Perché riconsiderare il soggetto (Nemus)-2

Perché riconsiderare il soggetto? La prospettiva di un personalista
1. Morte o eclissi del soggetto?
Una parte consistente della cultura e del pensiero contemporaneo tende a
criticare la centralità del soggetto umano, sovente ridotto a mera “soggezione”.
Occorre interpretare, anche con urgenza, il perché di tale drastica riduzione del
rilievo della soggetto umano: si tratta di un’archiviazione definitiva, o solo di
un’eclissi temporanea, che dipende, magari, da un angolo visuale non completo, o
poco idoneo?
Per intendere la questione nei suoi termini più ampi, bisogna, io penso, far
riferimento al contesto in cui viviamo, riflettiamo ed operiamo; un primo fenomeno,
in cui ci imbattiamo, è costituito dalla dominazione dei grandi apparati, in particolare
degli apparati burocratici, che sembrano scarnificare e dissolvere l’identità in una
pura certificazione estrinseca (ed esempio, una scheda perforata, nella quale sussiste
solo una traccia dell’originaria densità personale, o una volatile annotazione presente
nei nostri computer). La persona che tenta di lottare contro tali apparati si sente un
poco come Don Chisciotte, che vanamente combatte contro i mulini a vento…
Il secondo fenomeno, che ci balza incontro con nitida evidenza, è rappresentato
dallo stile anonimo delle nostre esistenze, prese nel vortice di una grigia
omologazione e di un soffocante livellamento; come illustrato da Heidegger, la
chiacchiera, protratta senza tregua e senza scopo, appare il contrassegno centrale
della nostra condizione di esseri anonimi, protetti, ma anche asfissiati, dalle
dominanti “maggioranze silenziose”: ogni fierezza che consista nell’affermazione:
“se anche tutti, io no” è rigorosamente bandita, sostituita da una “verità” costruita su
di una base statistica, su masse d’uomini prive, spesso, di ragionevolezza, che
propongono il ritornello: “si fa”, “si dice”, “così fan tutti, e dunque…”.
Il terzo fenomeno è costituito dalla crescente manipolazione collettiva,
alimentata dal tambureggiare della pubblicità e dal martellare della propaganda
politica; quel che è più notevole: pubblicità e propaganda, pur nascendo da ambiti
ben distinti, finiscono per intrecciare la loro influenza, mescolando le loro tecniche e
contribuendo ad un certo ottundimento dello spirito critico e delle capacità di
resistenza intellettuali e morali.
Riscoprire, in un tale clima, il soggetto significa restaurare lo spirito critico,
prima di tutto; tale restaurazione sembra il fulcro di ogni cambiamento possibile, dato
che non vi può essere cambiamento se non comprendendo, in prima battuta, la
miseria culturale e spirituale che assedia le nostre vite, ma tale presa di coscienza
rischia di venir interdetta dalla diffusa, odierna paralisi dello spirito critico.
Se lo spirito critico risulta la premessa necessaria di ogni cambiamento sociale,
di per sé tale spirito non sembra sufficiente, potendo facilmente bloccarsi in una sorta
di spirale involutiva; occorre recuperare il soggetto, in seconda battuta, come
responsabilità, non intendendo la responsabilità, come si fa comunemente, col
significato di mera imputabilità; responsabilità, nel senso più genuino, significa
capire il vincolo che ci lega all’umanità intera, a partire da quella parte dell’umanità
che ci è più vicina e per allargarsi, con un movimento quasi a cerchi concentrici, a
quella più remota; responsabilità come prendere in cura l’altra persona, la sua sorte e
l’ambito naturale, l’habitat che intrattiene con essa una correlazione di destino.
E tuttavia neppure l’acquisizione, più o meno piena, della responsabilità come
presa in cura esaurisce la questione; la ripresa e il recupero del soggetto sfociano in
una capacità piena di azione politico-sociale e iniziativa storica; non è sufficiente
aprire le orecchie alle grida e ai lamenti che provengono dal vasto mondo, occorre, di
più, rompere il circolo vizioso di uno sterile impietosirsi, per proporre degli atti
radicalmente trasformatori, e non solo in chiave simbolica. Il polo soggettivo va
rafforzato per non decadere
in un’opaca indifferenza, in un’insuperabile
rassegnazione…
In breve, si tratta di ricostituire, oltre ogni dualismo tipicamente moderno, un
nuovo equilibrio tra il polo soggettivo (noetico) e quello oggettivo (il mondo, la
realtà); solo così, riconferendo vigore e fervida spontaneità al polo soggettivo, il
mondo cesserà di apparirci come bruto accumulo di “fatti”, come sequenza, più o
meno stratificata, di oggetti, di “cose”. Riconferendo vitalità e slancio al polo
soggettivo, come spiegato dall’ultimo Husserl, si potrà veder comparire, dietro al
mondo statico dell’oggettivazione, una “seconda natura”, aperta e permeabile
all’azione umana e al soffio vivificatore che ne promana. La vita morale è possibile,
nel senso più pieno, solo nel quadro di una realtà così concepita: come “aperta”,
come assiduamente interpretabile e modellabile.
Ritengo che solo un’approfondita filosofia della persona sia in grado di conferire
al soggetto umano quel quadro epistemologico e ontologico che lo possa stabilizzare;
l’uomo è davvero un animale comunicativo, caratterizzato, in modo peculiare, da una
soggettività che interpreta e viene interpretata, e la singolarità delle singolarità è che
l’uomo appare in grado di autointerpretarsi, in una dialettica costante di
oggettivazione e soggettivazione. Solo una tale autocoscienza, mi pare, può farci
uscire dalle strettoie di quella visione fatalista che domina l’attuale fase della
modernità, con le due prospettive opposte, ma similari nei presupposti e convergenti
negli esiti, del pessimismo catastrofistico e dell’ottimismo illusorio e retorico.
Dunque, all’interrogativo iniziale risponderei negando che si tratti di una morte della
soggettività, che tra l’altro rischierebbe di trascinare con sé la “morte dell’uomo” (M.
Foucault); mi sembra invece più appropriata la figura dell’eclissi, un’eclissi non
definitiva, legata al clima storico-culturale che ho sinteticamente delineato.
2. Ritrovare il soggetto nell’ambito cristiano e in quello familiare: “tornino i
volti”
Quando uso il lemma: soggetto, non lo intendo in senso generico, cioè come quel
substrato a cui si attribuiscono determinate qualità; intendo indicare, invece, col
termine soggetto una decisiva concentrazione antropologica; come ben intuito da
Mounier e chiarito da Ricoeur e Lévinas, il soggetto, più che sostanza, è l’eccomi
dell’uomo, una presenza che diviene voce e iniziativa storica, in una continua
tensione tra l’io e il me (l’io, nel volume complessivo della persona, rappresenta il
polo attivo della soggettività, caratterizzato da una libertà agente pervasa di
responsabilità, mentre il me rappresenta il polo passivo della medesima soggettività,
che il polo attivo contempla, giudica, trasforma, avendo di fronte “se stesso come un
altro”).
Recuperare pienamente il valore di tale concentrazione antropologica mi pare
non solo necessario, ma anche urgente, essendo la persona l’alfa e l’omega di tutto
quel che esiste, che o è personale, o è appendice e strumento della vita personale
stessa. Quando parliamo, nell’ambito dell’esperienza cristiana, di conversione, è al
complesso della vita personale che dobbiamo far riferimento. Gesù Cristo,
nell’Evangelo, non si rivolge mai ad una folla anonima, ma chiama ognuno per nome,
rivolgendosi direttamente ad ogni cuore e ad ogni spirito (si consideri solo, fra i tanti
episodi, quello davvero toccante di Zaccheo, nascosto sul sicomoro, e scovato da
Gesù).
Si tenga presente, inoltre, la fondamentale dimensione della preghiera: nella
fiamma palpitante della preghiera, ardono le risorse umane della pazienza, della
creatività e dell’attesa, in una specie di condensazione spirituale: i vari aspetti della
persona sono come rilegati tra di loro, e riqualificati.
Nell’epoca post-strutturalista (lo strutturalismo ha teoreticamente fissato, e
divulgato, il tema dell’eclissi del soggetto), diventa decisivo il compito di
riqualificare la vita umana, ponendo al centro gli interrogativi: chi prende in cura?
Chi viene preso in cura? E quale cura, con quali specifiche modalità? Tali
interrogativi suonano pregnanti nell’odierna fase della modernità, che sembra
rappresentare un superamento di quello stadio della modernità che è stata definito,
legittimamente, come “regno della quantità”, a motivo della prevalente mentalità
matematista e meccanicista.
C’è un ultimo aspetto, che mi sembra però, forse, il più importante: occorre il
soggetto per costituire il nucleo profondo della figura del testimone (la prima
Epistola di Giovanni, cap. 5, fa coincidere la fede con la vittoria sul “mondo”, ma il
“mondo” più insidioso, e più difficile da debellare, è costituito dall’egoismo che
permea la nostra interiorità).
Qui, per le famiglie, s’innesta il delicato e decisivo tema dell’educare, che va
visto come un compito pieno di gioia, e non come un fardello angoscioso, sfociante
in una specie di incubo. Ma il tema della testimonianza non riguarda solo la vita
ecclesiale, o il compito educativo; i buddhisti birmani che rischiano la loro vita per la
pace, i morti per la libertà smarriti nei gelidi Gulag, o nei Lager, mostrano il valore
esemplare di una testimonianza che s’irradia da un carattere ben temperato, che le
difficoltà maturano, e non piegano.
Dunque, ricollocare al centro il soggetto, e la problematica del Volto dell’uomo,
vuol dire dare vigore alla continuità del soggetto giuridico, significa consolidare il
soggetto storico-politico, così esposto a fluttuazione e pressioni, facendo quindi
rifiorire quei valori e quelle speranze che per molti di noi sono essenziali.
La distruzione del soggetto ha prodotto e diffuso solo rassegnazione e, mi pare,
grigia indifferenza; una nuova concentrazione sul soggetto può ridare senso al soffrire
per la giustizia e per la verità, in modo che anche un sacrificio come quello di J.
Palach possa riprendere significato nella considerazione dei più giovani; come ha
scritto un poeta, sul giovane martire: “Fiamma delle altrui colpe/ e io come voi tutti
conosco la verità:/ un uomo vivo è morto/ e i morti sono rimasti in vita”.
Giuseppe Goisis
Docente di Storia della filosofia politica Università Ca’ Foscari Venezia