QUELLO CHE LA TV NON DICE
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dell’uomo e farli innamorare di Gesù Cristo. Ma è possibile
questo, quando di Gesù parliamo così poco? Nel tempo della globalizzazione la sfida è ripresentare con forza e chiarezza la soluzione cristiana, che la Chiesa sperimenta da
molti secoli: l’esperienza dei missionari che non hanno atteso l’ONU e la FAO per l’aiuto ai poveri e la loro elevazione
umana. Ora sembra che su questa dimensione dell’impegno
missionario sia calata una sorta di morbida censura. Don
Gianni Rocchia, missionario in Brasile dal 1968: “Provo
vergogna, in Italia, nel dire che in Brasile mi dedico a ritiri
per i giovani ed alla formazione dei preti. Tutti vogliono
sentire le lotte popolari, i senza terra e poi i “meninos da
rua” e le adozioni internazionali. Anche in questo sono immerso, ma la mia opzione è più diretta all’evangelizzazione”. Padre Igino Mattarucco missionario in Birmania:
“Invitato a parlare in parrocchie, gruppi missionari e giovanili, ho trovato una buona sensibilità riguardo alla fame
di pane, ma mi pare ci sia quasi un’insensibilità riguardo
alla fame di Dio. L’aiuto materiale è compreso, l’annunzio
di Cristo sembra superfluo, quando non è contestato:
“Hanno anche loro una religione, mi sento dire, perché disturbarli nelle loro credenze?”. Dopo alcuni mesi che sono
in Italia, mi sento spinto anch’io a parlare soprattutto di
lebbrosi da curare, di profughi e orfani da accogliere, di
gente poverissima da aiutare in vari modi, di ingiustizie da
riparare e denunziare… Tutto questo è un impegno preciso
del missionario: ma mi accorgo che a volte finisco per dire
solo questo, mentre la mia esperienza più profonda di vita
in Birmania è un’altra, che qui in Italia non riesco ad esprimere, non trovo l’ambiente accogliente e interessato… Io
ho toccato con mano che il contributo essenziale che il missionario e la Chiesa danno alla crescita di un popolo e alla
liberazione da ogni oppressione non è tanto l’aiuto materiale o tecnico, quanto l’annunzio di Cristo: una famiglia, un
villaggio, diventando cristiani passano da uno stato di passività, negligenza, divisione, ad un inizio di cammino di crescita e di liberazione. Il perché mi pare evidente e andrebbe
approfondito nella cosiddetta “animazione missionaria”…
Non capisco perché in Italia, anche nelle riviste missionarie, questi discorsi si fanno poco e sembra quasi che noi ci
siamo fatti missionari per distribuire cibo, costruire scuole,
condividere la vita dei poveri… Insomma, non risulta chiaro che il primo vero dono che noi portiamo ai popoli, è la
fede in Cristo, che trasforma la vita e la società, creando un
modello nuovo e più umano di sviluppo”.
C’è un secondo aspetto su cui riflettere. Come si possono
invitare i giovani a donare la vita alla missione della Chiesa
e al volontariato internazionale, in un ambiente che ha una
visione pessimistica del mondo occidentale, della Chiesa?
Quando si dice che il nostro modello di vita non funziona,
bisogna aggiungere che ha migliorato moltissimo il livello
di vita degli italiani. Noi demonizziamo il progresso realizzato dall’Occidente: in realtà rinneghiamo le radici da cui
esso proviene, che sono radici cristiane. Per quale alternativa? Nelle conversazioni che propongo sulla globalizzazione
e sull’aiuto ai popoli del mondo, dico sempre che, nell’epoca della globalizzazione, dobbiamo anzitutto convertirci a
Cristo e al suo Vangelo: cambiare vita per essere più disponibili nell’aiuto ai fratelli. In questo contesto è un messaggio nuovo, perché quando si parla di globalizzazione si parla quasi solo di soldi (Tobin Tax, prezzi delle materie prime,
finanziamenti allo sviluppo…). Il passaggio dai soldi alla
conversione a Cristo non è facile ma, come cristiani e missionari, vale la pena di tentarlo per lanciare proposte forti e
provocatorie anche sul piano personale. Non riesco a capire
perché l’associazionismo giovanile cattolico italiano non si
muova dichiaratamente in questa direzione; perché il movimento missionario e la stessa Chiesa italiana non promuovano studi, congressi, orientamenti culturali in questo senso.
Nel “Manifesto delle associazioni cattoliche ai leader del
G8” (Genova, luglio 2001) Gesù Cristo, il Vangelo, la Chiesa, i missionari non erano nemmeno nominati. In un dibattito su questo tema, una personalità dichiaratamente cattolica,
alla mia proposta di convertirci a Cristo, come modello di
amore al prossimo, ha commentato: “La conversione a Cristo è un fatto personale e non è importante: l’importante è
amare l’uomo…” Già, “amare l’uomo”! Ma per il cristiano
la verità sull’uomo ha un nome preciso: Cristo. Nel lontano
1970 l’allora papa Paolo VI avvertiva: “Senza Cristo, i più
grandi valori diventano facilmente disvalori”. E la storia,
anche recente, ci ha dato ampie conferme della gravità di
questo rischio.
Piero Gheddo
Piero Gheddo, missionario del PIME (Pontificio Istituto
Missioni Estere) di Milano, giornalista e già direttore
della rivista “Mondo e Missione”, ha dedicato tutta la sua
vita a raccontare la realtà dei poveri ed oppressi della
Terra in articoli, libri, conferenze e trasmissioni
radiotelevisive. Attività che continua ancora oggi.
n. 3 - dicembre 2003
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