atto primo - Attori per caso

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ATTO PRIMO
In un angolo a sinistra del palcoscenico illuminato da un candelabro posto sopra una spinetta Pergolesi,
seduto su di una poltrona, sta componendo lo Stabat Mater. Sulla parete sinistra, ben visibile, c’è il quadro
della Madonna Addolorata.
Nel resto del palcoscenico, in questo momento al buio, è rappresentato il lato interno di una chiesa. Nel
primo altare c’è il fonte battesimale.
PERGOLESI – (canticchia mentre compone seguendo l’ispirazione) Stabat Mater dolorosa/juxta crucem
lacrimosa/dum pendebat Filium…
Entra il suo amico e maestro Giuseppe De Majo. Gli si avvicina silenziosamente e gli rimane accanto in
ascolto senza parlare.
PERGOLESI – (quando si accorge della sua presenza, smette di comporre e lo saluta calorosamente) Ah! De
Majo, mio caro amico, come sono felice di vedervi! Grazie per essere venuto a farmi visita.
DE MAJO – Caro Pergolesi, mi dispiace di aver interrotto la vostra ispirazione. Che musica solenne, piena di
sentimento… Cosa state componendo?
PERGOLESI – E’ uno Stabat Mater.
DE MAJO – Però, a mio parere, è troppo triste per il vostro stato. Vi conferirebbe di più qualcosa di allegro.
Dov’è quel Pergolesi che ci ha deliziato tante volte con le sue belle pagine di musica giocosa?
PERGOLESI – Volete dire che il mio genere è quello della Serva Padrona?
DE MAJO – Non offendetevi, lo dicevo perché, secondo me, avete bisogno di un qualcosa di allegro per
sollevare il vostro spirito. Qua, fatemi provare. (esegue alla spinetta l’aria di un pezzo allegro della Serva
Padrona. Pergolesi sorride) Vedete che va meglio? Entrando vi ho visto con una espressione così triste… Mi
sembrava rispecchiasse più che mai il vostro animo afflitto.
PERGOLESI – Vi sbagliate, maestro. E’ quello che sto scrivendo adesso che mi eleva lo spirito. Vedete quel
quadro? (Indica il quadro della Madonna Addolorata) E’ la mia musa. Sto lavorando sul testo dello Stabat
Mater di Jacopone da Todi. Debbo mantenere un impegno. Come penso saprete, nella chiesa di San Luigi a
Palazzo tutti i primi venerdì di marzo si espone il Santissimo Sacramento e si canta lo Stabat Mater di
Scarlatti. I confratelli della Vergine de’ Dolori, desiderosi di cambiare, mi commissionarono un nuovo
Stabat. Purtroppo ho davanti a me poco tempo e non posso fare a meno di adempiere la promessa già fatta
nell’anno precedente, di terminare questo meschino lavoro che pure mi hanno lautamente pagato 10
ducati e che io credo fermamente non valga 10 baiocchi.
Riprende qualche altro accordo della prima strofa come se gli fosse venuta una nuova ispirazione.
PERGOLESI – Cuius animam gementem/ contristatam et dolentem/ pertransivit gladius…
DE MAJO – (attende che Pergolesi smetta di suonare) Ma quale poco tempo! Vi trovo in discreto stato e fra
non molto, vedrete, vi rimetterete in salute. Amico, fatemi sentire ancora…
Pergolesi riprende a suonare. Le note dello Stabat vibrano ancora nell’aria. De Majo si siede e rimane
assorto in ascolto poi, commosso, si copre il volto.
DE MAJO – Pergolesi ve lo confesso: nessun’altra musica mi è mai penetrata così intimamente nell’anima;
capolavoro di espressione, di sentimento e di gusto. In esso tutte le passioni più tenere dell’anima sono
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espresse con inimitabile perfezione. Quella soavità nella mestizia e nel dolore profondo mi hanno costretto
a coprire il volto per nascondere le lacrime dalla grande commozione. E’ il più toccante accento che sia mai
uscito dalla penna di un musicista. E’ il poema del dolore. Un grido vivo e profondo! Continuate a comporre
perché, credetemi, state facendo un capolavoro.
PERGOLESI – (sospira) Vi ringrazio, amico carissimo, ma sento che le forze mi stanno abbandonando.
Chiedo soltanto alla mia protettrice (indica il quadro della Madonna Addolorata) che mi dia da vivere il
tempo per terminare questo Stabat Mater, il suo lamento di madre.
DE MAJO – Su, su, amico caro, non siate così pessimista. Chissà quanto tempo avrete per scrivere tante
cose belle… Via questi brutti pensieri! Parlatemi piuttosto di voi.
PERGOLESI – Carissimo maestro, volete sapere qualcosa di più di me? Sono nato 26 anni fa in una cittadina
delle Marche…
Si oscura questa parte del palcoscenico e si accende la luce nel resto della scena con il fonte battesimale.
Musica adatta al rito. Entra da una parte il sacerdote e dall’altra parte il padre e la madre del musicista ed i
due padrini con l’infante in braccio. Tutti si avvicinano al fonte battesimale.
SACERDOTE – (ai genitori) Che nome volete che sia dato al bambino?
GENITORI – Giovanni Battista.
SACERDOTE – Giovanni Battista, quid petis ab Ecclésia Dei?
PADRINI – Fidem.
SACERDOTE – Fides quid tibi praestat?
PADRINI - Vitam aetérnam.
SACERDOTE – Giovanni Battista, abrenuntias Sàtanae?
PADRINI – Abrenuntio.
SACERDOTE – Et omnibus opéribus eius?
PADRINI – Abrenuntio.
SACERDOTE – Et omnibus pompis eius?
PADRINI – Abrenuntio.
SACERDOTE – Giovanni Battista, credis in Deum Patrem onnipoténtem, creatorem caeli et terrae?
PADRINI – Credo.
SACERDOTE – Credis in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum, natum et passum?
PADRINI – Credo.
SACERDOTE – Credis et in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclésiam catholicam, Sanctorum communionem,
remissionem peccatorum, carnis ressurrectionem, et vitam aeternam?
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PADRINI – Credo.
SACERDOTE – Giovanni Battista vis baptizari?
PADRINI – Volo.
SACERDOTE – (Con un cucchiaio prende dal fonte l’acqua battesimale e la versa tre volte in forma di croce
sul capo del bambino dicendo) Giovanni Battista, ego te baptizo in nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti.
(Scrive poi nel registro delle nascite pronunciando ad alta voce) A dì 4 gennaio 1710; nella Chiesa
Cattedrale di S. Settimio di Jesi, Gio. Batt.ta figlio di Francesco Andrea Pergolesi e di donna Anna Vittoria
consorte, di questa città, nato la notte antecedente a ora 10. Fu battezzato da me Marco Capogrossi curato.
Padrini furono gli ill.mi signori, sig.re Gio. Battista Francolini, e sig.a Gentilizi né Sig.ri Honorati.
Esce il sacerdote dalla parte da cui era venuto ed escono i genitori ed i padrini del battezzato dall’altra
parte. La scena si oscura e ritorna l’illuminazione su Pergolesi e De Majo.
DE MAJO – Ecco spiegato perché siete conosciuto anche con il nome di -Jesi.- E’ il nome della vostra città di
nascita, dunque. Dove si trova Jesi?
PERGOLESI – E’ una cittadina delle Marche. Un’infanzia difficile la mia. Una famiglia povera e piena di lutti.
Sapete, fin da piccolo ero di complessione debole e di salute malferma, ma ben disposto agli studi. Ricordo
la mia infanzia: io ero felice soltanto quando potevo suonare, fin dalla più tenera età. Perciò accadde che le
mie doti naturali venissero notate e apprezzate da alcuni intenditori che consigliarono i miei genitori di
affidarmi alle cure di due valenti maestri: Francesco Santi, direttore della Cappella del Duomo e Francesco
Mondini, pubblico insegnante di musica. In seguito il marchese Gabriele Ripanti, cultore del violino, mi volle
spesso con sé nel suo palazzo per suonare insieme. fu infine il marchese Cardolo Maria Pianetti che, avendo
scorto in me un ingegno a suo dire non comune e vivacissima e meravigliosa inclinazione alla musica, mi
condusse qui a Napoli al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, come ben sapete, per studiare musica.
Certo, gli inizi non furono facili: ero appena adolescente quando mi distaccai dalla mia famiglia. Potete
immaginare quanto soffrissi… Ricordo che nei primi mesi piangevo sempre alla sera quando in quella buia
camerata rimanevo solo nel mio lettuccio. E alla notte sognavo spesso mia madre che mi abbracciava e che
mi baciava i capelli come quando mi salutò al momento di partire, dicendomi: “Fai il bravo, mi raccomando,
studia e comportati bene. Approfitta di questa fortunata occasione e fatti onore! Devi avere coraggio e
pazienza, il tempo passerà in fretta… così tra un po’ potrai tornare a casa, riabbraccerai i tuoi genitori e
staremo sempre insieme.” (con un tremito della voce) E invece non potei riabbracciarli più i miei cari perché
essi morirono presto. Non li rividi mai più! (si copre gli occhi singhiozzando, le spalle scosse da un tremito,
poi si riprende) Quando venni a sapere la ferale notizia, prima della morte di mia madre e poi di mio padre,
capii che la mia vita era ormai segnata, che sarei rimasto per sempre a Napoli… (pausa) Vi ho rattristato,
vero?.
DE MAJO – No, no… affatto! Continuate.
PERGOLESI – Nonostante questo velo di tristezza, la mia vita era però normale, come tutti i ragazzi della
mia età e (sorride) qualche birichinata sapevo farla anch’io.
Si oscura la parte della scena con Pergolesi e De Majo e si illumina la scena con la chiesa. Si vede arrivare
una schiera di ragazzi di varia età vestiti con la sottana rossa e la zimarra azzurra svolazzante che entrano
un po’ disordinatamente, scherzando fra loro e dandosi qualche spinta. Entrano anche il maestro di musica
e il direttore del Conservatorio. Il maestro richiama i ragazzi che infine si dispongono in fila per il coro senza
rinunciare però a qualche scherzetto.
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MAESTRO – (battendo rumorosamente la bacchetta sul leggìo) Ragazzi, smettetela! Basta! E voi (indicando
Pergolesi che ridacchia sommessamente dopo aver capovolto la zimarra sulla testa del compagno che ha
davanti) Sì, voi, (calcando la voce) –Jesi-! State buono un attimo… e composto! Siete in chiesa, che diamine!
I ragazzi tacciono e ad un cenno del maestro iniziano a cantare.
Si sente la bella voce di uno del coro che canta da soprano.
Termina la prova.
DIRETTORE – (al maestro) Complimenti maestro! Ottima esecuzione. Che bella voce ha quel ragazzo che
cantava da soprano. Come ha detto che si chiama? –Jesi-? Che strano nome… Volete chiamarlo, per favore?
MAESTRO – Ma certo! Riguardo a quel nome devo precisarle che lo chiamiamo così per la città da cui viene.
Pergolesi, venite qui!
Pergolesi si avvicina e saluta con un piccolo inchino.
DIRETTORE – (A Pergolesi) Bravo! Come vi chiamate?
PERGOLESI – Mi chiamo Giambattista Pergolesi.
DIRETTORE – Bravo, avete un’ottima voce. Continuate a studiare. (gli dà una carezza sulla testa) Ora andate
pure con gli altri. (Pergolesi esce insieme con i compagni)
DIRETTORE – (Al maestro) Ottima la voce di questo vostro allievo. Una voce bianca che bisognerebbe
conservare. Sarebbe un vero peccato che cambiasse con la pubertà. Con un lungo e accurato studio
acquisterà anche una maggiore potenza e sarà capace di ogni virtuosismo. Che dite?
MAESTRO – Sì, certamente.
DIRETTORE - Sarebbe quanto mai opportuno avviare già da ora questo vostro allievo ad una brillante
carriera di soprano. Penso che sarebbe il caso di…
MAESTRO – (titubante) Volete dire che… sia il caso di farlo… evirare?
DIRETTORE – Beh… potremmo trarre un doppio vantaggio: avviare il ragazzo ad una sicura carriera e
ricavarne buone entrate anche per l’Istituto.
MAESTRO – Ma… accetterà una simile menomazione?
DIRETTORE – Accetterà, accetterà! Prospettandogli una brillante carriera e soprattutto i lauti guadagni che
riuscirà a ricevere accetterà anche questa chiamiamola… menomazione. Parlategliene. Naturalmente con
garbo, mi raccomando.
MAESTRO – (cercando di nascondere la sua perplessità) Mi state mettendo in un grande imbarazzo, signor
direttore. Io sono un maestro di musica e mi sono affezionato a questo allievo… francamente mi permetto
di dirle che ho qualche riserva per questo genere di… trattamenti.
DIRETTORE – Via, via questi scrupoli! In fondo diamo al ragazzo un brillante avvenire. Brillante, sì, perché le
voci di soprano sono sempre più richieste e pagate. Inoltre lo sappiamo bene che devono essere sostenute
soltanto da uomini, non c’è altra scelta.
MAESTRO – Eppure… mi permette… se si potessero inserire le donne nell’organico del coro… la musica se
ne avvantaggerebbe. Si potrebbero avere tante tonalità che oggi sono inimmaginabili.
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DIRETTORE – Ma che dite? Far cantare le donne nel coro? Lo sapete bene che il Papa Clemente XI ha
ordinato che nessuna donna deve imparare la musica e tantomeno il canto. Ecco perché dobbiamo
sostituire le voci di donna in chiesa e in teatro con quelle dei ragazzi. Mi pare più che logico…
MAESTRO – Io non capisco che male ci sia se a cantare da soprano sia una donna.
DIRETTORE – Per carità, cosa dite? Il Papa l’ha spiegato bene il perché! Ha detto infatti che una donna che
canta sulla scena e intende ciò nonostante preservare la sua virtù è simile a quel tizio che vorrebbe saltare
nel Tevere senza bagnarsi i piedi. Capite, ora?
MAESTRO – Si, conosco bene questo divieto… eppure, perdonatemi, ma la mia opinione di musicista è che
si debbano utilizzare tutte le fonti dei suoni sia quelle degli strumenti che quelle delle persone. Gli uomini,
anche gli evirati, non potranno mai coprire l’intera gamma che possono coprire le donne.
DIRETTORE – (irritato) Allora intendete non dare seguito alle parole del Papa? Mi meraviglio di voi! A
questo punto io, in qualità di direttore, sono costretto ad insistere che cerchiate di convincere quel vostro
allievo…
MAESTRO – (con tono più sottomesso) Va bene, cercherò… vedrò di fare il possibile, ma… non è un compito
facile e a me particolarmente sgradito.
Così parlando i due si allontanano lentamente dalla scena.
Si illumina la zona ove sono Pergolesi e De Maio.
DE MAJO – Io non posso vedervi così affranto su quella poltrona. Come amico sento il dovere di aiutarvi a
vincere questa malinconia che debilita non solo il vostro spirito, ma anche il vostro corpo. Conosco una
locanda dove c’è molta allegria. Posso invitarvi a cena?
PERGOLESI – Grazie amico, ma non ho né la forza né lo spirito. Questo male mi ha ridotto a una larva.
DE MAJO – Dovete riscuotervi! Dovete trovare la forza di vivere!Vi siete rintanato qui a Pozzuoli mentre
tanti amici aspettano il vostro ritorno a Napoli. Voi siete un grande artista, un grande musicista, colui che
ha saputo meglio di tutti interpretare la nuova drammaturgia rivoluzionando il melodramma! Colui che è
l’inventore del buon gusto, di un nuovo rapporto tra la parola e la musica…
PERGOLESI - (tossendo, affannato) Vi prego, maestro, non merito tanta adulazione.
DE MAJO – Mi dispiace se pensate che le mie parole siano parole di adulazione. Esse sono sincere. Non solo
avete una bella voce; voi siete un ottimo violinista ed un bravissimo compositore. Tralasciamo gli oratori e
altre composizioni che possiamo considerare compiti da svolgere nell’ambito del conservatorio, ma voi
avete scritto anche tante opere di grande successo… Siete voi l’autore del Salve Regina, del Salustia, del
Frate innamorato, della Serva padrona, un modello di canto, di unità, di melodia, di dialogo e di gusto…
Tutti le hanno apprezzate.
PERGOLESI – Anche voi avete scritto delle opere memorabili: Il vecchio avaro, La milorda, La baronessa
ovvero gli equivoci…
DE MAJO – Sì, sì, anch’io ho cercato, modestamente, di dare lustro alla scuola musicale napoletana ma non
sono mai giunto al vostro livello. E’ così!
Perciò, caro Pergolesi, dobbiamo goderne i frutti. Dovete fare di tutto per guarire ed io voglio aiutarvi.
Aprite il vostro cuore e scacciate tutto ciò che vi fa star male.
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PERGOLESI – (tossisce ancora) Il mio male è la tisi.
DE MAJO – Non è per caso un più generico crepacuore? Sappiamo che siete tornato a Napoli distrutto nel
morale e incrinato nel fisico dopo l’insuccesso a Roma della vostra opera, l’Olimpiade. E’ per questo che
siete diventato così fragile, non è vero?
PERGOLESI – Ah, per carità, non me lo ricordate! Una brutta serata che non dimenticherò facilmente… Un
lancio di vegetali tra gli sghignazzi della plebaglia e le perfide risatine di alcuni colleghi invidiosi. Fui colpito
in pieno viso da un’arancia che mi fece accasciare accanto al clavicembalo sulla pedana da cui avevo diretto
l’orchestra. (Con rabbia) Mi hanno profondamente offeso! Non posso dimenticare… Sono tornato a casa
prostrato e affranto più che nel corpo, nello spirito.
DE MAJO – (sospira) Eh, ecco cosa vi fa star male! Però dovevate dare ascolto all’amico Francesco De Feo
che vi aveva messo in guardia dai cattivi propositi dei colleghi invidiosi che tramavano per far fallire la
vostra rappresentazione, che avrebbero fatto chissà cosa pur di vedervi umiliato e prostrato a quel modo!
PERGOLESI – Sì, è vero, dovevo dare ascolto all’amico De Feo.
DE MAJO – Inoltre, quelle toccanti melodie non potevano essere comprese da un pubblico ignorante e
senza cuore, dagli imbellettati vagheggini, da quella società tutta artificio, apparenza, mollezze,
ampollosità. Bah! Sapete che vi dico? Ognuno ha la musica che si merita!
Comunque, caro Giambattista, un musicista deve mettere in conto anche qualche insuccesso nella sua vita
e deve trovare immediatamente la forza per superarlo. A voi la forza l’avrebbe dovuta dare l’immediato
successo ottenuto dal Flaminio.
PERGOLESI – (tossendo) Però, vi posso assicurare che questa malattia non è stata la conseguenza di
quell’increscioso episodio, ma della tisi.
DE MAJO – Amico mio, vorrei credervi, ma io vi conosco troppo bene: la verità è che state facendo un
sublime, inaudito sforzo per lenire un altro dolore: quello di un disgraziato amore. Non è così? Uno sforzo
del quale soltanto l’animo di un grande artista può essere capace, ma lo spirito rimane straziato, affranto e
piena di tormenti così che ne rimane distrutto anche il corpo.
PERGOLESI – (sospirando) Ah, voi sapete… E allora, ditemi: chi vi ha parlato di questo amore?
DE MAJO – Eh, si dice in giro…
PERGOLESI – Che cosa si dice in giro?
DE MAJO – Di un amore sfortunato che vi sta tormentando. Comunque al vostro amico De Majo dovete
aprire il cuore affinché egli possa aiutarvi. Io ero presente la sera che avete diretto al cembalo nel Regio
Teatro di San Bartolomeo la Serva Padrona. Un successo, ricordate? Una esplosione di battimani, di
complimenti… Voi trattenevate a stento le lacrime per la commozione. Mi pare di vedervi ancora mentre vi
asciugavate gli occhi col vostro fazzoletto. Fiori, fiori, tanti fiori piovevano sulla scena. E tra i tanti un fascio
di rose cadde proprio ai vostri piedi. Era stato gettato dalla bellissima vostra allieva, la principessina Anna
Maria Spinelli, che voi amate e dalla quale eravate riamato e che vi esternava il suo amore con quel mazzo
di fiori.
PERGOLESI – (commosso) Sì, una straordinaria serata che non dimenticherò mai…
DE MAJO – Io quella sera ho gioito doppiamente per voi. Per il successo della vostra opera e per quel segno
d’amore. Magari fosse capitato a me!
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PERGOLESI – Ah, amico mio, se sapeste quali gioie e quali pene ha voluto significare per me quella serata.
Ha segnato il mio destino… Eh, già, voi non potete sapere, non vi rendete conto… Adesso vi dirò… (quasi
trasognato) Maria… un angelo… Ricordo la prima volta che la vidi: come era bella! Ero stato assunto per
insegnarle musica. Quando si metteva alla spinetta ed io le ero accanto sentivo un profumo di petali di rosa
salire da lei a inebriare il mio animo. Lei mi guardava con adorazione mentre sfiorava con le dita candide i
tasti. Una musica divina ci avvolgeva: le note erano ormai quelle d’amore.
. Non potevamo confessarci i nostri sentimenti perché durante l’ora di lezione c’era pur sempre qualcuno
nella stanza ma i nostri sguardi parlavano per noi. Un giorno colsi una rosa nel giardino del convento e la
misi tra i fogli dello spartito che dovevo portare a lei. Quando più tardi lei la trovò la vidi arrossire fino alla
radice dei capelli poi se la nascose in seno con mano tremante. Forse si punse, non so… ma una piccola
goccia di sangue macchiò lo spartito che ancora conservo, guardate… (prende un foglio dal ripiano della
spinetta e lo bacia) Lo porto sempre con me, ovunque io vada. Non posso separarmene.
DE MAJO – Ma allora, perché poi un amore così grande è svanito tanto miseramente?
PERGOLESI - Miseramente, dite? Tutt’altro. Quella sera a teatro era presente anche il principino Carafa che
aveva chiesto la mano della mia allieva ed era stato respinto. Mi hanno riferito che lo stizzoso nobile,
vedendo la ragazza gettare a me quel mazzo di fiori come segno d’amore, ebbe a dire: “Maria non potrà
mai sposare quello squattrinato maestro di musica. Chi vivrà vedrà!”
DE MAJO - E’ stato allora il principe Carafa ad intralciare il vostro amore?
PERGOLESI – (sospira) Proprio così! Ho saputo che qualche giorno dopo si presentarono a Maria i suoi tre
fratelli, con le spade sguainate, che le dissero: “Tu sei di sangue nobile: non ti è consentito di corrompere
questo sangue con quello di un discendente di un misero ciabattino! Te lo impediremo con tutte le nostre
forze! Non puoi farci quest’onta di svilire il casato dei principi di Spinelli dei Cariati con un miserabile
squattrinato musicista! Perciò, se fra tre giorni non sceglierai come sposo un uomo tuo pari per altezza di
nascita, con queste tre spade trafiggeremo a morte quel tuo disgraziato spasimante che dici di amare.” E
dopo averle lanciato questo terribile avvertimento partirono. Dopo tre giorni essi ritornarono dalla sorella e
lei disse loro di aver prescelto come sposo un Essere sublime: Gesù Cristo. Domandò la povera ragazza di
andare monaca a Santa Chiara e chiese che la messa di monacazione l’avessi diretta io. E’ così che tutto finì!
(Si copre il viso e singhiozza)
Si accende la scena grande e si celebra la monacazione della nobile Anna Maria Spinelli.
Sull’altare ricoperto da una tovaglia di finissimo lino con frange merlettate, sono deposti un velo e una
mantellina perfettamente ripiegati, una corona di rose bianche intrecciate a foglie verdi un cero e un
anellino d’oro.
Un inginocchiatoio è collocato di fronte all’altare.
Musica dalla “Messa romana”. Entra il Vescovo poi il piccolo corteo che accompagna Maria e le altre
monacande. Maria per prima si inginocchia. Ai due lati dell’inginocchiatoio, in piedi, la madre superiora e la
maestra delle novizie. Si accende il cero. Il Vescovo dà inizio alla cerimonia religiosa.
VESCOVO – Dà, quaesumus, Domine, his famulabus tuis, quas virginitatis honore dignatus es decorare,
inchoati operis consummatum effectum: et, ut perfectam tibi offerant plenitudinem, initia sua perducere
mereantur ad finem. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: Qui tecum vivit et regnat in
unitate Spiritui Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum
TUTTI – Amen.
MADRE SUPERIORA – (Al Vescovo) Reverendissime Pater, postulat sancta mater Ecclesia catholica, ut has
praesentes virgines dignemini benedicere et consecrare ac Domino nostro Iesu Christo, summi Dei Filio,
desponsare.
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VESCOVO – Scis illas dignas esse?
MADRE SUPERIORA – Quantum humana fragilitas nosse sinit, credo et testificor illas dignas esse.
VESCOVO – Auxiliante Domino Deo et Salvatore nostro Iesu Christo, eligimus has praesentes virgines
benedicere et consecrare ac Domino nostro Iesu Christo, summi Dei Filio, desponsare
(rivolto ad Anna Maria) Vultis in sanctae virginitatis proposito perseverare?
ANNA MARIA – Volo.
VESCOVO – Promittis te virginitatem perpetuo servare?
ANNA MARIA – Promitto.
VESCOVO – Deo gratias. Vultis benedici et consecrari ac Domino nostro Iesu Christo, summi Dei Filio,
desponsari?
ANNA MARIA – Volo.
VESCOVO – Ut praesentem ancillam tuam benedicere digneris.
TUTTI – Te rogamus, audi nos.
VESCOVO – Ut praesentem ancillam tuam benedicere et sanctificare degneris.
TUTTI - Te rogamus, audi nos.
Si intona il Veni Creator Spiritus.
VESCOVO – Vultis persistere in sancta virginitate, quam professae estis?
ANNA MARIA – Volo.
VESCOVO – (Ponendo il velo sul capo della monacanda) Accipe velamen sacrum, quo cognoscaris mundum
contempsisse, et te Christo Iesu veraciter humiliterque, toto cordis annisu, sponsam perpetualiter
subdidisse, qui te ab omni malo defendat et ad vitam perducat aeternam.
TUTTI – Amen.
VESCOVO – (infila l’anello nell’anulare destro della monacanda) Desponso te Iesu Christo, Filio summi
Patris, qui te illaesam custodiat. Accipe ergo annulum fidei, signaculum Spiritus Sancti, ut sponsa Dei
voceris, et, si ei fideliter servieris, in perpetuum coroneris. In nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti.
TUTTI – Amen.
VESCOVO – (posa la corona di rose sul capo della monacanda) Accipe coronam virginalis excellentiae, ut,
sicut per manus nostras coronaris in terris, ita a Christo gloria et honore coronari merearis in caelis. Per
eundem Christum Dominum nostrum.
TUTTI – Amen.
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VESCOVO – (porge il breviario alla monacanda) Accipe librum, ut incipiatis Horas canonicas et legatis
Officium in Ecclesia. In nomine Patris, et Filii, et Spititui Sancti.
TUTTI Amen.
Anna Maria Spinelli prende una candela accesa e accompagnata dalla piccola processione delle suore,
salmodiando esce dalla chiesa, mentre una musica sacra accompagna il corteo. La scena viene oscurata.
Si illumina quindi con una luce ora tenue l’angolo ove sono Pergolesi e De Majo
PERGOLESI – Così sono finite tutte le mie speranze. Maria… non la rivedrò più!
DE MAJO – Su, su, vi prego, via, fatemi ascoltare qualche altro pezzo dello Stabat. Questi affanni terreni
sembrano nulla in confronto al dolore della Madre di Dio…
PERGOLESI – Sì, sì… è vero. Aspettate… (riprende alcuni accordi sulla spinetta) Quando corpus morietur/ fac
ut animae donetur/ Paradisi gloria.
Ancora musica dello Stabat.
DE MAJO – Pergolesi, amico mio, state toccando la cima più alta della creazione musicale, il canto
dell’estasi, il grido drammatico e giubilante dell’animo che si ricongiunge a Dio. E’ veramente una musica
commovente, che vi renderà famoso…
PERGOLESI – Se vi piace tanto, De Majo, posso donarvi lo spartito? Prendete, questo è il mio ultimo dono
per voi.
DE MAJO – No, non posso… è troppo.
PERGOLESI – Accettatelo. Questo è il mio commiato.
DE MAJO – Allora lo terrò come la cosa più cara. Non avreste potuto farmi regalo più gradito. Grazie, grazie,
amico caro.
PERGOLESI – (poggia il capo sul cuscino della spalliera reclinandolo un poco) E adesso ho bisogno di riposare
un poco… Scusatemi, sono molto stanco.
DE MAJO – (si china su di lui abbracciandolo) Mi dispiace separarmi da voi, Gian Battista. Addio. (Esce)
PERGOLESI – Addio.
Piano piano la luce si spegne.
Si accende la luce nella scena principale. Musica per cerimonia funebre. Arriva un gruppo di persone
vestite a lutto che precedono un corteo funebre. Una bara di legno grezzo è sorretta a spalla da quattro
uomini di cui uno è De Majo. La bara viene deposta a terra al centro della scena. La musica sfuma fino a
spegnersi.
Dopo una breve pausa di silenzio De Majo si stacca dal gruppo e rivolto agli astanti pronuncia una breve
orazione funebre.
DE MAJO – Giovan Battista Pergolesi, il nostro amico carissimo, ci ha lasciati. Grande e profondo è il dolore
che riempie i nostri cuori. Ci ha lasciati ad appena ventisei anni quando la vita avrebbe dovuto sorridergli
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donandogli le gioie più grandi ed un luminoso futuro. Una stella si è accesa nel cielo e non si spegnerà mai
più: una musica celestiale e sublime le sarà luminosa corona.
L’anima bella, gentile e innamorata di Giovan Battista è ora parte dell’armonia dell’universo: possa Iddio
accogliere tra le sue paterne braccia questo figlio diletto al quale Egli donò ogni virtù e il genio immortale
della musica.
A noi rimangono le lacrime terrene e un imperituro ricordo ma anche la dolce consolazione e la certezza
che la sua arte non avrà mai fine.
Il sacerdote officiante invoca la divina misericordia per il defunto. Ne asperge il feretro con l’acqua
benedetta e lo incensa. Viene celebrato un breve Ufficio liturgico per il morto.
SACERDOTE - Giovanni Battista, in paradisum deducant te Angeli: in tuo adventu suscipiant te martyres et
perdùcant te in civitatem sanctam Jerusalem. Chorus angelorum te suscitiat et cum Lazaro quondam
paupere aeternam habeat requiem. Ego sum resurrectio et vita: qui credit in me, etiam si mortuus fùerit,
vivet: et omnis, qui vivit, et credit in me, non morietur in aeternum. Pater noster… Et ne nos inducas in
tentationem.
TUTTI – Sed libera nos a malo.
SACERDOTE – A porta inferi.
TUTTI - Erue, Domine, animam eius.
SACERDOTE – Requiescat in pace.
TUTTI – Amen.
SACERDOTE - Domine, exaudi orationem meam.
TUTTI - Et clamor meus ad te veniat.
SACERDOTE - Dominus vobiscum.
TUTTI – Et cum spiritu tuo.
SACERDOTE – Absolve, quaesumus, Domine, animam famuli tui Giovanni Battista Pergolesi ab omni vinculo
delictorum, ut in resurrectionis gloria inter sanctos et electos tuos resuscitatus respiret. Per Christum
Dominum nostrum.
TUTTI – Amen.
SACERDOTE – Requiem aeternam dona ei, Domine.
TUTTI – Et lux perpetua luceat ei.
Viene aperta una botola ed il corpo viene fatto scivolare dentro.
Si chiude lentamente il sipario.
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ATTO SECONDO
La scena rappresenta l’inaugurazione a Jesi del monumento a Pergolesi.
Al centro c’è il monumento coperto con un panno bianco. A lato c’è un piccolo palco per le autorità che
presenzieranno la cerimonia dell’inaugurazione. Sono presenti cittadini di ogni estrazione sociale che si
muovono sulla scena facendo commenti sull’avvenimento.
BANDITORE – (attraversando lentamente il palco annuncia con il megafono) Cittadini: oggi, addì 2 ottobre
1910, alle ore 11 nella piazza delle Grazie di Jesi sarà inaugurato il monumento a Giovan Battista Pergolesi.
Partecipate numerosi… (ripete alcune volte il messaggio poi esce)
Entrano il maestro di musica e la banda musicale.
GIORNALISTA – (rivolgendosi al maestro di musica con un taccuino in mano) Maestro, mi scusi, sono il
corrispondente del “Giornale d’Italia”, posso chiederle un suo giudizio sulla validità delle opere di
Pergolesi?
MAESTRO DI MUSICA – I giudizi sulla sua opera da parte di grandi uomini di cultura e di musicisti illustri
sono positivi o addirittura entusiastici. Sentite: (tira fuori dalla tasca un foglietto e legge) Tanto per citarne
alcuni: “Il primo dello Stabat Mater è il duo più perfetto, più toccante che sia uscito dalla penna di un
musicista” – Jean Jeaques Rousseau; “Un semplice intermezzo come la Serva Padrona di Pergolesi trovava
tanto plauso e tanto successo – questo è Wolfang Goethe; “Avrei dato tutta la mia musica, se mi fosse dato
di comporre lo Stabat di Pergolesi” – dichiara Gaetano Donizetti; “L’Orfeo è tra i più perfetti modelli del
suo genere” – Choron; “Udii lo Stabat di Pergolesi per la prima volta a Napoli eseguito da due dilettanti, e
con tutto ciò ne fui commosso fino alle lacrime. Nel suo genere quella musica raggiunge l’ultima bellezza” –
Gioacchino Rossini. Che ne dite, eh?
GIORNALISTA – Allora sono tutti concordi nel ritenere Pergolesi un genio della musica?
MAESTRO DI MUSICA – Non proprio tutti. A dire la verità un suo denigratore fu il dottissimo musicista Padre
Giovan Battista Martini il quale mette in risalto le affinità stilistiche dello Stabat con la Serva padrona negando
al primo la dignità della vera espressione religiosa. Sentite qui: (legge dal foglietto) Secondo questo Padre
Martini “Le due composizioni hanno lo stesso carattere, eccetto alcuni pochi passi. In ambedue si vedono lo
stesso stile, le stesse, stessissime delicate e graziose espressioni. Di conseguenza, una musica adatta ed
esprimere sentimenti burleschi e ridicoli come quella della Serva Padrona, non potrà mai essere acconcia ad
esprimere sentimenti pii, devoti e compuntivi. Di conseguenza lo Stabat Mater è incapace di esprimere una
atmosfera spirituale”.
GIORNALISTA – E lei condivide questa critica?
MAESTRO DI MUSICA – Assolutamente no! Pur riconoscendo come alcuni hanno detto una certa
monotonia nella forma, posso affermare che la musica dello Stabat è perfettamente adatta a compungere,
attivissima ad esprimere il dolore e il pianto ed è immortale, sacra, oserei dire divina!
GIORNALISTA – Grazie maestro. (rivolto ad un altro personaggio presente) Professore, finalmente il
momento tanto atteso è arrivato. Era ora, no? Senta, professore, lei che è stato uno dei più convinti e
battaglieri membri del comitato per l’erezione del monumento a Pergolesi che cosa prova in questa
circostanza?
PROFESSORE – (ad alta voce) Una grande soddisfazione, mi creda. Dopo tante vicissitudini, è proprio il caso
di dire, -finalmente-! Sapete da quant’è che se ne parla? Dal 1870, cioè da quasi quarant’anni.
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UN CITTADINO – (interviene) Eh, da quarant’anni?
PROFESSORE - Sì, da quasi quarant’anni! Conosco perfettamente l’iter che ha condotto a questo
memorabile evento. Volete che ve ne parli? Ebbene, nel 1872 il prof. Francesco Agostinelli donò al
Municipio il disegno di un progetto per un monumento a Pergolesi e nel 1873 Antonio Scorcelletti, proprio
sulla base dei disegni del prof Agostinelli, modellò in creta e ricavò in gesso un bozzetto del progetto del
monumento.
CITTADINO DEL CONTADO – Scusate, in non sono di qui e quindi non ho seguito bene la questione, perciò vi
chiedo: perché c’è voluto tutto questo tempo per realizzare il monumento?
PROFESSORE – Dopo un periodo di entusiasmo generale le composizioni pergolesiane vennero quasi tutte
dimenticate o quantomeno sparirono dalla pratica musicale corrente. In tutte le Marche nel corso del 700,
furono effettuate solo tre esecuzioni: “La Serva Padrona” nel 1739 a Fermo; “La Morte di san Giuseppe” nel
1741 nella cattedrale di Senigallia; e un intermezzo della “Sallustia” nel 1794 al teatro di Pesaro.
ALTRO CITTADINO – E a Jesi nessuna esecuzione delle sue musiche?
PROFESSORE – Purtroppo anche nella nostra città ci fu in quel periodo un vuoto culturale che mise in oblio
anche la sua musica.
Solo dopo il 1860 con l’annessione delle Marche al Regno d’Italia, si assiste in Jesi ad un rinnovato
interesse per l’illustre cittadino fortemente influenzato dallo spirito nazionalistico e dal culto delle patrie
glorie.
Nel 1880, finalmente, fu eseguito lo Stabat al Teatro della Concordia e nel 1883 detto teatro venne
intitolato al Pergolesi.
CITTADINI - Finalmente!
PROFESSORE – Sappiamo bene che gli esponenti della cultura jesina scrivevano nelle loro pubblicazioni con
toni appassionati del progetto di erigere un monumento a Pergolesi. Si sono quindi formati diversi comitati
per la sua realizzazione, ma i problemi finanziari non ne hanno mai consentito la l’attuazione. Poi,
finalmente, attraverso contribuzioni varie, è stato possibile dar corso all’opera. Come ben sapete è stato
bandito un concorso ed è stato prescelto il progetto dell’artista Alessandro Lazzarini che ha proposto un
gruppo scultoreo di immediata lettura allegorica. E così oggi verrà finalmente inaugurato.
CITTADINO – Certo che l’aver fatto questo monumento dopo duecento anni dalla nascita di Pergolesi
rappresenta un ritardo quasi inspiegabile…
PROFESSORE – Il fatto è che Pergolesi a Jesi c’è stato da bambino e poi se ne è andato a Napoli e lì è
vissuto. E’ mancato quindi il legame filiale tra la lui e la sua città. Il monumento infatti è stato sentito da
alcuni come un dovere, un modo di sdebitarsi nei confronti di colui che ha onorato Jesi, per altri invece ha
rappresentato solamente l’occasione perm esibire un vanto cittadino. Ma soprattutto sono stati i cittadini
culturalmente più sensibili che hanno contribuito, anche se in ritardo, alla sua realizzazione per onorare
uno dei suoi figli migliori.
GIORNALISTA – (continuando a prendere appunti sul suo taccuino) Grazie, professore, per averci fatto
sapere tutto l’iter per la realizzazione del monumento al nostro illustre concittadino. Veramente meritevole
questa iniziativa!
ALTRO CITTADINO – (rivolgendosi al professore) A proposito del monumento, voi che mi sembrate uno
degli addetti ai lavori, cosa ne sapete? E’ degno del grande genio?
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PROFESSORE – Posso dirvi che è un’opera pregevole. Ho sentito commenti entusiastici dei critici d’arte su
questo monumento. Si parla di una vera opera d’arte.
ALTRO CITTADINO – Un momento! Fra poco lo vedremo e giudicheremo perché io invece ho sentito tanti
pareri contrari. (confidenzialmente) Si parla di una donna nuda… che desta scandalo… e, sapete, in certi
ambienti si sta organizzando una manifestazione di protesta.
GIORNALISTA – Cosa, cosa? Una manifestazione di protesta? Non ne sono al corrente. Quando? Per oggi?
CITTADINO - Non lo so, ma potrebbe anche essere per oggi.
PROFESSORE – (costernato) Questo significa rovinare la cerimonia dell’inaugurazione. Ma il sindaco lo sa? E
la forza pubblica? Ma guarda un po’, questo non ci voleva… Scusate, vado ad informare e ad avvertire… nel
caso…
GIORNALISTA – Aspetti, professore, vengo anch’io (escono insieme)
Entrano alcune signore.
1° SIGNORA – Oh, poveretto! Morire a 26 anni di tisi… Eh, purtroppo è una malattia che non perdona…
2° SIGNORA – Mah… Si dice invece che sia morto… (sottovoce) per “eccessi giovanili”…
1° SIGNORA – Chiacchiere! Ho letto che Pergolesi era dotato di un convinto spirito religioso, che nel
conservatorio si comportò con somma costumatezza e modestia, non mai associandosi con giovani suoi
compagni, che non fossero adorni di retti costumi. La verità è che era cagionevole di salute fin da bambino
tanto che, dicono, nel timore che non sopravvivesse a lungo, si dovette provvedere a farlo cresimare
quando contava appena diciassette mesi, senza rispettare la norma che tale sacramento debba essere
somministrato al confirmando solo dopo che abbia compiuto il sesto anno di età.
3° SIGNORA – Sì, sì, anch’io ho saputo da un professore che conosce la storia che a Pergolesi si era
manifestata, quand’era piccolo piccolo, l’affezione polmonare che gli avrebbe poi impedito anche lo
sviluppo normale della gamba sinistra.
2° SIGNORA – Io le ho riferito soltanto quello che ho sentito dire, sa…
3° SIGNORA – La gente a volte fa certe maldicenze per il gusto di sparlare… Un povero ragazzo che si trova
distante dalla famiglia, senza affetti, è logico che si prenda qualche distrazione… Parlare però di “eccessi
giovanili” mi sembra esagerato… Bisogna poi sapere che nell’ambiente degli artisti il rapporto con le donne
è più amichevole, più cameratesco e spesso la gente confonde l’amicizia con chissà quali atti licenziosi.
1° SIGNORA – Brava, hai detto proprio bene! (Con una certa malizia) Certo, non sarà stato un santo, ma ci
sono le prove della sua malattia congenita, cara lei!
2° SIGNORA – Eh, via! Non vi scaldate! Se si vocifera che un giovane si concede qualche scappatella mica
significa infangarlo.
3° SIGNORA – Certo, se quel professore che conosce la storia ha detto che fin da piccolo ha avuto una
affezione polmonare, è probabile che sia stato questo stesso male che l’abbia poi portato alla tomba, non vi
pare?
Il gruppetto delle signore si porta in disparte seguitando a parlare.
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Entra il sindaco accolto da un applauso e sale sul piccolo palco per il discorso accompagnato dall’artista
Lazzaroni e dal professore.
PROFESSORE – Cittadini, quale membro del comitato esecutivo per l’erezione del monumento a Pergolesi, è
con viva commozione che ci accingo a vivere questo memorabile giorno dell’inaugurazione. Dò ora la parola
al marchese Luciano Honorati, Sindaco di Jesi.
SINDACO – Cittadini di Jesi, nella gioia del sogno realizzato dimentichiamo volentieri la diffidenza che
circondò l’opera nostra, le ostilità che sorsero sul nostro cammino, le piccole competizioni e le piccole
miserie che tentarono di turbare quella serenità che ci eravamo imposti. Finalmente siamo qui per
l’inaugurazione del monumento al nostro concittadino Giovanni Battista Pergolesi nel duecentesimo
anniversario della sua nascita avvenuta nella nostra Jesi. La città tutta ha voluto questo monumento, opera
dell’insigne artista Alessandro Lazzarini, qui presente (lo indica – Applausi dal pubblico) affinché la memoria
del genio jesino sia imperitura e meglio non potrà attestarsi ai posteri la civiltà dei presenti che con un
monumento degno di tanto uomo.
Il monumento viene scoperto, poi la banda inizia a suonare.
Applausi da parte della folla e qualche esclamazione di meraviglia per la donna nuda.
SINDACO – Cittadini, rimanga questa opera a perenne memoria del nostro concittadino e onoriamo lo
scultore Alessandro Lazzarini qui presente (Va a stringergli la mano) che ha voluto con la sua arte
interpretare la grandezza della di Lui sublime musica.
Scendono tutti dal palco.
Fra gli applausi della folla il sindaco e gli altri personaggi si fermano a parlare con i presenti. Si formano dei
crocchi di gente che commenta.
GIORNALISTA – Signor Sindaco, sono un giornalista del Giornale d’Italia. Vuole fare, per favore, una sua
dichiarazione alla stampa?
SINDACO – Volentieri. E’ stato un grande onore, mio personale e di tutta la cittadinanza, l’avere inaugurato
il monumento al concittadino Giovanni Battista Pergolesi. Un degno riconoscimento ad un figlio della nostra
Jesi che è unanimemente riconosciuto un genio della musica.
GIORNALISTA – Grazie, signor Sindaco (rivolgendosi al Lazzarini e scattando alcune foto) Lei, maestro, vuole
dire qualcosa?
LAZZERINI – E’ per me un grande onore essere stato prescelto ad esprime attraverso questa mia opera la
perenne testimonianza a Pergolesi. Ho cercato di aver interpretato al meglio la sua figura e la sua opera.
GIORNALISTA – Vorrei chiederle cosa l’ha ispirato nel fare questa composizione?
LAZZARINI – Ha detto bene, composizione. Perché di una composizione si tratta. Sarebbe stato troppo
riduttivo mettere sopra un piedistallo la semplice statua del Pergolesi.
GIORNALISTA – Ci spieghi per cortesia l’allegoria che ha voluto rappresentare nel monumento.
LAZZARINI – Ecco, vedete? Osservate il fluire dell’acqua nella tazza: sta a significare la perenne sorgente di
vita. Al vertice sorge la statua del musicista che, piegato sulla condizione umana, trionfa su di essa
attraverso la fama del suo genio creativo. Il suo incedere è quasi di danza, verso la figura maschile piegata
sul violino che rappresenta il suono, e l’altra, femminile, che rappresenta il canto, piena di grazia, di
gentilezza, come rapita in estasi dall’armonia della di lui musica.
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GIORNALISTA – Geniale, geniale veramente…
LAZZERINI - Notate quel breve cenno della mano a battere il tempo di insondabili melodie dalle quali
Pergolesi sembra attratto come per fascinazione. Che ne dite?
GIORNALISTA – Certo, un’opera veramente originale, completa. Ma… perché ha voluto rappresentare il
canto con l’aspetto di una donna nuda? Sa, ho captato… se mi permette… qualche critica, qualche
disappunto…
LAZZARINI – Ma il canto è grazia…
CITTADINA BRUTTA – Scusi, maestro. Perdoni se mi intrometto ma quella donna –nuda- per me è
un’indecenza! Nche con addosso una semplice tunica quella donna poteva esprimere la grazia, la gentilezza
e l’armonia del canto. (acida) C’era proprio bisogno di far vedere tutta questa anatomia?
LAZZARINI – (sospirando) Eh, cara signora…
CITTADINA BRUTTA – Signorina, prego.
LAZZERINI – Signorina, la bellezza, così come la vede l’artista, è pura, non ha bisogno di veli e il nudo, per
questo non può suscitare vergogna perché rappresenta questa purezza. Mi capisce?
La cittadina brutta sbuffando gli volta le spalle e si allontana. Il giornalista intanto prende appunti sul suo
taccuino.
ALTRO CITTADINO – Eppure, anch’io ho sentito qualcuno che ha parlato di scandalo.
LAZZARINI – Penso che gli jesini siano maturi al punto da non ricadere nel puritanesimo, quando si
mettevano i mutandoni anche alle gambe dei tavoli… Guardiamo piuttosto quella donna con gli occhi aperti
all’arte e non velati da falsi moralismi.
GIORNALISTA – Maestro, a chi vi siete ispirato nel modellare la figura del Pergolesi? E’ vero che Pergolesi
era brutto? Si dice che fosse tarchiato, con il ventre prominente, una gamba vistosamente più piccola
dell’altra, un viso dai tratti marcati e i contorni del naso e della bocca addirittura grossolani.
LAZZZERINI – lei allude, vero, al disegno di Pier Leone Grezzi che lo ritrae con la pancia, i tratti sgraziati del
viso e una gamba invalida? In realtà si tratta di una caricatura e come tale accentua difetti che potevano
essere appena percepibili.
GIORNALISTA – Ma avete un’idea di quale poteva essere il suo vero aspetto?
LAZZERINI – Purtroppo non abbiamo alcun ritratto di Pergolesi.
GIORNALISTA – E allora come ha fatto a rappresentarlo?
LAZZERINI – Certamente un’immagine manierata, di fantasia. Con quella figura idealizzata ho interpretato
l’immaginario collettivo nell’ambito dell’iconografia pergolesiana.
GIORNALISTA – Volete dire che l’ha rappresentato di gradevole aspetto interpretando il modo che ha la
gente di immaginare gli uomini illustri, cioè anche belli fisicamente.
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LAZZERINI – Che senso aveva rappresentarlo brutto, considerando che una caricatura non può far testo?
Però, non escludo una certa influenza del romanticismo artistico…
Sopraggiunge il sindaco
SINDACO – (A Lazzarini) Maestro, venga… E’ stato organizzato un banchetto e poi un concerto di musica
pergolesiana al Teatro.
LAZZARINI – (Al giornalista) Mi scusi…
Lazzarini ed il sindaco se ne vanno.
Arriva un gruppetto di persone che si mettono a contestare.
PRIMA BEGHINA – (gridando) Cittadini, siamo qui per protestare per questo scandalo! Come si fa a mettere
in mostra in una pubblica piazza una donna nuda? Con quella posa, poi? Pensate all’effetto sui giovani… E’
una vergogna! Noi donne dobbiamo coalizzarci per rimuovere questo scandalo. Chiediamo che venga
scalpellata questa indecente immagine o tutt’al più che venga ricoperta.
Risate degli astanti. Si ode qualche fischio di disapprovazione.
SECONDA BEGHINA – Dobbiamo liberarci da queste rappresentazioni lascive. Basta con la donna oggetto!
UN UOMO ANZIANO CHE FA PARTE DEL GRUPPO – Che vergogna questa donna senza nemmeno una
camicia. (agitando un bastone) Se fosse stata mia figlia…
Un giovanotto facinoroso cerca di salire sul monumento e fa l’atto di coprire la scultura della donna con un
telo. Arrivano i carabinieri.
CARABINIERI – Via, via, circolare! Andate a casa, via! (prendono per un braccio la prima beghina che si
divincola strillando e viene allontanata. Il gruppo rumoreggiando si disperde)
La scena si oscura e il monumento scompare, poi di nuovo si illumina lentissimamente di una luce irreale
appena azzurrina. Sulla scena c’è ora Pergolesi vestito completamente di bianco e Maria Spinelli vestita di
una semplice tunica bianca lunga fino ai piedi molto leggera. Ad un lato della scena c’è una spinetta e uno
sgabello completamente bianchi. Maria fa alcuni passi verso Pergolesi poi si inginocchia ai suoi piedi, gli
prende la mano e gliela bacia.
MARIA – Maestro mio!
PERGOLESI - (rialzandola) Ora rimarrete sempre con me ed io starò sempre con voi nella luce di Dio. Siamo
stati separati nella nostra vita terrena ma ora la nostra gioia non avrà più fine.
Maria, ora che abbiamo sciolto i legami con il mondo, ho bisogno di chiedervi alcune cose di voi, di noi…
MARIA – Anch’io voglio sapere tante cose di voi. Ora che non siamo più materia, ma puro spirito, possiamo
finalmente aprire le nostre anime e dirci tutto quello che in terra non abbiamo avuto il modo o il coraggio
di dirci.
PERGOLESI – Ditemi, allora, quali sentimenti avete veramente provato per me? Perché avete scelto di
monacarvi?
MARIA – Carissimo maestro…
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PERGOLESI – Chiamatemi Gianbattista, vi prego.
MARIA – Sì, Gianbattista, la musica è stata per me un messaggio che riempiva la mia anima di una grande
gioia fino a sentire una attrazione e un trasporto verso l’uomo che suonava quelle meravigliose note.
Aspettavo palpitante il vostro arrivo, seguivo estasiata le vostre lezioni. Il cuore di una giovane, quale io
ero, è cosi indifeso di fronte all’atmosfera paradisiaca che la musica sa a volte creare. Voi eravate il
messaggero di tutto questo. Ricordo che un giorno toccaste la mia mano per guidarla sui tasti della
spinetta. Ebbi un tuffo al cuore perché era meraviglioso avere la guida della vostra mano sulla tastiera.
Tante volte, nella quiete del chiostro, ho avuto la sensazione di sentire quel contatto e questo mi turbava,
ma al tempo stesso mi confortava e mi dava la forza di sopportare la dura vita monacale. Ricordate la rosa
che mi avete un giorno donato? Ebbene dopo averla essiccata, l’ho sempre conservata nel mio messale e
nei momenti più oscuri della mia vita la contemplavo e ne annusavo il profumo, ricavandone la forza di
resistere… Vi sentivo parte della mia vita… Era amore quel sentimento meraviglioso che era nato nel cuore
di una fanciulla ancora giovane e sognante? Certamente era un sentimento purissimo. (pausa)
Purtroppo i miei fratelli mi hanno contrastata. Volevamo impormi le loro scelte e allora io decisi di sposare
nostro Signore Gesù Cristo.
PERGOLESI – Debbo confessarvi che anch’io vi ho amato come nessuno mai. Vostri erano i miei pensieri; a
voi ho dedicato ogni istante della mia vita. Ogni nota che scrivevo, ogni brano che componevo, lo dedicavo
a voi. Eravate la mia musa soave.
(Sommessamente) La mia morte morale avvenne quando mi deste la notizia che non ci saremmo più potuti
rivedere.
MARIA – Anch’io, quando i miei fratelli mi imposero di non vedervi più, sono come morta, dentro. Per
questo ho deciso di sposare Gesù per non tradire il nostro amore che doveva rimanere integro e puro. Solo
l’amore per Lui ha potuto soppiantare i sentimenti che avevo avuto per voi.
PERGOLESI – Perché mi richiedeste di dirigere la messa per la vostra monacazione?
MARIA – Volevo la vostra presenza il giorno in cui stavo per abbandonare il mondo, volevo la vostra musica
tutta per me, almeno per quel giorno. Che fosse il vostro dono per la mia monacazione. Non è stato forse
così?
PERGOLESI – Sì, certo! Io di voi ho serbato fino alla fine dei miei giorni il dolce ricordo del vostro viso, della
vostra voce, della vostra figura. La vostra morte poi è stata anche la mia morte.
MARIA – Allora, siete morto per l’amore che sentivate per me?
PERGOLESI – Con la vostra morte è morto il mio spirito. Il mio corpo è morto poco dopo.
MARIA – Ecco perché abbiamo meritato il Paradiso. Soltanto chi sulla terra vive di amore puro è degno del
Signore.
PERGOLESI – Quando ho saputo della vostra morte un velo nero è sceso sui miei occhi. Ho tanto sofferto
che ho chiesto al Signore di prendere subito anche me. Egli dopo un anno mi ha esaudito…
MARIA – Non dovevate chiedere questo perché potevate ancora scrivere tanta sublime musica.
PERGOLESI – No, dovevo scrivere soltanto una musica che potesse esprimere tutto il dolore che avevo
dentro il mio cuore: lo Stabat mater.
MARIA – A questo punto era giunta la vostra pena?
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PERGOLESI - Dovevo provare il dolore immenso della vostra perdita per poter scrivere lo Stabat.
MARIA – Gian
battista caro, avete sofferto troppo per causa mia..
PERGOLESI – Sapete, quando mi fu annunciata la vostra morte per tre giorni ho pianto, chiuso nella mia
stanza, giorno e notte… La terza notte ho chiesto infine a Dio di darmi il dono di poter descrivere con la
musica il dolore e l’amore umano. Mi sono addormentato e vi ho sognato. Ho sognato che eravate ai piedi
di una grande croce con il capo e le spalle coperte di un velo nero, come la Madonna Addolorata.
Cantavate un canto dolcissimo e dolente che penetrava nel più profondo dell’anima. Quando mi sono
risvegliato avevo tutta la musica in testa ed ho cominciato a scriverla come un pazzo… e… (le cade ai piedi e
le abbraccia le ginocchia, singhiozzando) Voi, mia Musa, voi mio bene, mia luce! Voi avete guidato la mia
mente!
MARIA – No, non dite più niente, vi prego… (gli pone due dita sulle labbra) Io avevo chiesto a Dio di aiutarvi
ed Egli mi ha esaudita. (lo solleva) Alzatevi, fatemi sentire ancora quella musica divina. Venite…
Lo guida verso la spinetta. Pergolesi si siede ed inizia suonare lo Stabat. Maria gli rimane accanto.
La musica della spinetta si affievolisce mentre prende corpo quella suonata dall’orchestra.
Si leva quindi un vento, dapprima lieve che agita appena la tunica e i capelli di Maria poi sempre più forte
che fa volare per il palcoscenico i fogli degli spartiti, mentre la musica si attutisce finché in silenzio, con solo
il rumore del vento, il sipario lentamente si chiude.
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