i Estratto della pubblicazione i s p e M a n u a l i d i s c i e n z neuroscienze e apprendimento c o s o c i a l SP13 Bianca Gallo Manuali di scienze psicosociali ellissi Estratto della pubblicazione Bianca Gallo neuroscienze e apprendimento ellissi Estratto della pubblicazione Copyright © 2003 Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli Serie ellissi - maggio 2003 Copertina: Gianfranco de Angelis Il catalogo è consultabile al sito Internet: www.ellissi.it Stampa: Arti Grafiche Italo Cernia - Via Capri, 67 - Casoria (Napoli) Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale © ellissi è un marchio della ESSELIBRI S.p.A. Estratto della pubblicazione Premessa Negli ultimi anni nel mondo dell’istruzione e della formazione si è manifestato il bisogno di comprendere meglio ciò che influenzava i processi di insegnamento e apprendimento. Questo ha portato ad associare la psicologia alla pedagogia nella discussione sulla scuola. Per esempio, la laurea in psicologia costituiva titolo aggiuntivo nel concorso per i ruoli comandati dei neonati istituti regionali di sperimentazione, aggiornamento e ricerca educativa (i cosiddetti IRRSAE, istituiti con i Decreti Delegati del 1979, D.P.R. 419/1974). Almeno sul piano formale tutto questo è stato realizzato; gli IRRSAE sono stati trasformati in IRRE (istituti regionali di ricerca educativa), le loro competenze sono state modificate, anche se non ancora pienamente definite, e una nuova figura, quella dello psicopedagogista, affianca pedagogista e psicologo. Nel contempo è stato proposto un modello di riforma globale della scuola che ha suscitato discussioni accese, caratterizzato da una forte presenza della psicopedagogia. Ma non sempre si è giunti a una chiarezza maggiore, né gli insegnanti hanno visto facilitato il loro compito che, anzi, si è aggravato e appesantito proprio per la comparsa di elementi di chiara impronta psicopedagogica. Clamoroso è stato poi lo scontro che si è verificato a proposito del famigerato «concorsone» che avrebbe dovuto permettere di individuare gli insegnanti «meritevoli» e che invece è naufragato in seguito ad una rivolta della categoria che non si riconosceva nei parametri indicati, di chiaro stampo psicopedagogico e con riferimento a modelli cognitivisti. Avviene così che quanto più vengono proposte soluzioni tanto più sembra aumentare la confusione. Le diverse scuole di pensiero, proliferate in modo esponenziale, sembrano voler imporre dogmi più che proporre soluzioni praticabili, affermare ideologie più che venire incontro ai bisogni concreti. Anziché un chiarimento complessivo e condivisibile delle tematiche sembra essersi verificato un irrigidimento su posizioni spesso inconciliabili: valga ad esempio l’acceso dibattito sulla suddivisione dei cicli scolastici. 5 Estratto della pubblicazione Affermazioni dal sapore assiomatico si rincorrono nei dibattiti. Non serve a nulla ripetere, quello che conta è che la lezione sia resa interessante, si ricorda solo ciò a cui si è prestata attenzione! Non esistono cicli si sviluppo, lo sviluppo avviene in modo continuo! Grazie al computer e alla sua capacità di simulare la realtà, è possibile studiare con più naturalezza e senza sforzo! Diviene davvero difficile orientarsi tra così diverse e perentorie indicazioni quando vi sia intenzione di modulare meglio il proprio intervento nella scuola; e se spesso all’insegnante le indicazioni date appaiono in contraddizione con l’esperienza in classe, subito sorge il dubbio che la propria opinione sia viziata da un’ottica arretrata. Come chiarire allora i molti dubbi che possono derivare dagli interventi sui mezzi di comunicazione e dalle istituzioni? Analizziamo qualche esempio. È produttivo il sistema «premi-punizioni» per promuovere i processi di apprendimento? E la valutazione, in che tipo di processo si deve inserire? Si impara meglio ripetendo più e più volte la lezione da studiare o invece è solo una costrizione, per di più del tutto inutile? E poi, è vero che si apprende con maggiore facilità attraverso le immagini visive? I processi di tipo percettivo-motorio possono o devono sostituire il linguaggio scritto? E i contenuti dei libri di testo consistono necessariamente in concetti astratti accessibili solo a un limitato numero di persone? E ancora, l’insegnamento si deve organizzare per saperi minimi o invece per strutture? E davvero i computer possono sostituire efficacemente l’azione di un insegnante? Studiare è inevitabilmente noioso e/o faticoso? L’attività intellettuale va a discapito dell’emotività e, viceversa, le emozioni interferiscono con il lavoro razionale? L’aspetto emotivo va privilegiato rispetto al compito razionale? Difficile dare risposte univoche. Spesso, come abbiamo detto, le diverse scuole di pensiero fanno riferimento ad affermazioni tra loro inconciliabili e non integrabili e perciò generano inevitabilmente aspri conflitti. A volte questi conflitti vengono ridotti all’introduzione nella scuola di un modello aziendalistico, che sarebbe sostenuto da alcuni e avversato da altri. In realtà l’elemento che maggiormente indica posizioni teoriche differenti non è questo, che è invece un modello ubiquitario. A scavare un solco profondo tra le persone di opposta convinzione, perché basato su modelli di sviluppo umano totalmente differenti, è il progettato accorpamento della scuola di base in un ciclo di 6 Estratto della pubblicazione 7 anni, con l’unificazione di scuola elementare e scuola media, previsto dalla penultima legislatura e subito annullato dalla legislatura successiva. Tale proposta privilegia in modo assolutistico l’importanza delle strutture esterne sulla maturazione degli allievi, privilegiando un modello sociale dello sviluppo e riduce o nega, a seconda degli autori, un modello che vede nella maturazione individuale un processo interno procedente per fasi. Roberto Maragliano ha coordinato la cosiddetta «Commissione dei 40 saggi» ed è uno degli ispiratori di una riforma che voleva, secondo le sue stesse parole, «adeguare le strutture dell’istituzione alla domanda sociale». Questo significa tra l’altro sposare un modello educativo di tipo economicista che riguarda il rapporto tra domanda ed offerta. In un articolo comparso su «il Nuovo» del 18 gennaio 2002 Maragliano afferma che «grazie al ciclo unico si superava il passaggio traumatico tra una scuola «buona», le elementari e una «dura», le medie […]. La scuola elementare è educante, quella media è giudicante, l’elementare punta al successo della scuola, del gruppo, la media interroga, dà il voto, e spesso lascia il ragazzo in solitudine […]. La riforma […] risolveva i problemi dei fallimenti scolastici delle medie inferiori». L’ultima affermazione riportata sopra si riferisce all’impianto ideologico e non scientifico: solo un’ideologia può fare affermazioni predittive sul futuro perché di un evento non ancora accaduto non si può indicare con certezza lo svolgimento che, invece, può essere soltanto ipotizzato. Alle scienze umane Popper non riconosceva statuto scientifico perché non erano rispondenti a criteri di falsicabilità. Vero è che ormai la visione popperiana parrebbe superata e che il concetto di scienza appare ora modificato. Il puro buon senso, tuttavia, permetterebbe di verificare che l’idea di creare una scuola migliore non corrisponde ad un fatto concreto se non dopo la sua realizzazione. Ma, dunque, come orientarsi all’interno delle scienze psicologiche, pedagogiche e psico-pedagogiche? Com’è possibile che non si possa procedere ad una visione integrata dei saperi psico-pedagogici che meglio permetta di fare delle scelte? Lo scontro tra modelli è molto aspro. Bruner, in un intervento fatto in occasione del Joint Meeting della Growing Mind Conference (15 settembre 1996), ha impostato la sua relazione sulla necessità di evitare eccessive semplificazioni. 7 Estratto della pubblicazione Nel mostrare come diversi contributi possano coesistere, ha dato la misura di come, nell’ambito della psicologia dell’apprendimento, questo concetto sia poco chiaro. Bruner nel suo lavoro mostra come i due modelli elaborati da Piaget e da Vygotskij — le cui teorie potremmo indicare, e sono generalmente considerate, come individuale e sociale — non siano affatto in contraddizione tra loro, ma possano coesistere attraverso un lunghissimo percorso logico, argomentando ab ovo, come se alle soglie del XXI secolo si dovesse ricostruire tutto il percorso fatto dall’epistemologia. Secondo Bruner: «Ora sappiamo che i due metodi non sono antitetici, che la spiegazione e l’interpretazione hanno differenti traiettorie evolutive, differenti usi sociali, e che devono essere studiati alla luce di metodi ben differenti […]. In termini classici, una studia il pensiero nella sua manifestazione nomotetica ed esplicativa, l’altra la sua espressione idiografica e interpretativa […]. I due modi di conoscere, benché distintivi e irriducibili, mostrano un’anomala relazione reciproca che sfida tuttora intere analisi epistemologiche». Potremmo ora proporci di prendere in esame i diversi modelli e, confrontandoli tra loro, cercare di integrarne i contributi; è però facile che in un dibattito all’interno del campo delle scienze umane si finisca per sostenere tesi fondate assiomaticamente e si finisca in un cul de sac di discussioni sterili. Sembra allora utile compiere un altro tipo di operazione e rivolgersi al contributo di quelle scienze, cosiddette dure, fondate su osservazioni, elaborazioni e verifiche ampiamente «falsificabili», vedere quali indicazioni possano dare e da qui esaminare i temi dell’apprendimento. Neuroscienze vengono definite quelle discipline che nascono dalla confluenza di diverse discipline classiche e che, incrociando lo studio delle lesioni cerebrali, la neurologia, le tecniche della psicologia cognitiva, le indagini permesse dalle tecniche di brain imaging, l’etologia e la riflessione filosofica, hanno permesso, negli ultimi dieci anni, di indagare sul funzionamento cerebrale dell’essere umano vivo e vitale. Gli ultimi dieci anni sono stati definiti «gli anni del cervello» per via dell’enorme sviluppo delle ricerche in questo campo, sviluppo permesso dal notevole impegno economico che il governo degli Stati Uniti ha deciso di investire con l’obiet8 Estratto della pubblicazione tivo di far fronte ad una serie di emergenze legate alla trasformazione della società. È stato così possibile acquisire informazioni sempre più fini e precise sui meccanismi fisiologici su cui si basano i processi mentali. Le nuove tecniche di indagine neurologica — in particolare le tecniche di imaging, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMR) — hanno favorito un progresso nella comprensione del funzionamento cerebrale. Si sono aperti nuovi spiragli nella cura di malattie dagli elevati costi sociali e si sono fatti notevoli passi avanti nelle concezioni delle funzioni psicologiche e delle modalità in cui si apprende. Lo scopo del testo è, dunque, quello di esaminare ciò che questa «rivoluzione» ha comportato nella comprensione dei processi di apprendimento e di insegnamento. Avvertenze per il lettore Dal momento che il testo comprende parti di impianto concettuale molto diverso, anche se indispensabili le une alle altre, si raccomanda di tenere a mente quelli che sono i Diritti del lettore, secondo la classificazione di Daniel Pennac, e in particolare il secondo di questi, che rivendica il diritto di saltare le pagine. Non bisogna, inoltre, trascurare il diritto di spizzicare e, aggiungiamo noi, quello di leggere le pagine in un ordine diverso da quello in cui compaiono. 9 Estratto della pubblicazione Capitolo 1 Le neuroscienze 1. Eric Kandel e aplysia californica Se ci si vuole avvicinare alle neuroscienze diviene inevitabile il riferimento ad Eric Kandel e ai suoi studi sull’apprendimento e la memoria, studi che gli valsero nel 2000 il premio Nobel per la Medicina, condiviso con Paul Greengard e Arvid Carlson. Nato a Vienna nel 1929 ed emigrato negli Stati Uniti con la famiglia nel 1939 in seguito all’Anschluss, Kandel cominciò la sua carriera accademica laureandosi ad Harvard in Storia e Letteratura comparata; la spinta verso questa scelta gli venne dal desiderio di soddisfare le domande che si era posto sul funzionamento della mente umana, colpito dagli avvenimenti che avevano influenzato così pesantemente la vita di tanti milioni di persone. Lo stesso interesse lo indusse successivamente a diventare medico psichiatra e poi psicoanalista. Mentre studiava medicina alla New York University, Kandel cominciò a fare ricerca nel campo della neurobiologia. Nell’autobiografia che compare sul sito del Nobel Museum, Kandel scrive: «Il mio interesse professionale si sviluppa da un interesse giovanile per la storia intellettuale europea ad Harvard, dove studiai le motivazioni degli intellettuali tedeschi durante l’era nazista, a un interesse per la psicoanalisi con il suo più sistematico approccio ai processi mentali e infine ai miei interessi nella biologia della memoria conscia ed inconscia. Tuttavia, per Le neuroscienze 11 diventare uno psicoanalista praticante era meglio andare ad una scuola di medicina, diventare medico, e condurre un corso di studi come psichiatra» (1). Kandel unì a questo interesse l’insoddisfazione per la mancanza di fondamento sperimentale delle teorie utilizzate, per loro intrinseca natura, per affrontare i problemi psichici dei suoi pazienti e, di conseguenza, passò dalla professione di psichiatra a quella di neurobiologo. «Quando ero all’università, frequentai alcuni corsi di neurobiologia e trovavo molto stimolante la ricerca sul cervello. A quell’epoca mi colpì il fatto che uno dei problemi chiave della psichiatria fosse la questione dell’apprendimento e della memoria: nel momento in cui la psicoterapia funziona, presumibilmente è perché crea un ambiente nel quale le persone possono cambiare; si tratta, insomma, di un’esperienza di apprendimento. E nella misura in cui le patologie nevrotiche sono reversibili, è perché verosimilmente sono apprese e, dunque, possono essere eliminate» (Kandel, Il cervello che apprende, 2000). Di fronte a un problema tanto affascinante quanto complesso come quello del funzionamento della mente umana e di cosa vi rappresentino apprendimento e memoria, Kandel decise di utilizzare un approccio strettamente riduzionista e di affrontare l’indagine dal punto di vista delle modificazioni neuronali indotte dall’apprendimento. La premessa è che la mente possa essere considerata come il risultato delle attività dei neuroni cerebrali. Il problema della memoria è di per sé notevolmente complesso: Kandel decise di ricorrere a sistemi sperimentali più semplici possibili, scartando come oggetto di analisi i sistemi nervosi più complessi, come quello dei primati o dei mammiferi e scendendo nella scala evolutiva fino ai più semplici animali dotati di un sistema nervoso; applicò, quindi, quel principio per cui «ciò che vale per un batterio vale anche per un elefante». Influenzato dai precedenti studi neurologici, come quello sull’assone gigante del calamaro, utilizzato da Hodkgkin e Katz, cercò un animale che potesse servire a sperimentare un comportamento semplice controllato solo da un piccolo numero di cellule nervose. Kandel scelse il mollusco aplysia californica, che rappresentava l’organismo adatto ai suoi esperimenti (tav. 1). (1) Autobiografia alla pagina http://www.nobel.se/medicine/laureates/2000/kandel-autobio.html. 12 Capitolo 1 Tav. 1 - Aplysia californica 2. Aplysia californica, famoso mollusco I primi studi sull’aplysia risalgono al 1963. Il sistema nervoso di questo mollusco, che è una lumaca d’acqua, contiene appena 20.000 cellule nervose circa, organizzate in dieci gangli principali. Molti di questi neuroni sono di grandi dimensioni, quindi facilmente individuabili e isolabili; questo rende particolarmente agevole effettuarvi misure di natura elettrofisiologica. La possibilità di identificare i singoli neuroni e di registrarne l’attività ha permesso di definire i principali componenti dei circuiti neuronali e di delineare i meccanismi utilizzati per immagazzinare le rappresentazioni connesse al sistema della memoria dell’animale. Il «semplice comportamento» che permise di individuare i meccanismi molecolari connessi all’immagazzinamento di informazioni nel sistema della memoria fu individuato nel riflesso di ritrazione della branchia. Kandel, nel lavoro citato sopra, scrive che: «i riflessi dell’animale, ad esempio la ritrazione della branchia, sono molto specifici, nel senso che ogni cellula implicata nella risposta forma connessioni con determinate cellule e non con Le neuroscienze 13 altre […]. Il comportamento riflesso relativo alla branchia corrisponde a un certo assetto della “circuiteria” neurale, assetto nel quale i collegamenti, in termini di precisione delle connessioni tra neuroni, sono fissi». Così come si verifica per altri tipi di riflessi che hanno funzione difensiva, il riflesso di ritrazione della branchia è un comportamento modificabile attraverso sollecitazioni che inducono ad un apprendimento analizzabile a livello cellulare. L’aplysia reagisce a uno stimolo doloroso esercitato sulla coda compiendo un movimento, detto del sifone, che causa una vigorosa ritrazione della branchia; l’esperienza sgradevole provoca nel mollusco una sensibilizzazione grazie alla quale l’animale è in grado di reagire con maggiore rapidità ed efficienza a una nuova sensazione di fastidio. Kandel scoprì che le connessioni interneuronali del sistema nervoso dell’aplysia vengono modificate in modo preciso e prevedibile nel corso di processi di apprendimento quali l’abituazione, il condizionamento e la sensibilizzazione (di cui si parlerà più approfonditamente nel terzo capitolo). Questa scoperta fondamentale ha aperto la strada alla comprensione della base biologica della memoria, dell’apprendimento e dei cambiamenti anatomici che vengono prodotti sui tessuti cerebrali dai processi di apprendimento. Scrive ancora Kandel: «Se lo stimolo doloroso viene applicato una sola volta, la sensibilizzazione si protrae appena per minuti o poche ore. L’esperienza cioè viene archiviata esclusivamente nella memoria a breve termine e non passa in quella a lungo termine. Qual è la base cellulare di questo processo? Tutto si fonda su un circuito formato dai neuroni sensitivi, che vengono eccitati dallo stimolo doloroso e reagiscono inviando segnali ad altri neuroni, detti facilitanti, i quali a loro volta sono in contatto con i neuroni sensoriali della pelle del sifone e con i neuroni motori deputati a produrre il movimento di ritrazione della branchia. In particolare i neuroni facilitanti, quando sono eccitati dalle cellule che hanno registrato lo stimolo doloroso, producono una molecola chimica chiamata serotonina, che è un importante neurotrasmettitore […]. La serotonina si lega ai recettori situati sulla superficie dei neuroni sensoriali della pelle del sifone e ciò provoca all’interno della cellula l’attivazione di un gran numero di diverse molecole. In conseguenza di questo fatto la sinapsi che unisce un neurone sensitivo del sifone a un neurone motorio che controlla la contrazione della branchia viene rafforzata, dunque la comunicazione fra queste cellule risulta più efficiente. A questo punto l’animale, in caso di una nuova sollecitazione, è pronto a reagire attivando rapidamente il sifone e quindi contraendo la branchia con prontezza […]. Se lo stimolo doloroso viene inflitto ripetutamente, la sensibilizzazione permane per giorni o settimane, dunque la “lezione” viene archiviata nella memoria a lungo termine». 14 Capitolo 1 Estratto della pubblicazione La ripetizione fa sì che, attraverso determinati meccanismi (per la comprensione dei quali rimandiamo a testi più specifici), si inneschi una cascata di eventi che ha come esito finale non il semplice rinforzo di connessioni fra neuroni già esistenti, ma la formazione di nuove connessioni. Il processo che porta alla formazione di una memoria a lungo termine, diversamente da quello che porta alla formazione della memoria a breve termine, comporta quindi un cambiamento strutturale che corrisponde alla crescita di nuove connessioni sinaptiche tra neuroni sensoriali e neuroni motori. Naturalmente lo studio della memoria nei mammiferi è assai più complesso, poiché in questi processi è coinvolto un numero enormemente più grande di neuroni, che si trovano in molte differenti aree cerebrali. Ma la distinzione di base tra i meccanismi che presiedono alla formazione della memoria a breve termine e quelli che presiedono alla formazione della memoria a lungo termine appare valida anche per i processi di apprendimento che sono caratteristici degli animali superiori. 3. Breve storia delle neuroscienze Oggetto delle neuroscienze è l’indagine e la spiegazione in termini di attività cerebrale dei comportamenti: dai più semplici, come quelli motori, ai più complessi, come quelli che corrispondono al senso di sé e alle varie forme di coscienza. La mente e il cervello sono considerati due modi, due linguaggi, due livelli da cui osservare il medesimo fenomeno. Le neuroscienze riconducono ad una visione unitaria la differenziazione tra le discipline attuatasi nel tempo e caratteristica del pensiero occidentale, facendo confluire su un terreno comune i contributi di diverse discipline e ridando unità alla riflessione sull’essere umano. La separazione tra le discipline è stata vissuta prevalentemente come isolamento tra campi di conoscenza anziché come artificio necessario per approfondire l’indagine, influenzando notevolmente la concezione del mondo e di quei fenomeni che riguardano il funzionamento psicologico e mentale. Da una parte la rappresentazione della realtà come formata da materia e pensiero separati tra loro sostiene l’ipotesi della duplice natura della realtà. Mente e Le neuroscienze 15 Estratto della pubblicazione cervello, come corpo e anima, sarebbero entità separate; il cervello sarebbe fatto di materia grezza, la mente no. Da un’altra parte la visione meccanicistica e deterministica degli eventi, derivata dalla fisica classica, ha influenzato pesantemente il pensiero filosofico e, di conseguenza, i modelli psicologici e pedagogici. Il determinismo materialista, con il pensiero positivista, aveva stabilizzato nel XIX secolo ad una visione monistica ma non integrata della realtà; tale visione ha subito una profonda trasformazione con l’avvento della meccanica quantistica, che è una teoria delle probabilità, quindi non deterministica. Questa rivoluzione si può riassumere nel principio di indeterminazione di Heisemberg, per il quale esiste un limite intrinseco alla contemporanea conoscenza della posizione e della quantità di moto di un oggetto microscopico o, se si vuole, alla formalizzazione del ruolo dell’Io cosciente nella modalità della conoscenza. In realtà c’è stato un continuo rifluire di concetti da un campo all’altro e il progresso attuale non sarebbe stato possibile se non fossero state utilizzate in ciascun campo della conoscenza le acquisizioni operate in un altro. Varrà allora la pena di percorrere la storia di quello che è diventato l’oggetto delle neuroscienze, la riflessione sul pensiero e sulla mente. Un tempo si riteneva che la sede del pensiero e delle emozioni fosse il cuore: il suo movimento è indispensabile alla vita e batte al ritmo delle emozioni. L’interesse per la struttura del cervello e la relazione di questa con le funzioni mentali, tuttavia, era ugualmente vivo. Ippocrate, Platone e Aristotele, già nell’antica Grecia, avevano descritto le sindromi epilettiche e l’anatomia del sistema nervoso centrale e dei nervi sensoriali principali. Di Aristotele è, tra l’altro, la suddivisione dei fenomeni percettivi in cinque sensi: vista, udito, tatto, olfatto e gusto. Il crollo della struttura socio-politico-economica dell’impero romano ha comportato conseguenze anche per la medicina; le concezioni di Galeno vennero, comunque, ritenute valide fino a tempi relativamente recenti. È solo con il Rinascimento che in area europea si risveglia l’interesse per la medicina e per lo studio della funzionalità anatomica del sistema nervoso. Ricordiamo gli studi anatomici di Leonardo da Vinci, Andrea Vesalio, Bartolomeo Eustachio, Gabriele Falloppio, Costanzo Varolio e di altri personaggi forse meno noti, come Piccolomini, che distinse la sostanza grigia dalla sostanza bianca, o Aranzi, al quale si deve lo studio della struttura dei ventricoli cerebrali e dell’ippocampo. 16 Capitolo 1 Gli studi anatomici continuano tra Sei e Settecento in modo sistematico, con l’approfondimento della caratterizzazione anatomica del sistema nervoso da parte di Silvio, di Willis e di altri. Una serie di invenzioni e scoperte e la relativa elaborazione di nuove teorie danno inizio ad una nuova era della biologia che può avvalersi ora di innovazioni tecniche molto importanti, rese possibili a loro volta da altri progressi, come quelli relativi all’ottica, una branca della fisica. Nel 1590 Zacharias Janssen inventa il microscopio composto, che viene perfezionato nel 1665 da Robert Hooke; compare il termine «cellula», coniato dallo stesso Hooke, mentre nel 1717 Antony van Leeuwenhoek descrive le fibre nervose in sezione al microscopio. Alla stessa epoca risale anche il tentativo di spiegazione della coscienza in termini neurofisiologici da parte di Cartesio. Questi pensava che la mente regolasse i movimenti del corpo, che, a sua volta, mediante gli organi di senso, forniva alla mente una rappresentazione dell’ambiente e dei suoi oggetti. Tale interazione avrebbe avuto luogo nella ghiandola pineale, una piccola appendice del talamo posteriore che Cartesio osservò con cura, convincendosi che sarebbe stata preposta a dirigere il liquido presente nei ventricoli cerebrali in direzione del corpo e dei nervi, per realizzare, mediante il movimento dei muscoli, i pensieri prodotti dalla mente. Verso gli ultimi anni del XVIII secolo assistiamo alla nascita della elettrofisiologia, scienza che studia la conducibilità elettrica delle fibre nervose, con le ricerche, condotte tra il 1780 e il 1791, di John Walsh sulla torpedine e di Luigi Galvani sulla contrazione muscolare. Il ben noto esperimento di Galvani mostrava come le zampe posteriori di una rana si contraessero per effetto del contatto con un arco bimetallico. Durante il XIX secolo si inizia ad applicare ai fenomeni biologici il metodo riduzionista, individuando alcune delle variabili su cui condurre ricerche sperimentali in modo esclusivo. Facendo uso delle scoperte nel campo della chimica e della fisica si cerca di descrivere i fenomeni mentali in termini di variazioni di parametri chimico-fisici, piuttosto che ricorrere a teorie metafisiche. Nello stesso tempo Franz Joseph Gall compie il primo sforzo per riunire, in una visione unitaria, biologia e psicologia. Lo sforzo inizialmente viene osteggiato per la visione materialista che lo studioso ha dei fenomeni mentali, che lo costringe nel 1805 a lasciare Vienna per Parigi. Le neuroscienze 17 Estratto della pubblicazione I contributi di Gall sulle funzioni mentali delle singole regioni della corteccia diedero origine alla frenologia, per la quale le caratteristiche mentali corrispondono alla forma esterna del cranio; nella sua elaborazione teorica era contemplata una espansione delle zone attivate, ma questo corrispondeva ad un aumento della massa cerebrale in volume piuttosto che ad un’espansione di tipo funzionale. Iniziano i primi studi di elettrofisiologia: nel corso delle sue ricerche Rolando nel 1809 stimola la corteccia cerebrale con correnti elettriche, mentre l’invenzione del galvanometro, a opera di Schweigger nel 1820, permette di misurare le correnti; nel 1826 Muller formula la legge delle energie nervose specifiche, nel 1849 von Helmholtz misura la velocità della conduzione nervosa e nel 1850 Emil du Bois-Reymond applica il galvanometro alle fibre nervose. In seguito ai progressi della strumentazione (il microscopio) e al metodo della reazione nera di Camillo Golgi, che permette di colorare le cellule nervose e quindi di individuarne i contorni, facendo acquisire maggiore precisione all’anatomia nervosa. Il metodo della reazione nera di Golgi è una tecnica chimica di colorazione dei tessuti che colora solo alcune delle cellule presenti in un vetrino, stagliandole, così, nettamente dallo sfondo; inoltre le cellule si colorano in tutta la loro estensione, dal corpo cellulare all’assone e all’arborizzazione dendritica. Nel 1873 Santiago Ramon y Cajal presenta i primi risultati sull’impregnazione argentica, che nel 1889 sfoceranno nella teoria del neurone secondo cui i neuroni sono cellule distinte tra loro e non parte di una rete continua, come si riteneva. Nel 1897 Sherrington introduce il termine sinapsi (dal greco, «agire insieme»), per indicare la zona in cui i neuroni sono in comunicazione. Nel 1859 Darwin pubblica L’origine delle specie, in cui applica l’osservazione sistematica al comportamento animale che avrà grande influenza sugli studi biologici. Nel XX secolo la visione cellulare-molecolare e quella sistemico-integrata iniziano a fondersi, con lo sviluppo di nuove teorie in grado di studiare scientificamente i sistemi complessi, come la teoria psicoanalitica dell’inconscio, la cui notorietà può essere fatta risalire alla pubblicazione, nel 1899, de L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, il quale orientò i primi tentativi di comprensione dei processi mentali su studi neurologici. Nel 1903 Pavlov pubblica i risultati della sue ricerche sul condizionamento animale e conia il termine «riflesso condizionato»; il condizionamento operante 18 Capitolo 1 Estratto della pubblicazione verrà descritto da Skinner, che pubblicherà Il comportamento degli organismi nel 1938. Nel 1906 Sherrington descrive le sinapsi e la corteccia motoria, Cushing nel 1909 stimola elettricamente la corteccia sensoriale umana e nello stesso anno Brodmann descrive la presenza di 52 differenti aree nella corteccia cerebrale. Nel 1913 Goldmann scopre una «barriera» (barriera emato-encefalica) impermeabile alle grosse molecole, alle quali impedisce di giungere alle zone cerebrali. Da questo momento le scoperte si susseguono incessantemente, come si evince dalla cronologia riportata qui di seguito: 1913 1914 1928 1929 1930 1932 1936 1937 1944 1949 1950 1953 1954 1957 1963 1967 1970 1973 Lord Adrian scopre che l’ampiezza dei potenziali d’azione è costante (la cosiddetta «legge del tutto o nulla») Dale isola l’acetilcolina Hess riporta «risposte affettive» alla stimolazione ipotalamica Berger produce il primo elettroencefalogramma umano Eccles scopre l’inibizione centrale dei riflessi flessori Adrian e Sherrington condividono il premio Nobel per il loro lavoro sulle funzioni dei neuroni, mentre Cannon conia il termine omeostasi Dale e Loewi condividono il premio Nobel per il loro lavoro sulla trasmissione chimica tra cellule nervose Papez pubblica il suo lavoro sul sistema limbico e sviluppa la «teoria viscerale delle emozioni», mentre Kluver e Bucy pubblicano il loro lavoro sulla lobotomia temporale Erlanger e Gasser condividono il premio Nobel per il loro lavoro sulle fibre nervose Hodgkin e Katz, utilizzando la tecnica del voltage-clamp sull’assone gigante di calamaro, scoprono che, durante il potenziale d’azione, la membrana diviene selettivamente permeabile al sodio, Magoun descrive il sistema reticolare attivatore ed Hebb pubblica L’organizzazione del comportamento. Una teoria neuropsicologica Roberts identifca il GABA nel cervello Aserinski e Leitman descrivono il sonno REM Olds descrive l’effetto di rinforzo della stimolazione ipotalamica Penfield e Rasmussen descrivono l’homunculus motorio e sensoriale Eccles, Hodgkin e Huxley condividono il premio Nobel per il loro lavoro sulle proprietà elettriche della membrana neuronale Granit, Hartline e Wald condividono il premio Nobel per il loro lavoro sui meccanismi della visione Axelrod, Katz e von Euler condividono il premio Nobel per il loro lavoro sui neurotrasmettitori Bliss e Lomo scoprono il fenomeno del potenziamento a lungo termine nell’ippocampo, che è ritenuto il correlato neurobiologico della memoria a lungo termine Le neuroscienze 19 1974 1981 1986 1991 1994 2000 Phelps, Hoffman e Ter Pogossian costruiscono il primo PET scanner Hubel e Wiesel condividono il premio Nobel per il loro lavoro sul sistema visivo e Sperry riceve il premio Nobel per il suo lavoro sulla funzione dei due emisferi cerebrali Cohen e Levi-Montalcini condividono il premio Nobel per il loro lavoro sui fattori di crescita neuronali Neher e Sakmann condividono il premio Nobel per il loro lavoro sui singoli canali ionici Gilman e Rodbell condividono il premio Nobel per la scoperta dei recettori accoppiati alle proteine G e del loro ruolo nella trasduzione del segnale Carlsson, Greengard e Kandel ricevono il premio Nobel per il loro contributo nel campo delle neuroscienze 4. Vedere nel cervello «Se fosse possibile vedere attraverso la scatola cranica e se la zona maggiormente eccitata fosse luminosa, si potrebbe seguire, in un uomo intento a pensare, lo spostamento incessante di questo punto luminoso, in un continuo cambiamento di forma e dimensione, e circondato da una zona d’ombra più o meno fitta che occuperebbe tutto il resto degli emisferi» (2). Queste parole di Ivan Pavlov anticipavano nel 1927 ciò che oggi è permesso dalla rappresentazione in forma visiva del cervello, il cosiddetto Brain Imaging, che consiste in un insieme di tecniche che si sono sviluppate grazie ai progressi della strumentazione e dell’analisi computazionale. Tali tecniche permettono un’accurata dissezione dei tessuti in uno spazio non reale, ma virtuale. Da quando è stato introdotto l’uso della tomografia (dal greco tomos, «taglio» o «fetta») lo studio del funzionamento cerebrale ha subito una vera e propria rivoluzione, permettendo di indagare con altissima risoluzione l’aspetto fisico dei fenomeni mentali e di acquisire informazioni sempre più fini e precise sui meccanismi fisiologici preposti all’attività mentale, tra cui i meccanismi per cui si apprende. Fino a quel momento l’indagine sull’organizzazione funzionale del cervello umano era possibile soltanto inferendo un’ipotesi a partire dagli effetti sul comportamento sensorimotorio e cognitivo delle lesioni cerebrali. (2) Pavlov, cit. in Voir dans le cerveau, La Recherche, 289 (juillet-août 1996). 20 Capitolo 1 Negli ultimi anni dell’Ottocento era relativamente frequente decidere di «lasciare» il proprio cervello o il proprio corpo alla scienza perché potessero essere sezionati e studiati, permettendo così di ricostruire anatomia corporea e cerebrale e inferire relazioni tra il comportamento e l’anatomia a partire dalla conoscenza di quanto si sapeva sul soggetto (sono tuttora conservate parti del cervello di Einstein). Gli atlanti anatomici utilizzati dagli studenti, che rappresentavano in sezione il corpo umano e riproducevano organi e tessuti, erano stati ottenuti fino a poco tempo fa da sezioni reali di corpi umani. Il sezionare un cervello umano, però, implica che le funzioni cerebrali che si vogliono studiare possono solo essere inferite dall’aspetto anatomico; le lesioni cerebrali potevano causare deficit cognitivi, ma lo studio anatomico delle aree danneggiate e la loro relazione con i deficit osservati non era possibile se non alla morte del soggetto, che poteva avvenire anche molti anni dopo; questo comportava che le anomalie riscontrate non potevano essere correlate ai deficit cognitivi rilevati anni prima se non con un largo margine di errore. Le nuove tecniche di indagine neurologica, principalmente le tecniche di imaging, permettono di visualizzare ciò che accade negli emisferi cerebrali quando si verifica un qualsiasi evento mentale. In Internet è oggi possibile trovare atlanti del corpo umano particolarmente dettagliati ed esempi di anomalie ottenuti con le tecniche ora disponibili (3). La tomografia, che si avvale anche degli enormi sviluppi dell’analisi computazionale, permette di ottenere immagini di sezioni della parte del corpo che si vuole analizzare e ha valore non solo per le diagnosi che permettono di individuare anomalie anatomiche e funzionali, ma anche per lo studio del funzionamento normale dell’essere umano. Diventa, così, possibile «guardare» dentro il cervello del vivente per comprendere le relazioni tra specifiche aree del cervello e le funzioni che queste supportano. Le tecniche di neuroimmagine permettono una mappatura delle funzioni cerebrali e possono localizzare con estrema precisione le aree del cervello che si attivano mentre un soggetto è impegnato in un compito mentale o esegue un movimento complesso. Il linguaggio, la visione, così come il suonare il pianoforte o svolgere altre attività sono compiti di una complessità enorme. (3) L’atlante completo del cervello è consultabile all’indirizzo www.med.harvard.edu. Nella pagina dedicata a Kristoff Koch all’indirizzo www.klab.caltech/ è possibile vedere la dissezione del suo cervello. Le neuroscienze 21 Le immagini ricavate con le tecniche di Brain Imaging vengono associate alle tecniche della psicologia cognitivista, in modo da poter evidenziare il funzionamento cerebrale in rapporto a compiti standardizzati. In questo modo si sono potuti identificare numerosi centri cerebrali nelle loro funzioni: primi fra tutti i lobi frontali, che distinguono la specie umana dalle altre specie animali. Questi centri sono connessi tra loro da complesse reti a retroazione e permettono di selezionare le informazioni provenienti dall’ambiente e di confrontarle con le esperienze precedenti immagazzinate nella memoria così da pianificare le azioni future in rapporto ai conflitti tra obiettivi, condizioni e necessità che spesso sono contrastanti tra loro. 5. Brain Imaging Le funzioni del cervello sono legate ad un consumo energetico da parte delle cellule che sono state attivate e questo consumo presenta diversa intensità e localizzazione a seconda dell’eccitazione dei neuroni. Le tecniche più diffuse con cui ottenere immagini del cervello sono la PET e la fMR (tav. 2). Come l’EEG, la PET e la fMRI, sono procedure non invasive che permettono di misurare l’attività biologica nella testa e di rivelare cosa accade in un cervello umano in attività. Ciascuna tecnica presenta vantaggi propri e fornisce differenti informazioni sulla struttura e sulla funzione del cervello. Tav. 2 - Immagini del cervello EEG (elettroencefalografia) Valuta l’attività elettrica mediante il posizionamento di elettrodi sul capo. Già nei primi decenni del XX secolo alcuni fisiologi, neurologi e neurochirurghi impiegavano stabilmente le tecniche elettrofisiologiche (EEG) per analizzare le 22 Capitolo 1 Estratto della pubblicazione risposte funzionali del cervello (cioè psichiche e comportamentali) a stimolazioni elettriche di reti neuronali definite. Queste tecniche si basano sul rilevamento dell’attività elettrica presente nel cervello, che è registrata posizionando degli elettrodi sul cranio. PET (tomografia a emissione di positroni) Rileva variazioni di un indice dell’attività cerebrale, in questo caso rappresentata dal debito sanguigno dei tessuti neurali. La PET si basa sull’assunzione che le variazioni dell’attività cerebrale siano accompagnate costantemente da variazioni dell’irrorazione sanguigna dei tessuti e sull’introduzione nell’organismo di sostanze radioattive che entrano in circolo e arrivano al cervello. Quanto più una parte è attiva, tanto più sangue essa richiama a sé e quindi tanto maggiore è la quantità di sostanza radioattiva che vi fluisce. Si possono utilizzare isotopi instabili di ossigeno, che vengono coinvolti nella normale attività metabolica. In questo modo possiamo individuare le parti del cervello più attive che consumano una maggiore quantità di ossigeno. Questa tecnica consente un’analisi dinamica e funzionale delle reazioni del cervello alle stimolazioni sensoriali e mentali. Lo svantaggio è che si tratta di un metodo costoso in cui vengono utilizzati materiali radioattivi, la cui manipolazione e introduzione nell’organismo richiedono particolare cautela. MRI (magnetic resonance imaging) Questo metodo utilizza il rilevamento dei segnali di radiofrequenza prodotti da onde radio in un campo magnetico per produrre immagini bidimensionali e tridimensionali di grande qualità delle strutture del cervello. Non vi è utilizzo di alcuna sostanza estranea, né di raggi X, né di materiale radioattivo e si può ottenere una visione dettagliata in differenti dimensioni. Utilizzando la MRI è possibile farsi un’idea sia della superficie sia delle strutture profonde del cervello con un alto grado di dettagli anatomici e si possono rivelare nel tempo cambiamenti minuti che avvengono in queste strutture. È sicura, non provoca dolore e non è invasiva. Non richiede una preparazione speciale per il paziente, eccetto la rimozione di eventuali oggetti metallici che Le neuroscienze 23 Estratto della pubblicazione potrebbero interferire con i campi magnetici. Inoltre il soggetto, prima dell’esame, può tranquillamente mangiare o bere. Si tratta però di un metodo costoso e che non può essere utilizzato su soggetti portatori di dispositivi metallici come i pacemaker, su soggetti non collaborativi, su soggetti claustrofobici, per via della particolare forma dell’apparecchiatura che prevede l’introduzione del capo in un tubo relativamente stretto, sebbene oggi siano utilizzate apparecchiature dal design meno angusto. fNMR (risonanza magnetica funzionale) Si basa sulle proprietà magnetiche di cui godono le molecole che presentano una particolare disposizione dei legami nella loro struttura. In particolare è preso in considerazione il complesso molecolare dell’emoglobina che, trasformandosi in ossi-emoglobina, trasporta l’ossigeno ai tessuti. Le proprietà di questo complesso molecolare differiscono leggermente a seconda della coordinazione o meno del ferro con l’ossigeno. In questo modo è stato possibile visualizzare le variazioni dell’attività neurale regionale laddove si evidenzia che alcune regioni sono ricche di ossiemoglobina e quindi presentano un flusso sanguigno accresciuto, mentre altre regioni, dal flusso sanguigno normale, non mostrano questa concentrazione. Tutto questo permette di visualizzare, su una scala temporale estremamente fine, le variazioni dell’ossigenazione delle regioni corticali, variazioni che si ritiene siano in stretta relazione con il grado di attività delle regioni stesse. In questo modo i ricercatori possono «filmare» i cambiamenti dell’attività del cervello (ottenere cioè immagini in sequenza) mentre i soggetti eseguono compiti assegnati o sono esposti a determinati stimoli. Una scansione in fMRI può produrre immagini dell’attività del cervello alla velocità di un’immagine al secondo mentre usualmente la PET richiede quaranta o più secondi per fornire un’immagine dell’attività cerebrale. Si possono perciò visualizzare attività cerebrali che avvengono simultaneamente o in sequenza nelle differenti regioni cerebrali mentre il soggetto pensa, sente o reagisce alle condizioni sperimentali. 24 Capitolo 1 Estratto della pubblicazione