Euro vs Lira
Giorgio Arfaras, direttore Lettera Economica, Centro Einaudi di Torino
Una volta, millenni fa, si addebitavano tutti i mali del mondo a un unico soggetto – un uomo o un
animale, che diventava il “capro espiatorio”. Costui era capace di accogliere su di sé tutti i mali
della comunità, che cacciandolo, se ne liberava. L'euro e le sue regole oggigiorno è il novello capro
espiatorio.
1 - Padri e figli
L’immaginario di molti è occupato da gente corrotta e fannullona – la Kasta – e da un sistema
economico asservito al potere degli stranieri – fra le Due Guerre si aveva quello giudo-plutomassonico di origine anglosassone – oggi, invece, si ha a quello di origine teutonica – dove sovrana
è l’arida Frau Merkel. L'idea di fondo è che l'economia sia ancora quella primitiva – io ottengo una
cosa se la tolgo a te: il “gioco a somma zero” - e non quella moderna - io ottengo più cose se
scambio quello che so fare meglio con quello che sai fare meglio tu: il “gioco a somma positiva”.
Segue dal ragionamento che la Germania è interessata a “fare a pezzi” l'Italia e non ad avere
scambi con un'economia complementare. Insomma, si occupa e si affama un territorio straniero
per portare il grano nell'Urbe con cui comprare il consenso della plebe.
La soluzione proposta è quella di far fuori la Kasta e subito dopo di tornare alla spesa pubblica
finanziata con l’emissione di moneta. Il popolo (per definizione) onesto sostituisce così la Kasta, e
la Sovranità Nazionale (un concetto molto vago) torna al centro della scena togliendo
l’indipendenza alla Banca Centrale, la quale dovrà finanziare la spesa pubblica in deficit. Così
facendo si esce dall’euro – laddove si ha una banca centrale che non finanzia la politica fiscale e
dove si hanno i vincoli di spesa pubblica (il 3% sul PIL) e di debito pubblico (il 60% sul PIL) - e perciò
si torna - necessariamente - alla Lira.
La teoria sottostante a questa visione delle cose è quella che la spesa pubblica in deficit stimoli la
domanda e quindi la crescita del PIL. Il deficit, se finanziato con obbligazioni sottoscritte dai
privati, costa molto e non si vede perché mai bisognerebbe trasferire il reddito a chi non fa nulla–
ossia i redditieri, il cui contributo è il risparmio, vale a dire l’astensione dal consumo, e non il
lavoro. Perciò lo si finanzia con l’emissione di moneta con la Banca Centrale che compra le
obbligazioni emesse da Tesoro non acquistate dai privati. Esattamente come accadeva fino ai
primi anni Ottanta, quando si decise a favore del divorzio fra Banca Centrale e Tesoro. La prima dal
1981 non era più tenuta a comprare i titoli del debito pubblico offerti dal Tesoro che il settore
privato non voleva.
Quello proposto è un mondo dove prevale la “mano pubblica” – dove la spesa pubblica cresce più
della spesa privata, e dove la Banca Centrale sostituisce i mercati finanziari. La spesa pubblica
stimola la domanda interna e la Lira rende nuovamente competitive le merci italiane, e quindi
stimola la domanda estera. La proposta suona – alle orecchie di molti – interessante, perché è
assai semplice. Si ha un mondo dove la spesa di origine privata non è sufficiente a trainare
l'economia, e dunque si ha il traino della spesa di origine pubblica, che non “infastidisce” i privati
chiedendo loro delle maggiori imposte oltre la sottoscrizione di una massa crescente di debito
pubblico, perché ci pensa la Banca Centrale.
Volendo essere perfidi, non è tanto un ragionamento macroeconomico (piuttosto modesto) che
sostiene l'idea del ritorno agli anni Settanta, quanto, come quasi sempre in politica, il Mito.
Possiamo dire che si torna al mondo del Padre Buono (la mano pubblica), perché il Mondo dei Figli
Scapestrati (i mercati) ha fatto – secondo alcuni - il suo tempo. La crisi italiana è semplicemente la
figlia dell’austerità – che ha tagliato la spesa – e dell’euro forte – che mette in crisi le aziende
italiane. In un mondo in cui il Padre è Buono (ed è tornato ad essere onesto, messo che
quest'espressione abbia un senso che non sia demagogico: qualcuno andrebbe da un medico
perché è onesto, o perché è competente?) i politici hanno un ruolo centrale, perché allocano le
risorse, mentre in un mondo di Figli Scapestrati i politici hanno un ruolo secondario, perché le
risorse le allocano i mercati. Il capovolgimento politico è completo, si torna alle politiche fiscali
permissive agli anni Settanta e – in parte - Ottanta.
Piace evidentemente ad alcuni politici, perché così hanno finalmente un ruolo di “dispensatori” di
beni, e ai cittadini che hanno bisogno di una “guida” e di una “paghetta”. I cittadini diventano
quindi “figli”. Un bilancio pubblico in perenne deficit con finanziamento monetario è uno
strumento per “dare” (promettere politiche sociali) senza che si debba anche “avere” (le imposte
per finanziarle). Nel caso (probabile) in cui si riavesse inflazione, il debito pubblico finirebbe col
costare meno. Il debito emesso sarebbe, infatti, rimborsato con una moneta svalutata. Insomma,
ammesso e non concesso che la spesa pubblica stimoli in maniera efficiente e duratura
l'economia, ci troveremmo in un mondo dove la società civile girerebbe intorno alla politica e non
ai mercati.
2 - Le aziende italiane sono competitive sui mercati esteri
Anche immaginando (ma non è realistico) che un ritorno alla Lira non produrrebbe una “corsa agli
sportelli” per ritirare gli euro prima che siano convertiti in lire, ed anche immaginando che nulla
accada in sede di emissione di nuovo debito pubblico, oppure di rinnovo di quello emesso che va
in scadenza, chiediamoci che cosa accadrebbe. Prima di procedere mette conto ricordare che, se il
debito pubblico in un contesto di maggior inflazione comanda dei rendimenti più alti di oggi (in
termini reali, ossia anche tenendo conto dell'inflazione, perché l'inflazione avrebbe anno per anno
dei tassi di variazione molto diversi, ciò che chiederebbe un “premio per il rischio”), si avrebbe una
percussione sul costo del denaro, dei mutui, eccetera.
Il ritorno della Lira – che si svaluta rispetto all’euro circa quanto il differenziale di produttività
cumulato con i Paesi della stessa area valutaria, assumiamo un 20% – migliorerebbe o meno la
condizione economica degli italiani?
Il tasso di cambio che conta è quello reale, ossia il cambio nominale che tiene conto dei
differenziali di inflazione (r = e p^/p, dove r è il cambio reale, e è quello nominale, p^ sono i prezzi
esteri per esempio in dollari delle merci scambiate, p sono i prezzi interni per esempio in euro
delle merci scambiate). Perciò la competitività di un paese migliora se i prezzi esteri crescono più
di quelli interni, oppure se quelli interni crescono meno di quelli esteri. Si potrebbe perciò anche
svalutare “alla tedesca”, ossia riducendo la crescita relativa dei prezzi interni. Ma questa è una
strada lunga, e dunque si intende solitamente con il termine svalutare che siano i prezzi esteri ad
aumentare per effetto della moneta domestica resa debole.
Perciò torna la Lira che si svaluta. L’esperienza di molti Paesi su archi temporali lunghi mostra
come il PIL cresca fra il 1% e il 3% (più di quanto sarebbe altrimenti cresciuto) dopo una
svalutazione: se questa è del 20% si ha una maggior crescita del 0,2% fino al 0,6%. Non è molto.
Ma non è tutto qui. Sono i Paesi emergenti che crescono del 3% della svalutazione, non quelli
emersi. Un paese che sta emergendo sostituisce, infatti, le magliette estere con quelle prodotte in
loco, mentre un paese emerso scambia beni di difficile sostituibilità, perché si è specializzato da
molto tempo: gli apparecchi medicali non sono subito producibili localmente, se quelli esteri
costano di più. Con la svalutazione un Paese emerso e specializzato come l’Italia ha una maggior
spinta a crescere modesta.
Detta in breve, una svalutazione -sempre (eroicamente) escludendo che si abbiano delle forti
percussioni sul fronte della “corsa agli sportelli” e su quello del costo del debito pubblico -poco
cambierebbe. La strada da percorrere è quindi quella di modernizzare l’Italia. Insomma, le solite
cose sull’efficienza della spesa pubblica e dell’Amministrazione Pubblica, sui contratti di lavoro che
vanno decentralizzati, sul cuneo fiscale, eccetera. In ogni modo, nonostante il tanto dire, il
problema non è la competitività delle esportazioni. La bilancia commerciale italiana verso il Paesi
dell’euro area è stata -da venti anni in qua– quasi sempre positiva, e le esportazioni italiane hanno
sempre tenuto nel mondo. Se l'euro fosse il “mostro” di cui si dice, le esportazioni italiane
sarebbero cadute.
3 - Proposte alternative con impatto simile alla svalutazione della moneta
E poi chi lo ha detto che esiste solo la strada della svalutazione monetaria? Esiste anche la
svalutazione fiscale, di cui poco si parla. Se taglio in parte le imposte alle imprese, queste hanno,
tutto il resto essendo eguale, un maggior flusso di cassa. Possono perciò tagliare i prezzi per
competere sul prezzo, oppure, mantenere i prezzi eguali, per avere un maggior flusso di cassa da
investire. Le minore entrate dello stato possono essere coperte dalle maggiori imposte indirette.
Le imposte indirette non gravano sulle esportazioni, mentre gravano sugli acquisti dei b eni delle
imprese italiane e non italiane fatti sul mercato intorno.
La parte difficile di queste proposte è che si darebbe un vantaggio alle imprese e ai suoi occupati
facendo pagare a tutti, attraverso le maggiori imposte, il costo del vantaggio. Se si riuscisse a
convincere tutti che, alla lunga, una maggiore competitività delle imprese accresce l'occupazione e
quindi favorisce tutti, attraverso un maggior gettito fiscale, sarebbe fatta.
4 - Una conclusione polemica
Il ragionamento a favore dell'uscita dall'euro non è convincente, Non è detto che l'economia
crescerebbe, mentre probabilmente si avrebbe una crisi finanziaria. Ma così il ragionamento è
ancora freddo, troppo economico. Chi vuole uscire dall'euro sostiene che l'Europa sia un luogo di
burocrazia e non di democrazia. Vero, resta da capire che cosa si intende per burocrazia e che cosa
per democrazia.
La Seconda Guerra termina in un bagno di sangue e drammatici trasferimenti di popolazione. Tre
politici cattolici, Adenauer, Shumann, e De Gasperi, tutti e tre avanti negli anni e di lingua tedesca,
arrivano alla conclusione che all'origine della tragedia ci fosse un sistema politico a fondamento
carismatico. I sistemi politici possono essere di tre tipi: quello in cui la legittimità è nella tradizione,
come nelle Monarchie, quello in cui la legittimità è nella logica fredda delle Leggi applicate dalla
Burocrazia, come nei sistemi liberali, e, infine, quello la cui legittimità è nella simbiosi fra Popolo e
Carisma. In questo ultimo caso si ha una identificazione fra il Popolo – ridotto a entità magmatica –
e il Leader – che lo conduce verso i suoi più alti destini.
Dopo la Seconda Guerra l'idea che era prevalsa era quella di un sistema sopranazionale, e di un
governo della Legge, e dunque il governo della Burocrazia, che, per definizione, emana solo
“grigiore”. Insomma, l'idea della “de-nazionalizzazione” delle masse con i sistemi politici avvolti in
ragnatele giuridiche – come l'Alta Corte che è il decisore di legittimità di ultima istanza - era il
cuore della nuova Europa. Non si tornava però al sistema liberale ante Prima Guerra, quello dello
Stato Minimo (Amministrazione, Difesa, Giustizia), ma al sistema di Stato Sociale (Stato Minimo +
Sanità, Istruzione, Pensioni). Questo è avvenuto e per ragioni culturali - la prevalenza cattolica e
del suo “solidarismo”, e per ragioni politiche, perché delle forme di “stato sociale” erano emerse
con i Totalitarismi e non potevano essere rigettate.
L'Europa è perciò volutamente “grigia” e burocratica. Sarà un caso, ma quelli che la vorrebbero
diversa sono i leader carismatici di partiti o movimenti a sfondo nazionalistico.