SCIENZA IN PRIMO PIANO
CONDENSAZIONE DI BOSE-EINSTEIN DI
ATOMI DI POTASSIO MEDIANTE RAFFREDDAMENTO SIMPATETICO
G. Ferrari, M. Inguscio, G. Modugno, G. Roati
Laboratorio Europeo di Spettroscopia
Nonlineare (LENS), via Nello Carrara 1, 50019
Sesto Fiorentino (Firenze)
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La condensazione di Bose-Einstein (BEC) di
un gas di atomi venne ottenuta nel 1995, a
compimento di una delle avventure piuÁ appassionanti della fisica del secolo appena conclusosi (1). Il fenomeno eÁ quello per cui al di
sotto di una temperatura critica TC una consistente frazione degli atomi del gas «precipita»
nello stesso stato quantistico, quello di energia
piuÁ bassa. Questo effetto di occupazione macroscopica di un unico stato quantistico eÁ alla
base di vari fenomeni fondamentali in fisica
della materia, dalla superfluiditaÁ alla superconduttivitaÁ ed al laser. Proprio la vastitaÁ
degli sviluppi aperti da questa scoperta ha motivato l'assegnazione del premio Nobel per la
fisica 2001 (2). Su questa rivista sono giaÁ state
descritte le strategie sperimentali utilizzate per
il conseguimento della BEC (3) con atomi di rubidio (87 Rb), cioeÁ con il campione della scoperta
iniziale (4) rivelatosi anche quello piuÁ utilizzato
nei vari laboratori (5). Pertanto qui richiameremo solo brevemente gli aspetti generali per
concentrarci sull'illustrazione del nuovo metodo che ci ha consentito la condensazione di una
nuova specie, il potassio (41 K) (6). Per cominciare, bisogna osservare che dopo il Rb la
BEC eÁ stata osservata solo con poche altre
specie. La condensazione del sodio venne riportata subito dopo quella del rubidio (7) e
condensati esistono anche di Li, H, He e 85 Rb. La
ragione della gamma limitata di specie condensate sta nel fatto che la temperatura critica TC eÁ
bassissima, in genere di decine di nanokelvin, e
l'obbiettivo della BEC viene raggiunto con pas-
saggi delicati e con l'uso combinato di meccanismi di raffreddamento diversi: il raffreddamento laser ed il raffreddamento evaporativo.
Con il raffreddamento laser il gas viene portato
a temperature di alcuni microkelvin. Gli atomi,
dotati di un momento magnetico, possono
quindi essere confinati in trappole magnetiche
anche di non grande profonditaÁ, quali quelle
prodotte da bobine percorse da correnti moderate. Si puoÁ quindi ottenere un'ulteriore diminuzione della temperatura del campione per
evaporazione forzata dalla trappola. Questo
processo eÁ molto critico e consiste nell'eliminare selettivamente gli atomi piuÁ «caldi» e nel
lasciare che gli altri collidendo tra di loro termalizzino a temperature sempre piuÁ basse. Oltre
che dalla configurazione sperimentale, il successo dipende molto dalle proprietaÁ degli atomi,
dato che sono necessarie collisioni frequenti ed
efficienti. In pratica occorre che le collisioni
elastiche, che portano alla termalizzazione,
predominino rispetto a quelle inelastiche che si
traducono in perdite di atomi nello stato quantistico selezionato. Le proprietaÁ delle collisioni
a bassissime temperature sono difficilmente
prevedibili ed nella maggior parte dei casi si
scoprono solo tentando gli esperimenti.
Due casi esemplari di specie atomiche alcaline mancanti alla lista dei condensati sono il
potassio ed il cesio. Per il potassio, infatti, il
primo stadio di raffreddamento laser , a causa di
una separazione iperfine dei livelli energetici
estremamente ridotta (8), non permette di raggiungere quel regime di densitaÁ e temperatura
necessario per innescare una evaporazione efficace. Per il cesio, invece, il raffreddamento
laser eÁ efficiente, ma la presenza di importanti
processi di perdita legati a collisioni inelastiche
tra gli atomi freddi impedisce il raggiungimento
della BEC. A Firenze abbiamo sviluppato con
successo una diversa tecnica di raffreddamento
e la abbiamo efficacemente applicata al potassio, ottenendone la condensazione. Questa
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specie atomica eÁ particolarmente interessante
proprio per la presenza di due isotopi bosonici
(39 K e 41 K) ed uno fermionico (40 K), che la rendono un candidato ideale per lo studio di gas
degeneri che seguano entrambe le statistiche
quantistiche. La strategia che abbiamo scelto si
basa sulla tecnica di raffreddamento detto
«simpatetico» per cui il campione, elusivo ad
altre tecniche di raffreddamento, si pone in
contatto termico con un altro gas «refrigerante», che invece puoÁ essere facilmente raffreddato. Questo metodo, originariamente introdotto per gli ioni, era stato applicato con
successo solo a misture di due stati o isotopi
dello stesso atomo. Per il potassio abbiamo seguito la via del miscelamento con una specie
atomica completamente diversa, e cioeÁ col rubidio, che eÁ atomo per cui eÁ relativamente
«semplice» ottenere condensati e temperature
di poche decine di nK.
L'apparato sperimentale utilizzato per l'intrappolamento e il raffreddamento della miscela
si basa su una nuova versione perfezionata del
sistema a doppia trappola magneto-ottica
(MOT), giaÁ utilizzato nel nostro laboratorio per
gli esperimenti col rubidio. Gli atomi di un vapore termico sono catturati e raffreddati in una
prima MOT, e quindi spinti da un fascio di luce
risonante in una camera tenuta in condizioni di
ultra alto vuoto (10 11 Torr), dove vengono
nuovamente intrappolati in una seconda MOT. A
questo punto il campione atomico, preraffreddato a temperature dell'ordine di 100 K, puoÁ
essere trasferito in un potenziale puramente
magnetico, dove si effettua la procedura di
evaporazione forzata. La giaÁ notevole complessitaÁ di un apparato del genere eÁ, per il raffreddamento simpatetico, ulteriormente accresciuta dalla richiesta di intrappolamento simultaneo di due specie atomiche differenti. In
particolare eÁ necessario manipolare allo stesso
tempo entrambi i campioni atomici con le due
radiazioni laser a lunghezza d'onda diversa.
Nella seconda MOT riusciamo comunque ad
ottenere campioni di circa 109 atomi di Rb e 107
atomi di K. Questi atomi hanno lo stesso spin
nucleare (I ˆ 3=2) e pertanto lo stesso momento
angolare totale F nello stato elettronico fondamentale. Il successivo intrappolamento magnetico si ottiene preparando gli atomi nel sottolivello dello stato fondamentale con momento
angolare maggiore (jF ˆ 2; MF ˆ 2i per entrambi) e creando un opportuno campo magnetostatico con una serie di bobine. Gli atomi
sono intrappolati in una regione di minimo di
campo megnetico nella quale compiono oscillazioni armoniche con due sole frequenze caratteristiche, conseguenza della simmetria cilindrica del potenziale che otteniamo con la
nostra configurazione di bobine. Dal momento
che i due diversi atomi hanno lo stesso momento
magnetico e quindi sono sottoposti alla stessa
forza di richiamo, le frequenze di oscillazione
per il K sono scalate rispetto a quelle del Rb per
un fattore pari alla radice del rapporto delle
masse: …MRb =M K †1=2 . Questa caratteristica ha
delle conseguenze importanti, come vedremo in
seguito, sia per lo studio dell'interazione tra le
due specie, che per raggiungimento delle condizioni di degenerazione quantistica. Il trasferimento dalla MOT comporta una perdita di
atomi, e quindi nella trappola magnetica tipicamente risultano intrappolati 3 108 atomi di Rb
insieme a 3 106 di K. Al momento della carica
la temperatura del campione di K eÁ circa 300 K,
mentre quella del Rb eÁ circa 100 K. Il parametro che descrive l'evoluzione di un processo
evaporativo verso il regime di degenerazione
quantistica eÁ la densitaÁ nello spazio delle fasi
ˆ n3dB , dove n eÁ la densitaÁ e dB eÁ la lunghezza
d'onda di deBroglie associata all'atomo. Dal
momento che in una trappola armonica tale
quantitaÁ eÁ legata al numero di atomi ed alla
temperatura secondo N=T 3 , appare chiaro che il
campione di K, meno denso e piuÁ ``caldo'', a
questo stadio eÁ piuÁ lontano rispetto al Rb di un
fattore circa 3000 dalla condizione critica
2:6. Proprio per queste limitazioni nei tentativi precedenti non era stato possibile innescare il processo di raffreddamento evaporativo
operando direttamente sul potassio [5]. Nell'attuale esperimento l'idea eÁ quella di indurre
l'evaporazione dalla miscela dei soli atomi di
rubidio. Generalmente gli atomi vengono fatti
evaporare inducendo transizioni a radiofrequenza verso sottolivelli Zeeman non magnetici o col momento magnetico invertito rispetto a quello di partenza. Nel nostro caso con
la transizione a radiofrequenza non discrimineremmo tra Rb e K che, come abbiamo detto, hanno gli stessi numeri quantistici, e percioÁ
ricorriamo a passaggi a stati magnetici non intrappolati mediante transizioni a microonda,
come riportato in fig. 1. In questo modo eÁ possibile distinguere tra Rb e K, che hanno strutture
iperfini diverse. La dipendenza spaziale della
risonanza a microonde, indotta dallo spostamento Zeeman, permette di controllare con
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IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 1. ± Raffreddamento simpatetico in una miscela
gassosa rubidio ( 87 Rb) e potassio ( 41 K). Gli atomi di Rb
vengono raffreddati direttamente e selettivamente
per evaporazione forzata, utilizzando la transizione
iperfine a microonde (6.8 GHz) per trasferire gli atomi
piuÁ «caldi» nello stato fondamentale, in cui non sono
piuÁ intrappolati. Gli atomi di K, non influenzati dalle
microonde, si raffreddano mediante collisioni con il
Rb, in principio senza perdite.
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precisione l'espulsione degli atomi con energia
maggiore di una definita soglia di evaporazione.
In seguito, attraverso le collisioni elastiche tra
gli atomi rimasti nella trappola, il sistema si riporta all'equilibrio termodinamico, ad una temperatura inferiore a quella di partenza; abbassando gradualmente la soglia di evaporazione in
un intervallo di tempo di circa 50 s, il campione
di Rb puoÁ essere portato fino a temperature inferiori a 100 nK. Allo stesso tempo, grazie al
contatto termico con gli atomi di Rb, anche gli
atomi di K si raffreddano. Questo rivela una
forte interazione collisionale tra le due specie,
cosa estremamente favorevole non prevedibile
a priori. In fig. 2A, si riporta l'andamento della
temperatura di entrambe le specie in funzione
della soglia di evaporazione, misurata rispetto al
fondo della trappola.
Sperimentalmente, misuriamo la temperatura
ed il numero di atomi per entrambe le specie
sfruttando una tecnica di presa di immagini in
assorbimento: il campo magnetico che confina
gli atomi viene rapidamente annullato, e gli
atomi vengono illuminati con un breve impulso
di luce risonante dopo qualche millisecondo di
espansione in caduta libera. L'assorbimento
degli atomi viene raccolto da una telecamera
CCD e confrontato con un'immagine di riferimento per estrarre il profilo di densitaÁ bidimensionale del campione. Poiche le lunghezze
d'onda di assorbimento delle due specie sono
diverse, eÁ possibile rivelare contemporaneamente le due distinte distribuzioni di densitaÁ di
Rb e K nello stesso ciclo di acquisizione. Una
Fig. 2. ± Evoluzione della temperatura (A) e del numero di atomi (B) in funzione dell'energia della soglia
di evaporazione (in unitaÁ di costante di Planck h) durante il processo di raffreddamento simpatetico. Il
campione di Rb (cerchi blu) e quello di K (triangoli
rossi) termalizzano a causa di una forte interazione
tra le due specie. Nel processo non vengono persi molti
atomi di K poiche l'evaporazione eÁ effettuata soltanto
sul Rb. Come discusso nel testo, il cambio della velocitaÁ di raffreddamento non appena il numero di atomi
delle due specie diventa confrontabile (attorno ad
1 MHz) eÁ dovuto dell'aumentato carico termico del K
sul Rb.
ricostruzione tridimensionale dei profili di densitaÁ cosõÁ ottenuti eÁ mostrata, ad esempio, in
fig. 3. La distribuzione di densitaÁ dopo l'espansione libera riflette la distribuzione di velocitaÁ
degli atomi al momento del rilascio dalla trappola (per un gas termico questa eÁ una maxwelliana): quindi con una procedura di fit con una
gaussiana si ricavano allo stesso tempo informazioni sulla temperatura (dalla larghezza) e sul
numero di atomi (dall'integrale).
Uno dei prezzi che si pagano al raffreddamento evaporativo eÁ quello della drastica riduzione del numero di atomi del campione. Difatti in fig. 2B si evidenzia una diminuzione di
circa tre ordini di grandezza del numero di
atomi di rubidio. Un vantaggio del raffreddamento simpatetico eÁ che non si ha «evaporazione» di atomi di potassio perche l'evaporazione eÁ selettiva sul rubidio e questo, al-
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Fig. 3. ± Evoluzione dei profili di densitaÁ dei campioni di K e di Rb a tre diversi stadi del processo evaporativo,
ricavati con una tecnica di immagine in assorbimento. Si noti l'aumento di densitaÁ del K al diminuire della temperatura. Al contrario, la densitaÁ del Rb rimane circa costante durante tutto il processo, per ridursi nell'ultimo stadio
di evaporazione.
meno in principio, lo rende attraente per gli
isotopi poco abbondanti. In realtaÁ si osserva
una riduzione anche per il K, dovuta principalmente a collisioni inelastiche tra gli atomi di
Rb ed di K che spostano alcuni di questi ultimi in
stati magnetici non confinati. All'inizio dell'evaporazione le collisioni di questo tipo sono
dovute alla presenza di una piccola frazione
(qualche percento) di atomi di Rb in un altro
stato magnetico intrappolato (jF ˆ 2; MF ˆ 1i)
che, pur non rappresentando un problema per il
campione di Rb, possono produrre un effetto
drammatico sul campione di K a causa della
consistenza numerica simile. Al diminuire del
numero di atomi di Rb per effetto dell'evaporazione forzata questo canale di perdita
di K viene soppresso ma, a temperature molto
basse (al di sotto di 1 K) se ne apre uno nuovo,
questa volta dovuto a collisioni tra atomi di K
che ne invertono il momento magnetico e quindi
ne causano l'espulsione dalla trappola. Questo
tipo di collisioni eÁ importante solo ad elevate
densitaÁ, ed infatti si osserva soltanto nella fase
finale del processo di raffreddamento. Dai dati
riportati in fig. 2 si puoÁ notare come al momento
in cui la soglia di evaporazione eÁ intorno a
0.1 MHz il numero di atomi di K si eÁ ridotto di un
fattore 10 rispetto alle condizioni iniziali, mentre la temperatura eÁ scesa di un fattore 400; dal
momento che in un potenziale armonico la
densitaÁ eÁ proporzionale a NT 3=2 , essa risulta
cosõÁ 800 volte quella iniziale. A questo punto la
densitaÁ eÁ circa 4 1011 cm 3 , e le collisioni K-K
sopra menzionate la mantengono costante
attorno a questo valore durante la rimanente
evaporazione.
Paradossalmente, queste ultime perdite nel
campione di K favoriscono il processo evaporativo e permettono di raggiungere le basse
temperature osservate, come eÁ possibile dedurre da semplici osservazioni termodinamiche.
La capacitaÁ termica di ciascun campione eÁ proporzionale al numero di atomi, e quindi nella
prima parte del processo di raffreddamento la
capacitaÁ termica del Rb eÁ molto piuÁ grande di
quella del K, e di conseguenza il carico termico
di quest'ultimo sul Rb eÁ trascurabile. Lo scenario cambia non appena il numero di atomi delle
due specie diventa confrontabile, attorno ad un
valore di 0.3 MHz per la soglia di evaporazione.
Come si puoÁ notare dalla fig. 2A, per questo
valore si osserva una repentino cambio di pendenza della curva che esprime la variazione
della temperatura con la soglia di evaporazione.
Questo eÁ proprio il risultato dell'aumentato carico termico del K sul Rb, che riduce l'effetto
sulla temperatura della rimozione per evaporazione forzata di una stessa quantitaÁ di atomi di
Rb. Se quindi il numero di atomi di K non diminuisse all'ulteriore calo di quelli di Rb, la temperatura del sistema sarebbe determinata dal K
e non piuÁ dal Rb, con il conseguente arresto del
processo di raffreddamento simpatetico.
Per descrivere l'evoluzione dei due campioni alle
piuÁ basse temperature raggiunte occorre ricordare
che la temperatura critica per la formazione di un
condensato di Bose-Einstein di atomi confinati in un
1=3
potenziale armonico eÁ T C ˆ h=kB !…N=1:202†
,
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IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 4. ± Ricostruzione tridimensionale dell'evoluzione del campione di K alla transizione di fase verso il condensato
di Bose- Einstein. Le distribuzioni di densitaÁ sono stati acquisiti dopo 15 ms di espansione balistica, e quindi riflettono le distribuzioni di velocitaÁ degli atomi nella trappola magnetica. Da destra verso sinistra: campione termico
(T > TC ); campione misto (T T C ); condensato quasi puro (T < T C ). Il numero di atomi eÁ intorno a 10 4 e T C 150 nK.
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ˆ …!ax !rad !rad †1=3 eÁ la frequenza di oscildove !
lazione media (9). Per la nostra miscela, a paritaÁ di
numero di atomi questa temperatura eÁ piuÁ alta per
il campione di K, a causa della massa piuÁ piccola
che implica una frequenzapdi
 trappola media
maggiore di circa un fattore 2. Questo eÁ cioÁ che
effettivamente accade nell'esperimento, dal momento che tipicamente nella fase finale del processo di raffreddamento simpatetico il numero di
atomi delle due specie eÁ confrontabile. Quando la
soglia di evaporazione eÁ spinta in basso fino a
40 kHz osserviamo un netta trasformazione della
distribuzione di velocitaÁ degli atomi di K, come
riportato in fig. 4: appare un picco centrale corrispondente a velocitaÁ estremamente basse, che
inoltre non segue una distribuzione gaussiana.
Questo eÁ il segnale della transizione di fase verso il
regime di condensazione di Bose-Einstein che,
come detto, consiste nell'occupazione macroscopica dello stato quantistico fondamentale del
sistema. A questo punto il numero tipico di atomi
del campione di K eÁ 104 , e la temperatura della
frazione di atomi che ancora segue una distribuzione classica eÁ 160 nK, valore ben consistente con la temperatura critica aspettata
T C ˆ 150 nK. Proseguendo ulteriormente con l'evaporazione del Rb, e quindi con il raffreddamento
della miscela, si osserva un aumento della frazione
di atomi condensati, ed una progressiva riduzione
della parte termica. Il campione di Rb, che nel
particolare ciclo sperimentale che abbiamo descritto eÁ composto anche esso da circa 104 atomi,
segue ancora una distribuzione classica all'apparire della BEC di K, poiche la sua temperatura critica eÁ minore. Ottimizzando la cattura del
Rb nella trappola magnetica eÁ in realtaÁ possibile
giungere alla temperatura critica per la condensazione del K con un numero di atomi di Rb
maggiore di circa un fattore 3, il che permette di
ottenere la condensazione simultanea degli atomi
di K e di Rb.
Tutti i risultati discussi fino ad ora indicano
una forte interazione tra gli atomi di K e di Rb,
che eÁ stato anche possibile caratterizzare con
misure quantitative. Infatti la differenza delle
frequenze di oscillazione per le due specie offre
Fig. 5. ± Una misura dell'efficacia delle collisioni K-Rb
che consentono la rapida termalizzazione tra i due gas,
confinati in una trappola armonica. A causa delle
masse diverse si puoÁ far risuonare (e riscaldare) selettivamente il Rb. La figura riporta il conseguente
riscaldamento del K, e dal tempo di termalizzazione si
ricava il valore della lunghezza di scattering K-Rb, il
parametro necessario a descrivere le collisioni elastiche a bassa temperatura.
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uno strumento diretto per l'osservazione di fenomeni di dinamica collisionale. La misura si
basa sull'eccitazione selettiva del moto di una
delle due componenti, sfruttando il processo
del riscaldamento parametrico, e sullo studio
del successivo riscaldamento dell'altra componente, mediato da collisioni termalizzanti. Una
volta che la miscela delle due specie eÁ stata
raffreddata nella trappola magnetica fino a pochi K, la forza magnetica di confinamento degli atomi viene leggermente modulata per un
centinaio di ms, grazie ad un sistema di bobine
aggiuntive, ad una frequenza esattamente doppia della frequenza di oscillazione radiale del
Rb. Questa «compressione» modulata nel tempo provoca un rapido riscaldamento del campione di Rb stesso, senza perturbare direttamente il K. I successivi eventi collisionali tra Rb
e K fanno termalizzare la miscela ad una temperatura piuÁ alta di quella di partenza del K.
Attraverso un semplice modello eÁ possibile risalire dal tempo di termalizzazione alla sezione
d'urto per collisioni elastiche K-Rb. A queste
basse temperature le collisioni tra sono caratterizzabili con un unico parametro, la lunghezza di scattering a, a cui eÁ legata direttamente la sezione d'urto ˆ 4a2 . Il valore ottenuto con questo tipo di misura risulta essere
jaj 200 a0 , in unitaÁ di raggio di Bohr
(a0 ˆ 0:0529 nm). Questo valore eÁ tra i piuÁ elevati tra quelli misurati per le specie alcaline (ad
esmpio a=108 a0 per il Rb), e giustifica l'efficienza del processo di raffreddamento simpatetico osservata.
Abbiamo mostrato come sia possibile ottenere un condensato di atomi di potassio mediante raffreddamento simpatetico con atomi di
rubidio. Il successo di questo metodo innovativo eÁ in definitiva dovuto sia alla relativa facilitaÁ
di raffreddamento del rubidio con la tecnica
evaporativa usuale, sia alla notevole interazione tra le due specie. Questo risultato eÁ particolarmente importante non solo perche una
nuova specie atomica finora elusiva eÁ stata
portata nel regime di degerazione quantistica,
ma anche perche si eÁ dimostrata la fattibilitaÁ del
raffreddamento simpatetico fino a temperature
estreme tra due specie atomiche distinte. Questo apre una nuova strada per ottenere campioni degeneri di una varietaÁ di specie molto piuÁ
larga di quelle finora accessibile. Una ovvia
estensione di questo lavoro potrebbe essere il
raffreddamento simpatetico dell'isotopo fermionico del K, ancora una volta con il Rb. In
questo caso la tecnica permetterebbe di raggiungere temperature ben al di sotto della
temperatura di Fermi (T F ), superando le difficoltaÁ intrinseche nel raffreddamento del fermione da solo. Infatti, come conseguenza del
principio di antisimmetrizzazione le collisioni a
temperature ultrabasse tra fermioni identici
sono proibite, e quindi il raffreddamento evaporativo deve essere compiuto su una miscela
di fermioni distinguibili in due stati magnetici
diversi, con le conseguenti complicazioni sperimentali ( 10). Inoltre la natura stessa della distribuzione di Fermi-Dirac a temperature al di
sotto di T F , contrariaramente al caso di quella di
Bose-Eistein, porta ad un blocco dei processi
collisionali necessari all'evaporazione (11). Nel
caso del raffreddamento simpatetico con un gas
di bosoni, entrambe queste limitazioni vengono
aggirate. Si noti che nel procedimento di raffreddamento simpatetico fermione-bosone la
minima temperatura ottenibile eÁ comunque fissata dalla temperatura critica della componente
bosonica. Infatti, il contatto termico tra i due
campioni necessario per il processo di raffreddamento si riduce drammaticamente non
appena il campione bosonico collassa nello
stato fondamentale, diminuendo di dimensioni,
come osservato nei recenti esperimenti sugli
isotopi di litio [11]. Nel caso della miscela K-Rb,
la maggiore massa del Rb (si noti che il Rb eÁ
quello di maggior massa tra i condensati esistenti), e quindi le minore temperatura critica di
quest'ultimo, permetterebbe di abbassare
p questa temperatura limite di un fattore 2. Il raggiungimento di temperature T T F eÁ uno dei
problemi aperti nella fisica dei gas degeneri,
poiche eÁ un requisito fondamentale per l'osservazione di fenomeni di superfluiditaÁ (grazie
alla formazione di coppie di Cooper) in un gas
di fermioni degeneri.
PiuÁ in generale, eÁ possibile in principio realizzare esperimenti per raffreddare altre specie
atomiche, o addirittura molecolari, fino alle
condizioni di degerazione quantistica sfruttando
ancora il Rb come gas refrigerante. Vi sono infatti numerose specie che possono essere portate fino a temperature nell'intervallo 1K±1mK
con tecniche di raffreddamento laser o simili,
ma per le quali il raffreddamento evaporativo
non puoÁ funzionare. Tra i candidati possibili per
questo tipo di studio sono senz'altro atomi alcalino-terrosi come ad esempio il calcio e lo
stronzio, che hanno attualmente un rilevante
interesse per misure metrologiche: la possibilitaÁ
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IL NUOVO SAGGIATORE
di raffreddare tali specie a temperature prossime a quelle di degenerazione permetterebbe di
ottenere standard di frequenza piuÁ precisi di
quelli attuali. D'altra parte la possibile formazione di un condensato di Bose-Einstein di molecole darebbe accesso ad un nuovo tipo di sistemi con molti gradi di libertaÁ interni (gli stati
rotazionali della molecola) su cui studiare l'evoluzione di sovrapposizioni di stati quantistici
con una scelta piuÁ ampia del caso atomico. Incoraggiati dai risultati dell'esperimento di raffreddamenti simpatetico sul potassio, altri
gruppi sperimentali stanno appunto sviluppando esperimenti per raffreddare molecole di
varie specie con il Rb.
Bibliografia
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Per un'introduzione didattica al problema si puoÁ fare riferimento a C. Fort, M. Artoni, M. Inguscio, Quad. Storia
Fis. 9 (2001) 5768.
Si veda G. M. Tino, Il premio Nobel per la Fisica del 2001,
vol. 17 no. 5-6 (2001) 93.
M. Inguscio, Nuovo Saggiatore 15, no. 3-4 (1999) 48.
M. H. Anderson, J. R. Ensher, M. R. Mattews, C. E. Wieman, E. A. Cornell, Science 269 (1995) 198.
M. Inguscio, S. Stringari, C. E. Wieman, (Editors), BoseEinstein Condensation in Atomic Gases, in Proceedings
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G. Modugno, G. Ferrari, G. Roati, R. J. Brecha, A. Simoni,
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LE CORRELAZIONI DI BOSE-EINSTEIN
NELLA FISICA SUBNUCLEARE E IN ASTROFISICA.
M. Cuffiani e G. Giacomelli
Dipartimento di Fisica dell'UniversitaÁ e I.N.F.N.,
viale C. Berti-Pichat 6/2, I-40127 Bologna.
1. ± Introduzione
Nel 1953 i radioastronomi R. Hanbury-Brown e
R. Q. Twiss proposero una nuova tecnica interferometrica per la misura delle dimensioni delle
sorgenti stellari (1). A differenza della usuale
tecnica, realizzata con interferometri di tipo Michelson e basata sulla interferenza delle ampiez-
ze, il nuovo metodo comportava invece la misura
dell'interferenza delle intensitaÁ. I segnali da sorgenti situate in punti diversi sulla superficie di
emissione di una radiostella si correlano se le due
stazioni riceventi dell'interferometro sono vicine
tra loro; all'aumentare della distanza tra le due
stazioni la correlazione decresce. Come mostrato
in fig. 1a, la radiazione proveniente dalla sorgente
stellare eÁ rivelata dai rivelatori di intensitaÁ P1 e P2
i cui segnali vengono poi fatti interferire nel
moltiplicatore C. L'uscita del moltiplicatore viene
infine inviata all'integratore temporale M, per
ottenere una media nel tempo. La dipendenza
della correlazione dalla distanza tra le due stazioni permette di misurare il diametro angolare di
una singola stella. La fig. 1b mostra i risultati ottenuti da Hanbury-Brown e Twiss nel caso della
stella Sirio. Da questi dati eÁ stato ottenuto un
diametro angolare per Sirio di 0.0069 0.0004
secondi d'arco.
Alcuni anni dopo G. Goldhaber ed altri (2)
applicarono lo stesso principio in un ambito
diverso, la fisica delle particelle elementari,
misurando le dimensioni della sorgente che
emette pioni identici a seguito di una annip). L'osservachilazione antiprotone-protone (p
zione che l'apertura angolare in coppie di pioni
di uguale carica era in media inferiore rispetto a
quella in coppie di carica diversa venne interpretata come un effetto della statistica di BoseEinstein per i pioni (che sono adroni con spin 0).
Dalla simmetrizzazione della funzione d'onda di
due pioni identici si ottenne una funzione di
correlazione che riproduceva i risultati sperimentali nell'ipotesi che il raggio della sfera di
p,
emissione dei due pioni identici, in collisioni p
fosse compreso tra 0.7 e 1.1 fm (1 fm = 10 15 m).
In questa nota saraÁ utilizzato il simbolo
BEC (Bose-Einstein Correlations) per riferirsi a questo effetto. Nei paragrafi che seguono verranno descritti i metodi di indagine per lo
studio delle BEC e verranno presi in esame alcuni dei risultati piuÁ recenti in questo campo, in
particolare quelli ottenuti al collisionatore LEP
del CERN di Ginevra, in collisioni positroneelettrone (e‡ e ) ad energie di 91 GeV (e superiori) nel sistema del centro di massa (c.m.).
2. ± Correlazioni di Bose-Einstein tra bosoni
identici
Le correlazioni di Bose-Einstein hanno origine dall'interferenza tra le intensitaÁ, misurate in
M. CUFFIANI E G. GIACOMELLI: LE CORRELAZIONI DI BOSE-EINSTEIN NELLA FISICA SUBNUCLEARE E IN ASTROFISICA
Fig. 1. ± (a) Schema del radiointerferometro di intensitaÁ di Hanbury-Brown e Twiss: le intensitaÁ misurate in P1 e P 2
vengono prima correlate nel moltiplicatore C e poi mediate nel tempo tramite l'integratore M. (b) Dipendenza della
correlazione in intensitaÁ (fornita dall'uscita di M) dalla distanza tra i due rivelatori; i dati si riferiscono alla stella
Sirio (1).
rivelatori distinti, di bosoni identici emessi in
modo incoerente da sorgenti separate. Questa
interferenza eÁ causata dalla ambiguitaÁ del cammino dalle sorgenti ai rivelatori ed eÁ chiamata
interferenza del secondo ordine per distinguerla
dalla «usuale» interferenza che si verifica tra le
funzioni d'onda quando le ampiezze sono coerenti, cioeÁ correlate in fase.
Seguendo lo schema illustrato in fig. 2 e indicando con fa ( fb ) l'ampiezza della funzione
d'onda del bosone emesso dalla sorgente a (b) e
con I A (I B ) l'intensitaÁ misurata nel rivelatore A
(B), risulta che hI A i ˆ hI B i ˆ hj fa j2 ‡ j fb j2 i, in
Fig. 2. ± Schema di un esperimento per la misura delle
correlazioni di Bose-Einstein. a e b sono due sorgenti,
separate da una distanza R, mentre A e B sono due
rivelatori. Le particelle possono andare dalle sorgenti
ai rivelatori come a ! A, b ! B oppure a ! B, b ! A. Gli
angoli e rappresentano, rispettivamente, l'apertura
angolare della sorgente rispetto al rivelatore e l'apertura angolare del rivelatore rispetto alla sorgente.
quanto il termine di interferenza si annulla, essendo le sorgenti a e b incoerenti; il simbolo hIi
rappresenta la media temporale dell'intensitaÁ.
Se si moltiplica il segnale di intensitaÁ in A per
quello in B e poi si media nel tempo, si ottiene
hIA IB iˆh…jfa j2 ‡j fb j2 †2 i‡2hjfaj2 j fb j2 cos‰2k…a1 b2 †Ši;
dove k ˆ 2= eÁ l'impulso e eÁ la lunghezza
d'onda di de Broglie del bosone; quindi il termine di interferenza del secondo ordine non eÁ nullo.
Dalla fig. 2 si vede che 2…a1 b2 † ˆ R ˆ AB: la
misura sperimentale di M ˆ hI A I B i consente di
ricavare il «raggio» R oppure l'apertura angolare della sorgente.
L'interferenza dipende dalla distribuzione spaziale delle sorgenti dei bosoni identici, dal loro
grado di incoerenza e dalla differenza tra gli
istanti di emissione. Nella produzione di particelle
in collisioni di alta energia le BEC si manifestano
come un aumento della probabilitaÁ per due (o piuÁ)
bosoni identici di essere emessi con differenze di
quadri-impulsi piuÁ basse rispetto a quelle di particelle non identiche prodotte nelle stesse condizioni cinematiche. Per una coppia di pioni con
quadri-impulsi p1 e p2 misurati nel sistema del c.m.
dell'evento, la funzione di correlazione viene
espressa in funzione del modulo Q della differenza (p2 p1 ). La funzione di correlazione
…1†
C…Q† ˆ
…p1 ; p2 †
ˆ 1 ‡ ^…Q†;
…p1 †…p2 †
eÁ il rapporto tra la densitaÁ di coppie di bosoni
identici ed il prodotto delle densitaÁ di singola
particella. Nella (1) ^…Q† eÁ la trasformata di
Fourier, nello spazio dei quadri-impulsi, della
47
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 3. ± Funzione di correlazione C(Q) per due pioni
identici ottenuta al LEP utilizzando come campione di
riferimento coppie di pioni di carica opposta. La curva
continua eÁ il fit all'eq. (2).
48
distribuzione di probabilitaÁ spazio-temporale
della sorgente.
Sperimentalmente, la C…Q† viene misurata come
il rapporto tra la densitaÁ di coppie di bosoni identici …p1 ; p2 † e la densitaÁ 0 …p1 ; p2 † di coppie che
hanno le stesse caratteristiche, tranne per il fatto di
non presentare BEC («campione di riferimento»).
Le tecniche piuÁ comuni per ottenere 0 …p1 ; p2 †
consistono nell'utilizzare coppie di bosoni di carica opposta oppure coppie costruite artificialmente
utilizzando particelle di uguale carica, ma appartenenti ad eventi diversi. La fig. 3 mostra un
esempio di funzione di correlazione per due pioni:
il picco a bassi Q eÁ dovuto alle BEC. Una volta
misurata, C…Q† viene parametrizzata con la funzione di Goldhaber, che rappresenta la trasformata
di Fourier ^…Q† nella ipotesi di sorgente sferica con
distribuzione gaussiana dei punti di emissione
…2†
C…Q† ˆ 1 ‡ e
…Q2 R2 †
;
dove R, il «raggio» della sfera di emissione, eÁ tanto
piuÁ grande quanto piuÁ eÁ stretto il picco a piccoli Q. Il
parametro misura il grado di incoerenza tra le
sorgenti: ˆ 0 nel caso di massima coerenza e ˆ 1
per massima incoerenza, cioeÁ nel caso delle BEC.
2.1. ± Correlazioni tra due pioni carichi.
Lo studio sperimentale delle BEC riguarda
principalmente coppie di pioni carichi ( ) a
causa della loro produzione abbondante; circa il
90% degli adroni carichi prodotti nelle collisioni
eÁ costituito da pioni. Le correlazioni tra adroni
carichi sono quindi, sostanzialmente, correlazioni tra pioni carichi; il valore di che si ottiene
eÁ peroÁ piuÁ basso di quello che si avrebbe con un
campione puro di pioni.
I parametri R e sono stati misurati per sistemi prodotti a varie energie e in diversi
p, e‡ e ,
tipi di interazione (3): collisioni p, pp, p
ep ed altre. I risultati ottenuti in reazioni e‡ e !
X, dove X rappresenta l'insieme delle altre
particelle prodotte nella collisione, mostrano
che i valori del parametro R variano nell'intervallo 0.8±1 fm, in modo indipendente dall'energia della collisione; un valore tipico di eÁ
all'incirca 0.5 (dovrebbe essere 1 nel caso di
sorgenti completamente incoerenti e di campioni di riferimento 0 …p1 ; p2 † ideali). Analisi in
collisioni ep all'energia di 300 GeV hanno dato
R ˆ …0:68 0:06† fm con errore dominato da incertezze sistematiche. Tale valore eÁ in buon
accordo con altri esperimenti leptone-nucleone
ad energie inferiori, ad esempio con i risultati
dell'esperimento WA25 che ha misurato le BEC
in collisioni (anti)neutrino-deuterio. Due esperimenti al CERN, le collaborazioni ABCDHW
S, hanno studiato
agli ISR e UA1 al collider Spp
p ad energie nel c.m. di 63 e 630
collisioni pp e p
GeV: R varia da 0.73 fm a 1.13 fm, con errori di
circa il 10±15%. Entro le incertezze sperimentali
non si osservano differenze nei parametri ottep ad alta energia.
nuti in collisioni pp e p
Le due tecniche sopracitate forniscono campioni
di riferimento non ideali percheÁ contengono correlazioni residue non possedute dal campione di pioni
identici; eÁ quindi difficile un confronto dettagliato
tra risultati ottenuti da esperimenti che utilizzano
campioni di riferimento diversi. Si deve inoltre ricordare che solo una piccola frazione dei pioni carichi osservati eÁ prodotta direttamente nel processo
di formazione di adroni («adronizzazione»); la
maggior parte proviene dal decadimento di risonanze, in particolare la 0 , che hanno vite medie
dell'ordine di 10 24 s. Il valore di R potrebbe quindi
essere diverso da quello che si otterrebbe considerando solamente pioni prodotti direttamente.
2.2. ± Correlazioni tra due mesoni K carichi.
Le BEC tra due mesoni K carichi identici (K K )
sono state studiate in collisioni adroniche e in collisioni e‡ e (4). Il numero medio di mesoni K per
evento eÁ molto inferiore al numero dei pioni e
quindi l'errore statistico associato ai parametri R e
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misurati in coppie di K identici risulta essere piuÁ
elevato. Al LEP per K K si eÁ ottenuto
RK ' 0:48 fm, valore inferiore a R , il raggio misurato per il sistema . Anche in collisioni pp e
nucleo-nucleo si eÁ osservato che RK eÁ minore di R .
3. ± Dipendenza di R dalla massa dell'adrone
Confrontando i valori di R ed RK misurati al LEP
si puoÁ ipotizzare che il raggio della zona di emissione sia inversamente proporzionale alla massa
degli adroni prodotti; per verificare questa ipotesi si
eÁ misurato il raggio di emissione di coppie di adroni
di massa maggiore di quella del mesone K.
Per coppie di fermioni identici ci si attende, in
accordo con la statistica di Fermi-Dirac (imponendo cioeÁ che la funzione d'onda totale risulti
antisimmetrica) una funzione di correlazione
che presenta una diminuzione del numero di
coppie a piccoli valori di Q. Al LEP eÁ stata misurata tale funzione per due barioni 0 e per due
antiprotoni e si eÁ osservata la prevista diminuzione di eventi a piccolo Q. La funzione di correlazione eÁ stata parametrizzata con una funzione analoga a quella di Goldhaber (2), dove
peroÁ il termine esponenziale si va a sottrarre
Fig. 4. ± Raggio della sorgente di adroni identici in
funzione della massa dell'adrone, ottenuto da correlazioni di Bose-Einstein per e K (punti neri) e da
correlazioni di Fermi-Dirac per pÅ e 0 (punti aperti); le
misure sono state effettuate al LEP e gli errori riportati includono anche le incertezze sistematiche.
La
q
linea continua eÁ la funzione R…fm† ˆ c
24
ht
mGeV
con un
tempo di adronizzazione t ˆ 10
s; le linee tratteggiate rappresentano la stessa funzione con
t ˆ 0:5 10 24 s e t ˆ 1:5 10 24 s.
anzicheÁ sommare. I raggi delle sorgenti di
emissione dei barioni 0 e degli antiprotoni sono
R ˆ …0:11 0:02† fm e Rp ˆ …0:14 0:06† fm.
In fig. 4 sono riportati i valori di R , RK , Rp ed
R in funzione della massa degli adroni: si osserva una diminuzione di R all'aumentare della
massa. Una possibile spiegazione eÁ che, nel
processo di formazione di adroni che segue la
collisione, le particelle di massa maggiore siano
formate prima (a raggi piuÁ piccoli) di quelle di
massa inferiore. Un approccio alternativo (5),
basato sul principio di indeterminazione di
Heisenberg, fornisce una dipendenza del raggio
R dalla massa m del tipo
s
ht
R…fm† ˆ c
,
m…GeV†
dove c eÁ la velocitaÁ della luce (in fm/s), h eÁ la costante di Planck (in GeV s) divisa per 2 e t
rappresenta il tempo che intercorre tra la collisione e la formazione degli adroni (tempo di
adronizzazione). In questo modello il tempo di
adronizzazione eÁ t ˆ 10 24 s, indipendente da m.
4. ± Dipendenza di R e dalla molteplicitaÁ
carica
In collisioni pp e 4 He 4 He eÁ stata studiata la
dipendenza dei parametri R e dalla molteplicitaÁ carica nch dell'evento, cioeÁ dal numero
totale di adroni carichi prodotti nella collisione.
Il raggio R eÁ risultato essere indipendente da nch
per energie inferiori a circa 30 GeV, mentre a
energie superiori R diventa piuÁ grande all'aumentare della molteplicitaÁ. Anche in collisioni
e‡ e all'energia di 91 GeV eÁ stata osservato (6)
un aumento di R con nch ; mentre diminuisce al
crescere di nch :
Ripetendo l'analisi differenziale in molteplicitaÁ separatamente su campioni di eventi a 2,
3 e 4 jets di adroni, si eÁ trovato che la dipendenza dei parametri da nch eÁ meno marcata
rispetto al campione inclusivo, ma con valori
assoluti sensibilmente diversi a seconda del
numero di jet adronici: eventi a 4 jets danno R
piuÁ grandi rispetto ad eventi a 3 jets e questi
danno R piuÁ grandi rispetto ad eventi a 2 jets. La
dipendenza di e R da nch osservata nel campione inclusivo puoÁ allora essere interpretata in
termini del diverso peso che assumono gli
eventi a piuÁ alto numero di jets alle diverse
molteplicitaÁ (peso minore alle basse nch e maggiore alle alte nch ).
49
IL NUOVO SAGGIATORE
5. ± Correlazioni in 2 ed in 3 dimensioni
Non ci sono motivi fondamentali per assumere che la sorgente di pioni sia sferica, ed eÁ
quindi naturale che si sia cercato di studiare piuÁ
in dettaglio la forma della sorgente tramite una
analisi multidimensionale (7). Questa viene effettuata nel cosiddetto Sistema di Centro di
Massa Longitudinale (LCMS): per ogni coppia
LCMS eÁ il sistema di riferimento nel quale la
somma degli impulsi delle due particelle giace
nel piano perpendicolare all'asse dell'evento,
cioeÁ alla direzione del quark e dell'antiquark
prodotti nella collisione e‡ e . La differenza in
impulso della coppia viene decomposta nelle
componenti longitudinale, lungo l'asse dell'evento, e trasversa, perpendicolare ad esso. La
componente trasversa eÁ poi separata nelle
componenti out (parallela al vettore somma
della coppia), e side (perpendicolare ad esso).
La funzione di correlazione tridimensionale
misurata sperimentalmente viene parametrizzata utilizzando una generalizzazione a piuÁ
dimensioni della funzione (2). La fig. 5 mostra le
tre proiezioni della funzione di correlazione tridimensionale con, sovrapposte, le curve di migliore approssimazione per la formula di Goldhaber e per parametrizzazioni alternative. Si
osserva che la larghezza della curva a bassi Q eÁ
piuÁ grande per le componenti trasverse rispetto
alla componente longitudinale; questo corrisponde ad un raggio longitudinale piuÁ grande di
circa il 20% del raggio trasverso. L'ipotesi che la
sorgente sia di forma ellissoidale eÁ dunque favorita rispetto all'ipotesi di sorgente sferica.
6. ± Correlazioni tra pioni da decadimento di
bosoni W
La reazione e‡ e ! W‡ W eÁ stata misurata
alle piuÁ alte energie raggiunte dal LEP. Tale
reazione consente uno studio approfondito delle
proprietaÁ dei bosoni W , mediatori dell'interazione debole a corrente carica. La comprensione delle BEC in questo tipo di eventi eÁ importante in quanto esse sono una potenziale
sorgente di errore sistematico nella misura di
precisione della massa della W.
Nel caso in cui uno dei due bosoni W decada
adronicamente e l'altro leptonicamente, eÁ facile
studiare le BEC per coppie di pioni provenienti
dal decadimento adronico della stessa W. Nel
caso in cui entrambe le W decadano adronicamente ci si potrebbero aspettare correlazioni
anche tra pioni provenienti da diverse W, a
causa della sovrapposizione delle due regioni di
adronizzazione, percheÁ la vita media di un bosone W, W ' 10 25 s, eÁ un ordine di grandezza
piuÁ piccola del tempo di adronizzazione. Gli
esperimenti hanno messo in evidenza la presenza di BEC in coppie di pioni identici provenienti dalla stessa W, ma i dati (8) sembrano
sfavorire l'esistenza di correlazioni tra pioni
provenienti da diverse W.
50
Fig. 5. ± Proiezioni della funzione di correlazione tridimensionale, misurata al LEP, rispetto alle componenti Ql (a), Qt; out (b) e Q t; side (c). Sovrapposte ai dati
sono le curve di ottimizzazione alla Goldhaber (linea
tratteggiata), esponenziale, ottenuta sostituendo,
come argomento dell'esponenziale nella funzione (2),
il termine lineare QR al termine quadratico Q2 R2 (linea punteggiata) ed in una espansione in serie della
funzione (2) (linea continua).
7. ± Ioni pesanti
Le collisioni tra due nuclei pesanti relativistici
S del CERN (ad esempio,
sono state studiate all'Spp
con fasci di S e Pb su bersagli fissi di Pb) e, piuÁ recentemente, al collisionatore RHIC di Brookhaven
M. CUFFIANI E G. GIACOMELLI: LE CORRELAZIONI DI BOSE-EINSTEIN NELLA FISICA SUBNUCLEARE E IN ASTROFISICA
Fig. 6. ± La curva inferiore eÁ l'ottimizzazione alla
funzione di correlazione sperimentale per prodotti in collisioni di ioni Pb di energia 158 GeV/nucleone su un bersaglio fisso di ioni Pb (9). Un fit di tipo
esponenziale, che si adatta meglio ai dati rispetto al fit
(2), fornisce R ˆ …6:67 0:13† fm. La curva superiore,
sovrapposta per confronto, eÁ relativa a prodotti
in collisioni e‡ e al LEP.
(fasci di Au contro fasci di Au). Questi studi permettono di analizzare il comportamento dei costituenti elementari della materia in condizioni di
elevata densitaÁ di energia. Si cerca di evidenziare il
possibile deconfinamento di quark e gluoni in un
nuovo stato della materia: il plasma di quark e gluoni
(QGP). Tra le osservabili studiate per la ricerca di
segnali della avvenuta transizione di fase al QGP c'eÁ
la dimensione della zona di interazione, che consente
di valutare se la densitaÁ raggiunta nell'urto supera o
meno il valore critico per la formazione del plasma.
Le misure di BEC per e K K indicano che
le dimensioni della loro zona di emissione crescono
con l'energia della collisione e sono piuÁ grandi delle
dimensioni dei proiettili. In collisioni Pb-Pb ad
energie incidenti, nel sistema del laboratorio, di 158
GeV/nucleone, si ottiene R ' 7 fm (9) (fig. 6), da
confrontare con il raggio del nucleo di piombo,
circa 3.2 fm. CioÁ puoÁ essere interpretato come dovuto ad un processo di espansione della zona di
emissione, successivo alla probabile formazione di
un plasma di quark e gluoni.
8. ± Conclusioni e prospettive
Le correlazioni di Bose-Einstein costituiscono
l'unico metodo sperimentale per determinare le
dimensioni delle sorgenti di adroni identici in
collisioni di alta energia. La loro misura eÁ importante per la comprensione della dinamica
dell'interazione forte, in particolare per quel che
riguarda la fase di adronizzazione.
La conferma sperimentale della formazione
del plasma di quark e gluoni in collisioni tra
nuclei pesanti di alta energia dipende dalla misura di proprietaÁ come la densitaÁ e l'espansione
dello stato formato nella collisione; queste
quantitaÁ possono essere misurate per mezzo
delle BEC. Le prospettive future in questo
campo riguardano, tra gli altri aspetti:
± un uso intensivo delle BEC in collisioni ione-ione all'acceleratore RHIC, entrato recentemente in attivitaÁ, ed al collisionatore LHC, previsto per il 2006 circa, che renderaÁ disponibili
collisioni Pb-Pb ad energie di 5.5 TeV/nucleone
nel c.m. nucleone-nucleone;
± uno studio piuÁ dettagliato della forma delle
sorgenti di adroni, tramite analisi in piuÁ dimensioni;
± l'analisi delle BEC per coppie di pioni neutri, studiando eventuali differenze rispetto a
quanto osservato per i pioni carichi;
± la comprensione di aspetti ancora dubbi,
come ad esempio la presenza di BEC tra pioni
provenienti dal decadimento di due diverse
W‡ W .
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare i membri delle Collaborazioni WA25, ABCDHW e OPAL per il loro
contributo e sostegno; in particolare, il Prof. G.
Alexander e tutti i colleghi bolognesi (citiamo,
tra gli altri, P. Capiluppi, C. Ciocca, G.M. Dallavalle, F. Fabbri, M. Fierro, S. Marcellini, F.
Predieri, A.M. Rossi e G.P. Siroli).
Bibliografia
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