628 Schedario/ Libri Chiara Tintori L’uomo e il denaro di «Aggiornamenti Sociali Vittorino Andreoli Il denaro in testa Rizzoli, Milano 2011, pp. 250, € 17,50 Perché uno psichiatra dovrebbe occuparsi di denaro? Lo stesso A., uno fra i più conosciuti studiosi italiani della psiche, fornisce la risposta: «perché ho la sensazione che il denaro giochi […] un ruolo importante nella mente dell’uomo, che sia penetrato nella psicologia e nelle caratteristiche della personalità umana, persino nell’inconscio» (p. 13). Nella nostra società «il denaro finisce per essere l’idea dominante, in grado di modificare e condizionare persino la meccanica mentale che produce solo pensieri in valuta pregiata, riduce tutto il mondo a cartamoneta, e l’uomo a denaro» (p. 51). Alla domanda esplicita di quale sia il suo rapporto personale con il denaro, Vittorino Andreoli non esita a dichiarare di viverlo «come un vero pericolo, un grandissimo rischio» (p. 47), di avere con esso un rapporto di timore: «mi ha fatto sempre paura e continua a generare in me questo sentimento. Una paura doppia […]: la paura di non averne, perché so bene che questa società fa sentire morto o estremamente fragile chi non ne possiede; ma anche la paura dell’eccesso, della ricchezza, che io considero — è bene dirlo — un difetto personale, la causa di © FCSF - Aggiornamenti Sociali AS 09-10 [2011] 628-632 molte tensioni familiari, persino un possibile pericolo per la società» (p. 46). Nel tempo presente si sono imposte «una ricchezza e una povertà ridotte solo a quantità. Dunque l’uomo stesso finisce per essere definito in base al denaro di cui dispone» (p. 26), perdendo di vista le altre e molteplici dimensioni che costituiscono una persona e la sua storia. Secondo l’A. ricchezza e povertà sono in grado di alterare ogni altro parametro umano (pensieri, azioni, dignità, ecc.), a tal punto che definisce la povertà un rischio e la ricchezza una malattia, capace di generare visioni del mondo distorte e perverse. Il denaro non è più vissuto come un mezzo, «come una bicicletta per spostarsi con minor fatica o come un coltello per tagliare la carne, perché il denaro ha una potenza molto maggiore e tende a diventare parte del pensiero e della vita, come se fosse un organo che si aggiunge al resto del corpo. Un nuovo cervello o una protesi che riesce ad alterare i meccanismi cerebrali» (p. 66). Il volume si snoda attraverso cinque capitoli, più un’appendice con due brevi scritti sul denaro nella storia e sull’economia della felicità. D Dopo un ampio primo capitolo dedicato al rapporto tra economia e psicologia, in cui l’A. precisa perché si interessa di soldi, troviamo: «Denaro e L’uomo e il denaro società» (cap. II), con alcune riflessioni sulla donna e sugli intellettuali che si prestano a cambiar pensiero per accontentare i più potenti; «L’uomo di denari» (III); le patologie collegate al denaro (IV); e infine un capitolo dedicato alla società della mente, dove l’antropologia possa aiutare a rifondare i legami sociali a vantaggio dell’uomo (V). Andreoli riconosce al denaro cinque funzioni. La prima, più abituale, è l’instrumentum vitae, il mezzo per acquistare i beni che servono per vivere, per poter soddisfare le esigenze fisiche, psicologiche e sociali. La seconda funzione del denaro «è quella di amuleto, o comunque di antidoto, contro la paura» ((p. 134). In un tempo di incertezze (perdita del lavoro, recessione economica, malattie), i soldi aiutano (ad esempio nell’accesso alle cure); però «appena se ne sono accumulati un po’ […] vengono in mente nuove calamità ancora più grandi. Bisogna risparmiare sempre di più, perché il metro di giudizio è uno solo: la paura del futuro, di un futuro pieno di disgrazie» (p. 136). Facendo l’esempio del monaco e dell’eremita, l’A. afferma che solo una proiezione totale nell’eternità è capace di togliere valore al denaro. La terza funzione è quella decorativa, «il denaro come imbellettamento, come simbolo che ci si porta addosso» (p. 149). Laddove la bellezza è vissuta come ossessione, la critica di Andreoli raggiunge i toni dell’indignazione: «condanno ogni comportamento pubblico che esalta la bellezza fisica. Sono indignato che si guardi solo al corpo e non si parli di bellezza della persona valutando anche il portamento, la grazia, lo stile, la classe […]. Ma ciò che più mi colpisce e rattrista è il modo in cui molti anziani ricercano il bello, assieme na- 629 turalmente all’efficienza di un corpo che nasconde l’età reale. Ero abituato a considerare la bellezza del vecchio rapportandola alla sua lunga vita e ai cambiamenti del corpo, che anche in questa età mostra una sua bellezza, seppure diversa da quella giovanile» (pp. 151152), perché in grado di raccontare la vita di una persona. La quarta funzione dei soldi è quella filantropica, «a fini utili per un’intera società, o per alcune persone in particolare» (p. 166). Infine il quinto uso possibile è nei circuiti del riciclaggio e riguarda quelle organizzazioni che guadagnano denaro in modo illegale e poi, per usarlo, devono «lavarlo» ((p. 171). Nell’affrontare il rapporto tra malattia e denaro, l’A. precisa che la gravità della prima dipende dalla personalità individuale; dopodiché analizza sette di quelle che egli chiamaa patologie collegate al denaro, anche se non lo sono immediatamente nell’immaginario collettivo. Si comincia con la dipendenza, in cui «si avverte il bisogno [di denaro], ma anche il condizionamento: non è più possibile vivere facendone a meno» (p. 178); si instaura un legame nevrotico, simile a quello con le sostanze stupefacenti, e si esprime sia in una dipendenza dal denaro sia «per il denaro», quando «ci si lega ad alcune attività perché garantiscono profitto» (p. 183). Poi si passa alla depressione, considerata la forma più grande di sofferenza legata ai soldi: siccome nella nostra società l’uomo si definisce per il suo denaro, anzi egli stesso è denaro, quando questo manca, si entra in depressione. Gli esempi riguardano la perdita del lavoro, in cui non viene meno solo lo stipendio ma lo status associato, e i suicidi da denaro, in aumento durante le crisi finanziarie. La 630 terza patologia presa in considerazione è l’ansia da denaro, spesso anticamera delle violenze e delle morti scatenate da motivi economici. Il quarto disturbo mette in risalto quanto il denaro possa influenzare il pensiero: la parafrenia monetaria, cioè i «casi di chi libera una fantasia straordinaria sul denaro, e finisce per credere a situazioni puramente illusorie» (p (p. 201). La quinta malattia è la stupidità, intesa come «la banalità delle persone che vedono, pensano e sognano soltanto denaro» (p. 207). La sesta è l’immoralità: addirittura, per Andreoli, «anche le persone più scrupolose hanno una doppia morale e ne applicano una ai soldi» ((p. 207). L’A. individua per stupidità e immoralità la stessa dinamica causa-effetto in cui il «virus di carta» (p. 174) entra in azione, anche se è più difficile per il lettore ascrivere queste due condizioni a malattie. Esse sembrano infatti il presupposto per l’utilizzo distorto dei soldi, piuttosto che un atteggiamento causato da un agente esterno patogeno (il denaro), che determinerebbe — senza la volontà del soggetto — l’instaurarsi di tali patologie. All’ultima malattia, la distruttività, Andreoli riserva toni particolarmente sdegnati: «è una piccola apocalisse […]. Nella distruttività domina la disperazione del singolo, la percezione che tutto, proprio tutto non funziona, ogni cosa ha perso senso e si è trasformata in male» (pp. 211-212). L’uomo non merita di diventare un contenitore di monete, un salvadanaio, perché una volta rotto restano solo dei cocci; eppure «questa è la follia, oggi talmente diffusa da sembrare normale. Ma non lo è» (p. 214). Un esempio di distruzione da denaro sono gli arsenali militari: «dai soldi hanno origine le armi di distruzione, i missili, le bombe intelligenti, gli aerei senza pilota, le cosiddette “missioni di pace”, con i soldati che sparano e muoiono sotto le granate. Tutto questo è Chiara Tintori denaro malato, prostituito, impazzito. Denaro coniugato con il potere violento, per un delirio che nessuno psichiatra è chiamato a curare» (p. 215). L’intero volume è attraversato da un sentimento di sconforto proprio dell’A., «un pessimista attivo che prova a risvegliare chi dorme, e lo fa con la forza delle idee» (p. 108), che non esita a sfogare la sua paura, talvolta trasformata in odio per la società italiana in cui vive: «non amo questa società dell’inutile, della falsità, dell’ipocrisia […]. Ho paura di un mondo che dichiara inutile la sofferenza di tanti uomini, compresa la mia. Un regime di ignoranti e di saccenti, di falsari che non sanno piangere guardandosi allo specchio e non vedono nemmeno il danno che compiono e il male che fanno fanno» (pp. 107-108). Affinché si possa reagire alla nascita di una «cultura, forse una pseudocultura, che esalta il denaro e cerca di attribuirgli tutti i benefici un tempo riferiti alla potenza dell’anima» (p. 157), Andreoli suggerisce il ritorno a una società fondata sui bisogni dell’uomo e non su quelli dell’economia, lasciando che quest’ultima sia un modo per dare risposta ai primi. «È tempo di fermarsi dinanzi a una banconota e pensare» (p. 216), di tornare a un «pensiero alto, un’analisi profonda e non più settoriale, che voli fino a toccare le utopie» (p. 227). È tempo di chiedere alle discipline di interagire, affinché la scienza del comportamento (la psicologia), in grado di distinguere tra bisogni essenziali e secondari dell’uomo, possa essere elevata al rango dell’economia. Occorre «un’antropologia dell’insieme e della cooperazione» (p. 218) per costruire una società solidale, allontanandosi dalla catastrofe di una società sempre più violenta, in quanto formata da uomini sempre più frustrati solo perché non in grado di soddisfare tutta una serie di bisogni indotti.