Settembre
Musica
Torino Milano
Festival Internazionale
della Musica
04 _ 21 settembre 2013
Settima edizione
Milano
Teatro degli Arcimboldi
Orchestra del Maggio
Musicale Fiorentino
Zubin Mehta direttore
Venerdì 20.IX.2013
ore 21
Schoenberg
Stravinskij
°
38
Arnold Schoenberg (1874-1951)
Fünf Orchesterstücke op. 16 (1909)17 min ca
Vorgefühle (Presentimenti)
Vergangenes (Qualcosa di remoto)
Farben (Colori)
Peripetie (Peripezia)
Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato)
Kammersymphonie op. 9 (1906)22 min. ca
Igor Stravinskij (1882-1971)
Le Sacre du printemps,
quadri dalla Russia pagana in due parti (1913) 35 min. ca
Parte prima: L’adorazione della terra
Introduzione
Gli auguri primaverili, danze delle adolescenti
Gioco del rapimento
Danze primaverili
Gioco delle tribù rivali
Corteo del saggio
Adorazione della terra (il saggio)
Danza della terra
Parte seconda: Il sacrificio
Introduzione
Cerchi misteriosi delle adolescenti
Glorificazione dell’Eletta
Evocazione degli antenati
Azione rituale degli antenati
Danza sacra (l’Eletta)
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Zubin Mehta, direttore
Sala Buzzati
ore 17.30
Incontro con Zubin Mehta
e Armando Torno
Incontri
In collaborazione con
Corriere della Sera
Schoenberg e Stravinskij: il Novecento in musica
Lo stile di Arnold Schoenberg è stato il frutto di un costante processo di
autoanalisi, che ha guidato l’autore verso una definizione sempre più netta dei contorni della sua personalità musicale. In effetti nel suo percorso
artistico non si trovano svolte radicali, del tutto svincolate dalla produzione precedente. Tuttavia l’autore stesso considerava alcuni suoi lavori degli
spartiacque, in grado di segnare i momenti di passaggio da una fase all’altra.
Uno di questi è la Kammersymphonie per 15 strumenti solisti op. 9, composta nella prima metà del 1906 a Vienna. In uno scritto intitolato Wie man
einsam wird, Schoenberg sottolineava la particolare collocazione del lavoro:
«Dopo aver terminato la composizione della Kammersymphonie, non c’era
solo l’attesa del successo a riempirmi di gioia. Si trattava di qualcosa d’altro
e di più importante. Credevo di aver trovato il mio personale e peculiare stile
compositivo, e mi aspettavo di aver risolto tutti i problemi che avevano fino
ad allora inquietato un giovane compositore, e che ci sarebbe stato un modo
per uscire dal groviglio di problemi in cui noi giovani compositori eravamo
rimasti intrappolati a causa delle innovazioni armoniche, formali, orchestrali
ed emotive di Richard Wagner. Credo di aver trovato una maniera per forgiare e sviluppare temi e melodie comprensibili, caratteristici, originali ed
espressivi malgrado le armonie dilatate ereditate da Wagner. [...] E questo è
stato il primo passo di un nuovo, ma spinoso cammino».
Un indubbio elemento di novità era rappresentato dalla scelta del titolo, che
gettava una luce ambigua sul lavoro. Kammersymphonie infatti chiamava
in causa due stili di scrittura diversi, cameristico e sinfonico, che hanno
continuato a convivere anche negli ulteriori sviluppi del testo, passato dalla
versione originale per 15 strumenti solisti alle successive versioni per orchestra (1914/1922) e per grande orchestra (1936). La fusione dei due generi
sperimentata nella Kammersymphonie non riguarda solo l’impasto sonoro,
ma anche la quintessenza del linguaggio musicale. Lo studio degli appunti
musicali di Schoenberg rivela che fin dall’inizio l’idea di un lavoro da camera
dall’organico già definito si era mescolata agli schizzi per un pezzo sinfonico
rimasto allo stadio di abbozzo. La versione originale sembra indicare che la
dimensione cameristica alla fine abbia preso il sopravvento, come sottolineava anche l’allievo Anton Webern, facendo notare come la prima esecuzione
del lavoro, l’8 febbraio 1907 nella sala grande del Musikverein di Vienna con
il Quartetto Rosé e i fiati dell’Orchestra dell’Opera di Corte, si fosse svolta
senza direttore. Ma allo stesso tempo l’autore stesso si rendeva conto degli
squilibri sonori provocati da un simile organico, soprattutto se il lavoro fosse
stato suonato in una grande sala da concerto, tanto da prevedere subito la
moltiplicazione degli strumenti ad arco e addirittura il raddoppio di quelli
a fiato, se necessario. La scrittura della Kammersymphonie tuttavia è senza
dubbio legata in maniera indissolubile con lo stile della musica da camera,
soprattutto per l’estrema complessità del linguaggio polifonico. In un tessuto
così denso di trame contrappuntistiche, dove le varie voci s’intrecciano con
un fitto e continuo dialogo in ogni direzione, la trasparenza sonora della
versione originale aiuta moltissimo la chiarezza e la comprensione del testo.
Un altro elemento di novità riguarda la concezione formale, che rappresenta
un deciso passo in avanti verso l’emancipazione completa dalla musica del
secolo precedente. Come faceva notare un altro allievo di Schoenberg, Alban
Berg, nella sua analisi formale pubblicata nel 1912 come introduzione alla
partitura, il lavoro richiama la struttura di una sinfonia in cinque movimenti,
malgrado sia stato scritto in un unico torso. Ma non basta, perché l’architettura multipla della sinfonia è anch’essa a sua volta fusa insieme a una forma
sonata. La parte dello sviluppo, per così dire, viene infatti a cadere tra gli
episodi che alludono allo Scherzo e all’Adagio, mentre il Finale rappresenta
anche una sorta di ricapitolazione del materiale tematico iniziale. Allo stesso
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modo Schoenberg comprime anche il linguaggio armonico e il fraseggio, saltando i passaggi intermedi per arrivare a un’istantanea sintesi del discorso. Il
frontespizio della partitura indica mi bemolle maggiore come tonalità principale, malgrado il lavoro si concluda con un rotondo accordo di mi maggiore.
Sebbene il linguaggio della Kammersymphonie rimanga ancora all’interno di
un impianto tonale, il tema principale del corno, formato da una sequenza
d’intervalli di quarta, rivela senza equivoci la ricerca di una nuova dimensione per la struttura armonica. In poche parole, Schoenberg sembrava prendere lo schema di una sinfonia tardo-romantica e comprimere il materiale fino
a raggiungere lo stato di musica da camera. Il processo di transizione da un
genere all’altro era forse il frutto dell’impressione suscitata dall’ascolto della
Quinta sinfonia di Gustav Mahler, che aveva provato e diretto il lavoro con i
Wiener Philharmoniker nel dicembre del 1905. Erano gli anni della maggiore influenza della figura di Mahler su tutto il movimento culturale progressista di Vienna e in particolare su Schoenberg, che con la Kammersymphonie
si avventurava in maniera esplicita nel regno della sinfonia. Il precedente
poema sinfonico Pelleas und Melisande, scritto nel 1902, rappresenta infatti
un esempio di musica a programma nel solco dei lavori di Strauss. In questo
caso invece Schoenberg intendeva confrontarsi con il linguaggio sinfonico,
reagendo sia alla dimensione monumentale, sia alla concezione formale dei
lavori di Mahler. Il giovane autore forse cercava di spingere fino al limite il
carattere dinamico delle forme musicali del collega più anziano, fino al punto
di tentare una fusione tra la micro e la macrostruttura.
Solo tre anni dopo, nel 1909, lo scenario era profondamente mutato. Mahler
aveva lasciato Vienna nel 1907 e gli allievi di Schoenberg, in particolare
Berg e Webern, avevano ormai cominciato la loro produzione ufficiale. I
lavori di quegli anni, sotto l’influenza reciproca tra il maestro e gli allievi,
sono improntati a una febbrile espressività e allo stesso tempo a un’aforistica
brevità. Nel 1922 Schoenberg scrisse una prefazione per la partitura delle
Bagatellen op. 9 di Webern, scritte tra il 1911 e il 1913. Essa suona come
un commento alla sua stessa produzione di allora: «Si pensi a quale senso
della misura occorra per contenere una tale brevità. Ogni occhiata si espande fino a diventare una poesia, ogni sospiro un romanzo. Ma esprimere un
romanzo in un solo gesto, una felicità in un solo respiro: una tale densità si
trova solo dove manchi in misura altrettanto alta l’autocommiserazione». I
Cinque pezzi per orchestra op. 16 corrispondono in maniera precisa, anche
se meno radicale, a questa descrizione. Schoenberg li considerava dei pezzi
corti e indipendenti, non legati a un’idea di ciclo, come scriveva in una lettera a Strauss il 14 luglio 1909, all’indomani della prima stesura: «Mi aspetto
però cose colossali da loro, specie per quanto riguarda il suono e lo spirito.
Si tratta solo di questo – assolutamente nulla di sinfonico, anzi proprio il
contrario, niente architettura, niente costruzione. Soltanto un interrotto e
variopinto cambiamento di colori, ritmi e umori». Per venire incontro alle
richieste dell’editore Peters, che premeva per conferire al lavoro l’aspetto di
una musica a programma, Schoenberg acconsentì controvoglia a mettere
dei titoli ai vari pezzi, ma aggiungendo con ironia che essi non significavano
niente o per troppa vaghezza, o per mera descrizione tecnica. La partitura,
pubblicata a Lipsia nel 1912, venne eseguita per la prima volta il 3 settembre
dello stesso anno ai Proms di Londra, con la Queen’s Hall Orchestra diretta
da Henry Wood.
Malgrado il carattere astratto del lavoro, si può ancora scorgere in controluce
il profilo delle forme tradizionali. Vorgefühle (Presentimenti) è una sorta di
reminiscenza della forma sonata, in cui è possibile distinguere una parte di
esposizione, un episodio ostinato in funzione di sviluppo e una larvata ripresa
del materiale iniziale. Il secondo pezzo, Vergangenes (Qualcosa di remoto),
mostra invece un carattere del tutto diverso, rispetto all’attività ritmica del
precedente. Qui emerge lo spirito contemplativo e l’espressione melanconica,
colata in una forma libera e aperta come in un Adagio. Il delicato impasto
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sonoro di Vergangenes è anche il frutto di una scrittura cesellata e ricca di
finezze cameristiche.
Il pezzo più sensazionale della raccolta è senza dubbio il terzo, Farben
(Colori). Schoenberg sperimenta in questo breve acquerello musicale l’idea di
una ‘melodia di timbri’, che nel 1911 veniva poi esposta in maniera teorica
nel Manuale di armonia. L’espressione poetica ruota attorno alla trasformazione della fisionomia sonora di un accordo iniziale, che prende forme diverse in ciascuna delle tre parti in cui è articolato il pezzo. Dopo questa sorta
d’intermezzo coloristico, Peripetie (Peripezia) introduce un altro elemento
tradizionale della sinfonia, lo scherzo, che Adorno percepiva in questo caso
come ‘demoniaco’. La somiglianza con lo scherzo beninteso riguarda solo
il carattere mercuriale e vagamente grottesco dell’espressione, non certo
l’aspetto formale. Il titolo richiama il linguaggio teatrale, che si manifesta in
una sequenza di gesti musicali pronunciati e in una scrittura a blocchi sonori
in netto contrasto con il divisionismo di Farben. La raccolta si chiude con un
altro pezzo molto sperimentale, Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato). Il titolo non ha nulla a che spartire con i dialoghi dell’opera settecentesca,
anche se Schoenberg era in effetti alla ricerca di una forma moderna di prosa
musicale. L’inflessione sonora del parlato si trasforma però in una lingua
della nevrosi, alimentata da una moltitudine di voci accavallate e sovrapposte l’una all’altra. La scrittura polifonica ha un carattere frammentario e la
temperatura emotiva oscilla dalla quiete alla tempesta, secondo un processo
simile al flusso di coscienza dei romanzi di Joyce.
A differenza di Schoenberg, la metamorfosi artistica di Igor Stravinskij è
stata uno dei fenomeni piu sensazionali del Novecento. Grazie ai balletti
scritti per Diaghilev (L’oiseau de feu, 1910; Petru[s]ka, 1911; Le Sacre du
Printemps, 1912) l’oscuro discepolo di Rimskij-Korsakov si trasformò dall’oggi al domani nella celebrità del giorno di Parigi. Il Sacre rappresenta l’apice di
questa prima fase della sua produzione. La burrascosa première del balletto,
il 29 maggio 1913, fece l’effetto di una bomba gettata sul secolo passato. La
musica brutale e cubista, la coreografia erotica, il carattere anti-narrativo
del soggetto, l’irritazione per la claque organizzata scatenarono la reazione
tumultuosa del pubblico. Il Sacre fu il momento culminante dell’esaltante
esperienza artistica dei Ballets russes. Henri Ghéon sulla «Nouvelle Revue
Française» si spinse a definire la compagnia di Diaghilev una nuova forma
di opera d’arte totale, ‘il sogno di Mallarmé’. Da quel momento Stravinskij è
stato considerato per antonomasia il campione della musica moderna, come
dimostra agli albori della cultura pop anche la versione del Sacre usata da
Walt Disney per Fantasia.
La rapida evoluzione di Stravinskij tuttavia era solo la punta dell’iceberg. Il
quinquennio 1909-1914 ha rappresentato una sorta di big bang della musica
del Novecento. I Cinque pezzi per orchestra (1909) e Pierrot lunaire (1912)
di Schoenberg, Il castello del duca Barbablù (1911) di Bartók, gli AltenbergLieder (1911/12) di Berg, Jeux (1912/13) di Debussy, Sechs Bagatellen op. 9
(1913) di Webern, Daphnis et Chloè (1912) di Ravel hanno stabilito un nuovo
canone estetico, sovvertendo i principi che avevano retto per secoli il linguaggio musicale. Il Novecento aveva bisogno di esprimere una visione diversa
dell’armonia, del ritmo, della melodia, della forma.
La rivoluzione musicale appariva agli occhi degli accademici come l’assalto
di un’orda di barbari. Stravinskij era un compositore irregolare. RimskijKorsakov lo aveva accettato come allievo, con il consiglio però di non iscriversi al Conservatorio di San Pietroburgo. Il pittore Alexandre Benois lo
ricordava così, all’epoca dei Ballets Russes: «Al contrario della maggior parte
dei musicisti, che in genere sono completamente indifferenti a tutto ciò che
non rientra nella loro sfera, Stravinskij era profondamente interessato alla
pittura, alla scultura, all’architettura. Malgrado non avesse una vera preparazione in questo campo, discutere con lui era sempre prezioso, perché
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‘reagiva’ a tutto ciò che costituiva la nostra ragione di vita. A quei tempi era
un ‘allievo’ incantevole e colmo di buona volontà. Aveva sete di chiarezza e
aspirava senza tregua ad allargare le sue conoscenze».
Stravinskij, come Schoenberg del resto, non si riteneva affatto un sovversivo.
La forza barbarica del Sacre gli procurò fama di musicista anarchico, geniale
e arrogante, ma la sua autentica dimensione spirituale era un’altra. «S’è fatto
di me un rivoluzionario mio malgrado», si lamentava il compositore nella
Poétique musicale. «Bacia la mano alle signore nel momento stesso in cui
calpesta loro i piedi», disse in maniera piccante Debussy. I due musicisti si
conobbero dopo la prima dell’Oiseau de feu, che suscitò in Debussy una ‘sympathie artistique’. Stravinskij e Debussy, in un luminoso pomeriggio parigino
del 1912, suonarono a quattro mani la riduzione per pianoforte del Sacre.
«Eravamo muti, sgomenti come dopo un uragano sopraggiunto da epoche
remote a sconvolgere alle radici la nostra vita», ricordava alcuni anni dopo il
padrone di casa, Louis Laloy.
Il balletto, il cui titolo russo era Vesna Svja[sc]ennaja, fu allestito la prima volta al Théâtre des Champs-Elysées con la coreografia di Vaclav Ni[z]inskij e lo
scenario dipinto da Nikolaj Roerich; Marie Pilz interpretava l’Eletta e Pierre
Monteaux dirigeva l’orchestra. L’origine del Sacre fu una visione. Stravinskij
stava lavorando all’Oiseau de feu, a San Pietroburgo, nel 1910. «Un giorno,
in modo assolutamente inatteso, giacché la mia mente era occupata da cose
affatto diverse, intravidi nell’immaginazione lo spettacolo di un grande rito
sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte
di una giovane che essi stanno sacrificando per propiziarsi il dio della primavera». Il musicista ne parlò subito con Roerich, autorevole studioso della
cultura slava primitiva, e con Diaghilev. Stravinskij terminò il lavoro il 17
novembre 1912 a Clarens, in Svizzera, un giorno in cui era afflitto da un
fortissimo mal di denti.
Pochi lavori del Novecento possono vantare una letteratura critica così
ampia. Pierre Boulez scrisse nel 1951 un saggio epocale, che metteva in
luce l’aspetto innovativo dell’invenzione ritmica. Secondo l’autore, la partitura era così ardita per l’epoca da non generare alcuna discendenza. Gli
elementi innovativi erano tre: la complessità ritmica eccezionale, mediante
un uso raffinato di combinazioni matematiche; lo sviluppo di strutture ritmiche anziché armonico-tonali; l’intuizione di una forma dinamica basata
sul ritmo. Al di fuori dell’aspetto ritmico, Boulez non apprezzava altro nella
scrittura di Stravinskij. Su un fronte culturale opposto, il direttore d’orchestra
svizzero Ernest Ansermet vedeva in Stravinskij l’esempio del genio creatore,
l’artista capace di saldare la forma sonora al senso delle cose. Il segreto di
questa partitura sconvolgente, secondo Ansermet, consisteva nell’intuizione
sensibile dell’essere. Il famoso inizio del Sacre, con il do acuto del fagotto
solo, rappresentava l’emblema della musica di Stravinskij, in quanto «esso è
altrettanto espressivo di ciò che deve rappresentare – l’estrema tensione di
una voce umana immaginaria – che la melodia stessa».
I principi compositivi del Sacre erano in sostanza estranei al linguaggio sinfonico tardo romantico, fondato sulla simmetria fraseologica e l’organizzazione
tonale. Il famoso accordo ribattuto su un ritmo sghembo con cui iniziano gli
Augures printaniers, probabilmente la prima idea musicale del Sacre, sfugge
a qualunque definizione della forma armonica. Le varie analisi della sua
struttura intervallare, in pratica una per ciascuna nota di cui è formato,
non forniscono un’interpretazione definitiva e convincente. Ma all’ascolto,
le relazioni armoniche dell’accordo scivolano in secondo piano rispetto al
puro blocco sonoro formato dalla sua ripetizione martellante. L’attenzione si
sposta giocoforza sugli accenti irregolari del ritmo, accentuati dal colpo secco
del suono dei corni. Eppure non c’è dubbio che, malgrado l’assenza di una
struttura tematica e di una costruzione tonale, in questo episodio si sviluppi
in modo avvincente il senso di una forma.
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L’Introduzione della prima parte, L’adorazione della terra, mostra come
Stravinskij conferisca forma musicale all’intuizione sonora, dosando con raffinato senso della composizione il colore e lo spessore dei timbri. Le idee
principali del lavoro (la melodia modale, l’appoggiatura di seconda minore,
l’intervallo di quarta, il cromatismo, la quarta discendente, l’acciaccatura)
si presentano all’inizio in modo grezzo nel solo di fagotto, nella nuda esposizione del materiale. Poi una delicata velatura sonora, attorno a un tema
del clarinetto, conferisce all’orchestra un primo accenno di prospettiva. A
quel punto comincia a manifestarsi un’incerta dimensione armonica, con un
disegno dell’oboe oscillante tra modo maggiore e minore. In questo brodo
armonico primordiale comincia a pulsare il ritmo, con la nota pizzicata di un
violoncello incastrata tra le voci dei legni e lo squillo del clarinetto piccolo
che risveglia poco a poco tutta l’orchestra. Il fagotto riprende il tema iniziale, ma abbassato di un semitono, come se provenisse da lontano. La forma
musicale dell’Introduzione esprime perfettamente il soggetto teatrale, senza
ricorrere ai processi compositivi tradizionali.
Nel Sacre l’orchestra accumula tensione tramite la sovrapposizione timbrica
e la stratificazione degli elementi ritmici. I picchi d’energia si esauriscono
di solito all’improvviso, con un simultaneo cambiamento d’atmosfera. Gli
strumenti manifestano uno spettro di atteggiamenti che va dalla finezza
filosofica alla brutalità selvaggia.
Il Sacre rimane in ogni caso, come ogni capolavoro, al di là di una comprensione definitiva. Come per il pellegrino interrogato da Jung o da Freud,
si potrebbe chiedere alla partitura sia «dove vai?», sia «da dove vieni?». La
potenza della sua forza espressiva rimane invece indiscutibile. L’autentica
sorgente poetica del Sacre è l’impressione profonda della vesna, della primavera russa, con il disgelo dei grandi fiumi, gli sciami di insetti nelle immense
paludi, le fioriture improvvise. Le memorie di Stravinskij sull’arrivo della
primavera a San Pietroburgo sono incantevoli, un deposito di sensazioni
dei cinque sensi. L’odore di muffa del mantello di lana cotta, il sapore dei
gamberi d’acqua dolce e del tabacco machorka, il colore ocra dei palazzi, il
rumore dello schiocco della frusta sul dorso dei cavalli che attraversavano il
Canale Krukov sono la fonte d’ispirazione del Sacre. La storia della musica
deve ringraziare un ignoto mugiko, che produceva dei rumori poco edificanti
mettendo la mano sotto l’ascella per divertire il figlioletto del padrone. La
meraviglia di quel suono inaspettato non ha mai abbandonato il piccolo
Stravinskij.
Oreste Bossini*
*Si occupa di giornalismo musicale da vari anni ed è conduttore radiofonico di trasmissioni di Rai Radio3.
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L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Dicembre 2011: l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino inaugura il nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, fra i più all’avanguardia in Europa. Fondata
nel 1928 da Vittorio Gui come Stabile Orchestrale Fiorentina, è impegnata
fin dagli esordi in un’intensa attività concertistica e nelle stagioni liriche del
Teatro Comunale di Firenze ed è, oggi, una delle orchestre più apprezzate
dai direttori e dai pubblici di tutto il mondo. Nel 1933 ha contribuito alla
nascita del più antico e prestigioso festival musicale europeo dopo quello di
Salisburgo, il Maggio Musicale Fiorentino, da cui prende il nome. A Gui subentrano come direttori stabili Mario Rossi (nel 1937) e, nel dopoguerra, Bruno
Bartoletti. Capitoli fondamentali nella storia dell’Orchestra sono la direzione
stabile di Riccardo Muti (1969-81) e quella di Zubin Mehta, Direttore principale dal 1985, che firma da allora, in ogni stagione, importanti produzioni
sinfoniche e operistiche e le più significative tournée, e che nel 2012 ha
celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze. Negli anni Ottanta
e Novanta, l’Orchestra stabilisce un rapporto privilegiato con Myung-Whun
Chung e con Semyon Bychkov, Direttori ospiti principali rispettivamente
dal 1987 e dal 1992. Apprezzata nel mondo musicale internazionale, nel
corso della sua storia è stata guidata da alcuni fra i massimi direttori quali:
De Sabata, Guarnieri, Marinuzzi, Gavazzeni, Serafin, Furtwängler, Walter,
Klemperer, Dobrowen, Perlea, Kleiber, Rodzinski, Mitropoulos, Karajan,
Bernstein, Schippers, Abbado, Maazel, Giulini, Prêtre, Sawallisch, Kleiber,
Solti, Chailly, Sinopoli e Ozawa. Illustri compositori come Richard Strauss,
Pietro Mascagni, Ildebrando Pizzetti, Paul Hindemith, Igor Stravinskij,
Goffredo Petrassi, Luigi Dallapiccola, Krzysztof Penderecki e Luciano Berio
hanno diretto loro lavori, spesso in prima esecuzione. L’Orchestra ha realizzato fin dagli anni Cinquanta numerose incisioni discografiche, radiofoniche
e televisive, insignite da prestigiosi riconoscimenti fra i quali il Grammy
Award. Dopo i successi riportati dalla terza tournée in Giappone con Zubin
Mehta sul podio, che del Maggio Musicale Fiorentino è anche Direttore onorario a vita, ha compiuto un’applaudita tournée a Varsavia, al Musikverein
di Vienna, a Francoforte e a Baden-Baden. Ha ricevuto, nell’80° anniversario
della fondazione e per i suoi altissimi meriti artistici, il Fiorino d’Oro della
Città di Firenze. Nel 2011 il Maggio Musicale Fiorentino è stato nominato dal
Presidente della Repubblica Ambasciatore della cultura italiana nel mondo,
e ha svolto un ruolo importante nelle celebrazioni del 150° Anniversario
dell’Unità d’Italia. Sempre nel 2011 l’Orchestra ha compiuto prestigiose
tournée in più di dodici paesi (Francia, Lussemburgo, Spagna, Germania,
Giappone, Taiwan, China, India, Ungheria, Russia, Austria e Svizzera), mentre nel 2012, sia il 75° Maggio Musicale che un tour in Sud America (in Cile,
Uruguay, Argentina e Brasile) sono stati dedicati alla memoria di Amerigo
Vespucci. Recentissima una tournée a Istanbul e Baku, sempre con Mehta.
Nel 2013 l’Orchestra ricorda gli 80 anni dalla creazione del Festival del
Maggio Musicale Fiorentino, creata appunto nel 1933.
Si ringrazia Lebole per i frac dei Professori d’orchestra
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Francesco Bianchi, Commissario straordinario
Zubin Mehta, Direttore principale
Alberto Triola, Direttore generale
Gianni Tangucci, Consulente artistico del Commissario straordinario
Violini primi
Ladislao Pietro Horvath*
Domenico Pierini*
Gianrico Righele
Lorenzo Fuoco
Laura Mariannelli
Mircea Finata
Emilio Di Stefano
Leonardo Matucci
Fabio Montini
Boriana Ivanova Nakeva
Luigi Cozzolino
Angel Andrea Tavani
Nicola Grassi
Anna Noferini
Simone Ferrari
Tommaso Vannucci
Contrabbassi
Nicola Domeniconi**
Renato Pegoraro
Fabrizio Petrucci
Mario Rotunda
Romeo Pegoraro
Stefano Cerri
Enrico Magrini
Giorgio Galvan
Riccardo Donati**
Violini secondi
Alessandro Alinari**
Luigi Papagni
Alberto Boccacci
Luisa Bellitto
Giacomo Rafanelli
Rossella Maria Pieri
Mihai Chendimenu
Laura Bologna
Orietta Bacci
Cosetta Michelagnoli
Jerome Van Der Wel
Paolo Del Lungo
Rachele Odescalchi
Carmela Panariello
Marco Zurlo**
Oboi e corno inglese
Alberto Negroni**
Manuel Perez Estelles
Marco Salvatori
Alessandro Potenza
Massimiliano Salmi (c. inglese)
Viole
Igor Polesizky**
Lia Previtali
Dézi Herber
Naomi Yanagawa
Flavio Flaminio
Stefano Rizzelli
Antonio Flavio Pavani
Michela Bernacchi
Cristiana Buralli
Andrea Pani
Sabrina Giuliani
Claudia Marino
Jörg Winkler**
Violoncelli
Patrizio Serino**
Elida Pali
Michele Tazzari
Beatrice Guarducci
Fabiana Arrighini
Anna Pegoretti
Viktor Jasman
Simone Centauro
Giacomo Grava
Ilaria Sarchini
Marco Severi**
Flauti e ottavino
Guy Eshed**
Stefania Morselli
Alessia Sordini
Nicola Mazzanti (ottavino)
Gregorio Tuninetti
Clarinetti e clarinetto basso
Riccardo Crocilla**
Leonardo Cremonini
Sabrina Malavolti
Paolo Pistolesi
Giovanni Piqué
Trombe
Andrea Dell’Ira**
Marco Crusca
Emanuele Antoniucci
Giuseppe Alfano
Claudio Quintavalla (tromba
piccola)**
Corni
Gianfranco Dini**
Alberto Serpente
Mario Bruno
Stefano Mangini
Angelo Bonaccorso
Emanuele Urso
Luca Benucci**
Alberto Simonelli
Tromboni e trombone basso
Fabiano Fiorenzani**
Massimo Castagnino
Gabriele Malloggi
Andrea Giuseppe D’Amico
(anche tromba bassa)
Fagotti e controfagotto
Stefano Vicentini**
Gianluca Saccomani
Orsolya Juhasz**
Francesco Furlanich
Stefano Laccu (controfagotto)
Basso tuba
Mario Barsotti**
Davide Viada
Arpa
Susanna Bertuccioli
Tastiere
Andrea Severi (celesta)
Percussioni
Lorenzo D’Attoma
Vicente José Espì
Biagio Carlomagno
Igor Caiazza
Timpani
Gregory Lecoeur
Fausto Bombardieri
* spalla
** prima parte
Kammersymphonie
Domenico Pierini
Marco Zurlo
Jörg Winkler
Marco Severi
Riccardo Donati
Gregorio Tuninetti
Marco Salvatori
Massimiliano Salmi
Riccardo Crocilla
Paolo Pistolesi
Giovanni Piqué
Orsolya Juhasz
Stefano Laccu
Stefano Mangini
Luca Benucci
Direttore di produzione
e programmazione
Marco Zane
Responsabile servizi musicali
Giuseppe La Malfa
Responsabile archivio musicale
Luca Logi
Responsabile media
Francesca Zardini
Responsabile servizi logistica
Milko Pineschi
Ispettore dell’orchestra
Luca Mannucci
Tecnico dell’orchestra
Antonio Carrara
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Zubin Mehta, direttore
Zubin Mehta è nato nel 1936 a Bombay, dove ha ricevuto la prima educazione musicale dal padre Mehli Mehta, fondatore della Bombay Symphony
Orchestra. Dopo aver iniziato gli studi di medicina nella sua città natale,
nel 1954 si trasferisce a Vienna per seguire i corsi di direzione d’orchestra
di Hans Swarowsky all’Akademie für Musik. Nel 1958 vince il Concorso
Internazionale di Liverpool e la Koussevitsky Competition a Tanglewood; dal
1961 inizia la sua collaborazione con i Wiener e i Berliner Philharmoniker e
con la Israel Philharmonic Orchestra, complessi con i quali mantiene ancora oggi uno stretto rapporto. Dal 1961 al 1967 è Direttore musicale della
Montréal Symphony Orchestra e, quasi contemporaneamente, dal 1962 al
1968, della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Nel 1969 diviene Music
Adviser della Israel Philharmonic, di cui è nominato Direttore musicale nel
1977 e Direttore musicale a vita nel 1981. Con questa straordinaria orchestra ha tenuto più di 2000 concerti e guidato tournée in cinque continenti. Dal 1978, e per tredici anni, è stato Direttore musicale della New York
Philharmonic. Dal 1985 è Direttore principale del Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino, e nel 2006, in occasione del settantesimo compleanno, ne è stato
nominato Direttore onorario a vita. Debutta nel repertorio operistico con
Tosca a Montreal nel 1964. Quindi è presente con importanti produzioni
al Metropolitan, alla Staatsoper di Vienna, al Covent Garden, alla Scala,
all’Opera di Chicago, al Festival di Salisburgo nonché al Maggio Musicale
Fiorentino, istituzione con la quale instaura un fecondo rapporto: cura infatti come responsabile artistico l’edizione 1986 del Festival e, oltre a essere
impegnato in numerosissime produzioni sinfoniche e operistiche – tra cui
ricordiamo la Tetralogia di Wagner, la trilogia Mozart-Da Ponte, il Moses und
Aron di Schoenberg (Premio Franco Abbiati della critica italiana) e la Turandot
nella Città Proibita di Pechino –, guida l’Orchestra e il Coro del Teatro del
Maggio Musicale Fiorentino in frequenti tournée internazionali e in prestigiose incisioni discografiche e dvd. Dal 1998 al 2006 è Direttore musicale
della Bayerische Staatsoper dove dirige oltre 400 rappresentazioni e tournée
in Europa e in Giappone; alla conclusione del suo impegno diviene Direttore
onorario dell’orchestra e membro onorario del teatro bavarese. Fra le numerose onorificenze, il Nikisch-Ring consegnatogli da Karl Böhm, le cittadinanze
onorarie di Firenze e Tel Aviv e nel 1997 la nomina a membro onorario della
Staatsoper di Vienna. Nel 1999 le Nazioni Unite gli conferiscono il Lifetime
Achievement Peace and Tolerance Award. È nominato Direttore onorario dei
Wiener Philharmoniker nel 2001, dei Münchner Philharmoniker nel 2004 e
della Los Angeles Philharmonic nel 2006. Dopo aver inaugurato il Palau de les
Arts Reina Sofía di Valencia, è stato impegnato in un progetto triennale con
il Ring wagneriano per la regia della Fura dels Baus a Valencia e Firenze. La
pubblicazione della sua autobiografia La partitura della mia vita ha ottenuto
vasti consensi. Ha guidato l’Orchestra del Maggio in una tournée europea
che l’ha vista trionfare per la prima volta anche al prestigioso Musikverein di
Vienna: nell’occasione Zubin Mehta è stato premiato dagli Amici della Musica
della capitale austriaca. Nel 2011 ha diretto l’Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino in numerose tournée per celebrare il 150° anniversario dell’Unità
d’Italia. Sempre nel 2011 ha ottenuto tre importanti riconoscimenti (una
stella sulla Walk of Fame a Los Angeles e i premi Furtwängler e Echo Klassik),
mentre nel 2012 ha ricevuto da Shimon Peres la Israel Medal of Distinction,
e ha celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze con una serie di
eventi in programma al 75° Maggio Musicale. In agosto, poi, una straordinaria tournée con l’Orchestra del Maggio in Sud America, seguita, in dicembre,
da trionfali concerti a Istanbul e Baku.
Si ringrazia The Westin Palace – Milano per l’accoglienza del maestro
10
Il FAI presenta i luoghi
di MITO SettembreMusica
Teatro degli Arcimboldi di Milano
Il 19 gennaio 2002 apre il sipario al Teatro degli Arcimboldi con La traviata
di Giuseppe Verdi, diretta da Riccardo Muti: le Stagioni del Teatro alla Scala
saranno infatti ospitate agli Arcimboldi fino alla conclusione dei lavori di
restauro del Piermarini, circa tre anni più tardi. Il 23 dicembre 2005 Woody
Allen & New Orleans Jazz Band in proscenio aprono un nuovo capitolo:
quello che vede il Comune di Milano, proprietario degli Arcimboldi, farsi
promotore di un cartellone firmato da Paolo Arcà e realizzato con la collaborazione delle cinque Fondazioni di cui lo stesso Comune è socio fondatore:
I Pomeriggi Musicali, Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Piccolo
Teatro – Teatro d’Europa, Pierlombardo e Teatro alla Scala. In due mesi
si monta un cartellone di circa 60 alzate di sipario. Poi ancora una svolta.
Nel 2007 Comune di Milano e Regione Lombardia firmano un accordo che
prevede l’affidamento del Teatro in gestione provvisoria alla Fondazione I
Pomeriggi Musicali. E I Pomeriggi puntano sulla trasversalità dell’offerta e
si impegnano ad affermare il Teatro degli Arcimboldi come punto di riferimento per un pubblico metropolitano eterogeneo. Il Teatro degli Arcimboldi
è situato nel cuore del quartiere Bicocca, centro di un grande progetto di
riconversione della zona industriale. Con i suoi 700.000 metri quadrati di
estensione, la Bicocca ha rappresentato – e continua a farlo – uno tra i principali esempi di trasformazione di area dismessa a Milano e in Italia in generale, strategicamente collocata tra il centro urbano e l’area metropolitana
milanese, che da Monza si estende fino a Lecco, Varese e Como. Dai primi
del Novecento la zona fu sede degli stabilimenti della Pirelli, che vi costruì un
vero e proprio quartiere dotato di fabbriche, laboratori di ricerche ma anche
case per gli impiegati e un asilo (quest’ultimo ospitato nella quattrocentesca
Bicocca degli Arcimboldi). A seguito di radicali ristrutturazioni industriali,
che hanno tra l’altro segnato il trasferimento della produzione dagli anni
Settanta, il quartiere è stato oggetto di uno straordinario intervento di riqualificazione progettato dallo Studio Gregotti Associati, vincitore del concorso
internazionale di architettura. Il Teatro degli Arcimboldi è uno degli elementi
cardine della nuova Bicocca, situato nella zona meglio servita dalle infrastrutture. Esternamente il teatro è dominato dall’imponente torre scenica,
alta 40 metri. La facciata principale è leggermente ricurva e si caratterizza
per l’ampio lucernario inclinato, composto da 486 lastre di vetro che lasciano
inondare di luce solare il foyer. Quest’ultimo è scandito su un lato da pilastri
bianchi alti 25 metri che sostengono il lucernario; sull’altro dal triplo ordine
di balconate sovrapposte. La sala, capace di contenere quasi 2400 spettatori,
misura 49 metri di larghezza massima, 35 di profondità e 22 di altezza. La
sua pianta, a ferro di cavallo, ripete quella della Scala, con quattro ordini di
posti: i due livelli di platea e le due gallerie. L’identico boccascena (16 metri
per 12) permette di trasferire le scene indifferentemente dall’uno all’altro
teatro.
Si ringrazia
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MITO si veste di verde
Torino Milano
Festival Internazionale
della Musica
04_ 21 settembre 2012
Settima edizione
Settembre
Musica
La tua energia per la musica.
L’energia della musica per l’ambiente con Bike’n’Jazz
Ogni giovedì alle ore 13 in Piazza San Fedele c’è Bike’n’Jazz: il Festival MITO, assieme a eni partner
del progetto green, aspetta il suo pubblico per accendere la musica! L’energia cinetica prodotta
dalla pedalata delle biciclette messe a disposizione del pubblico alimenta il palco su cui si esibiscono
Enrico Zanisi Trio (5. IX), Black Hole Quartet (12. IX), Fulvio Sigurtà e Claudio Filippini (19. IX)
Prenota la tua bicicletta scrivendo a [email protected], oppure presentati
il giorno stesso sul luogo dell’evento.
Tre stazioni di accumulo energia nel centro di Milano sono a disposizione durante tutti i giorni
del Festival. Ogni stazione è dotata di due biciclette: pedala in compagnia per ascoltare la playlist
di MITO e produci energia per alimentare i concerti del Bike’n’Jazz. Vieni a scoprirle in via Dante
angolo via G. Giulini, piazza Santa Maria Beltrade e piazza Sant’Alessandro.
MITO compensa le emissioni di CO2
MITO SettembreMusica, grazie alla collaborazione di EcoWay, misura le emissioni dirette e indirette
inerenti l’edizione milanese del Festival e compensa interamente l’anidride carbonica relativa
ai consumi energetici, di carta e al trasporto degli artisti e del pubblico ai luoghi del Festival,
attraverso l’acquisto di carbon credits certificati.
Il Festival partecipa inoltre a un progetto forestale sull’asse del fiume Po, che prevede il
mantenimento e la piantumazione di un’area boschiva in provincia di Pavia.
L’impegno quotidiano del Festival
Campagna di comunicazione ecosostenibile con GreenGraffiti©.
Stampa dei materiali su carta FSC, carta botanica o riciclata.
Riduzione dei materiali cartacei ed estensione dei servizi in rete.
Mobile ticket a Milano, per ricevere il biglietto sul cellulare.
Mobilità sostenibile tramite car sharing, bike sharing e mezzi pubblici
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il nostro viaggio
nell’energia
continua.
Siamo pronti a condividere
ancora milioni di attimi inSieme.
enel.com
Un progetto di
Città di Milano
Città di Torino
Giuliano Pisapia
Sindaco
Presidente del Festival
Piero Fassino
Sindaco
Presidente del Festival
Filippo Del Corno
Assessore alla Cultura
Maurizio Braccialarghe
Assessore alla Cultura,
Turismo e Promozione della città
Giulia Amato
Direttore Centrale Cultura
Aldo Garbarini
Direttore Centrale Cultura ed Educazione
Comitato di coordinamento
Francesco Micheli
Presidente
Vicepresidente del Festival
Maurizio Braccialarghe
Vicepresidente
Enzo Restagno
Direttore artistico
Milano
Torino
Giulia Amato
Direttore Centrale Cultura
Aldo Garbarini
Direttore Centrale Cultura ed Educazione
Antonio Calbi
Direttore Settore Spettacolo
Angela La Rotella
Segretario generale
Fondazione per la Cultura Torino
Francesca Colombo
Segretario generale
Coordinatore artistico
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Claudio Merlo
Direttore organizzativo
Coordinatore artistico
Realizzato da
Associazione per il Festival Internazionale
della Musica di Milano
Fondatori
Francesco Micheli / Roberto Calasso / Francesca Colombo / Piergaetano Marchetti
Massimo Vitta-Zelman
Advisory Board
Alberto Arbasino / Gae Aulenti †/ Giovanni Bazoli / Roberto Calasso
Francesca Colombo / Gillo Dorfles / Umberto Eco / Bruno Ermolli
Inge Feltrinelli / Stéphane Lissner / Piergaetano Marchetti / Francesco Micheli
Ermanno Olmi / Sandro Parenzo / Renzo Piano / Arnaldo Pomodoro
Livia Pomodoro / Davide Rampello / Franca Sozzani / Massimo Vitta-Zelman
Comitato di Patronage
Louis Andriessen / George Benjamin / Pierre Boulez / Luís Pereira Leal †
Franz Xaver Ohnesorg / Ilaria Borletti Buitoni / Gianfranco Ravasi
Daria Rocca / Umberto Veronesi
Consiglio Direttivo
Francesco Micheli Presidente / Marco Bassetti / Pierluigi Cerri
Roberta Furcolo / Leo Nahon / Roberto Spada
Collegio dei revisori
Marco Guerrieri, Eugenio Romita, Marco Giulio Luigi Sabatini
Organizzazione
Francesca Colombo, Segretario generale e Coordinatore artistico
Stefania Brucini, Responsabile promozione e biglietteria
Carlotta Colombo, Responsabile produzione
Federica Michelini, Assistente Segretario generale e Responsabile partner e sponsor
Luisella Molina, Responsabile organizzazione
Carmen Ohlmes, Responsabile comunicazione
Lo Staff del Festival
Segreteria generale
Alice Kuwahara, Federica Limina e Sofia Colombo
Comunicazione
Livio Aragona, Sara Bosco, Emma De Luca, Alessia Guardascione, Valentina Trovato
con Matteo Arena e Irene D’Orazio, Elisa Aliverti Piuri, Eleonora Porro
Produzione
Francesco Bollani, Stefano Coppelli, Simone Di Crescenzo, Matteo Milani con Elena
Bertolino, Nicola Acquaviva e Davide Beretta, Velia Bossi, Francesco Morelli,
Marco Sartori
Organizzazione
Nicoletta Calderoni, Elisabetta Maria Tonin e Raffaella Randon
Promozione e biglietteria
Alice Boerci, Fulvio Gibillini, Alberto Raimondo con Claudia Falabella,
Cecilia Galiano, Arjuna-Das Irmici, Federica Luna Simone e Francesca Bazzoni,
Victoria Malighetti, Chiara Sanvito
via Dogana, 2 – 20123 Milano
telefono +39.02.88464725 / fax +39.02.88464749
[email protected] / www.mitosettembremusica.it
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Scegli il braccialetto
che fa per te!
La musica è uno stato d’animo?
Tu come ti senti oggi?
A MITO SettembreMusica
i concerti ti fanno stare meglio!
Partecipando ai concerti del Festival,
riceverai in omaggio il braccialetto
del tuo genere musicale preferito.
Indossalo per tutta la durata del Festival
e con MITO avrai tanti benefit.
Settembre
Musica
Indossa il braccialetto:
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pubblico di MITO un servizio a tutte le ore. Presentando MITOCard o indossando il
braccialetto del Festival, si ottiene uno sconto del 10% sul menù à la carte
e sul market. E per tutta la durata del Festival è inoltre possibile gustare
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#MITO2013
MITO SettembreMusica
Settima edizione
Un progetto di
Realizzato da
Con il sostegno di
I Partner del Festival
Partner Istituzionale
Partner Istituzionale
Sponsor
Per la serata inaugurale
Media partner
Sponsor tecnici
Il Festival MITO a Milano compensa
le emissioni di CO2 con carbon credits
verificati e partecipa ad un progetto
di tutela boschiva sull’asse del fiume Po.
Si ringrazia per l’accoglienza degli artisti
Drogheria Plinio con cucina
Nerea S.p.A.
Riso Scotti
Il Festival MITO continua
fino al 21 settembre...
Una selezione dei concerti dei prossimi giorni
Per maggiori info www.mitosettembremusica.it
19.IX • La presenza di David Sylvian nel progetto
The Kilowatt Hour, artista atteso a Milano
19.IX • Dal Festival di Montreaux a Milano
con il jazz di Jerry Léonide
20.IX • La bacchetta di Zubin Mehta
in un programma passato alla Storia
20.IX • L’anteprima del nuovo album
di Eugenio Finardi
21.IX • Un programma festoso per la chiusura del
Festival con Antonio Pappano e Mario Brunello
21.IX • MITO chiude con una grande
milonga argentina e uno spettacolo
vi coinvolge fino a tarda notte
Milano Torino unite per il 2015
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