Théétète; Le Sophiste
Trad. di Auguste Diès
Gallimard, novembre 1992
pp.238, F 80
In questi tre dialoghi Platone affronta
i problemi fondamentali della conoscenza, dell’essere e della verità.
Perler, Dominik
Der propositionale
Wahrheitsbegriff im 14. Jahrhundert
de Gruyter, novembre 1992
pp.387, DM 188
Aspetti semantici, di teoria della conoscenza e ontologici delle teoria della
verità del tardo medio evo.
Plumpe, Gerhard
Ästhetische Kommunikation
der Moderne.
Band 1: Von Kant bis Hegel
Westdeutscher, dic.-gennaio ’92-’93
pp.320, DM 59
Questa ricostruzione si svolge nella
prospettiva di una teoria della “comunicazione estetica” che osserva e riflette lo sviluppo dell’arte a partire
dalla sua differenziazione nel XVIII
secolo. Da questo approccio di tipo
sistematico-teoretico emerge una nuova periodizzazione della storia dell’estetica.
Perrella, Ettore
Il tempo etico
Edizioni Biblioteca dell’Immagine
ottobre 1992
pp.670
Il libro si pone l’ambizioso progetto
di costruire una “scienza nuova” che,
al di là del pregiudizio “decadente”
posto dalla psicanalisi classica, secondo cui soggettivo è sinonimo di
patologico, costruisca una teoria complessiva della soggettività conoscitiva ed etica, fondandosi sul principio
trascendentale del cogito e sui presupposti della teoria kantiana della
temporalità.
Poincaré, Henry
La Science et l’hypothèse:
essai de philosophie des sciences
Ed. de la Bohème, dicembre 1992
pp.316, F 88
L’autore si interroga sui rapporti fra
la scienza, la perfezione della cono-
Peterman, James
Philosophy as therapy.
An interpretation and defense
of Wittgenstein’s later
philosophical project
78
Poli, Roberto
Ontologia formale
Marietti, luglio 1992
pp. 542
Il libro prende in esame la complementarietà teoretica di filosofia analitica e fenomenologia attraverso lo
studio degli aspetti della tematica
ontologica comuni alle due posizioni.
Poppi, Antonio
Cremonini e Galilei inquisiti
a Padova nel 1604.
Nuovi documenti d’archivio
Editrice Antenore, ottobre 1992
pp. 106
Possenti, Vittorio
Oltre l’illuminismo. Il messaggio
sociale del Cristianesimo
Edizioni Paoline, 1992
pp. 270
Con la crisi dell’illuminismo ed il
crollo del comunismo la dottrina sociale della Chiesa viene ad assumere
un ruolo centrale per chiarire i temi
principali della sfera pubblica, dall’economia ai diritti dell’uomo, dalla
democrazia alla nuova Europa. Il volume si chiude con un’intervista concessa sui temi della dottrina sociale
della Chiesa dall’allora cardinale
Karol Wojtyla nel 1978.
Poulain, Jacques (a cura di)
Rue Descartes, nº5-6;
De la vérité: pragmatisme,
historicisme et relativisme
Albin Michel, dicembre 1992
F 150
Riducendo la verità teorica a una convinzione di ordine pratico, abituandosi a inchinarsi davanti alle istanze
del consenso come lo scientifico fa
davanti al mondo visibile, non si arriva forse a neutralizzare ogni giudizio
critico?
Rescher, Nicholas
A system of pragmatic idealism.
Volume II: The validity of values.
A normative theory
of evaluative rationality
Princeton UP, dic.-gennaio 92-93
pp.296, $ 44
Secondo dei tre volumi Un sistema
dell’idealismo pragmatico, una collana che riassume l’opera di tutta una
vita del filosofo Nicholas Rescher.
Ricoeur, P. - Chrétien, J.-L.
Marion, J.-L. - Henry, M.
Phénoménologie et théologie
Critérion, dicembre 1992
NOVITA’ IN LIBRERIA
F 99
Si tratta di quattro interventi che hanno concluso i lavori del seminario del
Centro di ricerche fenomenologiche
ed ermeneutiche nel corso dei due
anni accademici 1990-91 e 1991-92.
L’argomento di questo seminario era,
più precisamente, “fenomenologia ed
ermeneutica della religione”.
Ricoeur, Paul
Lectures
2: La Contrée des philosophes
Seuil, dicembre 1992
pp.497, F 170
Viaggio attraverso diverse “contrade” dell’universo filosofico contemporaneo: figure dell’esistenzialismo
(da Kierkegaard a Camus) al cui cospetto P. Ricoeur manifesta la sua
distanza o la sua prossimità; confronto con autori che hanno esercitato una
profonda influenza sulla sua opera
(E. Mounier, J. Wahl, G. Marcel);
discussione con i rappresentanti della
corrente strutturalista...
Nelle concordanze sull’opera di Kant
(voll.I-IX nell’edizione dell’Accademia prussiana delle scienze) per la
prima volta tutti i più importanti concetti dell’opera kantiana vengono inclusi in un’applicazione delle moderne tecnologie dei computer.
Roth, Robert J.
British empiricism and
american pragmatism: New
directions and neglected
arguments
Fordham UP, dicembre 1992
pp.200, £ 15,95 - $ 19,95
Il libro vuole contribuire alla rinascita dell’interesse per il pragmatismo
americano e i suoi propositori, William James, C. S. Peirce e John Dewey,
concentrandosi sulle influenze dell’empirismo britannico, in particolar
modo sulle filosofie di Locke e di
Hume, e sulle forti differenze fra le
due tradizioni.
Rigal, Elisabeth (a cura di)
La Notion d’analyse
Presses univ. du Mirail-Toulouse
novembre 1992
pp.400, F 180
La nozione di analisi in filosofia, in
psicoanalisi o anche a partire da prospettive trasversali. Con testi di J.
Deridda, J. Toussaint-Dessanti e
Gérard Granel.
Rothschild, Kurt W.
Ethics and economic theory:
Ideas, models and dilemmas
Edward Elgar, dicembre 1992
pp.176, £ 35
Una valutazione critica dei rapporti
fra teoria economica, oggettività
scientifica ed etica che si serve di
esempi tratti dalla vita reale e propone una nuova prospettiva sulle dimensioni etiche dell’analisi economica.
Rivelaygue, Jacques
Leçons de métaphysique allemand
2: Kant, Heidegger, Habermas
Grasset, novembre 1992
pp.504, F 165
Il corso di Rivelaygue consente di
leggere o di rileggere Kant cogliendone il senso e la sua vera portata,
mostrandoci anche tutto ciò che separa quel grande critico del mondo
moderno che fu Heidegger da coloro
che, come Habermas, intendono restare fedeli al progetto della modernità.
Ryle, Gilbert
Gilbert Ryle and the
philosophy of mind
A cura di Rene Meyer
Blackwell Publishing,
dicembre 1992
pp.256, £ 40
Raccolta di scritti di Gilbert Ryle,
professore di filosofia a Oxford dal
1945 al 1967. Il libro comprende anche due omaggi a Ryle: uno di John
Mabbot, amico intimo di Ryle, sull’uomo; l’altro di David Gallop, ex
studente di Ryle, sul filosofo.
Rizzi, Lino
Eticità e stato in Hegel
Mursia, Milano febbraio 1993
pp.368, L. 40.000
La teoria hegeliana dell’Eticità appare un grande sforzo di comprendere
come le sfere dell’economia, del diritto e della politica costituiscano sistemi tra loro distinti solo operativamente, ma come eticamente siano
funzioni dirette alla realizzazione degli individui. Che lo stato sia etico,
detta le condizioni di principio per
l’autorealizzazione dei suoi membri.
Sachs-Hombach, Klaus
Philosophische Psychologie
im 19. Jahrhundert.
Entstehung und Problemgeschichte
Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93
pp.380, DM 94
Il problema della conoscenza unisce i
fondamenti della validità del sapere
alla questione delle origini della conoscenza. La filosofia è tradizionalmente il primo campo trattato, mentre il secondo si rivolge alla psicologia empirica. La “psicologia filosofica” compie un tentativo di mediazione: si interroga sulle dipendenze reciproche di validità e genesi.
Röd, Wolfgang (a cura di)
Geschichte der Philosophie.
Band 2: Die Philosophie der Antike
Teil 2: Sophistik und Sokratik
Plato und Aristoteles
Beck, novembre 1992
pp.390, DM 48
Roser, A. - Mohrs, Th.
Börncke, Frank R. (a cura di)
Kant-Konkordanz
Olms, dic.-gennaio 1992-’93
10 voll., pp.7000, DM 198 (1 vol.)
Scienza aristotelica
e scienza moderna
Armando Editore, settembre 1992
pp. 240
Il libro analizza alcuni aspetti epistemologici rilevanti della scienza della
natura aristotelica e la concezione
kantiana della scienza della natura
allo scopo di valutare il passaggio
dalla scienza aristotelica a quella
moderna.
Schaefer, Alfred
Die Idee in Person.
Hobbes’ Leviathan in seiner
und unserer Zeit
Berlin-Vlg. Spitz, novembre 1992
pp.158, DM 25
Schalow, Frank
The renewal
of the Heidegger-Kant dialogue.
Action- thought and responsibility
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.416, $ 20
Il saggio fornisce una visione completa di tutto il corpus heideggeriano
ed è costruito attorno a un tema centrale, su cui si sofferma brevemente.
L’autore rintraccia l’inizio del dialogo continuo di Heidegger con Kant
non dalla sua prima apparizione, ma
dal suo fertile terreno.
Schlosser, Gerhard
Einheit der Welt
und Einheitswissenschaft.
Grundlegung einer
Allgemeinen Systemtheorie
Vieweg, dic.-gennaio 1992-’93
pp.250, DM 85
Come si può sostenere il calcolo dell’unità del mondo quando una molteplicità di discipline si accostano l’una
all’altra senza alcun rapporto? Nella
seconda parte si cerca di rispondere a
questa domanda con il fondamento di
una teoria del sistema generale.
Schnädelbach, Herbert
Vorträge und Abhandlungen.
Band 2: Zur Rehabilitation
des animal rationale
Suhrkamp, novembre 1992
pp.454, DM 28
Schoeck, R. J.
Erasmus of Europe: The
making of a humanist
Edinburgh UP, dicembre 1992
pp.432, £ 16,95
Una biografia dell’umanista rinascimentale Erasmo da Rotterdam. Un
resoconto dei viaggi del filosofo a
Parigi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi
e in Svizzera, con uno sguardo alla
storia delle idee in cui Erasmo svolse
un ruolo.
Salamun, K. (a cura di)
Was ist Philosophie? Neuere Texte
zu ihren Selbstverständnis
J.C.B. Mohr, novembre 1992
pp.365, DM 24,80
Una scelta di testi nella quale noti
filosofi del XX secolo espongono le
proprie idee sui compiti e gli scopi
della filosofia.
Schönherr-Mann, Hans-Martin
Politik der Technik.
Heidegger und die Frage
der Gerechtigkeit
Passagen-Vlg., novembre 1992
pp.120, DM 26
Schröder, Jürgen
Das Computermodell des Geistes
in der analytischen Philosophie
und in der kognitiven Psychologie
Sanguineti, Juan José
79
des Sprachverstehens
Königsh. & Neumann, novembre
1992
pp.232, DM 48
Schule, J. - Sundholm, G.
(a cura di)
Criss-crossing
a philosophical landscape.
Essays on wittgensteinian themes.
Dedicated to Brian McGuiness
Edit. Rodopi, dic.-gennaio ’92-’93
pp.264, Dfl 80
Schulz, Gudrun
Veritas est adaequatio
intellectus et rei.
Untersuchungen zur Wahrheitslehre
des Thomas von Aquin
und zur Kritik Kants an einer
überlieferten Wahrheitsbegriff
E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93
Dfl 120
Schuppan, M.-S. (a cura di)
Möglichkeiten menschlichen Seins.
Festschrift für Walter Heistermann
zum 80. Geburtstag
Schäuble, dic.-gennaio 1992-’93
pp.230, DM 128
Schweppenhäuser, Hermann
Ein Physiognom der Dinge.
Aspekte des Benjaminschen Denkens
zu Klampen, novembre 1992
pp.172, DM 28
Per il 100º anniversario della nascita
di Walter Benjamin Schweppenhäuser, curatore delle opere complete di
Benjamin, presenta una prima parte
dei saggi su Benjamin.
Scrivano, Fabrizio
Le parole degli occhi.
Conoscenza linguistica e visiva
nel Rinascimento
Pacini, dicembre 1992
pp. 135, L. 18.000
Il libro indaga il suggestivo rapporto
tra parole e immagini, sistema linguistico e sistema visivo così come emerge dalle variegate manifestazioni culturali del Rinascimento mettendone
in evidenza problematiche e peculiarità.
Seebass, Gottfried
Wollen
Klostermann, novembre 1992
pp.320, DM 84
Il libro costituisce la prima parte di un
più ampio progetto di ricerca filosofica sul concetto di responsabilità giuridica, concepita in modo metaetico,
così che fornisca un’unità di misura
di giudizio per determinate rappresentazioni di “responsabilità” morale
o giuridica.
Seifert, J. (a cura di)
Danken und Dankbarkeit.
Eine universale Dimension
des Menschenseins
C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93
pp.235, DM 80
Sènéque le Père
Sentences, divisions et couleurs
des orateurs et des rhéteurs
A cura di H. Bornecque
Aubier, novembre 1992
NOVITA’ IN LIBRERIA
pp.560, F 180
Un’opera che testimonia dell’arte
della declamazione a Roma (base
dell’apprendimento del mestiere politico), in due parti: da un lato delle
controversie (cause fittizie sostenute
in base a testi di legge fittizi), dall’altro le suasorie (esercizi che consistevano nel persuadere un personaggio
fittizio).
Sharma, A. (a cura di)
God, truth and reality.
Essays in honour of John Hick
Macmillan, dic.-gennaio 1992-’93
pp.288, £ 40
Ultimamente tutte le arti e le scienze
cercano una presa sulla realtà. Ciò
che contraddistingue filosofia, teologia e religione da tutte loro è che
queste si attaccano alla realtà ultima.
Qui studiosi di tutto il mondo espongono in questo campo le loro più
recenti riflessioni.
Smolensky, Paul
Il connessionismo
tra simboli e neuroni
Marietti, ottobre 1992
pp.280
Il saggio approfondisce il tema dei
rapporti tra Intelligenza Artificiale e
Connessionismo, un paradigma computazionale per lo studio della mente
che si è imposto a partire dagli anni
Ottanta e di cui il libro analizza i
fondamenti teorici.
Spierling, Volker
Kleine Geschichte
der Philosophie. 50 Portraits
von der Antike bis zur Gegenwart
Piper, dic.-gennaio 1992-’93
DM 18,90
Stalker, Douglas (a cura di)
Grue! The new riddle
of induction
Open Court Publishing
Company, dicembre 1992
pp.320, £ 19,95
Il volume contiene 14 saggi sul paradosso grue, sette dei quali precedentemente pubblicati e sette scritti appositamente per questo libro. L’opera include un’esposizione e una storia
dettagliata, una bibliografia ragionata praticamente di tutta la letteratura
sul problema.
Stambaugh, Joan
The finitude of being
State Univ. of New York
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.192, $ 15
La finitezza è evidentemente un concetto centrale nel pensiero di Heidegger, ma il suo significato non è mai
stato chiarito nel contesto della globalità della sua opera. Stambaugh affronta questo difficile tema con acume ed eleganza.
Stevens, Bernard
L’Apprenstissage des signes:
lecture de Paul Ricoeur Etats-Unis
Kluwer, dicembre 1992
pp.VIII/310, F 650
Una lettura esauriente dell’opera di
Paul Ricoeur, fino a Soi-même com-
me un autre (1990). Su questa lettura
si articola un’interpretazione critica
il cui asse di ricerca è lo statuto del
soggetto. La concezione ricoeuriana
del soggetto presuppone un’ontologia che si trova a uguale distanza dal
positivismo logico e da un’ermeneutica di tipo heideggeriano.
Stüber, Carsten
Donald Davidson Theorie
sprachlichen Verstehens
Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93
pp.264, DM 78
Davidson è uno dei più influenti pensatori della tradizione della filosofia
analitica degli ultimi vent’anni. Tale
approccio è debitore a Davidson soprattutto per quanto riguarda la sua
tesi che il problema filosofico del
significato possa essere portato a una
soluzione sistematica solo con l’aiuto
della teoria della verità di Tarski.
Kritik der Urteilskraft.
Ein einführender Kommentar
Schöningh, novembre 1992
pp.125, DM 17,80
Individuum versus Institution.
Zwei Ansatzpunkte der Moral
Campus-Vlg., dic.-gennaio ’92-’93
pp.102, DM 28
Teixidor, Javier
Bardesane d’Edesse:
la première philosophie syriaque
Cerf, dicembre 1992
pp.158, F 150
Nato nel 154 a Edesse (crocevia di
correnti culturali dove si incontreranno romani e parti), cristiano di lingua
siriaca, poeta esperto della filosofia
del suo tempo, Bardesane è una figura originale. La sua opera filosofica è
pervenuta fino a noi solo attraverso i
suoi discepoli e i suoi avversari, come
sant’Efrem nel IV secolo.
Vollmann, Fritz H.
Verweigerte Wahrnehmung.
Die frühe Prägung des Menschen,
die Astrologie
und die Abstinenz der Philosophie
Lit, dicembre-gennaio 1992-’93
pp.100, DM 29,80
Tilliette, Xavier
La settimana santa dei filosofi
Morcelliana, novembre 1992
pp.156
Una riflessione in chiave cristologica
sulle pagine di Hegel, Kierkegaard,
Pascal, Rosmini,Pareyson, etc.
Stucki, Pierre-André
L’Existentialism chrétien
a-t-il une logique?
Cerf, dicembre 1992
pp.229, F 95
Un confronto dell’esistenzialismo
cristiano, inaugurato da Kierkegaard,
con la logica, ovvero l’arte di condurre bene le proprie ragioni nella conoscenza delle cose.
Suhr, Martin
Platon
Campus, novembre 1992
pp.150, DM 17,80
Questa introduzione si propone come
avviamento sistematico ai principi
platonici. Al centro si trova il rapporto della teoria del bene con il paradigma techne platonico della conoscenza.
Tagliacozzo, Giorgio
The “arbor scientiae”
reconceived: A modern
vichian tree of knowledge
and the history of Vico’s
resurrection
Humanities Press International
dicembre 1992
pp.192, £ 31,95 - $39,95
Questo saggio sulla storia dell’insegnamento di Giambattista Vico e sulla sua opera dovrebbe interessare tutti
coloro che lavorano sul pensiero di
Giambattista Vico (1668-1744), compresi i filosofi, gli italianisti e gli
specialisti di storia intellettuale e di
letteratura comparativa.
Treml, Alfred K.
Überlebensethik. Stichworte
zur praktischen Vernunft
im Schatten der ökologischen Krise
Schöppe und Schwarzenbart
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.232, DM 38
Von Ivanka, Endre
Platonismo cristiano.
Recezione e trasformazione
del Platonismo nella Patristica
Vita e Pensiero, luglio 1992
pp. 403
All’interno di un più ampio discorso
sui rapporti tra metafisica greca e
teologia cristiana, il volume sviluppa, attraverso una serie di studi, il
tema della recezione e della trasformazione del Platonismo nella teologia cristiana.
Tripodi, Anna Maria
Fondamenti della gnoseologia
critica contemporanea
Japadre Editore, dicembre 1992
pp.125
Wailer, Hagen
Fragen zur Ethik
des “logischen Sozialismus”
Krämer, novembre 1992
pp.36, DM 18,80
Van Steenberghen, Fernand
La philosophie au XIII siècle
Institut supérieur de philosophie
dicembre 1992
pp.551, F 500
Il libro cerca di disegnare un’immagine fedele del pensiero medievale
attraverso lo studio del XIII secolo
che rappresenta le grandi sintesi dottrinali dell’ampio movimento di pensiero noto sotto il nome di scolastica.
Wallner, Fritz
Wissenschaft in Reflexion
Braumüller, novembre 1992
pp.100, DM 26
Veauthier, W. Fr. (a cura di)
Martin Heidegger.
Denker der Post-Metaphysik.
Symposium aus Anlaß
seines 100. Geburtstages
C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93
pp.136, DM 29
Vico, Giambattista
Autobiografia
a cura di F. Nicolini
Il Mulino, giugno 1992
pp.358
Taminiaux, Jacques
La Fille de Thrace
et le penseur professionnel:
Arendt et Heidegger
Payot, dicembre 1992
pp.248, F 180
Professore al Centro di studi fenomenologici (Louvain) e traduttore di
Hegel, l’autore esamina, al di là degli
aneddoti e delle voci, il rapporto di
Hannah Arendt con Heidegger come
una relazione intellettuale decisiva
per le scelte filosofiche del nostro
tempo.
Virgoulay, René
L’Action, de Maurice Blondel,
1883: relcture pour un centenaire
Beauchesne, novembre 1992
pp.152, F 160
Una rilettura della tesi di Maurice
Blondel invita a tornare al testo stesso, senza tuttavia dimenticare la storia del pensiero da un secolo a questa
parte.
Teichert, Dieter
Immanuel Kant:
Vischer, Wolfgang
Probleme der Umweltethik.
80
Vollmer, Gerhard
Gelöste, ungelöste
und unlösbare Probleme.
Zu den Bedingungen
wissenschaftlichen Fortschritts
Vandenhoeck & Ruprecht
dicembre-gennaio 1992-’93
pp.32, DM 12
Wieland, Renate
Schein, Kritik, Utopie.
Zu Goethe und Hegel
Edition Text + Kritik, nov. 1992
pp.264, DM 54
Il saggio mette a confronto un’opera
di poesia, Faust II, con una della
filosofia hegeliana, La fenomenologia dello spirito. Il confronto si avvale di rari commenti filosofici alle opere poetiche.
Wolf, Jean-Claude
John Stuart Mills Utilitarismus.
Ein kritischer Kommentar
Karl Alber, novembre 1992
pp.270, DM 67
Il libro, chiaro e per niente pretenzioso nella forma e trasparente nell’esposizione del pensiero, propone un’immagine differente delle pretese, della
metodologia e della portata dell’utilitarismo in generale e dell’approccio
di J.S. Mill in particolare.
Young, Michael J. (a cura di)
Immanuel Kant:
Lectures on logic
Cambridge UP, dicembre 1992
pp.720, £ 55 - $ 85
Il volume contiene tre lezioni trascritte di Kant sulla logica precedentemente non tradotte; include anche
una recente traduzione della “Jasche
Logic” (1800). Questi testi insieme
dimostrano l’evoluzione kantiana