Riflessioni sulle Letture della VIII Domenica del TO

Riflessioni (n.264) sulle Letture della VIII Domenica del T.O. (a)
26 febbraio 2017
A tutti gli Amici in Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore
Tu che leggi sii benedetto dal Signore, ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore.
A te che leggi: ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto.
Perdona Signore, e anche voi amici, tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera
a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno
dell’anima; la preghiera infatti è consolazione e insegnamento.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno che
le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
-Nihil amori Christi praeponere-
SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI
Prima Lettura - Dal libro del profeta Isaìa - Is 49, 14-15 - Io non ti dimenticherò mai.
Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
L’abbandono, la dimenticanza e il tradimento
sono cose orrende da sopportare perché fanno male in
quanto rifiuto. Essere rifiutati è la negazione di sé,
l’annullamento del proprio essere. E Isaia si chiede retoricamente se tale bruttura ignobile possa essere attribuibile anche al Signore. Dio è per Sion -e quindi per
estensione per tutti noi- come una mamma per il suo
tenero e amatissimo figlioletto che è il frutto delle sue
viscere e della sua stessa vita. Quanto più allora il Padre Nostro che è Amore Infinito potrà mai dimenticare
i Suoi figli, quand’anche essi Lo tradissero e si allontanassero da Lui?
Il Creatore ha fatto del genere umano il destinatario
principe del Suo Amore senza ritorno, del Suo Agape
che per la propria bellezza ci riesce difficile persino da
comprendere. Se è stato detto e scritto che il cuore della mamma è sempre pronto a perdonare e ad accogliere
il proprio figlio anche se colpevole, quante volte Dio ci
perdona e non ci abbandona? Al nostro prossimo ci ha
raccomandato di perdonare settanta volte sette che è un
numero pressoché infinito; Egli invece perdonerà sempre purché Glielo chiediamo: è pronto a darci infiniti
atti d’amore e di Grazia purché Gli manifestiamo la nostra intenzione con amore di figli. Riconoscersi Suoi
figli è il Credo più totale, completo e gradito, quello
che racchiude in Sé ogni aspettativa d’amore e di garanzia da parte Sua e ogni obbedienza e rispetto da parte nostra.
Non è un caso che Gesù abbia iniziato la Preghiera
per eccellenza, insegnata ai Discepoli, con le parole
sante “Padre Nostro”.
Se il legame più forte, direi indissolubile, e degno
d’ogni considerazione positiva è quello tra chi genera e
chi è generato, perché atto d’amore e di donazione,
come dobbiamo considerare Quello Divino che è sì anche materiale -ma da solo è troppo poco pur essendo
grande- ma è soprattutto spirituale e quindi inalterabile
dal tempo che corrode ogni cosa e scolora ogni sentimento e inattaccabile dalle ingiurie della cattiveria?
Quando ci sembra che il Padre Celeste ci abbia abbandonati ciò avviene o perché ci vuole insegnare
qualcosa cui siamo ostili e contrari e dunque sottoporci
-per toccare con mano- alle negatività della nostra
stessa testardaggine o perché è il nostro stesso animo
che si deforma e snatura inseguendo le vanità del
mondo che vorrebbero sostituirsi al nostro Padre Celeste. L’uomo è restio ad accettare ciò che gli appare ingiustizia di Dio confrontandosi con gli altri; Quelet ha
scritto (Qo 8, 6-8)
“Infatti, per ogni evento vi è un tempo opportuno, ma un male
pesa gravemente sugli esseri umani. L'uomo infatti ignora che cosa
accadrà; chi mai può indicargli come avverrà? Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere
sul giorno della morte. Non c'è scampo dalla lotta e neppure la malvagità può salvare colui che la compie.”
(Qo 8, 11-13):
“Poiché non si pronuncia una sentenza immediata contro una
cattiva azione, per questo il cuore degli uomini è pieno di voglia di
fare il male; infatti il peccatore, anche se commette il male cento volte, ha lunga vita. Tuttavia so che saranno felici coloro che temono
Dio, appunto perché provano timore davanti a lui, e non sarà felice
l'empio e non allungherà come un'ombra i suoi giorni, perché egli
non teme di fronte a Dio.”
(Qo 8, 15)
“Perciò faccio l'elogio dell'allegria, perché l'uomo non ha altra
felicità sotto il sole che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la
sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli
concede sotto il sole.”
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Dio Benefico che Ti imponi all’attenzione di chi
Ti sa Padre e Creatore per la Tua Infinita Dolcezza e il
Tuo Amore Inesauribile insegnaci ad amarTi come Tu
vuoi e hai fatto, perché se è facile amare Te che sei
l’Essenza d’Amore non altrettanto semplice è amare
chi ci procura danno e male!
Salmo Responsoriale - Dal Salmo 61 - Solo in Dio riposa l’anima mia.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.
In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore.
Solo in Dio riposa l’anima mia”
“
La nostra difesa da parte del Padre Celeste è costante e sicura: perdere un’anima sola per Lui, che è la Perfezione, sarebbe un «danno inaccettabile», una «sconfitta» difronte al male cui non può permettere di trionfare sul Bene ma che pure tollera perché conseguenza
della nostra Libertà, e che è nostro allontanamento da
Lui. La libertà che Dio ci ha donata è prioritaria affinché ogni nostra azione sia conseguenza della nostra
personale volontà.
Ma come considerare allora i mali che purtroppo
capitano anche alle persone giuste? Nessuno può spiegarlo con certezza ma con altrettanta sicurezza possiamo affermare che Egli non permetterà mai nulla che si
risolva in danno irreversibile della nostra anima e del
nostro spirito. I mali corporali e quelli legati alla sua
sfera possono accadere a chiunque ma per il principio
affermato dal Salmo possono riguardare solo la vita dei
sensi e non certo quella eterna dell’anima. Considerata
poi la Generosità e la Pietà del Signore Dio Nostro chi
può negare che le sofferenze di questa vita, per quanto
amare, non saranno, al positivo, di moltissimo inferiori
ai godimenti infiniti nella vera vita, al Suo Cospetto?
Per tornare al parallelo dell’amore materno di cui abbiamo detto sopra quante saranno le dolcezze senza fine che solamente Lui, il Dio del Bene Assoluto, potrà
inventare per noi quanto più saremo stati sfortunati in
questa vita? Quali onori, quali ricchezze, quali fortune
di quest’esistenza potranno mai essere paragonate con
il posto che Tu riserverai al più piccolo dei Tuoi Eletti
al Banchetto Eterno?
Come posso esprimere il magnifico smarrimento
che provo e il tremore che sento nei recessi più riposti
del mio animo al solo pensiero di tanta, infinità Felicità e di tanta, sublime Bellezza che hai riservato per noi
tutti se non saremo così folli da preferire a tutto ciò le
ingannevoli e purulente lusinghe del peccato e i prepotenti desideri della carne?
Seconda Lettura - Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 4, 1-5 - Il Signore manifesterà le intenzioni dei cuori.
F
ratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che
ognuno risulti fedele.
A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un
tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono
giustificato. Il mio giudice è il Signore!
Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
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Potente la dichiarazione dell’Apostolo di fiducia
piena e totale, di obbedienza incondizionata verso il
Signore Gesù Cristo, Giudice Unico e infallibile del
genere umano, di umiltà piena e sincera:
“… io non giudico neppure me stesso, perché,
anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non
per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!”
Egli afferma che ciascuno riceverà la sua lode da
Dio per il compiacimento di aver seguito i Suoi Comandamenti e aver avuto Carità e Misericordia dei
propri simili.
Quindi chi giudica il prossimo si sostituisce al Signore sbagliando sia nel merito sia nell’attribuzione
perché solo Cristo possiede tale facoltà. Nel Giudizio
Finale a tutti, dei miliardi di anime che saranno presenti e tremeranno difronte al Verdetto Divino, tutto sarà
palese, anche i più segreti pensieri della mente e del
cuore di ciascuno. L’Apostolo dice anche -nella parte
evidenziata- che anche dei peccati di cui non si è coscienti occorre avere la giustificazione del Signore:
nessuno può ritenersi né dirsi immune dal peccato e
quindi nessuno monti in superbia ritenendosi al di sopra dei peccatori, cioè di tutti gli esseri umani.
Come diceva Socrate “so solo una cosa: di non sapere” così potremmo dire noi cristiani “sono certo di
una cosa: di essere peccatore e di avere bisogno del
Perdono.” Tutti dunque abbiamo bisogno della Giustificazione di Cristo perché tutti abbiamo molto da farci
perdonare sia in quanto a peccati palesi sia per peccati
che noi stessi ignoriamo di avere commesso. Ma questi
secondi credo che siano di minore gravità perché quelli
più grandi sono scolpiti nella nostra coscienza e quindi
palesi ed evidenti a chiunque nella loro rilevanza e nel
male che arrecano a sé e agli altri. Dunque le colpe non
palesi sono più insidiose delle altre proprio per la loro
capacità di mimetizzarsi subdolamente fra i pensieri e
le azioni «normali» del quotidiano. Ma infatti la nostra
attività mentale è una fucina che incessantemente, di
giorno e anche di notte, intreccia pensieri buoni e positivi ma anche pensieri e propositi negativi, non conformi alla Volontà di Dio.
Dammi Signore capacità di discernimento per-
ché le astuzie del maligno non divengano mie nel camuffare e artefare la logica del male e nel convincermi
che esse possano passare come il Bene che Tu ci comandi di seguire.
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Canto al Vangelo - Eb 4,12
Alleluia, alleluia.
La parola di Dio è viva ed efficace,
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Alleluia.
Dal vangelo secondo Matteo - Mt 6, 24-34 - Non preoccupatevi del
domani.
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà
l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete
servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che
mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete;
la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né
raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i
gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che
neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che
cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in
cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte
queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
Dio e ricchezza si escludono a vicenda: tanto potente è dunque il desiderio del denaro e della ricchezza
nell’uomo!
La ricerca del potere, del denaro, degli onori, interseca inesorabilmente la via per il Cielo.
Dio è esigente circa le nostre scelte: “sì, sì; no, no”,
ha detto Gesù e non ammette che si tenga il piede in
due staffe, ma viceversa esige chiarezza e coerenza fino alle estreme conseguenze, com’è giusto sia, in un
uomo assennato e affidabile.
L’inseguimento della ricchezza e del successo non
lasciano tempo ad altri impegni perché ad esso si devono dedicare tutte le energie mentre pensare e agire nella
ricerca dell’offerta del Bene a favore di chi ne ha bisogno distrae e sottrae tempo, ma soprattutto stravolge i
pensieri indirizzati alla ricerca esigentissima del proprio interesse egoistico inconciliabile con l’esigenza
caritatevole.
Oggi devo incontrare una persona che mi ha fatto
intravvedere un ottimo affare da prendere al volo; per
la strada incontro un amico che mi accenna a guai
grossi con i quali si sta scontrando e mi fa capire che
gradirebbe un mio parere e un aiuto... La coscienza mi
dice di fermarmi, ma gli affari sono “prendere al volo o
lasciare”; e allora dico all’amico che lo chiamerò per
parlare dei suoi problemi pur sapendo che non ne avrò
tempo… «business is business» dicono gli anglosassoni
per autogiustificazione. Ma poi non è vero che
quell’affaruccio fosse così urgente e d’altra parte non
mi attirava per niente stare ad ascoltare le lagnanze
dell’amico: un’altra volta... Non mancherà l’occasione;
e poi lui è sempre così drammatico…, eccessivo...e poi,
ma a me chi ci pensa?
Questa è la giustificazione che troppo spesso ci facciamo noi stessi convinti che dopo tutto non sia cosa
così grave essermi girato altrove E invece lo è perché
diviene un habitus che non riusciamo più a scrollarci di
dosso e che un po’ alla volta ci fa perdere la misura, ci
indurisce il cuore ci «corazza» contro la Carità che è
Dio. Ciò che noi costruiamo lo facciamo un granello
alla volta, tappa dopo tappa, sia nel bene che nel male.
In quanto alla Provvidenza che il Signore dispensa
a tutti si potrebbero portare migliaia di esempi e di te-
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stimonianze a convalida. La frenesia ad accumulare e
ad avere sempre di più non può essere giustificabile da
nulla se non dal desiderio irrefrenabile del possesso cui
si dà libero sfogo. L’avere, il possedere, sono la contraddizione dell’essere, perché l’umano, nato libero,
diviene servo e schiavo della ricchezza e del potere:
eccoli infatti i mali che incatenano gli uomini che il
Creatore ha costituiti liberi.
Che pena mi danno quegli uomini che asseriscono
con orgoglio di non avere un minuto per sé, tanto sono
presi dal lavoro e dagli affari. Poveretti! Ma non
s’accorgono che la loro è una schiavitù? Così facendo
tolgono Dio dagli Altari per sostituirgGli se stessi e la
ricchezza amata oltre misura.
Lo stile di vita -di chi può sceglierlo- condiziona
la propria intera esistenza; e impegnarsi a raggiungerlo
è una fatica senza uguali che non giustifica il risultato
conseguito per quanto grande possa essere, perché rende la giornata e la notte un vero inferno che porta inesorabilmente a dimenticare l’esistenza e la presenza di
Dio, il fine ultimo della nostra esistenza. Per tale scelta
si diviene pagani o atei perché quegli obiettivi materiali, divenuti idoli, sono il perché della vita stessa.
Altra cosa è l’arrabattarsi per il mantenimento di sé
e della propria famiglia: chi è in tali condizioni non
cerca mai il superfluo e il di più, ma l’indispensabile,
lasciando così spazio e tempo alle richieste da rivolgere
al Padre Nostro affinché ci dia il “nostro pane quotidiano”.
La stupenda frase
“Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.“
ci rassicura a non colpevolizzarci se cerchiamo di avere
anche qualcuno dei beni materiali che tanto attirano le
nostre bramosie purché non diventino prioritari sui beni
spirituali e proporzionati a quanto già abbiamo.
Aiutami Signore a cercare e trovare i Beni che
non durino solo il tempo della vita di quaggiù, non siano soggetti agli insulti del tempo e non oggetto della
lotta spietata contro i miei simili per arrivare prima
degli altri. Siano invece essi quelli che si trovano con
la Luce della Tua Giustizia e della Tua Carità e che
non servano solo a me ma anche a quanti come me ne
hanno bisogno per vivere.
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(Altare del Santo di Padova)
Di Donatello
(Donato di Niccolò di Betto Bardi; Firenze 1386 - 1466)
Figura 1 - Miracolo dell'Asina; Altare del Santo di Padova; 1447 (?); Donatello; Padova, Basilica del Santo; bassorilievo in bronzo con dorature; cm 57x123
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Spesso parlando di pittura si dice che le sue im-
rivolgendo al Signore questa preghiera in presenza
dell’Ostia Consacrata:
magini, in realtà senza rilievo, sembrano acquistarne
per il forte e sapiente chiaroscuro che riesce a imitare
la reale tridimensionalità dei corpi.
Donatello è stato un maestro senza pari anche per
aver messo a punto una tecnica efficacissima, che evidentemente gli era congeniale, quella dello “stiacciato” come dicevano a quei tempi, che sottrae spessore al
rilievo scultoreo avvicinando in tal modo le immagini
modellate al disegno che non ha spessore ma lo imita.
È questa una espressione artistica in realtà non praticata molto spesso perché può apparire come un compromesso tra la scultura a tutto tondo e la pittura o il disegno che danno tridimensionalità illusoria. Il rischio in
effetti è che non si riesca a trovare il giusto equilibrio
tra il tutto tondo tipico della scultura e il graficismo tipico del disegno e talvolta della pittura.
I bassorilievi hanno origine antica e spesso venivano impiegati per impressionare lo spettatore con parti a
tutto tondo che conferivano alle figure forti effetti
emozionali, prendendo vita ed entrando illusoriamente
nel nostro spazio reale col l’effetto di distaccarsi dalla
lastra.
Donatello sorprende per la sua straordinaria capacità di modellare pochi millimetri di materia e conferire
all’immagine una consistenza straordinariamente realistica nella rappresentazione dello spazio.
Sembra inutile ricordarlo -e ne chiedo scusa- ma
Donatello insieme a Masaccio e a Brunelleschi, fu
l’iniziatore della meravigliosa e irripetibile primavera
artistica degli inizi del XV secolo a Firenze:
dell’Umanesimo artistico fiorentino, in cui la storia, la
natura e la prospettiva, inventata da Brunelleschi, ebbero un ruolo fondamentale nella rappresentazione del
mondo fisico reale.
L’Altare del Santo di Padova è stata l’opera più impegnativa che Donatello abbia realizzato, ma purtroppo
la disposizione delle varie statue e dei bassorilievi che
vediamo attualmente nella Chiesa di sant’Antonio non
è quella realizzata ai suoi tempi secondo il progetto architettonico dell’artista medesimo. Tuttavia le singole
opere in sé mantengono ciascuna intatta la loro configurazione e consistenza.
L’opera fu realizzata tra il 1446 e il 1453, e comprendeva sette statue a tutto tondo, cinque rilievi maggiori e diciassette rilievi minori.
Il “Miracolo dell’Asina” è uno dei cinque. In esso è
rappresentato uno dei miracoli che si attribuiscono al
Santo. Quello di cui trattiamo la tradizione vuole che
sia avvenuto nel 1223 a Rimini1: un eretico contestava
le predicazioni di Antonio circa la reale presenza del
Corpus Christi nel pane e nel vino consacrati e sfidò il
Santo a dimostrare con un miracolo tale Presenza. Antonio accettò e avvenne il miracolo. Un’asina tenuta da
giorni a digiuno sarebbe stata condotta in piazza davanti a un recipiente di biada e il Santo con la forza della
sua preghiera avrebbe attirato a sé l’animale affamato
“In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto
ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o
animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con
umiltà e di prestargli la dovuta venerazione.”
1
A Rimini esiste ancora un Tempietto del Bramante dedicato al miracolo.
Il miracolo avvenne: l’asina preferì accostarsi al
Sacramento piuttosto che dirigersi verso il cibo e addirittura si inginocchiò. Così l’eretico (tale Bonovillo) si
convertì.
La “Deposizione di Cristo nella tomba” fa parte dei
cinque rilievi ma oltre a non riguardare alcun miracolo
del Santo è l’unico in pietra anziché in bronzo; gli altri
quattro sono simili per impostazione: il grande Santo
compie dei miracoli difronte a una folla agitata e fortemente emozionata dall’avvenimento soprannaturale.
Prima di Donatello solo Giotto aveva rappresentato
piccole folle che completavano la storia narrata e la
composizione figurativa, ma Donatello va molto oltre
rendendo la moltitudine dei convenuti protagonista al
pari del personaggio principale della storia.
La tempra dell’artista è manifestamente connotata
da una forte vena drammatica che si esplica oltre che
nei gesti, negli atteggiamenti, nelle espressioni, anche
-e forse sarebbe meglio dire soprattutto - nella modellazione potente della materia che diviene modellazione
della luce che, a sua volta, è origine del visibile.
L’organizzazione delle figure, la distribuzione della luce e delle ombre è un tutt’uno magicamente orchestrato
a suscitare quel potente pathos che è l’essenza dell’arte
donatelliana.
La sfida del racconto figurato avviene difronte a un
solenne portico classico caratterizzato da una grandiosa
spazialità simile a quelle tanto ammirate
dell’architettura romana che Donatello era venuto a visitare con l’amico Brunelleschi, nella città eterna ridondante di tanti reperti ammirati, studiati, copiati. Esso è composto da tre ampie volte a botte percorse da
nervature parallele alle generatrici della superficie curva, chiuse nelle lunette sul fondo da pesanti grate di
ferro oltre le quali si percepiscono altri ambienti voltati. L’imboccatura del portico con i suoi tre archi a tutto
sesto è inquadrata da poderose lesene classiche che
nell’insieme dell’architettura formano anch’esse un
esplicito rimando alla storia attraverso le loro solenni
forme: allora l’ambientazione diviene un’esplicita dimostrazione che Dio è presente nelle vicende umane,
nella sua storia che è dramma se non tragedia.
Al centro appare la figura del Santo curvato verso
l’animale che si inginocchia davanti al Santissimo Sacramento, invano sollecitato dal cesto ricolmo di biada.
Il gesto del Santo è sicuro, quasi scontato nel risultato
sperato. A destra e a sinistra la folla si accalca a guadagnarsi un posto migliore per poter osservare da vicino
l’avvenimento. Due uomini, saliti sui plinti delle lesene
osservano sorpresi l’evento soprannaturale che si sta
consumando sotto i loro occhi: quello di destra si porta
la mano alla bocca per lo stupore, mentre l’altro, a sinistra si calza il cappello, anch’egli sgomento da quanto
incredibilmente si sta compiendo. E poi altri, uomini,
donne e bambini, vecchi. Chi accorre, chi è inginocchiato a pregare, chi si consulta col vicino a commenta-
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re, a esprimere dubbio o compiacimento; un levar di
mani, un ammiccare di sguardi e di gesti, un volgere il
capo da una parte e dall’altra. Impossibile elencarli e
individuarli singolarmente come le gocce in un’onda
che si muove da una parte all’altra.
Le vesti sono quelle dell’antichità classica e le lunghe tuniche si prestano ottimamente per essere increspate da mille rivoli di luci e di ombre coerenti con i
loro panneggi.
In questi prodigiosi «Stiacciati» Donatello disegna
e dipinge le figure con i loro volti, i loro abiti, le barbe
e i capelli con la stessa cura che mette per rappresentare il protagonista del fatto narrato, ma non con la matita
né col pennello, ma con la materia plastica del bronzo
che con la sua naturale lucentezza, esaltata in questo
caso da dorature saltuarie, concentra qua e là la luce lasciando che scivoli su una spalla, su un volto, su un
braccio levato in alto, su una testa calva.
Con la tecnica del sotto-squadro riesce,
nell’addensarsi improvviso delle ombre, a far emergere
per contrasto un nodo luminoso finitimo che come
un’eco si propaga da una parte all’altra rimbalzando in
mille diversi modi. Il tutto in uno spessore veramente
minimo di materia modellata.
Ma riflettiamo ancora un momento su cosa sia la
scultura in confronto alla pittura: la statua a tutto tondo
non possiede un contorno come le figure pittoriche o
del disegno, perché esso non è cosa stabile e univoca,
cambiando continuamente in funzione del variare della
posizione di chi la guarda; è dunque, direi per definizione, un fatto dinamico che s’addice perfettamente ai
forti sentimenti drammatici che l’autore vuole rappresentare.
La luce, di cui abbiamo già detto alcune cose più
sopra, nella scultura non è fissata una volta per tutte
come fa il pittore, ma varia in continuazione al variare
della radiazione solare o della luce artificiale
dell’ambiente. Dunque l’organizzazione delle luci e
delle ombre progettate in fase creativa può essere inficiata e non dare il risultato previsto se non viene rispettata secondo le intenzioni progettuali. Dunque una forte
modellazione anche se in pochi millimetri di spessore
può garantire il risultato atteso; ed è ciò che fa Donatello.
Giorgio Obl OSB
-Nihil amori Christi praeponere25 feb 2017 - Questo e altri
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