INFORMAZIONE FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. gruppo IV/70. Prezzo: L. 10.000 Copie arretrate L. 15.000 Abbonamento annuale (5 numeri): L. 45000 studenti L. 35000 estero (Europa) L. 66000 (Paesi extraeuropei) L.156000 Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s.r.l. 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Giovanni (Milano) STAMPA Stabilimento Grafico Morreale, Via Bezzecca 5, 20135 Milano. DISTRIBUZIONE Joo Distribuzione Via G. Alessi 2, 20133 Milano * Nel numero 10 è stato inavvertitamente omesso tra i collaboratori il nome di Manuela Viezzer 11 Gentili lettori, Le pagine di apertura di questo numero sono dedicate al ricordo di Italo Mancini, recentemente scomparso. A rievocarne lo spirito di lavoro filosofico, la fede religiosa, l’impegno sociale del cristiano e la speranza del progressista nel futuro dell’uomo, sono in primo luogo gli allievi, i colleghi di Università, i compagni di fede; ma al di là di questi non è difficile percepire la presenza di un pubblico più ampio, innumerevole, di uditori, di testimoni della sua parola: tra questi gli studenti, innanzitutto; e poi i fedeli del Duomo di Urbino, fino a molti degli abitanti di questa sua città, testimoni occasionali, ma non per questo meno consapevoli, dell’esempio che egli incarnava di cultura e vita cristiana. Il confronto del Cristianesimo con le “culture”, con i grandi movimenti e le lotte dei popoli che si pongono ai confini della teologia, era il fulcro del suo lavoro storico-filosofico, che trovava nella teologia protestante del ‘900 e nelle grandi ideologie laiche della liberazione due congeniali direzioni di ricerca. A ciò faceva riscontro una “passione religiosa” che individuava il suo oggetto “sacro” in un “apriori kerygmatico”, quale essenza e destino di ogni uomo nel mondo, e con questo si spingeva oltre la necessità di distinguere tra metodo storico-critico e dottrina dell’ispirazione, come anche si sottraeva al principio di secolarizzazione. Da qui prendeva corpo il confronto di Mancini con il marxismo, o meglio con quanto la concezione marxiana, che egli definiva «una sfida per il credente», presentava di «alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato dalla religione stessa». Anche se certo non si trattava di identificare la soluzione marxista con quella cristiana, pure occorreva riconoscere che «i problemi della religione sono i problemi reali della dialettica umana» e che in entrambi casi si tratta di «liberare l’uomo da una caduta [...] attraverso una forma di riconciliazione», con la mediazione di Cristo, in un caso, del proletariato nell’altro. A questo punto, il rivolgersi della propria meditazione filosofica dell’ultimo decennio ai problemi concreti della cultura e della società era per Mancini la naturale risposta alla sua passione per la prassi, per il mondo terreno, per la “città dell’uomo”». Se teologico rimaneva il senso di questa nuova proiezione della «dimora umana, sociale e giuridica» sul «mondo dell’ “alto”», il campo di pensiero in cui veniva ora esprimendosi questa «doppia fedeltà» a Dio e al mondo era la filosofia del diritto, in cui l’oggetto, «le enormi masse di vita giuridica», è offerto dalla storia e il metodo, quale «bisogno della ragione», è quello ermeneutico. Con questo, si trattava innanzitutto per Mancini di sfuggire alla «logica della disgregazione» del negativismo giuridico, recuperando al mondo del diritto il mondo della vita morale, che solo poteva «dare al futuro una organizzazione politica concreta». In questo ottimistico richiamo al futuro, umano e cristiano, si concentra, potremmo dire, il “lascito spirituale” di Italo Mancini, che vorremmo qui raccogliere, in forma di ultimo saluto, attraverso le sue stesse parole, riportando due brani tratti da Cristianesimo e culture (Lecce, 1984): «[…] il mio travaglio filosofico e culturale ha cercato in ogni modo di comporre le irriducibili opposizioni. In maniera molto sintetica, direi che questa dualità si è imperniata soprattutto in una insonne, doppia fedeltà: fedeltà al mondo, alla terra, ai suoi valori, alla sua cultura; e fedeltà alla teologia, al mondo e alla signoria di Dio, ai valori e alle forme teologiche, a un fare di Dio, insomma, che si accompagni al fare dell’uomo.» «[…] Quanto a me, se potranno essere vissuti, gli anni Ottanta vorrebbero accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di quanto finora ho pensato. L’animo è quello della spedizione verso le terre del non-ancora, utopia, speranza, futuro. Anzi proprio ora, in vista del nuovo slancio, appare come tutta la ricerca era e possa venir concentrata nel tema che potrebbe essere detto organizzazione del futuro (enfatizzo pertanto l’attenzione a Bloch, già lungamente studiato), chiarendo che questa attenzione al futuro, umano e cristiano, deve avere due articolazioni: una più propriamente speculatativa come futuro del senso e discernimento di gesti coerenti con la impostazione aperta e progressista della mia vita (sono stato chiamato, con amore o con disprezzo, prete rosso), e la cosa non è né ovvia né facile. Oggi ogni segno e ogni schieramento sembra essere ambiguo, avere due valenze, di progresso e di regresso; oggi che è scomparso il concetto di epoca nuova, e l’orizzonte sembra spento, sì che non è facile organizzare fronti di lotta e battaglie per i significati. Ma al pessimismo della ragione voglio che corrisponda un ottimismo della volontà. Eredità kantiana nello iato delle due Critiche, ma che permette ugualmente un potente ethos. Quel valore della qualità che Bonhoeffer opponeva alla “stupidità” del seriale e del generico e del “sì”.» SOMMARIO 5 PROFILO 43 Arte oratoria Ricordo di Italo Mancini 43 Petrarca e la medicina 44 Gassendi fra epicureismo e cristianesimo CONFERENZA 16 Il problema di una macroetica universalistica 44 Carteggio Freud-Binswanger 46 Althusser: diario di prigionia della co-responsabilità 46 Heidegger e il sofista AUTORI E IDEE 47 NOTIZIARIO 25 Habermas: fatticità e validità del diritto 25 Hans Jonas: gnosi, nichilismo e libertà CONVEGNI E SEMINARI 26 Etica integrativa: tra arte del vivere e filosofia 49 Filosofie contemporanee 27 Realtà e democrazia del sapere 51 L’epoca classica della scienza greca 28 Gioco e giochi 52 La persona e le sue immagini 29 La natura del linguaggio 52 Scienza e metafisica moderna 30 Coscienza e linguaggio 54 Attualità di Ugo Spirito 30 Storia del paradiso: Jean Delumeau 54 Collegio di sociologia 30 Biologia: scienza e immaginario 55 Seminario filosofico permanente 31 Il rompicapo del tempo 56 Omaggio a Jean-Pierre Vernant 31 La memoria, l’oblio e l’immagine cinematografica 56 Il filosofo e la schiavitù 58 Il diritto e i suoi luoghi TENDENZE E DIBATTITI 33 Oltre l’Europa, oltre la tolleranza 58 Deleuze e la differenza 61 Wilhelm von Humboldt e le lingue d’America 34 Morali in saldo nella crisi dei valori 35 Il materialismo dei Lumi 62 CALENDARIO 35 Enciclopedia delle opere filosofiche 38 I filosofi e gli animali 64 DIDATTICA 39 Filosofia dell’arte ed esperienza estetica 64 Insegnare filosofia per unità didattiche 66 Convegni PROSPETTIVE DI RICERCA 41 Scritti kantiani di Jacobi 67 RASSEGNA DELLE RIVISTE 41 Il vangelo kantiano 42 La logica di Leibniz 42 Baruch Spinoza: un’attualità perenne 70 NOVITA’ IN LIBRERIA PROFILO Italo Mancini (foto di Ennia Temellini) 4 PROFILO Non avrei mai creduto, anzi riconoscenza va soprattutto per quello che don Italo ci ha non avrei mai potuto imma- fatto conoscere di autori che noi ignoravamo; e penso a ginare, che io vecchio, così Bonhoeffer, penso a tutti gli studi che ha fatto sul protevecchio, un giorno avrei do- stantesimo, sulla teologia protestante, dimostrando in vuto salutare e ricordare don questo una fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano. di Carlo Bo Italo, il professor Mancini, Poi naturalmente c’è un ringraziamento che comprende Testo deregistrato del discorso in questo Duomo che lo ha tutto questo, è il ringraziamento di un cattolico impari al di saluto di Carlo Bo a Italo Mancini, pronunziato nel Duomo di Urbino visto per tanti anni anima- suo dovere personale. il giorno della celebrazione dei funerali, tore e suggeritore e comu- Uomini come don Italo sono un monito, sono un esemil 10 gennaio 1993. Il testo non è stato rivisto dall’autore. nicatore di ragioni spiritua- pio; sono uomini che portano qualche cosa che ci aiuta nei li. disagi, nei dolori della vita quotidiana. Si poteva essere Il mio saluto è un semplice ringraziamento, un ringrazia- sicuri che nei momenti di bisogno don Italo fosse accanto mento per tre ragioni. La prima è il ringraziamento del a noi. E ora, che sta dall’altra parte, ora che gode del rettore che lo ha visto arrivare nel lontano 1960, portato grande miracolo, secondo padre Pouget, vale a dire la alla cattedra dalla voce di un grande amico e suo mestro, grazia che il morto ha di conoscere la verità...Ora tu che Gustavo Bontadini. Ma don Italo non era soltanto un sei molto più vicino di noi alla verità, non abbandonarci, professore; non lesinava le sue ore, non si limitava a fare non dimenticarci, aiuta la tua chiesa, il tuo Duomo, aiuta il suo dovere: in tanti anni di amicizia e di colleganza, da l’Università, la tua Università che si onorava del tuo insegnamento; e aiuta tutti lui ho imparato che per esi giovani, e anche quelli sere un vero maestro e un che giovani non sono più. vero professore bisogna Addio! fare un discorso quotidiano con i propri allievi. E quanti lo hanno conosciuto sanDon Italo Mancini no benissimo che don Italo e la teologia è stato da questo punto di del Novecento vista un mestro ammirevole e, aldilà delle ore di ledi Mario Miegge zione, esattamente come faceva Bontadini, passeggiando nel Caffè, nell’IstiIntervengono: tuto, prolungava il suo inCarlo Bo, Piergiorgio Grassi, segnamento e lo faceva in Tommaso La Rocca, modo così diretto, persuaMario Miegge, Giovanni Moretto, sivo; qualche cosa di queDieci anni or sono, nel corGraziano Ripanti, sto insegnamento si poteva so di un lungo colloquio Francesco Saverio Festa. ricavare anche dalle predipubblicato sotto il titolo: che di mezzogiorno, alla Cristianesimo e culture a cura di Messa, e anche qui don Ita(Lecce 1984), Leo Lestingi Tommaso La Rocca e Riccardo Ruschi lo aveva fatto di un rito domandava a Italo Manciqualche cosa di più vicino ni: «Qual è il tratto specifial cuore, una testimonianza: le sue prediche, a volte così co della tua ricerca storica e speculativa perseguita in rigonfie di cultura, alla fine avevano sempre una soluzio- questo trentennio?». «Senza dubbio - risponde Mancini ne che si avvicinava a quella del Vangelo. il confronto del Cristianesimo con le culture e con le zone Lo ricordo poi come vice-presidente dell’Ersu (Ente di frontiera che stanno intorno ai territori della salvezza Regionale per il Diritto allo Studio Universitario), dove teologica» (ibid., p. 17). Il filosofo che crede nell’annunper anni don Italo è stato il motore principale; è stato la zio di salvezza (kerygma) ha il compito di «chiedersi non guida. Su una cosa, però, egli non era disposto a transige- solo quale e quanta filosofia sopporta, ma quale grado di re, a venire a patti nella difesa degli studenti. Anche nei efficacia esso possiede nei confronti delle grandi lotte momenti più ardui della contestazione, don Italo si schie- che le comunità nel mondo portano avanti, ossia che rava immediatamente dalla parte degli studenti e rendeva rapporti istituisce non solo con la ragione, ma anche con la cosa difficile a chi invece si limitava a seguire le la storia, non solo con l’essere ma anche con gli sviluppi disposizioni di legge. Ma poi, ripensando a questo suo politici e sociali» (ibid., p. 29). atteggiamento, a questa sua guerra, a questa sua guerra Questa intervista, e un’altra più breve, ma altrettanto dichiarata, senza lenocini, senza distorte pietà, si capiva limpida, condotta tre anni dopo da Pier Giorgio Grassi che lui stava da una parte che era la parte più alta del (Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea Vangelo, vale a dire cercava di capire, di comprendere, in “il nuovo Leopardi”, n. 35, 1992), offrono una traccia prima ancora che perdonare. essenziale per la comprensione del lavoro ingente che, E infine il terzo ringraziamento è il ringraziamento di un nel corso del tempo, si è sviluppato su livelli diversi, a semplice lettore, di uno che ne ha seguito per tanti anni il partire dai temi ontologici degli anni ’50 all’Università lavoro, tutta una serie di grandi pubblicazioni; e qui la Cattolica di Milano fino ai libri più recenti, collegati Don Italo, un maestro dalla parte degli studenti Ricordo di Italo Mancini 5 PROFILO teologico?», Mancini risponde: «[...] di fronte agli sfinimenti della teologia dell’Ottocento, o ghettizzata in forme di ortodossia chiusa e ripetitiva, o ridotta ai valori morali, psicologici e umanitari, come nel caso della cosiddetta teologia liberale, il cui esponente più rappresentativo è Adolf von Harnack; di fronte a questi sfinimenti, dicevo, il Novecento ha prodotto un’ansia e una discussione teologica straordinarie» (Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea, cit., p. 5). Subito dopo, Mancini indica alcune tappe di questa vicenda. La prima è «quella che fu impropriamente chiamata teologia dialettica, il cui vertice è rappresentato dall’opera di Karl Barth». In pieno contrasto con il “cristianesimo borghese”, viene restituita alla teologia la sua autonomia: essa non dipende dalla morale, ma dalla dirompente Parola di Dio (il kerygma). Qui dunque la “fede” si contrappone alla “religione”. Dopo la seconda guerra mondiale, «come reazione a un’eccessiva concentrazione teologica, si è sentito il bisogno di mettere in risalto i valori politici della teologia, i possibili riferimenti alla società civile, il contributo all’alleggerimento della terra, com’ebbe a scrivere Ernst Bloch». In questa seconda tappa i confini confessionali e geografico-culturali vengono oltrepassati, sia nella “teologia politica” elaborata dal cattolico J. B. Metz e dai protestanti Pannenberg e Moltmann, sia, ancor più, nelle teologie sudamericane e africane della liberazione. La terza tappa è rappresentata dal Concilio Vaticano II (ibid., p. 32 sgg.). La quarta concerne gli interrogativi degli anni ’80, in una nuova e minacciosa crisi della cultura occidentale, nella quale risorge anche il rischio dell’integralismo religioso (su questo si veda: Cristianesimo e culture, cit., p. 42 sgg.; Con quale cristianesimo, Roma 1978). all’insegnamento della filosofia del diritto nell’Università di Urbino. La forma stessa dell’intervista dà rilievo ai principi che hanno costantemente orientato la scrittura e l’agire personale di Italo Mancini. Infatti, un pensiero che si muove sulle “frontiere” è necessariamente fatto di dialoghi. Il dialogo, inoltre, non è impersonale: coinvolge gli attori e spinge al chiarimento autobiografico. Ma, per Mancini, ripercorrere i tempi della propria vicenda intellettuale non è affatto un ripiegamento sull’ego. E’ invece l’attestazione di legami e impegni dentro comunità reali: una terra urbinate, dove egli è cresciuto e presto ritorna, solcata dal lavoro contadino e dalle lotte per la giustizia e per la libertà; un Chiesa che, negli anni ’60, attraversa gli eventi cruciali del Concilio; una Università in cui gli studenti, negli anni ’70, si ribellano ai ruoli imposti e divengono soggetti politici e interlocutori impegnativi. In questo contesto, ecclesiale e civile, si producono i due movimenti di apertura: ad intra, verso la teologia protestante del nostro secolo; ad extra, verso le grandi ideologie laiche della liberazione (Cristianesimo e culture, cit., p. 31). In un caso come nell’altro Mancini non opera soltanto un “confronto”: dà pieno spazio agli interlocutori, li interroga e si lascia da loro interrogare. Riguardo alla prima apertura (ad intra, cioè sul terreno ecumenico della teologia), va detto innanzitutto che, tra il 1969 e il 1977, Mancini ha dato un contributo decisivo alla diffusione e conoscenza degli autori e delle opere. Negli anni del Concilio il pubblico italiano aveva a disposizione soltanto il fondamentale Commento di Karl Barth alla Epistola ai Romani (tradotto e presentato da Giovanni Miegge e pubblicato da un editore laico, Feltrinelli, nel 1962). Nel 1969 vengono edite (presso Bompiani) le traduzioni di Resistenza e resa e dell’Etica di Dietrich Bonhoeffer e una antologia della Dogmatica ecclesiale di Barth (Il Mulino), tutte precedute dalle introduzioni di Mancini. Nello stesso anno egli pubblica (presso Vallecchi) la monografia su Bonhoeffer, che è, a parere di molti, il suo capolavoro. Nel 1970 scrive il saggio introduttivo a Nuovo Testamento e mitologia (Queriniana), che raccoglie alcuni testi della controversia aperta da Rudolf Bultmann e sviluppata nei volumi di Kerygma und Mythos, negli anni ’40; nel 1972 presenta la traduzione italiana del Gesù (1926) dello stesso Bultmann e di Communio Sanctorum di Bonhoeffer (Morcelliana) e infine, nel 1977, scriverà un’ampia introduzione a La teologia protestante nel secolo XIX di Karl Barth (Jaka Book, 1979). Tutti questi lavori convergono nella grande sintesi di Novecento teologico (Vallecchi, 1977). Il dialogo di Mancini con la teologia protestante non si limita alla acquisizione della “prima tappa”, della polemica barthiana con il cristianesimo borghese. Quel dialogo segna tutto l’insieme di un quadro, che non ha per oggetto una semplice periodizzazione, ma configura una serie di problemi, tuttora aperti. Infatti Novecento teologico termina intenzionalmente con il capitolo sul “socialismo religioso svizzero”. Dal punto di vista cronologico questa parte dovrebbe precedere la presentazione dei tre teologi maggiori. Ma l’ordine dell’esposizione corrisponde alla ricerca dei nessi tra teoria e prassi. Karl Barth è, e rimane, il protagonista della svolta teologica del ‘900. Ma questa, per essere pienamente compresa e proiettata nei compiti odierni, va ricollocata nel suo ambiente iniziale, nel quale sono già poste le questioni della pólis. Va altresì sottolineato il fatto che, tra il 1900 e il 1920, questi pastori riformati svizzeri (Kutter e Ragaz, il giovane Barth nel borgo operaio di Safenwil, e il suo amico Thurneysen) si muovono con piena laicità; collaborano con le organizzazioni sindacali e politiche di sinistra e si oppongono con intransigenza a coloro che (come il tedesco Friedrich Naumann) vogliono invece costituire raggruppamenti e partiti di ispirazione cristiana in concorrenza con il socialismo (Novecento teologico, cit., p. 416 sgg.). Sicuramente il Commento alla Lettera ai Romani (che, Come si spiega il fatto che Italo Mancini, sacerdote cattolico, ancorato alla tradizione patristica (Agostino) e scolastica (Tommaso d’Aquino) e spesso vicino allo spirito del giansenista Pascal, abbia identificato il “Novecento teologico” in una sequenza di attori principali (Barth, Bultmann e Bonhoeffer) e secondari (i “socialisti cristiani” svizzeri, Hermann Kutter e Leonhard Ragaz, e il filosofo Paul Tillich), che sono tutti protestanti? Nell’intervista del 1986, alla domanda di Pier Giorgio Grassi, «Qual è il carattere del ‘900 dal punto di vista 6 PROFILO Ho parlato di Italo Mancini come se fosse qui con noi: così lo sento. Ma sarà duro riprendere la strada di Urbino, sapendo che non ci verrà incontro la sua figura alta e robusta, il suo sguardo diretto e amichevole ma, nello stesso tempo, rivolto, di là da noi, a un orizzonte Omaggio immenso. a Italo Mancini, filosofo «...sei stato veramente della religione magnanimo nelle cortesie che mi hai usato. Se non di Giovanni Moretto mi sono mosso in questa occasione, l’ho fatto soprattutto perché ero sicuro che un filosofo attento e rigoroso come te avrebbe apprezzato la mia fatica, al di là dei risultati e dei tanti limiti che simili lavori comportano. Ho cercato di far luce sul mio essere credente con gli strumenti più congeniali della mia ricerca di studioso. La paura che fosse solo biografia, anche se per la mia sicurezza poteva bastare, mi viene ora fugata dal tuo messaggio, che, al di là dell’importante prova, tocca la realtà e la cosa del discorso stesso. Dopo la passione per queste cose, di cui hai dato una prova memorabile or fa un anno a l’Aquila, e che rivelava una capacità di espressione e di ascolto di natura fecondamente profetica, pur nel rigore di contesti lucidi, ai quali - come quello kantiano - mi vado avvicinando io pure, tu puoi essere ritenuto il nostro punto di riferimento come filosofo della religione, anche quando il modo di procedere segue ascendenze culturali non sempre identiche. Tutto questo ti può dire quanto mi conforta il tuo consenso, non solo per l’impegno, ma anche per il risultato. Penso che la ricerca ulteriore, Persona Dei, che lo stato attuale delle mie ricerche esige, mi avvicineranno ancor di più non solo al tuo mondo, ma anche alle tue convinzioni teoretiche. Il profondo, onestamente gestito, può mettere a contatto anche quanto apparentemente diverge. Sono stato in questi ultimi mesi quasi costretto ad uno svuotamento di fronte alla fascinatio nugacitatis per una lunga malattia di mia madre, conclusasi con la sua morte, mentre la vita era ancora in fiore. Allo stordimento iniziale per la perdita di colei cui debbo tanta parte della mia serenità di studioso e della freschezza ancora intatta della mia vita sacerdotale, è subentrato ora un sentimento, più sottile e doloroso, che fa di questo fatto un’interrogazione cruciale ed essenzializzante. Come vedi, il tuo consenso mi è giunto in un momento particolarmente adatto alla integrazione e al riconoscermi negli altri...». Così Italo Mancini scriveva il 17 aprile 1974 ad Alberto Caracciolo per ringraziarlo del giudizio che, in qualità di presidente della commissione di ordinariato, aveva formulato nei confronti della sua attività di studioso. E’ da queste parole che qui, nell’intento di rendere omaggio alla persona e all’opera di Italo Mancini, vorrei prendere l’avvio non senza un segreto rimorso per non essermi rivolto a lui con altrettanta gratitudine e nobiltà di sentimenti, allorché un decennio più tardi lo ebbi, a mia volta, giudice del mio ordinariato. Esse ci offrono infatti un felice autoritratto spirituale soffuso della Stimmung in- nella seconda edizione del 1922, dà l’avvio alla “teologia della crisi”) registra il fallimento della socialdemocrazia europea di fronte alla guerra mondiale, ed elabora l’autocritica del “socialista cristiano” Barth, la rinunzia a dar nuovamente legittimazione religiosa a valori umani, siano essi borghesi o anti-borghesi. Il problema che si apre nella svolta barthiana è allora quello della distanza incolmabile tra fede e “mondo”, tra teologia e cultura. E’ vero che Barth (come Mancini sottolinea continuamente) non si è mai sottratto all’impegno politico. Proprio nel momento in cui appare pienamente inserito nell’accademia teologica tedesca e inizia a comporre la sua Dogmatica, egli diventa uno dei principali oppositori del nazismo e, dopo il ritorno in Svizzera, un organizzatore della resistenza. E nel secondo dopoguerra continua a prendere posizione, nel conflitto tra Occidente e Oriente, in forma del tutto anti-conformista. Ma se, nella vita di Barth, la concentrazione sulla teologia “kerygmatica” si associa alla testimonianza politica, per un altro verso essa lascia al margine il confronto con la cultura contemporanea. E qui entra in campo «l’altro grande della teologia del Novecento», Rudolf Bultmann. Nell’itinerario personale di Mancini il rapporto con Bultmann non ha quel carattere di diretta ispirazione e intensa affinità, che anima e rende continuo il colloquio con Barth e Bonhoeffer. Egli sottolinea tuttavia che «la caratteristica fondamentale della teologia di Bultmann è la decisione per il Cristo». Da questo punto di vista la proposta bultmanniana della demitizzazione «non significa toglimento del mito, ma interpretazione autentica del mito» (Sulla teologia contemporanea, cit., p. 20-21). Ma è anche vero che, nel suo tentativo di riesprimere il kerygma nel linguaggio, non più mitologico, dell’uomo moderno, Bultmann restringe poi quel linguaggio nei termini dell’analitica esistenziale di Heidegger. In tal modo il paradosso dell’annunzio tende a risolversi in una forma di «comprensione di noi stessi» (Selbstverständnis), sulla quale «incombe la solitudine dell’antropocentrismo esistenziale» (Novecento teologico, cit., p. 309). In tal modo Bultmann non riesce a far convivere l’autonomia della fede e della teologia con quella di un «mondo divenuto adulto», che è invece il problema e il tema centrale di Bonhoeffer. Bonhoeffer è dunque ancora il compagno nell’ultima tappa teologica di un secolo al tramonto. La caduta delle grandi ideologie laiche della liberazione apre il campo alla «insignificanza dei valori fondamentali» e persino alla perdita di significato delle “rotture”. Ma qui non ci si può illudere di ricostruire, a guisa di sostituzione, le «cittadelle dell’ortodossia, ma anche dell’incomunicabilità umana». La via che rimane aperta è invece quella di una «teologia dei doppi pensieri», che trova appoggio anche nei testi di Dostoevskji. Dal momento che «non possediamo trasparenza di pensiero al punto da non essere dominati da pensieri antagonisti», allora, «in campo teologico, dobbiamo realizzare una ricerca del senso attraverso frammenti, attraverso tracce e oscurità, attraverso balenamenti» (Sulla teologia contemporanea, cit., p. 39 sgg.). 7 PROFILO confondibile che ha caratterizzato l’esistenza e l’opera verrebbe da pensare che, appena arrivato nell’aldilà, scientifica del filosofo di Urbino. In esse inoltre viene Mancini sia andato alla ricerca dello schivo, umbratile abbozzata una Selbstinterpretation al limite della confes- Caracciolo per discutere chi dei due avesse ragione. sione, accennante a quello che la filosofia della religione Alla critica non evasiva spetta il compito di mettere a di Mancini riconosce, con riconoscimento scaturente ex confronto e discutere le due prospettive. A me qui invece rebus ipsis, come il proprio ineludibile termine di con- è riservato il compito di rendere omaggio a Italo Mancini, fronto critico, cioè l’opera del filosofo genovese scom- filosofo della religione, compito che non saprei assolvere parso due anni fa. Entrambi severi assertori della filoso- meglio che tentando per accenni o, forse meglio, prospetficità della filosofia della religione, disciplina che come tando la possibilità di una lettura della sua opera alla luce nessun altro, proprio dalla diversità della loro posizione della Liberatität, che è il nome religioso dell’universalità e ispirazione, hanno contribuito ad illustrare e ad elevare filosofica e che lo stesso Barth, nell’atto di rivendicarla a a dignità scientifica, Caracciolo e Mancini si sono trovati sé («Io stesso sono un liberale e forse persino più liberale a lavorare, per scelta non di quanti in questo campo solo scientifica, ma anche (teologico-religioso) si proesistenziale (non a caso fessano liberali»), ha definella lettera citata Mancini nito come «un parlare e parla di “biografia”), su pensare in responsabilità e fronti decisamente opposti. apertura verso il futuro». In Mentre il primo, non adeeffetti, a rievocarla in una rente a una particolare consimile ottica, la passione fessione religiosa, si colloreligiosa, dai tratti a volte cava nella tradizione di penprofetico-oracolari, che casiero che ha in Schleiermaratterizza il discorso filocher il suo rappresentante sofico-religioso manciniaideale e fissava la sostanza no - e che, in fondo, finisce del proprio discorso filosoper rendere precaria la sua fico-religioso in espressiostessa distinzione tra filoni come «la religione come sofia religiosa e filosofia struttura e come modo audella religione - si rivela tonomo della coscienza», portatrice di una parola, di «spazio di Dio», «a priori, un messaggio talmente unitrascendentale religioso», versale che nulla teme più «conscientia hominis ut lodell’abbraccio soffocante cus revelationis», «Liberadel confessionalismo e del lität ed ecumenismo», fideismo. L’Oggetto im«Nulla religioso e imperamenso di cui essa parla, e tivo dell’eterno», il seconche a ragione discrimina etido, dichiaratamente credencamente dal Sacro, non è te e sacerdote cattolico, mai realtà con cui hanno a che dimentico della lezione di fare soltanto le religioni Karl Barth - l’antipode di depositarie di una rivelaSchleiermacher - cui ha zione storica, poiché esso è pagato il proprio tributo presente nella coscienza di «con la gioia di una rinnoogni uomo che venga in vata scoperta», per avere Dietrich Bonhoeffer (a sinistra) con un ufficiale questo mondo e che non a da lui appreso a «ridurre la caso le stesse teologie conitaliano religione a kerygma, inteso fessionali, quando si prein senso sovrano, eteronomo e aprioristicamente divino», occupino più della “salvezza universale” che dell’assolunon si stancava mai di fissare i cardini del proprio tezza del proprio Credo, sono costrette a definire “uditore progetto, per il quale non disdegnava neppure la qualifica della parola”. Proprio perché ogni uomo è costituito da un di “neoapologetico”, nelle espressioni «Oggetto immen- apriori kerygmatico, che ne caratterizza l’essenza e il so», «Divinità di Dio», «a priori divino», «essenza stori- destino, la filosofia della religione liberale, la cui ermecamente kerygmatica della religione», «grandi masse di neutica non è costretta a scegliere tra metodo storicovita religiosa». Anche se sarebbe indice di rozzezza critico e dottrina dell’ispirazione, né a votarsi a razionamentale voler continuare - come pure si vuole, non si sa listici esercizi di demitizzazione e secolarizzazione, può se più per ignoranza o per mala fede - a definire le due alla fine rendere giustizia all’intenzionalità più vera del impostazioni filosofico-religiose con le etichette di an- pensare di Italo Mancini, riaffermando un proprio qualitropocentrismo e teocentrismo, immanenza e trascen- ficante convincimento: le “parole eterne “ del cristianedenza, soggettivismo e oggettivismo, resta il fatto che è simo - ma anche quelle di ogni altra religione, non meno difficile immaginare una contrapposizione più radicale, di quelle dei poeti - sopportano il massimo di filosofia. tanto che, per riprendere un mot d’esprit barthiano, Certamente dalla parola accolta nel libero ascolto religio8 PROFILO pensato, ha voluto le stesse cose, anche se ne ha dato una soluzione diversa e capovolta, facendo perno, cioè, solo sull’uomo e radicalmente ripudiando anche la mediazione dello stato, perché non si riproducesse la figura del mediatore. Se Karl Löwith ha potuto ipotizzare una suggestione cristologica per il superuomo di Nietzsche, si può proprio dire fuori strada chi pensa all’uomo di Marx non in termini prometeici e neppure titanici, ma come portatore della stessa logica del servo di Jahvé? E come leggere, allora, il brano finale della Introduzione alla hegeliana Filosofia del Diritto, dove si parla del propletariato come di un ceto che, per i suoi patimenti universali, possiede un carattere universale, quindi capace, nell’emancipare se stesso, di emancipare tutte le sfere della società? Non è molto di più di un proletariato così concepito, di un coefficente della lotta di classe, visto che la sua missione non è quella di essere parte, ma di liberare il tutto? Di questo Marx ci si può liberare solo come ha fatto Althusser, che ha posto nel 1845 una svolta epistemologica, e ha consegnato ad leones tutta la parte precedente. Eppure, il 1843 è Marx come è Marx il 1845. Non è buona lettura dei testi quella che li sopprime, come non è buona avvocatura quella che, come osserva Marx nella tesi di dottorato, per difendere il cliente, lo annienta, lo sopprime. Meglio raccogliere l’invito di Bloch a tener conto dei contesti, che sono più seri e ricchi di quanto le singole espressioni non lascino intendere. […] Questa è la mia tesi, la quale non identifica la soluzione marxista con la soluzione cristiana, anche se, a livello di singole dottrine, vedo degli spazi inediti su cui operare delle interpretazioni convergenti; ma identifica il problema nel senso che, tanto per la religione cristiana come per il principio di Marx, la questione che si tratta di risolvere è quella di liberare l’uomo da una caduta diversamente identificata, liberarlo attraverso una forma di riconciliazione, che nel cristianesimo si attua attraverso la mediazione di Cristo e nel marxismo si attua attraverso la mediazione del proletariato. Proletariato che, come indicano le ultime righe della Introduzione alla Filosofia del diritto pubblico di Hegel, ha i caratteri della messianicità, di un messianismo laico, in quanto la somma dei suoi dolori, la totale alienazione nei confronti di tutti i contesti della società civile, lo pongono come l’artefice della liberazione e sua e dell’intera società civile ad un tempo. Era questo il motivo che mi portava a dire che la cultura marxista, anche nei confronti della religione, è una cultura “forte”, perché in fondo, si tratta di dire: riconosco, in prima battuta, che i problemi della religione sono i problemi reali della dialetytica umana: alienazione, caduta, distretta e liberazione, redenzione, riconciliazione; solo che, mentre la soluzione cristiana (e questo è il discorso in seconda battuta) è di natura mistica, teologica, trascendente o soprattutto un oppio, inefficace, vediamo se lo possiamo, questo traguardo, raggiungere unicamente attraverso le forze so l’uomo attinge luce e forza per l’agire etico - resta però giustificato anche il moto inverso: al limite dell’etico, dopo che abbia esperite tutte le vie di liberazione umanamente possibili, all’uomo, di fronte al male che intacca le stesse strutture dell’essere, non rimane che l’invocazione religiosa nella pluralità delle sue figure. E’ comunque dell’invocazione in Kant - il filosofo decisivo per entrambi - che Caracciolo e Mancini si sono trovati a discutere nel 1967, a uno dei celebri Colloqui romani sulla demitizzazione, in quello che pare sia stato il loro primo incontro. Sull’invocazione religiosa Italo Mancini doveva tornare a meditare in uno dei suoi ultimi saggi, che qualcuno ha già collocato tra le sue pagine più intense e belle. Quel saggio è apparso originariamente nel volume collettaneo Preghiera e filosofia - dedicato alla memoria di Alberto Caracciolo - e a me, cui resta il vanto di averlo provocato, pare che esso debba essere considerato, per ragioni più ideali che cronologiche, il testamento più vero di Italo Mancini, filosofo della religione. Marxismo e religione: Non è facile fare una sindal giovane Marx tesi della mia posizione sui a Ernst Bloch problemi che il marxismo mi ha presentato, quali li di Italo Mancini. potrei subito indicare: il problema della continuità o di certe scissure, di certe deviazioni, lungo l’arco ormai ultracentenario del suo sviluppo, e il problema della sua posizione sostanziale di fronte alla religione. Non tanto la sua critica religiosa, quanto quello che esso presenta di alternativo, concorrenziale e sostanziale ereditato dalla religione stessa. […] Facendo uso di una formula da me usata per la teologia politica, direi che in Marx c’è una soteriologia senza cristologia, cioè, come voleva Bonhoeffer, una redenzione senza escatologismo, ossia come liberazione storica e, a differenza di Bonhoeffer, sperata autonomamente dal soggetto umano, perché, come è scritto nei Manoscritti, «la radice per l’uomo è l’uomo stesso». A differenza delle culture giacobine, quella marxista è, dal punto di vista religioso, una cultura “forte”. Essa riconosce nella religione, in prima istanza, la validità o la verità in rapporto alla dialettica umana di perdizione e di riconciliazione, ma, in seconda istanza, non le riconosce efficacia, essendo in definitiva solo “oppio”, che dà apparenza e inganno alla salute e alla speranza. Da questo punto di vista, Marx è una sfida per il credente, una sfida che si misura su un impegno comune. Facendo uso di una espressione marxiana, si può dire di lui quello che egli dice sulla religione, di essere una soluzione capovolta dell’identica cosa. In entrambi i casi si tratta di riconciliare l’uomo con se stesso, con la natura, con l’oggetto, operare il suo radicale riscatto. Per questo non mi sentirei di escluderlo, magari come abitatore eretico, dall’area ebreico-cristiana. Ha 9 PROFILO Italo Mancini: un pensiero per la convivenza umana di Graziano Ripanti storiche dell’uomo, condensate intorno alla realizzazione del comunismo. Ad una religione dell’ ”al di là” succede, come dice Korsch, una religione “dell’al di qua”. Ma sempre religione è, e sempre religione resta. (da Cristianesimo e Culture, Lecce 1984) Per chi è nato con lui nella ricerca, appassionata e severa come voleva, e con lui ha condiviso quotidianamente uno stile di vita non solo accademico, resta estremamente difficile se non addirittura angoscioso parlare della sua persona e della sua opera, quando ancora si è soggiogati dalla sua assenza prematura. Ma c’è un obbligo di riconoscimento, mai permessoci in vita di manifestare pubblicamente, cui non ci si può sottrarre ora che non c’è. Non si tratta di soppesare una generosità inestimabile, né di indicare - il breve tempo non lo consente quale sarà l’eredità più autentica e duratura del suo pensiero: si tratta solo di un atto dovuto per tutto ciò che ha profuso, ed è incalcolabile, sul piano del rapporto umano e su quello del pensiero. Se c’è una tensione costante nella sua ricerca insonne - “insonne” era il suo aggettivo privilegiato - è proKarl prio questa positività, questa volontà di vita, di costruzione, di futuro, che, soprattutto dagli anni ’80 in poi, ha sempre tentato di esprimere contro le forze disgregatrici e irrazionali e contro le varie categorie della distruzione. Questo lavoro, fatto con la solita e mirabile capacità di scrittura e di invenzione linguistica, lo ha realizzato soprattutto nell’ambito della filosofia del diritto, che caratterizza il terzo momento della sua ricerca, dopo quello dell’ontologia e della filosofia della religione, dove, crediamo, il suo Filosofia della religione (Roma 1968) resta tuttora fondamentale. Nel distinguere questi momenti si vuol solo indicare l’interesse primario, gli altri, quelli più spiccatamente teoretici, non sono abbandonati, come dimostrano i due volumi della Guida alla Critica della ragion pura (Urbino 1982 e 1988) e altri scritti. Il dedicarsi alla filosofia del diritto non traduceva tanto un bisogno di sistematicità, quanto una passione per la prassi, per il mondo della vita e della “città dell’uomo”, che, già nata dai suoi studi sul marxismo, in specie su E. Bloch, faceva del suo pensiero una meditazione concreta e attenta ai problemi vivi della cultura e della società. Questo legame con la società emerge prepotentemente nel saggio mondadoriano del 1983: Il pensiero negativo e la nuova destra, che affronta il tema della violenza e della non violenza. In risposta alle profonde tensioni, che anche allora apparivano come crudo “scialo di morte”, proponeva la “violenza ermeneutica” come violenza dei significati di contro a quella delle armi: una violenza non violenta eppure efficace, agganciata alla kantiana ragione comune, vicina alla gente e al pensiero. Queste ricerche sulla prassi, che poi assumeranno i contorni di una vera filosofia del diritto, rientrano ben dentro la sua impostazione generale, che egli stesso esprime così: «Ho lavorato un ventennio per la parola di Dio e per la teoria del cielo. Vorrei dedicare ora un po’ del mio tempo e della appassionata fatica alla città dell’uomo e alla teoria della terra. Il lettore attento si accorgerà, peraltro, che la proiezione che radica il senso rimane quella teologica. Ma c’è una differenza, e non è da poco: prima era il mondo dell’ “alto” (“totalmente altro”) che veniva proiettato su “questo mondo”, ora è viceversa: la cosa, a ben guarBarth dare, è davvero sconvolgente, per questo venire in primo piano della dimora umana, giuridica e sociale; sconvolgente, se non nei risultati, almeno nella premura» (Prefazione a Negativismo giuridico, Urbino 1981 e ripresa tale e quale nella Prefazione a Filosofia della prassi, Brescia 1987). Pur avvertita come svolta, la filosofia del diritto rappresentava l’altra polarità del suo pensiero, che ne esprimeva la fedeltà al mondo. Considerando tutto il suo lungo itinerario di ricerca, spesse volte ne affermava il senso nella “duplice fedeltà”, appunto a Dio e al mondo, o anche pascalianamente nel «far professione dei due contrari», senza possibilità di una qualsiasi mediazione dialettica. Il punto di contatto, se doveva esserci, non poteva essere se non la presenza agonica di Dio nel mondo. 10 PROFILO Di qui nasceva quella “spregiudicatezza” ermeneutica, con cui affrontava i temi della filosofia del diritto, per restituire al diritto un nuovo senso di dignità. Nella Filosofia della prassi, contro le tesi distruttive del negativismo giuridico, la rigenerazione di un senso viene perseguita nel recupero di idee-guida quali il principio femminile, preso nel suo senso categoriale, radicato nel mito di Antigone, di contro al maschilismo del diritto romano e cristiano, il concetto di natura e di diritto naturale, l’idea lockiana del diritto di resistenza e, infine, il nesso di diritto e rivoluzione. Tutte queste ricerche, e non solo queste, confluiscono nel volume L’ethos dell’Occidente (Genova 1991), dove emerge in tutte le sue drammatiche aporie il concetto di giustizia. Opera sinfonica, L’ethos dell’Occidente andrebbe letto come percorsi di pensiero (ce ne sono almeno tre) che si intersecano l’uno nell’altro e che descrivono il lungo travaglio dell’Occidente nel costruire la sua «civiltà del diritto». Qui non si può che tentare una presentazione schematica. Il primo itinerario è quello che ripercorre il dibattito sul binomio diritto e moralità, il secondo quello del concetto di giustizia quale problema centrale del diritto, il terzo del vir iustus per una possibilità di un ethos del futuro. Il primo si snoda attraverso tre momenti: la via antiqua, che elabora una visione del diritto sul concetto di natura, la seconda è la via modernorum, che lega il diritto alla volontà, al positum dell’uomo e, infine, la via perennis, pensata come orientamento, dove il fondamento del diritto è costituito dall’idea di giustizia. Su questa idea s’incentra il discorso e si compie la svolta: «La giustizia è la gloria del diritto. Questo va ascoltato come il detto dell’Occidente, il suo portento, l’anima del suo ethos» (L’ethos dell’Occidente, cit., p. 23). Ma qui è anche la vera Crux del pensiero: giustizia in che senso? Con questa domanda parte il secondo itinerario, dal pensiero pre-platonico, dove la giustizia in senso mitologico si muta nel senso ontologico, a quello di Platone e Aristotele, privilegiando questi che sa vedere la giustizia nella prassi e nel movimento piuttosto che nella stasi o nella memoria dell’origine, per giungere a quello che va dagli stoici ai nostri giorni e che è chiamato la “cultura delle tracce”. A questo punto avviene il passaggio centrale: il concetto di giustizia s’incaglia, soprattutto quando deve determinare il suum; esso mette in evidenza la precarietà del concetto, per cui occorre passare alla realtà storica: dalla giustizia all’uomo giusto: «al posto dei traballamenti dell’idea di giustizia alla vivente realtà dell’uomo giusto» (ibid., p. 444). Ma senza cadere nell’irrazionale e con una nuova domanda che acquista uno spessore più profondo: quale ethos è maxime pro nobis, capace di vincere le categorie della distruzione, l’ «impossibilità collettiva di amore», e capace di un futuro dal volto umano? E di nuovo anche qui un itinerario, che va dal nomos greco alla torah ebraica e alla iustitia cristiana. Il vir iustus, capace di aprire un futuro, prima viene tratteggiato attraverso l’analisi del libro XIX del De civitate Dei e infine precisato con Levinas nella tematica dell’altro e del volto. Non sta a noi decidere del valore di quest’opera; possia- mo solo affermarne il significato, almeno a livello intenzionale, in due contributi importanti. Il primo consiste nella coscienza di dare nuova dignità scientifica e accademica alla filosofia del diritto, che fin dagli anni ’80 gli appariva alquanto decaduta per gli attacchi del negativismo giuridico, che inseriva nel contesto più vasto del nichilismo. Questa scientificità viene fissata nello statuto, aristotelicamente inteso, di filosofia seconda, dove l’oggetto non è pensato, ma offerto e dato dalla storia, «le enormi masse di vita giuridica», per cui va solo riconosciuto. Se l’oggetto sta nell’articolazione dei temi forti del diritto, quelli stessi affrontati nelle opere, il suo metodo non può essere che quello ermeneutico. La filosofia del diritto ha formalmente lo stesso statuto della filosofia della religione. Questo intento epistemologico è presente fin dall’inizio di queste ricerche. Il saggio: La filosofia del diritto come ermeneutica (in “Hermeneutica”, 1, 1981, pp. 9-45), prende avvio dall’analisi di quella «malattia mortale» che non permette alla filosofia del diritto di «raggiungere la sua essenza» e presenta l’ermeneutica come la sua vera struttura metodologica. Non era il primo ad applicare l’ermeneutica al diritto: lo aveva già fatto, in Italia, E. Betti; ma a differenza di questi ancora legato allo storicismo diltheyano, riprendeva i momenti strutturali dell’ermeneutica elaborati da Heidegger, Gadamer e Ricoeur, quali la linguisticità del dato, la Sulla Filosofia precomprensione dottridel diritto nale, la decisione per il di Italo Mancini significato, applicandoli al mondo del diritto. di Francesco Il secondo contributo va Saverio Festa solo indicato, non spiegato: la coscienza della necessità e urgenza di queste ricerche come personale apporto di pensiero per una reale convivenza umana pacifica, cioè per una «fraternità senza terrore» da costruire con gli uomini. «Quanto a me, se potranno essere vissuti gli anni ’80, vorrei accentuare l’aspetto politico, giuridico e sociale di quanto sinora ho pensato». Questo annunciava, in un’intervista del 1983, Italo Mancini quasi a riprova che per lui non è data una «fedeltà al cielo», al senso paradossale di Dio, senza una «fedeltà alla terra». Tale “doppia fedeltà” acquista significato sin dalla tesi fondamentale del suo Filosofia della religione (Roma 1968): il punto di partenza è la Rivelazione, non la ragione, a pena di votarsi allo scacco del deismo, o di decadere in una mera “compromissione” della religione coi bisogni quotidiani dell’uomo, ossia in quelle «forme antropocentriche che giocano esclusivamente sul far dell’uomo, escludendo la radicale perturbazione di un originario Gedanke an Gott». Pensatore senza dogmi, ma rigoroso interprete del metodo ermeneutico quale indilazionabile «bisogno della ragione», Mancini, nell’evolversi del suo pensare dall’attenzione al “totalmente altro” alle infinite valenze del concreto, tenta di operare, nella prospettiva a lui cara dei “doppi pensieri”, una sorta di «strategia dei due tempi». Dapprima, barthianamente, ri-definiva l’impossibilità di 11 PROFILO ogni corrispondenza tra piano del divino e piano dell’umano, sì da spezzare alla radice ogni residuo conato di “teodicea”; poi ha tentato di sciogliere l’aporia barthiana: come può mai agire nel mondo un cristiano, gettando semi della iustitia Dei (Paolo) senza incappare nel Kurzschluss del voler, a tutti i costi, far valere l’identità di valori teologici e valori terreni, l’idolatria di voler, quasi, misurare Dio? Come rifuggire l’inautentico «inginocchiarsi davanti a tutti gli idoli», alla ricerca di un «Dio tappabuchi», come aveva scritto Bonhoeffer? Se mi è permesso dir così, Mancini ha tentato di coniugare Barth con Bonhoeffer; e dopo aver gettato le basi di una “epistemologia kerygmatica”, ha deciso, quasi a non voler restare nel vago, di “passare al setaccio” in volumi di «dimensioni jaspersiane» (Martini) tutto quello che l’Occidente ha prodotto, nel corso della storia, in forme politico-giuridiche istituzionali. Ma prima di dar vita a tal “epistemologia giuridica”, ha pensato bene di delineare le linee delle due maggiori ideologie “pratiche” del Novecento, commisurandole col suo “Novecento teologico” d’ispirazione evangelica: quella marxista da una lato, e quella del “pensiero negativo” della destra, dall’altro. Ha scritto in Filosofia della prassi (Brescia 1986): «Marx risolve non religiosamente i problemi che sono propri della religione...direi che in Marx c’è una soteriologia senza cristologia...per questo, non mi sentirei di escluderlo, magari come abitatore eretico, dell’area ebraico-cristiana...». Ma mentre Ernst il marxismo sembra porsi quasi come una «religione dell’al di qua» (Korsch), ripiena di «senso del futuro», esiste, invece, una concretizzazione novecentesca dell’«immane potenza del negativo», quasi una negazione vivente di ogni «giustizia per il creato»: è quella linea di pensiero che Mancini non esita a definire «masochismo logico o posizione masochistica da parte della logica stessa», identificante «il fine con la fine, col tramonto definitivo di quello che fu l’Occidente». Movendosi da questo volgersi da Spengler sino alla legge di una politica intesa da Carl Schmitt «come nesso essenziale ed inestinguibile di amico-nemico», Mancini ha, quindi, avviato un’analitica riflessione delle forme del “negativismo giuridico”, attraverso cui «s’incanala verso il vivere concreto l’intero ciclo del pensiero negativo». All’analisi delle quattro forme tipiche di tale «negazione dell’essenza giuridica», identificate dall’espressione classica dell’asse Hobbes-Carl Schmitt: Auctoritas, non veritas, facit legem, Mancini contrappone «quattro forme del contromovimento alternativo»: dal «principio femminile», quale categoria alternativa nel diritto, al «diritto di resistenza» ed al «diritto alla rivoluzione», forme entrambe legate «alle ragioni, alle lotte ed ai progressi» della “società civile”, che, da Hegel in poi, sola può ridar senso ad un diritto non-altro dall’ethos delle genti. Dopo un’articolazione propriamente “speculativa” come «futuro del senso», confortata dai referenti teologico-linguistico-sociologici di Teologia, Ideologia, Utopia (Brescia 1974), ora è necessario studiare come far coesistere nel mondo vita giuridica e vita morale, per sfuggire alla «logica della disgregazione» del “pensiero negativo”, con tanto scialo di morte causato dalle categorie della distruzione, partorite dall’Occidente». Solo dal recupero della radice morale del diritto si potrà tentar di «dare al futuro una organizzazione politica concreta»: un «senso del futuro»! E’ il percorso de L’ethos dell’Occidente (Genova 1991), un grande affresco delle forme della cultura occidentale, ove è viva l’esigenza della fondazione della norma e del significato dell’agire dell’uomo. Se la via antiqua era contrassegnata dall’inscindibile nesso di verità e legge, che proprio l’età moderna dilapida sul sentiero del dominio dell’Io («ha fatto dell’Io il centro di tutto»), è Bloch Carl Schmitt a leggere il classico nomos basileus non più nel senso del primato della norma, del diritto, ma in quello del primato del sovrano, cui solo spetta la decisione: il re è nomos. Pur se contro Hobbes si era venuto sviluppando un sapere quale «riserva critica che deve contrastare ed aver diffidenza di fronte al potere», nelle forme del “diritto di resistenza”, da Althusius e Locke fino a Bonhoeffer, o delle “libertà di penna” (Kant), Carl Schmitt riesce a riproporre, a coronamento del “pensiero negativo”, il primato dell’ Auctoritas in quanto il nomos non avrà più l’ampiezza dell’ethos, al cui interno «si è aperta, alla maniera d’Antigone, una voragine» fra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto secondo la legge; e intanto «le catene di Hobbes sono rese più ferree da Heidegger»: «torna la frustrazione di ogni 12 PROFILO del pensiero giuridico e morale messe ai margini e ghettizzate dalla cultura ufficiale, «crocefisse dalle ragioni dell’imperialismo culturale». Ha così recuperato il “principio femminile” come categoria alternativa del diritto, ritenuta idonea a introdurre un’ispirazione che dia spazio all’equità, alla logica del corpo e della terra, in contrapposizione a «perfettismi astratti» e «a blocchi normativi che scendono implacabili dall’alto». Un analogo recupero lo ha fatto nei confronti del diritto di natura, nella pluralità dei sensi che l’espressione ha acquisito nella riflessione di Aristotele, nella tradizione cristiana, nel moderno razionalismo, condividendo la tesi di Bloch che ha legato il diritto di natura con l’affermazione della dignità dell’uomo. Il diritto di resistenza e la dichiarazione del nesso tra diritto e rivoluzione sono, per Mancini, due altre grandi idee capaci di rigenerare il diritto. Con la prima, a partire da Locke, si è sempre sottolineata la necessità della ripresa dell’autonomia individuale e di gruppo di fronte a ordinamenti civili dispotici e totalitari. Con la seconda idea si è inteso fare i conti con le ragioni, le lotte e i progressi della società civile. L’aporia che sorge inevitabilmente quando si vuole dare senso a qualcosa che possa essere detto diritto di rivoluzione - il concetto di legalità che intende conservare l’esistente si oppone al concetto di rivoluzione che intende sovvertire per instaurarne uno nuovo - è affrontata guardando il fenomeno giuridico nella sua sostanzialità (non più dunque alla ricerca del nesso puramente formale dell’eventuale rapporto normativo fra diritto e rivoluzione) e individuando lo spazio naturale del diritto nella società civile e non più nello Stato. Il diritto raggiunge così il massimo della sua positività, assumendo in maniera spregiudicata le lotte inevitabilmente presenti nella società civile. E sempre nell’ambito del confronto con il pensiero negativo, con L’ethos dell’Occidente (Genova 1990), Mancini ha affrontato la questione della possibilità di un effettivo coesistere di vita morale e vita giuridica, contestando la dichiarazione, proveniente da più parti, che lo stesso porre la questione sia illegittimo, data l’insignificanza di rotture, come quelle che contrappongono bene e male, natura e contro-natura, bello e brutto; rotture che sono state per secoli l’anima della cultura occidentale. Nell’indagare quale e quanta moralità comporti e permetta il diritto, Mancini non si è rifatto ad un metadiritto astratto, ad un diritto naturale come forma di legge a parte o di sistema a sé, paventando il rischio di rendere non significative le masse di vita giuridica presenti nella storia. Oggetto di indagine è stato invece il diritto storico, lo jus positum che circola nei tribunali, nelle aule universitarie, nelle sedi legislative e che dà origine alle istituzioni attuali, il cui fondamento sta nell’idea di giustizia «vero portento e anima dell’ethos dell’Occidente», che non va considerata in maniera puramente formale (giustizia come produzione di eguaglianza, con il dare a ciascuno in parti eguali), ma nella sua ipotiposi, nell’agire cioè dell’uomo giusto o nella «giustizia vivente», per usare un’azzeccata definizione di Aristotele. Le pagine del libro XIX del De Civitate Dei sono esemplari, per Mancini, in quanto indicative delle linee solutive che riguardano «la giustizia dell’uomo giusto», sen- meta che trasformi il mondo». «Se il nomos, imbarbarendosi, ha finito per impersonarsi nel rex, pure la torah attendeva di incarnarsi in un Messia», e qui Mancini, perché avvenga «un capovolgimento dei termini essere ed io in quelli dell’altro, del tu, del volto» (Tornino i volti, Genova 1989), ritiene possibile uno spazio per la iustitia Dei (Paolo) solo a patto che «l’evento fondatore di comunità» vada oltre il nesso greco di nomos-polis e quello ebraico di torah-popolo eletto: «organizzare un fronte di lotta per il significato» di un ideale “cosmo-polita” del prossimo. Occorre superare il limite veterotestamentario di una comunità di soli osservanti della torah, come pure l’ambigua, odierna “prossimità” all’essere e a Dio, che impedisce, pur dopo l’irrompere nella storia del Verbo giovanneo, osserva Mancini, di amare l’uomo «per il suo essere semplicemente uomo». Dopo i cicli di dominio dell’essere e dell’io, per evitare ogni riduzionismo del diritto a mero “sistema di regole”, occorre ripristinare un’idea di giustizia quale ethos del futuro. Per superare la “sterilità assiologica” dell’etico-politico (un mero Ideenkleid, vestito di idee), si deve insistere «sulla differenza, sull’altro, sul diverso», «se si vuole che la logica dell’esserecon (mit-sein) prenda il sopravvento su quella dell’essere-presso». E’ una forma alta di “Cristianesimo aperto” quella manciniana, che, pur con esplicito debito lévinasiano, intende, attraverso un personalissimo «venerdì santo speculativo», ripristinare il valore fondamentale della Ri-conciliazione, e della Pace, esaltando, però, le differenze contro ogni sorta di “titanismo di sintesi”. Al di là dei cattolicismi della presenza e della mediazione, l’ethos del futuro è il paradosso del Cristo quale amore dis-interessato per il prossimo. Qui, scrive nelle pagine conclusive, gli par che possano «confluire la lunga stagione si studi di filosofia della religione ed una altrettanto lunga, e con questo studio la vorrei concludere, stagione di studi di filosofia del diritIl neoclassicismo to; la fedeltà a Dio e la fedeletico di Italo tà alla terra». Ne emerge Mancini l’incancellabile ricordo di un uomo teso, barthianadi Piergiorgio mente, «nello sforzo di viGrassi vere con in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale», avendo egli ben compreso che il sogno di una cosa è realizzabile solo nel «dismettere i panni accademici» e nel «vestire il mantello del profeta, che in certe epoche - soleva dire - fu anche il vestito dei filosofi...per tentare d’alleggerire la terra». Come filosofo del diritto, per tutti gli anni Ottanta, Mancini si è confrontato con il negativismo giuridico, con il rifiuto vastamente diffuso, anche se diversamente motivato, di conferire valore fondativo agli strumenti del mondo del diritto. Lo ha fatto in primo luogo con Filosofia della prassi (Brescia 1986), dove ha cercato di creare un contromovimento capace di dare un senso alla civiltà del diritto, di «rimettere in piedi e in ordine uno strumento antico come la civiltà», dando voce e attualizzando falde 13 PROFILO la justitia Dei alla quale il kerygma cristiano affida la salvezza. Ebbene, questi tre segni sono fatti agire da Mancini in una nuova contestualizzazione. Se infatti nella storia dell’Occidente sono stati vissuti dapprima in relazione con l’ontologia, dominata dalla preoccupazione per l’universo e le sue impassibili leggi, e successivamente con l’ontologia, che pone l’enfasi sul conoscere e sulla sua pretesa di sottomettere tutto all’Io, non si può dire che i due cicli siano riusciti a sconfiggere la guerra e la logica del dominio. La nuova contestualizzazione dei grandi segni esige il primato dell’etica, dell’accoglienza della responsabilità di fronte al volto degli altri. Questo tema, che Mancini esprime sottolineando con forza l’urgenza della sostituzione dell’essere-presso con quella dell’essere-con, alimentato dall’incessante ricerca delle condizioni che rendono effettiva la comunità degli uomini, richiama esplicitamente la riflessione di Emanuel Lévinas in Totalità e infinito, che Mancini ha assunto come indicatore di una strada possibile, capace di fondare una cultura della pace dopo i cicli, come già si è detto, dell’essere e dell’Io, che sono stati all’insegna del detto eracliteo che polemos è padre di tutte le cose e che la vita della polis è definita dal contrasto di amiconemico. Considerato nella sua globalità, il discorso di Mancini come filosofo del diritto si configura come una forma particolare di neoclassicismo etico che vuole rimotivare persuasioni antiche, a cominciare da quella che nega possa darsi diritto senza radici morali. Una linea di pensiero rincorsa dalla speranza che si possano creare le za seguire la strada delle definizioni astratte e dei programmi normativi. Le cose dell’uomo sono trattate da Agostino come misura della prassi e della liberazione storica, non come «irrelati aspetti della teoria, ma come vitali aspetti della sotería». Il senso forte della fedeltà a Dio e della fedeltà alla terra si manifesta in Agostino con la premurosa attenzione ai bisogni elementari e universali dell’uomo, con una concezione della virtù e del bene che si allarga dalla casa, alla città, al mondo. E forte è la rivendicazione della pace come struttura della realtà tutta (non solo umana), come potenza latente e per questo posta come legge di natura e come dovere emergente dalla natura stessa. Questa linea interpretativa comporta il sorgere di un’altra questione, giacché il soggetto uomo che si muove e opera non può non avere la preoccupazione del «se è e se va nel senso giusto», se «ogni sua azione possa essere ricondotta criticamente al suo intendimento globale». E’ la questione dell’ethos del futuro che sconfigga le categorie della distruzione e superi i limiti della politica praticata e definita (da Carl Schmitt) come lotta tra amico e nemico, categoria essenziale e perenne della guerra, riscrittura della politica con altre lettere. La delineazione di questo orizzonte avviene riesaminando tre parole del passato, «espressione di grandi mondi di cultura, di fede e di ordinamenti», viste in connessione tra loro e nella prospettiva, che agisce anche criticamente su di essi, di un futuro inteso come novità assoluta, una patria sempre intravista e mai ancora posseduta, per dirla con Bloch. Le tre parole sono l’ideale greco del nomos, la torah ebraica, Italo Mancini: biografia intellettuale condizioni per il sorgere di un ethos del futuro produttodi re di riconciTommaso La Rocca liazione. La riconciliazione è, per Mancini, «la formula della pace». La prospettiva solo apparentemente si allontana dai territori dei precedenti studi e risultati di filosofia della religione: la proiezione che radica il senso è sempre quella teologica, anche se - come Mancini amava ripetere - la differenza non è di poco conto: «prima era il mondo dell’alto (“totalmente altro”) che veniva proiettato su questo mondo, ora è viceversa». In primo piano è ora la città dell’uomo nella sua dimensione giuridica e sociale. Italo Mancini è scomparso il 7 gennaio 1993. Era nato a Urbino il 4 marzo 1925 da padre minatore e madre contadina. Egli stesso, una volta divenuto prete e docente universitario, ci teneva a rivendicare questa umile origine: «debbo a questi due onesti e umili genitori la scelta di campo, quella del sangue plebeo e contadino, il campo della gente che lavora, crea e così muove la storia» (da Cristianesimo e cultu- ra, una lunga intervista autobiografica in cui Mancini ripercorre le tappe fondamentali della propria vicenda intellettuale. A questo testo si riferiranno anche le successive citazioni). Si forma all’Università Cattolica di Milano, alla scuola di Gustavo Bontadini ed a contatto diretto con Amato Masnovo, Francesco Olgiati, Agostino Gemelli, Mario Casotti e Giorgio Zunini; al tempo in cui nell’amica e rivale Università Statale operavano altri pensatori di prestigio: Antonio Banfi, Mario Dal Pra, Enzo Paci, Remo Cantoni. Alla Cattolica trascorre anche il suo primo decennio di impegno accademico come assistente e docente di Filosofia della Religione. Dalla seconda metà degli anni Sessanta viene chiamato da Carlo Bo all’Università di Urbino, dove insegna, prima, Filosofia della Religione e Storia del Cristianesimo, poi Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Magistero e, negli ultimi anni Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza. ❏ Al centro delle ricerche del periodo milanese ci sono due questioni principali: quella “ontologica” e quella del “linguaggio”, che troveranno sbocco nei volumi: Ontologia fondamentale. Linguaggio e salvezza e Filosofi esistenzialisti. Studi puramente teoretici e legati alla dinamica delle filosofie e culture universitarie, maturate quindi in un contesto prevalentemente accademico. Tuttavia rimarranno elementi 14 importanti di precomprensione di tutto lo sviluppo ermeneutico ulteriore dei periodi successivi, contrassegnati, invece, da un forte impegno per la “questione pubblica”, religiosa e politica. ❏ Le grandi vicende degli anni Sessanta, soprattutto il Concilio Vaticano II e le lotte studentesche, incidono infatti profondamente sullo sviluppo anche del suo pensiero filosofico. Il nuovo contesto religioso e politico culturale operò in lui, come in molti altri intellettuali dell’epoca, una sorta di humiano “risveglio” dal sonno dogmatico. Lo si avverte subito nell’elaborazione della sua filosofia della religione, esibita come ermeneutica del kerygma, cioè del dato della rivelazione, preso nella sua «quadruplice forma biblica di parola, evento fondatore, comunità e comandamento»: come ermeneutica di quel dato storico che Mancini soleva indicare con la nota espressione mutuata da Dilthey: «le enormi masse di vita religiosa». Filosofia della religione intesa come «interpretazione nuova della trascendenza con una precisa caratterizzazione politica», come ermeneutica del fatto religioso, inteso non solo come una “teoria”, ma anche e soprattutto come una “soteria”, dottrina di salvezza. E se ne ha conferma immediatamente dopo nel tentativo, nuovo e coraggioso per quei tempi, di allargare l’area culturale ermeneutica in campo teologico, andando al confronto con la teologia protestante di Barth, Bultmann e Bonhoeffer, e con quella contemporanea PROFILO del secondo dopoguerra (Metz, Pannenberg, Moltmann), pur senza dimenticare le teologie contrapposte di Lutero e Muntzer. La predilezione per Barth si accompagna, in lui, ad una non celata identificazione con la figura e il pensiero di Bonhoeffer. A documentazione di quest’orientamento di pensiero restano le opere: Filosofia della religione, Bonhoeffer, Kerygma, Teologia controversa, Barth, Bultmann, Bonhoeffer, a cui più tardi si aggiungerà Novecento teologico. ❏ Gli anni Settanta sono contrassegnati soprattutto dalla stagione di studi sul confronto del cristianesimo con le forme attuali del pensiero: radicalismo, pensiero negativo, ecologia, cibernetica e, soprattutto, marxismo, pur senza trascurare il confronto con le forme classiche, in particolare la filosofia di Kant, Leibniz, Locke ed altri (si veda: Grandi ipotesi, I, II, III; Guida alla critica della ragion pura, I, II; Kant e la teologia). L’interesse maggiore era concentrato sulla posizione “sostanziale” del marxismo di fronte alla religione. In un momento in cui molti dibattevano di questo tema in maniera piuttosto banale e superficiale, preoccupati principalmente della ricaduta politica della discussione, Mancini tentò di andare all’origine e ai fondamenti della critica di Marx e di altri pensatori classici riguardo alla religione, privilegiando quella “corrente calda” del pensiero marxista indicata da Ernst Bloch, a partire dall’umanesimo del giovane Marx. E da Bloch stesso Italo Mancini assume la chiave di lettura dell’intero sviluppo della critica marxista della religione: il concetto dialettico di religione, sospeso tra i due poli dell’ideologia e dell’utopia rivoluzionaria, di cui è simbolo eminente Thomas Muntzer. In merito, egli forse ha scritto e pubbli- cato molto meno di quanto avesse letto e studiato. Ma quanto ci ha lasciato resterà sicuramente un punto di riferimento o comunque di passaggio obbligato per i futuri studiosi di questa problematica nel pensiero filosofico del secondo dopoguerra. Le opere più rappresentative di questo periodo sono: Teologia, Ideologia, Utopia; Futuro dell’uomo e spazio per l’invocazione; Con quale comunismo; Con quale Cristianesmo; Fede e cultura; Come continuare a credere. ❏ Nell’ultimo decennio, gli anni Ottanta, Mancini è approdato a un discorso filosofico che coniuga sempre più decisamente il proprio interesse filosofico e teologico con le tematiche dell’etica e della prassi, del diritto e della società civile e politica. Uno sbocco naturale della sua ricerca che, fin dagli inizi, s’era prefisso di combinare lo «studio del mondo di Dio» con lo «studio del mondo dell’uomo». Mancini dava testimonianza così di quella che egli, a proposito del proprio atteggiamento nei confronti della cultura e della vita, soleva chiamare la “doppia fedeltà”: a Dio e alla laicità del mondo. Un nuovo allargamento del campo di indagine che impegna Mancini non solo nello studio delle forme e dei temi centrali della storia del diritto occidentale, ma anche nella ricerca delle loro possibilità di sviluppo per il futuro dell’uomo, in tentativi di nuove «spedizioni verso le terre del non-ancora, utopia, speranza». Appartengono a quest’ultima stagione: Negativismo giuridico; Filosofia della prassi; L’ethos dell’Occidente; Diritto e società. ❏ Segno tangibile dell’opera di Italo Mancini - oltre alla specializzatissima biblioteca personale, ricca di circa dodicimila titoli catalogati - è rimasto anche e soprattutto l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino, voluto da lui e condiviso da Carlo Bo, progettato nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta ed operante, dalla metà degli anni Settanta, con la duplice finalità scientifica di centro di ricerca, documentazione, analisi e riflessione, e formativa di scuola di preparazione dei professori di religione. In realtà il significato della fondazione di quest’Istituto andava oltre. Fu un fatto di portata storica. Significò il primo tentativo di introdurre la teologia nell’Università italiana, rimastavi interdetta per più di un secolo e mezzo - a differenza di altri paesi europei - in parte, a motivo della insensibilità, del disinteresse o, addirittura, dell’opposizione miope della cultura laica e forse, in parte, per l’eccessiva preoccupazione dell’episcopato italiano di tenere sotto il proprio controllo e gestione la ricerca e il dibattito in campo teologico. Accanto a questo insonne impegno di studioso, Italo Mancini ha vissuto sino in fondo anche la propria vocazione di prete, a servizio della propria comunità. Le omelie della domenica, che Carlo Bo - suo assiduo uditore - ha definito, per serietà di impegno e ricchezza di contenuti, una continuazione, nel Duomo di Urbino, delle lezioni universitarie, erano diventate un appuntamento importante per molti credenti; come pure le conversazioni radiofoniche mattutine su argomenti spirituali (ora disponibili anche nel volume Le tre follie) che egli tenne quotidianamente per un certo periodo alla RAI. Oltre alla competenza e alla serietà scientifica, chi accostava Italo Mancini poteva, inoltre, apprezzare di lui anche una forte carica di umanità e la disponibilità a servizio degli altri, gli studenti in prima fila, che Bibliografia delle opere in volume potevano incontrarlo indifferentemente nello studio dell’Università o a casa, fermarlo per strada o al bar e conversare liberamente. Aveva aperto la sua biblioteca privata agli studenti che numerosi, giornalmente, vi andavano, trovandovi non solo i libri, ma anche la persona disposta a suggerire un indirizzo e a dare un consiglio. I suoi rapporti con i propri collaboratori erano quelli del “maestro” che sapeva ad un tempo guidare, spronare, incoraggiare ed insieme comunicare affetto ed amicizia. Di questi ed altri tratti della personalità umana di Italo Mancini si potranno avere maggiori e migliori conoscenze quando saranno pubblicate le pagine di un diario che egli stesso ha rivelato di aver tenuto, scrivendo «nelle ore perdute, nei ritagli di tempo, magari in viaggio su un treno». La bibliografia di Italo Mancini, dal primo scritto del 1950 all’ultima opera rimasta incompiuta ed inedita, a cui egli avrebbe voluto dare il titolo Frammento su Dio, comprende circa 400 titoli. Qui si riportano solo i titoli dei volumi pubblicati nell’arco del quarantennio della sua attività scientifica. Ontologia fondamentale, La Scuola, Brescia 1958. Il giovane Rosmini. La metafisica inedita, Argalia, Urbino 1963. Filosofi esistenzialisti (Heidegger, Marcel, Whal, Gilson, Lotz), Argalia, Urbino 1964. Linguaggio e salvezza, Vita e Pensiero, Milano 1964. Filosofia della religione, Abete, Roma 1968 (2.a ediz. 1978; 3a ediz. Marietti, Genova 1983). Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969. Kerygma, Argalia, Urbino 1970. Teologia controversa, Vita e Pensiero, Milano 1970. Barth, Bultmann, Bonhoeffer: novecento teologico, Celuc, Milano 1971. Teologia, Ideologia, Utopia, Queriniana, Brescia 1974. Grandi ipotesi. I: Figure teoretiche 15 della filosofia greca e medioevale. Guida storiografica. II: Introduzione alla filosofia di Leibniz; John Locke (in collaborazione con G. Ripanti), Vita e Pensiero, Milano 1974, 1975, 1976. Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975. Futuro dell’uomo e spazio per l’invocazione, Astrogallo, Ancona 1975. Con quale comunismo, La Locusta, Vicenza 1976. Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977. Con quale cristianesimo, Coines, Roma 1978. Fede e cultura (con R. Ruggeri), Marietti, Torino 1979. Come continuare a credere, Rusconi, Milano 1980. Negativismo giuridico, Quattro Venti, Urbino 1981. Guida alla critica della ragion pura, vol. I. Quattro Venti, Urbino 1982. Il pensiero negativo e la nuova destra, CONFERENZA Credo che il fulcro della proposta filosofica di Karl-Otto Apel consista in quella etica della comunicazione che è al tempo stesso una grande proposta di civiltà e di democrazia, non soltanto una proposta di filosofia. Le radici e le basi del suo pensiero fanno riferimento a tanti autori, ma direi principalmente a Kant e all’americano Charles Sanders Peirce. Questa unione di pensiero trascendentale e di pensiero semiotico ha in Apel uno sviluppo molto originale, molto acuto e profondo; ma soprattutto molto importante in quanto individua nell’elemento trascendentale e nell’elemento del linguaggio della comunicazione e del segno i due capisaldi per una etica interplanetaria, nella quale possa riconoscersi ogni uomo di buona volontà. Quello di Apel, quindi, non è il tentativo di contrapporre alla logica della scienza, alla logica della logica, un pensiero che si affidi a valori di tipo irrazionale, di tipo emotivo, di tipo sostanzialmente psicologico e individualistico; anzi, il suo tentativo è quello di gettare le basi di una trascendentalità dell’etica dell’uomo della scienza, dell’etica dell’uomo della tecnica, dell’etica di quell’uomo planetario che si sta realizzando tumultuosamente sotto i nostri occhi. Il tentativo di Apel è di individuare un fondamento indubitabile, logicamente consistente; in un’epoca in cui si ama prevalentemente sottolineare il non-fondamento, l’assenza di fondamento, Apel propone coraggiosamente e consapevolmente una filosofia del fondamento. Filosofia del fondamento etico - si badi bene - non filosofia del fondamento ontologico, del fondamento trascendentale nel senso kantiano, rinnovato attraverso le categorie della semiotica di Peirce. Questa proposta di Apel è stata discussa in tutto il mondo; ha avuto i suoi oppositori: sono note le affinità, ma anche le differenze, tra la posizione di Apel e per esempio quella di Habermas. Grazie all’opera organizzativa del Goethe Institut e dell’Università degli Studi di Milano, in questa sua conferenza, di cui presentiamo qui di seguito il testo di riferimento, elaborato per la pubblicazione, Apel ci presenterà la sua posizione. Una posizione che esige una presa di coscienza, una riflessione; certamente essa è uno dei più segni significativi della filosofia attuale, sia per la ricchezza dei suoi riferimenti, sia per l’importanza intrinseca delle tematiche che propone alla nostra riflessione. N ella mia lezione di piccoli gruppi o, al mein collaborazione con voglio trattare (in glio, è ancora confinata alil Goethe-Institut di Milano successione) i sel’adempimento di funzioni e l’Università degli Studi di Milano guenti tre aspetti del proe doveri professionali alblema indicato nel titolo. l’interno di un sistema so1. In primo luogo voglio ciale di norme, p.e. all’inmostrare il bisogno urgenterno di uno stato nazionate di una macroetica che le. Questi due livelli di ritengo sia il nuovo promimoralità convenzionale nente compito dell’etica fipossono essere chiamati rilosofica del nostro tempo. spettivamente una microetica e una mesoetica. E io 2. Secondariamente evivorrei mettere in evidenza denzierò e spiegherò le apche anche le usuali tensioni parenti difficoltà che nelle di Karl-Otto Apel e i conflitti fra esigenze ultime decadi, a livello di con una nota introduttiva morali sono tuttora avverfilosofia professionale (acdi Carlo Sini titi e articolati come quelle cademica), hanno suggeridi un antagonismo tra i lito che il problema di una velli di micro- e mesoetica. fondazione razionale di una Quindi, per esempio, le rimacroetica universalistica chieste dei ruoli e delle nordel genere umano non posme che sono definite da un sa essere risolto o che sia sistema sociale (di legge e addirittura un problema traduzione di Massimiliano Pagani di ordine) impongono loro senza senso. 3. In terzo luogo proverò a suggerire una possibile solu- stesse e danno forma alle intime relazioni di simpatia, zione del problema dal punto di vista di una pragmatica interesse e lealtà che costituiscono il legame sociale di trascendentale della comunicazione umana, o, più preci- piccoli gruppi, come sono le famiglie e i clan; e fino ad samente, del discorso argomentativo come forma rifles- oggi hanno agito con il miglior esito nel caso di una mobilitazione di sentimenti nazionali o religiosi o quasisiva della comunicazione umana. In primo luogo dovrei spiegare che cosa intendo con religiosi, per esempio in connessione con guerre o rivomacroetica del genere umano e perché, o a che riguardo, luzioni. Come forme meno spettacolari, ma di solito possa essere considerata una nuova caratteristica nello sufficientemente efficaci, possiamo menzionare le norsviluppo storico dell’etica che dovrebbe corrispondere o me di un sistema sociale sostenute dal pubblico consenso rispondere a un nuovo stadio nell’evoluzione culturale e da sanzioni legali. Ma accade anche di continuo in molti paesi che lo stato della legge e le norme morali del sistema dell’uomo. Penso ci siano pochi aspetti della civiltà contemporanea sociale perdano la loro autorità ed efficacia. Allora le loro nei quali la strutturale non-contemporaneità (o il non- funzioni possono ritornare alle famiglie e ai clan quale sincronismo) dei diversi settori dello sviluppo socio- conseguenza della corruzione generale, come nel caso culturale sia più sorprendente che nella sfera della morale del dominio della mafia. convenzionale, se ciò è comparato o confrontato con le Ora, nel mezzo di queste persistenti caratteristiche delle attuali richieste di una comune e congiunta responsabilità morali convenzionali, cioè, tra tensioni e conflitti nelle per le conseguenze planetarie delle attività umane. La esigenze della micro e della mesoetica, nuovi aspetti morale convenzionale in tutti i popoli o culture è ancora delle richieste morali sono emersi e si sono sviluppati essenzialmente ristretta alle relazioni umane all’interno nella società industriale del nostro secolo. Questi aspetti Il problema di una macroetica universalistica della co-responsabilità 16 CONFERENZA suggerito da Hegel. Non solo la religione e la filosofia hanno messo in dubbio questa soluzione, come già fecero all’epoca di Hegel, ma anche le stesse istituzioni sociali si sono differenziate in sotto–sistemi che più o meno determinano o condizionano il comportamento umano molto al di là del potere legale o dell’autorità morale dello stato. L’esempio più illuminante di questo sviluppo è fornito dal sotto-sistema sociale dell’economia internazionale5; e questo esempio mostra come una sfida nuova, e insieme per lungo tempo non raccolta, sia stata sottoposta alla responsabilità morale dell’uomo. Poiché il tipo di interazione umana che accade nel mercato mondiale è regolata da fattori come i prezzi e realizzata attraverso la mediazione del denaro; essa è quindi un’interazione a lunga distanza per mezzo di relazioni anonime che non lascia quasi opportunità per un incontro faccia a faccia tra esseri umani con sentimenti morali. E poiché gli effetti delle nostre quotidiane azioni economiche possono ripercuotersi su persone di diversi paesi o continenti, per esempio del terzo mondo, allora esse sono come minimo tanto inimmaginabili quanto i possibili effetti delle nostre armi atomiche. 2. Questo confronto degli effetti delle azioni umane porta al secondo motivo per cui le morali convenzionali nel senso di micro- e mesoetica non possono più far fronte a lungo alla nuova sfida sottoposta alla nostra responsabilità per le conseguenze delle nostre azioni a lunga distanza. La seconda ragione è in molti modi correlata con la prima - specialmente con lo sviluppo del sotto sistema sociale dell’economia - ed ha a che fare con le nuove relazioni tra uomo e natura o piuttosto tra noi e quella parte di natura che costituisce l’umana ecosfera. La novità di questa relazione, come ora sappiamo bene, consiste nel fatto che la natura, poiché costituisce l’umana biosfera e la sfera delle risorse economiche dell’uomo, non è più indistruttibile né inesauribile, come è apparsa in tutta la storia passata. Appare chiaro che questo stato di cose è stato causato dalla stessa abilità tecnologica ad accrescere ed espandere gli effetti delle azioni umane che abbiamo rintracciato nella rottura delle barriere degli istinti animali da parte dell’homo faber. Da allora - si potrebbe dire - l’homo faber con le sue conquiste tecnologiche ha sempre sopraffatto l’homo sapiens con la sua responsabilità morale, ma nel nostro secolo noi siamo stati confrontati con questo fatto in un modo del tutto nuovo. Per la prima volta è diventato gradualmente chiaro che - almeno a riguardo della nostra ecosfera naturale - noi in qualche modo dobbiamo organizzare un qualcosa di simile a una responsabilità collettiva per le conseguenze primarie e secondarie derivanti dalle nostre attività collettive in campo scientifico e tecnologico. Ma sembra anche chiaro che noi qui siamo di fronte a richieste morali, di nuovo tipo e quasi eccessive, come quelle poste dalla interazione economica a lunga distanza tra persone . Si attende da ciascuno di noi che egli assuma una qualche parte di co-responsabilità per l’emissione di prodotti industriali di scarto nell’aria e in acqua, o per la salvaguardia delle foreste su scala planetaria, e quindi del clima e dell’atmosfera della Terra, e allo stesso tempo si suppone che ciascuno si senta co-responsabile come non possono più essere compresi nei termini di categorie morali convenzionali, cioè né in quelli della lealtà microetica all’interno di piccoli gruppi, né in quelli delle norme meso-etiche di legge e ordine del sistema sociale. Questo può essere spiegato tramite il riferimento alle due direzioni dell’evoluzione culturale che possono essere delineate a partire dagli albori della civiltà umana, per esempio la rottura delle barriere dell’istinto animale che deve aver dato avvio al progressivo sviluppo delle istituzioni sociali e delle norme morali1. La direzione iniziale dell’evoluzione culturale dal punto zero, per così dire, può essere caratterizzata come la rottura , da parte dell’homo faber, dell’equilibrio naturale tra il mondo degli effetti causali delle azioni e il mondo dei gesti percettibili che potrebbero provocare quelle azioni all’interno del circolo retroattivo del comportamento animale2. Qualcuno potrebbe supporre che l’invenzione di arnesi e specialmente di armi, dovuta all’homo faber, cancelli definitivamente questo equilibrio aprendo una gamma di possibili conseguenze di azione che non erano possibili nella sfera del comportamento istintivo3. Perciò l’assassinio di Abele da parte di Caino o, in altre parole, il fenomeno della guerra, come opposto ai ristretti conflitti di animali, potrebbe essere spiegato dal crescere della causale efficacia delle azioni umane al di là degli scopi originali di quei gesti che precedentemente si appellavano a istinti inibiti. E questo sviluppo ultimamente ha portato all’invenzione di missili nucleari, i possibili effetti dei quali non possono neanche essere immaginati nei termini dell’originario mondo dell’uomo dei gesti percettibili che innescano i nostri sentimenti quasi-istintivi. Ora la necessità di controlli morali sulle azioni umane non più regolate dagli istinti poteva finora essere soddisfatta dallo sviluppo delle istituzioni sociali che costituiscono l’altra dimensione dello sviluppo culturale. Ciò significa che lo sviluppo di quei due campi d’azione delle morali convenzionali dei clan familiari e dello stato (di diritto) che ho chiamato gli stadi micro- e mesoetici ha tenuto testa fino ad ora alla sfida del costante sviluppo della gamma di efficacia delle azioni umane dell’homo faber. Alcuni antropologi o filosofi antropologici hanno suggerito anche che il tipo di istituzioni e di morali convenzionali che ho delineato possano essere considerate come l’analogo definitivo ed equivalente degli istinti animali a livello di civiltà umana; e da questa premessa essi hanno talvolta tratto la conclusione che tutte le indagini sulle istituzioni e le convenzioni contingenti, proprie dello spirito di una ricerca razionale, debbano essere intese come tendenze pericolose e patologiche dello sviluppo culturale.4 Perciò anche la guerra può essere considerata un’istituzione atta a risolvere i conflitti e a ridistribuire lo spazio abitabile (Lebensraum) e le risorse a livello di mesoetica degli stati nazionali. Ma penso che questo modo di guardare alla situazione planetaria dell’umanità sia giunto al termine in questo secolo per almeno due ragioni: 1. Lo stesso sviluppo delle istituzioni sociali ha superato lo stadio nel quale la regolazione delle interazioni umane può trovare la sua forma più integrativa e la sua più alta autorità morale nello Stato (nazionale), come è stato 17 CONFERENZA libertà umana può solo essere garantita dall’operare indisturbato del sistema dell’economia di mercato con le sue relazioni anonime di interazione a lunga distanza. Perciò a giudizio di Hayek la diffusa richiesta di ‘giustizia sociale’ è sia ideologica che dannosa, e la sola caratteristica dell’etica tradizionale della giustizia che può e deve essere preservata e persino coltivata nella situazione attuale dell’umanità è l’obbligo all’onestà nella stipulazione e nel rispetto dei contratti. Quindi Hayek fa ricorso alla morale minima di un addomesticamento istituzionale dell’interazione strategica del commercio, escludendo contemporaneamente qualunque richiesta ulteriore di una morale della solidarietà e della coresponsabilità.10 Penso che il chiarimento indiretto del nostro problema di una macroetica umana che possiamo trarre dalle osservazioni di Hayek tanto quanto da quelle di Konrad Lorenz e Arnold Gehlen risieda nel riconoscimento del fatto che la nuova etica, semmai essa si dia, richiede una giustificazione razionale, che trascenda ogni tradizione. Le osservazioni scettiche sopra ricordate mostrano chiaramente che non ci si può affidare alle morali convenzionali, rappresentate dalle attuali istituzioni sociali, incluso lo spirito del presente Stato di diritto. Ma che cosa hanno da dire gli esponenti dell’etica professionale, nel senso della filosofia (morale), sul nostro problema di una fondazione razionale per una macroetica umana universalmente valida? Con questo quesito introduco la seconda parte del mio lavoro. Una prima parte della risposta che ha sede in questo secolo può essere caratterizzata richiamando la concezione, sviluppata da Max Weber, di una scienza avalutativa in quanto opposta alla dimensione complementare delle decisioni in ultima istanza irrazionali ma autentiche, rappresentate dalle scelte private prese da ogni singolo e riguardo agli assiomi ultimi di valore11. Questa idea di una sorta di divisione del lavoro, per così dire, tra razionalità scientifica e moralità irrazionale che ha dominato a lungo l’ideologia occidentale, si è rivelata come un sistema di complementarità tra positivismo e esistenzialismo, entro cui l’etica, in modo simile alla religione, poteva solo essere immaginata come una questione di emozioni e decisioni private, incapaci di reclamare una qualche validità pubblica e universale.12 Questo sistema di complementarità proprio dell’ideologia occidentale ha prodotto una sorprendente e persino paradossale risposta alla sfida lanciata dal XX secolo alla ragione morale. Infatti, nel sistema di complementarità la parte della razionalità veniva definita in modo decisivo dalla razionalità, neutrale rispetto al valore, della scienza (cioè delle scienze della natura di rilevanza tecnologica). D’altronde, però, sono state proprio le conseguenze tecnologiche provocate dalla scienza nel mondo della vita dei giorni nostri a richiedere una nuova fondazione razionale di un’etica planetaria della coresponsabilità. Sembrava così che la scienza richiedesse una nuova etica razionale e al contempo - a causa del monopolio da essa esercitato sulla definizione delle razionalità13- bloccasse una giustificazione razionale dell’etica, dimostrandone l’impossibilità. Temo che questo meccanismo di blocco si mostri ancora cittadino - per esempio come lettore di giornali o elettore - per la politica del proprio paese e quindi anche per la politica economica, per dire, della Banca Mondiale nei riguardi dei paesi indebitati del Terzo Mondo. Perciò sembra che in entrambe le dimensioni dell’evoluzione culturale - quella degli interventi tecnologici sulla natura e quella delle interazioni sociali - la nostra epoca abbia assistito allo sviluppo di una situazione planetaria che esige una nuova etica della co-responsabilità , vale a dire un tipo di etica che possiamo chiamare, per contrapporla alle forme tradizionali o convenzionali di etica, una macroetica (planetaria). La novità problematica delle richieste di questa nuova forma di etica può essere illustrata da alcuni commenti caratteristici avanzati da persone che si dimostrano piuttosto scettiche, o persino disturbate dalla possibilità di una simile ‘iperetica’, così come la si è voluta chiamare.6 Così in una recensione al libro di Hans Jonas Il principio responsabilità,7 opera precorritrice nel suggerire energicamente la necessità di un nuovo tipo di etica, il critico, richiamandosi alla filosofia delle istituzioni di Arnold Gehlen, ricordava ai suoi lettori che nessuno può essere responsabile di ciò che accade al di fuori del suo ruolo o della sua funzione all’interno del sistema sociale.8 Qui, o negandola o fraintendendola, almeno una caratteristica della nuova macroetica è stata indirettamente evidenziata: l’esigenza di una co-responsabilità per i risultati delle attività collettive. Un’altra caratteristica che la nuova etica deve soddisfare è stata messa indirettamente in luce dall’opuscolo: Gli otto peccati capitali, del famoso etologo e premio nobel Konrad Lorenz. Dalla prospettiva delle sue ben note tesi per cui le morali umane sono essenzialmente basate su disposizioni quasi-istintive o su residui istintuali corrispondenti al comportamento quasi-morale degli animali, Lorenz osserva e deplora come nella moderna società di massa, con le sue complesse ma anonime relazioni umane, si abusi irrimediabilmente delle disposizioni morali degli esseri umani - come quelle rappresentate dai sentimenti di simpatia e dalle disposizione all’aiuto. Con ciò Konrad Lorenz può riporre le sue speranze solo nel possibile verificarsi di una mutazione nell’interrotto processo di evoluzione biologica dell’uomo, tale che gli esseri umani acquistino una nuova disposizione quasiistintiva alla moralità.9 Questa conclusione dell’etologo chiarisce indirettamente il fatto che la nuova etica della co-responsabilità, in base alle stesse esigenze cui deve corrispondere, non può essere fornita ai giorni nostri da disposizioni quasi-istintive dell’uomo, ma conseguita dalla ragione umana quale compensazione alla mancanza di disposizioni quasi-istintive. A tal riguardo la valutazione della situazione avanzata da Lorenz è stata confermata, in un certo senso, da un altro premio Nobel, l’economista Friedrich August von Hayek. Anche Hayek è convinto che i sentimenti e le disposizioni morali nel senso dell’etica tradizionale, compresa l’etica cristiana, debbano essere riservate al livello arcaico delle relazioni umane all’interno di piccoli gruppi. Oltre detto livello le esigenze di un etica della solidarietà umana per non parlare della co-responsabilità su scala planetaria - diventano ideologiche e quindi dannose, poiché la 18 CONFERENZA all’opera in molti pensatori tra i più intransigenti, sebbe- il quale postulò che i membri della comunità ideale dei ne si abbia a disposizione un controargomento per smon- ricercatori dovessero sottomettere tutti gli interessi pertare l’intero meccanismo. Lo otteniamo, allorché ci si sonali all’interesse della comunità nella ricerca della rende conto del fatto che la ricerca scientifica, insieme al verità.15 Una simile sottomissione non può essere genecompito di accertarne la validità intersoggettiva, non si ralizzata in un obbligo morale valido per tutti i membri situa al livello delle relazioni cognitive soggetto-oggetto, della comunità umana, poiché questi ultimi potrebbero ma anche a quello della relazione soggetto-co-soggetto, anche mettere in questione il diritto della scienza ad proprio della comunicazione e dell’interazione fra i mem- esistere. Ma anche a questi interrogativi si deve poter bri di una comunità scientifica. Allora diventa chiaro rispondere all’interno di un’etica della co-responsabilità come anche, o precisamente, la scienza esente da valuta- universalmente valida per l’umanità. zioni - cioè una oggettivazione della natura, neutrale Si potrebbe già chiedere a questo punto: che cosa possiarispetto ai valori, operata nella dimensione della relazio- mo ragionevolmente indicare come un obbligo per tutti i ne-soggetto-oggetto - debmembri di una comunità ba presupporre l’etica di umana ideale? Non potrebuna comunità ideale della be essere un principio di comunicazione nella diauto-superamento nel senmensione della relazioneso che noi riconosciamo un soggetto-co-soggetto, comprincipio di trans-oggettiplementare alla relazionevità nel risolvere tutti i consoggetto-oggetto. E divenflitti solo tramite argomenta immediatamente chiaro ti accettabili intersoggetticome l’etica di una comuvamente? nità ideale della comunicaTornerò su questo punto. zione, presupposta dalla Ma prima devo continuare scienza, non può essere il mio resoconto della posiun’etica irrazionale, costizione presa dalla filosofia tuita da mere emozioni e da accademica sul nostro prodecisioni private e soggetblema di una nuova macrotive. Infatti, è precisamente etica dell’umanità. Sebbel’intento di giungere a dene la risposta elaborata in cidere delle pretese di valiun primo stadio - rappredità intersoggettiva tramite sentata dal sistema di comargomenti razionali che plementarità tra positivipresuppone di principio smo ed esistenzialismo - sia un’etica della comunità, ancora molto influente, non implicante uguali diritti e si è potuto impedire neluguali responsabilità a lil’ultimo decennio, in Eurovello argomentativo.14 pa e negli Stati Uniti di assistere ad una ‘riabilitazioPerciò a questo punto della ne della filosofia pratica’, discussione possiamo già per meglio dire ad un vero concludere come segue. Il e proprio rifiorire dell’etifatto che la razionalità delca. Sembra però una caratla scienza sia neutrale-riteristica di questo secondo spetto-al-valore - per quanstadio della risposta filosoto attiene ai suoi oggetti Karl Otto Apel fica ai nostri problemi che non può essere inteso nel la maggior parte delle posisenso che sia impossibile una razionalità non neutrale-rispetto-al-valore, ovvero zioni non provino neppure a confutare il verdetto positiche sia impossibile una razionalità etica. Infatti, l’esisten- vistico contro la possibilità di una fondazione razionale za della scienza neutrale-rispetto-al-valore, in quanto di un’etica universalmente valida, ma lo accettino in impresa di una comunità umana, necessariamente pre- modo tacito, per far ricorso ad un certo tipo di neosuppone la validità normativa di un’etica razionale, aristotelica (o neo-hegeliana) riabilitazione dell’ethos tradizionale di una specifica forma socio-culturale di almeno per la comunità degli scienziati. Con il nostro ultimo argomento non abbiamo ancora vita. mostrato che sia possibile una giustificazione razionale Perciò si può seguire la linea della distinzione aristotelica di un’etica della co-responsabilità valida universalmen- tra epistémé o theoria da una parte e phronesis dall’altra te per gli esseri umani, poiché la comunità scientifica e richiedere - fino ad un certo grado insieme con l’Etica non è identica alla comunità umana. E gli interessi della Nicomachea di Aristotele - che la facoltà della ragione prima non sono gli stessi della seconda. Le differenze pratica non possa conferire validità rigorosamente unieticamente rilevanti tra i due tipi di comunità sono state, versale ai principi, ma proporre solo consuetudini ed a mio avviso, correttamente indicate da Charles Peirce, atteggiamenti alla riflessione morale e ad una prudente 19 CONFERENZA sopravvivenza del genere umano e la salvaguardia della dignità umana, giunge a richiedere un’etica cosmopolita, di tipo alquanto nuovo, ovvero un’etica della responsabilità collettiva per le conseguenze delle attività collettive delle società industriali. Ora non penso che Jonas sia riuscito a fornire una giustificazione razionale per quest’etica di tipo nuovo partendo dalle sue premesse metafisiche.22 Ma come minimo questa visione del problema può essere facilmente integrata in un programma delle esigenze cui un’etica ha da corrispondere oggi, da contrapporre al ripiegarsi neo-aristotelico sulle tradizioni locali. Con parole mie, lo sintetizzerei nel modo seguente. Noi non viviamo oggi in società quasi-autarchiche o poleis, come nell’epoca classica della civiltà greca (che, non dimentichiamolo, fu rovesciata da Alessandro mentre Aristotele era ancora in vita). Per la prima volta nella storia noi stiamo vivendo oggi in una civiltà planetaria che al meno per quanto attiene alcuni ambiti vitali della cultura - come ad esempio la scienza, la tecnologia e l’economia - ha subito un’unificazione tale da renderci membri di una reale comunità della comunicazione - o, se si preferisce, componenti dell’equipaggio di una stessa nave, per esempio riguardo ai problemi della crisi ecologica. Tra parentesi, desidero esprimere qui il mio netto dissenso dalle diagnosi di Jean-François Lyotard, il quale conclude che ai nostri giorni noi dovremmo abbandonare la stessa idea di una storia umana comune e persino l’idea di un ‘noi’ come di un possibile soggetto della solidarietà umana.23 Suggerirei al contrario che le vaghe idee dei filosofi del XVIII secolo circa l’unità della storia umana si siano in un qualche senso realizzate oggi. Senza dubbio, non si sono realizzate nel senso della concezione marxista di un’unità della prassi e della teoria scientifica in forza della conoscenza e del controllo del ‘corso necessario della storia’, ma si sono realizzate nel senso di un’unità della cooperazione, eticamente sollecitata e in parte esistente, a riguardo della correzione, salvaguardia e rimodellamento o trasformazione delle condizioni attuali della civiltà del pianeta. Riassumendo: ciò di cui abbiamo bisogno oggi è in effetti un’etica universalmente valida per l’intera umanità; ma questo non significa che ci sia la necessità di un’etica che prescriva uno stile comune di vita buona per tutti gli individui o per tutte le differenti forme socio-culturali di vita. Al contrario, noi possiamo accettare il pluralismo di forme individuali di vita e persino difenderlo, purché vi sia la garanzia che un’etica universalmente valida di uguali diritti e uguale co-responsabilità per la soluzione dei problemi comuni dell’umanità sia rispettata in ogni singola forma di vita. (Ho l’impressione che un errore fatale del pensiero filosofico dei nostri giorni consista nell’assunzione di un antagonismo fondamentale o anche di una contraddizione tra il richiesto universalismo di un’etica post-kantiana e il pluralismo di un’etica quasiAristotelica della vita buona, o del souci de soi, per citare M. Foucault. In ogni caso l’intera storia dei diritti dell’uomo smentisce questa supposizione, come Foucault fu costretto ad ammettere negli ultimi anni della sua vita.)24 Procederò ora con l’ultima parte del mio lavoro. Fino ad ora mi sono limitato ad indicare l’esigenza di una macro- presa di decisioni nel contesto di situazioni concrete, in accordo con le norme autoevidenti dell’eticità sostanziale di una specifica tradizione o forma socio-culturale di vita. (Questa prospettiva di un neo-aristotelismo pragmatico, liberatosi dello sfondo tradizionale della metafisica teleologica dell'universo16 e quindi dell’idea di una legge naturale come legge universale, ha trovato una potente uniforme e sostegno negli ultimi decenni nel relativismo post-wittgensteiniano delle differenti o anche incommensurabili forme di vita e nell’ermeneutica e nel superstoricismo, post-heideggeriani, delle aperture epocali di verità o, al meno, del senso dell’essere entro la tradizione del pensiero occidentale.)17 Così, nella prospettiva della tendenza storicistica e relativistica del neo-aristotelismo, unita ad una critica più o meno forte dell’universalismo deontologico post-kantiano ed in accordo con la riflessione sulle tradizioni locali, si è venuta formando, nel mondo occidentale, la corrente dominante dell’etica della vita buona. Laddove autori anglo-sassoni, come Williams, MacIntyre o i ‘Communitarians’ americani, enfatizzano principalmente il bisogno di valori sostanziali o norme materiali, in opposizione al formalismo kantiano18; in Germania la tendenza storicistico-ermeneutica del neo-aristotelismo è piuttosto neo-conservativa e persino scettica, in aggressiva opposizione al cosiddetto utopismo terroristico rappresentato dalla filosofia emancipatrice neo-marxista (come ad esempio la Scuola di Francoforte).19 Il movimento neo-Aristotelico qui adotta un atteggiamento apparentemente tranquillizzante, come nelle rapide descrizioni gadameriane, più volte ripetute, di quanto sia richiesto da un’etica della vita buona in una buona polis: wJß dei' più frovnhsiß (che tradurrei: ciò che è consuetudine o uso comune in una buona società civile più una prudente applicazione delle norme implicite di una tradizione locale).20 Una buona illustrazione di questo atteggiamento è stata fornita ad un recente congresso su Hegel, sfruttando polemicamente l’immagine kantiana dell’ “imperativo categorico” come di una “bussola” per la vita morale. Si osservò, infatti, che in una buona polis - cioè in una città - noi non abbiamo bisogno di una bussola, perché già esiste la segnaletica stradale.21 Ora penso che queste tendenze neo-conservative, risultanti dalla cosiddetta ‘riabilitazione della ragione pratica’, non portino ad alcuna soluzione tutti i problemi propri di una macroetica della co-responsabilità umana che ho precedentemente esposti. Piuttosto essi rappresentano un atteggiamento di rifiuto o di fuga dai problemi con cui ci troviamo oggi confrontati. E in ogni caso gli slogan usati dai rappresentanti tedeschi del neo-aristotelismo sono a mio parere quasi tanto paradossali ed anacronistici quanto le opposizioni positivistiche all’elaborazione di una etica razionale della responsabilità per le conseguenze derivanti dalle tecnologie scientifiche. Questo è ben illustrato dall’accoglienza ricevuta dal libro di Hans Jonas, che è egli stesso un neo-aristotelico di rilievo. Ma Jonas, richiamandosi al teleologismo metafisico del cosmo aristotelico, giunge a risultati diametralmente opposti a quelli neo-conservatori dei neo-Aristotelici. Jonas, infatti, muovendo da una prospettiva di conservazione di alcuni valori, volta cioè ad assicurare la 20 CONFERENZA “senso di giustizia come equità”. Ritengo che la ragione di questo giudizio sia curiosamente legata al fatto che Rawls effettivamente aveva buone ragioni per non essere soddisfatto della giustificazione razionale nel suo approccio originale. Questo approccio implicava la concezione della “posizione originaria”, cioè della scelta razionale del miglior ordine di giustizia compiuta dalle parti, seguendo, in tale processo decisionale, la razionalità strategica sotto le condizioni restrittive che Rawls aveva imposto alla situazione originaria di scelta - condizioni quali “il velo di ignoranza” sulla posizione che ogni singolo occuperà nell’ordine sociale che verrà scelto. Più tardi Rawls si dovette render conto del fatto che in primo luogo era fortemente ingannevole suggerire che, a motivo del tipo di razionalità che avrebbe dovuto guidare la scelta, la sua teoria della giustizia fosse parte della teoria della scelta razionale (cioè la teoria della decisione strategica). In un verso, la oggettiva giustificazione della sua teoria era fornita piuttosto dalla stessa concezione di Rawls della “giustizia come equità” che gli fece imporre le condizioni restrittive sulla posizione originaria. Nell’altro verso, Rawls fu persino costretto, già nel suo primo lavoro, a supporre uno speciale “senso di giustizia” come equità, quale caratteristica di cui la parti sarebbero provviste in quanto razionali ed ideali;28 poiché altrimenti questi elettori avrebbero potuto seguire la razionalità puramente strategica dei lupi hobbesiani firmando il contratto iniziale con la riserva criminale di romperlo alla prima opportunità, allo scopo di godere dei vantaggi strategici criminali supplementari risultanti dall’osservanza del contratto da parte degli altri contraenti.29 Ora, rendendosi conto di queste ambiguità nella sua “teoria della giustizia”, Rawls in seguito fu costretto a fare una scelta chiara tra la concezione hobbesiana e quella kantiana della ragione pratica o della razionalità; ed egli scelse la concezione kantiana.30 Ma nel fare ciò, egli non aveva ancora risolto il problema della giustificazione razionale della sua stessa scelta in favore della concezione non-strategica della ragione come senso di equità, che egli presupponeva già nelle parti della situazione originaria. Egli intese così la soluzione kantiana come una specie di costruttivismo morale sostenuto dalle intuizioni del senso comune (come, per esempio, nella sua teoria dell’ “equilibrio riflessivo” tra le costruzioni filosofiche e il senso comune della gente).31 Ora, a questo punto tutto dipende dalla nozione di senso comune che potrebbe essere presupposta da una riflessione filosofica su intuizioni morali. Se si intende lo sfondo contingente della competenza personale del singolo o, nel nostro caso, del filosofo, allora quasi inevitabilmente la pretesa di validità universale deve essere accantonata. In tal caso infatti, entra in gioco imponentemente il riconoscimento, impostosi nel nostro secolo, della contingenza relativa alla “prestruttura” o al “segno di sfondo” del “mondo della vita”: dalle intuizioni di Collingwood sulla struttura storica delle “presupposizioni metafisiche” e dall’analisi di Heidegger e Gadamer della “precomprensione” del mondo della vita fino alla concezione di Wittgenstein delle presupposizioni paradigmatiche dei giochi linguistici come parti di differenti forme di vita e all’analisi di J. Searle sul sapere di “sfondo” implicito etica dell’umanità, criticando le concezioni insufficienti delle etiche professionali dei nostri giorni. Ma che cosa dire sulla possibilità reale di fornire una base razionale al tipo di etica di cui abbiamo messo in luce l’indispensabilità? Ci sono approcci promettenti a questo riguardo? Per introdurre le concezioni dell’etica del discorso, così come proposta da J. Habermas e da me stesso, mi sia concesso, una volta ancora, di partire da un’analisi critica. Proverò a ricavare la mia tesi di partenza facendo alcuni commenti critici al pensiero più recente di un grande filosofo che, rimanendo nella tradizione kantiana, ha dato forse il più importante contributo all’attuale etica della giustizia. Mi riferisco naturalmente a John Rawls. Menzionerò qui solamente i suoi due principi di giustizia,25 e specialmente il famoso “principio di differenza”, che, ritengo, funziona ai nostri giorni come il perenne contro-argomento etico nei riguardi della più suggestiva fra le attuali tentazioni della democrazia occidentale, e cioè la tentazione della politica della cosiddetta “società dei due terzi”, ossia, la tentazione di una politica sociale che sfrutti il meccanismo maggioritario della democrazia parlamentare per soddisfare i due terzi della popolazione a scapito del terzo restante. Sembra chiaro come il “principio di differenza” di Rawls sia diretto precisamente contro una simile politica che, come ben sappiamo, potrebbe ottenere un buon successo per un certo lasso di tempo. Ora nei suoi più recenti giudizi - nel suo saggio Giustizia come equità: politica non metafisica 26 - sembra che Rawls neghi o revochi la richiesta di universalità propria della sua precedente giustificazione di un’etica della giustizia come equità, per far ricorso in chiave neoaristotelica o storicistica alla tradizione specificamente americana del “senso di giustizia”. R. Rorty ha illustrato questa posizione, accettandola come una forma estrema di storicismo etnocentrico. A suo dire, egli, come americano, dovrebbe mettere l’accento sulla priorità della costituzione politica del suo paese sopra e contro ogni richiesta di una critica filosofica o di una legittimazione di questa tradizione locale. Se gli capitasse di discutere con persone del calibro di Ignazio di Loyola o Nietzsche, cioè persone che in linea di principio negarono la tradizione democratica, non potrebbe - egli ci dice - provare a difendere questa tradizione con l’uso di argomentazioni filosofiche, il che significa, col ricorso a principi o criteri universalmente validi, ma dovrebbe alla fin fine considerare l’altra parte come “folle”.27 Sembra chiaro che questa dovrebbe anche essere la sua strategia in una discussione con i rappresentanti del comunismo orientale o con fondamentalisti islamici, che difendessero posizioni teocratiche. Ora, rispondendo a Rorty, io non negherei la possibilità di una totale interruzione della discussione, cioè del discorso argomentativo, ma credo che una simile interruzione non sarebbe mai dovuta alle differenti tradizioni, bensì - nel caso peggiore - potrebbe essere imposta dal rifiuto delle argomentazioni filosofiche da parte di uno dei partecipanti al dibattito, sia esso Rorty o Nietzsche o Lenin, o Khomeini o Deng Xiao Ping. Ma nel nostro presente contesto mi sembra più importante chiederci perché John Rawls stesso faccia ricorso alla tradizione locale come a una base storica contingente del 21 CONFERENZA nelle nostre intenzioni di significato.32 E tutte queste prospettive sembrano suggerire che - come Rorty ha mostrato - noi possiamo solo presupporre una “base contingente per un consenso possibile” come una base di senso comune anche per l’etica,33 dal momento che una singola persona non può evitare di essere dipendente, nelle sue preconcezioni del bene, dallo sfondo storico della sua tradizione culturale. Ma perché è impossibile negare la presupposizione di norme valide universalmente - come quella della parità dei diritti - in una discussione su questi problemi, anche in un dibattito con rappresentanti di forme di vita socioculturali molto differenti? O più esattamente: perché i molti filosofi, che a livello dei loro enunciati negano la necessità di presupporre qualunque norma valida universalmente, in effetti contraddicono l’enunciazione (performance) delle loro asserzioni dal momento che riescono a portare avanti argomentazioni dotate di senso, cioè, intellegibili? (Non ho mai visto, per esempio, che R. Rorty in una delle sue lunghe argomentazioni contro la possibilità di presupporre forme universali si sia mai comportato come se egli non sapesse che tutti i partner delle discussioni devono certamente seguire norme di comunicazione universalmente valide.) Qualcuno potrebbe forse dire che le norme procedurali che devono essere seguite in un discorso argomentativo su un qualsiasi problema non hanno nulla a che vedere con la ricerca di norme morali valide per la vita quotidiana, dal momento che esse sono semplicemente strumenti in relazione al comune, ma nondimeno contingente scopo della discussione in atto? Prima di tutto risponderei a quest’ultima argomentazione nel modo seguente. Il fatto che noi dobbiamo discutere qualunque argomento controverso in un discorso argomentativo non è contingente o incidentale, dal momento che non c’è ragionevole alternativa a quel metodo se non desideriamo combattere o negoziare, ma vogliamo riuscire a capire tramite ragionamenti chi ha ragione sull’argomento in questione. Ma questo - che si desideri sapere chi ha ragione - è il presupposto di ogni discussione filosofica. Da ciò segue che il metodo del discorso argomentativo, comprese le sue presupposizioni normative moralmente rilevanti, non può essere evitato in filosofia. E’, vorrei affermare, l’a priori di ogni filosofia trascendetal-pragmatico, o in altre parole: appartiene al non-contingente “fatto della ragione” in senso kantiano. E, come ho già suggerito, questo fatto non-contingente della ragione non può essere esterno o incidentale rispetto alle reali controversie morali del mondo della vita, poiché è la sola istituzione umana che può fornire una possibile, ragionevole soluzione a queste controversie. Ciò è riconfermato dal fatto che in tutte le controversie umane, espresse a quel livello della comunicazione che pur non attinge ancora il piano del discorso argomentativo, le parti in conflitto avanzano spontaneamente pretese di validità universale finché non interrompono la comunicazione.34 Come potrebbero allora questi fatti della comunicazione essere riconciliati con il riconoscimento del carattere contingente, proprio di ogni sapere di sfondo storicamente dato, di tutte le nostre nozioni circa il bene in differenti forme di vita socio-culturali? Ritengo che si faccia un errore, allorché, nel quadro della presente discussione, si contrapponga la contingenza storica alla universalità delle norme - un errore simile a quello fatto nell’opporre l’etica particolare della vita buona all’etica formale-deontologica della giustizia o del diritto. In entrambi i casi si trascura il fatto che coloro cioè i filosofi - che discutono della contingenza storica delle condizioni di sfondo di tutte le forme di vita si sono già sempre, in modo riflessivo, portati al di là di queste condizioni contingenti. E lo hanno fatto, accettando la nuova istituzione post-illuminista del discorso argomentativo che, a partire dalle sue origini ad oggi, fornisce le condizioni procedurali per la possibilità della filosofia e di tutte le scienze. Ora, facendo assegnamento su queste precondizioni dell’argomentazione - che nessun filosofo può evitare35 - essi hanno anche riconosciuto alcune precondizioni normative valide per ogni argomentazione comunicativa, le quali non possono venire annoverate tra le condizioni di sfondo, storicamente contingenti, delle diverse tradizioni culturali della morale. Ovviamente, le non-contingenti presupposizioni normative del discorso argomentativo devono essere formali e procedurali. Perciò non possono prescrivere norme materiali o i valori di una vita buona per culture specifiche, ma solo condizioni restrittive che rendano possibile alle diverse forme di vita la coesistenza e la cooperazione. Ora questa differenza e questa complementarità, di cui ho già parlato, possono, anche nel caso di Rawls, chiarire la relazione tra le norme universali della giustizia come equità e una particolare tradizione americana di moralità. Si potrebbe facilmente ammettere che Rawls avrebbe potuto sviluppare ed esplicitare dettagliatamente i suoi due principi di giustizia, se non affidandosi e ricollegandosi alla specifica tradizione morale e alla costituzione politica americana. In questo senso il suo libro fornisce semplicemente delle proposte da sottoporre ai discorsi pratici degli uomini, allo stesso modo dell’opera di ogni altro filosofo, il quale ovviamente deve lasciarsi ispirare dalla sua particolare tradizione culturale. Ma questa ammissione non implica una resa dell’universalismo etico al relativismo-storico. Poiché i principi della giustizia come equità devono essere anche basati su quelle intuizioni morali che ci sono fornite dalle presupposizioni non-contingenti dell’istituzione - o della filosofica meta-istituzione - del discorso argomentativo, cui ogni filosofo deve partecipare, allo scopo di argomentare. (Vorrei anche dire: allo scopo di pensare con una qualche pretesa di validità intersoggettiva per i suoi pensieri.) E qui abbiamo trovato il punto archimedico di una fondazione pragmatico-trascendentale dell’universalità della morale, senza la quale una macroetica planetaria umana sarebbe di fatto impossibile. Comunque, in conclusione del mio lavoro, voglio ancora mettere in evidenza che una morale del tipo “giustizia come equità “ non è sufficiente dal punto di vista delle esigenze poste dalla macroetica, sebbene molto sarebbe già stato ottenuto se realizzassimo qualcosa di simile al programma di Rawls, per esempio riguardo ai rapporti tra il Primo, il Secondo e il Terzo Mondo. Ma - come ho tentato di proporre in ciò che precede - è necessaria anche 22 CONFERENZA te e in linea di principio noi assumiamo una co-responsabilità per la soluzione progressiva di tutti i problemi del mondo-della-vita che possono essere posti e possibilmente risolti tramite quella cooperazione che ha luogo al livello del discorso pratico. Devo concludere con la seguente osservazione sintetica ed insufficiente su ciò che penso sia il più grosso problema per un’etica del discorso oggigiorno: il problema di organizzare in qualche modo la co-responsabilità collettiva di tutti i membri della comunità umana della comu- un’etica della co-responsabilità per le conseguenze derivanti dalle nostre attività collettive specialmente in vista della crisi ecologica. Ritengo che anche da questo punto di vista sia possibile trovare il punto archimedeo di una giustificazione pragmatico-trascendentale, riflettendo fino in fondo su ciò che dobbiamo aver riconosciuto allorché partecipiamo ad un serio discorso argomentativo su questi problemi. Perciò, a mio avviso, ogni seria domanda posta in quel contesto mostra che, ponendo le domande, implicitamen- Note nicazione. Ma questo problema, ovviamente, va ben oltre la giustificazione pragmatico-trascendentale del principio universalmente valido della co-responsabilità.36 1 A. Gehlen, Der Mensch, Bonn, Frankfurt a/ M. 1978. 2 J. von Uexküll, Theoretische Biologie, Frankfurt a/M. 1973. 3 K. Lorentz, Über tierische und menschliches, 2 voll., München 1965. 4 per esempio in A. Gehlen, Urmensch und Spätkultur, Wiesbaden 1977. 5 N. Luhmann, Die Wirtschaft der Gesellschaft, Frankfurt a/M. 1988; e F. A. von Hayek, New Studies in Philosophy, Politics and Economics, Londra 1978; e idem, “The Fatal Conceit, Part One: Ethics: The Taming of the Savage”, in Collected Works of F. A. von Hayek, Londra 1987. 6 A. Gehlen (si veda nota 4). 7 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Frankfurt a/M. 1979. 8 G. Maschke, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 7. 10. 1980 9 K. Lorenz, Die acht Totsünden der zivilisierten Menschheit, Monaco 1973 e idem, Das sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression, Vienna 1963, p. 413. 10 (Si veda nota 5); anche G. Radnitzky, “An Economic Theory of the Rise of Civilazation and its Policy Implications: Hayek’s Account Generalized”, in Jahrbuch für die Ordnung von Wirtschaft und Gesellschaft, n. 38 (1987), pp. 47-85. 11 M. Weber, Politik als Beruf, in Gesammelte politische Schriften, Tübingen 1958, pp. 493548; e idem, Der Sinn der Wertfreiheit e Wissenschaft als Beruf. 12 Riguardo al “sistema di complementarità” dell’ideologia liberale occidentale: K.-O. Apel, Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik, in idem, Transformation der Philosophie, ,,vol. II, Frankfurt a/M. 1973. 13 K.-O. Apel, The Common Presupposition of Hermeneutics and Ethics: Types of Rationality beyond Science e Technology, in J. Sallis (a cura di), Phenomenology and the Human Sciences, 1979, pp. 35-53; e idem, Types of Rationality Today: The Continuum of Reason between Science and Ethics, in Th. Geraets (a cura di), Rationality Today, Ottawa 1979, pp. 307-40. 14 (si veda le mie opere citate alle note 12 e 13). 15 C. Peirce, Collected Papers, a cura di Ch. Hartshorne e P. Weiss, Cambridge, Mass. 193135, vol. V, 354 ff. Anche K.-O. Apel, Charles S. Peirce, From Pragmatism to Pragmaticism, Amherst 1981, pp. 52 ff. 16 H. Schnädelbach, Was ist Neoaristotelismus?, in W. Kuhlmann (a cura di), Moralität und Sittlichkeit, Frankfurt a/M. 1986, pp. 38-63; e K.-O. Apel, Diskurs und Verantwortung, Frankfurt a/M. 1988, indice analitico. 17 K.-O. Apel, Wittgenstein und Heidegger: kritische Wiederholung und Ergänzung eines Vergleichs, di imminente pubblicazione in Der Löwe spricht und wir verstehen ihn nicht (raccolta di interventi al Simposio “Wittgenstein” di Francoforte del 1989); e idem, Sinnkonstitution und Geltungsrechtfertigung, Heidegger und das Problem der Transzendentalphilosophie, in Forum für Philosophie Bad Homburg (a cura di), Martin Heidegger: Inner- und Außenansichten, Frankfurt a/M. 1989, pp. 131175. 18 B. Williams, Ethics and Limits of Philosophy, Cambridge, Mass. 1985; e A. MacIntyre, After Virtue, a Study in Moral Theory, Londra 1981; e idem, Whose Justice? Which Rationality?, Londra 1988. 19 p.e. O. Marquad, Das Über-Wir. Bemerkungen zur Diskursethik, in K. Stierle & R. Warning (a cura di), Das Gespräch (Poetik und Hermeneutik, XI) München 1984. 20 H.-G. Gadamer, Über die Möglichkeit einer philosophischen Ethik, in idem, Kleine Schriften, I, Tübingen 1967, pp. 179 ff. 21 K.-O. Apel, G. Bien & R. Bubner, “Podiumsdiskussion unter Leitung von W. Ch. Zimmerli”, in Hegel-Jahrbuch 1987, pp. 13-48. 22 K.-O. Apel, “The problem of a Macroethics of Responsability to the Future in the Crisis of Technological Civilazation: An Attempt to come to terms with Hans Jonas’ Principle of Responsability, in Man and World, n. 20 (1987), pp. 3-40. (Versione tedesca in K.-O. Apel, Diskurs und Veratwortung, cit.). 23 J.-F. Lyotard, “Histoire universelle et différences culturelles”, in Critiques, n. 456 (1985), pp. 559-568. 24 L. Ferry & A. Renaut, La Pensée 68, Parigi 1985, p. 45. 25 J.Rawls, A Theory of Justice, Cambridge, Mass. 1971, 11. 23 26 J. Rawls, “Justice as Fairness: Political not Metaphysical”, in Philosophy and Public Affairs, vol. 14, n. 3 (1985), pp. 223-251. 27 R. Rorty, The Priority of Democracy to Philosophy, in M. Peterson & R.Vaughan (a cura di), The virginia Statute of Religious Freedom, Cambridge, Mass. 1988; si veda anche la mia analisi critica di questo lavoro in Diskurs und Verantwortung, pp. 397 ff. 28 J. Rawls, A Theory of Justice, 25. 29 K.-O. Apel, “Normative Ethics and Strategical Rationality: the Philosophical Problem of a Political Ethics”, in Graduate Faculty Philosophy Journal, 9/1 (1982), pp. 81-108; ripubblicato in R. Schumann (a cura di), The Public Realm. Essays on Discursive Types in Political Philosophy, New York 1989, pp. 107-131. 30 in J. Rawls, “Justice as Fairness...”, cit., specialmente p. 237, n. 20. 31 J. Rawls, “Kantian Constructivism in Moral Theory”, in Journal of Philosophy, 1980, p. 519. 32 la mia opera citata alla nota 17. 33 R. Rorty, op. cit. (si veda nota 27). 34 In questo senso le negoziazioni (cioè le contrattazioni) potrebbero equivalere a una restrizione della comunicazione, poiché esse sostituiscono le pretese di validità moralmente rilevanti e la loro discussione con proposte di vantaggi e minacce (cioé: la razionalità discorsiva con la razionalità strategica); un altro tipo di comunicazione ridotta è la persuasione retorica nel senso della Überredung (cioé: della razionalità segretamente strategica). Un nuovo inizio - ma, penso, solo un inizio - nell’analisi di questi intricati problemi è stato attuato da J. Habermas in Theorie des Kommunikativen Handelns, Frankfurt a/M. 1981. Si veda anche A. Honneth & J. Joas (a cura di), Kommunikatives Handeln, Frankfurt a/M. 1986; K.-O. Apel, “Läßt sich ethische Vernunft von strategischer Rationalität unterscheiden?”, in Archivio di Filosofia, n. 51 (1983), pp. 373-434; e idem, “Sprachliche Bedeutung, Wahrheit und normative Gültigkeit. Die soziale Bindekraft der Rede in Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik”, in Archivio di Filosofia, n. 55 (1987), pp. 51-88.5. 35 K.-O. Apel, The Problem of Philosophical Foundation in Light of a Transcendental Pragmatics of Language, in K. Barnes, J. Bohman & Th. McCarthy (a cura di), Philosophy: End or Transformation?, Cambridge, Mass. 1987, pp. 250-290; e idem, Fallibilismus, Konsenstheorie der Wahrheit und Letztbegründung, in Forum für Philosophie Bad Homburg (a cura di), Philosophie und Begründung, Frankfurt a/M. 1987, pp. 116-211. 36 in particolare, c’è il problema morale di come AUTORI E IDEE Hans Jonas e Jürgen Habermas 24 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Habermas: fatticità e validità del diritto In FAKTIZITÄT UND GELTUNG. BEITRÄGE ZUR DISKURSTHEORIE DES RECHTS UND DES DEMOKRATISCHEN RECHTSSTAATS (Fatticità e validità. Contributi alla teoria del discorso del diritto e dello stato democratico di diritto, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Jürgen Habermas intende sviluppare un nuovo programma di ricerca, in cui temi della tradizionale “filosofia del diritto” vengono collegati da una parte a una teoria dello stato, del diritto e della costituzione, dall’altra a una filosofia della società. Con questa nuova, imponente opera, che in Italia ha fatto parlare frettolosi commentatori di una sua svolta “a destra”, Jürgen Habermas sembra voler sottoporre alla prova della teoria e della prassi politica e giuridica i principi generali da lui sviluppati nella precedente summa del suo pensiero, la Teoria dell’agire comunicativo, e nei successivi contributi per un’ “etica del discorso” fondata razionalmente (cioè attraverso procedure della discussione intersoggettiva). Il programma di ricerca presentato da Habermas in quest’opera sembra avere infatti come suoi principali interlocutori coloro che sono attivi nel sistema giuridico e politico. Per quanto riguarda i primi, Habermas mette in guardia dal pericolo di una “crescente scepsi giuridica”. Il mondo della politica dovrebbe invece riconoscere che lo stato di diritto non può esistere e non può conservarsi senza una “democrazia radicale”. Tutta l’opera è attraversata da un confronto, ora esplicito, ora implicito, con le tesi di Niklas Luhmann che nega ed esclude in linea di principio ciò che più importa ad Habermas: lo sviluppo di una fondazione razionale in vista della costruzione di una teoria normativa. E Habermas, che considera stato di diritto e morale universalistica come componenti imprescindibili della coscienza moderna e del progetto (da compiersi) della modernità e dell’Aufklärung, ricambia vedendo nella teoria dei sistemi luhmanniana una forma di scientismo obiettivistico. Per quanto riguarda l’ambito del diritto, Luhmann e Habermas si trovano d’accordo circa il fatto che nelle proposizioni giuridiche si esprima l’aspettativa che i destinatari di tali proposizioni si comportino in un determinato modo. Ma l’accordo finisce qui. Habermas fonda infatti il carattere obbligante delle proposizioni giuridiche attraverso la sua teoria degli atti linguistici, e mette così l’accento sul momento del riconoscimento delle norme attraverso un’intesa razionale. Per la comprensione dell’attesa di un comportamento implicita nella proposizione giuridica, Luhmann utilizza invece gli strumenti di una teoria psicologica dell’apprendimento da lui sviluppata in senso sociologico. Diversa, nei due pensatori, è anche la concezione del sistema giuridico e della sua legittimità. I sistemi giuridici sono per entrambi un sistema funzionale specializzato, sviluppatosi in seguito ad un processo di differenziazione. Ma, mentre per Luhmann il sistema giuridico si riproduce autonomamente, collocandosi accanto ad altri sistemi, tra cui quello politico, per Habermas il diritto positivo è un sistema conoscitivo e pratico legato al “mondo della vita”, in cui cultura, individui e società si presuppongono reciprocamente. In quanto sistema di conoscenze il diritto è legato alla morale in un “rapporto di integrazione”. In quanto sistema pratico ha un carattere di obbligazione istituzionale ed è legato alla politica. Così, mentre per Luhmann la questione della legittimazione è risolta in partenza (in quanto ogni sistema legittima se stesso), per Habermas, come risulta dal titolo stesso della sua recente opera, la validità del diritto positivo, la legittimità del sistema giuridico, il rapporto tra idea e realtà dello stato di diritto diventano un problema centrale. Nonostante questa contrapposizione, che potrebbe essere sintetizzata come contrapposizione tra “teoria della società” e “tecnologia sociale”, Habermas sembra fare propri alcuni risultati dell’analisi luhmanniana e parla di una “doppia prospettiva”, secondo la quale l’approccio sociologico, utile ai fini della comprensione del fenomeno del diritto (contro sue troppo frettolose riduzioni a “epifenomeno”), andrebbe integrato attraverso una ricostruzione del contenuto morale degli ordinamenti giuri25 dici moderni. Questa prospettiva di indagine viene messa alla prova ed esemplificata soprattutto nell’analisi della cittadinanza, un problema rispetto al quale Habermas avanza l’esigenza di un’accentuazione dell’autonomia del cittadino. Il carattere politico della concezione habermasiana del diritto emerge però soprattutto laddove egli pone il problema di “come può essere sviluppato lo stato democratico di diritto nelle società complesse”, confrontandosi con le discussioni svoltesi su questo tema tra i filosofi della politica e i teorici della società negli Stati Uniti (Walzer, Rawls). Le difficoltà nella realizzazione dei principi dello stato di diritto sono per Habermas da attribuirsi a un’ “insufficiente istituzionalizzazione” di tali principi. Habermas ammette di non avere a disposizione ricette per un rafforzamento dello stato democratico, anche se suggerisce una “democratizzazione dell’amministrazione”, vedendo in ciò un problema di «cooperazione tra fantasia istituzionale e cauta messa alla prova». «La custodia di una sfera pubblica autonoma, una partecipazione più ampia dei cittadini, l’addomesticamento del potere dei media e la funzione di mediazione di partiti politici non statalizzati”: questi alcuni degli obiettivi pratico-politici indicati da Habermas in vista di un rafforzamento dello stato di diritto inteso come espressione di una “democrazia radicale”. M.M. Hans Jonas: gnosi, nichilismo e libertà Il 5 febbraio è scomparso a New York, all’età di novant’anni, Hans Jonas. La sua fama in Italia è piuttosto recente e risale alla traduzione de IL PRINCIPIO RESPONSABILITÀ. UN’ETICA PER LA CIVILTÀ TECNOLOGICA (Einaudi, Torino 1990). Lo ricordiamo anche in occasione della recente pubblicazione di una raccolta di saggi, TRA IL NULLA E L’ETERNITÀ (a cura di Giancarlo R. Rilke, Gallio, Ferrara 1992), che offre uno sguardo d’insieme su aspetti diversi della riflessio- AUTORI E IDEE ne jonasiana. Di Hans Jonas è stato spesso sottolineato l’interesse per gli aspetti più concreti del dibattito etico. Anche questa raccolta di saggi non smentisce il rilievo. Stando a quanto egli stesso ha affermato, la vita intellettuale di Hans Jonas può essere divisa in due parti, quella relativa alla sua interpretazione della gnosi e quella che lo vede voce autorevole nel dibattito etico contemporaneo. La svolta intellettuale di Jonas, da studioso di un lontano fenomeno culturale a interlocutore importante nella discussione di specifici problemi etici, sullo sfondo di argomentazioni provenienti dalla biologia, se da un lato è certo riconducibile a motivazioni di carattere biografico - l’emigrazione dalla Germania dopo il 1933, l’esperienza familiare dell’olocausto, l’impegno nel movimento sionista - dal punto di vista teoretico è meno profonda e inaspettata di quanto possa a prima vista apparire, qualora si considerino i presupposti e le ripercussioni della sua indagine sullo gnosticismo. Essa trova riscontro nella formazione di Jonas, dove confluiscono l’impostazione teologica di Rudolf Bultmann e un’idea dell’esistenzialismo riconducibile alla prima fase della riflessione di Martin Heidegger. Respingendo la tradizionale riconduzione del fenomeno gnostico a una sorta di contaminazione ellenizzante dei dogmi del Cristianesimo, che tende a riconoscerne il fondamento nell’aspetto conoscitivo, piuttosto che in quello morale o in quello religioso, Jonas legge nello gnosticismo una reazione all’armonicismo implicito nelle ontologie, cosmologie ed etiche di origine greca. Attraverso la lente “esistenzialista” di Jonas, lo gnosticismo, le cui ascendenze vanno cercate nel mondo orientale, appare come un fenomeno originale rispetto alla cultura ellenica. Come ricorda Giancarlo R. Rilke nella nota introduttiva alla recente edizione italiana di Tra il nulla e l’eternità, in quest’opera l’orizzonte ermeneutico si fonda sull’ipotesi che lo gnosticismo rappresenti la risposta a una determinata disposizione esistenziale dell’uomo occidentale nel periodo tardo-antico. Tale ipotesi aveva però il carattere della precomprensione, perché la scelta del materiale che doveva costituire il fenomeno gnostico era guidata da questa stessa ipotesi, e non poteva che verificarla. Con questo Jonas contraeva un debito nei confronti della riflessione di Heidegger da un duplice punto di vista, metodologico (il procedimento definitorio dell’oggetto dell’indagine ripercorre, con evidenza, la strada indicata dalla nozione di “circolo ermeneutico”) e contenutistico (determinante per la comprensione di un fenomeno culturale è la “tonalità emotiva” in cui esso accade). E’ su questo secondo versante che può essere rintracciato un elemento di continuità nella parabola intellettuale di Jonas, rispetto alla quale la ricerca sullo gnostici- smo, che ne costituisce la prima parte, offre un significativo riscontro, dal punto di vista teoretico, degli effetti di un tale atteggiamento interpretativo. Il nichilismo, di cui lo gnosticismo tardo-antico rappresenterebbe, a parere di Jonas, un epifenomeno, mutua, infatti, le proprie caratteristiche dal nichilismo contemporaneo post-nietzscheano, e le soluzioni che quella lontana esperienza storica ha prodotto possono valere per illuminare la situazione presente. Su questi argomenti, il primo dei saggi raccolti in Tra il nulla e l’eternità, che porta il titolo: “Gnosi, esistenzialismo e nichilismo”, la cui prima redazione risale al 1952, fornisce indicazioni esplicite, nonché una radicalizzazione delle posizioni, rispetto alla precedente e maggiore opera sullo gnosticismo. La stessa posizione heideggeriana rientra infatti qui, a pieno titolo, nel nichilismo contemporaneo, la cui connessione con lo gnosticismo viene da Jonas stabilita sulla base del soggettivismo soggiacente a quest’ultimo, per il quale «era in gioco un interesse metafisico positivo: l’affermazione dell’autentica libertà del sé». Poiché tale libertà viene attribuita non alla psiche umana, ma solo al suo spirito, sul dualismo che così viene a crearsi fra uomo e natura, fra l’uomo da una parte e l’essere nella sua totalità dall’altra, sorge l’edificio del nichilismo. Il compito della filosofia, secondo Jonas, consiste allora nel porre rimedio agli effetti di tale frattura - l’estraniamento dell’uomo - senza rinunciare a essa; senza rinunciare, cioè, a ciò che rappresenta la differenza costitutiva dell’uomo. La nozione di “organismo” è la via che, sulla strada della costruzione di una “filosofia della vita”, porta Jonas a elaborare una nozione di libertà connessa a quello che egli definisce “principio responsabilità”. La libertà è, biologicamente e storicamente, situazionata, essendo radicata nella responsabilità che la lega a ciò nei cui confronti essa viene esercita. In questo senso, nel terzo dei saggi contenuti nel volume Tra il nulla e l’eternità, intitolato “Immortalità ed esistenza odierna”, Jonas recupera il concetto di immortalità, inteso come “immortalità delle azioni”. Scartata come problematica l’idea dell’immortalità della persona, una volta che si assume il carattere finito dell’esistenza umana, il legame dell’uomo con l’eternità può costituirsi solo sulla base dell’iscrizione in essa delle sue azioni; fatto, questo, che non comporta per l’individuo alcun motivo di vanitoso orgoglio, osserva Jonas, bensì il definirsi della sua libertà a partire dalla sua responsabilità. La traduzione, risalente al 1990, de Il principio responsabilità ha segnato la notorietà del filosofo tedesco in Italia, nonché l’inizio della traduzione di altre sue opere: Lo gnosticismo (SEI, Torino 1991), Dalla fede antica all’uomo tecnologico (Il Mulino, Bologna 1991), Il diritto di morire (Il Melangolo, Genova 1991), Il concetto di 26 Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova 1991). Il “principio responsabilità”, propugnato da Jonas, comporta un evidente riferimento polemico al “principio speranza” di Ernst Bloch, nel cui ottimismo Jonas legge una sottovalutazione delle potenzialità distruttive delle tecnica. Oltre a ciò, Jonas rimprovera all’impostazione blochiana di prescindere dalle condizioni reali in cui è collocato l’agire umano, e di dar luogo in tal modo a un prometeismo che, proprio sulla base della scienza e della tecnica, dovrebbe aprire alla speranza di riappropriazione, da parte dell’uomo, della propria essenza, alienata nella società capitalista. Il “principio responsabilità” jonasiano costituisce, d’altra parte, anche una presa di distanza dal catastrofismo, nella convinzione (di matrice heideggeriana) che la tecnica costituisca il destino dell’uomo, e nell’accettazione, in questa prospettiva, di un’etica della responsabilità, concepita come valutazione del legame tra azione e sue conseguenze concretamente prevedibili. F.C. Etica integrativa tra arte del vivere e filosofia Con il volume INTEGRATIVE ETHIK (Etica integrativa, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Hans Krämer, docente all’Università di Tubinga e già autore di uno studio sul concetto di virtù in Platone e Aristotele, presenta un denso bilancio di una riflessione trentennale sui problemi dell’etica e della filosofia pratica. L’idea di un’etica “integrativa”, come viene sviluppata da Hans Krämer, si presenta come una teoria del retto vivere e al tempo stesso come una forma della “filosofia pratica”, intendendo con questo conciliare una descrizione asistematica dell’esistenza umana, e delle modalità attraverso cui essa cerca di realizzare la felicità, con il rigore e la “scientificità” della dimensione concettuale e filosofica. Krämer si trova così immediatamente di fronte a una domanda di fondo: qual è il rapporto tra le obbligazioni morali di un individuo e la sua tendenza alla realizzazione di se stesso? A questa domanda egli intende rispondere superando il contrasto, tipico di diverse forme di filosofia pratica, secondo cui tutto ciò che non è suscettibile di una trattazione nell’ambito di questioni di carattere fondativo e di principio deve cadere nel contenitore ampio e privo di differenziazioni dell’ “arte del vivere”. Krämer esprime il contrasto tra obbligazione morale e realizzazione individuale anche attraverso i concetti di “dovere” (Sollen) e di “volere” (Wollen). «Il dovere dotato di validità è un volere qualificato», suona la tesi fondamentale dell’opera. Per AUTORI E IDEE definire cosa sia un volere qualificato, Krämer utilizza il concetto di orizzonte d’attesa che fonda una norma (dalla morale particolare di una coppia fino all’etica di una cultura o di un’epoca). Un volere “qualificato” è per Krämer un volere che, in un ordinamento di valori di tipo gerarchico, può riferirsi ad esigenze relative all’orizzonte di attesa più elevato. Il consenso svolge in questo contesto il ruolo di istanza di controllo e di rettifica. Nella storia della filosofia si potrebbero trovare numerosi esempi del tentativo di stabilire criteri comunicativi e razionali della validità delle norme morali, dall’imperativo categorico kantiano fino alla fondazione ultima di Apel. Krämer sposta la ricerca di un principio fondativo sul terreno della molteplicità dei mondi della vita: «Si danno nella costituzione morale solo opzioni estensive, che si sono affermate nella competizione con altre, ma non si dà nessuna forma aprioristica di ragione». Al volere e alle emozioni spetta così, nella costituzione delle norme e dei rispettivi rapporti gerarchici, altrettanta importanza che alle motivazioni razionali. Ma per rendere efficaci e concrete queste due istanze, Krämer introduce un terzo concetto fondamentale, una vecchia conoscenza della riflessione sull’etica: il “potere” (Können), cioè la “capacità” umana di realizzare o di fare qualche cosa. L’etica integrativa krämeriana ruota così attorno ai tre perni del volere, potere e dovere. Nonostante l’affermazione dell’esigenza di un’etica pluridimensionale, che corrisponda alla molteplicità dell’esperienza umana, Krämer sembra però conferire maggior peso al potere e al volere, affermando con ciò un relativo primato di quella che egli chiama Strebensethik (“etica dell’aspirazione” o della “tensione” dell’individuo alla propria realizzazione nel mondo) rispetto all’etica del dovere. Per questo aspetto l’autore parla del dovere e dello Streben come di due diversi “rami” dell’etica, che si situano in un rapporto di complementarità. Entrambi dovrebbero conferire all’individuo quel bisogno di orientamento che secondo Krämer rappresenta un fattore decisivo della coscienza nel momento attuale. M.M. Realtà e democrazia del sapere La recente uscita di due nuovi libri di Hans Jörg Sandkühler, DIE WIRKLICHKEIT DES WISSENS (Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991) e DEMOKRATIE DES WISSENS (VSA, Hamburg 1991) offre l’occasione per occuparci dell’intensa attività di una delle più significative personalità del panorama filosofico odierno in Germania. Ha anche diretto la EUROPÄISCHE ENZYKLOPÄDIE ZU PHILOSOPHIE UND WISSENSCHAFTEN (4 voll., Meiner, Hamburg 1990), cui hanno partecipato oltre 380 studiosi di ogni parte del mondo, e va pubblicando dal 1991 la rivista “Dialektik”: due imprese in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Hans Jörg Sandkühler è autore estremamente attento al problema del quadro del sapere (e quindi dell’ “enciclopedia”) in un’epoca in cui esso cresce ad un ritmo vertiginoso, soprattutto in campo scientifico, ma rischia anche di alimentare un senso di dispersione, frammentazione, smarrimento e di perdere ogni concreta fruibilità culturale e sociale. Questa preoccupazione è sullo sfondo anche del suo recente lavoro, Demokratie des Wissens. E’ chiaro che un nuovo quadro d’insieme, una nuova immagine del mondo e dell’uomo, avrà senso se cercheremo anzitutto di adeguare le nostre concezioni, in tutti i campi, ai livelli più avanzati del sapere. Ed è indiscutibile che nel sapere contemporaneo la maggior rivoluzione si è avuta in campo scientifico. Nelle scienze della natura, attraverso teorie come la meccanica quantistica, si è prodotta un’immagine del mondo non più caratterizzata dal rigido determinismo di un tempo. Non si può pensare che il mondo abbia un ordine assoluto precostituito. Non esiste un punto di vista divino da cui cogliere la connessione necessaria del Tutto. La presunzione di un ordine unico della realtà va ormai definitivamente rimossa anche dalle teorie sull’uomo e sulla società. In questo quadro dev’essere rettificata anche la visione marxista, afferma ancora Sandkühler, che del marxismo è uno dei maggiori studiosi attuali. Tale visione è andata soggetta in passato ad un notevole irrigidimento, per uscire dal quale il marxismo stesso deve tra l’altro superare l’ostilità che ha spesso dimostrata verso l’empirismo, da molti considerato erroneamente sinonimo di riferimento immediato all’esperienza. In realtà, sostiene Sandkühler in Die Wirklichkeit des Wissens, si possono rilevare in Marx effettivi elementi empiristici: «Se l’empirismo, correttamente inteso, nella tradizione che parte da Bacone e da Locke significa quella filosofia dell’esperienza che non si esaurisce in una pura duplicazione delle percezioni sensibili, ma implica una costruzione razionale di dati empirici in modo da pervenire a leggi e regolarità, allora il tipo di teoria “Marx” era concepito empiristicamente. Così non può meravigliare che Marx, pur trasferendo di rado per analogiam nozioni delle scienze naturali nella teoria della società, abbia trovato il paradigma di quest’empiria nel procedimento conoscitivo delle scienze naturali». Sintomatico dell’irrigidimento della visione marxista, secondo Sandkühler, è proprio anche il fatto che solo di recente si sia rilevato il significato e la portata dell’attenzione dimostrata da Marx verso molteplici tematiche scientifico-naturali, e proprio nel senso di sottolineare il carattere costruttivo 27 e non puramente descrittivo o induttivistico dei loro procedimenti, che in certa misura diventano un modello anche per la scienza dell’uomo. Può apparire sorprendente che, sulla scorta di un certo storicismo, si consideri riduttivo e reificante ogni accostamento delle scienze dell’uomo a quelle della natura; qui però non si tratta di un appiattimento, di prospettive e metodi, bensì di un utile confronto con atteggiamenti epistemologici emersi in modelli di sapere elaborati nelle scienze esatte e naturali, ormai lontane da un totalizzante programma meccanicistico. L’empirismo genuino - continua Sandkühler - va dissociato da un “positivismo” inteso come ideale di una conoscenza basata su una riproduzione di “fatti” già in sé compiuti. La nuova immagine del mondo è legata alla capacità costruttiva della nostra conoscenza. La nostra realtà è quindi la realtà del nostro sapere. Di qui la proposta di un “realismo epistemologico” contrapposto a quello metafisico o del cosiddetto senso comune, mirante ad una riproduzione della realtà, ad una “ontologia della rappresentazione”. Il realismo epistemologico - leggiamo in Demokratie des Wissens - «può rapportarsi alla rivoluzione copernicana di Kant; ciò naturalmente solo se Kant viene inteso non come fondatore dell’idealismo, ma come complemento critico dell’empirismo razionale, avviato con Galilei e Bacone e portato avanti da Locke e Hume». Questo realismo, che vuole poggiare equilibratamente sui “due pilastri” della conoscenza, sfocia infine nella concezione dell’esperienza come “carica di teoria” (ma anche della teoria come carica di fattualità, come ha precisato Goodman). Un ruolo rilevante, nella nuova prospettiva, va assegnato al “materialismo razionale” di Bachelard, che accentua la discontinuità tra la conoscenza comune e quella scientifica, che in certo qual modo si crea nuovi oggetti. Nella discussione poi degli autori più recenti Sandkühler si avvicina alquanto al realismo interno di Hilary Putnam, il quale contesta da una parte la concezione “positivistica” e non storicizzata del mondo della scienza come insieme di “dati sensoriali”, ma dall’altra critica anche il costruttivismo estremo (per cui sembra che lo spirito crei il mondo) o il “piatto relativismo” di Feyerabend. Rifiutato l’esternalismo del “realismo metafisico”, Putnam sostiene che i nostri oggetti di conoscenza sono individuati, definiti e accettati in base ai nostri concetti: abbiamo un’ “obiettività per noi” al posto di quella dell’ “occhio divino”. In Die Wirklichkeit des Wissens - ricca introduzione storica alla teoria della conoscenza e all’epistemologia - la discussione delle concezioni recenti si estende a Richard Rorty, a J. Searle, agli esponenti del scientific materialism, dell’epistemologia evoluzionistica e del costruttivismo radicale, nonché a studiosi marxisti, a proposito dei quali leggiamo: «La teoria della AUTORI E IDEE conoscenza materialistico-dialettica oggi va sempre maggiormente trasformandosi e si avvicina visibilmente ai principi del realismo interno […]. Ciò che veniva chiamato “rispecchiamento” si rivela ora come costruzione della realtà del sapere». L’approdo della ricerca di Sandkühler appare rappresentato da un’ontoepistemologia intesa dialetticamente come «teoria ontologica, in quanto interpreta le forme del sapere come forme d’essere» ed insieme «epistemologia, in quanto interpreta i “dati della realtà” come risultati di una costruzione epistemica, cioè mediante il sapere». Se il sapere non è scoperta di una struttura assoluta e precostituita, ma perenne (ri)costruzione da parte dei soggetti umani, si apre a questo punto un «passaggio dall’epistemologia all’etica epistemica» e il «realismo epistemologico fonda il diritto degli uomini al sapere». Quest’originale tentativo di allargamento della carta dei diritti dell’uomo prende consistenza dal rilevamento di una contraddizione tra il carattere attivo del conoscere, esaltato in particolare dall’attuale crescita complessiva della scienza, e gli aspetti di alienazione e restringimento del sapere individuale, che emergono dalla disgregazione della cultura ridotta ad elementi frammentari di consumo passivo, staccata dalla vita dei cittadini, sottratta a una loro vera partecipazione. «La contraddizione tra allargamento obiettivo e limitazione soggettiva del sapere è oggi - in società a “infrastruttura basata sul sapere” - uno dei problemi globali, poiché porta alla crisi non di questo o quel sapere, bensì alla crisi di ciò che costituisce un adeguato concetto di sapere: minaccia di distruggere l’universo di significati, la semantica dell’immagine del mondo, della quale dobbiamo disporre per poter concepire noi stessi come costruttori di un possibile mondo razionale». Non resta che riprendere un incessante sforzo di intercomunicazione dei saperi, di ristrutturazione dei complessi categoriali, di dialogo e confronto, per ritrovare, in uno spirito democratico, i fili di un possibile precorso attraverso la difficile, complessa realtà contemporanea. F.V. Gioco e giochi La riscoperta di un portato ontologico della categoria di gioco, che possa concorrere a definire i confini genealogici della ragione umana, in una prospettiva che connetta il “gioco del mondo”, come “gioco di Dio”, al gioco dell’uomo; è questo l’itinerario di pensiero del saggio di Francesca Brezzi, A PARTIRE DAL GIOCO. PER I SENTIERI DI UN PENSIERO LUDICO (prefazione di Paul Ricoeur, Marietti, Genova 1992). Dal “gio- Pieter Bruegel, Combattimento fra Quaresima e Martedì Grasso (1559), 28 co” ai giochi linguistici: il volume di Michele Francipane, LUDOGRAMMI . LE PAROLE GIOCOSE. PRATICA DEI GIOCHI LINGUISTICI (prefazione di Bruno Munari, Mursia, Milano 1992) ne evidenzia il carattere profondamente umano, a tal punto profondo da trascendere l’identità individuale dell’homo ludens e fare del gioco linguistico da un lato il patrimonio di una tradizione culturale, dall’altro una pratica cognitiva. L’impostazione che guida le riflessioni di A partire dal gioco viene dichiarata da Francesca Brezzi fin dalle battute d’apertura dell’opera: ripercorrere le fasi della partita filosofica che il gioco ha condotto, contro i tentativi di emarginarlo da parte della ragione logica e sistematica, in vista dell’elaborazione di una filosofia del gioco che possa essere espressione della condizione umana, cioè del rapporto fra coscienza e destino. Su questa strada, nota Paul Ricoeur nella sua Prefazione al volume, si può incontrare l’obiezione dei moralisti, che vedono nel gioco una fuga dal principio di responsabilità etica individuale (e non colgono il carattere creativo e liberatorio dell’attività ludica nei confronti delle sistematizzazioni della ragione strumentale); ma si può incontrare anche l’opposizione di quegli epistemologi che non colgono il valore dell’affermazione del carattere di irriducibilità dell’istanza polisemica. Tuttavia il piano sul quale si colloca l’indagine di Brezzi è, dichiaratamente, quello ontologico; lungi da una posizione estetizzante, come dall’apologia di una generica ludicità, il concetto di gioco si connette per l’autrice al logos umano e al legame dell’uomo con la totalità dell’essere tramite l’identificazione di gioco e sacro, dove il motivo dell’homo ludens si congiunge a quello del Deus ludens. Le due tappe della ricerca riguardano in primo luogo la “fenomenologia del gioco”, dove quest’ultimo si manifesta nelle attività dell’uomo, e in secondo luogo la dimensione sacra del gioco medesimo, come spazio dell’irruzione della trascendenza nella finitezza umana. Il gioco come atto libero appare dunque costitutivo del pensiero, come già mostrava Kant con la sua dottrina del giudizio estetico, che è «libero gioco delle facoltà rappresentative»; laddove si verifica non una situazione di anarchismo gnoseologico, ma il predominio della facoltà immaginativa, che comporta un particolare tipo di accordo delle altre facoltà. Il gioco si qualifica, d’altra parte, anche come prassi critica: nel suo manifestarsi nel fenomeno del comico, esso diventa la leva per il rovesciamento della metafisica della presenza. In questa accezione il gioco si presenta come fondamento di una logica alternativa ai valori costituiti, il sintomo di una crepa che attraversa il dato esistente. E’ però nella seconda parte di A partire dal gioco, dedicata al rapporto fra gioco e religione, che emerge la finalità della ricer- AUTORI E IDEE Hieronymus Bosch, La nave dei folli (1490-1500), particolare ca di Brezzi, che costeggia quelle riflessioni configuranti una “teologia ludica”. Il passaggio dall’homo faber all’homo ludens rappresenta infatti, nelle intenzioni dell’autrice, la scoperta dell’elemento ludico come costitutivo dello statuto ontologico dell’esistenza umana, nell’intento di delineare un “umanesimo alternativo”, dove il gioco, in quanto cifra dell’umana esistenza, diviene categoria (si rammenti la tematica pascaliana della scommessa) propria della finitezza umana nella sua tensione alla trascendenza. L’homo ludens, tramite il carattere di gratuità del suo atto, diviene così partecipe di un tratto caratteristico del divino; diviene, anzi, partecipe del medesimo gioco in quell’incontro, ludico in quanto libero, che è l’ascensione a Dio, quale si realizza nella preghiera e nella liturgia sacra. Gli elementi di creatività e libertà presenti nell’atto ludico, inseriti questa volta in una dichiarata prospettiva pedagogica, sono anche il criterio ispiratore della raccolta di giochi linguistici di Michele Francipane; Ludogrammi non è un’antologia, ma una classificazione ragionata di giochi linguistici che presuppongono, come sostiene Bruno Munari nella sua Prefazione, l’uso dei sensi, oltre a quello della ragione. Il concetto di “ludogramma”, coniato dall’autore, sta a indicare proprio i giochi linguistici verbali ed extraverbali, realizzabili, cioè, tanto con grafemi, quanto con segni di altro genere. La nozione di ludogramma sottolinea anzitutto il carattere euristico del gioco, tale per cui l’elemento di libertà dell’attività ludica si coniuga con quello dell’utilità. In altri termini, alla gratuità del gioco la prospettiva ludogrammatica connette la finalizzazione, dal momento che il carattere euristico dell’attività ludica, implicito nella classificazione di “ludogramma”, si realizza in un apprendimento orientato all’acquisizione di una strumentalità creativo-formativa e di una inventivo-risolutiva. La nozione di ludogramma, proprio per il carattere semiotico che viene conferito all’attività ludica, comporta in secondo luogo la considerazione della dimensione sovraindividuale a essa pertinente. L’analisi ludogrammatica, dunque, anche solo per ciò che riguarda l’uso ricreativo-evasivo del gioco, implica una relazione fra gioco e tradizione culturale che, a parere di Francipane, si determina in senso biunivoco come identificazione: non solo il gioco come cultura, ma la tradizione culturale stessa come gioco, anzi come ludogramma: gioco di segni, cioè gioco di rimandi, semiosi aperta. Il criterio di classificazione dei ludogrammi, di cui quelli presentati in questo libro costituiscono il primo volume del piano complessivo dell’opera, è disciplinare e pone capo a una prima partizione fra ludogrammi verbali, extraverbali e integrati, e a un’ulteriore suddivisio29 ne dei ludogrammi extraverbali in analogici, antropologici, scientifici, e non verbali. La prospettiva umanistica dell’opera porta con sé una forte motivazione pedagogica, sulla base del presupposto che il gioco, come sostiene l’autore, già di per sé parli sempre un suo linguaggio cognitivo, relazionale, sociale, creativo e ricreativo. F . C . La natura del linguaggio Con la sua opera DIE NATUR DER SPRACHE. DIE D YNAMIK DER P ROZESSE DES S PRECHENS UND VERSTEHENS (La natura del linguaggio. La dinamica dei processi del parlare e del comprendere, De Gruyter, Berlin 1991) Helmulth Schnelle si propone di conferire un nuovo orientamento alla ricerca linguistica, da lui intesa come scienza, ispirata al metodo delle scienze naturali, dei processi dinamici del parlare e del comprendere. Diverse sono le concezioni del linguaggio che stanno alla base dei diversi orientamenti della linguistica contemporanea. Per citare solo quelle fondamentali, la lingua può essere intesa come sistema di segni o mezzi espressivi, come un insieme di attività e comportamenti, come un aspetto della costituzione psichica e neuro-biologica dell’essere umano e come l’insieme degli effetti dei processi complessi del par- AUTORI E IDEE lare e del comprendere sull’organismo umano. In relazione alla concezione del proprio oggetto, e del metodo adeguato a coglierlo, le teorie del linguaggio possono venire dunque di volta in volta a trovarsi in compagnia di scienze come la matematica e la logica, di dottrine filosofiche o sociologiche del comportamento umano, della psicologia e della biologia. A favore di una concezione dello studio della lingua come scienza di carattere “naturalistico” si schiera nettamente uno dei linguisti di primo piano dell’area culturale tedesca, Helmuth Schnelle. Nella sua recente opera, Die Natur der Sprache, con la quale egli si propone di sviluppare un nuovo orientamento nella ricerca in questo campo, egli intende la linguistica come una scienza (ispirata ai criteri di scientificità delle scienze della natura) dei processi dinamici del parlare e del comprendere. Se la linguistica del XX secolo si è riferita prevalentemente alla lezione di Ferdinand de Saussure, i geni ispiratori di Schnelle sono Newton e Leibniz. Sul piano storico Schnelle rintraccia nel passato della linguistica, accanto ai paradigmi che intendono la lingua come sistema di segni e a quelli di tipo strutturalistico, una tradizione di carattere descrittivo, che considera la lingua dal punto di vista dinamico e genetico. E’ rifacendosi a questa linea che, secondo Schnelle, i fenomeni della lingua possono essere accessibili a un’impostazione di tipo naturalistico, attraverso indagini epistemologiche, concettuali e di critica della lingua. Se le analisi particolari di tale linguistica (ad esempio nel campo dei fondamenti della “linguistica delle reti”: Netzlinguistik) risultano interessanti (e comprensibili) solo per gli specialisti di settori della linguistica, delle scienze neurologiche e della computerscience, la concezione di fondo della lingua che emerge dall’opera di Schnelle può forse sollevare interesse e discussioni in ambiti più ampi. M.M. Coscienza e linguaggio Nel volume DER BEGRIFF DES BEWUSSTEINE BEDEUTUNGSANALYSE (Il concetto di coscienza. Un’analisi del significato, Klostermann, Frankfurt a. M. 1992) Hubert Schleichert intende presentare non una teoria della coscienza o una critica delle teorie esistenti, ma un’analisi dei diversi concetti di coscienza reperibili nella storia della riflessione filosofica. SEINS. L’opera di Hubert Schleichert si ispira alla tesi, tipica delle filosofie di matrice analitica (e sostenuta tra l’altro anche da Wittgenstein), secondo la quale molti problemi filosofici nascono da un’utilizzazione impropria del linguaggio. Propedeutica a ogni costruzione di teorie è dunque, in questa prospettiva, un’analisi del linguaggio che stabilisca i limiti entro i quali un determinato termine può essere utilizzato in modo sensato. Sostenuto dalla convinzione che molte teorie della coscienza facciano un uso errato o inesatto del termine in questione, Schleichert propone nella sua opera, Der Begriff des Bewußtseins, un’analisi dei diversi significati che storicamente sono stati conferiti al termine “coscienza”, intendendo così sviluppare non una descrizione del fenomeno della coscienza, ma un chiarimento del significato della parola. Condizione di tale chiarimento, che per Schleichert non dovrebbe avere carattere obbligante rispetto alla scelta di una determinata concezione filosofica o psicologica del fenomeno della coscienza, è l’analisi della “fraseologia canonica” attraverso la quale i filosofi di provenienza più disparata hanno tentato di circoscrivere, comprendere e definire il fenomeno in questione. Due capitoli dell’opera sono così dedicati a una chiara esposizione delle concezioni del rapporto corpo-anima in Cartesio e Leibniz. In seguito l’autore discute, con riferimento a Wittgenstein e ad Alan Turing, la questione se le macchine possano “avere uno spirito”, per poi concentrarsi sulla concezione della coscienza in autori come Locke, Kleist, Nietzsche, Marx, Wolff, Thomasius, Mauthner, William James. Schleichert giunge così alla conclusione che «tutto ciò che secondo l’opinione generale deve venire attribuito alla coscienza (riflessività, intenzionalità, comunicabilità, non-spazialità ecc.), può altrettanto bene essere considerato come una proprietà del linguaggio». Su questa base egli formula la tesi principale dell’opera, quella dell’identità tra coscienza e linguaggio: «Coscienza non è altro che il parlare, ora “interiore”, ora a voce alta; le parole “coscienza” e “parlare” hanno lo stesso significato». Essere coscienti di qualche cosa non è altro che il processo in cui questo “qualcosa” viene verbalizzato. La coscienza «non è qualcosa di misterioso dietro o al di là del parlare, ma il parlare stesso» - una tesi che non viene tuttavia sostenuta da un’articolata argomentazione, ma che viene affermata categoricamente, in modo da apparire, nonostante ogni preoccupazione di critica del linguaggio, come un presupposto indiscusso della ricerca di Schleichert. M.M. Storia del paradiso: Jean Delumeau Uno dei saggi storico-antropologici di maggior successo in Francia della stagione filosofica invernale è il primo volume del trittico HISTOIRE DU PARADIS (Storia del paradiso) di Jean Delumeau, che appare con il titolo: LE JARDIN DES DÉLICES (Il giardino delle delizie, Fayard, Paris 1992), ovvero 30 come per cinque secoli (XIV-XVIII) gli uomini hanno sognato, cercato, temuto l’Eden perduto. Il primo volume della Histoire du paradis di Jean Delumeau è dedicato al “mito” e al sentimento cristiano dell’Eden perduto. E’ un lavoro di uno storico e di un antropologo, in quanto si occupa di rintracciare e di comprendere gli affetti, le speranze e le paure con cui l’uomo cristiano si è misurato dal XIV al XVIII secolo. In questo senso è un libro che pone molti interrogativi filosofici sul modo vissuto in cui il peccato, la colpa, il perdono e la speranza hanno contribuito all’immaginario storico, in particolare per quanto riguarda il mito dell’Eden. La nostalgia del paradiso di Adamo e Eva è stata a lungo più che una emozione: la sua esistenza reale non fu messa facilmente in dubbio. Origene certo pensava fosse una stupida credenza; ma Agostino e Tommaso interpretano in termini realistici e non allegorici la presenza dell’Eden e la loro opinione da allora farà fede. Stupefacente, per Delumeau, è lo sforzo che gli uomini del Medio Evo fecero per localizzare tale giardino di delizie con la produzione di tutta una cartografia fantastica, indifferente ai reali progressi della geografia: se un tale giardino non lo si trova, non è perché non esiste, ma perché è inaccessibile. L’inquietudine e la speranza verso questo giardino perduto sono importanti, perché ci permettono di cogliere i nodi stretti fra peccato e castigo e i molteplici aspetti in cui l’anima cristiana ha immaginato di “sopravvivere” a questa drammatica caduta teologica. Così il Rinascimento con una certa ostinazione cerca di rendere l’Eden un oggetto storico e spiega la sua irreperibilità con la sua sparizione. Prende piede l’utopia, le ricostruzioni a ritroso di tale giardino: quali leggi vigevano, quali gerarchie s’imponevano ecc. Anche l’Illuminismo, incompatibile con questa credenza, ne conserva alcune tracce nei suoi sogni di emancipazione. L’immagine dell’uomo e dei suoi complessi rapporti con Dio saranno analizzati nei due prossimi volumi: il primo riguarderà l’attesa della felicità sulla terra, il secondo la speranza della gioia nell’aldilà. F.M.Z. Biologia: scienza e immaginario A monte del dibattito sulla conseguenze sociali e giuridiche delle conquiste scientifiche nel campo della biologia - ciò che prende il nome di bioetica - il libro di Michel TibonCornillot, LES CORPS TRANSFIGURÉS; MÉCANISATION DU VIVANT ET IMAGINAIRE DE LA BIOLOGIE (I corpi trasfigurati. Meccanizzazione del vivente e immaginario AUTORI E IDEE della biologia, Seuil, Paris 1992) argomenta la tesi che la scienza moderna troverebbe la sua legittimazione metafisica nell’«attivismo temporale e creazionista giudeo-cristiano». Se vale la considerazione che la biologia più che scienza del vivente è diventata la tecnica capace di procedere alle sue metamorfosi, questo si deve al rapporto di immanenza reciproca tra scienza e tecnica. Una medesima intenzione riduzionista ispira i primi tentativi di dissezione e di catalogazione degli anatomisti del XIV secolo come il progetto sul genoma umano degli scienziati di oggi: isolare e conservare, catalogare, riprodurre e dimostare sono le operazioni attraverso le quali la biologia organizza e interpreta il corpo vivente. In tale prospettiva, i recenti sviluppi della biologia molecolare costituiscono il risultato dell’applicazione di nuove tecniche di ricerca piuttosto che dell’elaborazione di quadri concettuali originali, o quanto meno la tecnologia della sperimentazione, intesa come meccanizzazione del vivente, è un fondamentale fattore di sviluppo della teoria. Più precisamente Michel Tibon-Cornillot vuole risalire alle origini da cui scaturiscono questi «due versanti della ragione» moderna. Da una parte la ragione osservante, contemplativa, che intende procedere alla matematizzazione del reale e che ha la sua forma già compiuta nell’ontologia platonica; dall’altra un modello di razionalità “militante”, che si esprime nell’esercizio sperimentale e che ha le sue radici nell’”attivismo cristiano”. L’immagine dell’uomo quale creatura che partecipa all’organizzazione e all’evoluzione della creazione divina, l’idea di una temporalità che si risolve in storia della Salvezza, sono le strutture ideali che continuano ad alimentare l’immaginario, sociale e scientifico, del giorno d’oggi. Ancorando la ragione scientifica ad una originaria concezione religiosa - quella giudaico-cristiana - la tesi di Tibon-Cornillot non mancherà di far discutere gli apologeti e i critici della scienza, uniti nel sostenere che è proprio quest’ultima ad aver espulso il divino dall’universo e dall’uomo. E.N. Il rompicapo del tempo Per parlare del tempo, oggetto “imbarazzante” a causa di una quotidianità che lo rende intimo eppure quasi impossibile da cogliere, Jean-Toussaint Desanti sceglie il dialogo platonico. Le RÉFLEXIONS SUR LE TEMPS (Riflessioni sul tempo, Grasset, Paris 1992) raccolgono infatti le conversazioni che egli ha avuto con Dominique-Antoine Griso- ni, che parla di Desanti come di un “moderno Socrate” per la sua riluttanza a mettere per iscritto un pensiero ellittico che alla scrittura preferisce la parola meditativa. Il dialogo tuttavia richiede all’interlocutore e al lettore un’attenzione metodica, e si apre mostrando come il tempo sia un oggetto che sembra sottrarsi alla filosofia proprio perché il linguaggio, che nel tempo è interamente inscritto, «è messo in scacco di fronte all’esigenza di doverne parlare». Il paradosso del tempo è quello di un essere che consiste della sua propria alienazione, di una presenza che si dà annullandosi, così che del passato si possa altrettanto bene dire che nulla più sussiste e che tutto è ancora là. Inoltre Jean-Toussaint Desanti concepisce il tempo come “intuizione del divenire” e quindi, riducendo il tempo stesso alla coscienza, si scontra con la difficoltà di prenderne sufficiente distanza per parlarne oggettivamente. Ogni discorso sul tempo tuttavia sembra sterrarne una «radice intemporale». Si pone allora la domanda su come sia possibile per l’uomo, totalmente inserito nel flusso del tempo, concepire qualcosa che sia fuori dal tempo. La risposta viene da Plotino: «non comprenderemmo l’eternità se non avessimo alcun contatto con essa». E’ quindi necessario tentare di cogliere l’articolazione del tempo e del non-tempo e insieme porre il fatto che il cominciamento del tempo è in una sorta di silenzio assoluto, di momento originario che non si può descrivere proprio perché «mancano le parole». Eppure in qualche modo “è dato”: in quel «prendere distanza da se stesso dello spirito - che pensa, si ricorda, immagina e parla - in seno all’atto riunificante del logos». Entrando nel processo del linguaggio e della simbolizzazione ci ritroviamo necessariamente in uno scarto rispetto a noi stessi, cioè «la coscienza intima del tempo è abitata dallo spazio dei segni». Il percorso di Desanti parte dalle riflessioni di Plotino e di Sant’Agostino, gli autori che a suo parere hanno costituito il tempo in problematica filosofica. Soprattutto è nel libro XI delle Confessioni che è possibile individuare «quasi tutte le dimensioni speculative aperte dal problema del tempo», riassumibili in tre categorie: cosmologica, ontologica, fenomenologica. Prima di Agostino, attraverso le definizioni di Platone e di Aristotele, era accessibile una concezione del tempo come ordine misurabile del movimento. Tuttavia già la formula platonica, «immagine mobile dell’eternità», sembra suggerire che la condizione di un discorso sul tempo sia il riferimento al suo opposto, stabile per eccellenza e dunque in pricipio conoscibile. Aristotele aggiungerà: conoscibile soltanto per l’anima. Secondo Desanti però ciò che avviene con Agostino è una sorta di “rivoluzione copernicana” che, per mezzo di 31 una riduzione fenomenologica «analoga a quella di Husserl», gli permette di cogliere il tempo in quella che è «la sua propria origine, non soltanto la sua origine per l’anima». Si approfondisce così quella che era stata l’iniziale posizione di coincidenza del tempo con la coscienza, in quanto la nostra coscienza del tempo si fonda su di un momento originario che non può essere costituito dalla coscienza stessa. In questo senso deve essere interpretata la definizione di Agostino: il tempo è distensio animi, spaziatura, messa in distanza, disgiunzione dell’anima, e sfugge al pensiero perché la sua radice intemporale sfugge al linguaggio nella misura in cui il linguaggio è sempre e necessariamente “nel tempo”. M.V. La memoria, l’oblio e l’immagine cinematografica Nella sua più recente opera, DIE EINSTELLUNG IST DIE EINSTELLUNG . VISUELLE KONSTRUKTIONEN DES JUDENTUMS (L’atteggiamento è l’atteggiamento. Costruzioni visive dell’ebraismo, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) Gertrud Koch, studiosa di problemi di storia e teoria del cinema e docente all’Università di Bochum, analizza le conseguenze sulla teoria estetica del divieto ebraico di farsi un’immagine della divinità. Fondamentale, nello studio di Gertrud Koch, è il problema della possibilità e delle modalità in cui si costituisce, attraverso le immagini del cinema e nella finzione estetica, la memoria dei campi di concentramento e della tragedia ebraica negli anni del nazismo. Punto di partenza per la discussione di questo problema è il celebre film di Claude Lanzmann Shoah, che secondo Koch è un tentativo di inoltrarsi, attraverso l’immaginario, in territori avvolti al tempo stesso nel ricordo e nell’oblio, di avvicinarsi alla realtà storica dei campi di sterminio non con mezzi documentaristici, ma attraverso la “fatticità della finzione”. Il film di Lanzmann sarebbe così un esempio paradigmatico di una modalità mimetica della costituzione della memoria, che rompe con la proibizione di farsi un’immagine della tragedia dello sterminio di massa, una proibizione originata dal timore di risvegliare quella sorta di piacere che può sempre essere contenuto nella rappresentazione estetica dell’orrore. L’opera della Koch è così, in modo più o meno esplicito, uno studio sui processi di apprendimento attraverso l’esperienza storica e sulla loro riproducibilità, tra memoria e oblio. Il problema fondamentale qui trattato è però quello delle conseguenze della proibizione delle immagini, tipica della cultura ebraica, sulla teoria estetica e sulla rappresentazione dello sterminio di massa attraverso mezzi cinematografici e artistici. E’ la ricerca delle radici di tale proibizione che fa da filo conduttore dei diversi capitoli e dei temi affrontati nel volume: dalla teoria critica della Scuola di TENDENZE E DIBATTITI Francisco Goya, Il tre maggio 1808 (1814), particolare 32 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Oltre l’Europa, oltre la tolleranza Pensare filosoficamente, attraverso e oltre lo spirito europeo, «una dimensione spirituale fondativa della comunità degli uomini sino ai loro strati più profondi» è ciò che si propone lo studio di Elio Franzini, OLTRE L’EUROPA (Edizioni dell’Arco, Milano 1992). In questo occorre però guardarsi dal richiamo di una facile “tolleranza”, che è modello di convivenza insufficiente, se non pericoloso: è invece nell’orizzonte di una coesistenza dialogica che le differenze possono trovare un piano ordinativo e paritetico. A questa preoccupazione fa riscontro l’analisi dell’idea di tolleranza condotta da Ermanno Bencivenga nel suo OLTRE LA TOLLERANZA (Feltrinelli, Milano 1992). Lo spirito europeo è un “oggetto culturale complesso” di cui la descrizione fenomenologica può evidenziare i molteplici piani di unità e di esperienza, su cui poggia un comune progetto di coesistenza. Esercitarsi in una “fenomenologia dell’Europa”, sostiene Elio Franzini, significa descrivere i percorsi caratterizzanti che ne hanno segnato il passo, privilegiando gli incroci fra sapere scientifico e pratica artistica, fra sapere e saper fare, al fine di elaborare «un progetto costruttivo a partire dai nessi evidenziati che costituiscono la trama della nostra esperienza». Il filosofo, come sosteneva Edmund Husserl, può con modesta lucidità, “farsi funzionario dell’umanità”, esibire le costanti e le differenze che hanno costituito l’esperienza del vivere comune europeo, e attraverso la descrizione, rinnovarne lo “spirito” in una direzione progettuale. Bisogna dunque uscire dalla ricerca di modelli di speranza o d’elaborazione del lutto per pensare «la scelta di un modello di sviluppo, come via dell’uomo» verso un progetto di coesistenza “futura”, consapevole della complessità contemporanea. La riflessione filosofica ha per Franzini un compito molto preciso, quello di: «instaurare una trama descrittiva che possa comprendere, nel suo occasionale presentarsi, quel senso che la connessione dei fatti manifesta». In primo luogo occorre pensa- re le differenze culturali sullo sfondo di un “comune sentire” del mondo a partire da valori e tradizioni differenti, ma che per tutte le civiltà presuppongono una radice antropologica comune, l’appartenenza cioè a una cultura quale piano costitutivo delle comunità. Tale piano non si costituisce solamente secondo condizioni e meccanismi socio-culturali, bensì si radica in un terreno simbolico, sensibile, che è precategoriale e come tale suscettibile d’essere universalmente comunicato. E’ universale, sostiene Franzini, ciò che esprime un rapporto comunicativo con l’altro: non è estraneo né semplicemente analogo a noi, bensì «espressione similare dell’universale, di una simbolicità radicale». Cercare nell’altro le ragioni della propria cultura su una comune base precategoriale non significa perseguire un fondamento unitario, bensì cercare di comprendere le ragioni e i processi che hanno condotto a costruire certi e non altri valori sulla base di un comune sentimento del mondo. Nel riconoscere le reciproche differenze di valori, ma su un piano paritetico, si pone la possibilità del dialogo costruttivo dove le differenze possano essere rese produttive di valori coesistenti e condivisibili. Scrive Franzini: «Quando l’altro permette di riconoscere se stessi si ha già la possibilità del dialogo perché questo altro viene percepito non come referente da tollerare, ma come altro uomo che può e deve, comunicando, insegnare. Le sue differenze sono le nostre mancanze, o il segno del nostro dimenticare». La “malattia mortale” dell’Europa sembra essere dunque la tolleranza. Si tratta di un accordo generico che tende a sintetizzare in “visioni conciliatrici” identità e differenza in un atteggiamento filosofico sospeso “fra ansia e giustificazionismo”. Tollerare le verità parziali degli altri è già un atto che confina con possibili prese di posizioni “tiranniche”. Attraverso la figura emblematica di Denis Diderot, Franzini prospetta un’altra forma di tolleranza, quella che lega l’uomo alla natura, permettendo l’interpretazione della natura attraverso la creazione culturale, secondo le linee di un movimento dove identità e differenza non si “tollerano” più, bensì “dialogano”. La tolleranza è sorpassata costruttivamente dal 33 dialogo, il quale non è sopportazione illuminata e benevola delle differenze, bensì interpretazione delle medesime in quanto esperienze complesse, ma paritetiche (sul piano del valore), poste sullo sfondo “di un comune orizzonte veritativo”. Tale fondamento veritativo non è nulla di trascendente bensì è condizione a priori di ogni esperienza “condivisibile”. Il dialogo è dunque una dimensione fondativa dell’esperienza con e in mezzo agli altri, un modello d’interpretazione che non edulcora le differenze, ma le rende produttive. Se Franzini si richiama al modello interpretativo del dialogo, è anche nel quadro di una precisa tradizione europea. Richiamandosi alla situazione attuale di crisi europea, di cui già parlavano Husserl e Valéry, Franzini ne individua il nucleo originario nella “perdita di memoria” da parte dello spirito europeo della sua “tradizione”, cioè del suo spirito “geometrico”, come capacità di organizzare e di interpretare in direzione costruttiva le differenti qualità del mondo circostante. L’idea che riassume l’origine e lo spirito di questa “tradizione” è quella di interpretatio naturae, per cui l’interpretazione della natura, cioè del mondo circostante intuitivo, non è disgiunta da un intento costruttivo. Imitando per così dire la natura, lo scienziato, che è anche artista (perché artefice), costruisce e desidera costruire una natura “altra” che colga della prima i volti espressivi, i nessi sensibili di coerenza, il senso delle operazioni soggettive nella costituzione della stessa esperienza oggettiva. L’interpretazione della natura non coglie nella natura un mondo chiuso, quantitavamente classificabile, ma solo e sempre un orizzonte di senso simbolico e comunicativo, la cui espressività non è affatto anodina, bensì «diviene capacità di manifestare e di far sentire un mondo di senso, in cui la presenza è espressiva e comunicativa nel suo stesso essere presenza». L’interpretatio naturae, che ha radici rinascimentali, ma che si sviluppa nei rami dei secoli (in Vico, in Diderot per esempio), è una possibile “risorsa” culturale e antropologica dello spirito europeo: coniuga l’esigenza d’interpretare la realtà circostante con il desiderio di comprendere, costruen- TENDENZE E DIBATTITI do. Mette in opera un sapere grazie a un poter fare, un conoscere consapevole, “abile”, nella misura in cui tale sapere è un saper fare. In questo senso, lo spirito europeo può ed ha costituito un polo d’attrazione per gli altri Paesi non per una qualche imprecisata “superiorità”, ma perché si è potuto presentare come “modello” esportabile di un piano effettivo di dialogo, di unità fra sapere e fare da un lato, e dall’altro, fra imitazione e invenzione della natura (in quanto orizzonte di cose da interpretare per poter agire): fra mito e logos, arte e scienza - come suggerisce Franzini. La verità di questo “dialogo” fra più piani di significato (tecnico, artistico, espressivo, costruttivo) non si nasconde dietro le quinte del teatro europeo: è una verità espressiva, una forma concreta di “certezza” la cui legittimità è l’appartenenza a un “comune sentire”. Al di là delle differenti civiltà il modello dialogico europeo è condivisibile sulla base di un terreno precategoriale dell’esperienza, di un “sentire comune” radicato nel corpo proprio, nella panoplia espressivo-simbolica dei vissuti. Per Ermanno Bencivenga il problema di uno spirito comune europeo richiede in primo luogo di liberarsi da una concezione atomistica, egotietica dell’individuo. Il soggetto non è consistente, al contrario è qualcosa che non è (definitivamente) luogo e scena di una rappresentazione teatrale (per riprendere alcune suggestioni di Hume) in cui ruoli, capovolgimenti, intrighi si succedono rapidamente, impedendo al soggetto di dire: io sono qui e non mi muovo. Questo non-essere è, per Bencivenga, “differenza”, alterità che ha una funzione positiva: rompere la compattezza del mondo, scardinare la presunta necessità del reale e promuovere invece valori alternativi, far presagire altri mondi possibili, trasgredire gli assetti dati. La tolleranza è il modello complementare di questa visione dell’io atomico: metà disprezzo, metà sussiego indica un atteggiamento di benevole condiscendenza più che di partecipe sollecitudine. E’ una forma fittizia e sostitutiva di un accordo in cui il patto si stringe attorno a una solida diseguaglianza. La teoria del soggetto che Bencivenga espone invita a ripensarne anche l’atteggiamento etico. L’io è “diviso”, ricopre diversi personaggi e non è affatto un coacervo di forze adattive. Prioritaria è la differenza di cui siamo portatori e la relazione di scompaginamento, turbamento che la differenza dell’altro ci suscita. Cresciamo come combinazione di ideali, valori, atteggiamenti che abbiamo raccolto sul cammino dell’esistenza, poiché ciò che caratterizza di più il soggetto è «una disponibilità infinita a raccogliere frammenti e spezzoni di comportamento, una sorprendente capacità di copiare dettagli in apparenza inoffensivi, irrilevanti». Questa molteplicità di toni porta a concludere perentoriamente che «il soggetto non è un individuo ma piuttosto una comunità». La pluralità, in ogni caso, è “esterna”, deriva dalla coesistenza con gli altri così che il «soggetto è precisamente il carattere plurale della comunità, la comunità in quanto plurale». Detto questo, la tolleranza non opera se non la riduzione del “diverso” all’assimilabile, al modello ideale della normalità. Invece, il diverso va «difeso nella sua diversità», riconoscendolo portatore di una pluralità, di una disarmonia che è la nostra. La tolleranza come strategia di “omologazione” elimina concettualmente e moralmente il diverso. In tale contesto l’intellettuale può, secondo Bencivenga, prodigarsi per «difendere un ideale, un progetto di mondo, stabilire priorità fondamentali, criteri di legittimità. Il primo ideale da salvaguardare è la ragione stessa da non ridurre a operazione strumentale: al contrario, essa è un’istanza finale». Un’antinomia pare disegnarsi nel libro di Bencivenga: infantilismo versus maturità, ragione monologica versus plurivocità del dialogo (con se stesso, con gli altri). Di conseguenza, contro l’omologazione della tolleranza e la politica ottusa dell’urgente, occorre “un qualcosa” che faccia crescere tutti. Occorre «fare dell’educazione un progetto di durata indefinita». L’educazione può e deve divenire una parola d’ordine della politica internazionale, proporsi come «terza via oltre a quella tradizionale dello scontro e quella più recente dell’assorbimento, della riduzione al minimo comun denominatore». L’educazione permanente ha come scopo quello di incoraggiare e articolare comportamenti possibili sempre più complessi, duttili alle situazioni contingenti. Mira a costruire reti di possibilità reali ed esistenziali. La nostra società deve mobilitarsi per trasformarsi in una scuola, dove scuola va qui intesa non come strumento di controllo sociale o di formazione delle competenze, bensì come dispositivo atto a allargare il dialogo, a promuovere la discussione sulla vivibilità in base alla qualità del vivere e non alla sola quantità di beni da spartire. Un autentico progetto di “paideia” quello che Bencivenga pare chiamare in causa, rivendicando non a caso la oliticità intrinseca del soggetto. Il progetto educativo-politico riannoda con energia aspirazioni generose e impegnative che i filosofi, spesso, fra entusiasmo e delusione hanno avuto il coraggio di proporre. L’educazione è stata ed è una delle parole chiave di questo impegno: Platone certo; ma anche come scordare il progetto illuministico della Popularphilosophie? F.M.Z. Morali in saldo nella crisi dei valori 34 Nonostante la povertà morale dei tempi, non appassisce in Francia la tradizione moralistica, il ricordo e la tentazione di farsi critico intelligente e aspro dei costumi e delle ipocrisie del senso comune secondo lo stile di un Voltaire o di un Diderot. Molti studiosi, tacciando di infantilismo della ragione (o anche peggio) la morale degli altri, avanzano pretese di visione “illuminata”. A volte la polemica non vale se non quale astiosa discussione pubblica (e molte vendite); altre volte si tratta di un lavoro serio, storicamente documentato. Di questa “svendita” di morale e di morali, presentiamo tre casi, che hanno fatto discutere la stampa e l’opinione pubblica francese in questo inverno: LE CRÉPUSCULE DU DEVOIR (Gallimard, Paris 1992), di Gilles Lipovetsky; LE NOUVEL ORDRE ÉCOLOGIQUE (Grasset, Paris 1992), di Luc Ferry; LE SACRÉ DU CITOYEN. HISTOIRE DU SUFFRAGE UNIVERSEL EN FRANCE (Gallimard, Paris 1992), di Pierre Rosanvallon. Celebre per le sue analisi della società contemporanea in quanto “vuota” ed “effimera”, Gilles Lipovetsky rilancia il suo ottimismo minimo (minimalista?): non è vero che la nostra sia un’epoca egoista e spietata; siamo in realtà in un’epoca di piena realizzazione dell’individualismo, un’epoca che tuttavia non ha certo provocato le catastrofi predette da Nietzsche e Freud. Altro che malessere della civiltà, altro che volontà di potenza: occorre invece accogliere sollevati «il crepuscolo dell’idea di dovere». Detto altrimenti: l’idea di sacrificio è socialmente deligittimata, la morale non brancola più nel buio di ideali utopici, il benessere e il vivere meglio diventano la guida del comportamento morale. Tutto ciò equivale a una reale “emancipazione” da dogmi e doveri assoluti: la libera scelta, la costruzione narcisistica di sé vanno di pari passo con l’individuo responsabile dell’epoca “neo-individualista”. Ciò che contraddistingue l’analisi di Lipovetsky è la particolare visione della nostra epoca. In un momento in cui gelidi venti di razzismo, intolleranza, caccia alle streghe percorrono la vecchia Europa liberale, egli sostiene che questa morale neo-individualista è allergica non solo ai dettami morali, ma anche a ogni trasgressione e eccesso. In tutti gli aspetti della vita quotidiana (famiglia, morale sessuale, lavoro, sport) la ricerca del proprio interesse implica uno spirito di tolleranza, mediazione, negoziazione. Non siamo molto lontani dalla cinica indifferenza e da uno stile di vita del tutto borghese, pacificato e pacificatore, capace di scambiare la mala fede con la disponibilità per l’altro. Da più parti è stato così sottolineato che tale ottimismo non rende affatto ragione della complessa situazione di crisi economica e politica: per tutti coloro che sono minacciati da disoccu- TENDENZE E DIBATTITI pazione, razzismo, marginalizzazione, “il caos organizzatore” di cui parla l’autore, come hanno osservato alcuni critici, è «un po' troppo caotico per alcuni, e un po' troppo organizzato per altri». Luc Ferry, in Le nouvel ordre écologique, smantella invece il pensiero “verde”, in particolare la deep ecology, di cui mette in luce le componenti conservatrici, reazionarie, antiumaniste. L’idea di fondo è semplice: l’uomo si definisce per Ferry in quanto sforzo libero e cosciente di sottrarsi alla natura di cui fa parte, di emanciparsi da essa, di trasformarla. Costruire una piramide di valori, la cui cima è costituita dalla biosfera può indurre un antiumanismo viscerale. Ferry cerca di dimostrare i legami storici e culturali fra l’ecologia contemporanea e una tradizione che va da Spinoza fino al romanticismo tedesco e che sfocia nel vitalismo nietzscheano. Hitler impose nuove leggi sulla difesa degli animali e sulla protezione della natura in nome, sostiene Ferry, di un odio profondo contro il mondo moderno, il capitalismo, il liberalismo: la difesa della natura può anche suscitare una pericolosa nostalgia del passato. Esiste tuttavia un’ecologia “riformista” che agisce strettamente connessa al mondo liberale e che non vuole affatto contrapporre natura e civiltà, diritti dell’uomo e diritti della natura. Pierre Rosanvallon, nel suo libro: Le sacré du citoyen, analizza le particolari vicende del suffragio universale in Francia, senza perderne di vista la portata europea, il valore di esempio che esso può ricoprire nel quadro di un’autentica «educazione della e alla democrazia». Non che in questo la Francia sia esemplare: «Se i francesi hanno inventato l’uguaglianza nel 1789 osserva Rosanvallon -, in seguito hanno saputo meglio stabilire il catalogo delle patologie e dei problemi della democrazia moderna che non le sue soluzioni». Solo nell’ultimo quarto del XIX secolo, infatti, la Francia ha potuto stabilire un regime liberale e democratico, sebbene l’ ”annunciazione” di tale regime risalga alla Rivoluzione. E bisognerà aspettare un altro secolo perché il suffragio sia davvero universale. Il fatto è che in Francia la democrazia è stata intesa più come un ideale o un vincolo, che non come una forma reale dell’organizzazione politica. Per gli eredi dell’Illuminismo solo la ragione è garante del vincolo sociale-politico ed è incompatibile con il numero, “la vile moltitudine”, incapace di governare. Si deve aspettare la Terza Repubblica perché vengano tolte le barriere alla “moltitudine”, considerata meno vile da quando l’istruzione è diventata obbligatoria. Al di là dell’interessante studio storico, Rosanvallon inserisce la sua ricostruzione del suffragio universale in un quadro antropologico. Nella storia intellettuale del politico del XX secolo il suffragio universale è per l’autore l’autentica rottura dei tempi moderni, molto più innovativa di tante “rivoluzioni” sociali. Indica infatti un tipo di rapporto inedito fra gli uomini basato sull’equivalenza: una voce-un diritto. Il suffragio realizzato fa passare da un regime democratico per “integrazione” e assorbimento a uno “governante”, costitutivo di società e latore di dignità sociale. F.M.Z. Il materialismo dei Lumi In controtendenza rispetto a un diffuso costume critico che considera il materialismo alla stregua di un reperto archeologico della storia della filosofia, la rivista “Dix-huitième siècle” (n. 24, PUF, Paris 1992) dedica, con il titolo: LE MATÉRIALISME DES LUMIÈRES, un’ampia monografia ai quei pensatori illuministi come La Mettrie, d’Holbach, Helvetius, Lamy, Toland, Maupertuis, che storicamente hanno aperto il cammino a un’interpretazione materialistica della storia, della morale e delle scienze naturali. La funzione del materialismo illuminista, nel quadro della prospettiva storico-filosofica hegeliana, è anche al centro dell’analisi di Jean-Claude Bourdin, HEGEL ET LES MATÉRIALISTES FRANCAIS DU XVIII SIÈCLE (Hegel e i materialisti francesoi del XVIII secolo, Klincksieck, Paris 1992). Dalla ampia ricognizione nel pensiero illuminista, offerta dagli articoli raccolti nella rivista “Dix-huitième siècle”, si evidenziano due principali linee evolutive della concezione materialista: la prima, di impronta più evidentemente scientifica, prende le mosse dal meccanicismo cartesiano; la seconda, che trova la sua ispirazione in Locke e Newton, tende a privilegiare i contenuti morali e politici delle concezioni materialistiche, piuttosto che la coerenza filosofica del sistema. Nei ranghi intellettuali che si apprestano alla battaglia illuminista contro le tradizioni culturali e sociali, è questa seconda linea, più marcatamente “politica”, che fornisce gli strumenti per la crociata filosofica contro il vecchio regime. Il risvolto ateistico del materialismo integrale di Helvetius consente di disegnare una nuova immagine del cittadino e dell’uomo, dove «l’educazione e null’altro segna la differenza tra individui più o meno ben organizzati»; mentre d’Holbach utilizza l’ateismo come impalcatura antropologica per costruire una morale nel segno dell’utile sociale. La vocazione polemica del materialismo dei Lumi, il suo potere di critica e di negazione di istituzioni storicamente superate saranno oggetto dell’apprezzamento di Hegel, che consacrerà un capitolo delle sue Lezioni di storia della filosofia ai filosofi illuministi. Come mostra Jean-Claude Bourdin nel suo studio dedicato al filoso35 fo, non è il valore in sé della concezione materialista che Hegel si degna di discutere, e neppure la fondatezza dell’ateismo, quanto piuttosto il significato di quest’ultimo come attore della vicenda dello Spirito Assoluto. L’ateismo adempie alla sua funzione di critica del Cattolicesimo, ormai sclerotizzato in una forma istituzionale che tradisce la religione: «non quella che fu purificata da Lutero - ma la più miserabile superstizione, il clericalismo, l’ignoranza, la depravazione dello spirito; e soprattutto la dissipazione delle ricchezze». Momento indispensabile di autocritica dello Spirito, soddisfatto il proprio ruolo di negazione e non avendo alcuna positività speculativa da difendere, il materialismo viene archiviato da Hegel alla stregua di un capitolo della storia dell’Assoluto. E.N. Enciclopedia delle opere filosofiche Il terzo volume dell’ENCYCLOPEDIE PHILOSOPHIQUE UNIVERSELLE, diretta da André Jacob, è costituito da un dizionario delle opere filosofiche, (OEUVRES PHILOSOPHIQUES , a cura di Jean Francois Maffei, PUF, Paris 1992), che abbraccia - nella misura del possibile - tutte le epoche che hanno lasciato una testimonianza, sotto tutte le latitudini, geografiche o culturali. Manca così soltanto l’ultimo pilastro del grande edificio enciclopedico iniziato nel 1989 da Jacob con la pubblicazione dell’UNIVERS PHILOSOPHIQUE, seguito dai due volumi del dizionario delle NOTIONS PHILOSOPHIQUES (a cura di Sylvain Auroux, 1990); è annunciata per il 1994 la raccolta dei TEXTES PHILOSOPHIQUES a cura di Roger Arnaldez. Monumentali, al limite dello scoramento, le dimensioni dell’impresa enciclopedica curata da Jean Francois Maffei con questo Dizionario delle opere filosofiche: 4.656 pagine firmate da 1.400 studiosi, 5.400 autori e più di 9.000 opere raccolte e catalogate in un volume che sarà sicuramente un’opera di riferimento anche per gli specialisti. Come sottolineava André Jacob sulle pagine di questa rivista (n. 2, pp. 11 sgg.), l’unità strutturale e ideativa di un progetto di queste dimensioni non poteva non tener conto della pluralità culturale e disciplinare che caratterizza l’accezione moderna di filosofia. Unità plurale che si misura con la complessità e la diversità dei saperi che nascondono o richiamano una riflessione filosofica: con questo criterio sono catalogati i testi filosofici, scientifici, antropologici, “letterari”, occidentali e orientali, come pure i racconti mitici e le testimonianze delle culture “orali” europee, africane, asiatiche e amerinde. Se uno dei significati dell’opera è dunque costitu- TENDENZE E DIBATTITI ito dalla ricerca di una nuova definizione dell’universalità filosofica, questo avviene attraverso il rapporto critico e la valorizzazione dei saperi extrafilosofici come delle culture “minori” o occultate, lontano da pretese eurocentriche o da un malinteso platonismo che vorrebbe autofondare la riflessione filosofica e chiuderla in un mondo proprio. Jacob propone invece una suggestiva accezione di progetto enciclopedico come un «’fare il giro’ delle interpretazioni piuttosto che delle conoscenze, occasione di incroci, di nuovi sviluppi e di nuove aperture, piuttosto che di un accerchiamento del pensiero.» La ricognizione delle opere filosofiche dell’umanità è ordinata secondo tre grandi blocchi: Filosofia occidentale, Pensieri asiatici, Concettualizzazioni delle società tradizionali. La sezione che concerne la filosofia occidentale è a sua volta suddivisa in sei grandi capitoli: Antichità, dal III millennio a.C. fino al VI secolo d.C.; Medioevo/Rinascimento; Età classica, dal 1600 alla Rivoluzione francese; Modernità, 1789-1889; Nascita delle scienze umane, 1889-1939; Pensiero contemporaneo, 1939-1990. Ad ogni voce corrisponde un breve profilo biografico dell’autore, il riassunto delle opere principali, per i grandi autori, o l’indicazione delle opere per i minori, corredati da una bibliografia aggiornata. Una serie di indici, ordinati per discipline, scuole, correnti di pensiero, nonché di intelligenti rimandi, consente di muoversi agevolmente nella selva delle opere e degli autori. Anche in virtù dell’attenzione per questi elementi tecnico-formali dell’opera, attraverso i quali si realizzano percorsi culturali e si aprono nuove soglie interpretative, possiamo dire vinta la scommessa culturale sottesa a questo grande progetto enciclopedico: inventariare la complessità delle conoscenze umane secondo un’interrogazione e un ordine filosofici, nel tentativo di passare dal sapere al senso. E.N. Stati Uniti: analisi di una crisi Uscito nel settembre del ’92 , CRONASTATI UNITI: CRISI, CONFLITTI SOCIALI, “NUOVO ORDINE” MONDIALE NELLE ANALISI DI MARXISTI E RADI CAL AMERICANI apre la serie di numeri speciali che la rivista “Marx centouno” intende dedicare ogni anno a temi di particolare rilevanza politica, culturale, teorica. Una silloge di studi apparsi per lo più nell’ultimo triennio su periodici anglo-americani che, riflettendo sulla crisi dei tradizionali modelli produttivi, sulla variegata geografia del conflitto sociale, sul “nuovo non-ordine del mondo”, consente un’analisi unitaria della realtà statunitense, intrecciandone complessità e CHE DAL CENTRO DELL ’IMPERO . contraddizioni con i fragili equilibri mondiali del post-guerra fredda. «I bei giorni della prosperità americana sono ormai dietro di noi. L’impalcatura è smantellata, i pilastri crollano. Gli Stati Uniti, come ogni colosso nella storia umana, si accorgono di avere i piedi di argilla […] Entriamo ormai nell’avvenire dell’America, che può’ suscitare in noi grandi inquietudini così come grandi speranze». Il giudizio di Immanuel Wallerstein nel saggio di apertura, L’America e il mondo: ieri, oggi, domani (in origine una conferenza tenuta all’Università del Vermont nell’ottobre del ’90) esprime la tesi di fondo che percorre i numerosi saggi raccolti nel volume. Le analisi degli autori, articolate in tre sezioni - “La crisi”, “Il conflitto sociale”, “L’impero” - sono complessivamente orientate a rintracciare le ragioni di un declino che appare tanto profondo e irreversibile da segnare un passaggio d’epoca. Declino di una leadership economica e geopolitica che si configura, ad un tempo, come causa e conseguenza dei mutati assetti dell’intero sistema-mondo; ma anche, parallelamente, declino di un modello di “prosperità”. I suoi capisaldi, una efficiente organizzazione produttiva costruita sul “compromesso” fordista del dopoguerra, garanzia di ordine sociale e fonte di un benessere materiale generalizzato, e un forte collante ideologico, fondato sulla contrapposizione “Mondo libero-Comunismo”, indispensabili premesse all’esercizio del ruolo di potenza mondiale, sono infatti ormai entrati irrimediabilmente in crisi. Tramontato il “sub-imperialismo” sovietico, funzionale, secondo Wallerstein, al consolidamento della “Grande Pace Americana” e quindi all’espandersi dell’economia-mondo capitalistica che fioriva sotto quell’egemonia, i conclamati vincitori nella “lotta tra i due mondi” mostrano i segni di grandi contraddizioni, maturate negli anni della “rivoluzione conservatrice” e oggi aggravate dalle sempre più instabili relazioni internazionali. Noam Chomsky, nell’intervista Sul capitalismo raccolta da “Against the Current Magazine” nel settembre del ’91, ne rintraccia le cause nel permanere di una società «a due ordini, con ricchezza e privilegio enormi in mezzo a povertà e sofferenza», segnata dai tagli alla spesa sociale, dall’inazione di uno stato trasformato in «welfare per i ricchi», assente nell’educazione come nella tutela dei diritti civili. La sempre più evidente destabilizzazione sociale, legata a una pesante stagnazione politica, si spiega inoltre, osserva Chomsky, con le trasformazioni imposte dal “reaganismo”, espressione politica di «frange non fordiste del capitale», ai tradizionali processi di regolazione e alla stessa struttura dell’economia nazionale. La questione del carattere e delle prospettive della cosiddetta “fuoriuscita dal fordismo” è ancora un problema aperto, oggi tra i più dibattuti e 36 studiati anche in Europa. Evidenziandone le implicazioni sociali e le possibili ripercussioni sulla forma futura dell’economia mondiale, Mike Davis, nel suo Economia politica dell’America tardo-imperiale (“New Left Review”, 1984), sottolinea la dimensione “epocale” del passaggio, iniziato negli anni Settanta, a una dinamica di “sovraconsumismo”, legata sia alla crescita e all’arricchimento di uno strato “subborghese” manageriale e professionale, sia alla «crisi del ciclo fordista di accordi negoziati tra salari e produttività». Rotta l’originaria coesione dei tre fondamenti strutturali dell’egemonia americana - generalizzazione della produzione e del consumo di massa, posti di lavoro ad alto salario, industrializzazione dell’hinterland - si impone, continua Davis, un modello di dequalificazione del lavoro, conseguenza della creazione di “nuovi” impieghi a basso salario e di una disoccupazione mai così alta dal dopoguerra. Nel quadro di una crisi di così ampie dimensioni da chiudere un’epoca della storia americana, con l’approfondirsi del solco tra gruppi integrati ed emarginati, si riaprono vecchie e nuove conflittualità in cui razza ed origine etnica, classe sociale e sesso continuano a giocare un ruolo di primo piano. Che questi fattori costituiscano i criteri discriminanti o anche i parametri su cui si basa la distribuzione inegualitaria delle ricchezze negli Stati Uniti, non è certo un fatto nuovo; interessante nella fase attuale è invece il modo in cui essi si intrecciano nella sfida che le fasce deboli rivolgono all’ordine economico e politico esistente. La variegata geografia del conflitto sociale rispecchia infatti quel “rimescolamento” del materiale umano che M. Grazia Rossilli, in Americanismo senza fordismo e deindustrializzazione. Le lavoratrici dal margine al centro dell’economia e della povertà, legge come effetto del declino dell’apparato produttivo industriale americano, facendo convergere su obiettivi a volte comuni le rivendicazioni dei nuovi movimenti femminili, delle minoranze etniche, delle comunità nere, di quei gruppi che localmente agiscono per un miglioramento delle aree più svantaggiate delle metropoli. Dalle molte riflessioni dedicate a questo argomento emerge, ad esempio, come dato significativo, la richiesta sempre più generalizzata di un’autodeterminazione dell’economia. Lo sottolinea Mike Davis nei commenti ai fatti di Los Angeles, scritti per “The Nation” (L. A. Il rogo delle illusioni), evidenziando il fatto, comunemente trascurato, che l’unico leader nazionale tenuto in seria considerazione dalla maggior parte dei “Crips” e dei “Bloods”, le due più grandi gangs di giovani neri della città, al centro dei tumulti, sia Louis Farrakhan, promotore di quel progetto, condiviso da una larga parte della gente di colore. Un progetto politico, dunque, a riprova del fatto che, come spiega Michael Hardt, TENDENZE E DIBATTITI Elijah Muhammad mentre sta parlando in un tempio mussulmano 37 TENDENZE E DIBATTITI docente all’Università di California, «ogni discorso di razzismo è un discorso di classe», oggi ancora più complesso per il venir meno di un conflitto etnico esclusivamente bipolarizzato tra bianchi e neri. Un altro contesto problematico, descritto da Patrick Bond in Potere finanziario contro populismo di base. La nuova lotta di classe (“Capital and Class”, 1990), in cui la ristrutturazione democratica dell’economia appare un obiettivo fondamentale, è quello delle lotte condotte dalle “Coalizioni urbane per il reinvestimento”, un movimento di base a carattere populista che si oppone al potere economico-politico delle grandi banche e, più in generale, del settore finanziario. Il “controllo del capitale” da parte della comunità, come la convinzione che un “approccio collettivo alla produzione e al consumo” possa essere la via per costruire una società libera dalla speculazione, diviene qui la parola d’ordine di un vasto schieramento che va dai comitati anti-apartheid alle organizzazioni dei quartieri degradati. Estraneo a questi obiettivi, infine, non è neppure il movimento femminile, se si pensa che la parte più vulnerabile della forza lavoro, di cui le donne fanno parte, viene usata per aprire la strada alla “flessibilizzazione” e alla rottura del rapporto produttività-salari. Il nesso classe-razza-genere, in quanto momento cruciale nella determinazione di svantaggi e privilegi socialmente rilevanti, viene oggi riportato al centro dell’attenzione nazionale dal dibattito sulla “political correctness” e sul “multiculturalismo”, divenuti da circa due anni oggetto delle più vive discussioni sui mass-media e nelle università americane. In un saggio dal titolo: Che cos’è il multiculturalismo (“Against the Current”, 1991) scritto dal gruppo di lavoro dell’Università del Texas per spiegarne prospettive e obiettivi in risposta alle accuse dei colleghi conservatori, il multiculturalismo viene definito come un tentativo di capire l’origine delle culture, il loro sviluppo e utilizzo, un modo di «interrogare categorie e confini», pensati e stabiliti nel corso della storia. Suo presupposto è quello che Paul Berman, nella “Introduzione” a Debating P.C. (Discussioni sulla “political correctness”, Laurel, New York 1992), chiama, non senza ironia, “razza-classe-generismo”, variazione americana della filosofia europea di matrice post-strutturalista della fine degli anni Sessanta. In una prospettiva tesa a scalfire il predominio dei “maschi bianchi” nordeuropei, razza, classe e genere vengono rivendicati come le strutture imprescindibili a partire dalle quali soltanto è possibile la costruzione e la comprensione di culture diverse, non riducibili al modello universalistico e pervasivo di quella occidentale. Sono le nozioni stesse di “tradizione”, di “Occidente”, opposte dagli accademici conservatori ad un presunto relativismo culturale, ad essere messe in discussione, così come il «privilegio di guardare e comprendere», considerato inattuale in un mondo «molto, molto mescolato». In disaccordo con Berman, esponente liberal del multiculturalismo, per il quale esso non rappresenta che una possibilità di espansione della democrazia e della tolleranza liberali, o un buon modo di organizzare corsi interdisciplinari, i docenti texani ribadiscono il significato dirompente di un “progetto intellettuale e pratico” che, fuori dal mito del “paradiso perduto accademico”, libero dalle ideologie e dalla politica, concepisce l’università e il sapere che vi si produce come i luoghi dove, più che altrove, si costruiscono le relazioni di potere che strutturano la società. C.R. I filosofi e gli animali All’approfondimento della questione del rapporto tra filosofia e animalità è dedicato il primo numero di “Clinamen”, il nuovo annuario del Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università di Roma “Tor Vergata”, diretto da Mario Perniola. Il volume, dal titolo: FILOSOFIE DELL’ANIMALITÀ ’. CONTRIBUTI AD UNA FILOSOFIA DELLA CONDIZIONE ANIMALE (Mimesis, Milano 1992), è curato da Emilio Baccarini, Tonia Cancrini e Mario Perniola e intende esplorare la complessa e variegata problematica emergente dalla nozione di animalità a partire da una prospettiva prettamente filosofica, individuando i principali nodi speculativi e le strategie culturali fondamentali che caratterizzano l’attuale dibattito sull’argomento, sviluppatosi in seguito ad un grande ritorno di interesse nei confronti del concetto di animalità. Al problema animale il discorso filosofico occidentale ha fin dalle sue origini greche dedicato una costante attenzione, un’attenzione mantenuta viva lungo tutto il corso moderno e contemporaneo della filosofia e che viene ancora oggi testimoniata da un gran numero di nuove pubblicazioni, vive discussioni e ampi convegni, che mettono in evidenza i vari aspetti del problema, sociali, etici, psicologici, storici, letterari, simbolici, religiosi. Nel suo saggio introduttivo, Mario Perniola insiste sulla necessità di porre la questione animalista in intima relazione con la questione antropologica, analizzando tale rapporto nel pensiero dello stoicismo antico, che poneva la questione della condizione animale come inseparabile da quella della condizione umana, mostrando inoltre come ad una certa superiorità ideale dell’uomo sull’animale spesso corrispondesse una sua inferiorità sul piano della realtà e dell’esperienza, per arrivare, attraverso l’individuazione di figure di “animali quasi saggi” e “animali quasi pazzi”, desunti anche dalle riflessioni di Erasmo da Rotterdam e Giordano Bruno, ad affermare che proprio l’inseparabilità tra discorso sugli animali e 38 discorso sull’uomo deve servire a farci comprendere che «la contraddizione più grande sta all’interno dell’umanità» e nei suoi irrisolti conflitti tra dimensione sensitiva e affettiva e dimensione logico-razionale, tra natura e cultura. La sommaria contrapposizione tra sfera naturale e sfera culturale è anche alla base dell’intervento di Marcello Massenzio, il quale affronta il concetto di animalità da una prospettiva antropologica, rilevando il diverso ruolo assegnato all’animale nei diversi contesti etnologici, ruolo che oscilla tra i due poli opposti di una completa alterità rispetto all’uomo e di una peculiare identità con esso a seconda dei differenti regimi economici di caccia o allevamento, raccoglitori o allevatori. Dell’animale per eccellenza della tradizione biblico-ebraica, l’agnello, si occupa il saggio di Emulio Baccarini, che nell’ambito del testo biblico veterotestamentario ricostruisce il rituale simbolico dell’agnello pasquale, sottolineando come esso rappresenti il segno forse più elevato dell’elezione del popolo di Israele e «segno significante della “signoria di Dio”». Tonia Cancrini, dapprima insieme a Paola Linguiti, si sofferma invece sul ruolo e la funzione dei cavalli nell’Iliade omerica, Xanto e Balio in particolare, i meravigliosi e immortali cavalli di Achille; in un altro saggio, insieme a Simona Argentieri, viene esaminato da Linguiti il valore e il significato dell’essere animale in generale dal punto di vista della psicoanalisi, con particolare riferimento a Freud, sostenendo che fare davvero esperienza dell’animale significa fondamentalmente conoscere l’alterità e accettarla come tale. Se è vero che la riflessione sulla condizione animale è da considerare in strettissima connessione con la condizione umana, occorre allora ricordare che Aristotele è forse stato il primo nella storia del pensiero occidentale a insistere sull’intima relazione delle due condizioni, affermando che non è possibile parlare dell’uomo senza fare riferimento all’animale, anzi che la stessa umanità dell’uomo è pensabile e si caratterizza proprio in rapporto/differenza all’animale. Le celebre definizione aristotelica dell’uomo come zoon logon ekhon testimonia infatti questa correlazione, che Riccardo Dottori, nel suo contributo, cerca di esplicitare a partire dai concetti di lógos e linguaggio, e del lógos inteso come dialogos, ossia manifestazione e comunicazione per mezzo della parola, ciò che distingue propriamente l’uomo dagli animali e dallo loro semplice phone. Dottori tuttavia presenta in questo volume una sua traduzione del III libro del De abstinentia carnibus di Porfirio, in cui si parla anche di un lógos degli animali e di conseguenza del dovere di giustizia che l’uomo ha nei loro confronti, mettendo in evidenza i motivi di ordine soprattutto religioso, metafisico e morale di questo trattato in cui il divieto di uccidere gli animali e di mangiarne le carni nasce TENDENZE E DIBATTITI dal principio etico del rispetto per l’altro. Venendo ad alcuni momenti del pensiero filosofico moderno e contemporaneo, Marcella D’Abbiero analizza il concetto di animalità così come emerge dalla Enciclopedia di Hegel in cui l’approfondimento della figura dell’animale, situata tra natura e spirito, serve anche a gettare nuova luce per la comprensione proprio della nozione hegeliana di spirito in quanto dotata di storicità e dinamismo. Soffermandosi soprattutto sui Grundbegriffe der Metaphysik, Maria Teresa Ricci evidenzia la differenza fondamentale tra l’uomo e l’animale. Contrariamente all’uomo, l’animale non esiste, ma vive soltanto: se l’essenza dell’uomo è l’esistenza, l’animale come semplice vivente è - scrive Heidegger - povero di mondo (Weltarm); e se la morte, il morire, è ciò che caratterizza più essenzialmente l’esserci, la morte dell’animale non è uno Sterben, un morire, ma un Verenden, ciò un semplice cessare di vivere. Ora, scrive Ricci, «se l’uomo pone la sua distinzione in virtù della parola e attraverso questa, l’animale impone la sua differenza proprio non parlando, e cioè tramite il silenzio; ma se la parola può essere misteriosa, il silenzio è il mistero stesso». Proprio questo fondo di inaccessibilità che permane nell’essere animale è forse ciò che continua a spingere l’essere umano ad interrogarsi sull’animale e sul suo insondabile mistero. Numerosi altri saggi compongono il volume e cercano di evidenziare alcuni aspetti particolari del concetto di animalità: Marta Cristiani si sofferma sulla simbologia animale in Ildegarda di Bingen; Carlo Ferrucci sull’immagine della serpe nel pensiero di Maria Zambrano, figura di spicco del pensiero spagnolo contemporaneo; Annamaria Laserra indaga sul bestiario linguistico di Prosper Mérimée; Fabrizio Scrivano, sugli studi ornitologici ed entomologici di Ulisse Aldovrandi, scienziato bolognese della seconda metà del XVI secolo. Chiude infine il volume una estesa e interessante analisi dell’animale nella prospettiva della bioetica di Maurizio Mori, il quale affronta la questione del ruolo e dei “diritti” degli animali alla luce della riflessione etica e giuridica contemporanea. G.P. Filosofia dell’arte ed esperienza estetica Dalla categoria di poesia al confronto con le poesie: così potrebbe essere definito il programma filosofico che sottende alle riflessioni elaborate da Fulvio Papi in LA PAROLA INCANTATA E ALTRI SAGGI DI FILOSOFIA DELL ’ARTE (Guerini e Associati, Milano 1992). A questo volume può essere accostata, per affinità di temi e di obiettivi polemici, la raccolta di saggi di Rüdiger Bubner, ESPERIENZA ESTETICA (traduzione italiana di Monica Ferrando, presentazione di Gianni Carchia, Rosenberg e Sellier, Torino 1992), che si presenta come una difesa della specificità dell’esperienza estetica sulla base del suo carattere aconcettuale. L’incontro, o scontro, tra la filosofia e l’arte deve configurarsi, a parere di entrambi gli autori, come riflessione sulle concrete pratiche artistiche e sui loro prodotti, anziché come applicazione di categorie estrinseche da parte della filosofia a un ambito ad essa estraneo. La notazione di Friedrich Schlegel, secondo cui «in ciò che si chiama filosofia dell’arte manca solitamente una delle due: o la filosofia, o l’arte», segnala, secondo Fulvio Papi, un problema reale, quello della difficoltà di svolgere un «discorso filosofico immanente alla dimensione artistica», rimanendo al livello di una sovrapposizione estrinseca al fenomeno artistico di schemi concettuali, che in quanto tali restano necessariamente astratti. La filosofia dell’arte deve invece configurarsi come prassi, e prassi filosofica che si svolge nella concretezza del campo artistico. Il “prodotto” di tale pratica è, in primo luogo, filosofico; dal punto di vista storico, tuttavia, l’elaborazione filosofica di poetiche, quando sia generata, come pratica filosofica, dall’ordito della concreta prassi artistica, ha notoriamente sempre dato nuovo impulso alla trama di quest’ultima, in un rapporto dialettico fra le pratiche, che nel loro incrociarsi producono un surplus di senso, un “sovrappiù di mondo”. Il concetto di “pratica” è dunque la chiave di volta della riflessione di Papi, ed esso va accompagnato dall’aggettivo “determinata”; una sorta di endiadi, perché la riflessione, in quanto pratica, è sempre situazionata, ha sempre alle proprie spalle la trama e l’ordito delle pratiche da cui risulta. Non in una concettualizzazione, ma in un’analisi “genetica”, quella relativa al prodursi dell’opera d’arte, consiste dunque per Papi la filosofia dell’arte. E’ questo l’atteggiamento concettuale che porta a un essenzialismo speculativo di stampo hegeliano, rifiutato da Rüdiger Bubner, contro il quale questi fa valere il carattere aconcettuale, riconosciuto da Kant, del giudizio di gusto. Nella sua polemica antiessenzialistica e anticoncettualista, Bubner mira a sottolineare come il giudizio di gusto sospenda la questione veritativa; per questo vengono rifiutate impostazioni, come quella heideggeriana, che continuando a mantenere la questione della verità, e attribuendo un valore veritativo alla conoscenza estetica, finiscono anch’esse per tradire la dimensione effettiva sulla quale si pone l’esperienza estetica, quello dello Schein, dell’apparire. Come sottolinea Gianni Carchia, la difesa bubneriana dello Schein va oltre le posizioni di Kant, che certo non dissolve il concetto 39 intellettivo nel giudizio di gusto, e non propone una fondazione sensistica dell’estetica. A una posizione di questo tipo si accosta invece Bubner, quando pone come garante della propria impostazione antimetafisica il richiamo al dato empirico, che si qualifica anzitutto come “storico”. Carchia avanza dei dubbi sulla congruenza di un così marcato richiamo al livello dell'empiria, e per di più storicamente determinata, nei confronti di un’impostazione che si vorrebbe trascendentale; al di là di ciò, importa comunque sottolineare come il richiamo alla concretezza della poiesis e delle fruizioni artistiche inserisca il soggetto estetico bubneriano in un ben diverso orizzonte rispetto a quello prefigurato da Kant, collocandolo nel luogo dell’intersecarsi delle pratiche storiche, cui fa riferimento anche Papi. Pur muovendo da una problematica e da categorie prettamente gnoseologiche, nel contesto della trattazione relativa al giudizio di gusto, Kant le rielabora radicalmente, osserva Bubner, ma tiene fermo a due fondamentali acquisizioni: l’identificazione dell’esperienza estetica con la «tensione fra contatto sensibile e operare creativo», e l’affermazione dell’eccedere dell’arte rispetto a ogni oggetto artistico, e dunque rispetto a ogni contenuto, a ogni significato particolare. A partire da queste stesse premesse, Papi mira a delineare una caratterizzazione del rapporto fra il lettore e il testo, in cui è escluso quel «lettore senza residui», che è tale in quanto possessore di un sapere della poesia. Questo modello di lettore è quello prefigurato da una concezione mimetica del linguaggio, dove l’elemento del significato acquisisce un rilievo specifico. In questa prospettiva, la lettura di un testo, di qualsiasi tipo esso sia, prevede da parte del lettore una decodificazione come prassi trasformativa, creatrice di significatività; qui «il lettore è alla fine un operatore epistemologico connesso con una comunità scientifica»: un accidente, se non un ostacolo, di fronte all’oggettività del significato. Sulla scorta della concezione di Hans Robert Jauss, il lettore “ricettivo” viene da Papi definito a partire dallo “scarto estetico”, cioè dalla distanza fra l’opera nuova e l’orizzonte di attesa preesistente. Tale scarto non è tematizzabile, non è cioè organizzabile nella forma di un sapere; è il luogo del “fraintendimento” (spogliando il termine da qualsivoglia caratterizzazione valutativa), il luogo dove viene meno ogni situazione comunicativa, dove non si dà conoscenza, poiché il significato, che non si oggettiva, non è ripetibile. La poesia, come sostiene Vittorio Sereni, al quale Papi dedica una parte consistente del proprio libro, non è però esauribile nella dimensione della comunicazione sociale e del significato: proprio perciò essa è “pratica immaginaria”. Le condizioni di verità della poesia non consistono nella fedeltà a un denotato, ma in quella al testo medesimo. La prossimità al testo poetico avviene dunque per Papi non nella “traduzione”, che prevede l’esistenza di un signi- PROSPETTIVE DI RICERCA Friedrich Heinrich Jacobi, Immanuel Kant, l’antica Università di Jena, Karl Leonhard Reinhold, Johann Gottlieb Fichte 40 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Scritti kantiani di Jacobi Il vangelo kantiano Tre importanti scritti di Friedrich Heinrich Jacobi su Immanuel Kant sono oggi disponibili in traduzione italiana nel volume SCRITTI KANTIANI (a cura di G. Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1992). Il primo, SULL’IDEALISMO TRASCENDENTA LE, è in effetti la famosa appendice all’opera DAVID HUME E LA FEDE del 1787; il secondo è il noto trattato del 1801 SULL’IMPRESA DEL CRITICISMO DI RICONDURRE LA RAGIONE ALL ’INTELLETTO ; il terzo, il più breve ma non meno significativo, SULL’INSCINDIBILITÀ DEL CONCETTO DI LIBERTÀ E DI PROVVIDENZA DAL CONCETTO DI RAGIONE del 1799. Dal 6 al 29 gennaio 1993, nella bella sala, appena restaurata, del Senato accademico della Friedrich-SchillerUniversität di Jena, si è tenuta una mostra straordinariamente interessante dal titolo: DAS KANTISCHE EVANGELIUM. DER FRÜHKANTIANISMUS AN DER UNIVERSITÄT J ENA VON 1785 BIS 1800 UND SEINE VORGESCHICHTE , che documentava il primo impatto del kantismo a Jena. Tra le scoperte più interessanti risulta che una lezione sulla CRITICA DELLA RAGION PURA era stata annunciata da Johann August Ubrich nel 1784 e da Erhard Schmid nel 1785. I testi, per la prima volta disponibili in lingua italiana, sono tradotti ed ampiamente introdotti da Giuliano Sansonetti, che, dopo aver premesso alcuni brevi cenni di biografia intellettuale, inquadrato la figura ed evidenziato l’importanza del pensiero di Friedrich Heinrich Jacobi nel suo tempo e nella sua storiografia filosofica dell’Ottocento e Novecento, fino agli studi più recenti, si sofferma a delineare e puntualizzare i motivi del serrato e lungo confronto di Jacobi con il pensiero di Spinoza e Kant. Tra i motivi specifici degli scritti jacobiani sulla filosofia di Kant, Sansonetti ricorda soprattutto la critica di Jacobi alla concenzione kantiana della conoscenza nel suo complesso, il rapporto tra “oggetto empirico” ed “oggetto trascendentale”, tra “fonomeno” e “cosa in sé”, ed infine - senza ritenere con questo esaurito il contenzioso tra Kant e Jacobi - la critica alla kantiana idealità del tempo e dello spazio. Giustamente Sansonetti mette in guardia il lettore dalla difficoltà di distinguere nella lettura dei testi proposti ciò che appartiene a Jacobi filosofo e critico. Altrettanto opportunamente fa notare anche come, di fronte alle tesi interpretative originali e alle proposte personali di sviluppo, svolte e presentate per di più con atteggiamenti fortemente critici, polemici e a volte sarcastici, sia difficile sfuggire all’impressione che Jacobi forzi il testo kantiano. Tuttavia, conclude Sansonetti, non si può altrettanto dire che egli non colga «il vero senso dell’opera kantiana». T.L.R. Che molte biblioteche e archivi nel territorio della ex Germania orientale e nelle nazioni dell’Europa orientale contengano libri e documenti utili a chiarire diversi momenti cruciali della storia dell’illuminismo tedesco è cosa risaputa, vista, in particolare, la notevole velocità con cui ebbe luogo, allora, sia attraverso i libri, sia attraverso la peregrinatio academica, la circolazione delle idee. Per avere un’idea delle dimensioni dell’area di cultura tedesca alla fine del Settecento basta uno sguardo all’utile volumetto di Konrad Schröder, Vorläufiges Verzeichnis der in Bibliotheken und Archiven vorhandenen Vorlesungsverzeichnisse deutschsprachiger Universitäten aus der Zeit vor 1945 (Saarbrücken 1964), un repertorio che raccoglie informazioni sulla collocazione attuale, nelle più diverse biblioteche europee, dei catalogi praelectionum di tutte le università di lingua tedesca prima del 1945. Nel caso particolare della diffusione della filosofia critica, si è trattato di un movimento da Est a Ovest, che dalla periferica Königsberg, capoluogo della più orientale delle provincie prussiane, ha portato le idee di Kant fin nel centro della Germania, prima tappa di un processo che avrebbe dato a Kant diffusione europea. Ora, che il kantismo avesse dapprima preso piede all’Università di Jena, l’Alma Salana, era ben noto, in particolare per via delle estreme conseguenze che dalle premesse kantiane avevano tratto una schiera di giovani pensatori allora attivi a Jena e i cui 41 nomi sono celebri: Karl Leonhard Reinhold, Friedrich Schiller, Johann Gottlieb Fichte, Wilhelm von Humboldt, Alexander von Humboldt, Friedrich Wilhelm Georg Hegel (citati secondo l’ordine del loro arrivo a Jena). Meno noto, ovvero del tutto ignoto, era che il supposto iniziatore del kantismo jenese, il viennese Reinhold, giunto a Jena nell’ottobre del 1787, che con i suoi Briefe über die Kantische Philosophie (del 1786 documenti 51-53) aveva aperto gli occhi del grande pubblico sulla profondità e l’importanza della filosofia kantiana, si trovò davanti dei colleghi che non solo avevano compreso perfettamente la portata dei risultati raggiunti da Kant, ma addirittura li avevano già sperimentati con successo nelle loro lezioni. Ed è stato proprio muovendo dalla corrispondenza tra il filosofo Christian Gottfried Schütz (1747-1832 - allievo di Georg Friedrich Meier a Halle e direttore della celebre Allgemeine Literatur-Zeitung) e Kant - in particolare da un passo della lettera di Schütz a Kant del 20.9.1785, in cui si faceva menzione di una guida agli studi preparata da Schütz, a nome della facoltà filosofica della Salana, seguendo il «Suo [di Kant] progetto», ovvero riprendendo testualmente le pagine dell’Architettonica della ragion pura dedicate alla partizione della metafisica (KrV A 845 s.) - che è riuscito a Norbert Hinske e ai suoi colleghi jenesi, Erhard Lange e Horst Schröpfer, di rintracciare l’originale, stampato a Jena in mille copie nell’aprile 1785, con il titolo di Anweisung auf die zur philosophischen Facultät gehörigen Wissenschaften und deren Endzweck, Wichtigkeit und Studium betreffend (documenti 5a-5b), e di cui né i curatori del corrispondente volume dell’epistolario kantiano, né Max Wundt, l’autore di un’ampia ricostruzione storica dedicata alla filosofia insegnata a Jena, nemmeno sospettavano l’esistenza. La ricerca sui documenti conservati presso l’Universitätsarchiv e la Thüringer Universitäts-und Landesbibliothek di Jena ha permesso ai curatori della mostra e del puntuale catalogo che l’accompagna, Das Kantische Evangelium. Der Frühkantianismus an der Universität Jena von 17851800 und seine Vorgeschichte. Ein Begleitkatalog (a cura di Norbert Hinske, Erhard Lange und Horst Schröpfer, Frommann- PROSPETTIVE DI RICERCA Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1993) di provare che i filosofi e i teologi jenesi non solo conobbero a fondo Kant e la sua filosofia, ma furono tra i primi in Germania (almeno due anni prima di Reinhold) a schierarsi - pur dopo accese discussioni - a fianco di Kant. Cosa che procurò loro lo scherno dei letterati di Weimar, Goethe, Herder e Schiller, cui la tradizione attribuisce la ripresa in senso ironico dell’espressione (introdotta da Reinhold) di “Vangelo kantiano” per indicare, appunto, la solida devozione kantiana degli jenesi. L’obiettivo principale della mostra consiste, dunque, nella precisa ricostruzione delle ripercussioni della rivoluzione kantiana sulla didattica e sullo sviluppo intellettuale dei dotti jenesi, ad esempio negli scritti di Johann August Ulrich (17461813), che fu (in assoluto) il primo ad occuparsi della logica trascendentale all’interno di un manuale di logica e metafisica, e dei teologi Ernst Jakob Danovius (1741-1782), Johann Jacob Griesbach (1745-1812) e Johann Christoph Doederlein (1746-1792), che decisero di applicare la kantiana dottrina del metodo alla teologia; come pure, senza dimenticare il coetaneo Johann Gottlieb Fichte (17611814), negli scritti del filosofo Carl Christian Erhard Schmidt (1761-1812), che con una nutrita serie di manuali e glossari si impegnò efficacemente nella diffusione della filosofia critica; e inoltre, cambiando facoltà, nel kantismo professato dal professore di medicina Christoph Wilhelm Hufeland (1762-1836) e dai giuristi Paul Johann Anselm Feuerbach (1775-1833), Gottlieb Hufeland (1760-1817) e Anton Friedrich Justus Thibaut (1772-1840). La mostra vuole essere un chiaro segno della vitalità della ricerca storico-filosofica che si svolge oggi a Jena: per le ricerche sulla storia della filosofia nell’aetas-kantiana - specialmente dopo la perdita dei documenti conservati a Königsberg - Jena risulta essere uno dei luoghi di maggiore rilievo nazionale e internazionale. R.P. La logica di Leibniz Anche se non si tratta, nella loro totalità, di prime traduzioni, appare opportuno segnalare la nuova edizione di due raccolte di scritti di Gottfried Wilhelm Leibniz: la seconda edizione riveduta, aggiornata e ampliata dell’antologia di SCRITTI DI LOGICA (a cura di Francesco Barone, Laterza, Roma-Bari 1992) e la ‘CONFESSIO PHILOSOPHI’ E ALTRI SCRITTI (a cura di Francesco Piro, Cronopio, Napoli 1992). Non è inopportuno l’accostamento degli Scritti di logica di Gottfried Wilhelm Leibniz alla nuova traduzione di un testo giovanile del filosofo tedesco, la Confessio philosophi, accompagnata da tre scritti che appaiono a essa contigui dal punto di vista di uno sviluppo delle tematiche teologiche e metafisiche in essa contenute. Come sostiene Francesco Barone nella nuova premessa e nel saggio introduttivo agli scritti logici, è da rivedere, e forse da rovesciare, la celebre tesi di Louis Couturat, che per primo ha rivalutato, agli inizi del Novecento, l’opera logica di Leibniz, attribuendo proprio ad essa la determinazione della prospettiva metafisica del filosofo. Al contrario, sostiene Barone, è la concezione metafisica a condizionare non solo la trattazione leibniziana della sillogistica, ma anche le ricerche logico-matematiche relative al calcolo infinitesimale: «la formalità degli schemi logici è concepita in funzione di una dottrina ontologica». Non il principio logico del carattere analitico della verità, ma quello metafisico della costituzione delle “caratteristiche”, e di un “calcolo”, come chiave di penetrazione all’articolazione ontologica del reale rappresentano, secondo Barone, il movente determinante della riflessione leibniziana. Ciò accade, osserva ancora Barone, perché con Leibniz, che appartiene al periodo in cui si afferma la distinzione fra filosofia e scienza, la distinzione medesima non si è consumata come frattura. Proprio questo aspetto è quello che ha probabilmente nuociuto alla diffusione degli scritti logici, la cui riscoperta teoretica appartiene agli inizi del nostro secolo. Così nella questione della teodicea, intesa come tentativo di conciliare bontà di Dio, libertà dell’uomo e origine del male, ovvero nella questione della giustizia di Dio, centrale nella Confessio philosophi, più che di commistione di elementi logici e elementi metafisici, occorre parlare di un percorso filosofico che, con la guida di un metodo definitorio che ha la sua più propria applicazione nelle ricerche logico-matematiche, si snoda qui a dipanare le matasse che avvolgono tematiche tradizionalmente ascritte a teologia e metafisica. Relativamente alle questioni del peccato e del libero arbitrio, come nota Francesco Piro nella postfazione alla Confessio philosophi, la velata accusa mossa alle formulazioni tradizionali di questi problemi consiste, da parte di Leibniz, nella loro ambiguità. In questo testo, un dialogo tra un filosofo e un teologo, per risolvere le questioni poste dal secondo il primo procede, infatti, secondo il metodo definitorio, a partire dal principio di ragion sufficiente, secondo il quale nihil est sine ratione. Data per accertata l’esistenza del male nel mondo, essa comporterebbe allora l’esistenza del male in Dio come sua causa; ma Leibniz sfugge a tale conclusione, riesumando la distinzione, già altomedioevale, tra esistenza necessaria ed esistenza contingente come coincidenza nella prima, in quanto causa sui, di essentia ed existentia. Dal punto di vista logico, l’esistenza necessaria indica quella il cui contrario deve essere 42 pensato come contraddittorio, a differenza di quanto accade per l’esistenza contingente. Dal punto di vista ontologico, il male viene deprivato della sua sostanzialità; dal punto di vista etico, la tendenza a esso si presenta come errore; come deficienza, cioè, della volontà, dovuta alla debolezza dell’individuo e della sua libertà. L’intersecarsi dei vari piani dell’indagine filosofica, che si riscontra nella prospettiva leibniziana, così ben evidente nella Confessio philosophi, appare anche nella raccolta di scritti logici curata da Barone: “scritti logici” che, come nota il curatore stesso, secondo l’accezione del termine “logico” valida agli inizi del nostro secolo, avrebbe potuto comprendere quasi tutta la produzione “filosofica” di Leibniz. Con Husserl, Russell e Couturat, l’idea di una mathesis universalis come perno della riflessione leibniziana, e quindi la tesi di un carattere pervasivo dell’interesse logico nel filosofo, prende il sopravvento sull’interpretazione “metafisica” del suo pensiero, che si era imposta nel corso di Settecento e Ottocento. Nel Novecento, l’evoluzione formalistica della logica da un lato, e la rivalutazione di ascendenze mistico-religiose (nonché platonico-cabalistiche) del pensiero di Leibniz dall’altro, hanno mutato i termini della questione per come essa si poneva agli inizi del secolo, comportando il divaricarsi del settore disciplinare che è oggi di pertinenza della logica da molta parte della riflessione leibniziana, respinta nel settore della metafisica. In questa situazione, d’altra parte, “ciò che è vivo” dell’esplicita commistione leibniziana tra logica e metafisica consiste, a parere di Barone, nell’ «esigenza propriamente filosofica»; l’esigenza, cioè, di prendere in seria considerazione il portato ontologico di un’impostazione della logica che troppo spesso, pretendendo di trincerarsi nello specialismo tecnico-formale, rischia, a differenza di quanto accade in Leibniz, di rappresentare una convalida a posteriori di presupposizioni ontologiche, non chiaramente esplicitate né discusse. F.C. Baruch Spinoza: un’attualità perenne Pierre Macherey, allievo di Althusser e professore alla Sorbona, ha recentemente dato alle stampe un volume dal titolo: AVEC SPINOZA (Dalla parte di Spinoza, PUF, Parigi 1992), che raccoglie una dozzina di studi su Baruch Spinoza, già comparsi, a diverso titolo, in riviste specializzate. Introduce l’opera un saggio inedito di Macherey, che fa il punto sullo “stato” della letteratura critica sul filosofo e sulle attuali tendenze dello spinozismo. Considerando sintomatico l’isolamento PROSPETTIVE DI RICERCA di cui gode la filosofia di Spinoza all’interno della Fenomenologia dello Spirito hegeliana, la più compiuta sistematizzazione del sapere filosofico, Pierre Macherey ne fa un titolo di merito. Dal momento che non si risolvono in un sistema chiuso e coerente, le “idee” di Spinoza invitano ad una lettura aperta, sollecitano ad una comprensione dinamica che ne evidenzi le potenzialità autonome di sviluppo. Il corpus dell’opera diventa pertanto indissociabile dal commentario critico che l’accompagna; assieme costituiscono gli anelli di una catena che a ben vedere è già contenuta “in potenza” nello svolgimento del testo, in ragione del fatto che non è dato il contenuto del pensiero di Spinoza. Più propriamente Macherey parla di un vuoto, di «una potenza infinita che non può essere altro che la potenza dell’intelletto in sé. E’ per questo che Spinoza può dire che la propria filosofia è onnipotente, perché è la vera filosofia». Filosofia dunque che non pone contenuti, ma che insegna una pratica del pensiero, orientata verso la ricerca indefinita della comprensione del reale. Questa caratterizzazione “metodologica” in divenire garantisce l’attualità filosofica di Spinoza, le cui tracce sono ricercate nelle filosofie di pensatori ormai classici, quali Hobbes, Pascal, Condillac, come pure nei percorsi di pensiero dei contemporanei: Russel, Foucault, Adorno fino a Deleuze e Negri. Conclude l’autore di Avec Spinoza, che «ciò che è certamente al centro dell’impegno spinoziano è la sua inesauribile fecondità, la sua attitudine a generare continuamente nuove forme di pensiero». Per rispondere alla domanda circa le fondamenta culturali e filosofiche su cui riposa la “permanente attualità” del pensiero spinoziano, Macherey evidenzia la presenza di due tradizioni, che si incontrano e si scontrano senza assorbirsi: da una parte una spiritualità «arcaica», che viene al filosofo di Amsterdam dalle sue origini ebraiche, e dall’altra la filosofia cartesiana; due polarità inconciliabili, che Spinoza si rifiutò sempre di sintetizzare in un sistema di pensiero unificato. «Ciò che nella sua epoca ha caratterizzato Spinoza - afferma Macherey - fu appunto questa “anomalia”: la combinazione di arcaismo e avanguardia, che egli realizzò facendo reagire questi elementi l’uno sull’altro e conferendo al suo pensiero un carattere eccezionale, spostato, o addirittura, con una formula di Hegel, “declassato”». E.N. Arte oratoria Da alcuni anni si assiste al recupero e alla rivalutazione della retorica non solo - o non tanto - come “arte” finalizzata alla persuasione, ma anche - e soprattutto - come scienza del discorso in senso metalinguistico e metaletterario. Non mi riferisco soltanto alla ripresa (ormai “storica”) degli studi retorici a opera di Lausberg, di Florescu, di Perelman e Olbrechts-Tyteca, del “Gruppo µ” ecc.; né alludo solamente alla vasta letteratura concernente la metafora. Penso piuttosto all’interesse per la retorica sia da parte di quel ramo della linguistica che va sotto il nome di “linguistica del testo” o “discourse analysis”, sia da parte di alcuni studiosi che - specialmente in Spagna - si occupano di teoria della letteratura o di poetica, come ad esempio A. Garcia Berrio, T. Albaladejo Mayordomo, ecc.. All’interno di questa attuale rivalutazione della retorica si colloca anche l’edizione italiana dell’opera di John Ward, SISTEMA DI ARTE ORATORIA 1759 (introduzione, traduzione, note ed excursus di Roberto Salvucci, Edizioni QuattroVenti, Urbino 1992). Figura eclettica, quella di John Ward. Nato a Londra nel 1679, ricoprì la cattedra di retorica al Gresham College di Londra e fu membro di varie associazioni, fra cui la “Royal Society”); fu inoltre curatore del British Museum. La curiosità culturale di Ward fu ampia: si interessò di letteratura, storia, giurisprudenza, religione, economia, filosofia, musica, ecc. Morì nel 1758. La sua opera fondamentale, A System of Oratory (Sistema di arte oratoria), apparve postuma, in due volumi, nel 1759. Come precisa Roberto Salvucci nella sua dettagliata “Introduzione”, in cui viene ricostruita la complessa personalità di Ward e la sua concezione della retorica, il System of Oratory è suddiviso in 54 lezioni e la sua idea-guida «è che l’arte oratoria teorizzata dai classici può essere ancora utilmente frequentata dagli uomini intraprendenti ed attivi della società contemporanea». Opponendosi alla “letteraturizzazione” della retorica, Ward studia e assimila i modelli classici attraverso la lezione umanistico-rinascimentale. La posizione assunta da Ward nei confronti della retorica lo portava a considerare questa scienza in relazione con la società: in un periodo storico in cui i valori di onore, giustizia e onestà «si vengono sempre più oscurando a scapito del profit of interest, Ward invita il suo uditorio - osserva Salvucci - ad esercitare l’eloquenza, nelle assemblee, affinché le deliberazioni concernano sempre ciò che sia both good and profitable, ossia buono e utile». Una concezione della retorica e dell’oratoria, questa, che si potrebbe definire etico-pragmatica e che derivava anche dal profondo interesse di Ward per la storia, soprattutto per la “storia civile”: la storia (civile) «è una narrazione di quegli eventi che sono adatti ad essere trasmessi ai poste43 ri per l’utilità degli uomini e per una migliore condotta della vita umana». Del resto, Ward si dimostra pienamente razionalista quando afferma che «il fondamento di un buon stile risiede principalmente nel buon senso» e che lo stile si fa «più corretto e vigoroso» se fra le idee si realizza una stretta connessione: «Quando le idee si distendono con linearità [...] nella mente, le esprimiamo con facilità e nella loro giusta connessione e dipendenza; ma, quando sono avviluppate e tortuose, le esprimiamo con pena e difficoltà, come pure in modo disordinato». Sul problema della chiarezza espressiva Ward ritorna più volte. Ora, se alla base di tutto ciò - come sottolinea Salvucci - stanno Cicerone e Quintiliano, è possibile anche vedere in Ward certe anticipazioni delle famose “massime” di Grice (soprattutto quella che riguarda il “modo”). Questo riferimento a Grice ci riporta a quanto detto all’inizio sul rapporto fra retorica e discourse analysis. Infatti, al pari di Grice, anche Ward pone l’accento sulla conversazione, sul dialogo e sul rapporto fra questi e la scrittura. Afferma Ward: «Poiché il fine del parlare è la conversazione, nessun genere di scrittura può essere più naturale del dialogo in cui si esprime la conversazione. [...] La materia del dialogo è estremamente ampia, dal momento che tutto ciò che è argomento appropriato di un discorso, pubblico o privato, serio o scherzoso; tutto ciò su cui uomini saggi e prudenti possono parlare per realizzare un progetto o per divertimento, è adeguato ad un dialogo». A parte, ancora una volta, il naturale taglio etico (ma qui anche edonistico) di questo brano, come non vedervi quasi anticipati il concetto di Textsorten e l’importanza dell’impromptu speech? Corredata, a cura di Salvucci, di tre ampi excursus su Sofistica e Oratoria, sull’analisi delle forme argomentative condotta da Ward e, infine, sulla grandezza e corruzione dell’ars oratoria, quest’opera si dimostra una miniera di osservazioni, spunti, suggerimenti, provocazioni ed esempi, utili al lettore moderno non solo per costruire discorsi corretti ed efficaci, ma anche per istituire un rapporto razionale e costruttivo con la società in cui vive. L.V. Petrarca e la medicina Lo studio di Klaus Bergdolt: ARZT, KRANKHEIT UND THERAPIE BEI PETRARCA. DIE KRITIK AN MEDIZIN UND NATURWISSENSCHAFTEN IM ITALIENISCHEN F RÜHHUMANISMUS (Medico, malattia e terapia in Petrarca. La critica della medicina e delle scienze della natura nel primo umanesimo italiano, VGH, Acta humaniora, Weinheim 1992) presenta un aspetto poco noto della figura di Petrarca: la sua critica alla medicina dell’età della PROSPETTIVE DI RICERCA scolastica. In uno studio dettagliato ed erudito, corredato da un fitto apparato di note, Klaus Bergdolt analizza passaggi fondamentali dei trattati e delle lettere di Petrarca in relazione al problema del suo rapporto con la medicina scolastica dell’epoca. In alcuni capitoli dell’opera si trovano materiali e osservazioni su ambiti eccentrici rispetto al tema del libro, come ad esempio un excursus sulla teoria dell’arte sviluppatasi nell’ambiente dell’Università di Padova o un’altro sull’Università di Montpellier. Alcuni aneddoti sulla vita di Petrarca e sul suo rapporto personale con la malattia costituiscono momenti di intrattenimento, in un’opera altrimenti ispirata ai criteri dello studio accademico e filologico. E’ il caso di una lettera inviata nell’inverno 1370 dal poeta al suo medico Giovanni Dondi; al di là dell’aneddoto la lettera è indice di un atteggiamento introspettivo di Petrarca e del suo tentativo di stabilire un rapporto con la propria malattia. Il poeta, febbricitante, scrive al proprio medico per non sentire la febbre, per indirizzare la propria attenzione, attraverso l’attività della scrittura, in un’altra direzione. L’atteggiamento scettico di Petrarca rispetto alla medicina dell’epoca si mostra qui attraverso il filtro della sua esperienza personale: al medico che lo aveva messo in guardia rispetto a presunti effetti dannosi, per un febbricitante, dell’acqua di fonte, della frutta fresca e del digiuno, egli risponde smontando inesorabilmente le sue argomentazioni. Petrarca aveva del resto altre ragioni per dubitare della medicina scolastica. La peste del 1348 gli aveva portato via numerosi amici, ma soprattutto gli aveva tolto Laura, donna da lui amata e musa ispiratrice della sua poesia. Dopo la morte di Laura la smisurata delusione di Petrarca si sfoga nelle Invectivae, con cui il poeta si scaglia contro il medico personale del papa Clemente VI e ridicolizza i medici formatisi tra le sottigliezze della retorica e della logica scolastiche. Si può così comprendere come all’arroganza di tali medici Petrarca contrapponesse quel senso della finitezza umana che si esprime anche nella sua lirica. M.M. Gassendi fra epicureismo e cristianesimo Dopo un’assenza di quasi trecento anni ricompaiono nelle librerie francesi i sette volumi dell’ABRÉGÉ DE LA PHILOSOPHIE DE GASSENDI (Compendio della filosofia di Gassendi, Fayard, Paris 1992) di François Bernier in una edizione curata da Sylvia Murr e Geneviève Stefani. L’opera è il risultato visibile dell’impulso alla ricerca prodotto dal riaccendersi dell’interesse per la figura e il pensiero di Gassendi, di cui è un’ulteriore conferma la recente fondazione della Société internationale d’études gassendiennes e dall’inaugurazione del Centre d’études gassendiennes a Digne dove, nel 1592, nasceva Pierre Gassendi. François Bernier, medico, viaggiatore, uomo di lettere amico di Racine, La Fontaine e Boileau, a vent’anni dalla morte di Gassendi (1655), si propose di diffonderne il pensiero attraverso un’opera di volgarizzazione. Il Compendio si presenta quindi come un’esposizione in lingua francese e in forma “alleggerita” della filosofia di Gassendi, classicamente tripartita in Logica, Fisica e Morale. Il materiale è per lo più attinto dal Syntagma philosophicum, nel quale Gassendi aveva esposto la sua rielaborazione della concezione epicurea, nella ricerca di un accordo con la rivelazione cristiana. L’opera, rimasta incompiuta e pubblicata postuma, di fatto testimonia soltanto l’ultima fase del pensiero del suo autore; è inevitabile allora domandarsi fino a che punto la versione di Bernier offra una autentica visione d’insieme della posizione di Gassendi, anche se indubbiamente risveglia la curiosità nei confronti di un pensiero dagli aspetti così difficilmente conciliabili. Un uomo di chiesa che si occupa di astronomia e si dice grande ammiratore di Galileo proprio quando il Sant’Uffizio condanna la teoria copernicana come eretica può sembrare contraddittorio; ma può anche darsi che Gassendi fosse un prete dalla mentalità eccezionalmente aperta. Non meno arduo fu armonizzare religione cristiana ed epicureismo, dove l’equivocità del compromesso è comprovata dalla simpatia che per Gassendi ebbero i libertini e gli illuministi. L’influenza di Montaigne, e soprattutto quella di Charron, orientarono Gassendi verso una posizione empirico-scettica che ne fece un polemico oppositore tanto dell’aristotelismo e del cartesianesimo quanto dell’indirizzo magico-occultista. Contro l’atteggiamento dogmatico dei primi e quello irrazionalistico dei secondi, il dubbio scettico e il successivo richiamo all’esperienza furono comunque finalizzati al tentativo di salvare dallo scetticismo la conoscenza scientifica, anche se il prezzo da pagare fu l’incrinarsi di qualsiasi pretesa fondazionistica del sapere scientifico da parte della metafisica. Allo stesso modo fu il valore epistemologico riconosciuto alle allora recenti esperienze della fisica nascente, unito ad un’esigenza di rigore e di plausibilità, che portò Gassendi ad abbrac- 44 ciare le tesi dell’atomismo di Epicuro. Così il dogma della rivelazione, accettato senza riserve, lungi dal costituire un ostacolo, permetteva di rinunciare ad ogni giustificazione razionalistica, delimitando contemporaneamente la sfera del conoscibile alla quale l’uomo poteva accedere con la “nuova scienza”. M.V. Carteggio Freud-Binswanger Stima e affetto profondi e reciproci legavano Sigmund Freud e Ludwig Binswanger in un rapporto non privo di tratti “edipici”. Sul piano teorico Freud fu però diffidente rispetto alla possibilità di fondare filosoficamente la prassi analitica, come invece intendeva fare Binswanger, riferendosi soprattutto a Heidegger. La recente pubblicazione, con il titolo di BRIEFWECHSEL 1908-1938 (a cura di Gerhard Fichtern, Fischer, Frankfurt a. M. 1992), del carteggio tra il padre della psicoanalisi e il fondatore della “Daseinsanalyse” può aiutare a chiarire e comprendere aspetti umani e controversie scientifiche di tale rapporto. Il primo incontro tra Sigmund Freud e Ludwig Binswanger avviene nel 1907, quando Binswanger, allora giovane medico, accompagna a Vienna Carl Gustav Jung e sua moglie. Le caratteristiche emotive di tale incontro appaiono subito ben delineate. All’epoca, il rapporto del giovane Binswanger con il padre si poneva sotto il segno del principio di realtà; il padre rappresentava la “legge” e l’esempio da seguire nell’obbedienza: prima intraprendendo la carriera di medico, poi l’attività di psichiatra e in seguito quella di direttore del celebre sanatorio Bellevue di Kreuzlinger. Al contrario, Freud appare come una sorta di “padre ideale”, capace di guidare intellettualmente il figlio e al tempo stesso di assistere, senza interferire, all’individuazione da parte di questi di una propria strada nella vita e nella scienza. Che si trattasse di un’idealizzazione, fu poi confermato dallo sviluppo di tale rapporto, e dallo scetticismo (per non dire dalla disapprovazione) di Freud rispetto al tentativo di Binswanger di trasformare la psicoanalisi in Daseinsanalyse, analisi esistenziale, basandosi sulla filosofia dell’”esserci” elaborata da Heidegger in Essere e tempo. Il carteggio offre la testimonianza di una tendenza all’autoillusione da parte di Binswanger circa la disponibilità di Freud ad accettare tale inversione di rotta verso la filosofia: così, annunciando in una lettera a Freud del 1922 la pubblicazione della sua Allgemeine Psychologie (Psicologia generale), Binswanger si dichiara persuaso «di tendere, attraverso una via concettuale, allo stesso scopo a cui [Freud] si [era] tanto avvicinato attraverso una via empirica, quella cioè di creare una base per la conoscenza psicologica dell’uomo». Freud, di PROSPETTIVE DI RICERCA formazione mediconaturalistica (e filosoficamente simpatizzante per Schopenhauer), era però in parte diffidente, in parte estraneo alle sistematizzazioni filosofiche e ai tentativi di fissare in concetti la ricerca empirica e il concreto lavoro analitico e interpretativo. Così, dopo la lettura di alcuni capitoli della Allgemeine Psychologie, Freud risponde a Binswanger, esprimendo il dubbio che egli possa riuscire nel suo tentativo, facendo a meno dell’inconscio, e chiedendosi se il più giovane collega non sia stato preso dagli artigli del “diavolo filosofico”. In questo contesto si potrebbe domandarci se anche il termine “inconscio” non rinvii a una dimensione di concettualizzazione filosofica, o quantomeno a una fissazione concettuale dei risultati di quell’esperienza sui generis che è la prassi analitica. Una tale domanda circa il senso dell’inconscio è stata posta, in un ambito, quello fenomenologico, non distante dalle preoccupazioni della Daseinsanalyse, da Eugen Fink. Non si conosce la risposta di Binswanger alla lettera in questione di Freud. In questo caso il curatore del carteggio rinvia, in una nota, all’anno 1956, quando, nelle sue Erinnerungen an Sigmund Freud (Ricordi di Sigmund Freud), Binswanger rifiuta la critica di aver rinunciato al concetto di inconscio, affermando di avere invece «trasformato, ampliato e approfondito» tale problema: attraverso il metodo della Daseinsanalyse la secca contrapposizione tra conscio e inconscio passa infatti a suo parere in secondo piano, a vantaggio di una descrizione delle modalità concrete dell’”essere-nel-mondo”. Nel carteggio gli aspetti scientifici del rapporto Freud-Binswanger si intrecciano a quelli privati. Qui emergono, in particolare, alcuni aspetti “profondi” della personalità di Binswanger. Si vedano, ad esempio, alcuni passi delle lettere del periodo successivo alla morte del figlio maggiore (1929), nel quale Binswanger vedeva un predestinato ed eletto prosecutore della propria attività scientifica e terapeutica. In occasione del suo cinquantesimo compleanno, Binswanger annota nelle pagine del suo diario: «Gli amici mi augurano una buona seconda metà di secolo. Per me questo augurio è ovvio, tanto mi sento giovane e pieno di progetti, come se stessi per iniziare una seconda vita con Bobi in me. Il dolore appartiene al pieno vivere». Interessanti sono anche quelle parti del carteggio che illuminano aspetti della nevrosi delle classi agiate che frequentavano lo studio di Freud e la casa di cura diretta da Binswanger, mettendo al tempo stesso in luce quello che all’epoca appariva uno dei tratti più “scandalosi” della psicoanalisi: il porre la famiglia all’origine dei disturbi nevrotici. Gli individui appartenenti a questo “pubblico” borghese che, più che del lettino di Freud avevano bisogno di assistenza e di osservazione, vengono sottoposti, nella lussuosa casa di cura binswangeriana sul lago di Costanza, a trattamenti che Terzo congresso pisocoanalitico internazionale, al centro Sigmund Freud, secondo da sinistra Ludwig Binswanger; nella foto sotto, Sigmund Freud nel 1931 45 PROSPETTIVE DI RICERCA appartengono oggi alla preistoria della psicoterapia e della psicoanalisi: bagni, somministrazione di bromuro, lavoro manuale e movimento. Tutto ciò con il consenso critico di Freud, che sovrintendeva da lontano alla formazione del giovane allievo, ben diversa, in anni pionieristici della psicoanalisi, da quella attuale fondata sull’analisi didattica. M.M. Althusser: diario di prigionia tare una scrittura per resistere al presente immobile del campo di concentramento, di trasformare un’esperienza di negazione in un’occasione di formazione, sapendo che rimarrà ineliminabile «il lento oscuramento interiore che sento scendere su di me». Vale leggere queste pagine anche come testimonianza aperta di un’esistenza contesa tra volontà di cercare una disciplina filosofica e il buio della follia. E.N. Heidegger e il sofista La recente traduzione del primo volume della biografia di Louis Althusser (L’AVVENIRE DURA A LUNGO, Guanda, Milano 1992) ha riproposto all’attenzione del pubblico italiano la figura contrastata di uno dei più problematici “maître à penser” degli anni ’70. Per la preparazione di quest’opera, Yeann Moulier Boutang, il suo biografo, è andato a cercare nei cospicui fondi dell’IMEC (Institut des Memoires de l’Edition Française) il diario di prigionia di Althusser, che copre il periodo in cui il filosofo era recluso nei lager nazisti, offrendolo alle stampe con il titolo: JOURNAL DE CAPTIVITÉ. STALAG XA, 1940-1945 (Diario di prigionia. Stalag XA, 1940-45, a cura di Olivier Corpet e Yeann Moulier Boutang, IMEC/Stock, Paris 1992). Esperienza incancellabile, vissuta nel “tempo immobile” del campo di concentramento, che Louis Althusser ventenne registra con dolorosa disciplina in questi quaderni, riprodotti nel manoscritto dai curatori. La funzione di cronista dello Stalag di Schleswig gli era stata affidata dalla benevolenza degli altri reclusi a causa delle sue cattive condizioni di salute; è dunque nell’agio, del tutto relativo, di questo compito che Althusser ha il tempo di scrivere e di studiare: Pascal, Goethe, Hölderlin, Rilke, La Bruyère sono i compagni d’elezione, la cui frequentazione si lascia percepire nei brevi saggi, nelle poesie e negli aforismi presenti in questi fogli diaristici. Per chi intenda ripercorrere la biografia intellettuale del filosofo, questi diari rappresentano un momento fondamentale del percorso di Althusser, rafforzando la tesi di Boutang che afferma l’esistenza di una linea di continuità tra le posizioni cattoliche conservatrici di Althusser da giovane e le posizioni marxiste radicali dei suoi anni maturi. Una continuità intellettuale e morale che il biografo accredita in sede storica, evidenziando un percorso che va dal cristianesimo cattolico al comunismo. Più modestamente l’interesse biografico di questi scritti è quello di contribuire alla messa a fuoco della personalità complessa di Alhusser: il movimento pendolare tra disperazione e lucidità intellettuale, il tentativo di dare argini razionali al senso di negazione della sua esperienza di recluso. Tutto ciò si raccoglie nell’intento d’inven- Prosegue la pubblicazione, nella GESAMTAUSGABE heideggeriana, dei testi delle lezioni universitarie del filosofo: è ora la volta del corso sul “Sofista” platonico, P LATON: SOPHISTES (Gesamtausgabe. II Abteilung: Vorlesungen 1919-1944, vol. XIX, Klostermann, Frankfurt a. M. 1992), tenuto da Heidegger nel semestre invernale 192425 all’università di Marburgo. «E’ chiaro infatti che voi da tempo siete familiari con ciò che intendete quando usate l’espressione essente; anche noi credemmo un giorno di comprenderlo senz’altro, ma ora siamo caduti nella perplessità». Commentando queste parole tratte dal Sofista platonico Martin Heidegger introduceva, all’inizio di Essere e tempo (1927), quella che sarebbe stata la questione fondamentale del suo itinerario filosofico: la necessità di una riproposizione del problema del senso dell’essere in generale. La lettura delle lezioni dedicate da Heidegger nel 1924-25 (in un periodo immediatamente precedente la stesura di Essere e tempo) al Sofista di Platone può dunque costituire motivo di interesse per chi cerca di dipanare i molteplici fili storico-teoretici che si intrecciano nel tessuto della filosofia heideggeriana. Nel dialogo platonico un seguace di Parmenide di Elea, il filosofo che aveva separato nettamente la via della verità, o dell’essere, dalla via dell’opinione o del nonessere, si interroga sullo statuto della verità filosofica. La via di accesso a questo problema è costituita dalla distinzione tra il sofista e il filosofo. Attivi nell’Atene del V secolo a.C., i sofisti, almeno secondo l’immagine che di essi viene data nel dialogo platonico, negavano la possibilità di distinguere in linea di principio il vero dal falso e scambiavano l’essere con il nonessere. Questa posizione può certo essere intesa come uno stratagemma critico-pedagogico, rivolto contro coloro che fanno mostra di sapere ciò che in realtà non sanno, ma sembra anche precludere all’essere umano, «misura delle cose che sono e che non sono», come voleva il sofista Protagora, l’accesso a una verità metafisica. Tuttavia anche Socrate, non sofista ma “filosofo”, faceva ampio uso di tali stratagemmi critico-ironico-pedagogici e identificava la saggezza con il sapere di non sapere. Su questa base ci si può legittimamente domandare quale sia la differenza 46 tra il sofista e il filosofo, tra l’opinione (soggetta ad errore) e l’amore della verità. Sono queste alcune delle domande che fanno da filo conduttore del corso heideggeriano sul Sofista, pubblicato ora nel vol. XIX della Gesamtausgabe a cura di Ingrid Schüßler e ricostruito accuratamente sulla base di appunti e dei manoscritti del testo delle lezioni. La filosofia antica, e in particolare Platone e Aristotele, costituisce una delle fonti principali di cui si nutre il pensiero heideggeriano ai suoi inizi, mentre l’ultimo Heidegger si rivolgerà ai filosofi presocratici. Già a Friburgo, nel 1923, Heidegger aveva studiato la filosofia di Aristotele, dedicando la propria attenzione soprattutto all’Etica nicomachea. Nel corso sulla logica del semestre invernale 1925-26 (apparso nel 1976) alcune osservazioni sul problema della verità vengono sviluppate nel contesto dell’interpretazione di alcune parti della metafisica aristotelica. Nel 1922, poco prima della chiamata all’Università di Marburgo, Heidegger aveva scritto, per sottoporla al giudizio di Paul Natorp, la cosiddetta Aristoteles-Einleitung, pubblicata nel 1989 nel “Dilthey-Jahrbuch” a cura di HansUlrich Lessing. Per diversi motivi le lezioni heideggeriane del periodo di Marburgo sono state sinora interpretate come una preparazione a Essere e tempo, un’opera che introdurrebbe nella filosofia heideggeriana una rottura e un nuovo punto di partenza, quello del problema del senso dell’essere. Nelle lezioni del periodo di Marburgo sarebbe invece prevalente un’impostazione condizionata da tematiche di carattere esistenziale, “pragmatistico” e da motivi della “filosofia della vita” di matrice diltheyana, orientate contro la filosofia dei valori e il trascendentalismo del neokantismo. Questa immagine del pensiero heideggeriano del periodo marburghese può essere forse parzialmente corretta dalle lezioni sul Sofista, che mostrano l’esistenza di una certa continuità con alcune tematiche di Essere e tempo e addirittura, secondo alcuni commentatori, con l’opera di Heidegger posteriore alla cosiddetta Kehre, “svolta”. Tema di queste lezioni è da una parte il senso della filosofia (e dell’esistenza filosofica, o autentica) e dall’altra, ad esso legato, quello dell’essere. Più di un terzo del testo delle lezioni è dedicato non al Sofista, ma all’analisi della distinzione tra phronesis e sophia, sviluppata da Aristotele nell’Etica nicomachea, ed è su questa base che viene considerata la distinzione tra esistenza quotidiana e filosofica. Quest’ultima è caratterizzata per Heidegger dal fatto di essere dedicata, in modo disinteressato, all’essere dell’ente: in questo senso la vita teoretica (sophia) è, aristotelicamente, la modalità più elevata dell’esistenza. Ma che cosa distingue il sofista dal filosofo? Come si può parlare del non-essere? Come è possibile distinguere l’errore dalla verità? Heidegger sembra qui riprendere, nel diverso contesto del proprio pensiero, la risposta platonica: è la dialettica, in quanto riflessione sul discorso, che per- TESTATINA L’Associazione degli Amici di Spinoza , costituitasi nel 1989, ha proceduto al rinnovo del Direttivo nell’Assemblea generale tenutasi a Urbino il 12 novembre 1992, in occasione della commemorazione di Emilia Giancotti, presidente nel triennio 1989-1992. Il nuovo Direttivo, eletto per il triennio 19921995, è così costituito: Mino Chamla (Univ. di Milano), Paolo Cristofolini (Scuola Normale Superiore di Pisa), Piero di Vona (Univ. di Napoli), Filippo Mignini (Univ. di Macerata), Giuseppa Saccaro Battisti (Univ. di Roma “La Sapienza”), Cristina Santinelli (Univ. di Urbino), Emanuela Scribano (Univ. di Venezia). Il nuovo Presidente è Filippo Mignini. La Presidenza ha sede presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze umane dell’Università di Macerata, via Garibaldi 20, cap. 62100, tel. 0733/258323, F ax o733/ 258329. La Segreteria e la redazione del Bollettino presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Urbino, via Saffi 9, cap. 61029, tel. 0722/320525. Quanti siano interessati alla ricerca su Spinoza e allo spinozismo, possono dare la propria adesione chiedendo di essere iscritti all’Associazione. La quota annuale di iscrizione - che dovrà essere versata dopo l’accoglimento della domanda inviata alla Presidenza - è di L. 25.000 e può essere pagata con vaglia postale indirizzato a Daniela Bostrenghi, Segreteria dell’Associazione Italiana degli Amici di Spinoza, Istituto di Filosofia dell’Università, via Saffi 9, 61029 Urbino. Sono state pubblicate nella rivista tedesca Die Zeit (n. 30, 17 luglio 1992, a cura e con un commento di Klaus Garber) tre lettere tra lo studioso di mistica ebraica Gerschom Scholem e Dora Pollak, moglie di WALTER BENJAMIN . Scholem, amico di Benjamim, conobbe Dora Pollak nel 1916 e, dalla primavera 1918 all’estate 1919, frequentò quotidianemente la casa della famiglia Benjamin in Svizzera, godendo della più stretta intimità di Walter, Dora e del figlio Stefan. Le lettere pubblicate dalla Zeit (provenienti dal fondo dei manoscritti della biblioteca nazionale e universitaria di Gerusalemme) risalgono al 1941-42 (agli anni, dunque, immediatamente successivi alla morte di Benjamin), e rispecchiano il bisogno dei due personaggi di mantenere vivo il ricordo non solo dell’amico e dell’ex-marito, ma anche - in anni tragici per l’Europa - di un’epoca e di un ambiente della cultura ebraica e tedesca. Dora Pollak cerca, attraverso Scholem, di recuperare alcune tracce di Benjamin (dal quale era separata legalmente): libri, oggetti, fotografie, ricordi personali; Scholem, che già dal 1923 viveva in Palestina, e che dopo la morte del- NOTIZIARIO l’amico si era dedicato alla raccolta dei suoi scritti e di tutto ciò che potesse essere utile per ricostruirne la vita, si rivolge a Dora Pollok come a colei che più era stata vicina a Benjamin, pregandola di trascrivere i ricordi del marito in vista della stesura di una biografia. Dora Pollak risponde a Scholem proponendosi di inviargli tali ricordi in forma di lettere; una promessa che, per quanto si può evincere dai materiali disponibili nell’archivio benjaminiano di Gerusalemme, non sarebbe poi stata mantenuta. Ma la vicenda esistenziale di Benjamin è destinata a suscitare anche altre polemiche, in particolare per quanto riguarda la sua morte, ancora avvolta dal mistero. Alla luce di una serie di nuovi documenti, Ingrid Scheurmann (“Frankfurter Rundschau”, 15. XII. 92) mette in dubbio sia la versione dei funzionari spagnoli, secondo la quale Benjamin fu vittima di una morte per apoplessia cerebrale, sia anche la versione ufficiosa di Henny Gurland, che conferma l’ipotesi del suicidio. Nonostante tutti i dubbi da lei addotti, anche Scheurmann ammette che la tesi del suicidio non possa essere definitivamente abolita. Tuttavia potrebbe pur sempre essere possibile che il gruppo, insieme al quale Benjamin attra- versò il confine spagnolo, e di cui faceva parte anche Henny Gurland, sia riuscito a celare alla Guardia Civil le vere cause della sua morte per risparmiare a tutti i componenti del gruppo noiose indagini. All’ipotesi di Scheurmann ha reagito, sullo stesso giornale, Hans Puttnies, che insieme a Gary Smith ha pubblicato nel 1991 un volume dal titolo: Benjaminiana. Puttnies è convinto di poter correggre ogni dettaglio dei documenti addotti da Scheurmann. Nell’insieme egli respinge la grave calunnia di Scheurmann nei confronti di Henny Gurland, quella fotografa che a Berlino ha lavorato per una rivista di sinistra, il cui marito ha combattuto nella guerra civile spagnola, e che, nella sua fuga in America, aveva conosciuto Benjamin a Marsiglia. «Non vi è niente nella vita dolorosa di questa donna - afferma Puttnies - che dia adito di dubitare della sua sincerità». Con il volume di Fabio Bazzani e Alessandro Guidi, Il rischio e la chiacchiera. Il luogo del discorso etico tra filosofia e psicoanalisi, prende il via, presso l’Editore Borla di Roma, la collana TALKING CURE del Centro di Ascolto e Orientamento Psicoanalitico di Pi- ERRATA CORRIGE Nell’articolo: Diritto e Stato in Hegel (“Informazione Filosofica”, n. 8/9, settembre 1992), con la denominazione errata di “Societas der Freunde der dialektischen Philosophie” si deve intendere la “Internationale Gesellschaft für dialektische Philosophie - Societas Hegeliana”. Essa non ha il suo “baricentro” nella Germania orientale, presso la “Deutsche Akademie der Wissenschaften”, bensì è stata fondata a Francoforte con lo scopo di intensificare il dialogo filosofico tra tutte le filosofie razionali e conta tra i suoi oltre 300 membri filosofi provenienti da tutti i continenti. Organo ufficiale della suddetta società non è la rivista “Dialektik” di Amburgo, ma gli “Annalen der Internationalen Gesellschaft für dialektische Philosophie”, diretti da Domenico Losurdo, presidente della società stessa. Infine l’indicazione di una particolare vicinanza dei membri di questa società con il progetto della Europäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften, edita dall’editore Meiner di Amburgo, deve essere ridimensionata in una collaborazione occasionale di alcuni membri a tale progetto. 47 stoia, diretta da Alessandro Guidi. Il volume, frutto della collaborazione e del confronto tra un filosofo e uno psicoanalista, mette in rilievo, verificandole appunto sui temi del rischio e della chiacchiera, due stili differenti di approccio al problema dell’etica ed un comune riferimento: il luogo dell’esperienza e dell’esistenza. La collana “Talking Cure” intende rappresentare uno spazio di dibattito tra studiosi di diversa provenienza disciplinare, tuttavia interessati ai temi della psicoanalisi, dell’etica, della filosofia, dell’antropologia. In questo quadro di intervento pluridisciplinare ed intersettivo è in preparazione il volume, che vede il contributo di vari autori, su La funzione del padre nella clinica e teoria psicoanalitica. Nell’ambito di un ACCORDO DI COOPERAZIONE stipulato tra la Facoltà di Lettere e la Facoltà di Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Losanna (docenti: Marie-Jeanne Borel, Claude Calame, Mondher Kilani), il Collège International de Philosophie di Parigi (decente: Francis Affergan) e il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia (docenti: Silvana Borutti, Ugo Fabietti) si sono svolti e sono in corso di svolgimento colloqui e seminari su temi di epistemologia, epistemologia delle scienze umane, epistemologia dell’antropologia. Per il 1993 è prevista l’organizzazione di giornate di studio sul tema: “Modellizzazione dell’oggetto antropologico: vedere, sapere, scrivere l’antropologia”, che dà avvio ad una ricerca comune su “La trascendenza culturale: costruzione e distruzione dell’oggetto antropologico”, che si articolerà su più punti, tra loro collegati e complementari, e finalizzati a un ripensamento critico della questione dei fondamenti epistemologici dell’antropologia: 1. Esistono degli oggetti antropologici? Analisi delle condizioni di possibilità e della storicità dell’oggetto antropologico. 2. L’oggetto antropologico come presentazione/rappresentazione: analisi delle procedure di modellizzazione e schematizzazione; realtà e finzione dell’oggetto antropologico. 3. Le forme delle categorie, dei concetti, delle nozioni antropologiche: analisi dei procedimenti di formulazione, descrizione, traduzione-alterazione; la questione delle metafore e del trasferimento simbolico in generale; “métissage” et “rapatriement” dei concetti; le differenti logiche pratiche. 4. Traduzione e formulazione nel discorso antropologico: il residuo nella traduzione, la questione dell’esistenza di una logica naturale, la questione universalismo/relativismo. 5. Procedure e oggetti ritrovati: reciproca critica della questione dei fondamenti dell’antropologia; discussione dei modelli di fondazione (ermeneutica, cognitivismo, dialogismo, testualismo, ecc.); l’antropologia “rimpatriata”. Tale accordo di cooperazione prevede scambi di insegnamenti per durate limitate, scambi CONVEGNI E SEMINARI Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger, Michel Foucault, Jacques Derrida, Jean-Paul Sartre 48 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Filosofie contemporanee Se la filosofia contemporanea è essenzialmente apertura – apertura problematica del pensiero verso un orizzonte possibile di senso – , una significativa conferma di ciò si è avuta dal ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA. CIÒ’ CHE É VIVO, CIÒ’ CHE É MORTO , dedicato a figure della scena filosofica contemporanea, svoltosi presso la Casa della Cultura di Milano fra ottobre e dicembre 1992. Il ciclo, ideato e organizzato da Fulvio Papi (se ne veda la presentazione sul numero 10 di questa rivista), ha visto interventi di Pier Aldo Rovatti, Salvatore Natoli, Carlo Sini, Silvana Borutti, Maurizio Ferraris e Mario Vegetti. A partire da una rilettura dell’opera, soprattutto postuma, di Jean Paul Sartre, Pier Aldo Rovatti ha proposto due questioni fondamentali, in base alle quali il dibattito filosofico contemporaneo può utilmente rivolgersi al pensiero di questo filosofo. La prima riguarda la possibilità di trovare in Sartre elementi per l’elaborazione della nozione di alterità, così come essa viene oggi proposta da Levinas, Ricoeur e Derrida, e giungere a una “morale della distanza”. Essa consiste nella rivalutazione del ruolo dell’alterità come momento costitutivo dell’ipseità, ovvero della soggettività di quell’essere che non coincide con sé stesso, in quanto si “tiene a distanza” da sé medesimo. In questo modo la prospettiva di lettura di Sartre riceve una correzione rispetto alle accuse di umanismo metafisico, spesso rivolte, da Heidegger in poi, al filosofo francese. L’elaborazione di una nuova nozione di soggettività, in connessione con quella di alterità, rimanderebbe dunque all’idea di un possibile superamento, inteso come “distorsione” (Verwindung) della metafisica e dei suoi concetti. Al rilievo di Fulvio Papi, secondo cui la riflessione sartreana, pur a prescindere dalle sue stesse autointerpretazioni, si presenta effettivamente come una forma di radicale coscienzialismo, imperniata sulla nozione del “per sé”, Rovatti ha risposto sostenendo che una prospettiva storico-filosofica deve senza dubbio tener conto del coscienzialismo come di una caratteristica essenziale del pensiero di Sartre, ma non può escludere un’impostazione teoretica, tesa alla ricerca di elementi divergenti, “più contemporanei”. La seconda questione emersa durante la conferenza concerne il problema della parola filosofica. Secondo Rovatti occorre sottolineare che le molteplici forme della scrittura, in cui Sartre si è cimentato, non riguardano il tentativo di esprimere un medesimo contenuto attraverso linguaggi diversi, bensì quello di trovare, tramite forzature della scrittura, una nuova pratica filosofica; emerge dunque qui la questione del carattere “narrativo” della ricerca filosofica e della sua scrittura e, proprio per questo, della sua incommensurabilità con quella scientifica. Il tentativo sartreano rimarrebbe dunque ben distante da quell’ideale di oggettività “scientifica” proposto da Edmund Husserl, in virtù del quale Enzo Paci, come ha ricordato Rovatti, rimproverava alla riflessione sartreana proprio il suo carattere di descrittività, e un minor grado di concettualizzazione. I testi postumi di Sartre configurano un progetto di sistema della morale. La tesi della finitezza umana, ha notato Rovatti, non può che portare al trascendimento del piano gnoseologico, e sfociare in quello etico: la verità diventa una questione pratica. Su questa base Rovatti ha accostato la posizione di Sartre a quella di Martin Heidegger, con una coincidenza delle determinazioni di libertà, esistenza, verità; l’etica sartreana pare in questo animata dalla volontà di perdersi, nella sua rinuncia ai comodi (pragmaticamente) occhiali dell’universalità scientifica per i più ardui strumenti dell’etica interpretativa, laddove la libertà si definisce come un progettare a partire dalla passività, come un “agire la fatticità”. Anche nella ricerca di Michel Foucault, ha rilevato Salvatore Natoli, emerge come centrale la questione del soggetto. Costituendosi a partire dalla ricerca della verità, esso descrive, nella riflessione di Foucault, un percorso che va dalla “morte dell’uomo” alle tecnologie del sé. Ripercorrendo l’analisi foucaultiana, Natoli ha sottolineato come il concetto di uomo, che entra in crisi con la fine dell’Ottocento, abbia un’esi49 stenza relativamente breve, poiché la sua data di nascita va collocata verso l’inizio del XX secolo, con l’avvento delle “scienze umane”. L’io, come soggetto della filosofia moderna, come soggetto cartesiano, non è ancora “uomo”, ma solo un principio d’ordine, l’unità vuota della rappresentazione, riempita dal sistema di ordinamenti. Le scienze umane creano invece il luogo in cui l’uomo, ridotto a oggetto naturale, nasce come quell’essere naturale la cui specificità, d’après Kant, dopo Kant, consiste nell’essere fine a sé stesso. Proprio qui inizia però la sua dissoluzione: dal punto di vista dell’oggettivabilità esso perde infatti la propria unità, in quanto diventa l’oggetto di diversi “punti di vista”. Nell’articolarsi della riflessione foucaultiana, Natoli ha individuato tre momenti: il costruirsi della verità nella parola, gli effetti della verità, il costituirsi del sé. La verità si colloca nella storia, nella ricostruzione genealogica, che non consiste nella ricerca di un’origine naturale, ma nell’acquisizione di un sé, e rappresenta, come tale, un atto ermeneutico. L’ ”origine” si manifesta qui sotto le spoglie dell’antecedenza, e i documenti non valgono come elementi di una ricostruzione cronologica, ma come “monumenti”, vestigia di un’indagine di tipo “archeologico”. A causa delle “rotture epistemologiche”, quello che si presenta alla ricerca della nostra origine è un paesaggio di rovine, senza la possibilità di ripercorrere gli stadi naturali della nostra evoluzione, che ci appaiono come positività frantumate. La verità, che appartiene al discorso, non può dunque riguardare un singolo oggetto nella sua staticità, nella quale esso non può che rappresentare un frammento. La verità pertiene solo alla ricerca genealogica, che ricostruisce il discorso nella sua effettualità, nel suo essere dotato di un’efficacia, e perciò di un potere. Proprio la questione della verità è stata al centro della rilettura del pensiero di Martin Heidegger, proposta da Carlo Sini, che ha preso le mosse dal confronto del filosofo tedesco con Aristotele e Husserl nel corso di lezioni marburghese pubblicato con il titolo: Logica. La questione della verità. Quella della verità si manifesta come questione del logos fin da Aristotele; il discorso è “apofantico”, cioè “fa vedere” (idein) CONVEGNI E SEMINARI e si manifesta come “gesto del corpo”, che si articola nella voce. Nella sua dimensione “originaria”, quella che “conserva la cosa”, il logos si determina secondo tre momenti: come indicazione, come predicazione e come comunicazione, dove il significato che fonda gli altri è il primo. Il logos si determina dunque, in una prospettiva fondativa, come relazione segnica; la proposizione espressa, di cui si occupa la tradizione logica, e la dimensione del suo uso a fini comunicativi, costituiscono due fenomeni di ricaduta, due manifestazioni derivative. Come sostiene Heidegger, che assume qui uno dei caposaldi della fenomenologia, il logos, come relazione segnica che costituisce “il mondo”, si colloca nella verità, poiché è quest’ultima a rendere possibile la proposizione, e non viceversa. D’altra parte, ha osservato Sini, in questo modo anche Heidegger, come la tradizione filosofica alle sue spalle, muoverebbe dalla Auslegung, cioè dalla proposizione espressa, dalla lingua. Egli dà così a quest’ultima un ingiustificato primato, basato sul presupposto che l’”indicazione”, cioè la relazione segnica, debba necessariamente articolarsi come espressione. Con ciò Heidegger ricadrebbe, secondo Sini, nell’antropologismo, senza uscire dal “cerchio magico” del logos, quello determinato dalla “volontà di verità” del logos stesso, confondendo la verità con la sua espressione: la lingua, che, come ogni pratica, ha la sua verità, ma come “cosa” non può esaurire la verità, perché essa medesima costituisce il caso particolare di un altro sistema di segni. Occorre dunque un’analisi delle pratiche, degli “usi”. Richiamandosi a Maurice Merleau-Ponty, Sini ha ribadito che la pratica rappresenta l’”originario”, il “precategoriale”. Per questo l’essere dell’uomo non è mai nel presente, ma sempre un po’ avanti, nel progetto, o un po’ indietro, nell’origine: l’essere dell’uomo è nel rimando; esso si determina a partire dalla relazione segnica. Quest’ultima dà quindi la struttura dell’essere, nonché l’articolarsi della temporalità, la cui questione, ha ribadito Sini, va dunque posta a partire dall’essere delle pratiche, e non viceversa. La “danza delle pratiche” non è temporale, è semmai ritmo; poiché nessuna pratica può parlare di sé stessa, l’analisi delle pratiche va compiuta nel loro gioco, che si qualifica come “etico”, intendendo con ciò il collocarsi e l’essere definito del soggetto da quelle pratiche, alle quali esso è, letteralmente, “soggetto”. Origine delle pratiche è l’assemblaggio delle stesse; a differenza di Husserl, ha sostenuto Sini, è proprio la questione di questa origine, quella del “da dove” si parla, del “da dove” si pongono le domande, che Heidegger non è riuscito a porre. Nel suo intervento dedicato a Ludwig Wittgenstein, Silvana Borutti ha proposto un percorso di lettura dei testi del filosofo guidato dal concetto di forma, prendendo le distanze dall’interpretazione cor- rente che contrappone rigidamente un primo Wittgenstein - quello del Tractatus - da un secondo - quello delle Ricerche filosofiche. L’origine di queste divergenze interpretative è individuabile nella concezione del linguaggio, che Wittgenstein fa emergere nel Tractatus. Secondo Borutti, questa concezione non è riconducibile a quella neopositivistica, che vede il linguaggio come rappresentazione (Vorstellung), trascrizione raffigurativa di oggetti dati secondo un modello logico, rigorosamente formalizzato. Wittgenstein, al contrario, inaugura una riflessione sulle condizioni di possibilità del linguaggio, ne evidenzia il carattere trascendentale. Funzione del linguaggio diventa non la rappresentazione mimetica, bensì la presentazione (Darstellung), l’esibizione ostensiva della forma, cioè della struttura della realtà: il linguaggio è forma in quanto strumento di una possibile configurazione dell’oggetto. La pregnanza del termine Bild, usato comunemente da Wittgenstein per alludere a ciò che produce il linguaggio e che è generalmente tradotto con immagine, la si coglie in pieno se intendiamo questo termine come quadro, ovvero come insieme compositivo di una forma realizzata. In quanto produttore del nesso strutturale di un insieme, l’unità linguistica significante non è il nome, ma la proposizione. L’orizzonte del linguaggio esibisce una forma e nel contempo ne costituisce il limite, così come per il paesaggio naturale l’orizzonte determina la forma e insieme il contorno invalicabile di un colpo d’occhio umano. L’idea del linguaggio espressa nel Tractatus non si fonda su una semantica di tipo referenziale, ma sull’autonomia significante del linguaggio. Questa idea ritorna nella Ricerche filosofiche, ma si configura in modo differente. Wittgenstein rinuncia qui ad una immagine monocorde del linguaggio come forma unica ed inaugura l’idea di un sistema differenziale di forme. In questa visione pluralistica del linguaggio consiste, secondo Borutti, la cosiddetta “svolta” rispetto al Tractatus, e non semplicemente in una presa d’atto della complessità delle funzioni pratiche del linguaggio - asserzioni, preghiere, comandi ecc.-, come è stato sostenuto e sviluppato dalla filosofia analitica. Non si tratta, dunque, di fare un semplice catalogo degli usi e dei contesti linguistici, ma di esplorare le possibilità ostensive e costruttive del linguaggio. E’ questa la segreta efficacia di ciò che Wittgenstein definisce il gioco linguistico: nella fitta e complessa trama di una famiglia di somiglianze e di differenze di cui è intessuto, esso permette di evidenziare una forma all’interno di esempi di applicazione. Parlando, affermiamo la nostra appartenenza ad un gioco linguistico che, tuttavia, pratichiamo come sfondo costitutivo senza poterlo rappresentare tematicamente. Non si tratta della negazione del fondamento, ma della sua indicibilità, o, per dirla altrimenti, della sua ineffabilità. Se l’apertura del lin50 guaggio è condizione etico-estetico del dire umano, l’esperienza del linguaggio si connota di una imprevista coloritura poetica, estranea ad ogni tentazione di reificazione del mondo attraverso una sua fondazione filosofica. Se il decostruzionismo di Jacques Derrida consiste nell’investigare con radicalità le tracce di un pensiero, nel suo intervento Maurizio Ferraris ha adottato questo atteggiamento nei confronti di Derrida stesso, alla ricerca delle radici teoretiche del suo itinerario filosofico. Egli ha individuato nella fenomenologia di Edmund Husserl una matrice fondamentale nella genesi e nello svolgimento del pensiero di Derrida, analizzando alcuni scritti che testimoniano questa processualità riflessiva. Il primo di questi scritti è la sua tesi complementare di laurea del 1954, Il problema della genesi nella fenomenologia di Husserl, in cui si evidenzia la stretta connessione tra l’immediatezza intenzionale e la mediazione formale in Husserl, per cui il telos verso le cose stesse non è istantaneo, ma è il frutto di un lungo processo di mediazioni (epoché, riduzione dell’atteggiamento naturale, costituzione dell’oggetto). Ecco venire alla luce una significativa radice teorica del pensiero di Derrida: il tema della traccia e della ripetizione, in quanto frutto di una implicazione reciproca tra l’assoluta immediatezza e la totale mediazione. Seconda tappa di questo itinerario di pensiero è uno scritto del 1962, una lunga “Introduzione” all’Origine della geometria di Husserl, nel quale Derrida affronta il tema della scrittura, che si configura come “il luogo delle obiettività ideali assolutamente permanenti”. Tre sono momenti che conducono a questa definizione: in primo luogo la verità si presenta come intermittente nella nostra coscienza, per cui deve fissarsi con la permanenza della memoria; in secondo luogo la verità deve superare i confini dell’individuo, quindi deve essere comunicata nella forma del dialogo; in terzo luogo la possibilità della verità universale ed eterna è legata alla possibilità di ripetizione infinita attraverso un’idealizzazione, che è l’essenza della scrittura. La scrittura può quindi preservare la verità in assenza del soggetto, e questa notazione ha uno sfondo insieme gnoseologico ed esistenziale, perché lega la costituzione dell’idealità alla presenza della morte nel destino del soggetto. Tuttavia Derrida sviluppa in seguito una critica serrata della scrittura e del logocentrismo, facendo riferimento al Fedro di Platone, laddove Socrate denuncia l’esteriorità della scrittura e sostiene che il vero discorso non è quello delle parole scritte, ma quello interiorizzato nell’animo di colui che sa. Prendendo spunto da quest’ultimo passaggio, Ferraris ha indicato un testo del 1967, La voce e il fenomeno, in cui ritorna il confronto con Husserl (in riferimento alla Prima ricerca logica), che opera una distinzione tra segno ed espressione. Il segno CONVEGNI E SEMINARI ha una funzione indicativa; è il derivato della realtà non-presente, e questo comporta un’aporia irriducibile della scrittura. La scrittura in quanto rappresentazione ed esteriorità è finzione di una realtà non-presente. L’effetto teorico è che verità e finzione si avviluppano inestricabilmente tra loro, e questo conferma come l’esito ricorrente del pensiero di Derrida sia la scoperta di una serie di figure aporetiche nella filosofia contemporanea. In un ciclo dedicato ai filosofi contemporanei, l’unica apparente eccezione è stata la relazione di Mario Vegetti, che invece di prendere in esame un autore contemporaneo ha voluto saggiare la possibile contemporaneità del pensiero di Platone. Vegetti ha imperniato il suo intervento sul carattere originale e aperto dello stile filosofico di Platone, più portato ad aprire dei vuoti, cioè degli spazi riflessivi di interrogazione e di dialogo, che non a produrre un sistema compatto di enunciati e quindi una visione piena del mondo. Nel Libro VI della Repubblica Platone afferma che il lavoro filosofico è potenza della dialettica, cioè capacità critica e confutatoria nei confronti dei sistemi di credenza, installati nei luoghi del mondo, e dei suoi latori di verità (i sacerdoti, i generali, i politici ecc.) al fine di far emergere un punto di vista di verità come una sorta di fuoco di convergenza. Questo punto di vista, però, non si configura come un insieme di enunciati, ma - rileva Alain Badiou - come categoria operazionale. L’interrogazione critica non si propone di giungere ad una saturazione del vuoto, ma di indicare un punto prospettico ideale, per cui la potenza della filosofia non si costituisce come verità aggiuntiva accanto alle altre, ma come dialogo, in quanto processualità circolare di ascolto e di domanda, nel quale il riferimento sia quel punto di vista negletto nei regimi plurali di verità insediati nel mondo e divenuti consuetudinari. Secondo Vegetti questa immagine dialogica e aperta della verità platonica è molto più rilevante di quella affermativa e definitoria che una certa storiografia - si pensi alla scuola di Tubinga - si è sforzata di individuare e che ha ricondotto ai principi dell’Uno e della Diade. Ora, si chiede Vegetti, come si riflette questa dialogicità di Platone su temi quali l’idea del Bene e la questione della politica e dell’utopia? Il Bene è per Platone il fuoco virtuale dei valori e della verità, il punto di riferimento delle cose buone e desiderabili, ma non può essere dominio di enunciati teorici. Esso non si pone sul piano delle altre idee, ma si costituisce come un apriori generatore di esse, quindi trascendente anche il piano degli enti. In quanto tale, il Bene non è descrivibile come oggetto epistemologico. Ne segue un ineluttabile paradosso: il Bene è un potente principio generatore di verità, senza poter essere controllato da un dispositivo conoscitivo di verità, ma solo verificato nei suoi effetti. Con il discorso sul Bene s’intrecciano im- mediatamente i temi della politica e della utopia. Infatti: la conoscenza del Bene dà senso al potere e lo legittima, ma, non essendo un ente e non potendo essere definito concettualmente, rimane esperienza di una parte assai ristretta della comunità e non è democraticamente controllabile e verificabile. Platone, ha osservato Vegetti, trae da questo conseguenze provocatorie per la nostra cultura liberal-democratica ciò che Gadamer ha definito “una sfida provocatoria”. Innanzitutto nel campo della gestione del potere: se gli uomini sono negati al Bene, essi devono diventare sudditi della piccola minoranza che, detenendo il Bene, ha il dovere di imporlo con il dominio, per realizzare un’uguaglianza in prospettiva. In secondo luogo, nel campo dell’utopia: se la negazione della comunità politica dipende dalla famiglia - il luogo della privatizzazione degli affetti - e dalla proprietà individuale - la base strutturale della privatizzazione -, la polis deve eliminare famiglia e proprietà per una totale socializzazione degli affetti e dei beni. Lo stile filosofico dialettico ci restituisce dunque un Platone scandaloso nei confronti della democrazia e della libertà: anche in questo si misura la sua contemporaneità. F.C./F.S. L’epoca classica della scienza greca In una serie di lezioni dal titolo: FILOSOFIA E SCIENZA GRECA NELL ’EPOCA CLASSICA, tenute dal 12 al 16 ottobre 1992 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Arpád Szabó ha inteso dimostrare con rigore filologico come la vicinanza strumentale e metodica di geometria ed astronomia, trascurata dalla scienza moderna, sia stata oltremodo feconda nella storia della scienza greca. Secondo Arpád Szabó, il primo importante contributo alla preistoria della scienza viene da Eleati e Pitagorici. Quando si consideri che in un noto frammento Parmenide contrappone alla fallace percezione la ricerca razionale, all’abitudine di avvalersi dei sensi, frutto dell’esperienza, la via della verità, sembrerebbe intuitivamente difficile avvicinare tale antiempirismo alla pratica osservativa, mentre possiamo trovare tale legame nel pitagorismo, alle cui dottrine spesso la tradizione filosofica non ha riconosciuto spessore teorico. I pitagorici sono stati i primi pensatori ad aver tentato di dare consapevolmente alla conoscenza della natura una base quantitativa, matematica, operando il passaggio da una geometria ancorata alla materia ad una geometria i cui oggetti sono enti geometrici idealizzati. Nell’ambito di questa geometria organizzata matematicamente i pitagorici giungono alla dimostrazione dell’incom51 mensurabilità del lato e della diagonale del quadrato, attraverso l’enumerazione degli infiniti casi nei quali ciò si verifica, ma il metodo eleatico, confutando, secondo l’insegnamento di Zenone, le conclusioni e non le premesse delle argometazioni antitetiche, con la loro riduzione all’assurdo. Dopo aver rilevato come Eleati e Pitagorici, per i comuni procedimenti logico-dimostrativi, siano tra loro più vicini di quanto la tradizione storiografica non dica, Szabó ha sottolineato ripetutamente lo stretto rapporto tra astronomia e geometria nella scienza greca. Anassimandro introduce per primo in Grecia lo gnomone, già babilonese, determinando solstizi ed equinozi e costruendo sulle misurazioni effettuate con tale strumento un vero modello astronomico, in cui sono già contenuti gli elementibase del futuro geocentrismo tolemaico. A questo proposito, ha osservato Szabó, mentre l’astronomia orientale si fonda sull’aritmetica, ovvero sulla visione della volte celeste come insieme di punti, non è possibile, secondo i Greci, un’astronomia senza geometria. In età ellenistica, un doppio filo lega l’astronomia alla geometria negli Elementi di Euclide: proprio la terminologia puramente geometrica di Euclide doveva risultare estremamente funzionale all’astronomia; come la geometria euclidea non usa, a proposito dei gradi dell’angolo, espressioni numeriche ma geometriche, così nella letteratura astronomica i gradi sono “misurati” come parti della circonferenza. Anzi, il neoplatonico Proclo (V secolo d.C., autore, fra l’altro, di uno scritto Sul Libro I degli Elementi di Euclide) è così convinto dell’evidenza di tutto questo, che suggerisce di leggere la geometria euclidea come una propedeutica all’astronomia. La fondazione di una geografia matematica viene attribuita generalmente ad Eratostene di Cirene (III secolo a.C.); secondo Szabó, è invece Ipparco di Nicea (II secolo a.C.) ad avere questo merito. Coniugando molto più strettamente astronomia e geometria di quanto non avesse fatto Eratostene, Ipparco non solo conobbe i diversi rapporti dell’ombra meridiana a mezzogiorno in località diverse della terra, ma li usò per determinare la latitudine geografica della regione considerata, vale a dire la distanza di quella regione dalla linea equatoriale. La stessa grande sintesi di Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), deve la sua coerenza al lungo lavoro di Ipparco, il primo a scrivere un trattato sulle corde comprese in un cerchio, e quindi a fondare la trigonometria, indispensabile per l’astronomia e la geografia matematica. A.I. CONVEGNI E SEMINARI La persona e le sue immagini Il tema della persona è stato al centro dell’annuale convegno, dal titolo: LA PERSONA E LE SUE IMMAGINI, organizzato dalla Cattedra di Filosofia Morale in collaborazione con il Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università di Roma “Tor Vergata”, svoltosi nei giorni 22, 23 e 24 ottobre 1992. Il quadro speculativo entro il quale oggi si colloca il concetto di persona è divenuto quanto mai complesso e problematico, sollecitando una rinnovata consapevolezza critica e la possibilità di verificarne oggi i possibili fondamenti, ridefinendone lo statuto ontologico. Ciò soprattutto in seguito, da un lato, al tramonto delle ideologie, che sembra conferire nuova attualità alla nozione di persona, e dall’altro al declino dei sistemi metafisici tradizionali, da cui risulta al contrario una critica radicale non solo alla nozione di soggetto, di soggettività, ma anche alla stessa nozione di persona. Tenendo conto della mutata condizione speculativa, dei nuovi linguaggi e delle nuove prospettive di senso che muovono la riflessione filosofica contemporanea, il convegno si è articolato in maniera tale da affrontare direttamente, attraverso le relazioni principali, i problemi connessi allo statuto ontologico della persona. Giovanni Santinello ha evidenziato soprattutto a livello gnoseologico il nucleo speculativo essenziale della persona, dando ampio spazio alla sua rilevanza sul piano etico-giuridico. Le ambiguità insite nel concetto di persona, dal punto di vista ontologico, sono state invece dibattute dalla relazione di Franco Chiereghin, che senza trascurare le difficoltà del tema ha tuttavia insistito sulla connessione del concetto di persona con il motivo della libertà. La critica radicale nei confronti della nozione di persona sollevata dalle forme della decostruzione in atto nel panorama filosofico contemporaneo è stata al centro della relazione di Antonio Pieretti, che ha però cercato di superare tale critica, trattando della persona in riferimento al modello rappresentato dal rapporto presenzaulteriorità. Livio Sichirollo ha contribuito ad ampliare il discorso sulla persona, soffermandosi soprattutto su alcune delle sue figure principali, come l’io, la personalità, l’azione; figure che nella consistenza del volto, dell’icona e del simulacro avrebbero dovuto inoltre essere approfondite da Carlo Sini, improvvisamente assente. Giuseppe Riconda ha poi riflettuto su un’ontologia della persona che nel rapporto esistenzatrascendenza trova il suo momento principale. La relazione di Armando Rigobello ha invece evidenziato la relazione reciproca della questione della fondazione dell’altro con il programma etico-politico del personalismo, non trascurando affatto le difficoltà che incontrerebbe oggi il proget- to personalistico-comunitario di Emanuel Mounier. La problematica complessità della persona, tanto nel suo aspetto teoretico che storico e storiografico, è infine stata discussa nell’ambito di una tavola rotonda che si è arricchita degli interventi di Xavier Tillette, Pietro De Vitiis, Mario Signore, Luigi Alici, che hanno poi aperto un ampio dibattito col pubblico intervenuto. Il convegno è stato pure occasione per un bilancio storiografico sul fenomeno del “personalismo”, così come si è sviluppato tra gli anni Trenta e Cinquanta. Nel suo complesso il convegno ha mostrato come, filosoficamente orientata, l’analisi dell’esperienza interiore della persona possa essere posta in primo piano e divenire il centro fondante di un’ulteriore prospettiva teoretica, o sfumare in una visione estesa al contesto cosmologico e metafisico. Il discorso sulla persona rimane comunque aperto e suscettibile di un ulteriore approfondimento, che potrebbe venire anche dalla riflessione sul tema ad esso opposto e complementare dell’ ”impersonale”, su cui dovrebbe riflettere il convegno programmato per il prossimo anno. G.Pa. Scienza e metafisica moderna La rivoluzione scientifica compiuta dalla metafisica moderna, con l’affermazione che l’uomo è colui che progetta e comprende il mondo intero, è stato il tema del ciclo di lezioni dal titolo: METAPHYSICAL FOUNDATIONS OF THE 17TH CENTURY SCIENCE, tenute da Dmitry Nikulin dal 28 settembre al 1 ottobre 1992, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. L’indagine di Nikulin ha inteso mettere in risalto l’evoluzione che hanno subito i principali concetti scientifici dall’antichità all’età moderna, con il relativo passaggio da una visione qualitativa ad una quantitativa del mondo fisico. Nella modernità il principio della costruzione attiva della verità implica che l’ascolto della natura, la sua contemplazione, si trasformi in una vera e propria manipolazione, dal momento che la natura non è più concepita come la seconda rivelazione di Dio, ma semplicemente come res extensa inanimata, destituita da qualunque dignità interiore e soggetta a trasformazioni secondo il modello della soggettività umana. Secondo Dmitry Nikulin le conseguenze immediate di tale concezione sono l’eliminazione della distinzione classica tra naturale e artificiale e l’identificazione della meccanica con la fisica, con la rivalutazione di alcuni concetti della scienza, come quelli di materia e infinito. Distinguendo due differenti sostanze, quella pensante e quella estesa, Cartesio riduce 52 la materia a spazio e considera sostanza lo spazio e l’estensione. Con questo, osserva Nikulin, la materia non viene più considerata come pura alterità o come nulla, bensì come energia, come soggetto dotato di attributi quali estensione, durezza, mobilità, impenetrabilità. Ritenendo poi che vi sia un’unica materia per tutte le cose e le entità, Cartesio identifica la materia fisica con quella geometrica. Ciò significa che la fisica è fondamentalmente equiparata alla matematica, come anche alla meccanica, che diventa la prima tra le scienze, una scienza rigorosa che studia il mondo come se fosse una macchina. Tutto l’universo è, così, matematico e i corpi geometrici sono costruiti e concepiti nella loro materialità, cioè spazialità ed estensione in un singolo spazio. Con Cartesio, ha inoltre rilevato Nikulin, anche il problema dell’infinito cambia il suo ruolo e diventa un segno di perfezione. L’infinito è la prima cosa conosciuta che non trae origine da una semplice negazione del limite, ma significa una conoscenza reale e positiva. Esso è posto come concetto precedente, dal quale il finito risulta per restrizione. Una tale concezione di infinito genera ora una nuova immagine e nozione di movimento. Mentre nell’antichità il movimento circolare era considerato perfetto e uniforme, con la nuova concezione dell’infinito il movimento perfetto e uniforme è quello rettilineo. La linea retta infinita diviene dunque espressione del perfetto attributo del mondo, mentre il cerchio è solo indice di errore, un’immagine falsa dell’illimitato e smisurato infinito. Anche il concetto di tempo subisce delle notevoli modificazioni. Nell’antichità il concetto di tempo ha la sua prima formulazione nel Timeo di Platone, che lo considera “un’immagine dell’eternità” secondo il numero. Il tempo è considerato creato, esistente solo in quanto l’eternità esiste, e comprendente in sé non solo l’identità, ma anche l’alterità. L’eternità caratterizza il mondo ideale divino: il sempiterno è peculiare delle entità create, ma immortali; il tempo invece appartiene alle cose mortali, che hanno una “durata”, e sono destinate a morire. In questa concezione della temporalità si dispiega con chiarezza l’intuizione greca della superiorità dell’essere sul divenire, del limite sull’illimitato, della perdurante stabilità del fluire che dissipa. La nuova metafisica europea, ha rilevato Nikulin, si propone di mettere in relazione tempo e movimento in una visione dove coincidono la quantificazione geometrica e l’onnipotenza divina. Il tempo non indica alcuna esistenza reale, ma piuttosto una capacità o una possibilità di esistenza costante o di essere: esso non misura la durata dell’esistenza divina, ma la rappresenta nella maniera più adeguata, per cui Dio non è concepito come essere eterno in nunc stans, bensì come essere immortale e duraturo, cioè come essere senza fine. CONVEGNI E SEMINARI Poiché l’esistenza divina è immutabile, il tempo è del tutto uniforme, cioè è una quantità indipendente e assoluta, continua e costantemente fluente. Ma la durata del tempo esiste e può essere misurata soltanto dalle capacità sensoriali dell’uomo e da strumenti umani artificiali. Ciò significa, ha osservato Nikulin, che la verità o la rappresentazione della realtà suprema deve essere costruita e non semplicemente scoperta e contemplata. A ciò si deve la nascita di una scienza esatta che misura i suoi oggetti e che trova i suoi principi nel tempo e nello spazio, radicati nell’immutabilità e nella onnipotenza divina, e in questo modo garantisce l’esattezza e l’attendibilità della conoscenza umana. Un’altra grande rivoluzione compiuta dalla metafisica moderna è l’identificazione di numero e quantità. Nella filosofia classica ciò che è esprimibile con il numero sono le grandezze discontinue, mentre questo non è possibile per le grandezze continue. Ciò comportava la distinzione tra l’essere, esprimibile numericamente come discontinuo, e il non essere (materia) continuo, non esprimibile numericamente. Il pensiero moderno, introducendo l’identificazione di numero e materia, modifica radicalmente, secondo Nikulin, il metodo di conoscenza del mondo. Poiché l’unità non è più concepita come indivisibile, ma come un intervallo di lunghezza unitaria, diventa possibile tentare di costruire una quantità continua o un continuum dai numeri o dalle parti numeriche, come appunto fecero Newton e Leibniz col calcolo infinitesimale. Esaminando il problema del continuo, Newton giunge alla conclusione che il numero e la quantità continua hanno la stessa struttura. La questione della “materia prima”, egli la fa poi coincidere con gli atomi, che sono un continuum puramente spaziale, misurabile con il nuovo strumento del calcolo infinitesimale. Nella considerazione del continuum, Leibniz approda invece a una serie di ambiguità e di contraddizioni insolubili nel rapporto esistente tra le monadi e i corpi. Le monadi, infatti, pur essendo dei punti metafisici, privi di corporeità e perciò indivisibili, danno vita alla materia, alla corporeità, che è invece una grandezza continua. Per spiegare la materialità delle monadi Leibniz sostiene tuttavia che esse non debbono essere viste soltanto come attività, ma anche come passività, ed è proprio quest’ultima che costituisce la materialità della monade. I corpi sono “aggregazione di monadi”, ma non hanno una consistenza ontologica, solo valore ideale. La quantità continua, per Leibniz, è perciò ideale, perché comprende potenzialmente parti indefinite al di sopra e prima di qualsiasi divisione. Tuttavia, nel momento in cui ci si mette alla ricerca del reale o di parti realmente esistenti, anziché di parti indefinite, Leibniz sembra entrare in un labirinto di contraddizioni insolubili. Nel continuum il tutto esi- René Descartes; nell’immagine inferiore, presunto ritratto di Euclide, da un codice 53 CONVEGNI E SEMINARI ste prima delle parti, l’assoluto prima del limitato: ecco perché l’indefinito viene prima del definito. Nello stesso tempo però Leibniz afferma che nel continuum le parti esistono realmente e sono realmente infinite, dal momento che l’indefinito non esiste nelle cose ma nel pensiero. G.Pe. Attualità di Ugo Spirito Il Convegno che l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e la Fondazione Ugo Spirito hanno dedicato a L’ATTUALITÀ DI UGO SPIRITO A CINQUANT’ANNI DA ‘LA VITA COME ARTE ’ (Napoli, 1-2 ottobre 1992), coerentemente con l’atteggiamento filosofico del pensatore, ha dato luogo a una stimolante interazione di elementi, fluttuanti tra estetica e politica, teoresi ed economia, come emerge dai densissimi carteggi e dalle attuali prospettive di ricerca. Un pensiero vivo, ricco di suggestioni e implicazioni che si diramano lungo direttive molteplici, al di là tanto di un dogmatismo assertorio, quanto di atteggiamenti nichilistici: è quanto ci rimane di Ugo Spirito oggi, a più di un decennio dalla sua scomparsa. A suggerirci queste considerazioni è Mario Agrimi che ha inquadrato gli interessi estetici di Spirito all’interno di un pensiero “nemico” delle distinzioni: in una spirale di assoluta teoreticità, l’aspirazione alla politica ed alla libertà trova il suo “medium” nella figura dell’artista. Preda continua di un “infinito-dubbio”, il pensiero di Spirito, ha ricordato Agrimi, non ha avuto la possibilità di «acquietarsi in una conclusione», quasi in forza di un’intrinseca necessità. Il ricorso al dubbio come metodo, ha proseguito Aldo Trione, porta Spirito dall’attualismo gentiliano al problematicismo, culminante nella dialettica del “Non-so”: un essere ignaro di tutto che permette, ad ogni acquisizione, di rilanciare la conoscenza come una sfida. Trione ha sottolineato anche l’emergere, dalla concezione della “vita come ricerca”, di un sottofondo politico che sconfina nel terreno dell’utopia. Armando Rigobello ha invece osservato come il trascendentale estetico di Spirito indichi le condizioni a-priori della dimensione artistica. Al di là del mero tecnicismo, la formalità è attività fantastica e creatrice, che permette alla theoresis di passare attraverso la sensualità e di trascenderla, diffondendo quella «feconda misteriosità dell’arte», di cui parlò Gentile. L’estetica spiritiana, come pure ha sottolineato Clementina Gily Reda, è essa stessa filosofia: essa tocca l’assoluto in maniera diretta e totale. In questo l’arte può riaprire la strada della contemplazione dell’oggetto e la strada del fare da quando, dopo l’annichilimento dei valori, l’esperienza della vita si è fatta ormai inattingibile. La Vita come Arte si mostra, in tal senso, opera avventurosa, perché “tenta” di spingersi oltre la coscienza di un non-raggiun- gimento. Che la vera natura del pensiero estetico di Spirito sia nell’attenzione alla totalità è stato ribadito anche da Antimo Negri, che ha ricondotto le radici teoriche del pensatore a Kant. Tuttavia, limitare il compito dell’estetica al giudizio significa per Spirito asservirsi alla «logica del pensiero dividente», dimenticando il valore assoluto dell’opera d’arte. Come ha rilevato Maria Lizzio, in Spirito arte è parola che sboccia da una coscienza che non ha coscienza di sé: quasi in uno stato onirico, l’arte non può svegliarsi alla filosofia. Arte e filosofia rimangono inconciliabili, e il mondo del sogno rimane il mondo della problematicità. A questo proposito, ha osservato Renato Testa, sulla scia del contributo di Vittorio Stella, che ha rimarcato la matrice romantica di questa impostazione, una strutturale contraddizione condanna qui la ricerca ad estraniarsi dalla vita, ad un destino in cui la metafisica è sempre più difficile da proporre. Spostando l’asse della discussione, G. Parlato ha illustrato le tre direttive lungo le quali, dal 1981, la “Fondazione Ugo Spirito” provvede alla conservazione dei documenti, alla ricerca scientifica e alla complicazione problematica del pensiero del filosofo. Preziosa testimonianza politica e filosofica, i carteggi che Spirito intrattenne, tra gli altri, con Abbagnano, Banfi, Croce, Battaglia, Carabellese, Pareyson, Del Noce, Bottai e Valitutti, ci permettono di leggere meglio il dibattito che portò alla definizione di temi concernenti neo-idealismo, antiidealismo e corporativismo, nel periodo a cavallo tra il fascismo e la Resistenza. Massimo Finoia è intervenuto invece sulla teoria economica di Ugo Spirito, sottolineandone l’approccio anti-marginalista e keynesiano. Se l’economia è scienza sociale, l’attenzione di Spirito si focalizza sulla centralità strutturale che lo stato assume, all’interno degli equilibri politicofinanziari. Introdotto da Fulvio Tessitore, che ha sottolineato la cifra politica del pensiero di Ugo Spirito, Vittorio Mathieu ha affrontato il tema dello Stato etico. Questa “figura dell’assoluto”, spesso dolorosamente confusa con lo Stato nazionale, è un altro momento dell’utopia filosofica spiritiana. Lo Stato di Ugo Spirito si richiama al modello dell’Urbs che, uscendo dall’eterogeneità di costumi delle poleis greche, continuava ad essere una città, anche quando estendeva i suoi confini. In virtù dell’universalità di un ordinamento giuridico, l’Impero romano poteva dirsi Stato etico, in cui la diversità era rispettata e, al contempo, assimilata. E’ questo, per Mathieu, l’ideale “metafisico” della politica di Spirito: il tentativo di conciliare l’individualità con il tutto coinvolge ogni aspetto del reale, al di là di ogni accusa di intellettualismo. Così, la rivoluzione, controcanto dello 54 sfondo politico e utopico della Vita come Arte, si configura non come funzione dell’agire dei singoli, bensì come momento, o meglio, luogo metafisico, in cui il tutto rovescia se stesso. S.I./ M.R. Collegio di sociologia Si è tenuto il 23 e 24 ottobre 1992 nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un convegno sul tema: L’OCCIDENTE , IL POTERE, IL SACRO, coordinato da R. Esposito, U. Olivieri e C. Ossola. Studiosi di vari paesi hanno ripreso in esame l’avventura intellettuale del “Collège de sociologie” di Bataille nell’intento, oltre che di farne un bilancio, di riattivarne lo stile di lavoro. L’attività del “Collège de sociologie” fondato a Parigi da Georges Bataille, Roger Caillois, Michel Leiris e Pierre Klossowski, i cui lavori tuttavia ebbero luogo soltanto dal 1937 al 1939, e ad essi presero parte intellettuali come Alexandre Kojève, Marcel Mauss, Walter Benjamin, Jean Wahl e Jacques Lacan - è ancora poco nota in Italia (anche se l’editore Bollati Boringhieri ne ha pubblicato i testi lo scorso anno, con il titolo: Il Collegio di sociologia), ma di estrema importanza per almeno due motivi: l’impresa di quel gruppo di intellettuali “irregolari” degli anni Trenta ha avviato una problematica, e uno stile di lavoro, che costituiscono un precedente essenziale per gran parte della successiva cultura francese, sempre in tensione tra filosofia e scienze umane. Senza un’adeguata conoscenza di quel precedente risulta difficile infatti comprendere appieno il programma di ricerca di un Levi-Strauss o di un Foucault, di un Benveniste o di un Lacan, e anche di Derrida. In secondo luogo la ricerca avviata dal Collège, debitrice da un lato del lavoro di Durkheim e Mauss e dell’insegnamento di KOJÈVE , e dall’altro legata all’esperienza del surrealismo, traeva il suo carattere radicalmente innovativo dall’essere imperniata su di una tematica del sacro non più circoscritta agli ambiti religiosi, o comunque trascendenti, ma volta a investire l’intero insieme delle concezioni sociopolitiche ed economiche; nella visione del Collège in altri termini una concezione del sacro stava a fondamento di ogni teoria sociale, che andava così considerata sempre una forma di superstizione volta a risolvere il problema del tragico, della costitutiva mancanza di senso dell’essere sociale, una visione resa oggi attuale dalla crisi di ogni idea di secolarizzazione. I lavori del convegno hanno naturalmente spostato i termini della questione, dalle problematiche degli anni Trenta a quelle odierne, incentrate comunque sul rapporto estetica-politica. Così Giacomo Marra- CONVEGNI E SEMINARI mao, individuando nel rito il fattore genetico del mito, ha avanzato l’idea di una pratica rituale che sia desacralizzante e, ponendo a confronto la cultura greca e quella romana, ha individuato tale pratica nel diritto. Giorgio Agamben, a sua volta, ha rilevato la necessità di passare dall’idea di sovranità come fondamento comunitario, centrale in Bataille, a un’idea di comunità fondata su di una non-sovranità, avendo di mira, mediata dalla tematica del messianismo, una forma originaria della Legge come “vigenza senza significato”, luogo di pure lettere, anteriore a ogni articolazione e ordinamento, che ha poi la sua espressione concreta in quella singolarità come differenza indifferente, in cui consiste una comunità. Il rapporto Occidente-Oriente, trascurato dal Collège di Bataille, è stato esaminato da Roberto Esposito, che ha individuato nell’Oriente il rimosso, il senso di colpa dell’Occidente, l’espressione di una cultura senza diritto, di una non-civiltà; nella stessa direzione Giovanni Filoramo ha invece segnalato il ritorno di questo rimosso nelle diverse forme occidentali di estetizzazione del sacro. Jacqueline Risset ha ripreso l’eredità del Collège, proponendo il passaggio da un’ermeneutica del senso a un’ermeneutica del dono, con l’intento di giungere non a una sacralizzazione del potere, opposta e speculare ai poteri vigenti, come negli anni Trenta, ma a una desostanzializzazione del potere. Dal canto suo Remo Bodei ha tracciato un rapporto tra il pensiero di Bataille e quello di Giovanni Gentile, sulla base di una medesima consacrazione della comunità come luogo più proprio dell’individuo, fattore interiore e fondativo dell’io di ogni soggetto, fino a giungere ai paradossi di una tale sovranità etica della comunità sul singolo. Il convegno aveva tra l’altro uno scopo pratico: quello di costituire in Italia - sulla scorta di singolari esperienze storiche come il Collège de sociologie francese e l’Institut fur Sozialforschung di Francoforte - un Collegio Internazionale di Filosofia Sociale, per iniziativa di Esposito, Marramao, Risset e Carlo Ossola, in grado di affrontare la ricerca teorica al di fuori di steccati ideologici e gnoseologici che ne inaridiscono le capacità di analisi e comprensione. Punto di partenza è il tempo presente con i suoi grandi mutamenti e rivolgimenti sociali, a cui il pensiero risponde con impianti teorici vecchi e interpretazioni obsolete, o col minimalismo teorico della cultura anglosassone. Si tratta allora di riprendere uno stile di lavoro adeguato alle dimensioni del problema, ossia al di fuori dei saperi consolidati, come ebbero a fare in altre epoche di crisi gruppi di intellettuali, forse di poca carriera, ma certo di grandi idee. L’iniziativa muove da un esigenza reale e ha quindi una forte giustificazione storica. L’unica perplessità riguarda forse il fatto che mentre i gruppi, che nel recente passato diedero vita a poderose esperienze di lavoro intellettuale “extraistituzionale”, erano per lo più composti da ricercatori non a caso estranei o comunque marginali rispetto al mondo accademico, l’iniziativa odierna è invece presa in maniera esclusiva da intellettuali appartenenti al mondo accademico. La perplessità riguarda insomma le reali motivazioni di un lavoro extra-istituzionale, che prende di mira gli stessi “totem e tabù” della cultura universitaria. Non si può negare d’altronde che questa sia l’eredità dei Bataille e dei Benjamin. F.E. Seminario filosofico permanente Con la sigla di “Seminario filosofico permanente” si è svolta alla Fondazione Corrente di Milano, a partire dal gennaio 1992, una prima serie di incontri dal titolo programmatico: OGGETTI E FORME DEL PENSIERO , a cui hanno partecipato Lorenzo Magnani, Luisa Bonesio, Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni Scibilia, Silvana Borutti, Ugo Fabietti, oltre a Fulvio Papi, ideatore e promotore del ciclo. La Fondazione Corrente è nata quindici anni fa, per iniziativa di Ernesto Treccani, come centro di documentazione e studio della rivista “Corrente” (1938-40) e luogo di elaborazione culturale degli ambiti di cui la rivista si interessava: arte, letteratura, critica, estetica, filosofia. Fulvio Papi, che da anni collabora a “Corrente”, ha pensato di inaugurare, a partire da quest’anno, una formula che identificasse meglio le attività filosofiche già in atto da molto tempo alla Fondazione Corrente, e le riconducesse a un lavoro di progettazione unitario, pur mantenendosi duttile e aperta a situazioni anche molto differenziate. L’aggettivo “permanente” alludeva di fatto alla stabilità di una struttura che doveva però ricerca continuamente la propria forma, ridiscutendola e rinnovandola. La prima e la seconda annata della serie di iniziative, che potremmo definire sperimentali, hanno cercato (e cercheranno) di mettere a fuoco un’immagine di gruppo filosofico. Papi e collaboratori intendono andar oltre l’idea della scuola, che rimanda inevitabilmente a identità presupposte, all’unità del metodo e all’omogeneità degli oggetti; vorrebbero invece interrogarsi sul senso del riconoscersi come un’unità. Un seminario di filosofia, che abbia in vista l’unità che è data dall’occasione di un discorso filosofico possibile, non dovrebbe presupporre schemi unitari già dati - se non il luogo fisico in cui il seminario si svolge. Di fatto, questa è anche la storia dei partecipanti che hanno inaugurato il seminario: Lorenzo Magnani, Luisa Bonesio, Monica Luchi, Michele Prandi, Giovanni Scibilia, Silvana Borutti, Ugo Fabietti, oltre naturalmente a Fulvio Papi. Tutti vengono dall’Università di Pavia e hanno 55 fatto dell’insegnamento di Papi un riferimento fondamentale. Tutti però hanno lambito e si sono insediati in territori eterogenei, come le cosiddette scienze umane, dalla psicoanalisi (Luchi), all’antropologia (Fabietti), alla linguistica (Prandi). Chi è rimasto legato al discorso più classicamente filosofico si è ritagliato spazi di riconfigurazione della filosofia: l’epistemologia costruttiva e interpretativa, con riferimento alle scienze umane (Borutti), l’estetica del sublime (Bonesio), la filosofia della matematica (Magnani), la decostruzione (Scibilia). Il gruppo quindi non presuppone identità, ma delimita un tessuto discorsivo molto ampio. Al primo ciclo di incontri, aperti al pubblico e gratuiti, è stato dato un titolo generale: Oggetti e forme del pensiero, che segnala nella sua genericità un modo di intendere un gruppo di lavoro che non vuol partire da metodi e oggetti presupposti. Se il plurale rimanda alla varietà delle voci coinvolte, i termini di oggetto, forma e pensiero intendono programmaticamente richiamare un impianto classico della riflessione filosofica; non necessariamente per sottoscriverlo, piuttosto per ritornare a interrogarsi su temi di cui, forse troppo facilmente, si è decretato il tramonto o la fine. Da qui l’insistenza su un canone filosoficamente tradizionale, come si può rilevare sin dai titoli degli interventi: si parla di soggetto (“Il soggetto nel disagio della civiltà”), di metafore architettoniche della costruzione (“Decostruzione e costruzione”), di intenzionalità comunicativa (“Volontà di comprendere”), di rappresentazione (“Rappresentazione, forma, oggetto”), di tempo (“Antropologia del tempo e tempo dell’antropologia”) e soprattutto di filosofia (“Prove per una filosofia”), ovvero ciò che per tutti i partecipanti bisognerebbe riprendere a fare. Per quanto riguarda le attività di quest’anno (1993), possiamo anticipare che preludono ad una organizzazione del seminario completamente differente (da realizzare nella terza annualità). Si pensa naturalmente di allargare il giro delle voci, coinvolgendo studiosi che condividono la necessità di un confronto filosofico in un luogo in cui scorrono e si intersecano flussi discorsivi eterogenei, più che una sede celebrativa di una qualsiasi proprietà o serie di proprietà attraverso la loro ripetizione. Si è inoltre fissato un tema: Orizzonti di senso della memoria, su cui far convergere l’attenzione dei partecipanti. Nella primavera del ’93 si avranno i primi due incontri con Lorenzo Magnani e Fulvio Papi, che forniranno le coordinate teoriche, su cui saranno impostati gli interventi del prossimo anno. Si cercherà inoltre di sperimentare una CONVEGNI E SEMINARI nuova formula di discussione di un testo filosofico: Silvana Borutti e Giovanni Scibilia discuteranno in tal senso del libro di Deleuze e Guattari, Qu’est-ce que la philosophie? Tutte le attività del seminario filosofico permanente sembrano complessivamente mostrare nella loro eterogeneità come la filosofia non provenga da ontologie date, da regioni di oggetti già ritagliati, ma cerchi di produrre discorsivamente e dialogicamente oggetti e forme di riflessione. G.S. Omaggio a Jean-Pierre Vernant Si è tenuto il 23 gennaio 93 un incontro alla Sorbona in omaggio alla figura e alle opere di Jean-Pierre Vernant, presente egli stesso. Organizzato da Vidal-Naquet (assente per malattia), si è trattato di un colloquio pubblico molto famigliare: antichi studenti, celebri studiosi oggi si sono ritrovati a “festeggiare” un autentico maestro. In questo senso la giornata è stata dedicata alla ricostruzione del cammino intellettuale e politico di JPV. Unanime è stato il riconoscimento da parte degli antichi allievi del valore di rottura delle opere di JP.Vernant a partire dalla pubblicazione di “Mito e pensiero” nel 65. Nicole Loraux col brio che la contraddistingue ha voluto ricordare il carattere polveroso e stantio degli studi classici alla sua epoca e il desiderio urgente per tutta una generazione di “ritornare ai Greci” con strumenti e attitudini nuovi. Contro all’ideologia dell’ “uomo eterno” immutabile nei tempi, Vernant ha sottolineato la necessità di segnare la distanza e l’alterità radicale dei Greci rispetto a noi. Si trattava di comprendere non la società greca ma l’uomo greco o meglio gli uomini greci, all’interno della propria civiltà. Ancora di più, il desiderio antropologico dello studioso di cogliere qualcosa dell’altro, lo ha spinto a interrogare cosa fosse per i Greci stessi il loro Altro. Pierre Leveque ha voluto ricordare il particolare stile con cui JPV ha saputo tessere le implicazioni fra società, mito e pensiero operando su una scena concreta senza accontentarsi di astratti schemi “strutturalisti”. François Hartog ha riconosciuto i suoi debiti e ha sottolineare anche come fosse possibile oggi andare oltre lo stesso Vernant (in particolare per quanto riguarda i suoi studi sulla divinazione). Roberto di Donato ha invece messo a fuoco i rapporti fra Vernant e Dumezil. F.M.Z. Il filosofo e la schiavitù Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è svolto a Na- poli dal 21 al 25 settembre 1992 un seminario condotto da Domenico Losurdo sul tema: IL FILOSOFO E LA SCHIAVITÙ. L AVORO SALARIATO E LAVORO SERVILE NEL PENSIERO MODERNO . Filo conduttore delle lezioni è stato quello di mettere in evidenza come, contrariamente a quanto sostiene la storiografia ufficiale, il liberalismo non coincida con la storia della libertà, e le conquiste fatte in suo nome siano il frutto di gigantesche lotte sociali condotte dalle classi sociali più umili, e non il risultato della politica liberale. Se nell’elaborazione dei filosofi moderni e contemporanei il tema della schiavitù è stato oggetto di poca attenzione, se non addirittura di una rimozione dalla cultura ufficiale, ciò è dovuto, sostiene Domenico Losurdo, alla convinzione che l’avvento del Cristianesimo comportasse di per sé la fine della schiavitù, e che quest’ultima fosse d’altra parte in contraddizione con la tradizione liberale. La forte carica antischivistica del Cristianesimo primitivo è stata tuttavia smussata e neutralizzata, fin dall’inizio, da un’interpretazione meramente intimistica della libertà del cristiano, mentre il ricorso al tema del peccato originale giustificava in pieno l’istituto della schiavitù. Da questo punto di vista, la tradizione cristiana si associa a quella greco-classica, stando alla tesi aristotelica secondo cui vi sarebbero uomini per natura incapaci di autogovernarsi e quindi bisognosi di un padrone. Svolgendo un’analisi parallela tra pensatori liberali e teorici dell’assolutismo, Losurdo ha mostrato come un pensatore, Grozio, che può essere considerato il padre spirituale del liberalismo, sente il dovere, sulla scorta dell’espansione coloniale olandese, di dare una giustificazione teorica all’istituto della schiavitù, sostenendo che la schiavitù non è altro che il risultato di un contratto di scambio tra la forza lavoro dello schiavo, e gli alimenti per il suo sostentamento, messi a disposizione dal padrone; oppure è il risultato del cosiddetto diritto di guerra, per cui il vincitore fa dono della vita allo sconfitto in cambio del suo assoggettamento. Infine la schiavitù può nascere dalla trasformazione di una condanna penale in asservimento. In ogni modo la schiavitù sarebbe sempre frutto di una libera scelta contrattuale tra due parti che scambiano paritariamente le loro merci. Locke, sulla scia di Grozio, giustifica la schiavitù nelle colonie, sostenendo che essa è la conseguenza di una guerra legittima che si realizza tra i popoli cristiani europei e le popolazioni coloniali che devono essere civilizzate. Nello stesso tempo, però, mitigando la teoria di Grozio, rifiuta la giustificazione contrattualistica della schiavitù, che significherebbe per lo schiavo, contrariamente alla tradizione cattolica, il dover cedere al padrone il potere assoluto 56 di vita o di morte sulla propria persona, con il rischio di avallare l’istituto della schiavitù anche nella stessa madrepatria. In ambito liberale l’unica voce antischiavista del ‘700 viene da Smith, ma le sue argomentazioni sono solo di carattere economicistico. Il rapporto di lavoro servile è un rapporto fondamentalmente improduttivo, poiché lo schiavo deve essere mantenuto per tutta la vita e produce poco a causa della mancanza di incentivi. Una condanna esplicita della schiavitù, attraverso l’abolizione delle giustificazioni contrattualistiche dei liberali, ci giunge paradossalmente da un teorico dell’assolutismo monarchico come Bodin. In Hobbes, il punto di partenza è simile a quello di Grozio e Locke, ma a differenza di quest’ultimi, che si richiamano alla tradizione gerco-classica per sostenere che vi sono schiavi per natura, Hobbes ritiene che tutti gli uomini sono uguali per natura, per cui la causa della disuguaglianza e della stessa schiavitù deve essere ricercata non nella natura, ma nella società e nella storia. L’istituto della schiavitù è dunque un rapporto basato semplicemente ed esclusivamente sulla diversa forza del padrone da una parte e dello schiavo dall’altra, e come tale non è altro che la continuazione dello stato di guerra. Nell’Illuminismo le considerazioni sulla schiavitù sono orientate dalle diverse realtà politiche presenti in Europa. In Inghilterra, dopo la “Gloriosa Rivoluzione”, si assiste al monopolio della tratta dei negri per quanto riguarda la politica internazionale, e alla presenza di posizioni del tutto conservatrici nella gestione interna. Del tutto diversa è la situazione politica francese, che da una parte si richiama al modello inglese della restrizione censitaria dei diritti politici, dall’altra la critica aspramente, considerandola una riedizione moderna della schiavitù classica. Montesquieu, esponente di una posizione moderata, da una parte sembra condannare la schiavitù, dall’altra sostiene che in certi paesi, dove il clima è molto caldo, la disciplina nel lavoro può essere mantenuta solo grazie all’assoggettamento servile. Così, dal punto di vista della ragione, la schiavitù è un istituto da condannare e da abolire, ma dal punto di vista della ragione naturale bisogna accettarne l’esistenza. In questo Montesquieu non si distanzia molto dagli illuministi inglesi, sebbene in lui, a differenza della cultura anglo-americana, si manifesti una sorta di autocritica dell’Europa, considerata responsabile dello sterminio degli indios e dei negri. In Rosseau, invece, incontriamo la condanna esplicita della schiavitù, imcompatibile con l’essere dell’uomo. La tesi secondo cui il colonialismo è indispensabile per la civilizzazione di certi popoli e per la loro felicità, è una ipocrisia che nasconde un interesse di carattere meramente economico, così come è un’ipocrisia teorizzare che le classi povere francesi sono abituate a vivere nella povertà al punto di esserne felici. CONVEGNI E SEMINARI Charles Louis de Montesquieu; B. de Las Casas, Illustrazioni per l’edizione latina della Brevissima relazione della distruzione delle Indie (1598); Jean-Jacques Rousseau 57 CONVEGNI E SEMINARI Da ultimo Losurdo ha messo a confronto due filosofi dell’ ‘800, Marx e Nietzsche, dal punto di vista dell’accostamento tra schiavitù nera e lavoro salariato. Per Marx tale avvicinamento è lo spunto per lanciare un appello affinché le classi lavoratrici si ribellino; per Nietzsche, la continuità tra queste due forme di assoggettamento dimostra come l’istituto della schiavitù sia inseparabile dallo sviluppo della civiltà. In effetti, Nietzsche rappresenta un “liberale estremista”, che legge in maniera più spregiudicata e cruda l’importazione massiccia in Europa delle popolazioni cinesi e africane, al di là di ogni trasfigurazione ideologica. Egli diverge però dalla tradizione liberale, ritenendo il Cristianesimo la religione del risentimento, dell’odio, della vendetta dei mal riusciti contro le classi ricche e questo rancore presente nel Cristianesimo viene perpetuato dagli intellettuali plebei. G.P. Il diritto e i suoi luoghi Qual è il rapporto tra l’esigenza di un’eguaglianza universale dei diritti e la molteplicità delle culture, delle etnie, delle religioni e delle ideologie? Non devono tener conto le teorie universalistiche e contrattualistiche del diritto e della società della specificità irriducibile delle diverse individualità storiche e sociali? E come possono coesistere, convivere e compenetrarsi tali diversità? Queste e altre domande sono state riproposte da un convegno organizzato nel settembre 1992 a Arden Homestead, presso New York, nel contesto dello “Urban Forum” della Fondazione Rockefeller, sul tema: PLACE AND RIGHT (Luogo e Diritto). Alle origini del convegno si trova una suggestione del filosofo della politica Michael Walzer, che ha paragonato a un “hotel” l’ideale di ogni teoria universalistica della società. Gli hotel, soprattutto i grandi hotel internazionali, non fanno differenze tra i loro ospiti e presentano un ambiente omogeneo e anonimo, che non conosce diversità culturali, religiose, ideologiche, etniche. La tesi di Walzer è che nessuno, al di fuori delle necessità del viaggio, accetterebbe di buon grado di risiedere nell’atmosfera anonima di tali ambienti. Il cittadino non è cliente di un hotel, ma appartiene a una determinata società, caratterizzata da particolarità locali e da diritti, costumi e ideali di giustizia non universalizzabili. Di tali particolarità le teorie della società e della giustizia devono tenere conto, se non vogliono cadere nell’astrazione. Importante, in questa prospettiva, è la questione del rapporto tra il diritto e gli spazi in cui esso si realizza (o viene negato), al cui chiarimento hanno contribuito al convegno sia interventi di carattere storico, sia analisi di situazioni di città contemporanee, condotte in una prospettiva interdisciplinare. Primo intervento quello di Richard Sennet, dedicato alla storia del ghetto ebraico di Venezia. In questo caso la genesi della “modernità” della città va di pari passo con l’esclusione spaziale di una parte considerevole dei suoi abitanti. I confini spaziali coincidono qui con i confini della legge. L’uguaglianza di cui godevano gli ebrei veneziani era unicamente di tipo economico: al difuori dei confini del ghetto (che durante la notte non potevano essere superati) gli ebrei veneziani perdevano il diritto di essere protetti dalle persecuzioni. Si configura quindi una duplicità dei diritti, divisi tra quelli legati ad un luogo preciso e quelli slegati da tale luogo. Il fatto che il diritto alla protezione e alla sicurezza sia legato allo spazio del ghetto sembra in questo caso essere una modalità della costituzione di un’identità: l’esclusione dalla società cittadina rende l’essere ebreo un’esperienza legata allo spazio, e conduce gli ebrei veneziani a un’idealizzazione del ghetto come istanza produttrice di identità. In altri interventi il legame tra unità spaziali e ambito dei diritti è stato preso in considerazione in rapporto a situazioni di carattere “pre-moderno” che ancora continuano a sussistere nel presente. Il politologo Paulo Sergio Pinheiro e il geografo Milton Santos (entrambi di San Paolo del Brasile) hanno messo in luce come nella contrapposizione tra centro e periferia delle grandi metropoli si riproduca l’antica contrapposizione tra città e campagna. La segregazione spaziale divide ad esempio una città come San Paolo in zone di indifferenza rispetto ai diritti e alla legge e in un centro che tenta in ogni modo di delimitarsi rispetto alle periferie, ma con il solo risultato di riprodurre tale indifferenza. Alla estrema densità di popolazione e alla grande povertà, che fanno della violenza una norma nelle favelas brasiliane, si aggiunge così il fatto che anche il rapporto tra il centro della città e le periferie è determinato da interventi polizieschi incontrollati e da una sorta di giustizia “privata”. Sempre all’interno di un’analisi delle agglomerazioni urbane, l’influsso della guerra civile e di un diritto “d’emergenza” sulle strutture spaziali di Beirut sono stati al centro degli interventi del sociologo Samir Kahlaf (Princeton) e dell’architetto Hassim Sarkis (Harvard). In una guerra condotta attraverso azioni partigiane non esistono fronti chiaramente definiti: lo spazio urbano diventa un campo di possibili attacchi e si omogeneizza. In una guerra che ha come suo metodo principale l’attentato e come figura centrale il franco tiratore, non si danno più contatti diretti tra aggressore e vittima, e questo conduce a uno sconfinamento della violenza, a una non-delimitazione dei luoghi in cui essa si esercita e, 58 infine, a un’impossibilità di identificare spazio e diritto. In questa situazione, ha osservato Sarkis, i progetti di ricostruire Beirut secondo i criteri di un’architettura da capitale appaiono come il vano tentativo di sostituire l’architettura alla politica. Il caso di Berlino è stato invece analizzato dallo studioso delle migrazioni Jochen Blaschke e dall progettista Peter Marcuse (Columbia). Più che alla coincidenza di confini giuridici e spaziali, determinata per lungo tempo dall’esistenza del muro, l’attenzione dei due studiosi è stata dedicata alla situazione della comunità dei cittadini turchi nella città e in particolare nel quartiere di Kreuzberg. Il convegno si è concluso con una discussione tra Elaine Scarry (Harvard) e Arthur Danto (Columbia) sul problema, di carattere generale, del rapporto tra le categorie “fisiche” e quelle del diritto. Al centro di tale rapporto si trova la questione, posta dalla tradizione giuridica anglosassone, se il corpo umano non costituisca il luogo decisivo in cui in ultima analisi si localizzano tutti i diritti. Nella discussione sono state messe in luce le caratteristiche di tale “diritto naturale dal basso”, che cerca di derivare le norme non dal cielo delle idee, ma dal corpo dei soggetti giuridici. Da questo punto di vista, la distinzione tra luoghi prodotti artificialmente o storicamente (quartieri, città, regioni) e luoghi “naturali” appare più importante della loro coincidenza. Se le suggestioni walzeriane con cui si è aperto il convegno sembravano indicare che solo le unità locali costituiscono concetti morali e giuridici originali (e che perciò sia necessario cercare un sostrato spaziale e concreto per la società civile che si intende realizzare), nello svolgimento dei diversi interventi è sembrato delinearsi un rovesciamento di tale prospettiva: è il diritto stesso a determinare i confini fisici a cui si riferisce, siano essi luoghi o corpi. M.M. Deleuze e la differenza Organizzato da Ubaldo Fadini e Adelino Zanini, si è svolto presso l’Istituto filosofico ‘Aloisianum’ di Gallarate nei giorni 6-7 novembre 1992, un seminario dal titolo: GILLES DELEUZE: UN PENSIERO FORTE DELLA DIFFERENZA ONTOLOGICA. Più che dalle opere “teoretiche” di Deleuze, il seminario si è articolato a partire dalle “monografie” del filosofo francese, dove egli tematizza il proprio rapporto con Leibniz, Spinoza, Hume, Nietzsche. Secondo Maurizio Merlo, nel contesto del rapporto che Gilles Deleuze instaura con Leibniz, da lui inscritto nella prospettiva del Barocco, la questione centrale consiste CONVEGNI E SEMINARI da un lato nel render conto della specificità del Barocco - la crisi di ogni essenzialismo -, estendendola oltre i suoi limiti storici, dall’altro nel dare esistenza al Barocco medesimo, producendone il concetto, per ritrovarlo come metodo o paradigma. Per questo, a parere di Deleuze, «non possiamo non dirci barocchi, o leibniziani», dove è Leibniz stesso a farsi portavoce del programma deleuzeano di una mathesis descrittiva, garantita da un orizzonte metafisico. Il Leibniz deleuzeano ridefinisce dunque, a parere di Merlo, i termini di un programma costruttivista: creare concetti in grado di pensare l’evento come attività immanente su uno sfondo di totalità; una creazione di un novum nell’interiorità del continuum. All’oggetto che si presenta come evento si accompagna la costituzione del soggetto come figura comunicante dell’interiorità, che in una prospettiva “uniplanare” diviene eguale al mondo, rispetto al quale esiste come espressione di un “punto di vista”. Deleuze legge così il prospettivismo leibniziano non come affermazione di una variazione della verità a partire dal soggetto, bensì come la condizione per cui appare al soggetto la verità di una variazione. Il soggetto è dunque punto di vista da cui una verità è; esso cioè è funtore di verità, non il costituente di essa. Pertanto, non si dà teoria del soggetto, ma inscrizione nel punto di vista in cui il soggetto si risolve. Proseguendo nell’indagine sulla questione del soggetto, l’intervento di Adelino Zanini si è sviluppato come tentativo di decostruzione del pensiero di Deleuze sulla soggettività come evento, a partire dalla monografia dedicata a Hume. Intendendo l’evento come ciò che singolarizza la continuità in ciascuna delle sue pieghe locali, come ciò che rende individuale l’universalità del continuum dell’uniplanarità ontologica, Deleuze individua un rapporto d’identità fra mente, immaginazione e idea. L’idea è il dato in quanto esperienza, laddove la mente è data come collezione di idee: immaginazione. In altri termini, la mente è immaginazione come “luogo”. Niente si rappresenta con l’immaginazione, ma tutto si rappresenta nell’immaginazione: nessuna volontà è propria dell’ego; e non potendosi separare il “luogo” da “ciò che in esso” avviene, la rappresentazione non è in un soggetto. L’idea di soggettività, pertanto, è solo una regola; superando la parzialità del soggetto, di cui è idea, essa include in ciascuna collezione di idee il principio e la regola di un accordo possibile fra soggetti. Il problema dell’io si risolve dunque a livello morale e politico. La ragione pratica è instaurazione di un tutto della cultura e della moralità, è l’immaginazione divenuta natura; l’abitudine è la radice della ragione, principio di cui questa è l’effetto. In questi termini, ha sottolineato Zanini, l’essenza dell’empirismo diventa per Deleuze il problema della soggettività. Il soggetto si de- finisce come, e mediante, un movimento di autosviluppo; sua attività è credere e inventare. Dal dato si inferisce più di quanto si sappia: nel momento in cui si crede, con ciò si giudica, e ci si pone come soggetti. Il problema della verità si presenta allora come il problema critico della soggettività, che non cessa d’altra parte di qualificarsi, nel proprio oltrepassamento, come passiva, e che proprio per questo resta sempre distinta da un io. Nel determinarsi di quest’ultimo come sistema della pratica, si segnala, ha concluso Zanini, la vocazione spinoziana dell’interpretazione deleuzeana di Hume. A proposito della lettura che Deleuze conduce nei confronti del testo di Spinoza, Simona Ferlini ha ricordato come i suoi cardini siano costituiti anzitutto dall’anticartesianesimo, che per Deleuze accomuna Spinoza e Leibniz nella polemica antirappresentazionalista, dove all’impostazione cartesiana viene rimproverata l’incapacità di spiegare la natura da un punto di vista genetico; in secondo luogo, l’interpretazione deleuzeana di Spinoza si basa sulla tesi dell’univocità e dell’immanenza dell’essere, dove quest’ultimo è concepito come totalità produttiva. Anche in questo caso contro Descartes, viene rifiutato un qualsiasi principio trascendente, e il richiamo al neoplatonismo, dove l’Uno “contiene” i molti, è parziale: nello Spinoza deleuzeano l’Uno è i molti, e il rapporto neoplatonico fra complicatio ed explicatio viene chiarito attraverso il concetto di espressione. In questo modo, ha osservato Ubaldo Fadini, Spinoza assume un ruolo primario nel costituirsi dell’autonomo pensiero di Deleuze, in un rapporto affatto particolare con Nietzsche. Nella prospettiva deleuzeana, ha sostenuto Fadini, Spinoza precede Nietzsche, ma anche, in certo senso, lo segue, in quanto ne approfondisce alcuni spunti teoretici: la tesi spinoziana dell’incremento di potenza come criterio di verità può infatti costituire, da un punto di vista teoretico, il presupposto e la spiegazione della tesi genealogica nietzscheana, che nella volontà di potenza legge il fondamento che trascende l’alternativa tra vero e falso. L’opposizione di Nietzsche al coscienzialismo lascia emergere un’eredità spinoziana: l’elemento comune ai due pensatori è costituito dal rifiuto di subordinare la corporeità a un principio superiore, anch’esso trascendente, quale sarebbe appunto la coscienza. A questo proposito, ha anzi sostenuto Marco Senaldi, l’identificazione dell’essere con il corpo in Deleuze preclude il fatto che si possa parlare in lui di una vera e propria istanza ontologica. Proprio sul concetto di corpo, ha ribadito Fadini, insiste Deleuze, interpretando in tal senso sia Spinoza, sia Nietzsche. L’intrattenibilità del corpo da parte della coscienza è infatti ciò che emerge nel parallelismo fra corpo e idea, che Spinoza utilizza in vista dell’affermazione della loro corrisponden59 za. D’altro canto, la lettura deleuzeana dell’eterno ritorno ripropone anch’essa, come osserva Fadini, un attacco alla determinazione della coscienza, a partire, questa volta, da un’accentuazione dell’irriducibilità alla coscienza della molteplicità differenziale. La volontà di potenza, che nella lettura deleuzeana costituisce la matrice della dottrina dell’eterno ritorno, rimanda proprio all’affermazione dell’irriducibilità del singolo, e qui, cioè nel rifiuto della mediazione dialettica e della radicale accettazione del divenire, risiede la dimensione tragica dell’opera nietzscheana. Più rilevante di quanto non appaia esplicitamente è il rapporto conflittuale che Deleuze instaura con l’opera di Martin Heidegger. A questo proposito, ha rilevato Giambattista Vaccaro, la posizione di Deleuze nei confronti di Heidegger contiene elementi di ambiguità: da un lato il pensiero di Heidegger viene considerato come un pensiero della differenza, dove la determinazione heideggeriana della “differenza ontologica” sembra apparire come espressione di quella deleuzeana di piega; dall’altro la critica di Deleuze all’ontologia heideggeriana si presenta più radicale di quanto non sia esplicita. Secondo Deleuze, il concetto heideggeriano di differenza ontologica non salvaguarda la differenza dell’essente, in quanto la fa ricadere sotto l’identità, non arrivando a coglierne la “singolarità intensiva”. Ciò avviene a causa della trascendenza dell’essere, postulata da Heidegger, laddove occorre invece insistere, a parere di Deleuze, sul carattere di immanenza dell’essere all’ente. La rivendicazione dell’immanenza appare in Deleuze come garanzia di pluralismo nei confronti dell’ente fenomenico, e rimanda alla sua peculiare interpretazione dell’empirismo. In Deleuze, ha continuato Vaccaro, il concetto di caos si pone come radicalizzazione di quello heideggeriano di Abgrund, sprofondamento, e la stessa nozione di simulacro, connessa a quella di ripetizione, viene rivolta, in questa prospettiva, contro Heidegger: il risultato è la salvaguardia della molteplicità, del pluralismo, del quale l’essere si presenta come “superficie”. La distanza di Deleuze nei confronti di Heidegger deriva dunque anzitutto dal legame che nel pensatore francese si instaura fra l’istanza ontologica e il concetto di simulacro: il simulacro rappresenta la forma di ciò che è, cioè l’essente, e coincide con la differenza degli essenti. A questo CONVEGNI E SEMINARI Maschera in legno del dio dei venti degli indiani Haida 60 CONVEGNI E SEMINARI proposito, ha sottolineato Vaccaro, mentre per Heidegger l’essere è la differenza ontologica, in Deleuze, in un certo senso, la questione dell’istanza ontologica apre alla molteplicità. La differenza per Deleuze non è, bensì si fa, è costitutiva dell’esistenza: la differenza non distingue un ente da un altro, ma differenzia; e questo è tutto. “Fare la differenza” significa d’altra parte per Deleuze lasciare apparire l’essere come univoco, come ciò che si dice di tutti gli enti, i quali non differiscono fra di loro ma, essendo la differenza propria degli enti, si limitano a differire. F.C. Wilhelm von Humboldt e le lingue d’America In un convegno internazionale tenutosi a Berlino nell’ottobre del 1992 e organizzato dall’Istituto ispano-americano della Stiftung Preußischer Kulturbesitz è stato discusso un aspetto poco noto della figura di Wilhelm von Humboldt: la sua attività pionieristica nel campo dello studio delle lingue del continente americano. Amico di Goethe e Schiller e tra i principali esponenti del movimento classicista tedesco, attivo nell’ambito della politica dello stato prussiano, nel campo dell’educazione e padre fondatore della moderna filosofia del linguaggio, Wilhelm von Humboldt fu tra i primi a dedicarsi allo studio delle numerose lingue del continente americano e a una loro embrionale analisi comparata. A questo aspetto della sua attività di studioso è stato dedicato il convegno berlinese, che ha anche costituito l’occasione per la presentazione di un progetto dell’editore Schöning: la pubblicazione, a cura di Kurt Müller-Vollmer (Stanford) e Jürgen Trabant (Berlino), degli scritti di argomento linguistico, facenti parte del lascito humboldtiano. A disposizione degli studiosi è per ora il primo volume. Funzionario dello stato prussiano dal 1802, Wilhelm von Humboldt fu attivo in diversi ambiti culturali prima di trovare la propria vocazione nel campo dello studio dei fenomeni linguistici, un’attività per la quale egli è oggi da più parti considerato alle origini della linguistica moderna. Dopo la pubblicazione di un trattato sui Limiti dell’attività dello stato, annoverato in seguito tra i manifesti del liberalismo, Humboldt pubblica alcuni saggi dedicati a Goethe e Schiller. E’ in una lettera a Schiller del 1802 che egli formula quello che sarebbe stato il tema principale dei suoi studi: la lingua, considerata, come già avevano fatto Hamann e Herder, come strumento ed espressione della ragione e delle culture umane e come condizione di possibilità del pensiero; la lingua dunque in una prospettiva filosofica. In contrapposizione a una concezione astratta della lingua, Humboldt considera il fenomeno linguistico sulla base di un’analisi storico-empirica della molteplicità delle lingue, nell’individualità delle quali si manifestano il pensiero e l’ ”interna attività spirituale” dei diversi popoli e delle diverse culture. Sulla base di tale concezione Humboldt intende la confusione babelica delle lingue come una prova dell’illimitata capacità umana di riconoscere e pensare il mondo in modo sempre nuovo, come una manifestazione di creatività dello spirito e delle culture. Da tale concezione deriva anche l’idea humboldtiana, nuova nella cultura settecentesca, della pari dignità delle lingue e dunque dell’importanza di uno studio scientifico delle lingue anche apparentemente più rozze e “primitive”. I contributi presentati nel convegno berlinese hanno ricostruito i percorsi che hanno condotto Humboldt allo studio delle lingue del continente americano, mettendo al tempo stesso in luce i motivi di interesse dei contributi humboldtiani per la ricerca contemporanea nell’ambito della linguistica. Importante, per la genesi dell’idea di tali studi, sembra essere la figura del fratello, Alexander: è poco dopo la partenza di Alexander per l’America del Sud, nel 1799, che Wilhelm inizia a raccogliere materiali sulle lingue d’America, senza però allontanarsi dal suolo europeo. Stimolato da Alexander, che stava lavorando alla stesura del suo Voyage de Humboldt et Bompland aux régions équinoxial du nouveau continent (Viaggio di Humboldt e Bompland alle regioni equinoziali del nuovo continente, 1805-1834), ad una descrizione delle lingue americane, Wilhelm sviluppa un progetto di ricerca tanto ambizioso quanto irrealizzabile, che prevede di ricostruire lo stato delle lingue americane nel periodo precedente la colonizzazione spagnola e portoghese, riconducendo la loro varietà a strutture comuni e indicandone la grammatica attraverso elenchi di parole. Se questo progetto accomuna ancora in parte Humboldt all’enciclopedismo settecentesco, ciò che costituisce la novità della sua ricerca è l’insoddisfazione rispetto ai metodi e ai risultati del confronto tra le lingue sviluppato da poliglotti ed eruditi dell’epoca come Peter Simon Pallas e Johann Christoph Adelung, che mettevano in evidenza non strutture grammaticali ma analogie tra le parole con lo scopo di stabilire relazioni di parentela tra le diverse lingue. Kurt Müller-Vollmer ha ricostruito l’inizio della ricerca di Humboldt in questo campo, che si situa negli anni tra 1802 e 1808, quando egli era ambasciatore prussiano a Roma. La città costituiva un terreno di studio ideale per gli americanisti, in quanto qui trascorrevano gli anni della pensione (dopo lo scioglimento, nel 1773, del loro ordine) numerosi missionari gesuiti reduci dal Sudamerica, scrivendo memorie riguardanti le lingue dei loro paesi di provenienza. A Roma Humboldt prosegue anche la ricerca e la raccolta di vecchie 61 grammatiche utilizzate dai missionari, già iniziata dal gesuita Lorenzo Hervàs. Nonostante i limiti di tali grammatiche (redatte per lo scopo missionario) e la base empirica delle sue ricerche, Humboldt riesce a compilare le grammatiche di quattordici lingue americane, dalla brasiliana Tupì-Guaranì alla lingua dello Yucatan, come ha mostrato Ramòn Arzàpalo (Città del Messico), al Nahuatl dell’America centrale, cui ha fatto riferimento Manfred Ringmacher (Berlino). Questo frammento del progetto complessivo (che prevedeva lo studio di cinquanta-sessanta lingue al fine di individuarne le analogie strutturali) metteva comunque in luce un denominatore comune alle lingue americane: la scarsa distinzione tra nomi e verbi, interpretata da Humboldt come l’espressione di un “pensiero non chiaro”. Così, ad esempio, nel caso del brasiliano Tupì-Guaranì, Wolf Dietrich (Münster) ha mostrato come Humboldt concludesse, partendo dalla “grande indeterminazione” di questa lingua, a una “carenza del pensiero”. Presupposto di tale valutazione sono due aspetti che fanno di Humboldt uno studioso del tutto settecentesco: la sua venerazione del greco antico, rispetto al quale egli misurava le categorie grammaticali delle lingue delle popolazioni americane, e l’idea di un progresso nella storia dell’umanità e delle lingue. Tuttavia, come ha sostenuto Jürgen Trabant, Humboldt si è anche proiettato oltre il suo secolo: la classificazione genetica delle lingue americane, che egli, rifacendosi ad alcune posizioni della biologia dell’epoca, riteneva ancora possibile all’inizio delle sue ricerche, si avvicina in modo via via crescente ad una moderna categorizzazione secondo strutture grammaticali condotta su un’ampia base empirica. Questo avviene, ad esempio, nel caso dello studio della lingua messicana Otomi come ha rilevato Klaus Zimmermann (Berlino). In quanto “scopritore” dello studio comparativo e generale della grammatica Humboldt ha poi preso congedo, secondo Frans Plank (Costanza), dal procedimento usuale del diciottesimo secolo, che anteponeva la classificazione astratta all’empiria. Alla discussione moderna nell’ambito della linguistica hanno fatto riferimento gli interventi di Maurizio Gnerre (Roma) e Helmut Gipper (Monaco): il primo ha sottolineato come Humboldt non si sia limitato alla costruzione di “scheletri” grammaticali, ma abbia messo in luce, attraverso il concetto di “carattere linguistico”, l’importanza del contesto culturale di ogni espressione linguistica, anticipando così una delle prospettive principali della linguistica antropologica. Per il secondo alcune posizioni di Humboldt potrebbero costituire un efficace antidoto contro l’avversione rispetto alla dimensione del significato che domina ampi settori delle linguistica americana. M.M. CALENDARIO CALENDARIO Il Goethe Institut di Milano, in collaborazione con il Teatro alla Scala e la Provincia di Milano, ha organizzato per il giorno 11 gennaio un Convegno su Italia-Germania oggi. I partecipanti sono stati: Maurizio Chierici: “La cultura giornalistica”; Raffaele Durante: “La cultura economica”; Vittorio Fagone: “La cultura artistica”; Giulio Giorello: “La cultura scientifica”; Aldo Grasso: “La cultura televisiva”; Johannes Hösle: “La cultura letteraria”; Morando Morandini: “La cultura cinematografica”; Quirino Principe: “La cultura musicale”; Carlo Sini: “La cultura filosofica”; Franco Tatò: “La cultura manageriale”. ● Informazioni: Amici della Scala, corso Venezia 36, 20100 Milano, tel. 02/783479. Il 12 gennaio, presso la Sala Conferenze della Biblioteca Civica di Cologno Monzese, si è inaugurato un ciclo di Letture Filosofiche con la presentazione e la discussione del libro di Vittorio Hösle, Filosofia della crisi ecologica, da poco pubblicato dall’editore Einaudi. Presente l’autore e Domenico Losurdo. ● Informazioni: Biblioteca Civica, via Milano 3, 20093 Cologno Monzese, tel. 02/25308201. Nel ciclo delle attività culturali della Fondazione San Carlo di Modena, sono da ricordare gli importanti Cicli e Seminari di studio iniziati nel mese di gennaio. Per il ciclo di lezioni: Questioni del tradurre, sono intervenuti: 22 gennaio, Diego Marconi: “Problemi filosofici della traduzione radicale”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci: “L’inconscio dell’altro”; 5 febbraio, Alessandro Pizzorno: “La spiegazione sociale come traduzione”; 5 marzo, Alessandro Simonicca: “Forme di vita e culture”. Nell’ambito del ciclo di lezioni: I paesaggi del sacro, hanno partecipato: 21 gennaio, Pierangelo Sequeri: “L’inferno e il paradiso”; 4 febbraio, Filippo Gentiloni: “L’Europa della nuova evangelizzazione”; 18 febbraio, Aldo Natale Terrin: “Tra vecchi e nuovi paradisi”; 25 febbraio, Franco La Cecla: “La sacralità del guard-rail”; 11 marzo, Paolo Ricca: “Né sul garizim né a Gerusalemme”. Per il 19 marzo è stato organizzato un Seminario dal titolo: Marcel Mauss. Il “fatto sociale totale”, durante il quale Steven Lukes ha parlato di “Razionalità e relativismo. Riflessioni ulteriori”; presenti inoltre: Riccardo Di Donato, Stefano Martelli, Alfredo Salsano, Paola Bora, Marcel Fournier. Infine ricordiamo che nell’ambito del Seminario di Studio: Trinità e Storia, il 1 marzo ha parlato Lorenzo Paolini su “La Trinità fra Gioacchino Da Fiore e la Scolastica”; 15 marzo, Giampiero Bof su “La Trinità in Hegel”; 16 aprile, Giuseppe Ruggieri su “Trinità e storia nella teologia contemporanea”. ● Informazioni: Fondazione San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. nente gli Atti del Convegno: “L’eredità di Heidegger”, maggio 1989); alla presentazione sono intervenuti: Franco Bianco, Domenico Losurdo, Otto Pöggeler, Carlo Sini, Valerio Verra. Il 29 gennaio ha avuto luogo una conferenza di Otto Pöggeler sul tema: Heidegger und Hannah Arendt. ● Informazioni: Prof. Franco Bianco, Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane, Università “La Sapienza”, via Magenta 5, 00185 Roma, tel. 06/491629. Curato dal Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università di Roma “Tor Vergata” e dall’Accademia Spagnola di Roma, il 29 e 30 gennaio si è tenuto un Convegno Internazionale dal titolo: Il neoantico. Tecnica & Organizzate dalla rivista Aut-Aut e dall’Istituto Italiano per il diritto allo Studio Universitario dell’Università degli Studi di Milano, dal 27 gennaio al 31 marzo 1993 si è svolto un ciclo di dieci lezioni sui generi in filosofia dal titolo: Scritture del pensiero. Questo il calendario degli incontri: 27 gennaio, Pier Aldo Rovatti: “Lacan: scrivere l’inconscio?”; 3 febbraio, Rosella Prezzo: “La narrazione del femminile nel discorso filosofico”; 10 febbraio, Fabio Polidori: “Il testo di Nietzsche”; 17 febbraio, Alessandro Dal Lago: “La scrittura etnografica”; 24 febbraio, Riccardo De Benedetti: “I ‘Quaderni’ (Simone Weil); 3 marzo, Maurizio Ferraris: “Autobiografia. Agostino e Heidegger”; 10 marzo, Edoardo Greblo: “Benjamin, immagine e scrittura”; 17 marzo, Rocco De Biasi: “Il metalogo (G. Bateson); 24 marzo, Gianfranco Gabetta: “La lettera e la scena della scrittura in Montaigne”; 31 marzo, Giampiero Comolli: “Figura e scrittura in Oriente”. ● Informazioni: I.S.U., corso di Porta Romana 19, 20100 Milano, tel. 02/ 809431. possessione nella cultura, nella poesia e nelle arti. La Presidenza e il Coordinamento scientifico è stato affidato a Mario Perniola e Jorge Lozano, mentre gli interventi hanno seguito il seguente ordine: Cristoph Wulff: “Ethique de l’esthétique”; Francesco Pellizzi: “Periferie del corpo estetico”; Michel Maffesoli: “La culture des sentiments. Pour une étique de l’esthétique”; Roberto Motta: “La sacrifice, la transe, la mort”; Giuliano Compagno: “Il sacrificio, la comunicazione, la tecnica”. ● Informazioni: Federico De Donato, Università di Roma “Tor Vergata”, via B. Alimena 6, 00173 Roma, tel. 06/7232624. Presso l’Aula Magna dell’Università di Firenze, il 2 febbraio ha avuto luogo una tavola rotonda sul tema: Mario Dal Pra. Filosofia e Politica. L’incontro è stato organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze, dalla Società Filosofica d’Italia e dalla Nuova Italia Editrice, e vi hanno preso parte Eugenio Garin, Enrico J. Rambaldi e Fabio Minazzi. ● Informazioni: La Nuova Italia editrice, Via Bonifacio Lupi 1, 50129 Firenze, tel. 055/461174. Il Goethe-Institut di Roma e il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane della III Università degli Studi di Roma hanno organizzato due incontri aventi come tema centrale la filosofia di Heidegger. Il 28 gennaio si è tenuto un Convegno in occasione della presentazione del libro: Heidegger in discussione (Franco Angeli, Milano 1992, conte- Le attività della Casa della Cultura proseguono con un fitto calendario che comprende Seminari, Cicli di lezioni, Convegni e Corsi. Questo il programma di febbraio: 15 febbraio, 62 in occasione della pubblicazione di I bolschevichi: alle origini del socialismo reale (Franco Angeli, Milano 1993), un incontro con Enrica Collotti Pischel, Antonio de Lillo, Bruno Grancelli, Mario Spinella su: Dimenticare Lenin?; 19 febbraio, una conferenza di Massimo Bonfantini su: Ecologismo, Federalismo, Socialismo: Tre ismi da coniugare? Questo il programma di marzo: 1 marzo, in occasione dell’uscita del libro di Aldo Giorgio Gargani, Stili di analisi. L’unità perduta del metodo filosofico (Feltrinelli, Milano 1993), si è tenuto un incontro su I linguaggi della vita contingente: ne hanno parlato con l’autore Mauro Ceruti, Maurizio Ferraris, Giulio Giorello; 2 marzo, in occasione dell’uscita del libro: La parola incantata, di F. Papi (Guerini e Associati, Milano 1993), ha avuto luogo un incontro con Gilberto Finzi, Elio Franzini, Fulvio Papi e Stefano Zecchi sul tema: Dire poetico e dire filosofico; 9 marzo, si è tenuta una conversazione di Lucio Villari: Per una critica del capitalismo italiano; 15 marzo, in occasione dell’uscita del libro: Amo te, di Luce Irigaray (Bollati Boringhieri, Torino 1993), ha avuto luogo un incontro con l’autrice e Renzo Imbeni su: Reinventare l’amore, con interventi di Laura Boella, Lidia Campagnano e Paolo Mieli; 19 marzo, per il ciclo: “L’invenzione ultramoderna”, Massimo Bonfantini, Mauro Ferraresi, Arturo Martone e Gian Paolo Proni sono intervenuti su: Peirce come pragmaticismo nel nostro futuro; 22 marzo, si è tenuto un incontro commemorativo dal titolo: Per Mario Dal Pra, con la partecipazione di Vittorio Spinazzola, Fulvio Papi, Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Giorgio Lanaro, Enrico Rambaldi; 29 marzo, in collaborazione con il Goethe Institut, si è svolto un Convegno su Walter Benjamin: lo spazio della modernità, con interventi di Michele Ranchetti, Gianfranco Bonola, Ugo Perrone, Elena Agazzi, Ubaldo Fadini. ● Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 2 , 20122 Milano, tel. 02/795567. La Consulta di Bioetica e l’editore Franco Angeli hanno indetto una Conferenza stampa per il 25 febbraio presso il Circolo della Stampa di Mi- CALENDARIO lano, in occasione della presentazione della nuova rivista semestrale Bioetica, diretta da Maurizio Mori. Durante la Conferenza è stato presentato anche il Documento sull’Eutanasia, recentemente approvato dalla Consulta di Bioetica, e presentato da Renato Boeri, presidente della Consulta. ● Informazioni: R. Traversa, Ufficio Stampa, Franco Angeli, Viale Monza Milano. “Antropologia”. Sono previste inoltre sessioni speciali sull’ontologia del continuo, sul lavoro teoretico di René Thom e Pierre Boulez e una tavola rotonda su “L’arte e lo spazio”. Fra gli altri relatori: Ackrill (Oxford), Aubenque (Parigi), Berti (Padova), Küppers (Heidelberg), Thom (Parigi), Totok (Hannover), Tugendhat (Berlino), Vollmer (Braunschweig). ● Informazioni: Victor Gomez Pin, Director Departamento de Filosofia, Universidad del Pais Vasco, APTDO. 1249, E-20080 San Sebastian (Spagna). tigiuridismo di Max Stirner (Giuffrè, Milano 1992), l’autore ha tenuto una conferenza sul tema: Max Stirner critico del politico. ● Informazioni: Libreria Utopia, Via Moscova 52, 20100 Milano, tel. 02/29003324. Dal 18 al 20 marzo 1993 si è tenuta a Müster una giornata sull’estetica dal titolo: Immagine e riflessione. Paradigmi e prospettive dell’estetica attuale. Hanno partecipato fra Il 10 marzo, presso la sede della casa editrice Laterza a Roma, ha avuto luogo la presentazione della nuova collana: Fare l’Europa, diretta da Jacques Le Goff e pubblicata in contemporanea da Verlag C. H. Beck, Blackwell Publishers, Editorial Critica, Editions du Seuil. Organizzata dagli Editori Laterza, il 5 aprile, presso la Società Scientifica SOCREA di Milano, si tiene la presentazione del libro di Luciano Mecacci: Storia della psicologia del Novecento. Oltre l’autore, intervengono Marcello Cesa-Bianchi, Giorgio Cosmacini, Assunto Quadrio, Giuseppe Vallar. ● Informazioni: Editori Laterza, via di Villa Sacchetti 17, 00197 Roma, tel. 06/3218393. Organizzata dalla Biblioteca Comunale di Cattolica in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e la Rivista “Nuova Civiltà delle Macchine”, il 12 marzo si è aperta l’edizione 1993 di “Cosa fanno oggi i filosofi?”. Il tema/titolo di questa tredicesima edizione è: Idoli. Conversazioni di antropologia. Ci si propone di offrire al pubblico tracce di percorso nel vasto panorama dell’antropologia contemporanea intesa nella più ampia accezione di studio dei comportamenti umani nel loro rapporto con le idee, le rappresentazioni e le superstizioni. L’itinerario dei lavori si svolgerà a cadenza settimanale, seguendo un percorso che reca titoli espressi in un latino spesso fantasioso e che prevede il seguente calendario: 12 marzo, Francesco Remotti: “Homo antropologicus”; 19 marzo, Beniamino Placido: “Homo televisivus”; 26 marzo, Giuseppe Pucci: “Imago imperii/Imperium imaginis”; 2 aprile, Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri: “Homo ludens”; 16 aprile, Romano Madera: “Homo religiosus et paganus”; 23 aprile, Paolo Fabbri: “Animal loquens”; 26 aprile, Giacomo Marramao: “Homo oeconomicus”; 7 maggio, Adriana Cavarero: “De homine et foemina”; 14 maggio, Umberto Galimberti: “Homo idolum maximum”; 21 maggio, Danilo Mainardi: “Homo sapiens sapiens”; 28 maggio, Ersilio Tonini: “Genus Homo”. ● Informazioni: Centro Culturale Polivalente, Piazza della Repubblica 31, 47033 Cattolica, tel. 0541/967802. Il 16 marzo presso la Libreria Utopia di Milano, in occasione della presentazione del libro di Enrico Ferri, L’an- gli altri Hans Ulbrich Gumbrecht (Stanford), Gottfried Boehm (Basilea), Wolfgang Welsch (Bamberg), Jens Kulenkampff (Duisburg) e Ferdinand Fellmann (Müster). In questa occasione è stata anche fondata una “Società tedesca di estetica”. Il Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo ha organizzato per il 2 aprile 1993 una Giornata di Studio sul tema: L’estetica di Cesare Brandi. Sono previsti interventi introduttivi di Luigi Russo, Emilio Garroni, Paolo D’Angelo e Massimo Carboni. ● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Università degli Studi, Viale delle Scienze, 90128 Palermo. Organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino, dall’Istituo Italiano per gli Studi Filosofici, dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino si è tenuto il 22 marzo, presso l’Accademia delle Scienze di Torino, un convegno dal titolo: Piero Martinetti nel cinquantenario della morte. Tra gli interventi: Norber- Dal 23 al 26 aprile 1993 si riunisce a Aix-en-Provence il Congresso europeo di filosofia analitica, organizzato dalla “European Society for Analytic Philosophy”. Vi saranno sezioni sui temi: “Etica”, “Filosofia della mente” e “Filosofia del linguaggio”. ● Informazioni: J.-L. Azra, CREA, 1, rue Descartes, F-75005 Paris. to Bobbio: “Introduzione”; Girolamo De Liguori: “La cultura filosofica nella Torino di fine secolo”; Stefano Poggi: “Martinetti e i suoi ‘autori’ tedeschi”; Massimo Ferrari: “L’interpretazione di Kant e di Hegel”; Dino Pastine: “Martinetti e la filosofia indiana”; Mario Miegge: “Martinetti e la teologia protestante”; Amedeo Vigorelli: “Mito, storia e simbolo nell’interpretazione del Cristianesimo”; Franco Alessio: “Martinetti filosofo popolare”. ● Informazioni: Accademia delle Scienze, Via Accademia delle Scienze 6, Torino, tel. 011/5620047. Nei giorni 28-30 aprile 1993, presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Chieti, si svolge un Convegno Internazionale su Christoph Clavius e l’attività scientifica dei Gesuiti nell’età galileiana . La parte centrale delle relazioni è dedicata ad aspetti specifici dell’opera di Clavius e della sua scuola nell’ambito della matematica, dell’astronomia, della meccanica; altre relazioni hanno invece per oggetto i nessi della scienza gesuitica con i problemi generali del pensiero dell’epoca e con la nascente scienza sperimentale. ● Informazioni: Segreteria Convegno, Facoltà di Lettere, via N. Nicolini 10, 66100 Chieti, tel. 0871/ 355561. Presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano e con il contributo dell’Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici di Milano, la rivista “Informazione Filosofica” ha presentato la Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, prodotta dalla RAI-Dipartimento Scuola Educazione, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l’Istituto della Enciclopedia Italiana. Sono Intervenuti: Gerardo Marotta , Mario Giacomini, Renato Parascandolo, Vittorio Fiorito, Remo Bodei, Carlo Sini; ha coordinato la manifestazione Riccardo Ruschi. ● Informazioni: Redazione di “Informazione Filosofica”, Viale Monte Nero 68, Milano, tel 02/55190714. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, l’Istituto nazionale di Studi sul Rinascimento e l’Istituto e Museo di Storia della Scienza hanno organizzato, dal 3 al 26 maggio 1993, una serie di Seminari dal titolo: L’Uma- simo italiano in Francia”; 24-26 maggio, Franco Bacchelli: “La diffusione europea dello Zodiacus Vitae di Palingenio Stellato; 24-26 maggio, Michel Lerner: “Tommaso Campanella in Francia”. ● Informazioni: Istituto Italiano per gli studi Filosofici, via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Dal 4 all’8 maggio a Donosta/San Sebastian (Spagna) si riunisce il Terzo Convegno Internazionale di Scienza Cognitiva. Si terranno se- zioni su: “Rappresentazione e dinamiche in semantica e pragmatica”; “Formalizzazioni di modelli e complessità cognitive”; “Trattamento dell’informazione e comunicazione nei sistemi naturali”; “Convinzione, intenzione e azione”. Parleranno fra gli altri J. van Benthem, N. Block, P. Churchland, R. Cummins, F. Dretske, J. D. Fodor. ● Informazioni: Dr. J. M. Larrazabal, Dept. of Logic and Philosophy of Science, Univ. Del Pais Basco. Apdo 1249, E-20080 San Sebastian, Spagna. Dal 13 al 15 maggio 1993 si riunisce a Dijon il I Congresso della Società di studi kantiani di lingua francese, con il tema: L’anno 1793. ● Informazioni: Société Bourguignonne de philosophie, Monsieur Jean Ferrari, Centre Municipal des Associations, Boîte H4, F-21068 Dijon Cedex. Per i giorni 20-23 maggio il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Loyola (Chicago) ha organizzato una Conferenza Internazionale su: Etica come Filosofia Originaria? Il significato di Emanuele Levinas per la filosofia, la letteratura e la religione. I relatori sono: Babette Babi- ch, Robert Bernasconi, Theo de Boer, Jack Caputo, Cathérina Chalier, Fabio Ciaramelli, Richard Cohen, Rebecca Comay, Simon Critchley, Arnold Davidson, Paul Davies, Robert Gibbs, Alphonso Lingis, John Llewelyn. Adriaan Peperzak, William Richardson, Jill Robbins, Charles Scott, Andrew Tallon, David Tracy, Hent de Vries, Bernard Waldenfels, Elisabeth Weber, Patricia Werhane, Merold Westphal, Edith Wyschogrod. ● Informazioni: Beth Spina, Secretary of the Conference, Department of Philosophy, Crown Center for the Humanities, 344 Loyola University Chicago, 6525 N, Sheridan Road, Chicago IL. nesimo e il Rinascimento. Italiani in Europa. L’introduzione sarà di Eugenio Garin e il calendario avrà il seguente svolgimento: 3-5 maggio, Kurt Flasch: “Cusano e l’umanesimo italiano”; 4-5 maggio, Eugenio Garin: “La fortuna europea di Giovanni e Giovan Francesco Pico della Mirandola”; 6-8 maggio, Giovanni Aquilecchia: “Giordano Bruno in Inghilterra”; 6-8 maggio, Christian Bec: “Macchiavelli in Francia”; 17-19 maggio, Pierre Jodogne: “L’Umane- Nell’aprile 1993 a San Sebastian (Spagna) il dipartimento di filosofia dell’università basca indice il congresso internazionale: Categorie e intelligibilità della totalità. Il progetto ontologico e la riflessione attuale. Sono previste le seguenti sezioni: “Ontologia e storia dell’ontologia”; “Linguistica e storia della linguistica”; “Matematica e fisica teorica”; 63 Dal 26 al 29 maggio si riunisce a Genova il secondo convegno della Società Montesquieu dal titolo: L’Europa di Montesquieu. ● Informazioni: G. Benrekassa, 43 rue Bezout, F-75014 Parigi. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Insegnare filosofia per unità didattiche Proseguendo un’iniziativa di ricerca già avviata da tempo, Vega Scalera ha pubblicato un nuovo quaderno della collana “Laboratorio didattico” della Nuova Italia, dedicato al tema: INSEGNARE FILOSOFIA PER UNITÀ DIDATTICHE. UN MODELLO OPERATIVO (La Nuova Italia, Firenze 1992). Il volume trae origine dall’esperienza acquisita presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università “La Sapienza” di Roma con la progettazione e l’attuazione di corsi di perfezionamento a distanza per insegnanti delle scuole secondarie superiori. Sulla proposta di un insegnamento della filosofia fondato sulla programmazione per “unità didattiche” si soffermano anche Laura Bolognini e Lucia Marchetti in un recente articolo, INSEGNARE FILOSOFIA. LA FILOSOFIA NEL CURRICOLO , apparso sulla rivista “Sensate esperienze” (n. 14, febbraio 1992). Il nuovo lavoro di Vega Scalera si presenta come l’esito, sul piano della proposta concreta, di una ricerca già avviata e finora orientata prevalentemente alla ricostruzione storica - potremmo anche dire: all’anamnesi - delle vicende, non sempre lineari, dell’insegnamento della filosofia in Italia. Ci riferiamo ai due precedenti volumi della stessa autrice, apparsi nella collana “Laboratorio didattico”: L’insegnamento della filosofia dall’Unità alla riforma Gentile (La Nuova Italia, Firenze 1990; vd. la nostra recensione sul n. 1 di questa rivista, dicembre 1990) e L’insegnamento della filosofia dalla riforma Gentile agli anni ‘80 (ivi 1990). In questo secondo lavoro, in particolare, l’autrice aveva messo a fuoco le premesse storiche di una tradizione pedagogica che continua a plasmare il comportamento dei docenti di filosofia, favorendo «l’esercizio di una pratica didattica rigida, fortemente subalterna allo schematismo dei programmi e dei manuali, aristocraticamente chiusa alle sollecitazioni della più recente ricerca in campo psicopedagogico, didattico e delle tecnologie educative». La fuoriuscita da questa situazione di ritardo, provocata in definitiva dal retaggio della concezione educativa gentiliana, viene individuata dall’autrice, in questo suo nuovo lavoro, Insegnare filosofia per unità didattiche, nella proposta di una «gestione razionale dell’insegnamento della filosofia», che consenta al tempo stesso ai docenti di «compiere esperienze significative di ricerca (nella) didattica». Ciò comporta in primo luogo l’abbandono, da parte dei docenti di filosofia, del tradizionale scetticismo nei confronti di una metodologia basata sulla costruzione di unità didattiche scetticismo che nasce in definitiva dalla convinzione relativa alla eccezionalità della filosofia, alla sua intrinseca vocazione dialogica, la quale non consentirebbe di essere “ingabbiata” negli “schemi” della programmazione didattica. Di fatto questa convinzione convive per lo più con una certa passività del docente verso la tirannia dei programmi ministeriali, oppure con una indeterminatezza di fondo nel definire obiettivi e contenuti della disciplina. Diversamente la pianificazione di sequenze didattiche autosufficienti - in quanto conduce l’insegnante a precisare traguardi, a predisporre attività, a ideare procedure e forme di comunicazione, a verificarle nell’iter dell’apprendimento degli allievi - non solo consente di gestire in modo responsabile un insegnamento estremamente complesso, ma comporta la rinuncia a quella genericità di obiettivi (del tipo «sviluppo di capacità di astrazione», «di abilità espositive»), con cui viene per lo più surrogata, nei piani di lavoro approntati dai docenti, l’esigenza (in sé genuina) di un controllo sulla pratica dell’insegnamento filosofico. L’organizzazione sequenziale del processo didattico non costituisce un fatto puramente tecnico, ma conduce a una continua mediazione tra contenuti culturali e processi cognitivi, fra la specificità delle conoscenze disciplinari, via via selezionate in base al loro valore culturale e alle potenzialità cognitive implicite, e gli obiettivi comportamentali e cognitivi comuni all’intero curricolo durante il triennio, definiti in sede di programmazione collegiale. L’autrice insiste particolarmente sul fatto che la proposta di «operare per unità didattiche» si traduce in una continua attività di ricerca, 64 volta a valorizzare l’impegno costruttivo e la capacità di progettazione degli insegnanti, nella direzione di scoprire i livelli di congruenza tra contenuti culturali, processi d’ordine didattico e acquisizioni di conoscenze da parte degli allievi. Ed è soltanto in questa prospettiva che l’insegnante si pone consapevolmente in grado di superare quelle semplificazioni che troppo spesso accompagnano il suo iter didattico e che sono sovente sollecitate dalla stessa domanda degli studenti. Scalera non allude qui tanto ai rischi presenti in quella miniaturizzazione del sapere cui dà vita talvolta l’insegnante nello sforzo di mediazione tra contenuti culturali e capacità di apprendimento degli studenti, quanto invece alla stessa propensione di questi ultimi a una visione lineare di fenomeni culturali ben altrimenti complessi. Chiunque insegni conosce bene come nei giovani prevalga spesso un bisogno di procedere secondo una logica del «bianco o nero», evitando ambiguità e contraddizioni, secondo quella «intransigenza cognitiva» che nasce dalla «difficoltà a padroneggiare la multidimensionalità dell’esperienza» e che è propria della particolare fase di sviluppo nella formazione dell’identità personale degli adolescenti. Ma il lavoro per unità didattiche costituisce anche per gli studenti una situazione didattica nuova, lontana dalla “astrattezza” dell’insegnamento tradizionale, perché li impegna in una “sfida”, ovvero in un’esperienza di apprendimento fondata su livelli di operatività e concretezza (quali il lavoro di montaggio e smontaggio dei testi, il confronto tra linguaggi diversi, la ricerca di soluzione dei diversi problemi prospettati, la discussione in gruppo). Insomma, il lavoro sui testi, se inserito in una progettazione organica di unità didattiche, viene a costituire il nucleo centrale di quello che si potrebbe definire un “laboratorio di filosofia”, capace oltretutto di favorire una profonda modificazione dell’atteggiamento tradizionale dei giovani nei confronti dello studio. Il lavoro di Scalera offre infine un modello operativo di come si costruisce un’unità didattica, sviluppando il tema della filosofia cartesiana. Si tratta del risultato di una riflessione maturata all’interno di una precisa situazione educativa, partendo dal ten- DIDATTICA tativo di ripensare la valenza formativa della filosofia in relazione ad una pluralità di dimensione conoscitiva, e lontana dalla pretesa di costituire qualcosa di definitivo, buono per tutti gli usi. E’ peraltro convinzione dell’autrice che «la costruzione di unità didattiche non può essere assunta in senso prescrittivo in relazione all’adeguamento ad un modello prestabilito, quanto come una procedura che consente agli insegnanti di controllare e regolare il processo formativo e di ipotizzare, verificandole, nuove e diverse soluzioni ai problemi in una prospettiva adattativa e individualizzante». Il volume presenta numerosi esercizi che devono condurre l’insegnante a familiarizzarsi con il lavoro per unità didattiche. Ma la parte più ricca del libro di Scalera è quella riservata alla documentazione di testi, di proposte e di riflessioni maturate soprattutto negli ultimi decenni. Sono per esempio ripubblicate alcune sezioni di unità didattiche elaborate, rispettivamente, da L. Bolognini e L. Marchetti (Insegnare filosofia, in “Sensate esperienze”, n. 1, 1990), da D. Di Cesare (La filosofia: un approccio ermeneutico, in AA.VV., La Secondaria al lavoro, Giunti & Lisciani, Teramo 1989), da S. Tagliacozzo (Un’unità didattica di filosofia per il primo anno di corso, in “Nuova Secondaria”, n. 4, 1989). Compaiono anche articoli di A. Visalberghi (Problemi di formazione degli inse- gnanti di filosofia, in “Bollettino della Società Filosofica italiana”, n. 106, 1979), di E. Becchi (Studiar filosofia, in AA.VV., Storia della filosofia come sapere critico. Scritti in onore di M. Dal Pra, Angeli, Milano 1984), di M. Dal Pra (La funzione dell’insegnamento della filosofia, in “Bollettino della Società Filosofica italiana”, n. 106, 1979), di M. Laeng (La specificità dell’insegnamento filosofico, in ibidem), di M. Santi (Philosophy for Children: una proposta per “pensare” a scuola, in “Scuola e città”, n. 9, 1990) e numerose altre riflessioni, fra cui le testimonianze dirette di alcuni studenti. Da segnalare infine, tra questi articoli e prese di posizione riportati nel libro di Scalera, l’intervento del presidente dell’Associazione francese dei Professori di Filosofia J. Lefranc (La Formation des Professeurs de Philosophie en France, apparso originariamente nel volume a c. di V. Telmon, Filosofia e Formazione. Un colloquio europeo sui compiti del docente di filosofia nelle scuole secondarie e sulla formazione dei professori, Centro Stampa «Lo Scarabeo», Bologna 1985), il quale si sofferma sui principi e sulla metodologia formativa degli insegnanti di filosofia in Francia. L’autore mostra di nutrire alcuni dubbi sui recenti progetti tesi a creare in Francia dei centri specializzati di formazione per i futuri insegnanti di filosofia nei licei. «Abbiamo timore - scrive - dell’im- perialismo di una certa pedagogia che si ritiene scientifica e che spesso nasconde un’ideologia che è tanto più pericolosa in quanto rimane implicita e avanza anche la pretesa di subordinare a sé la critica filosofica». A suo avviso «è la filosofia stessa, e non una scienza che le rimarrebbe esterna, che deve riflettere sulla sua pedagogia ed elaborarne la teoria», se è vero che il compito di insegnare la filosofia non consiste nella semplice trasmissione dei saperi mediante procedure didattiche più o meno efficaci, ma «nel riflettere filosoficamente di fronte agli allievi e insieme agli allievi». Si tratta di un compito al quale l’insegnante in Francia è chiamato sin dall’inizio, da quando cioè, appena nominato in ruolo, deve egli stesso costruire il suo corso, senza utilizzare alcun manuale nella sua classe, trovandosi nella condizione, così continua Lefranc, di «poter filosofare liberamente con delle giovani menti»: un lavoro difficile e lungo, ma anche di grande soddisfazione. E’ opportuno rilevare, in questo contesto, che con l’articolo: Insegnare filosofia. La filosofia nel curricolo (“Sensate Esperienze”, n. 14, 1992), Laura Bolognini e Lucia Marchetti hanno voluto riprendere il tema della loro precedente riflessione (si veda: Insegnare filosofia, in “Sensate Esperienze”, n. 8, 1990), nell’ottica di precisarne meglio i contorni teorici e i termini complessivi del discorso. Il nuovo articolo tie- Giorgio De Chirico, Il filosofo e il poeta, particolare 65 DIDATTICA ne peraltro conto delle numerose prese di posizione e obiezioni di colleghi pubblicate sulla stessa rivista (si vedano gli articoli di M. Da Ponte Orvieto, in “Sensate esperienze”, n. 10, 1990; di P. Biancardi e M. Pinotti, ibidem, n. 11, 1991; di P. Palmeri, ibidem, n. 13, 1991), nonché di altri recenti interventi (come gli articoli di F. Bianco, di J. Rohbeck e di V. Telmon, pubblicati su “Paradigmi”, VIII, n. 23, 1990; di M. De Pasquale e P. Porcelli, ibidem, VIII, n. 24, 1990; di S. Belvedere e G. Magistrale, ibidem, IX, n. 25, 1991; e di B Coppola, ibidem, IX, n. 26, 1991). Ma questo nuovo contributo vuole essere anzitutto una riflessione “sul campo”, vale a dire una svolta da parte di chi è quotidianamente impegnato nei problemi dell’insegnamento della filosofia e si interroga concretamente sulla funzione della filosofia nel curricolo di studi. Non a caso l’articolo è arricchito da uno “strumentario” che riporta progetti e piani di lavoro elaborati da consigli di classe. Il presupposto teorico di fondo della riflessione di Bolognini e Marchetti è che «la ricomposizione della tradizione culturale richieda di trasmettere conoscenze intorno a snodi forti collocati in un tempo, per comodità o per sicurezza, lineare». Progettare un’insegnamento della filosofia che sappia coniugare il metodo storico con quello problematico significa individuare, all’interno della tradizione culturale europea, quei momenti salienti, paradigmatici e ad ampio spettro, che hanno lasciato tracce persistenti. Tale progettazione richiede di condurre un lavoro sui testi, la cui scelta «deve consentire di tracciare un reticolo consistente di problemi, permanenze, novità, silenzi o cesure, preparatorio al dialogo fra testi e fra autori, entro lo snodo e fra gli snodi». Convegni Dal 2 al 4 novembre 1992 si è svolta a S. Margherita Ligure (Genova) la seconda parte del seminario di aggiornamento sull’insegnamento della filosofia istituito con D.M. 30/11/91. Il programma dei lavori, assai intenso, era anche questa volta finalizzato all’approfondimento e al confronto tra docenti della scuola media superiore sulla proposta didattica relativa al “progetto Brocca” di riforma dei programmi. A differenza del primo (si veda il resoconto sul n. 7 di questa rivista, maggio 1992), questo secondo modulo si è concentrato su proposte concrete provenienti da Istituti Sperimentali. I partecipanti sono quindi entrati nel merito dei nuovi criteri metodologici che emergono da una lettura più attenta del progetto Brocca. Organizzato ancora una volta dal Preside Rembado del liceo “De Vigo” di Rapallo e coordinato dall’Ispettrice ministeriale A. Costantini Sgherri, il seminario si è confermato come laboratorio di ricerca didattica. Più volte infatti è emerso che l’Università, proiettata verso ricerche specialistiche, appare per lo più estranea ai problemi dell’insegnamento, salvo l’apporto di alcuni docenti interessati alla didattica della filosofia, sicché spetta all’iniziativa e all’inventiva dei docenti della scuola media superiore trovare luoghi e modi opportuni per rinnovarsi. E a proposito dell’aggiornamento, che è anche informazione oltre che riqualificazione, Sgherri ha invitato i presenti ad entrare nell’ottica della scuola-laboratorio, superando la dimensione individualistica del lavoro e sperimentando itinerari diversi che possano però essere leggibili all’esterno e costituire quindi materiale di ricerca. L’esperienza sul campo e l’utilizzo delle tecnologie più avanzate (computer e telematica) vengono così a costituire le basi del rinnovamento professionale dell’insegnante. Particolarmente stimolante è stata l’ampia relazione di Evandro Agazzi sui temi centrali della ricerca filosofica, affrontati anche in riferimento ai paesi del Terzo Mondo e del mondo islamico. Significativa, data anche la sua esperienza internazionale, è stato il richiamo di Agazzi a ricercare e adottare un approccio e un linguaggio filosofici specifici, che ancora oggi devono qualificare l’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria superiore italiana. Si sono quindi aperti i lavori di gruppo, riproposti nella suddivisione adottata nel precedente convegno, che ha permesso un’accelerazione nello scambio di esperienze e nella produzione di materiali di lavoro. Sulla base di precise e interessanti proposte di unità didattiche elaborate sul “progetto Brocca” da parte di insegnanti del liceo “Ariosto” di Ferrara, del “Copernico” di Bologna e del “Majorana” di Rho, si è discusso a lungo al fine di individuare criteri didattici, strategie metodologiche e di verifica atte a realizzare un rinnovamento dell’insegnamento. I gruppi hanno quindi elaborato materiali senz’altro utili per un primo, ampio approccio ai diversi problemi. La pubblicazione degli Atti favorirà il diffondersi di tutte queste esperienze. Ancora una volta l’aspetto più interessante del seminario si è rivelata la possibilità di un confronto aperto e problematico tra realtà diverse ed istanze differenti; si è quindi confermata l’opportunità di procedere sul piano locale, favorendo forme di coordinamento sia a livello regionale, sia comunale, sia fra singole scuole, nell’ottica di un continuo scambio di esperienze. Entro il prossimo anno molte scuole infatti saranno dotate di una avanzata rete computerizzata di comunicazione. Si confida pertanto negli insegnanti e nell’uso intelligente delle macchine. S.C.V. 66 TOLLERANZA E LIBERTÀ: STORIA E ATTUALITÀ è stato l’argomento di una tavola rotonda svoltasi il 29 ottobre 1992 presso l’Università degli Studi di Milano con una duplice finalità: aggiornare gli insegnanti della scuola media superiore intorno alla ricerca universitaria e al contempo indicare possibili percorsi didattici, con sperimentate esemplificazioni di lettura dei testi in relazione ad uno specifico tema di attualità. DI UN’IDEA L’idea è nuova, il progetto è appena nato e si spera che questa prima realizzazione sia la tappa iniziale di un percorso a lunga scadenza. Del resto la nuova sperimentazione di filosofia che il Ministero sta proponendo in diverse scuole italiane, sulla base dei programmi elaborati dalla “commissione Brocca” della scorsa legislatura, prospetta l’individuazione di percorsi didattici da approfondire con la lettura diretta dei testi filosofici. Risulta pertanto opportuno collocarsi nella prospettiva di un autoaggiornamento, per il quale tuttavia è necessario l’apporto scientifico della ricerca universitaria, da un lato, e l’esperienza didattica, già verificata sul campo, dall’altro. L’iniziativa in questione è nata su proposta di L. Pozzi d’Amico (Liceo “Einstein” di Milano) in sede di Direttivo della Sezione Lombarda della Società Filosofica Italiana, presieduto da E. Rambaldi, presidente neo-eletto. D’Amico invitava i docenti universitari ad un approccio nuovo al problema dell’aggiornamento, tale da garantire scientificità e al tempo stesso da sollecitare i docenti liceali all’elaborazione di modelli metodologici e di contenuto, capaci di riproporre sul piano dell’insegnamento liceale i moduli propri, ma non esclusivi, della ricerca universitaria. L’idea veniva accolta con interesse da M. Del Torre, coordinatrice di un gruppo di studio di ricerca didattica della SFI lombarda, che da lungo tempo auspica un’integrazione tra Università e Scuola secondaria superiore su tematiche di attualità, pur collocate nella loro dimensione storica. La proposta dunque poteva realizzare un collegamento fra la tradizione e l’attualità in una prospettiva unitaria di forte rilievo metodologico. A seguito di queste considerazioni si costituiva quindi un comitato ristretto che elaborava modi e tempi di realizzazione del progetto. Nella prima iniziativa pubblica tenutasi presso l’Università degli Studi di Milano F. De Michelis (Università di Pavia) ha presentato con chiarezza e rigore la prospettiva storica del problema della tolleranza, definendone le radici storiche nel XV secolo. Hanno fatto seguito due esemplificazioni didattiche di lettura di testi, l’una di S. Creperio (Liceo Parini) sull’Epistola de tolerantia di J. Locke, l’altra di Pozzi d’Amico su La passeggiata dello scettico di Diderot. L’intervento conclusivo di S. Veca ha sottolineato il carattere RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi REVUE PHILOSPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 90, agosto 1992 Istitut Supérieur de Philosophie Louvain La Neuve Sophistique et ontologie, di S. Breton: ogni seria riflessione sull’ontologia deve passare, ancor oggi, attraverso il Libro ‘Gamma’ della Metafisica di Aristotele; in quest’ottica si colloca il libro di B. Cassin e M. Narcy: La décision du sens (Vrin, Paris 1989). Aristote et la séparation, di M. Bastit: la nozione aristotelica di separazione può essere trasposta, dalla sua origine fisica, in psicologia e filosofia prima, determinando il trionfo dell’atto e della forma. Essa consente quindi di tracciare una gerarchia che si eleva dal meno separabile al totalmente separabile attraverso la realtà mista. De Baumgarten à Kant: sur la beauté, di H. Perret: l’estetica sistematica di Baumgarten ricostruisce le condizioni generali della creatività estetica e determina le caratteristiche generali dell’oggetto bello. Nella Critica del Giudizio Kant riprenderà proprio da Baumgarten l’idea che l’esperienza estetica sia un giudizio e che il giudizio estetico presupponga una sensibilità per l’individuale. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER n. 2, aprile-giugno 1992 PUF, Paris ed il teatro, e in un confronto tra il Trattato e i Saggi. Sympathie et individualité dans la philosophie politique de David Hume, di F. Brahami: la filosofia politica di Hume si costruisce a partire da due principi che sembrano diversi e quasi contraddittori: l’interesse e la simpatia. L’articolo chiarifica il rapporto tra questi due principi, evidenziando come il dualismo sia solo apparente, perchè la coerenza della teoria si basa sul concetto di individualità. “Fiat lux”: une philosophie du sublime, di B. Saint-Girons: presentazione della discussione di dottorato presso l’Università di Parigi. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER n. 3, luglio-settembre 1992 PUF, Paris Tema della rivista: “Realismo e idealismo nelle scienze”. Emile Meyerson, philosophe oublié di J. Largeault: sulla figura e l’opera di Emile Meyerson (1859-1933). Les quatre causes de Bunge à Aristote, di M. Espinoza: un confronto tra la concezione aristotelica delle quattro cause e quella della causalità nella scienza moderna e contemporanea, con riferimento particolare a Mario Bunge, rappresentante del realismo scientifico. Tema della rivista: “Hume” La fonction du droit et la question du lien social chez Hume et Montesquieu, di P.L. Autin. Le système chez Hume. Une écriture stratégique et théâtrale, di M. Biziou: l’articolo analizza il sistema in Hume a partire da due questioni centrali: perchè la filosofia si deve costruire come sistema per pensare se stessa ed il suo oggetto? Rinunciando alla scrittura sistematica, la filosofia può restare tale? Il problema viene affrontato prendendo le mosse da due metafore humeane, la strategia Brève note sur l’intuitionnisne de Brouwer, di J. Largeault. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 55, ottobre-dicembre 1992 Beauchesne, Paris Tema della rivista: “Hobbes e Locke”. Contexte des rapports intellectuels entre Hobbes et Locke, di J. Rogers: nonostante i numerosi studi comparati tra i due filosofi, con particolare attenzione alle rispettive teorie politiche, non tutti gli aspetti dei possibili legami tra Locke e Hobbes sono stati esaurientemente analizzati. Da questo punto di vista l’articolo intende esaminare il rapporto di entrambi con Boyle e la sua concezione del metodo scientifico; la disputa Boyle-Hobbes sulla possibilità del vuoto può costituire un punto chiave per chiarire alcuni aspetti del rapporto Hobbes-Locke. Le discours mental selon Hobbes, di M. Pécharman. Le mythe de l’intériorité chez Locke, di G. Brykman: a partire dal libro di J. Bouveresse, Le muthe de l’intériorité (Paris, Minuit, 1976), l’articolo analizza la concezione lockeana del linguaggio in rapporto alla nozione di Wittgenstein di linguaggio privato. La propriété chez Hobbes, di Y.C. Zarka: alla luce del rapporto tra Hobbes e Grozio è possibile analizzare la concezione hobbesiana della proprietà da tre punti di vista: la riduzione politica del problema della proprietà, il dominio privato e politico, pensato in termini di proprietà, la teoria della sovranità. L’articolo si sviluppa pertanto tenendo presenti tre coppie di concetti: dominium/proprietas, dominium/potestas, dominium/auctoritas. La propriété dans la philosophie de Locke, di S. Goyard Fabre: il concetto di communio fundi originari, corollario della legge divina, avente valore di postulato, rappresenta un aspetto cruciale per comprendere la questione della proprietà in Locke, al di là dell’analisi della proprietà reale. Le roman philosophique de l ‘humanité chez Hobbes et chez Locke, di F. Tricaud: un confronto tra Hobbes e Locke sulla teoria dello Stato; se per Hobbes l’esistenza dello Stato garantisce i diritti limitati ed inviolabili di ciascuno, per Locke è inutile il ricorso al contratto, ma è sufficiente la legge di nartura a definire le regole fondamentali della condotta giusta. Filmer, Hobbes, Locke: les cassures dans 67 RASSEGNA DELLE RIVISTE l’espace de la théorie politique, di F. Lessay: l’analisi della famiglia presente nei tre autori. Zähmung des Bösen?, di G. Schönrich: le riflessioni di Kant sui problemi della teodicea leibniziana. Locke et l’intentionnalité: le problème de Molyneux, di J. M. Vienne. Symbolische Erkenntnis bei Leibniz, di S. Krämer: la distinzione tra forma intuitiva e forma simbolica della conoscenza proposta da Leibniz nelle Meditazioni del 1684. Intuition et intuitionisme, di J. Largeault: l’intuizione nella filosofia, nella psicologia, nella metafisica e nella concezione matematica di Brouwer. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Theodizee oder Kulturgeschichte des Bösen? Anmerkungen zum gegenwärtigen Diskurs, di C. F. Geyer. Wissen, Glauben, Nicht-Wissen, di A. Stephan: Freud e la logica epistemica. Vol. 46, n. 3, 1992 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Pierre Duhem”. To save the phenomena: Duhem on Galileo, di M. A. Finocchiaro: l’articolo rivaluta l’interpretazione di Galileo data da Duhem, che con la sua definizione dell’ideale di unità della fisica appare molto vicino al realismo di Galileo. Physique de croyant? Duhem et l’autonomie de la science, di A. Boyer: il legame problematico in Duhem tra scienza e metafisica. Duhem and continuity in the history of the science, di R. Ariew e P. Barker. A reappraisal of Duhem’s conception of scientific progress, di B. S. Baigrie. Measurement and principles: the structure of physical theories, di A. Kremer-Marietti: a partire dagli scritti di Duhem sulla teoria della relatività e dei quanta, l’articolo mostra come il suo metodo rimanga pertinente nonostante gli sconvolgimenti operati sulla fisica contemporanea da queste teorie. Duhem et l’atomisme, di R. Majocchi: la critica di Duhem all’atomismo. Duhem face au post-positivisme, di A. Brenner: la riflessione di Duhem e quella postpositivista hanno in comume l’analisi del ruolo della storia della scienza nell’epistemologia. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 46, n. 2, aprile-giugno 1992 Klostermann, Frankfurt a/M. “Was darf ich hoffen?”, di E. Förster: il problema kantiano della conciliazione di ragion pratica e teoretica. Kants Wahrnehmungsurteile als Erbe Humes?, di D. Lohmar. ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 72, n. 2, 1992 Walter de Gruyter, Berlin, New York Latin Averroes on the divisibility and selfmotion of the elements, di R. F. Hassing e E. M. Macierowski: il problema della causalità e del moto naturale degli elementi è stato al centro del dibattito filosofico-scientifico fino a Galileo; l’articolo prende in esame la posizione di Averroè nel suo ‘Commentario’ alla Fisica di Aristotele, con particolare attenzione ai paragrafi II 1, VII 1, VIII 4, VIII 5. Rabbi Lewi ben Gerschom (Gersonides) und die Bedingungen wissenschaftlichen Fortschritts im Mittelalter: Astronomie, Physik, erkenntnistheoretischer Realismus und Heilslehere, di G. Freudenthal. Immortalitas oder Immaterialitas, di T. Ebert: un’analisi dei sottotitoli apposti da Cartesio alle due edizioni, quella di Parigi del 1641 e quella di Amsterdam del 1642, delle Meditationes. letta la differenza tra la teoria politica di Agostino e quella di Tommaso. In particolarte, se per Tommaso appare centrale il forte legame che il cittadino sente con il bene comune della società politica, legame che costituisce la base di una vera e propria virtù etica, Agostino nega che si possa parlare di virtù. Il cambiamento di prospettiva sulla nozione di virtù civile e bene comune dipende proprio dalla rilevanza della lezione aristotelica. Descartes and dream skepticism revisited, di R. Hanna: la riflessione antiscettica cartesiana nelle Meditationes. The Molyneux Problem, di M. Lievers: la questione posta da Molyneux circa la relazione tra le idee acquisite attraverso il tatto e quelle acquisite attraverso la vista sono al centro delle analisi lockeane nel Saggio. L’articolo prende in esame il problema di Molyneux in relazione alle teorie cartesiane, discutendo poi come esso venga affrontato da Locke e da Berkeley. Lichtenberg and Kant on the subject of thinking, di G. Zoeller: contro una certa tradizione storiografica che vorrebbe porre Lichtenberg (1742-1799) ed il suo aforisma Es denkt sulla scia humeana e quindi in opposizione a Cartesio, l’articolo vuole piuttosto dimostrare che egli è molto vicino alle posizioni di Kant, pur non riuscendo a cogliere fino in fondo la complessità della teoria kantiana dell’autocoscienza. Alla luce di queste considerazioni l’articolo mostra comunque anche la differenza tra la posizione di Lichtenberg e l’Io penso kantiano, comcludendo con una valutazione critica dei due pensatori. PARADIGMI Vol. X, n. 30, settembre-dicembre 1992 Schena Editore, Brindisi JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXX, n. 3, Luglio 1992 Washington University, St. Louis Degrees of finality and the highest good in Aristotle, di H. R. Richardson: una certa ambiguità da parte di Aristotele nella formulazione della nozione di Bene supremo ha dato origine ad una serie di interpretazioni spesso in contrasto tra di loro. L’articolo intende mettere in luce come una corretta analisi di questa nozione non possa prescindere da quella di fine ultimo. Augustine and Aquinas on original sin and the function of political authority, di P. J. Weithman: la riscoperta delle Etiche, ma soprattutto della Politica di Aristotele ha determinato una svolta cruciale nelle elaborazioni delle teorie politiche del Medioevo. E’ sotto questa luce che può essere 68 Appaiono in questo fascicolo monografico alcuni interventi al Convegno Internazionale su: “Dialogo interculturale ed eurocentrismo”, tenutosi a Roma dal 27 al 29 maggio 1991 ed organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Teoria della Scienza dell’Università “La Sapienza” di Roma, in collaborazione con il Goethe Institut. Ad esse è stato aggiunto il testo della conferenza pronunciata nell’Università di Bari da P. Matvejevic il 12 marzo 1992. Come si sottolinea nella presentazione, la pubblicazione di questo fascicolo è, da un lato, motivata dalla persuasione che il dialogo tra le culture, che sono forme, autointerpretazioni e cifre della vita dei popoli, è urgente e ineludibile necessità dell’odierna situazione mondiale, dall’altro è sorretta dalla speranza che le culture riescano effettivamente a dialogare, ossia a riconoscersi e a rispettarsi nelle differenze delle rispettive identità e a non avere preconcette diffidenze ed ostilità per le nuove iden- RASSEGNA DELLE RIVISTE tità e per le nuove combinazioni e sintesi che dalla continuità del dialogare possono sortire. Anche attraverso il dialogo fra le culture passa e si consolida la pace tra i popoli e l’umanità si difende dai sempre possibili ricorsi della barbarie”. Visioni del mondo e rapporti tra le culture, di F. Bianco. La fenomenologia come “medium” di ricerca interculturale dal punto di vista orientale, di Kah Kyung Cho. della “morte di Dio” nietzscheana e la proposta di lettura heideggeriana, ci riporta all’esperienza del sacro. Spirito e malinconia, di G. Carchia: la malinconia tra medicina e filosofia nell’analisi antica, moderna e contemporanea. L’utopia del visibile. Note sull’ermeneutica dell’immagine a partire dalla Romantik, di F. Vercellone. Una visione pragmatista della razionalità e della differenza culturale, di R. Rorty. L’importanza culturale dell’Islam, di R. Garaudy. La tonalità emotiva fondamentale dell’Europa e la comunicazione interculturale, di K. Held. Il problema dell’altro nell’universalismo occidentale, di A. M. Iacono. La tecnologia e la vendetta della cultura, di D. Ihde. Sulle nozioni di cultura nazionale, di P. Matvejevic. La filosofia indiana e quella occidentale sono radicalmente differenti?, di J. Mohanty. Eurocentrismo, eurocentricità e dis-europeizzazione, di T. Ogawa. Cultura europea e religiosità giapponese, di R. Venturini. Cultura propria e cultura estranea; Il paradosso di una scienza dell’estraneo, di B. Waldenfels. Transculturalità. Forme di vita dopo la dissoluzione delle culture, di W. Welsch. AUT-AUT n. 251, settembre-ottobre 1992 La Nuova Italia, Firenze La prima parte della rivista si occupa del libro di G. Bateson, Dove gli angeli esistano (Adelphi, Milano 1987) e comprende alcune note dello stesso Bateson (La creatura e la sua creazione), un intervento di Mary Catherine Bateson sulla genesi del testo (Come é nato ‘Angel Fear’), e quattro contributi che prendono spunto da questo libro: Il meta-libro di Bateson, di A. Dal Lago; Il fine non perseguibile. Su Bateson e la “non-comunicazione”, di R. De Biasi; La regola di Bateson, di G. Gabetta; Un occhio appeso al collo, di P. A. Rovatti. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Vol. LXXXIV, n. 1, gennaio-marzo 1992 Vita e Pensiero, Milano L’Epinomide o della religione entro i limiti della ragione, di D. Pesce: benchè questo dialogo si collochi all’interno del platonismo, sia per i rimandi alle Leggi, sia per i contenuti dottrinari, l’autore non condivide l’ipotesi da più parti accreditata che il dialogo sia effettivamente da attribuire a Platone e preferisce assegnarne la paternità a Filippo di Opunte che, pur muovendosi nell’ambito del platonismo, avrebbe qui voluto esporre una sua dottrina, utilizzando quindi liberamente i testi di Platone. Il rinnovamento della filosofia nella Dialectica di Lorenzo Valla, di M. Laffranchi: in quest’opera di Valla sono presenti alcuni nodi tematici che rappresentano il fulcro del pensiero logico e filosofico dell’autore; l’articolo compie una disamina dei concetti retorici, logici e filosofici di questo testo. La “dialectique” de Schleiermacher et l’absolu schellingien, di E. Brito: dopo aver delineato l’evoluzione dei rapporti tra Schelling e Schleiermacher, sottolineando poi in che senso la filosofia di Schelling possa aver influito sugli sviluppi a livello logico, epistemologico e ontologico della Dialektik di Schleiermacher, l’articolo si incentra sul confronto tra la concezione del rapporto tra Dio e mondo nella Dialektik e la teoria dell’Assoluto nel sistema schellinghiano dell’identità. Autocoscienza e conoscenza nel “primo Rosmini”, di P. De Lucia: l’articolo prende in esame un libro del giovane Rosmini, La coscienza pura, che ha come oggetto l’autocoscienza, per interpretarlo in rapporto al problema della conoscenza. Si fa anche il punto sulla scarsa attenzione che la critica ha sempre prestato a questo scritto. Analogia storica ed esperienza trascendentale. La “metaistorica” di Max Müller, Il sacro, di S. Givone: partendo dalla questione del senso in cui si possa parlare oggi di Dio, l’articolo, attraverso una rilettura 69 di P. Volonté. La metafisica segreta di Kant. Su un recente saggio di Virgilio Melchiorre, di S. Mancini: recensione di V. Melchiorre: Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant (Mursia. Milano, 1991). FILOSOFIA OGGI Vol. XV, n. 60, ottobre-dicembre 1992 Edizioni dell’arcipelago, Genova L’être, épreuve de la pensée (II), di P. Rostenne: una riflessione ontoteologica sul rapporto tra Essere e Dio. Ein berühmtes Beispiel künstlicher Intelligenz in der Natur: der Zellenbau der Honigbienen, di M. Casula: attraverso una ricostruzione storica che parte da Pappo (IV sec. a. C. ) fino ai giorni nostri, l’articolo intende delineare in termini matematici il miracolo naturale della costruzione di un’alveare. La natura fornisce esempi di altissime operazioni di intelligenza paragonabili alle operazioni dei computers. L’analogia fra competenza trascendentale e fondamento trascendente nella dialettica di Schleiermacher, di M. G. Lombardo. Lineamenti per una filosofia dell’intersoggettività, di R. Rossi: la relazione tra fondamento della conoscenza, limite e relazione; una rilettura storica. “Humanisme de la liberté dans la perspective de l’humanisme legazien, di J. M. Trigeaud: il sistema di Legaz y Lacambre può essere visto in termini di un umanesimo della libertà, che pone al centro della speculazione etica la persona. AQUINAS (Vol. XXXV, maggio-agosto 1992, Università Lateranense) presenta un intervento di M. Bunge dal titolo Sette paradigmi cosmologici: l’animale, la scala ,il fiume, la nuvola, la macchina, il libro e il sistema dei sistemi in cui vengono analizzati i paradigmi cosmologico dell’olismo, secondo cui il mondo è un animale; della visione gerarchica, che considera il mondo come un insieme stratificato, dell’atomismo, la cui metafora è la nuvola; del punto di vista dinamico, per il quale il mondo è un fiume senza sponde; del meccanicismo, per cui il mondo è un orologio; del testualismo, per il quale il mondo è una sorta di libro. Di questi paradigmi vengono indicate le caratteristiche ed il loro valore alla luce della scienza contemporanea. Troviamo inoltre: L’immagine della donna secondo Ortega y Gasset, di A. Savignano; Dialettica di fantasia e logos nella nozione di mito secondo Aristotele, di D. Prisco; San Tommaso e Hegel per una teodicea RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE cristologica, di M. Mangiagalli. AESTHETICA (n. 35, agosto 1992, Centro internazionale Studi di Estetica, Palermo) pubblica gli interventi al Seminario dal titolo: Laocoonte 2000, promosso dal Centro internazionale Studi di Estetica (Palermo 1-2 novembre 1992). ANNALI UGO SPIRITO 1991 (Vol. III, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992). Presenta, accanto a saggi su Ugo Spirito (L’idea di Roma nel pensiero di Giovanni Gentile e Ugo Spirito, di H. A. Cavallera; 1991: cinquant’anni dalla Vita come Arte di Ugo Spirito, di C. Gily Reda) alcuni interventi sul pensiero di Augusto Del Noce (Le origini della critica al razionalismo in Augusto Del Noce, di G. Dessì), sulla critica a Vico (In margine ad alcuni studi italiani su Vico, di A. Russo), sul pensiero di Carlo Diano (Il pensiero filosofico di Carlo Diano, di R. Chierichini) e su Heidegger (Le scienze ontiche nel primo Heidegger. Ipotesi a partire da Phänomenologie und Theologie, di G. Salmeri). ESTETICA 1992 (Il Mulino, Bologna, 1992), a cura di Stefano Zecchi, è intitolato “Forme del simbolo”. Se il simbolo, come spiega Zecchi nell’introduzione, è un tipo di linguaggio che rifiuta l’univocità del segno ed il suo rapporto lineare con la realtà per aprirsi ad una dimensione cosmica dell’uomo e del suo linguaggio, dimensione cosmica che emblematicamente si dà nella religione e nell’arte, la nostra modernità, con il suo culto della tecnica, ha perduto completamente il senso di questa appartenenza cosmica testimoniata dalla dimensione simbolica che appare sempre più propria di una realtà culturale ormai sorpassata. Ma è proprio alla luce di questo confronto con la tradizione che può essere pensato un processo di risimbolizzazione della realtà. Ed è questa la proposta della raccolta di saggi qui contenuta. Accanto agli interventi di carattere storico e teoretico, troviamo anche una sezione riservata a Richard Wagner, la cui riflessione estetica rappresenta un emblema della complessità delle forme del simbolo, a cui si affianca la pubblicazione del carteggio tra Wagner e Schuré; appare inoltre un testo pubblicato per la prima volta dell’architetto Adholphe Appia sulle questioni legate alla messa in scena delle opere di Wagner ed un saggio poco noto di D’Annunzio su Wagner. Simbolo ed allegoria nel primo romanticismo tedesco, di E. Behler; L’arte del XX secolo e il simbolo, di J.C. Pinson; Emozione, immagine, simbolo, di J. Hillman; Il pensiero e il simbolo, di C. Sini; Il simbolo nell’ontologia fondamentale di Heidegger, di J. Taminiaux; Il rischio dell’immagine, di J. Jiménez; La polemica sul simbolo nella logica dell’arte di B. Schmidt; Udire l’oscurita, di A. Trione; Richard Wagner-Edouard Schuré: frammenti di un epistolario inedito; La musica di Wagner e la genesi del Parsifal, di G. D’Annunzio; Esperienmze di teatro e ricerche personali 1922-24, di A. Appia; Il simbolo e la musi- 70 NOVITA’ IN LIBRERIA NOVITA’ IN LIBRERIA AA.VV L’utopia nella storia: la rivoluzione inglese a cura di A. Colombo e G. Schiavone Edizioni Dedalo, settembre 1992 pp.294 Una raccolta di saggi sulla Rivoluzione inglese centrati sulla valenza utopica di questo evento e tendenti a mostrarne l’importanza storica ed ideale, al di là dell’oblio in cui spesso è caduta rispetto alla Rivoluzione francese. AA.VV. L’ Athenaion Politeia di Aristotele a cura di R. Cresci e L. Piccirilli Il Melangolo, febbraio 1993 pp.176, L. 20.000 Nel 1991 ricorreva il centenario della pubblicazione dell’Atenaion Politeia di Aristotele. Oggetti di vivace discussione, i saggi riuniti in questo volume costituiscono un ulteriore momento di riflessione sulle sempre nuove problematiche poste da quest’opera. AA.VV. Annuario filosofico 1992 Mursia, febbraio 1993 pp.432, L. 70.000 Saggi di: Pareyson, Mathieu, Holzhey, Lauth, Moiso, Ravera, Sorrentino, Poma, Magris, Ugazio, Ferretti, Baptist, Blagova, Salizzoni. AA.VV. Porphyre, La Vie de Plotin 1: Travaux préliminaires et index grec complet 2: Etudes d’introduction, texte grec et traduction française, commentaire, notes complémentaires, bibliographie Vrin, dicembre 1992 2 voll., pp.436, F 360 Partendo dal testo revisionato, una squadra di ricercatori ci propone una lettura più accessibile di questo libro non conformista. Altro motivo di grande interesse, la pubblicazione di documenti filosofici finora sconosciuti, testimonianze dirette della scena intellettuale dell’epoca. 70 AA.VV. Penser la recontre de deux mondes PUF, febbraio 1993 pp. 135 Le riflessioni, di carattere antropologico e cosmologico, che la cultura europea si pose all’indomani della scoperta dell’America, riflessioni rilevanti soprattutto nel campo religioso, etico e politico, appaiono ancor oggi al centro della speculazione contemporanea. AA.VV. Omaggio a Ludovico Geymonat Franco Muzzio, novembre 1992 pp.194 AA.VV. Le provocazioni di Giobbe. Una figura biblica nell’orizzonte letterario Marietti, giugno 1992 pp. 120 Il testo ricostruisce le reinterpretazioni, le trasfigurazioni e le risonanze letterarie della figura biblica di Giobbe, simbolo ora della pazienza, ora della sofferenza del giusto, ora del peccato. AA.VV. Tra scienza e storia. Percorsi del neostoricismo italiano: Eugenio Garin, Paolo Rossi Sergio Moravia a cura di Franco Cambiano Edizioni Unicopli, dicembre 1992 L. 27.000. In Italia, a partire dagli anni ’50, il neostoricismo di Garin e poi della sua scuola (da Rossi a Vasoli, a Moravia) ha messo a punto un’immagine della filosofia come intersezione critica, aperta, problematica tra saperi e società, tra ragione e storia, che risulta ancora oggi una lezione assai significativa. Il volume vuole ripensare questa “avventura” dello storicismo, soffermamdosi sull’evoluzione/trasformazione che il neostoricismo compie da Garin a Moravia e sul dialogo con la scienza, in cui la criticità (e la ricchezza teorica) di questo modello di filosofia viene a dispiegarsi, mostrando con forza anche la pregnanza che esso mantiene nel dibattito filosofico contemporaneo. NOVITA’ IN LIBRERIA Abelardo, Pietro Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano Rizzoli, gennaio 1993 pp. 314, L. 12.000 Nella sua ultima opera, il logico medioevale esprime l’idea di un cristianesimo naturale e tollerante, l’utopia di una convivenza e forse una convergenza con le altre fedi nate dalla Bibbia nel nome di un Bene Sommo di origini platoniche e stoiche, raggiungibile con la virtù e la ricerca intellettuale. Arantes, Urias Charles Fourier ou l’Art des passages L’Harmattan, novembre 1992 pp. 208, F 120 Una lettura di Fourier che prende deliberatamente le distanze tanto dal socialismo tradizionale quanto dai surrealisti per operare un ritorno alle parole e al mondo dell’utopista. La forza critica della sua opera ne esce restaurata grazie alla traduzione della logica numerica dellae serie nella logica dei “passaggi”. Adler, Max Filosofia della religione Cadmo, gennaio 1993 pp.251, L. 40.000 Tutti gli scritti sulla religione, compresi due inediti, del pensatore marxista viennese. Azouzi, François (a cura di) L’Institution de la raison: la révolution culturelle des idéologues Vrin, dicembre 1992 pp.262, F 198 Su quale filosofia, su quali principi si opera la rivoluzione culturale degli ideologhi? Quali limiti, teorici e pratici, essi incontrano? A che tipo di opposizione, in Francia e all’estero, essa dà luogo? Agamben, Giorgio Stanzas: The word and the phantasm in western culture Univ. of Minnesota Press, dicembre 1992 pp.224, £ 12,95 In quest’opera Agamben, rifacendosi alla filologia, alla psicoanalisi dei giochi, alla fisica e alla psicologia medievale, alla linguistica e alla filosofia contemporanea, tentando di riconfigurare i fondamenti epistemologici della cultura occidentale, screditando la possibilità di un metalinguaggio. Agostino De Magistro - Il Maestro ed. integrale bilingue a cura di Adele Canilli Mursia, febbraio 1993 pp.160, L. 9.000 Una proposta di lettura del testo di Agostino in chiave teoretica e di filosofia del linguaggio, e non in chiave pedagogica come viene generalmente interpretato. Il dialogo esamina i rapporti tra linguaggio e pensiero nella prospettiva della Verità. Aizpun de Bobadilla, Teresa Kierkegaards Begriff der Ausnahme. Der Geist als Liebe Akad. Vlg, dic.-gennaio 1992-’93 pp.198, DM 56 Albert, Karl Philosophie der Sozialität Academia, dic.-gennaio 1992-’93 pp.349, DM 68 Albert sostiene la tesi che le diverse forme e aspetti della socialità dell’uomo sono tutte in fin dei conti riportabili all’esperienza della comunità dell’essere. La comunità dell’essere si riferisce non solo ai propri simili, ma anche alla natura. Alt, Jürgen August Karl R. Popper Campus, novembre 1992 pp.150, DM 17,80 Malgrado la molteplicità di temi che la sua opera conosce, Jürgen August Alt insegue quel filo rosso che appare in tutta la filosofia popperiana, e cioè l’idea di una critica libera da fondamenti. Baptist, Gabriella Il problema della modalità nelle logiche di Hegel. Un itinerario tra il possibile e il necessario Pantograf, dicembre 1992 pp. 315 Barcan Marcus, Ruth Modalities: Philosophical essays Oxford UP, dicembre 1992 pp.288, £ 30 Una raccolta degli scritti più significativi di questa filosofa e logica americana, fra cui gli importanti primi saggi di logica modale e la sua opera più recente di filosofia morale e razionalità. Behrens, R. - Galle, R. (a cura di) Leib-Zeichen, Körperbilder, Rhetorik und Anthropologie im 18. Jahrhundert Königsh. & Neumann novembre 1992 pp.280, DM 58 I saggi indagano se e fino a che punto la trattazione discorsiva del corpo umano nei testi pragmatici e finzionali dell’antropologia storica e delle sue più recenti differenziazioni metodiche (retorica/psicoanalisi/teoria culturale postmoderna) arrivi a nuova interpretazione storica e vada letta in modo ermeneutico. Badiou, Alain Conditions Seuil, novembre 1992 pp.372, F 170 Partendo dalla filosofia stessa e da una critica esplicita del tema della sua fine, l’autore ne propone una definizione allo stesso tempo nuova e sottomessa alla prova delle sue origini (Platone). Seguono quattro saggi che vertono sui rapporti della filosofia conla poesia, la matematica, la politica e l’amore. Dall’autore di L’Etre et l’événement. Bell-Scholefield, Arthur Universal noetics Images Booksellers and Distributors, dicembre 1992 pp.544, £ 14,95 L’opera presenta un sistema di pensiero basato su uno studio complessivo dei suoi elementi costitutivi, che si possono classificare sotto tre categorie: l’universale, il singolare e il generale, che permeano tutte le cose. Baertschi, Bernard Les Rapports de l’âme et du corps: Descartes, Diderot et Maine de Biran Vrin, dicembre 1992 pp.434, F 300 Il libro esamina la dualità, anima e corpo, così come la si è affrontata dal XVII al XIX secolo nella filosofia francese. Le tre concezioni qui studiate formano la spina dorsale delle dottrine filosofiche che si elevano a partire dalle rotture scientifiche create dall’emergere di una nuova scienza. Bell. D. - Vossenkuhl, W. (a cura di) Wissenschaft und Subjektivität. Der Wiener Kreis und die Philosophie des 20. Jhdts Akademie, novembre 1992 pp.160, DM 98 Béresniak, Daniel Marx Grancher, novembre 1992 pp.200, F 69 E’ strano che il pensiero di Marx, sempre aperto all’esperienza, abbia potuto essere presentato come un dogma. Questa è la tesi dell’autore di La Franc-maçonnerie en Europe de l’Est, che propone una rilettura del marxismo. Bahti, Timothy Allegories of history. Literary historiography after Hegel John Hopkins UP, novembre 1992 pp.384, £ 35 Bahti dimostra che il moderno senso di una scuola storica sorge da una posizione idealista tedesca che dà per scontato il significato degli eventi storici soltanto in quanto aspetti della verità filosofica. Dopo di che esplora il modo in cui personaggi del XX secolo quali Erich Auerbach, Georg Lukács e Walter Benjamin abbiano cercato di estendere, rivitalizzare o criticare l’eredità di Hegel nell’assegnare un senso definitivo o “vero” alla storia. Berg, J. - Morscher, E. Bolzano-Forschung 1989-1991 Academia, dic.-gennaio 1992-’93 pp.132, DM 29,50 Serie di pubblicazioni che informa regolarmente sulle nuove edizioni (e in particolare anche sugli ultimi volumi usciti delle opere complete di Bolzano), sui progetti in corso e sui convegni. Seguirà la bibliografia di Bolzano. Nel primo di questi volumi si offre una visione generale dell’edi- 71 zione completa delle opere di Bolzano secondo il nuovo stato della sua articolazione. Berg, Jan Ontology without ultrafilters and possible worlds. An examination of Bolzano’s ontology Academia Vlg dic.-gennaio 1992-’93 pp.100, DM 24 Jan Berg, l’indiscusso e più significativo ricercatore su Bolzano, presenta con questo lavoro uno studio completo sull’ontologia di Bolzano in cui, sotto la forma di un’esauriente esposizione sistematica, ne tratta anche la logica e la teoria della conoscenza. Berg, Melanie Philosophische Praxen im deutschsprachlichigen Raum. Eine kritische Bestandsaufnahme Die Blaue Eule, novembre 1992 pp.184, DM 48 Berlinger, Rudolph Philosophisches Denken. Einübungen A cura di Fr. Träger Editions Rodopi, gennaio 1993 pp.252, Dfl 50 L’uomo è da sempre, per quanto in primo luogo camuffato, tuttavia filosofo del proprio ancora statico spirito, un filosofo del passaggio all’azione del comportamento morfopoietico in filosofia e in arte. Il senso di questi saggi filosofici è di rendere chiaro ciò. Bernier, François (a cura di) Abrégé de la philosophie de Gassendi: 1684 Fayard, novembre 1992 pp.7 voll., F 1500 Come indica il titolo, si tratta di una traduzione compendiata del Syntagma philosophicum, ma è anche più di una traduzione: è l’espressione stessa della filosofia di Gassendi presa globalmente e nel suo spirito. Berning, V. - Maier, H. (a cura di) Alois Dempf, 1891-1982. Philosoph, Kulturtheoretiker, Prophet gegen den Nationalsozialismus Konrad Vlg., dic.-gennaio 1992-’93 pp.320, DM 39,80 Bhaskar, Roy Dialectic Verso, novembre 1992 pp.300, £ 39,95 L’autore attacca le modalità puramente analitiche di pensiero. Bhaskar sviluppa una filosofia critica realista, che individua la definizione di essere in termini di conoscenza come l’incrinatura tipica della filosofia tradizionale. Egli sostiene che il realismo critico è la base di una nuova metodologia delle scienze umane. NOVITA’ IN LIBRERIA Bianco, F. (a cura di) Beiträge zur Hermeneutik aus Italien Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93 pp.280, DM 70 I saggi, per la maggior parte raccolti appositamente per questo volume, riassumono tutte le posizioni teoretiche di rilievo del dibattito ermeneutico in Italia a partire dagli anni ’60. Bingham, June Courage to change: An introduction to the life and thought of Reinhold Niebuhr UP of America, dicembre 1992 pp.426, £ 19,50 La presente biografia di Reinhold Neibuhr cerca di svelare l’uomo in tutta la sua umanità, il suo calore e il suo fascino, ma anche nella sua forza intellettuale di gigante della teologia. L’autore, che ha conosciuto bene Niebuhr, fa una cronaca della sua carriera e dei contributi al pensiero etico, teologico e religioso. Bloch, Ernst Spirito dell’utopia a cura di Francesco Coppellotti La Nuova Italia, 1992 L. 48.000 Viene ripubblicata, in nuova veste editoriale, la traduzione italiana della terza edizione (1964) del libro di Bloch che fu originariamente scritto tra il 1915 e il 1918. Il testo è preceduto da un’intervista a Bloch del 1974 e da una nuova introduzione del Curatore. Seguono una nota critica di V. Bertolino e F. Coppellotti, una nota bibliografica e una nota biografica, entrambe di N. F. Pomponio. Böcher, Wolfgang Natur, Wissenschaft und Ganzheit. Über die Welterfahrung des Menschen Westdt. Vlg., novembre 1992 pp.351, DM 49 Si tende un grande arco fra il mondo della coscienza e le società umane. In tal modo vengono anche superati i rigidi confini fra scienze della natura e scienze dello spirito, ponendo un collegamento fra discipline diverse. Bonnefoy, Yves Racconti in sogno EGEA, 1993 pp. 181 Una serie di racconti “in sogno”; il volto del mondo ed i momenti della vita intravisti attraverso l’attività di deformazione, condensazione, simbolizzazione, dell’attività onirica. Borsche, T. - Stegmaier, W. (a cura di) Zur Philosophie des Zeichens De Gruyter, dic.-gennaio 1992-’93 pp.231, DM 98 Saggi sulla “Filosofia del segno” di Josef Simon in occasione di un convegno a Bonn nel novembre 1990. Bort, Klaus Freiheit und Bezug. Ansätze zu einer phänomenologischen Ethik Attempto-Vlg., novembre 1992 pp.56, DM 12,80 of mind Cambridge UP, dic.gennaio 92-93 pp.300, £ 30 Il volume racchiude lo svolgimento del Quinto Simposio Ellenistico, descrive le analisi dei partecipanti su questioni quali: la natura della percezione, dell’immaginazione e della credenza; la natura delle passioni e il loro ruolo nell’azione; i rapporti fra anima e corpo; libertà e determinismo; il ruolo del piacere come obiettivo; l’effetto della poesia sulla fede e le passioni. Bouveresse, Renée Spinoza et Leibniz: l’idée d’animisme universel Vrin, dicembre 1992 pp.335, F 225 Con la traduzione inedita di un testo di Leibniz sull’etica di Spinoza e un testo di Louis Meyer. In Spinoza come in Leibniz l’animismo universale è legato al superamento del meccanismo cartesiano. Ma, laddove Spinoza pone il pensiero e l’estensione su un piano di parità, Leibniz ne deriva una spiritualizzazione della materia, anche se l’anima, principio di vita, secondo lui non agisce sul corpo. Busch, Th. W. - Gallagher, Sh. (a cura di) Merleau-Ponty, hermeneutics and postmodernism State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.256, $ 17 Il libro apre nuove prospettive nel pensiero filosofico di Merleau-Ponty e si rivolge a problemi contemporanei sulla teoria dell’interpretazione e la postmodernità. Brandner, Rudolf Warum Heidegger keine Ethik geschrieben hat Passagen, dic-gennaio ’92-’93 pp.160, DM 35 - ÖS 245 Brandner, Rudolf Was ist und wozu überhaupt Philosophie? Vorübungen sich verändernden Denkens Passagen, dic.-gennaio ’92-’93 pp.200, DM 39,80 Campbell, Richard Truth and historicity Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93 pp.472, £ 47,50 Il lavoro illustra chiaramente il concetto di verità, seguendone la storia dagli antichi Greci, fino all’esistenzialismo, al marxismo e alla moderna filosofia analitica. Brés, Yvon La Souffrance et le tragique: essai sur le judéo-christianisme, les tragiques, Platon et Freud PUF, novembre 1992 pp.288, F 148 La psicoanalisi ha scoperto nell’uomo una sorta di colpevolezza fondamentale. In questa colpevolezza Y. Brés cerca di distinguere il peccato giudaico-cristiano, che la tradizione confonde illecitamente con la colpa sessuale e di cui è il caso di ristabilire il significato trascendentale. Caporali, Riccardo Heroes Gentium Il Mulino, novembre 1992 pp. 290 Rompendo con una tradizione storiografica tendente ad un’analisi settoriale degli aspetti particolari della filosofia di Vico, questo libro tenta una ricostruzione globalizzante del suo pensiero, sottolineandone la tensione civile che pare animarlo: la riflessione vichiana sembra infatti tendere ad evidenziare la natura inquietante del potere come squilibrio e frattura ed a fare dell’era dell’ ”umanità dispiegata” il centro di tensioni costitutive ed aperte. Brocker, Manfred Arbeit und Eigentum. Der Paradigmenwechsel in der neuzeitlichen Eigentumstheorie Wissenschftl. Buch, novembre 1992 pp.680, DM 86 Il libro tratta il problema di come si possa legittimare la proprietà privata. L’autore, insieme a una panoramica sulla storia delle teorie filosofiche sulla proprietà negli ambienti di lingua tedesca, propone anche un’analisi storica i cui risultati possono rendere fruttuosa una discussione sul diritto di proprietà. Carruthers, Peter (a cura di) The animal issue: Moral theory in practice Cambridge UP, dicembre 1992 pp.220, £ 8,95 Il libro analizza la teoria morale e le implicazioni pratiche del modo in cui trattiamo gli animali, chiedendosi: “Gli animali hanno diritti morali?” L’autore conclude che non ne hanno, ma che tale conclusione non significa che il nostro comportamento verso di loro sia libero da vincoli morali. Brun, Jean Le Rêve et la machine Table Ronde, novembre 1992 pp.366, F 125 Le macchine nacquero dai sogni dell’uomo che chiedeva loro di fargli superare le barriere dello spazio e del tempo. Ormai le si ritiene capaci di oltrepassare i limiti della condizione umana e della realtà. Secondo Jean Brun, le macchine potrebbero anche aprirci le porte dell’inferno. Casper, B. - Sparn, W. (a cura di) Alltag und Transzendenz. Studien zur religiösen Erfahrung in der gegenwärtigen Gesellschaft Karl Alber, novembre 1992 pp.430, DM 118 Partendo dall’esperienza quotidiana, gruppi di ricerca diversi, ma allo stesso tempo interdisciplinari, cercano Brunschwig, J. - Nussbaum, M. (a cura di) Passions and perceptions. Studies in Hellenistic philosophy 72 attraverso la riflessione filosofica e teologica di evincere il senso compiuto dell’esperienza trascendentale oggi. Cassirer, Ernst Mito e concetto a cura di Riccardo Lazzari La Nuova Italia, settembre 1992 Il volume raccoglie due studi (La forma del concetto nel pensiero mitico e Il concetto di forma simbolica nella costruzione delle scienze dello spirito) che furono composti da Cassirer tra il 1921 e il 1922, all’inizio della sua collaborazione con la «Biblioteca Warburg» di Amburgo e del suo incontro intellettuale con gli studiosi raccolti intorno ad essa (fra cui Saxl e Panofsky). Il secondo studio precorre, anche nel titolo, il concetto di una Filosofia delle forme simboliche, che troverà di lì a poco svolgimento nell’opera maggiore di Cassirer. Chance, Thomas H. Plato’s Euthydemus. Analysis of what is and is not philosophy Univ. of California, nov. 1992 pp.325, $ 48 L’autore propone un’unica tesi: che Platone presenti di proposito l’euristica (la discussione contenziosa) come antitesi al proprio metodo filosofico. Chiurazzi, Gaetano Scrittura e tecnica. Derrida e la metafisica Rosenb. & Sellier, dicembre 1992 pp. 196 Il libro ripercorre i momenti cruciali del pensiero decostruzionistico di Derrida, tentando un’ipotesi interpretativa che vede nella scrittura il segno stesso della storicità del pensiero. Cohen, L. Jonathan An essay on belief and acceptance Clarendon, dic-gennaio ’92-’93 pp.192, £ 20 In questa monografia, Cohen, considerato uno dei più eminenti filosofi britannici, sostiene che quanti analizzano il concetto di conoscenza non distinguono adeguatamente la credenza involontaria dall’accettazione volontaria. Colliot-Thélène, Catherine Le Désenchantement de l’Etat: de Hegel à Max Weber Minuit, novembre 1992 F 145 Ci sono delle similitudini fra le descrizioni dello stato moderno proposte da G.W.F. Hegel e da M. Weber. La storia della formazione dello stato tedesco spiega in parte queste convergenze. Due tipi di discorso sulla politica vengono messi a confronto: la Filosofia del diritto di Hegel da una parte, e “la sociologia del dominio” di Weber dall’altra. Collmer, Thomas Aktuelle Perspektiven einer immanenten Hegel-Kritik. Negative Totalisierung als Prinzip offener Dialektik Focus, novembre 1992 NOVITA’ IN LIBRERIA pp.520, DM 60 Conway, D. W. (a cura di) Nietzsche und die antike Philosophie Wiss. Vlg. Trier dicembre-gennaio 1992-’93 pp.264, DM 72 Cooper, David A companion to aesthetics Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93 pp.354, £ 60 Questa opera di consultazione mira a includere l’intero campo degli argomenti estetici. Il volume effettua una ricognizione sui concetti significativi, sui problemi, i movimenti e gli autori della filosofia dell’arte. Coppolino, Santo Temi e problemi della cultura filosofica del ‘900 Antonio Perna Ed., novembre 1992 pp. 254 Il libro raccoglie una serie di saggi degli ultimi dieci anni su alcuni problemi che la cultura italiana della prima metà del secolo ha affrontato in relazione ai rapporti tra filosofia e scienza. Corvi, Roberta Invito al pensiero di Popper Mursia, Milano febbraio 1993 pp.384, L. 15.000 Il testo è così strutturato: cronologie parallele, profilo della vita, opere, temi, orientamenti della critica, bibliografia e indice dei nomi. Cottingham, John A Descartes Dictionary Blackwell Publishing, dicembre 1992 pp.200, £ 14,95 - $ 37,50 In questo “Dizionario”, Cottingham presenta una guida alfabetica a Descartes, uno dei filosofi che incutono maggior soggezione. Concetti e idee chiave nel pensiero cartesiano vengono rintracciati negli scritti di Descartes, inseriti nel contesto del clima intellettuale del XVII secolo e interpretati di conseguenza. Cottingham, John (a cura di) The Cambridge companion to Descartes Cambridge, dic.-gennaio ’92-’93 pp.464, £ 13 I presenti scritti su Descartes trattano della sua vita, dello sviluppo del suo pensiero e del retroterra intellettuale, nonché dell’accoglienza, della sua opera. Daecke, S.M. (a cura di) Naturwissenschaft und Religion. Weltbildliche und ethische Aspekte des interdisziplinären Gesprachs Wissenschaftsvlg., novembre 1992 pp.200, DM 29,80 Interventi a una tavola rotonda all’RWTH di Aachen. Dagognet, François Philosophie de la propriété: l’avoir PUF, novembre 1992 pp.240, F 148 L’”oggetto” viene visto qui al secondo grado, non per se stesso, ma attraverso operazioni che lo elevano, come quella della proprietà (uno stato di diritto), ben diversa dal semplice possesso (uno stato di fatto). è vero, come pensare le condizioni estetiche, epistemiche, ossia etica, di una simile affermazione? Una favola filosofica dell’esperienza visuale. Dietz, Walter Sören Kierkegaard. Existenz und Freiheit Anton Hain, novembre 1992 pp.400, DM 78 Dietz intraprende una ricostruzione della tematica della libertà in Sören Kierkegaard, in cui la libertà viene messa in relazione alla paura e all’onnipotenza. Danielson, Peter Artificial morality. Virtuous robots for virtual games Routledge, dic.-gennaio 1992-’93 pp.256, £ 35 La tesi centrale di questa opera è che la moralità sia un fatto personale e razionale. Con l’aiuto di robot appaiati in giochi astratti, che ricompensano il collaboratore ma anche semplicemente coloro che beneficiano dalle costrizioni altrui dimostra che robot virtuosi, non perversi, riescono meglio. Dilthey, Wilhelm Oeuvres 1: Critique de la raison historique Introduction aux sciences de l’esprit et autres textes A cura di S. Mesure e H. Wismann Cerf, dicembre 1992 pp.373, F 199 Nella sua Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Dilthey offre una prima esposizione di ciò che egli definisce come una “critica della ragione storica”: si tratta di rompere con la riduzione positivista delle scienze umane nascenti al modello delle scienze naturali, senza per questo rinunciare all’obiettività. Delogu, Antonio Filosofia e società in Sardegna. Giovanni Battista Tuveri (1815-1887) Franco Angeli, 1992 pp.356 Il libro delinea le coordinate della riflessione di Tuveri, uno degli esponenti più prestigiosi della cultura sarda del secolo scorso. Derrida, Jacques L’Ethique du don A cura di J.-M. Rabaté e M. Wetzel A.-M- Métailié, novembre 1992 pp.285, F 130 La dimensione etica, che percorre tutta l’opera di Derrida, in questi ultimi anni si è consolidata attraverso un lavoro rigoroso su problemi come il nazionalismo, la tradizione ebraica, la possibilità dell’insegnamento di filosofia, la questione dell’Europa rinnovata o i fondamenti del diritto. Dölken, Clemens Katholische Sozialtheorie und liberale Ökonomik. Das Verhältnis von katholischer Soziallehre und Neoliberalismus im Lichte der modernen Institutionökonomik J.C.B. Mohr, novembre 1992 pp.312, DM 98 Nuova rielaborazione della vecchia controversia fra teoria sociale cattolica e neoliberalismo. Derrida, Jacques Points de suspension: entretiens Galilée, dicembre 1992 F 195 L’autore ha scelto, presentandoli, venti degli incontri a cui Jacques Derrida ha partecipato negli ultimi vent’anni circa. Per questo si è dato un certo numero di criteri, prima di tutto quello della diversità. Döring, Eberhard Karl R. Popper. Einführung in Leben und Werk Parerga Vlg. f. Wiss. u. Politik dicembre-gennaio 1992-’93 pp.231, DM 34 Il lettore, competente o meno, viene messo a contatto con l’opera e l’attività di Popper. Dreyfus, Hubert - Rabinow, Paul Michel Foucault. Un parcours philosophique: au-delà de l’objectivité et de la subjectivité Gallimard, novembre 1992 pp.364, F 34 Il testo presenta il progetto fondamentale di Foucault di costituire un metodo di analisi dell’essere umano nella società contemporanea. Desanti, Jean-Toussaint Grisoni, Dominique-Antoine Réflexions sur le temps: variations philosophique 1, conversation avec Dominique Antoine Grisoni Grasset, dicembre 1992 pp.220, F 100 Libro di incontri sulla questione del tempo. Nella prima parte, Desanti ritorna sulle tesi difese dai pensatori della tradizione antica e sviluppa i quesiti posti da sant’Agostino. La seconda parte è un ampio sviluppo fenomenologico sul problema. Durkheim, Emile L’Education morale PUF, novembre 1992 pp.256, F 62 «Innanzitutto, che un’educazione morale interamente razionale sia possibile è implicito nel postulato stesso che sta alla base della scienza; sto parlando del postulato razionalista: non c’è niente nel reale che si possa legittimamente considerare radicalmente refrattario alla ragione uma- Didi-Huberman, Georges Ce que nous voyons, ce que nous regarde Minuit, novembre 1992 pp.208, F 120 Quanto vediamo non vale (non vive) che in virtù del nostro sguardo. Se ciò 73 na.» (E. Durkheim.) Earman, J. (a cura di) Inference, explanation, and other frustrations. Essays in the philosophy of science Univ. of California, novembre 1992 pp.416, $ 19 Questi saggi provocatori opera di importanti filosofi della scienza esemplificano e illuminano l’incertezza e l’entusiasmo contemporanei in questo campo in trasformazione. Ebingshaus, H.-B., Vollmer, G. (a cura di) Denken unterwegs. Fünfzehn metawissenschaftliche Exkursionen Hirzel Wiss.-Vlgsges. dicembre-gennaio 1992-’93 pp.236, DM 29 Eckhart, Meister Una mistica della religione Edizioni Messaggero Padova novembre 1992 pp. 345 Una raccolta antologica curata da G. Penzo. Feinberg, Joel Freedom and fulfillment. Philosophical essays Princeton UP, novembre 1992 pp.376, $ 44 Affrontando diversi gruppi di problemi di etica teoretica e pratica, questi quattordici saggi riconfermano la posizione guida di Joel Feinberg nel campo della filosofia legale. Fichte, Johann Gottlieb Discours à la nation allemande A cura di A. Renaut Impr. nationale, dicembre 1992 pp.316, F 250 A. Renaut ci fa riscoprire questo complicato testo di Fichte, il più adatto ad alimentare il dibattito sulla nuova idea di nazione. Un testo fondante, che supera le due concezioni abituali, del diritto territoriale e di quello di sangue. Filoramo, Giovanni- Roda, Sergio Cristianesimo e società antica Laterza, settembre 1992 pp. 294 Attraverso una serie di saggi relativi a questioni molto concrete della vita quotidiana ( i cristiani di fronte alla ricchezza, alla città, al matrimonio etc), questo libro cerca di ricostruire i complessi rapporti tra mentalità, costume e cultura antichi, ben radicati nell’immaginario collettivo, e la forza dirompente rappresentata dalla comparsa del Cristianesimo. Fisichella. Domenico Dilemmi della modernità nel pensiero sociale Il Mulino, dicembre 1992 pp. 113 Il volume affronta attraverso lo strumento della scienza sociale problemi e tendenze della modernità. Forst, Brian The socio-economics NOVITA’ IN LIBRERIA of crime and justice M. E. Sharpe, dicembre 1992 £ 39,95 Questo studio del crimine e della giustizia ha alle spalle principalmente l’idea che il comportamento individuale è influenzato sia dall’interesse personale che dalla coscienza, o da un senso di responsabilità comunitaria. French, Peter Responsability Matters UP of Kansas, dicembre 1992 pp.248, £ 19,95 - $ 25 Il volume indaga su una serie di questioni relative alla responsabilità, dagli aspetti teorici e dalle idee sul concetto di responsabilità alle aree specifiche di applicazione e a questioni generali della teoria morale, servendosi di esempi tratti dalla letteratura (Dickens sullo spazio e sul tempo), film e avvenimenti di attualità. Freudenthal, G. (a cura di) Studies on Gersonides. A fourteenth-century Jewish philosopher scientist Brill, dicembre-gennaio 1992-’93 Dfl 150 Freuler, Léo Kant et la métaphysique spéculative Vrin, dicembre 1992 pp.384, F 300 La critica kantiana della metafisica costituisce una svolta decisiva; lungi dal distruggerla, essa comincia col definirla e col chiarire lo statuto della sua riflessione. Per Kant la ricerca metafisica è altrettanto indispensabile allo spirito della respirazione al corpo. Gahlings, Ute Sinn und Ursprung. Untersuchungen zum philosophischen Weg Hermann Graf Keyserlings Academia Verlag dicembre.-gennaio 1992-’93 pp.289, DM 58 Il testo segue il disvelamento filosofico dai suoi inizi nei primi lavori improntati alla critica della conoscenza sulla prima applicazione della metafisica del senso nel Diario di viaggio di un filosofo alla fondazione di una scuola della saggezza e alla seconda opera importante Meditazioni sudamericane, fino alla filosofia tarda del Libro delle origini. Gander, H.-H. (a cura di) Europa und die Philosophie Klostermann, novembre 1992 pp.200, DM 48 Il pensiero di Heidegger dà impulso e controparte per l’autonoma corrente di pensiero da lui ispirata. La domanda attorno a cui si ruota è: quali compiti affida oggi l’Europa alla filosofia e come li si può pensare in un rapporto reciproco produttivo con l’approccio di Heidegger? Gargani, Aldo Giorgio Stili di analisi L’unità perduta del metodo filosofico Feltrinelli, gennaio 1993 pp.176, L. 28.000 Questo volume delinea la fine di un metodo filosofico e scientifico unico, quale è stato trasmesso dalla tradizione occidentale, e apre un orizzonte fecondo di approcci alternativi attraverso i quali gli uomini possono interpretare gli enigmi filosofici, le questioni scientifiche, i problemi matematici, le grammatiche musicali, i fenomeni psicologici così come i dati della loro esperienza vissuta e infine il loro rapporto basico con le cose, la natura e la società. Una approfondita interpretazione del bisogno dell’uomo contemporaneo di praticare linguaggi nuovi, alternativi e differenti. Perspektiven des Perspektivismus. Festschrift zum 80. Geburtstag von Friedrich Kaulbach Königsh. & Neumann novembre 1992 pp.400, DM 98 La raccolta di saggi propone il dibattito sistematico sul concetto di Kaulbach di “prospettivismo”. Eminenti sostenitori della filosofia attuale insieme a più giovani esponenti del settore indagano da differenti punti di vista la produttività di queste premesse. Gethmann-Siefert, A. (a cura di) Phänomen versus System. Zum Verhältnis von philosophischer Systematik und Kunsturteil in Hegels Berliner Vorlesungen über Ästhetik oder Philosophie der Kunst Bouvier, dic.-gennaio 1992-’93 pp.238, DM 85 Gartler, Walter Feindesliebe - Szientismus und Paranoia in Fichtes Wissenschaftslehre Turia & Kant, novembre 1992 pp.174, DM 29 Gauchotte, Pierre Le Pragmatisme PUF, novembre 1992 pp.127, F 38 Movimento apparso negli Stati Uniti verso il 1870, il pragmatismo può essere definito approssimativamente come una teoria empirica della conoscenza nella quale l’azione e le conseguenze pratiche giocano un ruolo fondamentale. Geyer, Carl-Fr. Die Theodizee. Diskurs, Dokumentation, Transformation Steiner, novembre 1992 pp.332, DM 124 Giacomoni, Paola Le forme e il vivente. Morfologia e filosofia della natura in J.W. Goethe Guida, gennaio 1993 pp. 281 Gearhart, Suzanne The interrupted dialectic John Hopkins UP, novembre 1992 pp.288, $ 39 Suzanne Gearhart sostiene che la filosofia speculativa hegeliana e la psiconalisi freudiana e infine anche le importanti correnti dell’attuale teoria della letteratura trovano la propria origine e la giustificazione di sé nella particolare interpretazione che ciascuna di esse dà della tragedia. Gibellini, Rosino La teologia del XX secolo Queriniana, 1992 pp.658 Gigante, Marcello Nomos Basileus Bibliopolis, Napoli marzo 1993 pp. 357, L. 60.000 E’ il libro della legge sovrana, la storia del motivo della legge divina, che regna sui mortali e sugli immortali, attraverso la poesia greca. L’autore ripropone il significato del celebre frammento 169 di Pindaro, nel quale la legge è definita signora e dominatrice del mondo degli uomini e degli déi, e dove l’interpretazione del concetto di legge segue il percorso del mondo spirituale della Grecia nel suo divenire storico. Gebauer, G. - Wulf, Chr. (a cura di) Praxis und Ästhetik. Neue Perspektiven im Denken Pierre Bourdieus Suhrkamp, dic.-gennaio 1992-’93 pp.360, DM 28 Gebert, Sigbert Negative Politik. Zur Grundlegung der politischen Philosophie aus der Daseinsanalytik und ihrer Bewährung in den politischen Schriften Martin Heideggers von 1933/34 Duncker & Humblot dicembre-gennaio 1992-’93 pp.204, DM 98 Gigante, Marcello Cinismo e epicureismo Bibliopolis, Napoli febbraio 1993 pp. 128, L. 20.000 Il volume fa parte della collana “Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici” (n.23), e in particolare l’occasione di questa memoria fu il Congresso sul Cinismo antico (Parigi, luglio 1991). Una messa a punto tra storiografia antica e moderna. Democrito e i cinici; i Cirenaici fra cinici e epicurei; Epicuro e il cinismo; Epicuro, Antistene e Diogene. Geister, Ralf Kants moralischer Gottesbeweis im protestantischen Positivismus Vandenhoeck & Ruprecht, nov. 1992 pp.279, DM 68 Georg-Lauer, J. (a cura di) Postmoderne und Politik Ed. Diskord, novembre 1992 pp.200, DM 28 Gillett, Grant Representation, meaning and thought Clarendon Press, novembre 1992 pp.232, £ 25 Gerhardt, V. - Herold, N. (a cura di) 74 Il libro esamina il rapporto fra pensiero e linguaggio considerando le idee di Kant e di Wittgenstein insieme a molte branche del dibattito contemporaneo nell’area del contenuto mentale. Gilson, Bernard La Révision bergsonienne de la philosophie de l’esprit Vrin, dicembre 1992 pp.216, F 135 Bergson imposta un nuovo dialogo fra la metafisica e la scienza, vedendo la sostanza unica di Spinoza come la prefigurazione statica dei sistemi postkantiani. Gipper, Helmut Theorie und Praxis inhaltbezogener Sprachforschung. Aufsätze und Vorträge 1953-1990. Band 2: Sprache und Denken in sprachwissenschaftlicher und sprachphilosophischer Sicht Nodus-Publ., dic.-gennaio 1992-’93 pp.300, DM 69 Goldman, Laurence The culture of coincidence Clarendon Press, dicembre 1992 pp.440, £ 47,50 Il saggio esamina il terreno fra legge, linguistica e antropologia e fornisce un’etnografia sulla grammatica e la pragmatica dell’argomento, raramente indagato, dell’accidente. Goldschmidt, W. (a cura di) Zur Kritik der politischen Ökonomie. 125 Jahre Das Kapital Meiner, novembre 1992 pp.167, DM 30 Goller, Hans Emotionspsychologie und Leib-Seele-Problem Kohlhammer, novembre 1992 pp.324, DM 69 Goulin, Jean-Luc La Rationalité vivante: essai sur la pensée hégélienne Griffon d’argile, dicembre 1992 pp.160, $ 14,50 L’autore si sforza di rendere la fertilità dell’opera di Hegel, esplorando in particolare i concetti di ragione, soggetto, stato, spirito e libertà. Govinda, Lama Anangarika Die Dynamik des Geistes. Die psychologische Haltung der frühbuddistischen Philosophie Scherz, dicembre-gennaio 1992-’93 pp.280, DM 39,80 In questo libro il dotto lama buddista di lingua tedesca Anagarika Govinda espone in modo chiaro e comprensibile ai profani occidentali il sistema filosofico-psicologico, presentando alcune delle strutture di idee di tutto il pensiero buddista. Un’opera adatta a tutti coloro che vogliono capire il buddismo. Green, Ronald M. Kierkegaard and Kant. The hidden debt State Univ. of New York, NOVITA’ IN LIBRERIA dicembre-gennaio 1992-’93 pp.256, $ 17 L’ipotesi di lavoro è che l’interpretazione di Kiekegaard di Kant e in relazione a questi e alla filosofia kantiana sia molto più precisa e più positiva di quanto in genere si ritiene. Greisch, Jean (a cura di) De la nature: de la physique classique au souci écologique Beauchesne, novembre 1992 pp.376, F 150 Le trasformazioni attuali del dibattito sulla natura e gli approcci filosofici e scientifici dell’idea di natura messi a confronto. Grondin, Jean Hermeneutische Wahrheit? Zum Wahrheitsbegriff Hans-Georg Gadamers Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93 pp.210, DM 34 La grande opera di Gadamer Verità e metodo viene interpretata come una riorganizzazione biografica della differenza ontologica elaborata da Heidegger fra essere ed esistente. Gulick, Ernest - Van Lepore, Robert (a cura di) John Searle and his critics Blackwell Publishing, dicembre 1992 pp.420, £ 15,95 Partendo da un’analisi dell’importanza e dell’influenza delle due opere maggiori: “Speech Acts” e “Intentionality”, il presente libro vuole anche fornire una valutazione del suo impatto sulla filosofia del linguaggio, della mente, della spiegazione sociale e della referenza e intenzionalità. Hadot, Pierre La Citadelle intérieure: introduction aux Pensées de Marc Aurèle Fayard, dicembre 1992 pp.386, F 150 I Pensieri sono il libro di un uomo d’azione che cerca la serenità, in quanto condizione indispensabile all’efficacia. Per Marco Aurelio l’azione umana non ha valore profondo se non si inserisce nella prospettiva del tutto, dell’universo e della comunità degli uomini. Un’introduzione allo stoicismo antico. Hadot, Pierre Spiritual exercises and ancient philosophy Blackwell Publishing, dicembre 1992 pp.260, £ 12,95 Il volume presenta una storia degli esercizi spirituali da Socrate alle prima Cristianità, un resoconto del loro declino nella filosofia moderna e delle differenti concezioni della filosofia che hanno accompagnato la traiettoria e il destino della teoria e della prassi degli esercizi spirituali. Hagner, M. - Wahrig-Schmidt, B. (a cura di) Johannes Müller und die Philosophie Akademie, novembre 1992 pp.336, DM 98 Il problema della conoscenza divina, centrato su questioni di necessità e libertà, si trova al punto di intersezione di vecchie discussioni di logica, metafisica ed etica. Il saggio si concentra sulle idee in merito di Marsilio di Inghen (m.1396). Haslett, David Ethics and economic systems Clarendon Press, dicembre 1992 pp.224, £ 30 Confrontando i sistemi economici da un punto di vista filosofico, lo studio indaga le argomentazioni etiche dei differenti tipi di sistemi economici. L’autore considera vantaggi e svantaggi dei sistemi analizzati e discute i possibili compromessi accettabili. Holzhey, H. - Leyvraz, J.-P. (a cura di) Vernunftnähe, Vernunftferne. La raison, proche et lontaine Haupt, dic.-gennaio 1992-’93 pp.300, DM 76 Heidegger, Martin Le Concepts fondamentaux de la métaphysique: monde, finitude, solitude A cura di F.W. von Hermann Gallimard, dicembre 1992 pp.552, F 280 In questo corso tenuto fra il 1929 e il 1930 Heidegger sviluppa in modo esauriente due concetti comparsi fulmineamente nel 1927, quello di vita e di vivente in generale e, nel 1929, la nozione di tonalità fondamentale della noia. Honnefelder, L. (a cura di) Natur als Gegenstand der Wissenschaften Karl Alber, novembre 1992 pp.300, DM 78 Il libro si occupa principalmente della questione della natura come istanza orientata. Gli argomenti: la natura interpretata in chiave matematica; La natura come oggetto della tecnica; La natura negli uomini; L’importanza della natura per l’etica; La natura nella prospettiva teologica; Metafisica della natura. Heinzmann, Richard Philosophie des Mittelalters Kohlhammer, novembre 1992 pp.200, DM 28 Honnefelder, L. (a cura di) Sittliche Lebensform und praktische Vernunft Schöningh, novembre 1992 pp.223, DM 28 Heller, Agnes A philosophy of history in fragments Blackwell, novembre 1992 pp.304, £ 40 Il libro riflette sulle limitazioni della nostra comprensione di noi stessi e della nostra comprensione del mondo, sull’immaginazione postmoderna; ma al contempo mobilita energie filosofiche per contrastarle. Honnefelder, L. - Schüssler, W. (a cura di) Transzendenz. Zu einem Grundwort der klassischen Metaphysik Schöningh, dic.-gennaio 1992-’93 pp.317, DM 98 Howells, Christine (a cura di) The Cambridge companion to Sartre Cambridge UP, dic.-gennaio ’92-’93 pp.448, £ 13 Il saggio offre una visione dettagliata dell’opera di Sartre, che comprende i suoi scritti sull’ontologia, sulla fenomenologia, sulla psicologia, sull’etica e sull’estetica, ma anche le sue convinzioni sulla storia, sull’impegno e sul progresso. Hoche, Hans-U. Elemente einer Anatomie der Verpflichtung. Pragmatisch-wollenslogische Grundlegung einer Theorie des moralischen Argumentierens Karl Alber, novembre 1992 pp.390, DM 94 Questo metodo consente per la prima volta un esame dettagliato dell’infrastruttura del concetto di obbligo, la lettura delle proposizioni di obbligo morale come legame fra i principi di volontà soggettivi verificabili e le proposizioni di fatto e la dimostrazione che determinate versioni della “regola aurea” sono analiticamente vere. Hügli, A. - Lübcke, P. (a cura di) Philosophie in 20 Jahrhundert. Band 1: Existenzphilosophie, Phänomenologie, Hermeneutik und Kritische Theorie Rowohlt Vlg., dic-gennaio 92-93 DM 32,90 Al centro di questo primo volume si trovano gli sforzi dei filosofi francesi e tedeschi di porsi criticamente verso la metafisica tradizionale e l’immagine dell’uomo tramandataci, così da porre la filosofia su un nuovo fondamento. Hocholzer, Andreas Evasionen - Wege der Kunst. Kunst und Leben bei Wl. Solowjew und J. Beuys. Eine Studie zum erweiterten Kustbegriff in der Moderne Königshausen & Neumann, nov. 1992 pp.200, DM 39,80 Huisman, Denis - Malfray, Marie-Agnès (a cura di) Les Plus grands textes de la philosophie orientale Albin Michel, dicembre 1992 F 150 Un’antologia che mette alla portata delgrande pubblico un pensiero spesso enigmatico e talvolta mal conosciuto dal lettore occidentale. I testi, pre- Hoenen, Maarten J.F.M. Crossroads of late medieval thinking (1250-1400). Marsilius of Inghen on divine knowledge E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93 Dfl 120 75 sentati a seconda dell’origine geografica, sono preceduti da biografie dei pensatori e da una sintesi della loro dottrina. Hüllinghorst, Andreas Kants spekulatives Experiment Dinter, novembre 1992 pp.128, DM 29,80 Ide, Pascal L’Art de penser Médialogue, novembre 1992 pp.266, F 99 Una presentazione chiara e talvolta umoristica dei concetti fondamentali per ogni riflessione: definizione di un termine, dimostrazione, ragionamento, lettura o redazione di un testo. Corredato di esempi ed esercizi. Ignatow, Assen Anthropologische Geschichtsphilosophie. Für eine Philosophie der Geschichte in der Zeit der Postmoderne Academia, novembre 1992 pp.221, DM 58 Itzkoff, Seymour W. The road to equality Greenwood Press, dicembre 1992 pp.240, £ 19,95 - $ 24,95 Il presente trattato suggerisce una nuova strada per una società senza classi. Il dottor Itzkoff, basandosi sui fatti e non su fantasie o su un’ideologia, affronta uno dei principali problemi internazionali del XXI secolo, quello delle differenze e dell’inuguaglianza umana. Ivaldo, Marco Libertà e ragione. L’etica di Fichte Mursia, febbraio 1993 pp.344, L. 40.000 L’etica trascendentale di Fichte è un’etica razionale della libertà perché nella libertà - come principio e come atto - riconosce il fattore che apre e qualifica la realizzazione morale della ragione. La ragione si presenta perciò come un compito che è manifestato come legge morale, e che è ultimamente visualizzato nella “comunità completa degli esseri razionali”. Diviso in quattro parti, questo volume si propone una esposizione completa del significato di “etica” nel pensiero di Fichte. Jacob, André (a cura di) Encyclopédie philosophique universelle. 3: Les Oeuvres philosophiques: dictionnaire PUF, dicembre 1992 2 voll., pp.4656, F 4500 Dizionario ragionato delle opere fondamentali di tutti i tempi e di tutti i paesi. 1400 specialisti internazionali hanno recensito 9100 opere di 5400 autori in tutte le discipline, dalla metafisica alle scienze esatte. Jaeschke, W. (a cura di) Transzendentalphilosophie und Spekulation. Quellen. Der Streit um di Gestalt einer Ersten Philosophie NOVITA’ IN LIBRERIA (1799-1807) Felix Meiner, ottobre 1992 pp.436, DM 136 Il volume si articola in quattro gruppi tematici: Realismo contro idealismo trascendentale, idealismo trascendentale contro idealismo trascendentale e assoluto, realismo contro idealismo trascendentale e assoluto, scetticismo contro idealismo assoluto. Jenkis, Helmut W. Sozialutopien - barbarische Glücksverheißungen? Zur Geistesgeschichte der Idee von der vollkommenen Gesellschaft Duncker & Humblot dicembre-gennaio 1992-’93 pp.535, DM 198 Jesi, Furio Cultura di destra Garzanti, Milano gennaio 1993 pp.176, L. 22.000 Sacrificio, Razza, Patria, Prova d’Amore, Mistero: la tradizione della destra - che in Europa riemerge periodicamente e con effetti a volte devastanti - ha sempre amato le maiuscole. Jesi ne ha frugato le matrici, snidando testi inediti o smarriti tra pagine che pochi leggono fino a svelare in maniera divertita, minuziosa e inquietante il rapporto tra il mito e l’ideologia. Kann, Christoph Die Eigenschaften der Termini. Eine Untersuchung zur Perutilis logica Alberts von Sachsen Brill, dic.-gennaio 1992-’93 pp.100, Dfl 85 Kasulis, Th. P. (a cura di) Self as body in Asian theory and practice State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.352, $ 20 Gli autori riescono tramite le tradizioni asiatiche a gettare nuova luce su alcune delle tradizionali questione anima-corpo discusse in occidente. Kaufmann, Felix Wiener Lieder zu Philosophie und Ökonomie A cura di G. von Haberler et al. G. Fischer, dic.-gennaio 1992-’93 pp.32, DM 38 I Wiener Lieder zu Philosophie un Ökonomie, qui pubblicati per la prima volta nella loro completezza, nascono dal 1922 al 1934. Uno sguardo ironico delle posizioni filosofiche fenomenologiche, sulla cavillosità dei metodologi e sulle lezioni economiche della scuola di Vienna. Kaulbach, Ernest N. Imaginative prophecy in the B-text if Piers Plowman D. S. Brewer, dicembre 1992 pp.192, £ 29,50 - $ 59 Un’esplorazione della teoria psicologica araba (soprattutto avicenniana) che sta dietro il “Piers Plowman”, che mette in luce i rapporti fra attanti e altre figure apparentemente non psi- cologiche. Il libro descrive anche i contesti in cui la psicologia araba raggiunse un poeta inglese del XIV secolo. persona e non è nessuno, nient’altro che un accumulo prodigioso di forze che esplodono. Koslowski, Peter Politik und Ökonomie bei Aristoteles J.C.B. Mohr, novembre 1992 pp.100, DM 69 Koslowski ci mostra quale peso attribuisce Aristotele all’economia politica e e al fondamento dell’etica economica da un punto di vista sistematico e storico. Kennedy, Rodney The creative power of metaphor: A rhetorical homiletics UP of America, dicembre 1992 pp.142, £ 12,95 $ 16,50 Il libro analizza il rapporto simbiotico fra retorica e omiletica proponendo un’interfaccia metaforica fra le due discipline. La ricerca contemporanea sulla metafora in filosofia, la retorica, la sociologia e la teologia vengono impiegate per produrre un’omiletica retorica/metaforica. Kosso, Peter An introduction to the philosophy of science. Reading the book of nature Cambridge UP, novembre 1992 pp.224, £ 8 Uno sguardo introduttivo alla filosofia della scienza adatto a principianti e non specialisti. Il suo punto di partenza è la domanda: perché dovremmo credere a quanto la scienza ci dice sul mondo? Kenny, Anthony Aquinas on mind Routledge, dicembre 1992 pp.192, £ 30 Nel libro vengono discusse parti della teoria dell’Aquinate che continuano ad avere valore. Il volume si concentra su un’attenta lettura delle sezioni della “Summa Theologiae” dedicate all’intelletto e alla volontà umana e al rapporto fra anima e corpo. Krewani, Wolfgang N. Emmanuel Lévinas. Denker des Anderen Karl Alber, novembre 1992 pp.270, DM 38 Lo scopo centrale e lo sviluppo del pensiero di Lévinas vengono esposti sul filo conduttore dei concetti centrali di tempo, altro e soggetto. Klein, Izchak Liberté dialectique P. Lang, novembre 1992 pp.126, F 28 Per esistere e avere un senso, la libertà deve innanzitutto realizzarsi. Non si potrebbe concepire questa libertà che dopo la sua realizzazione e in rapporto a questa. I. Klein propone una concezione dialettica della libertà che è un processo i cui tre momenti sono la libertà negativa, la realtà e la coscienza della libertà. Kristeller, Paul Oskar Wiener, Philip P. (a cura di) Renaissance essays: I Univ. of Rochester Press, dicembre 1992 pp.384, £ 14,95 - $ 29 Selezione di 15 saggi dal “Journal of the History of Ideas”, che tratta di un’ampia parte della storia intellettuale del Rinascimento. Vengono discussi fra gli altri argomenti del pensiero sociale, morale e religioso, umanesimo, filosofia e scienze, letteratura, arti visive e musica. Kniebe, G. (a cura di) Was ist Zeit? Wesen und Erscheinungsformen Freies Geistesleben, novembre 1992 pp.340, DM 58 Knigge, Adolph von Hébert, Brigitte (a cura di) Du commerce avec les hommes ou l’Art de vivre en société Press. Univ. Mirail-Toulouse novembre 1992 pp.170, F 150 Pubblicato nel 1788, questo saggio che dà un’immagine molto vivace della vita quotidiana in Germania alla fine del XVIII secolo interesserà i germanisti e gli specialisti del secolo dei lumi. Kuhlmann, Wolfgang Sprachphilosophie, Hermeneutik, Ethik. Studien zur Transzendentalpragmatik Königshausen & Neumann dicembre-gennaio 1992-’93 pp.220, DM 48 La pragmatica trascendentale è visibile nonostante le fondamentali trasformazioni dei concetti sistematici nella tradizione della filosofia trascendentale kantiana. Concentrandosi su alcuni dei punti attualmente forti del dibattito filosofico Kuhlmann riesce a presentare in modo chiaro e comprensibile i nuovi approcci sistematici alla pragmatica trascendentale. Knoppe, Thomas Die theoretische Philosophie Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen transzendentaler Wissenschaftsund Kulturtheorie Felix Meiner Verlag, Hamburg 1992 Kühn, Rolf Sinn - Sein - Sollen. Beiträge zu einer Phänomenologischen Existenzanalyse in Auseinandersetzung mit dem Denken Voktor E. Frankls Junghans, novembre 1992 pp.222, DM 35 Kofman, Sarah Explosion 1: De Ecce Homo de Nietzsche Galilée, novembre 1992 pp.200, F 210 Ecce Homo è il testo più spersonalizzato che ci sia: un’autobiografia personale il cui eroe ha in sé più d’una 76 Lang, Helen S. Nature in Aristotle’s “Physics” and its medieval varieties State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.224, $ 15 La prima parte espone le idee aristoteliche e la seconda l’interpretazione di queste idee da parte di Filopono, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Giovanni Buridano e Duns Scoto. Laurent, Jérôme Les Fondements de la nature selon Plotin: procession et partecipation Vrin, dicembre 1992 pp.253, F 189 Per Plotino, tutte le forme di vita procedono dall’attività spirituale resa possibile dall’ineffabile perfezione dell’Uno. Ma allora come spiegare la cattiveria e la corruzione? Come pensare lo statuto del corpo, spesso presentato dalla tradizione platonica come una prigione dell’anima? Lee, Jin-Woo Politische Philosophie des Nihilismus. Nietzsches Neubestimmung des Verhältnisses von Politik und Metaphysik de Gruyter, novembre 1992 pp.441, DM 216 Fondamenti di una filosofia politica per la società d’oggi priva di principi. Dall’analisi critico temporale di Nietzsche del nichilismo viene elaborata una filosofia della politica. Lehmann, Roswitha Ethik ohne Geländer. Moralisches Sollen im Kontext von Prozeßoffenheit. Eine überschreitung des normenorientierten Denkmusters unter Einbeziehung von Buber und Kohlberg sowie einem Rückgriff auf Nietzsche und Kant Die Blaue Eule, novembre 1992 pp.355, DM 78 Lenk, H. - Vollmer, G. Hastedt, H. - Riedl, R. Fenk, A. - Heisenberg, M. Flohr, H. - Mainzer, Kl. Forum für Interdisziplinäre Forschung 1992/1. Thema:Vernunft als mentaler Prozeß Verlag J.H. Röll dicembre-gennaio 1992-’93 pp.72, DM 12,50 I saggi interdisciplinari discutono la questione dei rapporti empirici all’interno della ragione e cercano di proporre una nuova via di uscita al di là del materialismo e dell’idealismo. Liebsch, Burkhard Spuren einer anderen Natur. Piaget, Merleau-Ponty und die ontogenetischen Prozesse W. Fink, novembre 1992 pp.430, DM 98 La concezione di Piaget e di MerleauPonty nel saggio di Liebsch vengono contestualizzate in modo tale che la questione viene posta dal punto di NOVITA’ IN LIBRERIA vista dello sviluppo in modo completamente nuovo e insolito. L’autore, rilavato in acque filosofiche, storicoscientifiche e psicologiche, ci conduce così sulle “tracce di un’altra natura”. Loewer, Barry - Rey, George (a cura di) Meaning in mind: Fodor and his critics Blackwell Publishing, dicembre 1992 pp.384, £ 15,95 Il volume contiene 14 contributi di filosofi ed esperti della conoscenza critici nei confronti della teoria computazionale di Fodor della causa intenzionale, centrale per l’emergere delle scienze cognitive. I saggi sono seguiti da risposte di Fodor a ognuno di essi. Loewith, Karl My life in Germany before and after 1933. A report The Athlone, dic.-gennaio 1992-’93 pp.192, £ 40 L’autobiografia di un filosofo focalizzata sugli anni 1914-’39, periodo che vede la nascita della Germania di Hitler. Il libro tratta della gioventù di Lowith in Germania, della sua emigrazione in Italia e quindi in Giappone e del suo incontro con Martin Heidegger. Lombardi, Paolo La Bibbia contesa. Tra umanesimo e razionalismo La Nuova Italia, Firenze 1992 L. 35.000 A cavallo tra Quattrocento e Seicento, la Bibbia fu al centro di tutte le grandi dispute intellettuali, dall’umanistica riforma della ratio studiorum, alla battaglia combattuta da Galileo a sostegno di una nuova scienza della natura. Ripercorrendo le tappe dello sviluppo del dibattito sulla Scrittura, questo libro cerca di mettere in luce la straordinaria densità teorica di quelle discussioni sul testo biblico. Löther, Rolf Der unvollkommene Mensch. Philosophische Anthropologie und biologische Evolutionstheorie Dietz Vlg. Berlin dicembre-gennaio 1992-’93 pp.330, DM 42 Löwith, Karl Heidegger - Denker in dürftiger Zeit Prefazione di B. Lutz J.B. Metzler, novembre 1992 pp.160, DM 32 Maffesoli, Michel Nel vuoto delle apparenze Verso un’etica dell’esistenza Garzanti, Milano febbraio 1993 pp.320, L. 38.000 Il volume prende le mosse da un interrogativo centrale nel dibattito odierno: che senso dare alla nostra esperienza nell’attuale epoca “postmoderna”? L’unica eredità che ci ha lasciato la caduta delle grandi ideologie sembra essere un pulviscolare sog- gettivismo e l’unica forza trainante della vita sociale sembra essere l’edonismo della quotidianità. Per dare una coerenza ed una finalità a questo quadro, Maffesoli propone un’etica fondata sulla rivalutazione della sensibilità rispetto alla razionalità e sulla necessità che ciascuna azione sia in sé compiuta e quindi esteticamente accettabile. ricerca e sulle pubblicazioni di scienziati e istituzioni in ambiti di lingua tedesca, soprattutto nel campo della filosofia, ma anche in quello della teologia, della medicina, della tecnica, delle scienze naturali, dell’ambiente e dell’economia. Modica, Giuseppe Fede, libertà, peccato Palumbo,ottobre 1992 pp. 166 Il libro ripercorre uno dei nodi più difficili, paradossali, del pensiero di Kierkegaard, il rapporto tra fede, libertà e peccato, traendone le implicazioni relative alle questioni poste dalla teodicea. Mangione, Corrado Bozzi, Silvio Storia della logica Garzanti, Milano gennaio 1993 pp. 976, L. 90.000 Dall’Ottocento a oggi, la logica formale è stata protagonista di un’evoluzione di straordinaria ricchezza e complessità. Ponendosi alla confluenza tra filosofia e matematica, informatica e linguistica, ha indubbiamente condizionato il loro sviluppo; d’altro canto queste diverse discipline hanno spesso cercato nella logica una adeguata formalizzazione, arricchendola con le loro problematiche. L’ampia panoramica del volume offre una puntuale introduzione storica alla logica formale. Moneti Codignola, Maria Il paese che non c’è e i suoi abitanti La Nuova Italia, 1992 L 45.000 Una disamina del significato e della funzione delle utopie nell’antichità (lo stato educatore in Platone) e soprattutto nell’era moderna (da More agli illuministi), fino alle soglie dell’età contemporanea (Fourier). Marie, Jean-Paul (a cura di) Le Pessimisme Presses univ. de Nancy, nov. 1992 F 180 Il pessimismo rivendica l’etichetta esclusiva di lucidità, la coscienza precisa dell’assurdità dell’esistenza. Da Schopenhauer a Nietzsche, orgogliosi e disperati, il pessimismo ha invaso a poco a poco la filosofia e la letteratura. Dall’antichità ai giorni nostri, si trova al centro di creazione e distruzione. Mooney, Michael Vico e la tradizione della retorica Il Mulino, luglio 1992 pp.362 Il libro mette in luce l’atteggiamento classico che Vico ha nei confronti della retorica come discorso sociale, comunicazione e strumento di cambiamento della società. In questo si mostra come geniale precursore dello storicismo che va da Hegel a Croce. Morali, Claude Le Juste ton de la vie Laboratoires Delagrange: Synthélabo, dicembre 1992 pp.350, F 94 Il clima della vita, il clima dell’essere, descritto in primo luogo da ciò che vive, e poi da temi ed esperienze in letteratura e in filosofia, conduce forse all’”onto-biografia” di un Dio vivente, di una vita divina, o a una meteorologia trascendentale? Marsonet, Michele Logica e linguaggio Pantograf, gennaio 1993 Vol. II, pp. 142 Il libro si propone come parte propedeutica di una più ampia trattazione della questione, posta programmativamente da Quine, di una fondazione rigorosa logico-formale dell’ontologia. May, Keith M. Nietzsche on the struggle between knowledge and wisdom Macmillan Press, dicembre 1992 pp.192, £ 35 Il volume prende in considerazione il significato e le implicazioni della convinzione di Nietzsche nel rapporto della filosofia fino al tempo di Aristotele e il suo influsso sui moderni atteggiamenti (prevalentemente nichilisti), per i quali esso costituisce una sorta di antidoto. Dello stesso autore di “Aldous Huxley” e di “Nietzsche and the Spirit of Tragedy”. Moravcsik, Julius Plato and Platonism. Plato’s conception of appearance and reality in ontology, epistemology and ethics and its modern echoes Blackwell, dic.-gennaio 1992-’93 pp.352, £ 40 Morewedge, P. (a cura di) Neoplatonism and islamic thought State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.267, $ 17 Il libro esplora attraverso il loro neoplatonismo le filosofie di quattro culture: Nordafrica, Spagna moresca, Grecia e Islam. Meggle, G. - Rippe, Kl.P. Wessels, U. (a cura di) Almanach der Praktischen Ethik. Forscher. Institutionen. Themen. Eine Bestandsaufnahme Westdt. Vlg., novembre 1992 pp.326, DM 56 Il libro informa sui punti cruciali del lavoro pratico-etico, sulle sue linee di Morin, Edgar Introduzione al pensiero complesso Sperling & Kupfer, febbraio 1993 pp.128, L. 26.500 ”Complessità” è una parola-problema e non una parola-soluzione. Essa 77 esprime il nostro disagio, la nostra confusione, la nostra incapacità di definire in modo semplice e di fare chiarezza nelle nostre idee. Se la complessità è la sfida da affrontare, il pensiero complesso è lo strumento che aiuta a raccoglierla e spesso addirittura a vincerla. Morris, Michael The good and the true Clarendon, dic.-gennaio 1992-’93 pp.352, £ 37,50 Il libro mette a confronto la concezione scientifica della natura della realtà e suggerisce che per noi il concetto di possesso, fede e verità hanno senso solo all’interno di una prospettiva in cui i valori in generale contino e in particolare il bene morale, in quanto parte del mondo. Müller, Denis Les Lieux de l’action: éthique et religion dans une société pluraliste Labor et Fides, novembre 1992 pp.200, F 129 Il libro affronta problemi contemporanei, quali l’AIDS, il segreto medico e i diritti dei malati. Un’ultima parte dedicata all’Europa pone i fondamenti per un’etica europea. Mura, Alberto La sfida scettica. Saggio sul problema logico dell’induzione ETS Editrice, ottobre 1992 pp.200 Il libro discute il problema logico dell’induzione da un punto di vista epistemologico (qual’è il ruolo dell’induzione nella conoscenza in generale e nella scienza in particolare?) e logico (che cos’è l’inferenza induttiva? Com’ è possibile inferire direttamente al di là delle premesse?). Il testo affronta queste questioni da un punto di vista probabilistico. Nadler, Steven M. Malebranche and Ideas Oxford UP, dicembre 1992 pp.192, £ 30 Questo trattato prende in considerazione il ruolo di Malebranche come seguace di Descartes e descrive il modo in cui questi rimase uno strenuo difensore della posizione cartesiana, pur modificandone al contempo la filosofia sotto diversi aspetti importanti. Nagl-Docekal, H. - Wimmer, F.M. (a cura di) Postkoloniales Philosophieren: Afrika Oldenbourg, novembre 1992 pp.255, DM 38 Negri, Antimo Giovanni Gentile Edizioni dell’Arcipelago gennaio 1992 pp. 95 Negt, Oskar - Kluge, Alexander Maßverhältnisse des Politischen. 15 Vorschläge zum Unterscheidungsvermögen NOVITA’ IN LIBRERIA S. Fischer Verlag dicembre-gennaio 1992-’93 Dietro il concetto di proporzionalità non c’è Aristotele, ma Hegel, che con il suo Punti nodali della proporzionalità aveva in mente in raccolta che condensasse gli avvenimenti e li mettesse in movimento. Il politico può anche lavorare senza produrre una “giusta misura”. In tal caso esso si costituisce però esclusivamente come campo di oggetto professionalizzato. La “materia prima” politica, interessi e sentimento, per Negt e Kluge riceve una trattazione efficace solo quando da questa risultano autodeterminazione, una comunità fondata sulla durata, possibilità di scelta e di espressione. Su questi quattro criteri viene misurata la politica. “Il politico” si cela in ogni rapporto vitale come “materia prima” o “elemento naturale”. A ciò si aggiunge sempre che il sentimento quotidiano del loro “grado di intensità” muta diventando politico. Ma per diventare autenticamente politici, questi sentimenti devono trovare un’espressione pubblica, così da portare a un’associazione di uomini e quindi affermarsi come durata. Nicolini, Fausto La giovinezza di Vico. Saggio biografico Il Mulino, luglio 1992 pp.198 Nietzsche, Friedrich Le Service divine des Grecs: Antiquités du culte religieux des Grecs, cours de trois heures hebdomadaires, hiver 1875-76 A cura di E. Cattin Herne, novembre 1992 pp.213, F 140 Affrontando ancora una volta i greci su un terreno (il culto) vicino alle questioni che quattro anni prima avevano ispirato la Nascita della tragedia, Nietzsche inventa e mette alla prova i concetti e il metodo di Umano, troppo umano. La presente traduzione di un testo introvabile in tedesco dagli anni ’20 rischiara un importante momento nella costituzione del pensiero nietzscheano. Nietzsche, Friedrich Considérations inactuelles III et IV A cura di G. Colli Montinari Mazzino ed., nov. 1992 pp.204, F 29,50 Testi su Schopenhauer e Wagner. Ockham, Guglielmo Logica dei termini a cura di Paola Müller Rusconi, ottobre 1992 pp. 343 Opilik, Klaus Transzendenz und Vereinzelung. Zur Fragwürdigkeit des transzendentalen Ansatzes im Umkreis von Heideggers Sein und Zeit Karl Alber, novembre 1992 pp.230, DM 70 La fondamentale esperienza del riti- ro, nel periodo di Essere e tempo ancora interpretabile come rapporto di tensione fra trascendenza e isolamento, porta alla fine Heidegger alla necessità di un cambiamento del concetto di filosofia. Qui si propone una prospettiva ricca di sviluppi per il pensiero heideggeriano successivo. Pascal, Blaise Discours sur la religion et sur quelques autres sujets qui ont été trouvés après sa mort parmi ses papiers A cura di E. Martineau Fayard, novembre 1992 F 280 Nel corso dell’estate 1660, Pascal ripartì in ventisette rubriche circa quattrocento frammenti autografi di quella che sarebbe diventata l’”Apologia della religione cristiana”. _ questa classificazione in “fascicoli” che è stata usata in questa edizione di un’opera tradizionalmente pubblicata con il titolo di Pensieri State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.178, $ 13 scenza e la parte dell’uomo, le convenzioni del suo linguaggio, dei suoi ragionamenti e delle sue intuizioni. Pettit, Philip The common mind: An essay on psychology, society and politics Oxford UP Inc USA dicembre 1992 pp.256, £ 27,50 Il presente trattato sostiene un modo originale di separare gli esseri senzienti, in particolare gli umani, da altri sistemi intenzionali, sia naturali che artificiali, appoggiando un’immagine dell’individualismo olistico e delineando una nuova cornice per una teoria sociale e politica. Poirié, François Emmanuel Levinas Manufacture, novembre 1992 pp.157, F 82 Al crocevia di ambiti dello spirito assai diversi fra loro: la religione giudaica, la letteratura russa, la fenomenologia tedesca, la filosofia e la critica contemporanee, E. Levinas è riuscito a formulare una filosofia decisamente nuova. Pierobon, Franck Système et représentation dans la déduction transcendentale de la Critique de la raison pure J. Millon, dicembre 1992 pp.416, F 198 Non c’è niente di più incomprensibile di risposte di cui non si capisce a quale domanda si riferiscano. La Critica della ragion pura ha così anticipato alcune questioni, suscitando malgrado il suo autore, alcuni malintesi altrettanto fecondi, in senso filosofico, del movimento vero e proprio che la orienta. Pellerey, Roberto Le Lingue perfette nel secolo dell’utopia Laterza, settembre 1992 pp.304 Un’analisi delle teorie linguistiche nel secolo dell’illuminismo. Pénisson, Pierre J.G. Herder: la raison dans les peuples Cerf, dicembre 1992 pp.350, F 180 Tutta l’opera di Herder (1744-1803) consiste nel raccogliere “la voce del popolo, dell’umanità sparsa”. Raffrontando incessantemente epoche e lingue le une alle altre, Herder, del quale ci si è spesso serviti per rivendicare il particolarismo contro l’universale, sviluppa in realtà una “filosofia della traduzione”, dice P. Pénisson. Platon Le Politique; Philèbe; Timée A cura di A. Diès e A. Rivaud Gallimard, dicembre 1992 pp.280, F 89 Raggruppa testi che la tradizione ha sempre associato, che vertono sull’origine dell’universo, dell’uomo e della città. Platone Parménide; Théétète; Le Sophiste Trad. di Auguste Diès Gallimard, novembre 1992 pp.238, F 80 In questi tre dialoghi Platone affronta i problemi fondamentali della conoscenza, dell’essere e della verità. Perler, Dominik Der propositionale Wahrheitsbegriff im 14. Jahrhundert de Gruyter, novembre 1992 pp.387, DM 188 Aspetti semantici, di teoria della conoscenza e ontologici delle teoria della verità del tardo medio evo. Plumpe, Gerhard Ästhetische Kommunikation der Moderne. Band 1: Von Kant bis Hegel Westdeutscher, dic.-gennaio ’92-’93 pp.320, DM 59 Questa ricostruzione si svolge nella prospettiva di una teoria della “comunicazione estetica” che osserva e riflette lo sviluppo dell’arte a partire dalla sua differenziazione nel XVIII secolo. Da questo approccio di tipo sistematico-teoretico emerge una nuova periodizzazione della storia dell’estetica. Perrella, Ettore Il tempo etico Edizioni Biblioteca dell’Immagine ottobre 1992 pp.670 Il libro si pone l’ambizioso progetto di costruire una “scienza nuova” che, al di là del pregiudizio “decadente” posto dalla psicanalisi classica, secondo cui soggettivo è sinonimo di patologico, costruisca una teoria complessiva della soggettività conoscitiva ed etica, fondandosi sul principio trascendentale del cogito e sui presupposti della teoria kantiana della temporalità. Poincaré, Henry La Science et l’hypothèse: essai de philosophie des sciences Ed. de la Bohème, dicembre 1992 pp.316, F 88 L’autore si interroga sui rapporti fra la scienza, la perfezione della cono- Peterman, James Philosophy as therapy. An interpretation and defense of Wittgenstein’s later philosophical project 78 Poli, Roberto Ontologia formale Marietti, luglio 1992 pp. 542 Il libro prende in esame la complementarietà teoretica di filosofia analitica e fenomenologia attraverso lo studio degli aspetti della tematica ontologica comuni alle due posizioni. Poppi, Antonio Cremonini e Galilei inquisiti a Padova nel 1604. Nuovi documenti d’archivio Editrice Antenore, ottobre 1992 pp. 106 Possenti, Vittorio Oltre l’illuminismo. Il messaggio sociale del Cristianesimo Edizioni Paoline, 1992 pp. 270 Con la crisi dell’illuminismo ed il crollo del comunismo la dottrina sociale della Chiesa viene ad assumere un ruolo centrale per chiarire i temi principali della sfera pubblica, dall’economia ai diritti dell’uomo, dalla democrazia alla nuova Europa. Il volume si chiude con un’intervista concessa sui temi della dottrina sociale della Chiesa dall’allora cardinale Karol Wojtyla nel 1978. Poulain, Jacques (a cura di) Rue Descartes, nº5-6; De la vérité: pragmatisme, historicisme et relativisme Albin Michel, dicembre 1992 F 150 Riducendo la verità teorica a una convinzione di ordine pratico, abituandosi a inchinarsi davanti alle istanze del consenso come lo scientifico fa davanti al mondo visibile, non si arriva forse a neutralizzare ogni giudizio critico? Rescher, Nicholas A system of pragmatic idealism. Volume II: The validity of values. A normative theory of evaluative rationality Princeton UP, dic.-gennaio 92-93 pp.296, $ 44 Secondo dei tre volumi Un sistema dell’idealismo pragmatico, una collana che riassume l’opera di tutta una vita del filosofo Nicholas Rescher. Ricoeur, P. - Chrétien, J.-L. Marion, J.-L. - Henry, M. Phénoménologie et théologie Critérion, dicembre 1992 NOVITA’ IN LIBRERIA F 99 Si tratta di quattro interventi che hanno concluso i lavori del seminario del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche nel corso dei due anni accademici 1990-91 e 1991-92. L’argomento di questo seminario era, più precisamente, “fenomenologia ed ermeneutica della religione”. Ricoeur, Paul Lectures 2: La Contrée des philosophes Seuil, dicembre 1992 pp.497, F 170 Viaggio attraverso diverse “contrade” dell’universo filosofico contemporaneo: figure dell’esistenzialismo (da Kierkegaard a Camus) al cui cospetto P. Ricoeur manifesta la sua distanza o la sua prossimità; confronto con autori che hanno esercitato una profonda influenza sulla sua opera (E. Mounier, J. Wahl, G. Marcel); discussione con i rappresentanti della corrente strutturalista... Nelle concordanze sull’opera di Kant (voll.I-IX nell’edizione dell’Accademia prussiana delle scienze) per la prima volta tutti i più importanti concetti dell’opera kantiana vengono inclusi in un’applicazione delle moderne tecnologie dei computer. Roth, Robert J. British empiricism and american pragmatism: New directions and neglected arguments Fordham UP, dicembre 1992 pp.200, £ 15,95 - $ 19,95 Il libro vuole contribuire alla rinascita dell’interesse per il pragmatismo americano e i suoi propositori, William James, C. S. Peirce e John Dewey, concentrandosi sulle influenze dell’empirismo britannico, in particolar modo sulle filosofie di Locke e di Hume, e sulle forti differenze fra le due tradizioni. Rigal, Elisabeth (a cura di) La Notion d’analyse Presses univ. du Mirail-Toulouse novembre 1992 pp.400, F 180 La nozione di analisi in filosofia, in psicoanalisi o anche a partire da prospettive trasversali. Con testi di J. Deridda, J. Toussaint-Dessanti e Gérard Granel. Rothschild, Kurt W. Ethics and economic theory: Ideas, models and dilemmas Edward Elgar, dicembre 1992 pp.176, £ 35 Una valutazione critica dei rapporti fra teoria economica, oggettività scientifica ed etica che si serve di esempi tratti dalla vita reale e propone una nuova prospettiva sulle dimensioni etiche dell’analisi economica. Rivelaygue, Jacques Leçons de métaphysique allemand 2: Kant, Heidegger, Habermas Grasset, novembre 1992 pp.504, F 165 Il corso di Rivelaygue consente di leggere o di rileggere Kant cogliendone il senso e la sua vera portata, mostrandoci anche tutto ciò che separa quel grande critico del mondo moderno che fu Heidegger da coloro che, come Habermas, intendono restare fedeli al progetto della modernità. Ryle, Gilbert Gilbert Ryle and the philosophy of mind A cura di Rene Meyer Blackwell Publishing, dicembre 1992 pp.256, £ 40 Raccolta di scritti di Gilbert Ryle, professore di filosofia a Oxford dal 1945 al 1967. Il libro comprende anche due omaggi a Ryle: uno di John Mabbot, amico intimo di Ryle, sull’uomo; l’altro di David Gallop, ex studente di Ryle, sul filosofo. Rizzi, Lino Eticità e stato in Hegel Mursia, Milano febbraio 1993 pp.368, L. 40.000 La teoria hegeliana dell’Eticità appare un grande sforzo di comprendere come le sfere dell’economia, del diritto e della politica costituiscano sistemi tra loro distinti solo operativamente, ma come eticamente siano funzioni dirette alla realizzazione degli individui. Che lo stato sia etico, detta le condizioni di principio per l’autorealizzazione dei suoi membri. Sachs-Hombach, Klaus Philosophische Psychologie im 19. Jahrhundert. Entstehung und Problemgeschichte Karl Alber, dic.-gennaio 1992-’93 pp.380, DM 94 Il problema della conoscenza unisce i fondamenti della validità del sapere alla questione delle origini della conoscenza. La filosofia è tradizionalmente il primo campo trattato, mentre il secondo si rivolge alla psicologia empirica. La “psicologia filosofica” compie un tentativo di mediazione: si interroga sulle dipendenze reciproche di validità e genesi. Röd, Wolfgang (a cura di) Geschichte der Philosophie. Band 2: Die Philosophie der Antike Teil 2: Sophistik und Sokratik Plato und Aristoteles Beck, novembre 1992 pp.390, DM 48 Roser, A. - Mohrs, Th. Börncke, Frank R. (a cura di) Kant-Konkordanz Olms, dic.-gennaio 1992-’93 10 voll., pp.7000, DM 198 (1 vol.) Scienza aristotelica e scienza moderna Armando Editore, settembre 1992 pp. 240 Il libro analizza alcuni aspetti epistemologici rilevanti della scienza della natura aristotelica e la concezione kantiana della scienza della natura allo scopo di valutare il passaggio dalla scienza aristotelica a quella moderna. Schaefer, Alfred Die Idee in Person. Hobbes’ Leviathan in seiner und unserer Zeit Berlin-Vlg. Spitz, novembre 1992 pp.158, DM 25 Schalow, Frank The renewal of the Heidegger-Kant dialogue. Action- thought and responsibility State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.416, $ 20 Il saggio fornisce una visione completa di tutto il corpus heideggeriano ed è costruito attorno a un tema centrale, su cui si sofferma brevemente. L’autore rintraccia l’inizio del dialogo continuo di Heidegger con Kant non dalla sua prima apparizione, ma dal suo fertile terreno. Schlosser, Gerhard Einheit der Welt und Einheitswissenschaft. Grundlegung einer Allgemeinen Systemtheorie Vieweg, dic.-gennaio 1992-’93 pp.250, DM 85 Come si può sostenere il calcolo dell’unità del mondo quando una molteplicità di discipline si accostano l’una all’altra senza alcun rapporto? Nella seconda parte si cerca di rispondere a questa domanda con il fondamento di una teoria del sistema generale. Schnädelbach, Herbert Vorträge und Abhandlungen. Band 2: Zur Rehabilitation des animal rationale Suhrkamp, novembre 1992 pp.454, DM 28 Schoeck, R. J. Erasmus of Europe: The making of a humanist Edinburgh UP, dicembre 1992 pp.432, £ 16,95 Una biografia dell’umanista rinascimentale Erasmo da Rotterdam. Un resoconto dei viaggi del filosofo a Parigi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Svizzera, con uno sguardo alla storia delle idee in cui Erasmo svolse un ruolo. Salamun, K. (a cura di) Was ist Philosophie? Neuere Texte zu ihren Selbstverständnis J.C.B. Mohr, novembre 1992 pp.365, DM 24,80 Una scelta di testi nella quale noti filosofi del XX secolo espongono le proprie idee sui compiti e gli scopi della filosofia. Schönherr-Mann, Hans-Martin Politik der Technik. Heidegger und die Frage der Gerechtigkeit Passagen-Vlg., novembre 1992 pp.120, DM 26 Schröder, Jürgen Das Computermodell des Geistes in der analytischen Philosophie und in der kognitiven Psychologie Sanguineti, Juan José 79 des Sprachverstehens Königsh. & Neumann, novembre 1992 pp.232, DM 48 Schule, J. - Sundholm, G. (a cura di) Criss-crossing a philosophical landscape. Essays on wittgensteinian themes. Dedicated to Brian McGuiness Edit. Rodopi, dic.-gennaio ’92-’93 pp.264, Dfl 80 Schulz, Gudrun Veritas est adaequatio intellectus et rei. Untersuchungen zur Wahrheitslehre des Thomas von Aquin und zur Kritik Kants an einer überlieferten Wahrheitsbegriff E.J. Brill, dic.-gennaio 1992-’93 Dfl 120 Schuppan, M.-S. (a cura di) Möglichkeiten menschlichen Seins. Festschrift für Walter Heistermann zum 80. Geburtstag Schäuble, dic.-gennaio 1992-’93 pp.230, DM 128 Schweppenhäuser, Hermann Ein Physiognom der Dinge. Aspekte des Benjaminschen Denkens zu Klampen, novembre 1992 pp.172, DM 28 Per il 100º anniversario della nascita di Walter Benjamin Schweppenhäuser, curatore delle opere complete di Benjamin, presenta una prima parte dei saggi su Benjamin. Scrivano, Fabrizio Le parole degli occhi. Conoscenza linguistica e visiva nel Rinascimento Pacini, dicembre 1992 pp. 135, L. 18.000 Il libro indaga il suggestivo rapporto tra parole e immagini, sistema linguistico e sistema visivo così come emerge dalle variegate manifestazioni culturali del Rinascimento mettendone in evidenza problematiche e peculiarità. Seebass, Gottfried Wollen Klostermann, novembre 1992 pp.320, DM 84 Il libro costituisce la prima parte di un più ampio progetto di ricerca filosofica sul concetto di responsabilità giuridica, concepita in modo metaetico, così che fornisca un’unità di misura di giudizio per determinate rappresentazioni di “responsabilità” morale o giuridica. Seifert, J. (a cura di) Danken und Dankbarkeit. Eine universale Dimension des Menschenseins C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93 pp.235, DM 80 Sènéque le Père Sentences, divisions et couleurs des orateurs et des rhéteurs A cura di H. Bornecque Aubier, novembre 1992 NOVITA’ IN LIBRERIA pp.560, F 180 Un’opera che testimonia dell’arte della declamazione a Roma (base dell’apprendimento del mestiere politico), in due parti: da un lato delle controversie (cause fittizie sostenute in base a testi di legge fittizi), dall’altro le suasorie (esercizi che consistevano nel persuadere un personaggio fittizio). Sharma, A. (a cura di) God, truth and reality. Essays in honour of John Hick Macmillan, dic.-gennaio 1992-’93 pp.288, £ 40 Ultimamente tutte le arti e le scienze cercano una presa sulla realtà. Ciò che contraddistingue filosofia, teologia e religione da tutte loro è che queste si attaccano alla realtà ultima. Qui studiosi di tutto il mondo espongono in questo campo le loro più recenti riflessioni. Smolensky, Paul Il connessionismo tra simboli e neuroni Marietti, ottobre 1992 pp.280 Il saggio approfondisce il tema dei rapporti tra Intelligenza Artificiale e Connessionismo, un paradigma computazionale per lo studio della mente che si è imposto a partire dagli anni Ottanta e di cui il libro analizza i fondamenti teorici. Spierling, Volker Kleine Geschichte der Philosophie. 50 Portraits von der Antike bis zur Gegenwart Piper, dic.-gennaio 1992-’93 DM 18,90 Stalker, Douglas (a cura di) Grue! The new riddle of induction Open Court Publishing Company, dicembre 1992 pp.320, £ 19,95 Il volume contiene 14 saggi sul paradosso grue, sette dei quali precedentemente pubblicati e sette scritti appositamente per questo libro. L’opera include un’esposizione e una storia dettagliata, una bibliografia ragionata praticamente di tutta la letteratura sul problema. Stambaugh, Joan The finitude of being State Univ. of New York dicembre-gennaio 1992-’93 pp.192, $ 15 La finitezza è evidentemente un concetto centrale nel pensiero di Heidegger, ma il suo significato non è mai stato chiarito nel contesto della globalità della sua opera. Stambaugh affronta questo difficile tema con acume ed eleganza. Stevens, Bernard L’Apprenstissage des signes: lecture de Paul Ricoeur Etats-Unis Kluwer, dicembre 1992 pp.VIII/310, F 650 Una lettura esauriente dell’opera di Paul Ricoeur, fino a Soi-même com- me un autre (1990). Su questa lettura si articola un’interpretazione critica il cui asse di ricerca è lo statuto del soggetto. La concezione ricoeuriana del soggetto presuppone un’ontologia che si trova a uguale distanza dal positivismo logico e da un’ermeneutica di tipo heideggeriano. Stüber, Carsten Donald Davidson Theorie sprachlichen Verstehens Anton Hain, dic.-gennaio 1992-’93 pp.264, DM 78 Davidson è uno dei più influenti pensatori della tradizione della filosofia analitica degli ultimi vent’anni. Tale approccio è debitore a Davidson soprattutto per quanto riguarda la sua tesi che il problema filosofico del significato possa essere portato a una soluzione sistematica solo con l’aiuto della teoria della verità di Tarski. Kritik der Urteilskraft. Ein einführender Kommentar Schöningh, novembre 1992 pp.125, DM 17,80 Individuum versus Institution. Zwei Ansatzpunkte der Moral Campus-Vlg., dic.-gennaio ’92-’93 pp.102, DM 28 Teixidor, Javier Bardesane d’Edesse: la première philosophie syriaque Cerf, dicembre 1992 pp.158, F 150 Nato nel 154 a Edesse (crocevia di correnti culturali dove si incontreranno romani e parti), cristiano di lingua siriaca, poeta esperto della filosofia del suo tempo, Bardesane è una figura originale. La sua opera filosofica è pervenuta fino a noi solo attraverso i suoi discepoli e i suoi avversari, come sant’Efrem nel IV secolo. Vollmann, Fritz H. Verweigerte Wahrnehmung. Die frühe Prägung des Menschen, die Astrologie und die Abstinenz der Philosophie Lit, dicembre-gennaio 1992-’93 pp.100, DM 29,80 Tilliette, Xavier La settimana santa dei filosofi Morcelliana, novembre 1992 pp.156 Una riflessione in chiave cristologica sulle pagine di Hegel, Kierkegaard, Pascal, Rosmini,Pareyson, etc. Stucki, Pierre-André L’Existentialism chrétien a-t-il une logique? Cerf, dicembre 1992 pp.229, F 95 Un confronto dell’esistenzialismo cristiano, inaugurato da Kierkegaard, con la logica, ovvero l’arte di condurre bene le proprie ragioni nella conoscenza delle cose. Suhr, Martin Platon Campus, novembre 1992 pp.150, DM 17,80 Questa introduzione si propone come avviamento sistematico ai principi platonici. Al centro si trova il rapporto della teoria del bene con il paradigma techne platonico della conoscenza. Tagliacozzo, Giorgio The “arbor scientiae” reconceived: A modern vichian tree of knowledge and the history of Vico’s resurrection Humanities Press International dicembre 1992 pp.192, £ 31,95 - $39,95 Questo saggio sulla storia dell’insegnamento di Giambattista Vico e sulla sua opera dovrebbe interessare tutti coloro che lavorano sul pensiero di Giambattista Vico (1668-1744), compresi i filosofi, gli italianisti e gli specialisti di storia intellettuale e di letteratura comparativa. Treml, Alfred K. Überlebensethik. Stichworte zur praktischen Vernunft im Schatten der ökologischen Krise Schöppe und Schwarzenbart dicembre-gennaio 1992-’93 pp.232, DM 38 Von Ivanka, Endre Platonismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica Vita e Pensiero, luglio 1992 pp. 403 All’interno di un più ampio discorso sui rapporti tra metafisica greca e teologia cristiana, il volume sviluppa, attraverso una serie di studi, il tema della recezione e della trasformazione del Platonismo nella teologia cristiana. Tripodi, Anna Maria Fondamenti della gnoseologia critica contemporanea Japadre Editore, dicembre 1992 pp.125 Wailer, Hagen Fragen zur Ethik des “logischen Sozialismus” Krämer, novembre 1992 pp.36, DM 18,80 Van Steenberghen, Fernand La philosophie au XIII siècle Institut supérieur de philosophie dicembre 1992 pp.551, F 500 Il libro cerca di disegnare un’immagine fedele del pensiero medievale attraverso lo studio del XIII secolo che rappresenta le grandi sintesi dottrinali dell’ampio movimento di pensiero noto sotto il nome di scolastica. Wallner, Fritz Wissenschaft in Reflexion Braumüller, novembre 1992 pp.100, DM 26 Veauthier, W. Fr. (a cura di) Martin Heidegger. Denker der Post-Metaphysik. Symposium aus Anlaß seines 100. Geburtstages C. Winter, dic.-gennaio 1992-’93 pp.136, DM 29 Vico, Giambattista Autobiografia a cura di F. Nicolini Il Mulino, giugno 1992 pp.358 Taminiaux, Jacques La Fille de Thrace et le penseur professionnel: Arendt et Heidegger Payot, dicembre 1992 pp.248, F 180 Professore al Centro di studi fenomenologici (Louvain) e traduttore di Hegel, l’autore esamina, al di là degli aneddoti e delle voci, il rapporto di Hannah Arendt con Heidegger come una relazione intellettuale decisiva per le scelte filosofiche del nostro tempo. Virgoulay, René L’Action, de Maurice Blondel, 1883: relcture pour un centenaire Beauchesne, novembre 1992 pp.152, F 160 Una rilettura della tesi di Maurice Blondel invita a tornare al testo stesso, senza tuttavia dimenticare la storia del pensiero da un secolo a questa parte. Teichert, Dieter Immanuel Kant: Vischer, Wolfgang Probleme der Umweltethik. 80 Vollmer, Gerhard Gelöste, ungelöste und unlösbare Probleme. Zu den Bedingungen wissenschaftlichen Fortschritts Vandenhoeck & Ruprecht dicembre-gennaio 1992-’93 pp.32, DM 12 Wieland, Renate Schein, Kritik, Utopie. Zu Goethe und Hegel Edition Text + Kritik, nov. 1992 pp.264, DM 54 Il saggio mette a confronto un’opera di poesia, Faust II, con una della filosofia hegeliana, La fenomenologia dello spirito. Il confronto si avvale di rari commenti filosofici alle opere poetiche. Wolf, Jean-Claude John Stuart Mills Utilitarismus. Ein kritischer Kommentar Karl Alber, novembre 1992 pp.270, DM 67 Il libro, chiaro e per niente pretenzioso nella forma e trasparente nell’esposizione del pensiero, propone un’immagine differente delle pretese, della metodologia e della portata dell’utilitarismo in generale e dell’approccio di J.S. Mill in particolare. Young, Michael J. (a cura di) Immanuel Kant: Lectures on logic Cambridge UP, dicembre 1992 pp.720, £ 55 - $ 85 Il volume contiene tre lezioni trascritte di Kant sulla logica precedentemente non tradotte; include anche una recente traduzione della “Jasche Logic” (1800). Questi testi insieme dimostrano l’evoluzione kantiana