STEVE 47 / Rivista di Poesia / Inverno 2015 ­ Primavera 2016 / Edizioni del Laboratorio, Modena
FOSCA MASSUCCO
Un’armonia navigabile “…la tessitura
è il filo diretto continuo annodato ai due capi tutto ha avuto inizio”
A. Maugeri
C’è una parte del filo di lana più importante delle altre, il capo: quando si usa l’arcolaio, se malauguratamente si spezza il capo, segue un’operazione lunga e laboriosa per nascondere la rottura, per riprendere, concretamente, il filo del discorso. E Maugeri ci allerta immediatamente all’apertura del libro, “basta una piccola tensione nei minimi avvolgimenti generativi” e il gioco antico delle dita che muovono, l’avventura del racconto, tutto va a perdersi. Bisogna avvicinarsi con circospezione ai versi che scavallano quarant’anni di storia poetica, prendere in mano delicatamente il primo capo e iniziare il viaggio attraverso la brevissima sezione introduttiva che, guarda caso, ha come titolo proprio Il filo del discorso: una dichiarazione poetica, un’ammissione – mentre il filo scorre nelle mani, mentre i versi avanzano, ciò che non deve andare perso è il momento presente. La responsabilità poetica del qui e ora, imperterrito e costante per quarant’anni, attraversa obliquamente tutto il libro come necessità, come bisogno, a tratti come meta dolorosamente raggiungibile; perché vivere il presente attraverso la poesia significa interpretare, restituire e tramandare con tutti i pericolosi chiaroscuri che la scrittura in diretta pone davanti, con “il disegno della bellezza nella trama / la bellezza del disegno nell’ordito”.
Così, da tessitore accorto, il primo disegno, quello di Minimi variabili, Maugeri lo fa comporre ironicamente al lettore: come una macchia di Rorschach, ci si costruisce il significato personale, non solo emotivo, del testo – quale l’(.)rrore, cosa per ciascuno di noi ciò che muo(.)e lentamente, quale corr(.)zione di tiro ci accomuna? Maugeri avverte: non serve sondarne le origini; e l’espressione meta­matematica che chiude la sezione – mi(a)mi[mi(a)mi)]ca – possiede algebricamente una parentesi in più, chiusa senza mai essere stata aperta, prova che equilibrio e simmetria raramente sono significanti in materia poetica.
Si presenta per forza, quindi, la necessità di trovare un’armonia navigabile e solitaria come quella di Ulisse, un’interpretazione personale della realtà che conceda, a chi scrive e a chi vive, di catalogare il presente onnipresente, il continuo del momento in una progressione di immagini, di istantanee destinate a durare e significare.
E il naturalista della fantasia, come si definisce indirettamente Maugeri, raggruppa, cataloga e classifica con il suo occhio (parola inquietante e ripetuta continuamente nel libro) anche se, fin da subito, ci avverte: “la verità dell’occhio è la prima vittima di questa guerra”. Già, perché l’occhio è l’immediatezza del riflesso, è la reazione non curata, è lo scatto prima del pensiero: “sono altre le belve che l’occhio della camera cattura, attento agli improvvisi arrivi […]”.
E la bellezza, attraverso l’occhio e la sua verità, diventa misurata e composta solo perché chi la guarda è sopravvissuto ai propri dubbi, al silenzio, all’inspiegabile disordine rumoroso che la realtà in quanto tale genera costantemente. Gli occhi “guardano” impotenti il rumore, che arriva drammatico e reale dal folto della foresta e viene rielaborato internamente, fino a svanire nell’altro fiume dei pensieri. Perché è un porto di ininterrotti addii e arrivi quello dell’acqua dei pensieri, incessante e perpetuo fluire di immagini e (spesso) di rimpianti. Come interrompere l’eterno presente, lo scorrere incessante di rumore, incoerenti commiati, inspiegabili passioni?
Maugeri insegna: se tremano i pensieri, tutto va ad affievolirsi, anche la passione accesa; tutto precipita nel sonno, altro concetto prediletto. Anzi, fin da subito sarebbe opportuno definirlo so(.)no, un po’ Shakespeare, un po’ oriente: il sogno fornisce al poeta immagini fruttifere e fresche, una nuova consapevolezza identificata con figurazioni nette prima che si spengano i pensieri. Perché è prudente, oltre che salvifico, spegnere i pensieri se ci si affida al destino e alla sua risacca per scampare alla realtà: Maugeri ci incalza – siamo disposti a dormire con gente estranea in una camera d’albergo sovraffollata? Siamo capaci di fare ciao (“… così, con la manina!”) mentre viaggiamo su binari che portano (fin troppo) lontano? Il presagio, il momento divinatorio non è poi così lontano: la materia dei sogni shakespeariana si fonde col bardo, con la terra di mezzo in cui tutto si schiarisce e il reale si separa dal cosciente: “i bambini non ancora nati | venivano mentre dormivo | a guardarmi – | in silenzio nel sonno | a lungo mi sentivo osservato”.
Siamo, in fin dei conti, in grado di assaporare i momenti di grazia quando si presentano? Il libro ci risponde e si conclude con una serie di personali istantanee poetiche, minuscole sintesi di pensiero silenzioso: paesaggi dai colori fondamentali, luce prepotente che interpreta e restituisce la realtà, sentimenti assoluti e immediati, uomini impegnati in attività dinamiche, non più immersi nel pensiero. Per Maugeri la via da seguire è quella del fare, del tentare e sbagliare, dell’azzardare con animo finalmente leggero: pattinare su una rampa e (quasi) volare, correre su un circuito automobilistico e sfidare la pista bagnata di pioggia, tuffarsi da uno scoglio allargando le braccia come ali – le prove di impaginazione, l’ordine degli eventi sono un lavoro in progressione costante – il risveglio del poeta alla comprensione degli equilibri passa per la concreta lievità “dei bambini durante una specie di girotondo”. [Angelo Maugeri: PROVE D’IMPAGINAZIONE, Nuova Editrice Magenta 2015]