Settembre Musica Torino Milano Festival Internazionale della Musica 04 _ 21 settembre 2013 Settima edizione Milano Teatro degli Arcimboldi Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Zubin Mehta direttore Venerdì 20.IX.2013 ore 21 Schoenberg Stravinskij ° 38 Arnold Schoenberg (1874-1951) Fünf Orchesterstücke op. 16 (1909)17 min ca Vorgefühle (Presentimenti) Vergangenes (Qualcosa di remoto) Farben (Colori) Peripetie (Peripezia) Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato) Kammersymphonie op. 9 (1906)22 min. ca Igor Stravinskij (1882-1971) Le Sacre du printemps, quadri dalla Russia pagana in due parti (1913) 35 min. ca Parte prima: L’adorazione della terra Introduzione Gli auguri primaverili, danze delle adolescenti Gioco del rapimento Danze primaverili Gioco delle tribù rivali Corteo del saggio Adorazione della terra (il saggio) Danza della terra Parte seconda: Il sacrificio Introduzione Cerchi misteriosi delle adolescenti Glorificazione dell’Eletta Evocazione degli antenati Azione rituale degli antenati Danza sacra (l’Eletta) Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Zubin Mehta, direttore Sala Buzzati ore 17.30 Incontro con Zubin Mehta e Armando Torno Incontri In collaborazione con Corriere della Sera Schoenberg e Stravinskij: il Novecento in musica Lo stile di Arnold Schoenberg è stato il frutto di un costante processo di autoanalisi, che ha guidato l’autore verso una definizione sempre più netta dei contorni della sua personalità musicale. In effetti nel suo percorso artistico non si trovano svolte radicali, del tutto svincolate dalla produzione precedente. Tuttavia l’autore stesso considerava alcuni suoi lavori degli spartiacque, in grado di segnare i momenti di passaggio da una fase all’altra. Uno di questi è la Kammersymphonie per 15 strumenti solisti op. 9, composta nella prima metà del 1906 a Vienna. In uno scritto intitolato Wie man einsam wird, Schoenberg sottolineava la particolare collocazione del lavoro: «Dopo aver terminato la composizione della Kammersymphonie, non c’era solo l’attesa del successo a riempirmi di gioia. Si trattava di qualcosa d’altro e di più importante. Credevo di aver trovato il mio personale e peculiare stile compositivo, e mi aspettavo di aver risolto tutti i problemi che avevano fino ad allora inquietato un giovane compositore, e che ci sarebbe stato un modo per uscire dal groviglio di problemi in cui noi giovani compositori eravamo rimasti intrappolati a causa delle innovazioni armoniche, formali, orchestrali ed emotive di Richard Wagner. Credo di aver trovato una maniera per forgiare e sviluppare temi e melodie comprensibili, caratteristici, originali ed espressivi malgrado le armonie dilatate ereditate da Wagner. [...] E questo è stato il primo passo di un nuovo, ma spinoso cammino». Un indubbio elemento di novità era rappresentato dalla scelta del titolo, che gettava una luce ambigua sul lavoro. Kammersymphonie infatti chiamava in causa due stili di scrittura diversi, cameristico e sinfonico, che hanno continuato a convivere anche negli ulteriori sviluppi del testo, passato dalla versione originale per 15 strumenti solisti alle successive versioni per orchestra (1914/1922) e per grande orchestra (1936). La fusione dei due generi sperimentata nella Kammersymphonie non riguarda solo l’impasto sonoro, ma anche la quintessenza del linguaggio musicale. Lo studio degli appunti musicali di Schoenberg rivela che fin dall’inizio l’idea di un lavoro da camera dall’organico già definito si era mescolata agli schizzi per un pezzo sinfonico rimasto allo stadio di abbozzo. La versione originale sembra indicare che la dimensione cameristica alla fine abbia preso il sopravvento, come sottolineava anche l’allievo Anton Webern, facendo notare come la prima esecuzione del lavoro, l’8 febbraio 1907 nella sala grande del Musikverein di Vienna con il Quartetto Rosé e i fiati dell’Orchestra dell’Opera di Corte, si fosse svolta senza direttore. Ma allo stesso tempo l’autore stesso si rendeva conto degli squilibri sonori provocati da un simile organico, soprattutto se il lavoro fosse stato suonato in una grande sala da concerto, tanto da prevedere subito la moltiplicazione degli strumenti ad arco e addirittura il raddoppio di quelli a fiato, se necessario. La scrittura della Kammersymphonie tuttavia è senza dubbio legata in maniera indissolubile con lo stile della musica da camera, soprattutto per l’estrema complessità del linguaggio polifonico. In un tessuto così denso di trame contrappuntistiche, dove le varie voci s’intrecciano con un fitto e continuo dialogo in ogni direzione, la trasparenza sonora della versione originale aiuta moltissimo la chiarezza e la comprensione del testo. Un altro elemento di novità riguarda la concezione formale, che rappresenta un deciso passo in avanti verso l’emancipazione completa dalla musica del secolo precedente. Come faceva notare un altro allievo di Schoenberg, Alban Berg, nella sua analisi formale pubblicata nel 1912 come introduzione alla partitura, il lavoro richiama la struttura di una sinfonia in cinque movimenti, malgrado sia stato scritto in un unico torso. Ma non basta, perché l’architettura multipla della sinfonia è anch’essa a sua volta fusa insieme a una forma sonata. La parte dello sviluppo, per così dire, viene infatti a cadere tra gli episodi che alludono allo Scherzo e all’Adagio, mentre il Finale rappresenta anche una sorta di ricapitolazione del materiale tematico iniziale. Allo stesso 3 modo Schoenberg comprime anche il linguaggio armonico e il fraseggio, saltando i passaggi intermedi per arrivare a un’istantanea sintesi del discorso. Il frontespizio della partitura indica mi bemolle maggiore come tonalità principale, malgrado il lavoro si concluda con un rotondo accordo di mi maggiore. Sebbene il linguaggio della Kammersymphonie rimanga ancora all’interno di un impianto tonale, il tema principale del corno, formato da una sequenza d’intervalli di quarta, rivela senza equivoci la ricerca di una nuova dimensione per la struttura armonica. In poche parole, Schoenberg sembrava prendere lo schema di una sinfonia tardo-romantica e comprimere il materiale fino a raggiungere lo stato di musica da camera. Il processo di transizione da un genere all’altro era forse il frutto dell’impressione suscitata dall’ascolto della Quinta sinfonia di Gustav Mahler, che aveva provato e diretto il lavoro con i Wiener Philharmoniker nel dicembre del 1905. Erano gli anni della maggiore influenza della figura di Mahler su tutto il movimento culturale progressista di Vienna e in particolare su Schoenberg, che con la Kammersymphonie si avventurava in maniera esplicita nel regno della sinfonia. Il precedente poema sinfonico Pelleas und Melisande, scritto nel 1902, rappresenta infatti un esempio di musica a programma nel solco dei lavori di Strauss. In questo caso invece Schoenberg intendeva confrontarsi con il linguaggio sinfonico, reagendo sia alla dimensione monumentale, sia alla concezione formale dei lavori di Mahler. Il giovane autore forse cercava di spingere fino al limite il carattere dinamico delle forme musicali del collega più anziano, fino al punto di tentare una fusione tra la micro e la macrostruttura. Solo tre anni dopo, nel 1909, lo scenario era profondamente mutato. Mahler aveva lasciato Vienna nel 1907 e gli allievi di Schoenberg, in particolare Berg e Webern, avevano ormai cominciato la loro produzione ufficiale. I lavori di quegli anni, sotto l’influenza reciproca tra il maestro e gli allievi, sono improntati a una febbrile espressività e allo stesso tempo a un’aforistica brevità. Nel 1922 Schoenberg scrisse una prefazione per la partitura delle Bagatellen op. 9 di Webern, scritte tra il 1911 e il 1913. Essa suona come un commento alla sua stessa produzione di allora: «Si pensi a quale senso della misura occorra per contenere una tale brevità. Ogni occhiata si espande fino a diventare una poesia, ogni sospiro un romanzo. Ma esprimere un romanzo in un solo gesto, una felicità in un solo respiro: una tale densità si trova solo dove manchi in misura altrettanto alta l’autocommiserazione». I Cinque pezzi per orchestra op. 16 corrispondono in maniera precisa, anche se meno radicale, a questa descrizione. Schoenberg li considerava dei pezzi corti e indipendenti, non legati a un’idea di ciclo, come scriveva in una lettera a Strauss il 14 luglio 1909, all’indomani della prima stesura: «Mi aspetto però cose colossali da loro, specie per quanto riguarda il suono e lo spirito. Si tratta solo di questo – assolutamente nulla di sinfonico, anzi proprio il contrario, niente architettura, niente costruzione. Soltanto un interrotto e variopinto cambiamento di colori, ritmi e umori». Per venire incontro alle richieste dell’editore Peters, che premeva per conferire al lavoro l’aspetto di una musica a programma, Schoenberg acconsentì controvoglia a mettere dei titoli ai vari pezzi, ma aggiungendo con ironia che essi non significavano niente o per troppa vaghezza, o per mera descrizione tecnica. La partitura, pubblicata a Lipsia nel 1912, venne eseguita per la prima volta il 3 settembre dello stesso anno ai Proms di Londra, con la Queen’s Hall Orchestra diretta da Henry Wood. Malgrado il carattere astratto del lavoro, si può ancora scorgere in controluce il profilo delle forme tradizionali. Vorgefühle (Presentimenti) è una sorta di reminiscenza della forma sonata, in cui è possibile distinguere una parte di esposizione, un episodio ostinato in funzione di sviluppo e una larvata ripresa del materiale iniziale. Il secondo pezzo, Vergangenes (Qualcosa di remoto), mostra invece un carattere del tutto diverso, rispetto all’attività ritmica del precedente. Qui emerge lo spirito contemplativo e l’espressione melanconica, colata in una forma libera e aperta come in un Adagio. Il delicato impasto 4 sonoro di Vergangenes è anche il frutto di una scrittura cesellata e ricca di finezze cameristiche. Il pezzo più sensazionale della raccolta è senza dubbio il terzo, Farben (Colori). Schoenberg sperimenta in questo breve acquerello musicale l’idea di una ‘melodia di timbri’, che nel 1911 veniva poi esposta in maniera teorica nel Manuale di armonia. L’espressione poetica ruota attorno alla trasformazione della fisionomia sonora di un accordo iniziale, che prende forme diverse in ciascuna delle tre parti in cui è articolato il pezzo. Dopo questa sorta d’intermezzo coloristico, Peripetie (Peripezia) introduce un altro elemento tradizionale della sinfonia, lo scherzo, che Adorno percepiva in questo caso come ‘demoniaco’. La somiglianza con lo scherzo beninteso riguarda solo il carattere mercuriale e vagamente grottesco dell’espressione, non certo l’aspetto formale. Il titolo richiama il linguaggio teatrale, che si manifesta in una sequenza di gesti musicali pronunciati e in una scrittura a blocchi sonori in netto contrasto con il divisionismo di Farben. La raccolta si chiude con un altro pezzo molto sperimentale, Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato). Il titolo non ha nulla a che spartire con i dialoghi dell’opera settecentesca, anche se Schoenberg era in effetti alla ricerca di una forma moderna di prosa musicale. L’inflessione sonora del parlato si trasforma però in una lingua della nevrosi, alimentata da una moltitudine di voci accavallate e sovrapposte l’una all’altra. La scrittura polifonica ha un carattere frammentario e la temperatura emotiva oscilla dalla quiete alla tempesta, secondo un processo simile al flusso di coscienza dei romanzi di Joyce. A differenza di Schoenberg, la metamorfosi artistica di Igor Stravinskij è stata uno dei fenomeni piu sensazionali del Novecento. Grazie ai balletti scritti per Diaghilev (L’oiseau de feu, 1910; Petru[s]ka, 1911; Le Sacre du Printemps, 1912) l’oscuro discepolo di Rimskij-Korsakov si trasformò dall’oggi al domani nella celebrità del giorno di Parigi. Il Sacre rappresenta l’apice di questa prima fase della sua produzione. La burrascosa première del balletto, il 29 maggio 1913, fece l’effetto di una bomba gettata sul secolo passato. La musica brutale e cubista, la coreografia erotica, il carattere anti-narrativo del soggetto, l’irritazione per la claque organizzata scatenarono la reazione tumultuosa del pubblico. Il Sacre fu il momento culminante dell’esaltante esperienza artistica dei Ballets russes. Henri Ghéon sulla «Nouvelle Revue Française» si spinse a definire la compagnia di Diaghilev una nuova forma di opera d’arte totale, ‘il sogno di Mallarmé’. Da quel momento Stravinskij è stato considerato per antonomasia il campione della musica moderna, come dimostra agli albori della cultura pop anche la versione del Sacre usata da Walt Disney per Fantasia. La rapida evoluzione di Stravinskij tuttavia era solo la punta dell’iceberg. Il quinquennio 1909-1914 ha rappresentato una sorta di big bang della musica del Novecento. I Cinque pezzi per orchestra (1909) e Pierrot lunaire (1912) di Schoenberg, Il castello del duca Barbablù (1911) di Bartók, gli AltenbergLieder (1911/12) di Berg, Jeux (1912/13) di Debussy, Sechs Bagatellen op. 9 (1913) di Webern, Daphnis et Chloè (1912) di Ravel hanno stabilito un nuovo canone estetico, sovvertendo i principi che avevano retto per secoli il linguaggio musicale. Il Novecento aveva bisogno di esprimere una visione diversa dell’armonia, del ritmo, della melodia, della forma. La rivoluzione musicale appariva agli occhi degli accademici come l’assalto di un’orda di barbari. Stravinskij era un compositore irregolare. RimskijKorsakov lo aveva accettato come allievo, con il consiglio però di non iscriversi al Conservatorio di San Pietroburgo. Il pittore Alexandre Benois lo ricordava così, all’epoca dei Ballets Russes: «Al contrario della maggior parte dei musicisti, che in genere sono completamente indifferenti a tutto ciò che non rientra nella loro sfera, Stravinskij era profondamente interessato alla pittura, alla scultura, all’architettura. Malgrado non avesse una vera preparazione in questo campo, discutere con lui era sempre prezioso, perché 5 ‘reagiva’ a tutto ciò che costituiva la nostra ragione di vita. A quei tempi era un ‘allievo’ incantevole e colmo di buona volontà. Aveva sete di chiarezza e aspirava senza tregua ad allargare le sue conoscenze». Stravinskij, come Schoenberg del resto, non si riteneva affatto un sovversivo. La forza barbarica del Sacre gli procurò fama di musicista anarchico, geniale e arrogante, ma la sua autentica dimensione spirituale era un’altra. «S’è fatto di me un rivoluzionario mio malgrado», si lamentava il compositore nella Poétique musicale. «Bacia la mano alle signore nel momento stesso in cui calpesta loro i piedi», disse in maniera piccante Debussy. I due musicisti si conobbero dopo la prima dell’Oiseau de feu, che suscitò in Debussy una ‘sympathie artistique’. Stravinskij e Debussy, in un luminoso pomeriggio parigino del 1912, suonarono a quattro mani la riduzione per pianoforte del Sacre. «Eravamo muti, sgomenti come dopo un uragano sopraggiunto da epoche remote a sconvolgere alle radici la nostra vita», ricordava alcuni anni dopo il padrone di casa, Louis Laloy. Il balletto, il cui titolo russo era Vesna Svja[sc]ennaja, fu allestito la prima volta al Théâtre des Champs-Elysées con la coreografia di Vaclav Ni[z]inskij e lo scenario dipinto da Nikolaj Roerich; Marie Pilz interpretava l’Eletta e Pierre Monteaux dirigeva l’orchestra. L’origine del Sacre fu una visione. Stravinskij stava lavorando all’Oiseau de feu, a San Pietroburgo, nel 1910. «Un giorno, in modo assolutamente inatteso, giacché la mia mente era occupata da cose affatto diverse, intravidi nell’immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una giovane che essi stanno sacrificando per propiziarsi il dio della primavera». Il musicista ne parlò subito con Roerich, autorevole studioso della cultura slava primitiva, e con Diaghilev. Stravinskij terminò il lavoro il 17 novembre 1912 a Clarens, in Svizzera, un giorno in cui era afflitto da un fortissimo mal di denti. Pochi lavori del Novecento possono vantare una letteratura critica così ampia. Pierre Boulez scrisse nel 1951 un saggio epocale, che metteva in luce l’aspetto innovativo dell’invenzione ritmica. Secondo l’autore, la partitura era così ardita per l’epoca da non generare alcuna discendenza. Gli elementi innovativi erano tre: la complessità ritmica eccezionale, mediante un uso raffinato di combinazioni matematiche; lo sviluppo di strutture ritmiche anziché armonico-tonali; l’intuizione di una forma dinamica basata sul ritmo. Al di fuori dell’aspetto ritmico, Boulez non apprezzava altro nella scrittura di Stravinskij. Su un fronte culturale opposto, il direttore d’orchestra svizzero Ernest Ansermet vedeva in Stravinskij l’esempio del genio creatore, l’artista capace di saldare la forma sonora al senso delle cose. Il segreto di questa partitura sconvolgente, secondo Ansermet, consisteva nell’intuizione sensibile dell’essere. Il famoso inizio del Sacre, con il do acuto del fagotto solo, rappresentava l’emblema della musica di Stravinskij, in quanto «esso è altrettanto espressivo di ciò che deve rappresentare – l’estrema tensione di una voce umana immaginaria – che la melodia stessa». I principi compositivi del Sacre erano in sostanza estranei al linguaggio sinfonico tardo romantico, fondato sulla simmetria fraseologica e l’organizzazione tonale. Il famoso accordo ribattuto su un ritmo sghembo con cui iniziano gli Augures printaniers, probabilmente la prima idea musicale del Sacre, sfugge a qualunque definizione della forma armonica. Le varie analisi della sua struttura intervallare, in pratica una per ciascuna nota di cui è formato, non forniscono un’interpretazione definitiva e convincente. Ma all’ascolto, le relazioni armoniche dell’accordo scivolano in secondo piano rispetto al puro blocco sonoro formato dalla sua ripetizione martellante. L’attenzione si sposta giocoforza sugli accenti irregolari del ritmo, accentuati dal colpo secco del suono dei corni. Eppure non c’è dubbio che, malgrado l’assenza di una struttura tematica e di una costruzione tonale, in questo episodio si sviluppi in modo avvincente il senso di una forma. 6 L’Introduzione della prima parte, L’adorazione della terra, mostra come Stravinskij conferisca forma musicale all’intuizione sonora, dosando con raffinato senso della composizione il colore e lo spessore dei timbri. Le idee principali del lavoro (la melodia modale, l’appoggiatura di seconda minore, l’intervallo di quarta, il cromatismo, la quarta discendente, l’acciaccatura) si presentano all’inizio in modo grezzo nel solo di fagotto, nella nuda esposizione del materiale. Poi una delicata velatura sonora, attorno a un tema del clarinetto, conferisce all’orchestra un primo accenno di prospettiva. A quel punto comincia a manifestarsi un’incerta dimensione armonica, con un disegno dell’oboe oscillante tra modo maggiore e minore. In questo brodo armonico primordiale comincia a pulsare il ritmo, con la nota pizzicata di un violoncello incastrata tra le voci dei legni e lo squillo del clarinetto piccolo che risveglia poco a poco tutta l’orchestra. Il fagotto riprende il tema iniziale, ma abbassato di un semitono, come se provenisse da lontano. La forma musicale dell’Introduzione esprime perfettamente il soggetto teatrale, senza ricorrere ai processi compositivi tradizionali. Nel Sacre l’orchestra accumula tensione tramite la sovrapposizione timbrica e la stratificazione degli elementi ritmici. I picchi d’energia si esauriscono di solito all’improvviso, con un simultaneo cambiamento d’atmosfera. Gli strumenti manifestano uno spettro di atteggiamenti che va dalla finezza filosofica alla brutalità selvaggia. Il Sacre rimane in ogni caso, come ogni capolavoro, al di là di una comprensione definitiva. Come per il pellegrino interrogato da Jung o da Freud, si potrebbe chiedere alla partitura sia «dove vai?», sia «da dove vieni?». La potenza della sua forza espressiva rimane invece indiscutibile. L’autentica sorgente poetica del Sacre è l’impressione profonda della vesna, della primavera russa, con il disgelo dei grandi fiumi, gli sciami di insetti nelle immense paludi, le fioriture improvvise. Le memorie di Stravinskij sull’arrivo della primavera a San Pietroburgo sono incantevoli, un deposito di sensazioni dei cinque sensi. L’odore di muffa del mantello di lana cotta, il sapore dei gamberi d’acqua dolce e del tabacco machorka, il colore ocra dei palazzi, il rumore dello schiocco della frusta sul dorso dei cavalli che attraversavano il Canale Krukov sono la fonte d’ispirazione del Sacre. La storia della musica deve ringraziare un ignoto mugiko, che produceva dei rumori poco edificanti mettendo la mano sotto l’ascella per divertire il figlioletto del padrone. La meraviglia di quel suono inaspettato non ha mai abbandonato il piccolo Stravinskij. Oreste Bossini* *Si occupa di giornalismo musicale da vari anni ed è conduttore radiofonico di trasmissioni di Rai Radio3. 7 L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Dicembre 2011: l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino inaugura il nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, fra i più all’avanguardia in Europa. Fondata nel 1928 da Vittorio Gui come Stabile Orchestrale Fiorentina, è impegnata fin dagli esordi in un’intensa attività concertistica e nelle stagioni liriche del Teatro Comunale di Firenze ed è, oggi, una delle orchestre più apprezzate dai direttori e dai pubblici di tutto il mondo. Nel 1933 ha contribuito alla nascita del più antico e prestigioso festival musicale europeo dopo quello di Salisburgo, il Maggio Musicale Fiorentino, da cui prende il nome. A Gui subentrano come direttori stabili Mario Rossi (nel 1937) e, nel dopoguerra, Bruno Bartoletti. Capitoli fondamentali nella storia dell’Orchestra sono la direzione stabile di Riccardo Muti (1969-81) e quella di Zubin Mehta, Direttore principale dal 1985, che firma da allora, in ogni stagione, importanti produzioni sinfoniche e operistiche e le più significative tournée, e che nel 2012 ha celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze. Negli anni Ottanta e Novanta, l’Orchestra stabilisce un rapporto privilegiato con Myung-Whun Chung e con Semyon Bychkov, Direttori ospiti principali rispettivamente dal 1987 e dal 1992. Apprezzata nel mondo musicale internazionale, nel corso della sua storia è stata guidata da alcuni fra i massimi direttori quali: De Sabata, Guarnieri, Marinuzzi, Gavazzeni, Serafin, Furtwängler, Walter, Klemperer, Dobrowen, Perlea, Kleiber, Rodzinski, Mitropoulos, Karajan, Bernstein, Schippers, Abbado, Maazel, Giulini, Prêtre, Sawallisch, Kleiber, Solti, Chailly, Sinopoli e Ozawa. Illustri compositori come Richard Strauss, Pietro Mascagni, Ildebrando Pizzetti, Paul Hindemith, Igor Stravinskij, Goffredo Petrassi, Luigi Dallapiccola, Krzysztof Penderecki e Luciano Berio hanno diretto loro lavori, spesso in prima esecuzione. L’Orchestra ha realizzato fin dagli anni Cinquanta numerose incisioni discografiche, radiofoniche e televisive, insignite da prestigiosi riconoscimenti fra i quali il Grammy Award. Dopo i successi riportati dalla terza tournée in Giappone con Zubin Mehta sul podio, che del Maggio Musicale Fiorentino è anche Direttore onorario a vita, ha compiuto un’applaudita tournée a Varsavia, al Musikverein di Vienna, a Francoforte e a Baden-Baden. Ha ricevuto, nell’80° anniversario della fondazione e per i suoi altissimi meriti artistici, il Fiorino d’Oro della Città di Firenze. Nel 2011 il Maggio Musicale Fiorentino è stato nominato dal Presidente della Repubblica Ambasciatore della cultura italiana nel mondo, e ha svolto un ruolo importante nelle celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Sempre nel 2011 l’Orchestra ha compiuto prestigiose tournée in più di dodici paesi (Francia, Lussemburgo, Spagna, Germania, Giappone, Taiwan, China, India, Ungheria, Russia, Austria e Svizzera), mentre nel 2012, sia il 75° Maggio Musicale che un tour in Sud America (in Cile, Uruguay, Argentina e Brasile) sono stati dedicati alla memoria di Amerigo Vespucci. Recentissima una tournée a Istanbul e Baku, sempre con Mehta. Nel 2013 l’Orchestra ricorda gli 80 anni dalla creazione del Festival del Maggio Musicale Fiorentino, creata appunto nel 1933. Si ringrazia Lebole per i frac dei Professori d’orchestra 8 Francesco Bianchi, Commissario straordinario Zubin Mehta, Direttore principale Alberto Triola, Direttore generale Gianni Tangucci, Consulente artistico del Commissario straordinario Violini primi Ladislao Pietro Horvath* Domenico Pierini* Gianrico Righele Lorenzo Fuoco Laura Mariannelli Mircea Finata Emilio Di Stefano Leonardo Matucci Fabio Montini Boriana Ivanova Nakeva Luigi Cozzolino Angel Andrea Tavani Nicola Grassi Anna Noferini Simone Ferrari Tommaso Vannucci Contrabbassi Nicola Domeniconi** Renato Pegoraro Fabrizio Petrucci Mario Rotunda Romeo Pegoraro Stefano Cerri Enrico Magrini Giorgio Galvan Riccardo Donati** Violini secondi Alessandro Alinari** Luigi Papagni Alberto Boccacci Luisa Bellitto Giacomo Rafanelli Rossella Maria Pieri Mihai Chendimenu Laura Bologna Orietta Bacci Cosetta Michelagnoli Jerome Van Der Wel Paolo Del Lungo Rachele Odescalchi Carmela Panariello Marco Zurlo** Oboi e corno inglese Alberto Negroni** Manuel Perez Estelles Marco Salvatori Alessandro Potenza Massimiliano Salmi (c. inglese) Viole Igor Polesizky** Lia Previtali Dézi Herber Naomi Yanagawa Flavio Flaminio Stefano Rizzelli Antonio Flavio Pavani Michela Bernacchi Cristiana Buralli Andrea Pani Sabrina Giuliani Claudia Marino Jörg Winkler** Violoncelli Patrizio Serino** Elida Pali Michele Tazzari Beatrice Guarducci Fabiana Arrighini Anna Pegoretti Viktor Jasman Simone Centauro Giacomo Grava Ilaria Sarchini Marco Severi** Flauti e ottavino Guy Eshed** Stefania Morselli Alessia Sordini Nicola Mazzanti (ottavino) Gregorio Tuninetti Clarinetti e clarinetto basso Riccardo Crocilla** Leonardo Cremonini Sabrina Malavolti Paolo Pistolesi Giovanni Piqué Trombe Andrea Dell’Ira** Marco Crusca Emanuele Antoniucci Giuseppe Alfano Claudio Quintavalla (tromba piccola)** Corni Gianfranco Dini** Alberto Serpente Mario Bruno Stefano Mangini Angelo Bonaccorso Emanuele Urso Luca Benucci** Alberto Simonelli Tromboni e trombone basso Fabiano Fiorenzani** Massimo Castagnino Gabriele Malloggi Andrea Giuseppe D’Amico (anche tromba bassa) Fagotti e controfagotto Stefano Vicentini** Gianluca Saccomani Orsolya Juhasz** Francesco Furlanich Stefano Laccu (controfagotto) Basso tuba Mario Barsotti** Davide Viada Arpa Susanna Bertuccioli Tastiere Andrea Severi (celesta) Percussioni Lorenzo D’Attoma Vicente José Espì Biagio Carlomagno Igor Caiazza Timpani Gregory Lecoeur Fausto Bombardieri * spalla ** prima parte Kammersymphonie Domenico Pierini Marco Zurlo Jörg Winkler Marco Severi Riccardo Donati Gregorio Tuninetti Marco Salvatori Massimiliano Salmi Riccardo Crocilla Paolo Pistolesi Giovanni Piqué Orsolya Juhasz Stefano Laccu Stefano Mangini Luca Benucci Direttore di produzione e programmazione Marco Zane Responsabile servizi musicali Giuseppe La Malfa Responsabile archivio musicale Luca Logi Responsabile media Francesca Zardini Responsabile servizi logistica Milko Pineschi Ispettore dell’orchestra Luca Mannucci Tecnico dell’orchestra Antonio Carrara 9 Zubin Mehta, direttore Zubin Mehta è nato nel 1936 a Bombay, dove ha ricevuto la prima educazione musicale dal padre Mehli Mehta, fondatore della Bombay Symphony Orchestra. Dopo aver iniziato gli studi di medicina nella sua città natale, nel 1954 si trasferisce a Vienna per seguire i corsi di direzione d’orchestra di Hans Swarowsky all’Akademie für Musik. Nel 1958 vince il Concorso Internazionale di Liverpool e la Koussevitsky Competition a Tanglewood; dal 1961 inizia la sua collaborazione con i Wiener e i Berliner Philharmoniker e con la Israel Philharmonic Orchestra, complessi con i quali mantiene ancora oggi uno stretto rapporto. Dal 1961 al 1967 è Direttore musicale della Montréal Symphony Orchestra e, quasi contemporaneamente, dal 1962 al 1968, della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Nel 1969 diviene Music Adviser della Israel Philharmonic, di cui è nominato Direttore musicale nel 1977 e Direttore musicale a vita nel 1981. Con questa straordinaria orchestra ha tenuto più di 2000 concerti e guidato tournée in cinque continenti. Dal 1978, e per tredici anni, è stato Direttore musicale della New York Philharmonic. Dal 1985 è Direttore principale del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, e nel 2006, in occasione del settantesimo compleanno, ne è stato nominato Direttore onorario a vita. Debutta nel repertorio operistico con Tosca a Montreal nel 1964. Quindi è presente con importanti produzioni al Metropolitan, alla Staatsoper di Vienna, al Covent Garden, alla Scala, all’Opera di Chicago, al Festival di Salisburgo nonché al Maggio Musicale Fiorentino, istituzione con la quale instaura un fecondo rapporto: cura infatti come responsabile artistico l’edizione 1986 del Festival e, oltre a essere impegnato in numerosissime produzioni sinfoniche e operistiche – tra cui ricordiamo la Tetralogia di Wagner, la trilogia Mozart-Da Ponte, il Moses und Aron di Schoenberg (Premio Franco Abbiati della critica italiana) e la Turandot nella Città Proibita di Pechino –, guida l’Orchestra e il Coro del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in frequenti tournée internazionali e in prestigiose incisioni discografiche e dvd. Dal 1998 al 2006 è Direttore musicale della Bayerische Staatsoper dove dirige oltre 400 rappresentazioni e tournée in Europa e in Giappone; alla conclusione del suo impegno diviene Direttore onorario dell’orchestra e membro onorario del teatro bavarese. Fra le numerose onorificenze, il Nikisch-Ring consegnatogli da Karl Böhm, le cittadinanze onorarie di Firenze e Tel Aviv e nel 1997 la nomina a membro onorario della Staatsoper di Vienna. Nel 1999 le Nazioni Unite gli conferiscono il Lifetime Achievement Peace and Tolerance Award. È nominato Direttore onorario dei Wiener Philharmoniker nel 2001, dei Münchner Philharmoniker nel 2004 e della Los Angeles Philharmonic nel 2006. Dopo aver inaugurato il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia, è stato impegnato in un progetto triennale con il Ring wagneriano per la regia della Fura dels Baus a Valencia e Firenze. La pubblicazione della sua autobiografia La partitura della mia vita ha ottenuto vasti consensi. Ha guidato l’Orchestra del Maggio in una tournée europea che l’ha vista trionfare per la prima volta anche al prestigioso Musikverein di Vienna: nell’occasione Zubin Mehta è stato premiato dagli Amici della Musica della capitale austriaca. Nel 2011 ha diretto l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino in numerose tournée per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Sempre nel 2011 ha ottenuto tre importanti riconoscimenti (una stella sulla Walk of Fame a Los Angeles e i premi Furtwängler e Echo Klassik), mentre nel 2012 ha ricevuto da Shimon Peres la Israel Medal of Distinction, e ha celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze con una serie di eventi in programma al 75° Maggio Musicale. In agosto, poi, una straordinaria tournée con l’Orchestra del Maggio in Sud America, seguita, in dicembre, da trionfali concerti a Istanbul e Baku. Si ringrazia The Westin Palace – Milano per l’accoglienza del maestro 10 Il FAI presenta i luoghi di MITO SettembreMusica Teatro degli Arcimboldi di Milano Il 19 gennaio 2002 apre il sipario al Teatro degli Arcimboldi con La traviata di Giuseppe Verdi, diretta da Riccardo Muti: le Stagioni del Teatro alla Scala saranno infatti ospitate agli Arcimboldi fino alla conclusione dei lavori di restauro del Piermarini, circa tre anni più tardi. Il 23 dicembre 2005 Woody Allen & New Orleans Jazz Band in proscenio aprono un nuovo capitolo: quello che vede il Comune di Milano, proprietario degli Arcimboldi, farsi promotore di un cartellone firmato da Paolo Arcà e realizzato con la collaborazione delle cinque Fondazioni di cui lo stesso Comune è socio fondatore: I Pomeriggi Musicali, Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Piccolo Teatro – Teatro d’Europa, Pierlombardo e Teatro alla Scala. In due mesi si monta un cartellone di circa 60 alzate di sipario. Poi ancora una svolta. Nel 2007 Comune di Milano e Regione Lombardia firmano un accordo che prevede l’affidamento del Teatro in gestione provvisoria alla Fondazione I Pomeriggi Musicali. E I Pomeriggi puntano sulla trasversalità dell’offerta e si impegnano ad affermare il Teatro degli Arcimboldi come punto di riferimento per un pubblico metropolitano eterogeneo. Il Teatro degli Arcimboldi è situato nel cuore del quartiere Bicocca, centro di un grande progetto di riconversione della zona industriale. Con i suoi 700.000 metri quadrati di estensione, la Bicocca ha rappresentato – e continua a farlo – uno tra i principali esempi di trasformazione di area dismessa a Milano e in Italia in generale, strategicamente collocata tra il centro urbano e l’area metropolitana milanese, che da Monza si estende fino a Lecco, Varese e Como. Dai primi del Novecento la zona fu sede degli stabilimenti della Pirelli, che vi costruì un vero e proprio quartiere dotato di fabbriche, laboratori di ricerche ma anche case per gli impiegati e un asilo (quest’ultimo ospitato nella quattrocentesca Bicocca degli Arcimboldi). A seguito di radicali ristrutturazioni industriali, che hanno tra l’altro segnato il trasferimento della produzione dagli anni Settanta, il quartiere è stato oggetto di uno straordinario intervento di riqualificazione progettato dallo Studio Gregotti Associati, vincitore del concorso internazionale di architettura. Il Teatro degli Arcimboldi è uno degli elementi cardine della nuova Bicocca, situato nella zona meglio servita dalle infrastrutture. Esternamente il teatro è dominato dall’imponente torre scenica, alta 40 metri. La facciata principale è leggermente ricurva e si caratterizza per l’ampio lucernario inclinato, composto da 486 lastre di vetro che lasciano inondare di luce solare il foyer. Quest’ultimo è scandito su un lato da pilastri bianchi alti 25 metri che sostengono il lucernario; sull’altro dal triplo ordine di balconate sovrapposte. La sala, capace di contenere quasi 2400 spettatori, misura 49 metri di larghezza massima, 35 di profondità e 22 di altezza. La sua pianta, a ferro di cavallo, ripete quella della Scala, con quattro ordini di posti: i due livelli di platea e le due gallerie. L’identico boccascena (16 metri per 12) permette di trasferire le scene indifferentemente dall’uno all’altro teatro. Si ringrazia 11 MITO si veste di verde Torino Milano Festival Internazionale della Musica 04_ 21 settembre 2012 Settima edizione Settembre Musica La tua energia per la musica. L’energia della musica per l’ambiente con Bike’n’Jazz Ogni giovedì alle ore 13 in Piazza San Fedele c’è Bike’n’Jazz: il Festival MITO, assieme a eni partner del progetto green, aspetta il suo pubblico per accendere la musica! L’energia cinetica prodotta dalla pedalata delle biciclette messe a disposizione del pubblico alimenta il palco su cui si esibiscono Enrico Zanisi Trio (5. IX), Black Hole Quartet (12. IX), Fulvio Sigurtà e Claudio Filippini (19. IX) Prenota la tua bicicletta scrivendo a [email protected], oppure presentati il giorno stesso sul luogo dell’evento. Tre stazioni di accumulo energia nel centro di Milano sono a disposizione durante tutti i giorni del Festival. Ogni stazione è dotata di due biciclette: pedala in compagnia per ascoltare la playlist di MITO e produci energia per alimentare i concerti del Bike’n’Jazz. Vieni a scoprirle in via Dante angolo via G. Giulini, piazza Santa Maria Beltrade e piazza Sant’Alessandro. MITO compensa le emissioni di CO2 MITO SettembreMusica, grazie alla collaborazione di EcoWay, misura le emissioni dirette e indirette inerenti l’edizione milanese del Festival e compensa interamente l’anidride carbonica relativa ai consumi energetici, di carta e al trasporto degli artisti e del pubblico ai luoghi del Festival, attraverso l’acquisto di carbon credits certificati. Il Festival partecipa inoltre a un progetto forestale sull’asse del fiume Po, che prevede il mantenimento e la piantumazione di un’area boschiva in provincia di Pavia. L’impegno quotidiano del Festival Campagna di comunicazione ecosostenibile con GreenGraffiti©. Stampa dei materiali su carta FSC, carta botanica o riciclata. Riduzione dei materiali cartacei ed estensione dei servizi in rete. Mobile ticket a Milano, per ricevere il biglietto sul cellulare. Mobilità sostenibile tramite car sharing, bike sharing e mezzi pubblici Da 2007 l ha com MITO p le em ensato contrib issioni piantum uendo alla di quas azione e tutela i mq nell 1.000.000 di Sud Ame foreste del er Madagaica e del scar. eni partner progetto green 12 il nostro viaggio nell’energia continua. Siamo pronti a condividere ancora milioni di attimi inSieme. enel.com Un progetto di Città di Milano Città di Torino Giuliano Pisapia Sindaco Presidente del Festival Piero Fassino Sindaco Presidente del Festival Filippo Del Corno Assessore alla Cultura Maurizio Braccialarghe Assessore alla Cultura, Turismo e Promozione della città Giulia Amato Direttore Centrale Cultura Aldo Garbarini Direttore Centrale Cultura ed Educazione Comitato di coordinamento Francesco Micheli Presidente Vicepresidente del Festival Maurizio Braccialarghe Vicepresidente Enzo Restagno Direttore artistico Milano Torino Giulia Amato Direttore Centrale Cultura Aldo Garbarini Direttore Centrale Cultura ed Educazione Antonio Calbi Direttore Settore Spettacolo Angela La Rotella Segretario generale Fondazione per la Cultura Torino Francesca Colombo Segretario generale Coordinatore artistico 14 Claudio Merlo Direttore organizzativo Coordinatore artistico Realizzato da Associazione per il Festival Internazionale della Musica di Milano Fondatori Francesco Micheli / Roberto Calasso / Francesca Colombo / Piergaetano Marchetti Massimo Vitta-Zelman Advisory Board Alberto Arbasino / Gae Aulenti †/ Giovanni Bazoli / Roberto Calasso Francesca Colombo / Gillo Dorfles / Umberto Eco / Bruno Ermolli Inge Feltrinelli / Stéphane Lissner / Piergaetano Marchetti / Francesco Micheli Ermanno Olmi / Sandro Parenzo / Renzo Piano / Arnaldo Pomodoro Livia Pomodoro / Davide Rampello / Franca Sozzani / Massimo Vitta-Zelman Comitato di Patronage Louis Andriessen / George Benjamin / Pierre Boulez / Luís Pereira Leal † Franz Xaver Ohnesorg / Ilaria Borletti Buitoni / Gianfranco Ravasi Daria Rocca / Umberto Veronesi Consiglio Direttivo Francesco Micheli Presidente / Marco Bassetti / Pierluigi Cerri Roberta Furcolo / Leo Nahon / Roberto Spada Collegio dei revisori Marco Guerrieri, Eugenio Romita, Marco Giulio Luigi Sabatini Organizzazione Francesca Colombo, Segretario generale e Coordinatore artistico Stefania Brucini, Responsabile promozione e biglietteria Carlotta Colombo, Responsabile produzione Federica Michelini, Assistente Segretario generale e Responsabile partner e sponsor Luisella Molina, Responsabile organizzazione Carmen Ohlmes, Responsabile comunicazione Lo Staff del Festival Segreteria generale Alice Kuwahara, Federica Limina e Sofia Colombo Comunicazione Livio Aragona, Sara Bosco, Emma De Luca, Alessia Guardascione, Valentina Trovato con Matteo Arena e Irene D’Orazio, Elisa Aliverti Piuri, Eleonora Porro Produzione Francesco Bollani, Stefano Coppelli, Simone Di Crescenzo, Matteo Milani con Elena Bertolino, Nicola Acquaviva e Davide Beretta, Velia Bossi, Francesco Morelli, Marco Sartori Organizzazione Nicoletta Calderoni, Elisabetta Maria Tonin e Raffaella Randon Promozione e biglietteria Alice Boerci, Fulvio Gibillini, Alberto Raimondo con Claudia Falabella, Cecilia Galiano, Arjuna-Das Irmici, Federica Luna Simone e Francesca Bazzoni, Victoria Malighetti, Chiara Sanvito via Dogana, 2 – 20123 Milano telefono +39.02.88464725 / fax +39.02.88464749 [email protected] / www.mitosettembremusica.it facebook.com/mitosettembremusica.official twitter.com/mitomusica youtube.com/mitosettembremusica 15 Scegli il braccialetto che fa per te! La musica è uno stato d’animo? Tu come ti senti oggi? A MITO SettembreMusica i concerti ti fanno stare meglio! Partecipando ai concerti del Festival, riceverai in omaggio il braccialetto del tuo genere musicale preferito. Indossalo per tutta la durata del Festival e con MITO avrai tanti benefit. Settembre Musica Indossa il braccialetto: alla Drogheria Plinio con MITO hai uno sconto particolare! Bar, cucina, enoteca, emporio... prima o dopo il concerto, Drogheria Plinio offre al pubblico di MITO un servizio a tutte le ore. Presentando MITOCard o indossando il braccialetto del Festival, si ottiene uno sconto del 10% sul menù à la carte e sul market. E per tutta la durata del Festival è inoltre possibile gustare lo speciale Menù MITO, a soli 15 Euro. Drogheria Plinio, via Plinio 6, tel. 393.8796508 - [email protected] Scopri tutte le convenzioni su www.mitosettembremusica.it #MITO2013 MITO SettembreMusica Settima edizione Un progetto di Realizzato da Con il sostegno di I Partner del Festival Partner Istituzionale Partner Istituzionale Sponsor Per la serata inaugurale Media partner Sponsor tecnici Il Festival MITO a Milano compensa le emissioni di CO2 con carbon credits verificati e partecipa ad un progetto di tutela boschiva sull’asse del fiume Po. Si ringrazia per l’accoglienza degli artisti Drogheria Plinio con cucina Nerea S.p.A. Riso Scotti Il Festival MITO continua fino al 21 settembre... Una selezione dei concerti dei prossimi giorni Per maggiori info www.mitosettembremusica.it 19.IX • La presenza di David Sylvian nel progetto The Kilowatt Hour, artista atteso a Milano 19.IX • Dal Festival di Montreaux a Milano con il jazz di Jerry Léonide 20.IX • La bacchetta di Zubin Mehta in un programma passato alla Storia 20.IX • L’anteprima del nuovo album di Eugenio Finardi 21.IX • Un programma festoso per la chiusura del Festival con Antonio Pappano e Mario Brunello 21.IX • MITO chiude con una grande milonga argentina e uno spettacolo vi coinvolge fino a tarda notte Milano Torino unite per il 2015 -2