[dal volume “Il Tagliamento”, CiErre edizioni, 2006] L’ANTICA VALLE DEL TAGLIAMENTO Giovanni Monegato (Dipartimento di Georisorse e Territorio, Università di Udine) Quando si percorre il fondovalle del Tagliamento fino ad Ampezzo è comune imbattersi in pareti verticali, lunghe anche centinaia di metri, scavate in conglomerati, un tipo di roccia che nasce dalla cementazione delle ghiaie dei greti fluviali. Osservando le rupi in dettaglio si possono riconoscere i ciottoli arrotondati e colorati presenti anche nel letto del fiume attuale. Infatti, l’areale di affioramento di queste rocce evidenzia che il percorso seguito dal fiume in passato ricalca per lunghi tratti la configurazione odierna della valle. L’origine della valle del Tagliamento, così come oggi la conosciamo risale a circa 6 – 5 milioni di anni fa, quando la regione carnica si sollevava fortemente, ed i processi erosivi modellavano le montagne. Il Tagliamento, o, più correttamente, il “Paleo­Tagliamento”, scendeva allora passando per Ampezzo, dove si congiungeva con il Paleo­Lumiei; da qui procedeva all’incirca secondo il tracciato attuale, fino a Tolmezzo, per poi scendere in direzione nord­sud nella valle del Lago di Cavazzo fino a San Daniele. Qui il suo corso aveva una direzione drasticamente diversa rispetto all’attuale, in quanto si dirigeva a sud­ovest verso il Paleo­Piave, che allora scendeva lungo la direttrice Fadalto – Vittorio Veneto. In quel periodo, infatti, un evento aveva cambiato radicalmente la dinamica di tutti i corsi d’acqua che attraversavano le giovani Alpi meridionali: la collisione tra la placca africana e quella europea aveva causato la chiusura dello Stretto di Gibilterra. Il Mediterraneo si ritrovò chiuso, senza collegamenti con le correnti dell’Oceano Atlantico ed il clima subtropicale, che caratterizzava tutta l’area, fece prevalere l’evaporazione rispetto all’apporto dovuto a precipitazioni. Nel giro di alcune centinaia di migliaia di anni si ebbe il parziale prosciugamento del mare e il suo livello arrivò ad essere mediamente più basso di oltre 1000 metri rispetto all’attuale. Il Mediterraneo era diventato un’enorme depressione, profonda il doppio dell’attuale Mar Morto, dove si formavano vaste e potenti distese di evaporiti (gesso e salgemma). L’abbassamento del livello di base determinò un approfondimento di centinaia di metri del reticolo vallivo, formando numerosi canyon sul versante meridionale delle Alpi. Il processo di approfondimento delle valli durò finché un altro evento cambiò rapidamente la paleogeografia mediterranea: con la riapertura dello Stretto di Gibilterra, avvenuta circa 5,3 milioni di anni fa, le acque oceaniche si riversarono nel bacino mediterraneo, riempendolo in circa 300.000 anni. I fiumi si trovarono ancora una volta in disequilibrio, con il mare che,
salendo di livello, entrava nei canyon, ma senza però raggiungere la linea di costa precedente, perché nel frattempo le Alpi avevano continuato a sollevarsi. Come tutti i fiumi che allora scendevano dalle Alpi anche il Paleo­Tagliamento si trovò in disequilibrio, perché quando il mare si abbassò il suo percorso si fece più ripido e si allungò di centinaia di chilometri. Il corso d’acqua iniziò a scavare profondamente il rilievo sul quale scorreva, formando un canyon profondo centinaia di metri. Nel suo alveo vennero alla luce le rocce dell’era Paleozoica, le più antiche della catena carnica. Tra queste, ancor oggi visibili, abbondano arenarie rosse e verdi, vulcaniti, conglomerati quarzosi e rocce metamorfiche di basso grado, come i marmi del Coglians o le metareniti di Fleons. In conseguenza di ciò le ghiaie del fiume da bianco­grigiastre, simili a quelle che si osservano nei torrenti Cellina e Meduna, assunsero l’aspetto policromo che conservano tuttora. Quando il livello del mare risalì nel canyon del Paleo­Tagliamento, esso penetrò fino all’altezza di Osoppo, dove il fiume sfociava con un ampio delta fluviale, del quale sono ben riconoscibili le stratificazioni inclinate (clinostratificazioni) dei conglomerati lungo le pareti dei colli osovani (Venturini, 1991). Sulla sommità del colle principale sono visibili, in discreto stato di conservazione, le impronte che alcuni vertebrati (bovini, rinoceronti ed equidi del genere Hipparion) hanno lasciato sulle sabbie limose del fiume in seguito cementate (Dalla Vecchia e Rustioni, 1996). La fronte di questo delta progressivamente migrò verso sud riempendo di sedimenti ghiaiosi l'antica insenatura. A monte dello sbocco ad Osoppo il fiume scorreva tra le pareti della valle, il cui fondo era largo meno di 1 chilometro, circa la metà dell’attuale alveo del Tagliamento. Questa valle fu progressivamente riempita dai corpi sedimentari prevalentemente alluvionali, che il fiume accumulò tra il Pliocene ed il Pleistocene. Nel segmento di valle tra Verzegnis e Somplago si può apprezzare la sezione più completa e continua dell’antica gola, con i due versanti in roccia ancora conservati. Si tratta a tutti gli effetti di una valle fossile, che ci permette di ricostruire un ambiente antico di milioni di anni. Dallo studio di queste rocce è infatti emerso che il Paleo­Tagliamento aveva un greto ghiaioso con ciottoli arrotondati, mentre dai versanti si riversavano nell’alveo delle conoidi detritiche, fatte di ciottoli calcarei spigolosi. Inoltre, in corrispondenza dell’abitato di Cesclans, è visibile un enorme corpo di frana, che sbarrò la valle formando un bacino lacustre profondo decine di metri e che si estendeva a monte per alcuni chilometri. Dopo aver colmato questo lago il fiume riprese a scorrere in un letto ghiaioso simile a quello precedente allo sbarramento. Quando poi il fiume stabilì in modo definitivo il suo corso tra Venzone ed Ospedaletto, confluì nel Fella nei pressi di Carnia ed abbandonò per sempre l’antico deflusso ad ovest del Monte San Simeone, dove oggi troviamo il Lago di Cavazzo.