Borse dei record alla prova di Trump - Il Sole 24 ORE

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23/1/2017
Borse dei record alla prova di Trump - Il Sole 24 ORE
LA NUOVA AMERICA
Borse dei record alla prova di Trump
–di Morya Longo | 22 gennaio 2017
Dal marzo del 2009, quando l’indice S&P 500 toccò il minimo al mefistofelico livello di 666 punti, la Borsa di
Wall Street ha guadagnato il 241%. Ormai viaggia costantemente sui massimi storici, con azioni sempre più
“care” rispetto agli utili aziendali. Anche le altre Borse mondiali, pur in maniera meno eclatante, hanno
corso: dal marzo 2009 l’indice Msci World segna un rialzo del 158%. E persino nella maltrattata Europa ci
sono listini azionari vicini o sui massimi storici o almeno dell’ultimo decennio. Di fronte a queste
performance, considerando che i fattori di rischio nel mondo non mancano anche dopo l’insediamento del
nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, tra gli investitori gira una domanda da un milione di
dollari. Anzi, da qualche “trilione”: quanto potrà durare ancora questo super-ciclo dei mercati azionari?
Possibile che il risveglio da questo sogno finanziario si stia avvicinando?
L’aspetto curioso, paragonando l’inizio 2017 all’avvio del 2016, è che quest’anno la maggioranza degli
strategist e degli analisti vede rosa. Un anno fa il mondo sembrava all’alba della catastrofe, con la Cina a fare
da detonatore, mentre ora il clima è completamente invertito. Sono ottimisti molti grandi palyer della
finanza, come BlackRock che prevede «mercati azionari dei Paesi industrializzati in crescita nel 2017». Lo
sono molti big bancari come Citigroup, che a novembre prevedeva già azioni globali in rialzo del 10% entro
fine 2017. Lo sono investitori più piccoli come M&G. Tanti attori del mercato prevedono economia in crescita
e Borse in potenziale rialzo. O comunque non in calo. E anche gli analisti di Bank of America, secondo i quali
i mercati azionari rischiano di fare la fine del mitolocico Icaro che volò troppo in alto e alla fine precipitò,
comunque prevedono ancora rally per la stessa Borsa di Wall Street almeno per la prima metà dell’anno.
I motivi di tanto ottimismo - ammesso e non concesso che siano condivisibili - sono sintetizzabili in tre
categorie: alcuni basati sui fondamentali economici, altri sull’analisi dei cicli finanziari, altri più sulla
rotazione dei portafogli e sulla convenienza relativa delle azioni rispetto ai bond. Visto che questo è il
pensiero dominante, dunque, vale la pena di analizzarlo. Anche se non per forza va “sposato”. Perché i fattori
di rischio in giro per il mondo sono tanti. Perché non sarebbe la prima volta che le previsioni “mainstream”
vengono smentite dai fatti. E perché tanto di questo ottimismo si basa su previsioni già ampiamente
scontate dal mercato. Ma tant’è: ecco i tre motivi dell’entusiasmo collettivo.
Sprint dell’economia La prima ragione per cui tanti esperti si dicono fiduciosi sui mercati azionari parte dall’economia:
praticamente tutti sono convinti che a livello mondiale (e non solo negli Usa) il 2017 porterà maggiore
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crescita del Pil e maggiore inflazione. Questo grazie a una più forte spinta a livello globale, seppur differente
tra Paese e Paese, della politica fiscale. «La politica monetaria si ritira, quella fiscale entra in campo»,
titolano in uno studio gli analisti di Hsbc. E sulla stessa lunghezza d’onda sono tanti economisti.
Questo, di conseguenza, dovrebbe aiutare le aziende a produrre più utili. Citigroup calcolava poco tempo fa
che una crescita del 10% del dollaro sommata a un taglio delle tasse Usa alle aziende del 20%, potrebbe
«aggiungere un 6% a livello globale agli utili per azione». «E se altri Paesi tagliassero le tasse come promesso
dall’amministrazione Trump in Usa, gli utili aziendali (Eps) potrebbero salire ulteriormente». Pictet Am (che
pure si dichiara neutrale sull’azionario) stima utili per azione in crescita del 12% in Usa, del 14% in Europa e
del 10% in Giappone nel 2017. Morale: a fronte di profitti in potenziale crescita, le Borse non sarebbero più
sopravvalutate. Dunque - pur con le dovute eccezioni e con un sano discernimento - potrebbero a livello
globale crescere ancora. Questa è la conclusione di molti analisti e investitori.
La teoria dei cicli Anche se si guarda la storia, e si analizzano i cicli dei mercati azionari nel passato, si arriva allo stesso
risultato. L’ha fatto Roberto Bogoni, direttore investimenti di Libra Equity Ltd, una casa d’investimento
indipendente con sede a Londra. Prendendo modelli diversi che analizzano il comportamento delle Borse in
passato, Bogoni sostiene che il ciclo dei mercati azionari può proseguire (sebbene si stia avviando alla sua
fase conclusiva e ci siano rischi che eventi esterni vadano a turbarlo).
Arriva a questa conclusione il modello che Bogoni chiama «orologio degli investimenti», che parte da una
considerazione empirica: la storia dimostra che il mercato dei bond aziendali tende ad anticipare quello
azionario. È sempre stato così. Quando i bond aziendali iniziano a soffrire e ad allargare gli spread, come sta
accadendo ora, storicamente i mercati azionari tendono ad assaporare l’ultima fase del rally prima di
sgonfiarsi. «In passato questa fase è durata anche qualche anno - osserva Bogoni -. Nel 2005 iniziarono per
esempio a soffrire i corporate bond, ma l’azionario continuò a salire fino al 2007».
Anche il modello dei multipli offre la stessa indicazione. Solitamente un ciclo azionario funziona così: prima
si espandono i multipli (cioè sale il rapporto tra prezzo delle azioni e utili), poi iniziano effettivamente a
salire gli utili, finché i multipli si ridimensionano e poi anche i profitti. Anche questo è sempre accaduto nella
storia, pur con tempistiche diverse. Ebbene: ora siamo con tutta probabilità nella seconda fase, in cui gli utili
tendono a crescere, e questo lascia presagire a una fase ancora positiva per le Borse globali. «Siamo in un
ecosistema favorevole per un mercato azionario in rialzo, pur con volatilità». Però - avverte Bogoni - ci sono
dei rischi: la politica in Europa, un credit crunch in Cina o qualche passo falso dell’amministrazione Trump.
La teoria della relatività Tra le altre motivazioni che inducono alcuni analisti e gestori a guardare con favore le Borse, c’è quella che
potremmo definire della “relatività”: i mercati obbligazionari hanno chiuso la loro epoca d’oro (i rendimenti
sono scesi troppo e mentre torna l’inflazione tenderanno a salire), per cui gli investitori (pieni di soldi)
devono buttarsi sui mercati che offrono ancora valore. Cioè quelli azionari. Maria Municchi, gestore di M&G
Investments, confrontando a livello mondiale il rendimento reale (depurato dall’inflazione) del mercato
obbligazionario con quello del mercato azionario, giunge a una conclusione chiara: «Ancora oggi,
nonostante il rally delle Borse, il prezzo delle azioni a livello mondiale resta interessante rispetto a quello
delle obbligazioni».
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Questo ragionamento, in effetti, sembrano farlo in tanti. Secondo i dati di Bank of America, dall’elezione di
Trump lo scorso novembre i fondi azionari Usa hanno registrato flussi di capitali in entrata pari a 70 miliardi
di dollari, mentre i fondi obbligazionari hanno subito deflussi per 41 miliardi. Tanti, insomma, sembrano
posizionarsi in questo modo. Resta solo da capire quanto tempo possa durare questo gigantesco trend
collettivo, cosa potrebbe interromperlo e cosa possa accadere dopo. Il rischio, infatti, è che gli investitori
stiano oggi sottovalutando alcuni rischi. Esattamente come prima di Brexit o del referendum italiano li
sopravvalutavano. Saranno i prossimi mesi a dirci se il pensiero collettivo (pur con dovute eccezioni) sarà
confermato.
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