Il vero obiettivo di Uber? “Creare un monopolio”

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Il vero obiettivo di Uber?
“Creare un monopolio”
I
taxi
cost
ano
cari
e i
tass
isti
sono
spes
so
al centro di aspre polemiche. Specie in questi
ultimi giorni. E però, vediamo anche l’altra
faccia della medaglia. Almeno proviamoci. In un
articolo (parte di una serie) apparso su Naked
Capitalism, di cui fornirò il link al termine
di questo post, Hubert Horan, 40 anni di
esperienza nella gestione e regolamentazione
delle compagnie di trasporto (in primis
aerolinee) ha cercato di dimostrare che Uber –
la molto celebrata e altrettanto criticata
società di San Francisco nata come frutto
maturo della sharing economy e rapidamente
trasformata nella startup più sostenuta di
sempre dal venture capital (è stravalutata,
circa 70 miliardi di dollari) – non è poi il
toccasana che si vuole far credere, per un
sistema dei trasporti urbani che voglia essere
più efficiente. Né, soprattutto, che il
successo di Uber abbia come obbiettivo quello
di portare un contributo reale al benessere
economico, inteso nel suo senso più generale.
Spiega Horan che Uber è di fatto un’azienda non
redditizia, una startup che strutturalmente
accusa perdite operative come nessun’altra
prima. La capacità di Uber di sottrarre
clientela agli operatori incumbent, i taxi, per
intenderci, sarebbe dovuto, secondo Horan, al
massiccio funding degli investitori. I
passeggeri di Uber pagano soltanto il 41% del
costo del viaggio, mentre i concorrenti della
società fondata da Travis Kalanick devono
caricare il 100% del costo sulle spalle del
cliente. Una competizione “predatoria”, quella
di Uber, secondo Horan.
Horan fornisce poi le cifre della struttura dei
costi dell’industria dei taxi e sostiene che
Uber ha costi ben più alti. Del resto non è un
mistero che i massicci investimenti in decine
di città del mondo abbiano prodotto per Uber
una consistente perdita di bilancio, per oltre
quattro miliardi complessivi, di cui più di due
nel solo 2016.
La tesi dell’autore, in definitiva, è che Uber,
tenuta in piedi dalle generose sovvenzioni
degli investitori, non possa proprio generare
utili in un mercato che sia realmente
concorrenziale invece che drogato dal suo
strapotere finanziario. Mica poco per
un’azienda che si picca di essere altamente
innovativa ma che, per dire, si è andata a
schiantare in mercati in cui ha trovato
competitor più agguerriti e veloci negli
adattamenti al nuovo ecosistema, per esempio in
Cina.
E perché mai Uber non ci tiene a essere
competitiva? Perché, è la tesi centrale di
Horan, il suo modello di business ha per
obiettivo l’instaurazione di un monopolio. Un
convincimento, quello del massimo ritorno in
condizioni di monopolio, che ha fatto breccia
nelle menti e nei cuori dei venture capitalist
che hanno generosamente finanziato Uber.
Nessuno degli investitori che hanno fornito una
montagna di miliardi di dollari (13 quando è
stato scritto il post di Horan su Naked
capitalism) si sognava che quel denaro servisse
a sbaragliare i concorrenti in condizioni di
equa competizione (level playing field). Una
volta distrutta la concorrenza e conquistato il
mercato il piano sarebbe quello di tagliare
prezzi e paga ai conducenti delle auto sotto il
livello dei 12/17 dollari all’ora con cui
vengono pagati gli operatori tradizionali del
settore. Così sono buoni tutti, verrebbe da
dire…
Anche perché, in condizioni di monopolio Uber
potrebbe usare più facilmente la leva del surge
pricing, il picco di prezzo utilizzato
algoritmicamente (nella Silicon Valley qualcuno
direbbe “magicamente”) quando sale la richiesta
del servizio.
In definitiva, secondo Horan “il modello di
business di Uber è interamente basato sul
trasferimento della ricchezza da consumatori e
fornitori ai miliardari” dell’industria hi-tech
americana.
Una tesi radicale, che accusa anche i media di
avere fatto il gioco di Uber, sbandierandone
acriticamente la pretesa capacità di
innovazione, senza porsi la questione di fondo:
ovvero, se Uber sia realmente competitiva sotto
il profilo dei costi e dell’efficienza e se il
suo fine ultimo sia realmente beneficiare i
consumatori invece che assicurarsi il dominio
del mercato per poi agire indisturbata sul
fronte delle tariffe. Perché, si chiede Horan,
i più grandi quotidiani e le riviste
specializzate hanno esaltato le gesta di
Kalanick anche quando Uber ha palesemente
violato le regole vigenti nei Paesi in cui è
approdata, al solo scopo di mettere una parte
consistente del trasporto urbano nelle mani dei
suoi investitori?
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